Informazione
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Il Forum Palestina replica al killeraggio mediatico sulla manifestazione di sabato a Roma
Un esposto alla Procura della Repubblica di Roma ed un altro alla Commissione di Vigilanza sulla RAI del Parlamento. Sono queste le prime iniziative legali intraprese dal Forum Palestina di fronte a quello che definisce “un killeraggio mediatico” sulla manifestazione per la Palestina di sabato 18 novembre a Roma. “Non è possibile né accettabile che di una manifestazione partecipata, tranquilla, riuscita, con una piattaforma chiara, spiegata ripetutamente e a lungo a tutti i giornalisti presenti, l’immagine che i telegiornali hanno restituito all’opinione pubblica sia quella dei roghi e di pochissimi slogans sui morti di Nassirya”. “Siamo di fronte ad una manipolazione della realtà che è sospetta e irricevibile”. Sarebbe come se una splendida partita a cui hanno assistito in diretta migliaia di persone fosse poi rappresentata la sera dalle televisioni solo con l’episodio di un fallo con espulsione. Chiunque penserebbe di aver assistito ad un’altra partita rispetto a quella trasmessa dai telegiornali”.
Per questi motivi verrà presentato un esposto alla Procura di Roma per diffamazione (relativa ad alcune sovrapposizioni tra volti e commenti redazionali che distorcevano il contenuto) e per richiedere l’acquisizione di tutto il materiale girato dalle televisioni dalle 14.00 fino alle 17.30 di sabato pomeriggio. Analogamente verrà presentato un esposto alla Commissione Vigilanza sulla RAI per verificare come e quanto il servizio televisivo pubblico si sia volutamente prestato ad una imboscata mediatica strumentale ad una resa di conti politica dentro la coalizione di governo e nei rapporti tra esecutivo e opposizione.
Roma, 21 novembre ’06
Il Forum Palestina
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Serventi Longhi (FNSI) sul trattamento che i media hanno riservato al corteo pro-palestina di Roma: " siamo di fronte all'impazzimento dell'informazione e deella comunicazione " |
Roma - “Ho una tragica certezza, che è quella che ormai l’informazione segue un percorso perverso. Di un evento i media enfatizzano una parte marginale, assolutamente non centrale, quella che però rende l’evento particolare, un cazzotto nello stomaco: credo che così non vada bene.” |
Questo è ciò che Paolo Serventi Longhi, presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, ha affermato ai microfoni di Radio Città Aperta in una lunga intervista andata in onda questa mattina alle 11.00, incentrata sull’analisi del modo in cui i mezzi di informazione hanno trattato una serie di eventi che si sono svolti nella giornata di sabato, in particolar modo il corteo per la Palestina di Roma. “Sabato vi erano diverse ipotesi di concentrazione di opinioni in dissonanza con quelle dell’attuale governo e di quello precedente. Vi erano tutta una serie di eventi assolutamente rilevanti rispetto ai quali tutto è scomparso, tutto è stato cancellato: la partecipazione, i temi, lo sforzo di mobilitare la gente. Invece è stata enfatizzata una vicenda, quella del rogo dei fantocci con le divise, che da tre giorni monopolizza gli organi di informazione, radio, TV e quotidiani. E’ stata approvata una Finanziaria e scarse tracce vi erano di questo sui giornali di ieri. Io credo che siamo tutti impazziti. Siamo di fronte ad un impazzimento dell’informazione e della comunicazione nella società italiana. E’ incredibile come ormai l’informazione in Italia - forse per strumentalizzazione, forse per incapacità di trovare il senso delle cose che accadono - enfatizzi un fatto che è stato chiaramente circoscritto. Quello che preoccupa è che il messaggio mediatico viene immediatamente raccolto, enfatizzato e amplificato dal sistema politico. Non vorrei che l’istituzione e la politica fossero un tutt’uno con questa cassa di risonanza mediatica che non riesce più a vedere al di là del proprio naso.” Aggiunge il leader del sindacato nazionale dei giornalisti Serventi Longhi ai microfoni dell’emittente romana: “La libertà di informazione va difesa. Stiamo rinnovando un contratto che limiti la precarietà nel settore giornalistico; d’altra parte però gli interessi politici ed economici delle testate, dei proprietari delle testate e degli amici dei proprietari delle testate operano un tale condizionamento da generare un coro unanime che rende impossibile capire quello che succede”
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I moduli firmati e compilati possono essere inviati a : Forum Palestina (via Casalbruciato 27, 00159 Roma) oppure a Associazione Amicizia Sardegna-Palestina via Montesanto 28, 09121 Cagliari
| nome e cognome IN STAMPATELLO | telefono, cellulare, e-mail | Indirizzo | Firma |
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Rca news – martedì 21 novembre 2006
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"Belgradesi, il cancro bussa anche alle vostre porte"
Ogni tanto l'ANSA segnala notizie relative all'inquinamento in
Serbia. Solo di rado, e generalmente solo nelle ultime righe dei
dispacci ed in forma "scettica", essa ricorda che "ulteriori effetti
negativi sulla salute pubblica sono stati attribuiti (sic) alle
conseguenze dei bombardamenti contro gli impianti cittadini compiuti
dalla Nato nel 1999 durante la guerra per il Kosovo". Qualche
giornalista ANSA, come il pessimo Logroscino, è poi particolarmente
zelante nel "riduzionismo" su quei fatti del 1999, ed anzi fa di
tutto per spostare le responsabilità, ex post e lavorando molto di
fantasia, sul solito "regime Milosevic" quando non addirittura sul
vecchio Stato jugoslavo.
Una più attenta analisi dei fatti dovrebbe però immediatamente
mettere in evidenza che anche le cronache attuali, di nuovi incidenti
e nuovi fenomeni acuti di inquinamento dell'ambiente, sono tra le
conseguenze di medio termine proprio del lungo lavoro di
disgregazione e di demolizione economica, industriale e sociale della
Jugoslavia, e di una "Guerra Umanitaria" i cui responsabili sono
tuttora impuniti.
Sugli effetti di quei bombardamenti - specialmente quelli sul
petrolchimico di Pancevo, di cui si parla anche più sotto -
ricordiamo la documentazione raccolta alla pagina: https://www.cnj.it/
24MARZO99/criminale.htm
(a cura di Orsola e Andrea)
1) Novembre 2006: PANCEVO: INQUINAMENTO, CHIUSURA TEMPORANEA IMPIANTO
PETROLCHIMICO
2) Octobre 2006: Marée noire sur le Danube
3) Luglio 2006: SERBIA: CANCRO, TORNA POLEMICA SU EFFETTI RAID NATO
4) June 2006: Seven years since end of NATO bombing, estimated total
damages to be about 29.6 billion dollars
=== 1 ===
PANCEVO: INQUINAMENTO, CHIUSURA TEMPORANEA IMPIANTO PETROLCHIMICO
BELGRADO -Il ministro dell'ambiente della Serbia, Aleksandar Popovic,
ha annunciato la chiusura temporanea degli impianti petrolchimici
della "Petrohemija", nella città industriale di Pancevo, non lontano
da Belgrado (circa 20 km), teatro questa settimana di una ennesima
fuga di scorie inquinanti. La decisione, accompagnata dall'apertura
di una inchiesta giudiziaria, è stata resa nota dal ministro a
margine di un incontro con una rappresentanza dei circa mille
cittadini di Pancevo che oggi hanno protestato a Belgrado, dinanzi
alla sede del governo serbo, contro l'emergenza ambientale in cui
sono costretti a vivere da molti anni. Una emergenza che si traduce
in un tasso di incidenza di tumori, tra i 100.000 abitanti della
località, fra i più alti dell'intera ex Jugoslavia. La protesta,
guidata dal sindaco Srdjan Mikovic, s'è svolta pacificamente. I
dimostranti, preceduti da una croce su cui era affissa l'iscrizione
'Pancevo', avevano maschere protettive sulla bocca e mostravano
cartelli su cui si poteva leggere: ''Belgradesi, il cancro bussa
anche alle vostre porte''. Poi c'è stato l'incontro con il ministro,
il quale ha ricordato il recente stanziamento di 27 milioni di euro
per l'ammodernamento del petrolchimico, ammettendo tuttavia che
l'impianto - una vecchia struttura paleoindustriale jugoslava tuttora
di proprietà pubblica - resta in larga parte obsoleto. Popovic ha
promesso inoltre rigore nelle indagini avviate sul management della
fabbrica, sospettato di aver violato le norme minime di sicurezza,
mentre gli animatori della protesta hanno chiesto una immediata
riunione straordinaria del governo a Pancevo dedicata alla questione
ecologica.
Sede di diverse vecchie industrie inquinanti jugoslave, Pancevo è
tornata in questi giorni agli 'onori' della cronaca per una nuova
fuoriuscita di benzene e zolfo dal petrolchimico registrata alcuni
notti fa. Un incidente non insolito per la città e che questa volta
ha fatto aumentare il livello di contaminazione dell'aria fino a 12
volte oltre la soglia considerata di sicurezza dalla normativa
vigente. Il rischio di una catastrofe ambientale definitiva a Pancevo
è stato evocato a più riprese negli ultimi anni. Secondo gli esperti
serbi, l'inquinamento nella zona è ormai endemico, mentre ulteriori
effetti negativi sulla salute pubblica sono stati attribuiti alle
conseguenze dei bombardamenti contro gli impianti cittadini compiuti
dalla Nato nel 1999 durante la guerra per il Kosovo.
(ANSA).LR
17/11/2006 18:00
(segnalato da Sergio Coronica)
=== 2 ===
http://balkans.courriers.info/article7099.html
POLITIKA
Marée noire sur le Danube
TRADUIT PAR PERSA ALIGRUDIC
Publié dans la presse : 5 octobre 2006
Mise en ligne : vendredi 6 octobre 2006
Une nappe de pétrole, qui s’étend sur 140 km de long et 150 mètres de
large, descend le long du Danube. En cause : une avarie sur le site
serbe de Prahova. La compagnie Nafta Industrija de Serbie (NIS) doit
prendre des mesures immédiates afin d’empêcher la pollution du fleuve
et de procéder à l’assainissement. Mais la Roumanie est furieuse
contre la Serbie, qui ne l’a pas informée à temps de la pollution.
Par N.K.
Le ministère de l’Agriculture de Serbie a communiqué que l’écoulement
d’une nappe de pétrole dans le Danube était la conséquence d’une
avarie sur le site de NIS à Prahova. L’inspection agricole de la
République a constaté que la panne se situait au niveau « du
séparateur des installations de chargement où une certaine quantité
de pétrole et autres matières huileuses s’est écoulée dans le Danube
». La nappe de pétrole s’étend sur 140 kilomètres de long et 150
mètres de large et elle est déjà parvenue en Roumanie et en Bulgarie.
Les représentants et les experts de la Commission hydrotechnique
serbo-roumaine ont convenu de procéder conjointement à un constat sur
le territoire roumain, depuis la centrale « Djerdap I » jusqu’au
confluent du Timok et du Danube, car deux sortes de polluants ont été
observées : le mazout et le pétrole.
L’inspection des eaux, en commun avec les représentants de l’Institut
de météorologie de la République, continueront de suivre l’état du
courant du fleuve, en procédant à l’échantillonnage et au contrôle de
la qualité de l’eau.
Le directeur des Eaux de Serbie, Nikola Marjanovic a déclaré à B92
que « l’avarie de Prahova a été réparée, il n’y a plus de fuite
depuis lundi ». « Cependant, le problème réside dans le fait que des
dégâts ont été causés dans les installations, ce qui représente de
grosses sommes d’argent à débourser pour les réparations et un danger
écologique » a-t-il souligné.
Etant donné que la nappe de pétrole à tendance à s’étendre, elle est
arrivée mardi matin jusqu’à Vidin, et les autorités bulgares ont
adressé un avertissement à leurs citoyens de ne pas utiliser l’eau du
Danube.
La ministre roumaine de la Protection de l’environnement, Sulfina
Barbu, a adressé une lettre au ministre serbe de l’Agriculture, des
Eaux et des Forêts, Goran Zivkov, par laquelle elle accuse la Serbie
de ne pas avoir informé la Roumanie du problème de pollution du Danube.
Sur un ton corroucé, la Roumanie reproche à la Serbie de ne pas avoir
informé les autorités roumaines de la pollution, ainsi que le
prévoient les conventions internationales signées par ces deux pays,
ce qui aurait permis de prendre les mesures nécessaires en temps voulu.
Comme le communique le ministère roumain pour l’Environnement dans sa
lettre, la Serbie est aussi accusée « de ne pas être intervenue pour
remédier aux conséquences de pollution ». Le ministère souligne
également que « c’est la troisième fois que la partie roumaine n’est
pas informée de la pollution du Danube ».
Vos commentaires :
> Marée noire sur le Danube (par Sandu le 9 octobre 2006)
Environnement : la Roumanie aidera au nettoyage du Danube
Une fuite accidentelle s’est produite lundi dernier au dépôt de
stockage de la compagnie pétrolière Jupoteprol, à Prahovo, une ville
située le long des côtes du Danube, près de la frontière de la Serbie
avec la Roumanie et la Bulgarie.
Des centaines de tonnes de pétrole ont été versées dans le Danube
suite à une fissure apparue à un conduit. La nappe de pétrole est
longue de 300 mètres et large de 50 mètres, ont précisé les autorités
serbes, Bucarest indiquant qu’elle s’était fractionnée en raison du
fort débit du fleuve. Le gouvernement roumain a décidé samedi de
fournir à la Bulgarie voisine du matériel pour l’aider à éliminer la
pollution due à la nappe de pétrole.
Dans le cadre d’un accord de donation signé par le ministre roumain
de l’Environnement et de la gestion des eaux, Sulfina Barbu, la
Roumanie fera don de 6,5 tonnes de matériel absorbant et d’une digue
flottante de 200 mètres d’une valeur totale de 50 000 euros (63 500
dollars américains).
Par ailleurs, la Roumanie reproche à la Serbie de ne pas avoir
informé les autorités roumaines de la pollution, ainsi que le
prévoient les conventions internationales signées par ces deux pays,
ce qui aurait permis de prendre les mesures nécessaires en temps voulu.
=== 3 ===
SERBIA: CANCRO, TORNA POLEMICA SU EFFETTI RAID NATO /ANSA
(di Alessandro Logroscino) (ANSA) - BELGRADO, 13 LUG - Cento nuovi
casi di cancro in piu' ogni anno solo a Pancevo, cittadina
industriale di 120.000 abitanti non lontana da Belgrado. Lo rivela
una delle statistiche piu' recenti, ma non delle piu' allarmistiche,
sul deterioramento della salute dei serbi. Un fenomeno che riaccende
periodicamente le polemiche sulle possibili cause, messe in relazione
almeno in parte da specialisti e media locali con le conseguenze
inquinanti dei bombardamenti Nato del 1999. E magari con l'uranio
impoverito. A riprendere il tema e' oggi il Belgrade Times, neonato
settimanale in lingua inglese pubblicato in Serbia. A sette anni
dalla fine dei raid aerei decisi dall'Alleanza atlantica per
scacciare le forze di repressione dell'allora regime di Slobodan
Milosevic dalla provincia ribelle a maggioranza albanese del Kosovo,
la questione resta d'attualita', scrive il giornale. In particolare a
Pancevo, dove fra aprile e giugno del '99 gli 'ordigni intelligenti'
americani ed europei colpirono a piu' riprese i vecchi impianti
industriali jugoslavi e la grande raffineria della citta': con la
conseguente diffusione di migliaia di tonnellate di agenti chimici
nocivi nell'aria, ricorda la gente del posto, e l'incendio di 80.000
tonnellate di greggio, parzialmente riversatesi poi nel Danubio miste
a scorie di etilene, vinil-cloride, mercurio e altri veleni. Di
sostanze cancerogene diffuse dalle ciminiere bombardate nell'aria e
nell'acqua si continua a parlare anche nella zona di Kraguievac,
roccaforte operaista dell'era titina e tuttora sede di impianti
chimici oltre che della Zastava, storica industria metallurgica
balcanica: pure li' si denuncia un incremento esponenziale dei tumori
e di altre malattie che molti imputano all'inquinamento del fiume
locale, la Lepenica. Un corso d'acqua contaminato da decenni, ma le
cui condizioni - si dice - sono ulteriormente peggiorate per gli
effetti a medio termine dei residui di metalli pesanti, diossine e
altri agenti tossici fuoriusciti dalle fabbriche colpite nel 1999. La
lettura dei dati sanitari resta controversa, cosi' come il presunto
ruolo dei proiettili a uranio impoverito. Alcune commissioni
internazionali hanno provato a fare luce negli ultimi anni, ma senza
riuscire a raggiungere conclusioni unanimi. Mentre gli esperti della
Nato seguitano a negare che le bombe possano essere state il fattore
scatenante di disastri medico-ecologici (e che quindi spetti all'
Occidente far fronte finanziariamente alla bonifica). A loro
giudizio, quei raid erano pienamente giustificati sul piano etico-
legale e i danni provocati furono ''accettabilmente'' contenuti sotto
il profilo del diritto internazionale di guerra. Le colpe
dell'asserita contaminazione, si sostiene a Bruxelles, vanno
addebitate piuttosto allo scarso livello di attenzione all'impatto
ambientale dell'obsoleta struttura industriale ex jugoslava. Una
tesi, nota Belgrade Times, contestata da studiosi e giornalisti serbi
e dalle stesse autorita' sanitarie dei governi post-Milosevic di
Belgrado, ma anche da un rapporto dell' Institute for Energy and
Enviromental Research, un think tank ecologista statunitense secondo
cui le bombe sganciate nel '99 su diversi impianti sensibili
rappresentarono una ''violazione del diritto umanitario
internazionale'' ed esposero la popolazione civile a gravi rischi per
la salute attraverso ''l'inquinamento dell'aria, dell'acqua e del
cibo''. I responsabili della clinica oncologica di Pancevo confermano
da parte loro all'Ansa che dopo il 2000 il numero delle nuove
diagnosi di cancro e' cresciuto in citta' di circa ''100 casi
all'anno'': fino a sfiorare nel 2005 quota 500, con una prevalenza di
tumori ai polmoni e al seno. Un'accelerazione, ammettono i medici,
della quale e' difficile individuare con esattezza le cause ultime,
ma che in qualche misura sembra davvero correlabile con l'azione
militare di sette anni fa. Sulla medesima lunghezza d'onda e' la
giornalista Radmila Vulic, che ha condotto diverse inchieste
sull'argomento per conto del quotidiano locale Pancevac. ''L'aumento
dei casi di cancro e' un fatto'', osserva Vulic, dicendosi convinta
che si tratti ''dell'effetto combinato delle esalazioni prodotte
dalla raffineria, ma pure delle conseguenze dei raid Nato''. ''In
fondo, quei raid - conclude - sono stati l'unico elemento nuovo
recente comune a tutte le aree colpite dal fenomeno: e hanno generato
una contaminazione di fiumi, suolo e falde i cui contraccolpi nel
lungo periodo nessuno sa prevedere''. (ANSA). LR
13/07/2006 15:09
=== 4 ===
http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?
yyyy=2006&mm=06&dd=09&nav_category=91&nav_id=35250
B92/Beta (Serbia and Montenegro) - June 9, 2006
Seven years since end of NATO bombing
BELGRADE - The NATO-led bombing of Yugoslavia came to
an end on this day seven years ago.
The Yugoslav Army and NATO signed the Kumanovski
Agreement which ended the campaign of air attacks.
This was immediately followed by Slobodan Milosevic
proclaiming victory over the allied forces.
The agreement was signed in Macedonia by NATO General
Michael Jackson and deputy chief of the Yugoslav
Military’s Supreme Command, Svetozar Marjanoviæ.
“A peace agreement was signed. The war has ended. The
politics of peace which Yugoslavia leads have
prevailed, as has its president Slobodan Milosevic.”
Marjanoviæ said then.
The Yugoslav Army pulled out of Kosovo after the
signing of a UN resolution and the first international
forces enter the territory of Kosovo from Macedonia on
June 12, 1999.
The troops of KFOR numbered about 37,200, with
soldiers from 36 nations, 30,000 of which were from
NATO member countries.
The attacks lasted eleven weeks and, according to
various estimates, in between 1,200 and 2,500 people
were killed.
Many buildings, businesses, schools, health centres,
media headquarters and cultural monuments were
severely damaged or destroyed. A group of economists
from the G17 Plus party has estimated the total
damages to be about 29.6 billion dollars.
George Soros Backs Wesley Clark for President
In late September billionaire investor George Soros – who spent more than $25 million in an attempt to defeat President Bush in 2004 – said he was resolved to stay out of politics in the future.
But before declaring that he was leaving the political stage, Soros contributed $75,000 to former four-star general Wesley Clark, who is poised to mount a bid for the White House in 2008.
The donation came to light in a report filed with the Internal Revenue Service on Oct. 15. The gift, given to a political group led by Clark, is the largest known gift from Soros this year to a political organization affiliated with a contender for the presidency, according to the New York Sun.
"In the future, I’d very much like to get disengaged from politics,” Soros said at a Council on Foreign Relations meeting in New York in September.
Sede nazionale Milano
e-mail : laltralombardia@ laltralombardia.it
telefoni : 339 195 66 69 oppure 338 987 58 98
sito internet www.laltralombardia.it
COMUNICATO STAMPA
Milano, 17 novembre 2006
OGGETTO: aggiornamenti significativi sul convegno
"I crimini del fascismo e la Resistenza antifascista",
Crema 21 novembre 2006,
sala della Provincia,
via Matteotti 39, inizio ore 20.45.
Le adesioni continuano a crescere sul piano nazionale, tra le più
significative:
GIOVANNI PESCE, medaglia d'oro della Resistenza, combattente
antifranchista nella guerra di Spagna, candidato alla nomina di
senatore a vita, autore del libro "Senza tregua", dirigente del PRC.
NORINA BRAMBILLA, staffetta partigiana Brigate Garibaldi, esponente
del PRC
BEBO STORTI, capogruppo del PdCI al Consiglio regionale della
Lombardia, attore da sempre impegnato sul tema dell'antifascismo,
interprete di "Mai morti" di Renato Sarti e "Foibe".
Questo è il programma completo:
I CRIMINI DEL FASCISMO E LA RESISTENZA ANTIFASCISTA
21 NOVEMBRE 2006
CREMA - SALA DELLA PROVINICIA - VIA MATTEOTTI 39 - ORE 20.45
Nell'ambito delle iniziative culturali che l'Associazione L'altra
Lombardia - SU LA TESTA ha realizzato nel corso di quest'anno (ciclo
di lezioni di storia dal titolo "Dal Giolittismo alla Resistenza
antifascista"), la nostra associazione organizza il CONVEGNO-
SEMINARIO dal titolo "I CRIMINI DEL FASCISMO E LA RESISTENZA
ANTIFASCISTA".
Nel corso della serata sarà presentato l'ultimo libro di Giorgio
Bocca "Le mie montagne".
GIORGIO BOCCA, partigiano di Giustizia e Libertà, editorialista de La
Repubblica e de L'Espresso, ha garantito e confermato un suo intervento.
La serata prevede inoltre i seguenti contributi:
Introduzione
GIORGIO RIBOLDI
- studioso di movimenti neofascisti e della destra radicale.
Relazione
SERGIO RICALDONE
- partigiano della Brigata Garibaldi
- dirigente Fronte della Gioventù di Eugenio Curiel (dirigente della
Gioventù comunista assassinato dai fascisti repubblichini a Milano il
28 febbraio 1945)
- membro dell'ANPI di Milano
- attuale componente del Comitato Federale di Milano del Partito
della Rifondazione Comunista.
Relazione
ADELMO CERVI
- figlio di Aldo Cervi ucciso dai fascisti insieme ai suoi sei
fratelli il 28 DICEMBRE 1943 a Formigine (Reggio Emilia)
Presentazione Rivista "Informazione Antifascista"
GABRIELE PROGLIO
- ricercatore storico della resistenza nelle Langhe
Hanno aderito, fra gli altri, al convegno e mandato un saluto che
verrà letto durante la serata:
ASSOCIAZIONE PROMEMORIA di Trieste
MIRIAM PELLEGRINI FERRI - partigiana di Giustizia e Libertà
SPARTACO FERRI - partigiano della Brigata Garibaldi centro Italia
SANDI VOLK ricercatore storico di Trieste, presidente
dell'Associazione Promemoria di Trieste
ALESSANDRA KERSEVAN - ricercatrice storica di Udine, membro
dell'Associazione Resistenza Storica
ARCI FUORI di Reggio Emilia
GIOVANNI PESCE, medaglia d'oro della Resistenza, combattente
antifranchista nella guerra di Spagna, candidato alla nomina di
senatore a vita, autore del libro "Senza tregua", dirigente del PRC.
NORINA BRAMBILLA, staffetta partigiana Brigate Garibaldi, esponente
del PRC
BEBO STORTI, capogruppo del PdCI al Consiglio regionale della
Lombardia, attore da sempre impegnato sul tema dell'antifascismo,
interprete di "Mai morti" di Renato Sarti e "Foibe".
L'Istituto Pedagogico della Resistenza di Milano ci manda gli auguri
per la buona riuscita del convegno
Associazione L'altra Lombardia - SU LA TESTA
Sede nazionale Milano
e-mail : laltralombardia@ laltralombardia.it
telefoni : 339 195 66 69 oppure 338 987 58 98
sito internet www.laltralombardia.it
spesa-militare/spesa-militare.html
Per Esercito, Marina e Aeronautica sono previsti 12 miliardi e 437
milioni. Lettera a Prodi di sedici senatori
Sorpresa tra la selva dei tagli: le spese militari si impennano
Il governo dell'Unione investe in armamenti più della Cdl
di CARLO BONINI
DICONO i numeri che in una Finanziaria che a tutti toglie, c'è una
voce di spesa che sale. Quella militare. Cinque punti percentuali in
più rispetto all'ultima legge di bilancio licenziata dal governo di
centrodestra. 12 miliardi 437 milioni di euro per Esercito, Marina,
Aeronautica. se è vero che il 72 per cento di questa somma andrà a
coprire i "costi del personale" e dunque la spesa corrente per i
salari e il mantenimento dei 193 mila uomini delle nostre forze
armate (sono esclusi i costi delle missioni all'estero, per le quali
è prevista un'ulteriore voce di spesa di 1 miliardo di euro).
E' altrettanto vero che, spalmati nel prossimo triennio, altri 4
miliardi e rotti di euro andranno a finanziare un "Fondo per il
sostegno dell'industria nazionale ad alto contenuto tecnologico".
Dove per alto contenuto tecnologico, si deve leggere "ricerca
militare" e per "industria nazionale" Finmeccanica, azienda per un
terzo di proprietà dello Stato, con un core business che, concentrato
nel settore degli armamenti, è spinto e alimentato da un mercato
domestico in cui opera in regime di sostanziale monopolio.
Nel suo ufficio di Corso Trieste, a Roma, Gianni Alioti, sindacalista
della Fim-Cisl, consumato osservatore dell'industria militare
italiana ed europea, sorride: "Nel paradosso di un governo di
sinistra che investe in armamenti più di quanto non abbia fatto negli
ultimi due anni il governo di destra, mi sembra di intravedere una
forma di tardo keynesismo militare. Per altro non sostenuto dai
fatti. Dire che aumentare gli investimenti in armamenti significa
sostenere contemporaneamente i livelli di occupazione e la ricerca
tecnologica significa dimenticare la lezione di Federico Caffè, che
definiva questo tipo di scelta "liberismo spurio"".
Un dato. Tra il 2000 e il 2005, Finmeccanica ha raddoppiato il
proprio fatturato (da 6,7 a 11,4 miliardi di euro). Nello stesso
periodo, gli occupati sono passati da 41 mila a 56 mila. "Non esiste
alcun andamento proporzionale o quantomeno convergente tra crescita
dei ricavi e aumento dell'occupazione - osserva Alioti - Esiste, al
contrario, una verità comune all'intero mercato europeo e mondiale.
L'industria della Difesa è tale che, inevitabilmente, lo sviluppo
della tecnologia impone una riduzione della manodopera. Guardiamo
quel che è accaduto a La Spezia, un distretto industriale
storicamente dipendente dall'industria militare. In quindici anni,
gli occupati nell'industria degli armamenti sono passati dal 40 al 19
per cento della forza lavoro totale".
Sedici senatori dell'Unione hanno scritto una lettera a Prodi. Si
legge: "Caro Presidente, l'Italia è al settimo posto nel mondo come
spesa militare con ingiustificati acquisti di armamenti come la
portaerei Cavour (quasi 1 miliardo di euro, sistema d'arma esclusi),
dieci nuove fregate (3,5 miliardi di euro), 121 caccia eurofighter
(oltre 6,5 miliardi di euro). Da soli rappresentano l'1 per cento del
nostro Pil. Ti ricordiamo che nel programma di governo dell'Unione,
ci sono tre riferimenti alla necessità di politiche di disarmo
(pagine 90, 91, 109)". Qui, evidentemente, il "keynesismo militare"
non c'entra. Ma qui, la discussione politica interna al governo
appare questione accantonata.
Giovanni Lorenzo Forcieri, 57 anni, diessino di La Spezia, senatore
nelle ultime quattro legislature, è arrivato sei mesi fa a "Palazzo
Marina" come sottosegretario alla Difesa. Dice: "Con questa
Finanziaria non facciamo altro che riportare la spesa militare al
livello del 2004. Prima cioè che il governo di centrodestra tagliasse
di fatto la spesa militare di 2 miliardi e mezzo di euro. Per altro,
a fronte degli investimenti che abbiamo previsto e che servono né più
e ne meno che a coprire impegni di spesa già assunti negli ultimi
anni e dunque ad onorare dei debiti già contratti, la Difesa cederà
al demanio beni per circa 4 miliardi di euro nei prossimi due anni.
Come si vede, dunque, il saldo tra entrate e uscite è in equilibrio.
Con il vantaggio di smobilizzare risorse necessarie a portare avanti
un programma di ammodernamento delle nostre forze armate. E' evidente
infatti che non stiamo parlando soltanto di numeri. Se vogliamo che
l'Italia possa efficacemente svolgere il ruolo internazionale che si
è conquistata in questi anni, non possiamo rinunciare a investire su
una forza armata efficiente e moderna".
L'argomento di Forcieri riproduce come un calco recenti
considerazioni di Pierfrancesco Guarguaglini, amministratore delegato
di Finmeccanica: "Se un governo, indipendentemente dal proprio
orientamento, vuole portare avanti una politica internazionale di un
certo livello, ha bisogno di una componente della Difesa efficiente.
E nel passato erano stati fatti tagli notevoli".
Se il problema non è "se" o "quanto" investire in spesa militare,
resta allora il "come". La qualità delle commesse e la loro urgenza.
Allo Stato Maggiore della Difesa non ne parlano volentieri. Frugando
nella foresta di sigle e numeri che battezza pezzi di artiglieria,
autoblindo, caccia, navi, se ne comprende il perché. Si scopre, ad
esempio, che, nel maggio 2006, la Direzione Generale per gli
Armamenti Terrestri del ministero ha chiuso con la Oto Melara
(Finmeccanica) un accordo di congruità di 310 milioni di euro per la
fornitura di 49 veicoli blindati su ruota ("Vbc", la sigla tecnica.
"Freccia" quella da combattimento) le cui torrette dovranno essere
allestite per sistemi di lancio di missili anticarro di nuova
generazione. Missili "Spike", di fabbricazione israeliana. L'arnese -
spiegano gli addetti - è un costosissimo gioiello tecnologico. Di
tipo "intelligente", "spara e dimentica".
Centomila dollari il pezzo, cinque volte il costo del suo omologo di
fabbricazione americana, il "Tow". Missile attualmente in dotazione
alle forze Nato e al nostro esercito, che ne ha pieni gli arsenali.
Raccontano a palazzo Baracchini che le pressioni dell'Esercito
sull'ex ministro Martino per ottenere questa "meraviglia" della
tecnica considerata troppo costosa persino dall'esercito americano
siano state robuste. Ma ammettono anche che il giochino costerà una
tombola.
Per ovvie economie di scala (costi di manutenzione e pezzi di
ricambio), i 49 veicoli blindati su ruota "Freccia" erano stati
concepiti dalla "Oto Melara" per essere perfettamente fungibili con i
loro "gemelli" cingolati, i "Dardo". Stessi abitacoli, stessa
strumentazione, stesse torrette. Stessi missili anticarro: i "tow".
Con la scelta del missile "spike", addio risparmi. Fabio Mini, ex
comandante della forza Nato in Kosovo, osserva: "Non riesco a capire
che senso abbia dotare di armi anticarro diverse mezzi cingolati e su
ruota, che dovrebbero integrarsi sul campo di battaglia. Così come
non capisco che senso abbia dotare di una tecnologia più avanzata
anticarro un mezzo su ruota che, a rigore di logica, non dovrebbe
affrontare in campo aperto mezzi corazzati". Alla "Oto Melara"
concordano. Ma alla "Oto Melara" sanno anche quel che accadrà.
Completata la fornitura dei "Freccia", i "Dardo", le cui consegne
sono state appena ultimate, torneranno nei cantieri per modificare le
loro torrette di lancio. I soldi non saranno un problema.
Come i 650 milioni di euro già impegnati a bilancio per consegnare ai
nostri Stati maggiori, di qui ai prossimi anni, 72 obici semoventi
fabbricati in Germania e assemblati da "Oto Melara" (Pzh, la sigla
tecnica) con cui difendere le nostre frontiere. Cosa debba farsene il
nostro esercito di un numero così consistente di pezzi di artiglieria
immaginati per conflitti di posizione, per scenari di difesa o offesa
lungo linee di fronte profonde un centinaio di chilometri (questo il
raggio di azione dell'obice), Dio solo lo sa. Meglio, solo l'Esercito
lo sa. Ma - sebbene sollecitato - lo Stato maggiore non ha ritenuto
di dover fornire risposte.
Risposte che invece, prima o poi, la Difesa e il governo saranno
costretti a dare sulla nostra partecipazione al più faraonico dei
progetti che la storia dell'aeronautica civile e militare abbia mai
conosciuto. Un'avventura dall'acronimo inglese, Jsf, "Joint Strike
Fighter", consorzio a guida statunitense per la costruzione del
cacciabombardiere del futuro (le consegne del nuovo aereo, battezzato
"F35-lightning II", dovrebbero cominciare nel 2012). La
partecipazione italiana al progetto (che ha quali ulteriori partner
Inghilterra, Canada, Danimarca, Norvegia, Olanda, Australia e
Turchia) fu una scelta del governo di centrosinistra (1998, premier
D'Alema). Berlusconi, nei suoi cinque anni a Palazzo Chigi, ne decise
i termini economici, fissando la quota del nostro investimento per la
sola "fase di sviluppo" in 1 miliardo 359 milioni di euro.
Cifra a cui l'Italia dovrà ora sommare altri 11 miliardi di dollari
per l'acquisto dei 131 caccia già ordinati da Aeronautica e Marina.
Anche perché la nostra Difesa non ha scommesso e acquistato soltanto
nel consorzio a guida americana, ma ha investito e comprato anche nel
progetto concorrente europeo, "l'Eurofighter Typhoon" (dove l'Italia
è partner di Gran Bretagna, Germania e Spagna). Ce ne verranno altri
121 caccia. Più o meno 7 miliardi di euro.
Ce n'è abbastanza per chiedersi se a decidere della qualità e
dell'entità della nostra spesa militare siano i ministri e il
parlamento. O non invece gli stati maggiori. O, ancora, se a portare
per mano gli uni e gli altri non sia l'industria degli armamenti. Per
dirla con le parole di un addetto del settore, "se in Italia il vero
ministro della difesa sia Parisi o non l'amministratore delegato di
Finmeccanica Guarguaglini". Un fatto è certo. Negli anni, i capi di
Stato maggiore delle nostre tre forze armate hanno tolto l'uniforme
per entrare senza soluzione di continuità nel top management delle
società di Finmeccanica. Una legge dello Stato lo vieterebbe.
Aggirarla è diventata una prassi. E' successo con il generale Mario
Arpino (da capo di stato maggiore della Difesa alla "Vitrociset"),
con l'ammiraglio Guido Venturoni (da capo di stato maggiore della
Difesa alla "Marconi"), con il generale Giulio Fraticelli (da capo di
stato maggiore dell'Esercito alla "Oto Melara"), con il generale
Sandro Ferracuti (da capo di stato maggiore dell'Aeronautica alla
Ams). Gli impegni di spesa con Finmeccanica che questa e le prossime
finanziarie andranno ad onorare portano anche le loro firme. Da
generali, naturalmente.
(14 novembre 2006)
"Communist Manifesto" Illustrated by Disney (and others)
Lun 13 Nov 2006 6:28 pm
Revival nazifascista in Ungheria ed Ucraina
0) In Ucraina il presidente Juschenko riabilita i criminali che hanno
collaborato con il nazismo
Altre opinioni "stonate" sul '56 ungherese:
1) What really happened in Hungary - By Stephen Millies, workers.org
2) U. Tommasi: sui fatti d'Ungheria
3) Qualche anno prima: i massacri delle Croci Frecciate
=== 0 ===
www.resistenze.org - osservatorio - europa - politica e società -
09-11-06
Da www.regnum.ru
1 novembre 2006
In Ucraina il presidente Juschenko riabilita i criminali che hanno
collaborato con il nazismo
Una dichiarazione del Rabbino Capo di Russia si fa interprete dello
sdegno di tutte le coscienze democratiche del mondo
Nel mese di ottobre, il presidente della repubblica di Ucraina,
Viktor Juschenko, che due anni fa, ai tempi della “rivoluzione
arancione”, fu apertamente sostenuto da Stati Uniti ed Europa nel suo
tentativo di assumere il potere con la forza, e venne, a tal fine,
descritto dalla stampa occidentale come “paladino” dei valori di
“libertà e democrazia”, ha deciso – questa volta nell’indifferenza
più completa di quegli stessi paesi e di quella stessa stampa – di
assumere una decisione che suona come offesa alla coscienza
democratica e antifascista di tutti i popoli del mondo.
Per decreto, con l’attribuzione del titolo di “veterani della Seconda
guerra mondiale”, egli ha sancito la riabilitazione ufficiale della
OUN e dell’UIA, vale a dire le organizzazioni politiche e militari
dei nazionalisti ucraini che, schieratesi al fianco delle truppe di
occupazione nazista durante il conflitto, si macchiarono di crimini
di efferatezza inaudita, di cui furono vittime le popolazioni civili
di città e villaggi dell’Ucraina e, in particolare, i cittadini di
religione ebraica che, quando non vennero massacrati senza pietà a
decine di migliaia, furono costretti alla deportazione nei campi di
sterminio nazisti, da cui, in gran parte, non fecero ritorno.
La decisione di Juschenko, che veniva provocatoriamente presa in
corrispondenza con l’abbandono del governo da parte dei ministri del
suo partito, “Nostra Ucraina” (abbandono dovuto in particolare al
conflitto manifestatosi in seguito alla decisione del nuovo
esecutivo, presieduto dal suo avversario storico Viktor Janukovic, di
rallentare i tempi dell’adesione alla NATO, “cavallo di battaglia”
dei “rivoluzionari arancione”), ha immediatamente suscitato un’ondata
di sdegno non solo in Ucraina, dove migliaia di antifascisti e di
veterani della “Grande guerra patriottica” si sono riversati nelle
strade di Kiev e di altre città, ma anche in Russia, dove la reazione
è stata altrettanto vigorosa.
Di particolare rilievo è apparsa la presa di posizione del Rabbino
Capo di Russia, Adolf Shayevich, che ha rilasciato una vibrante
dichiarazione, a nome del “Congresso delle Organizzazioni e delle
Associazioni Ebraiche di Russia”, ripresa dall’agenzia “Regnum”, che
proponiamo nei suoi passaggi più significativi.
L’augurio che esprimiamo è che l’appello alle coscienze antifasciste
di Shayevich venga raccolto anche in Italia, mettendo finalmente la
parola fine a un silenzio che ha tutte le caratteristiche della
complicità e che si accompagna ai vergognosi tentativi di
riabilitazione del fascismo, che da noi sembrano trovare sponde anche
“insospettabili” persino ai vertici dello Stato (la campagna sulle
foibe, la copertura mediatica e persino istituzionale alla
martellante campagna “revisionista” promossa da Pansa, per citare
solo alcuni esempi).
Vogliamo anche sperare che, in vista del vertice della NATO di fine
novembre, che si svolgerà in Lettonia (paese dell’Unione Europea dove
viene praticato l’apartheid nei confronti di oltre un terzo di
cittadini di origine russa e dove in memoria delle SS locali vengono
costruiti monumenti e memoriali), e che avrà tra gli argomenti in
discussione anche quello dei futuri rapporti con l’Ucraina, qualche
rappresentante della “sinistra alternativa” nelle istituzioni
parlamentari vorrà ricordare ai rappresentanti del governo di centro-
sinistra (a cominciare da Prodi) che, in quella occasione, invece di
associarsi all’ “assedio” occidentale della Bielorussia
antimperialista, dovranno farsi interpreti dei valori antifascisti
alla base del nostro assetto istituzionale e, per questa ragione,
denunciare con vigore tutti i rigurgiti fascisti che caratterizzano i
comportamenti di molti paesi dell’Europa orientale entrati, o in
procinto di entrare nell’alleanza militare atlantica.
La provocazione fascista di Juschenko non deve passare inosservata!
La redazione di “Resistenze.org”
“Juschenko riabilita i complici del nazismo”
Dichiarazione di Adolf Shayevich
“L’attribuzione ai membri dell’OUN e ai “combattenti” dell’UIA dello
status di veterani della Seconda Guerra Mondiale significa la
riabilitazione de facto del collaborazionismo e delle crudeli
complicità con i nazisti nelle loro atrocità contro centinaia di
migliaia di persone innocenti di differenti nazionalità.
Russi, Ucraini, Georgiani, Armeni, rappresentanti di tutte le
nazionalità sovietiche hanno sacrificato la propria vita allo scopo
di distruggere la feccia nazista e di salvare il mondo dalla “peste
bruna”. Molti hanno combattuto nei campi di battaglia della Grande
Guerra Patriottica e altri hanno sofferto privazioni nelle retrovie
per aiutare coloro che si trovavano sulla linea del fronte. Non è
possibile nemmeno immaginare di poter paragonare le azioni eroiche
dei soldati che hanno salvato intere nazioni dall’annientamento e
dalla schiavitù alle azioni degli accoliti che hanno preso parte a
massacri ed esecuzioni.
I membri dell’OUN-UIA hanno disonorato il loro nome collaborando con
i fascisti: le loro atrocità hanno provocato la morte di centinaia di
migliaia di persone... Decine di migliaia di Ebrei sono tornati dal
fronte e hanno visto le loro città e villaggi distrutti e le loro
famiglie sterminate. Per loro, per i loro figli e nipoti, per tutti
coloro che ricordano i crimini commessi dai fascisti e da quelli che
li hanno aiutati a massacrare decine di migliaia di Ebrei a Babiy
Yar, e nelle regioni di Rovno, Volyn e Lvov nell’Ucraina occidentale,
questo decreto non rappresenta altro che un insulto, una cinica
provocazione verso la memoria degli assassinati negli anni del disastro.
A suo tempo, il membro del consiglio municipale di Rovno Shkuratuk è
arrivato al punto di affermare: “Sono orgoglioso del fatto che, dei
1.500 partecipanti alle esecuzioni a Babiy Yar, 1.200 erano
poliziotti dell’OUN e solo 300 tedeschi”. Non è forse rivoltante per
gli Ucraini e la loro dignità nazionale assistere ad un tale scatto
di “orgoglio”? Il Tribunale internazionale di Norimberga ha
condannato non solo i nazisti, ma anche i loro complici. Il disprezzo
per le orribili lezioni del passato è la strada verso il baratro.”
Traduzione dall’inglese per resistenze.org a cura del CCDP
=== 1 ===
http://www.workers.org/2006/world/hungary-1116/
50 years ago
What really happened in Hungary
By Stephen Millies
Published Nov 9, 2006 7:46 PM
Why did George W. Bush just send New York Gov. George Pataki to
Budapest to praise the 1956 uprising of the “Hungarian freedom
fighters”?
It’s also the 30th anniversary of the heroic Soweto rebellion, in
which hundreds of African youth were killed fighting apartheid. But
Pataki didn’t go to South Africa.
No capitalist politician commemorates the 1919 Hungarian Soviet
Republic, which was the second socialist revolution following the
victory of the Bolsheviks in Russia.
The Hungarian Soviet Republic lasted 133 days. Allen Dulles, at that
time a young U.S. diplomat, played a role in coordinating the
invasion that drowned it in blood. In the 1950s, after he became CIA
director, Dulles overthrew progressive governments in Guatemala and
Iran.
Admiral Miklós Horthy, a leading player in the overthrow of that
early soviet republic, later became Hungary’s fascist dictator and
allied himself to Hitler. Under fascist rule, over 400,000 Hungarian
Jews were murdered.
During World War II, many Hungarian soldiers who had been press-
ganged to fight against the Soviet Union died during the failed Nazi
attempt to seize the city of Stalingrad.
The Soviet Red Army finally liberated Hungary from fascism at
tremendous cost.
Unlike in Yugoslavia and Albania, the main agent of change in Hungary
was the Soviet Army, not revolutionary forces inside the country. The
country had been devastated. Few communists had survived the decades
of death camps and torture.
Nevertheless, workers took over the factories. Two-thirds of the land
had been owned by 40 families while 3 million peasants didn’t have
any. “Hungary remained one of the last strongholds of feudal or semi-
feudal forms of tenure in Europe up until 1945,” wrote scholar
Alexander Eckstein in August 1949. Peasants chased the landlords off
their huge feudal estates, which were divided up.
Schools were opened to the poor. College enrollment rose 400 percent
by 1955. The number of women students increased five times. Workers
and peasants were guaranteed 60 percent of college seats.
Health care was made free. A campaign against tuberculosis—called the
“Hungarian disease”—saved thousands of lives.
Socialist economic planning made these advances possible. Industrial
production increased by 14 percent per year in the early 1950s, but
from a very low base.
Meantime the “cold war” was intensifying. Pentagon brass were
preparing for a nuclear war against the Soviet Union. They launched a
massive invasion of Korea in 1950.
Despite the Hungarian Communists’ attempts to bring about greater
equality, they were under tremendous pressure.
By the mid 1950s, with an infusion of U.S. capital through the
Marshall Plan, Western Europe was becoming prosperous again. But
Eastern Europe—where the fascist offensive had claimed millions of
lives and destroyed most of the infrastructure—remained poor.
Many collective farms had been established in Hungary, but too
hastily, alienating the peasants, who didn’t have enough tractors to
work large spreads because the industrial base was weak.
Mass discontent in Hungary was fanned by the formerly privileged
classes who had been expropriated. Struggles within the Communist
Party made things worse.
In the background was the extremely influential Catholic Church. This
wasn’t the church of El Salvador’s martyred Archbishop Romero.
Hungarian Cardinal Mindszenty was ideologically far to the right; he
wrote that Darwin should have been burned at the stake.
A “secret speech” by Nikita Khrushchev at the 20th Congress of the
Soviet Communist Party in February 1956 denounced Stalin—but from the
right, seeking an accommodation with the imperialists. It gave a
green light to pro-capitalist elements throughout Eastern Europe.
In October Imre Nagy became Hungary’s premier and opened the door to
reaction—in the same way that Mikhail Gorbachev later did in the USSR.
Workers had grievances in Hungary. But their discontent was misused
in a bloody struggle that was welcomed by Wall Street.
Book burnings of Marxist literature were carried out, just as the
Nazis had done. Red stars were removed from buildings. Socialist
symbols were cut out of the Hungarian flag. And Communists were lynched.
Hungarian workers were told they could keep their socialized
factories and other achievements after they “overthrew communism.”
“Workers’ councils” allowed pro-capitalist parties like the
Smallholders to be brought into the government. Fascist Mindszenty
was released from prison. Hungarian “freedom fighters” called for
U.N. intervention, which, as in Korea, really meant U.S. intervention.
The Soviet Union was compelled to send in troops to stop this counter-
revolution.
The reaction was thrown back. The first job of new Communist leader
János Kádár, who himself had been imprisoned under a previous
Communist regime, was winning back the workers. A workers’ militia
was formed.
After 1956 socialist Hungary advanced economically, but Washington
spent trillions of U.S. workers’ taxes to defeat the socialist bloc,
initiating a terribly costly arms race. They were finally victorious
in 1989-91 throughout Eastern Europe and the Soviet Union.
This was a real tragedy for the world working class and nations
fighting neocolonialism. Cuba and People’s Korea suffered terribly,
losing most of their foreign trade.
While the new ruling class now flaunts its wealth, the workers gained
nothing from these counter-revolutions. Hungary’s unemployment rate
skyrocketed from 1.7 percent in 1990 to 11 percent in 1996. Fifty
thousand Hungarians were made homeless by capitalist “freedom.”
Tuberculosis cases increased 18 percent between 1990 and 1999.
Now current Hungarian Prime Minister Ferenc Gyurcsany is under attack
from even more right-wing forces.
All this shows why it was important to defend the Hungarian workers’
state in 1956 and stop the right wing. The counter-revolutionaries
had masqueraded as friends of the workers, just as Hitler had
disguised his reactionary program as “national socialism.” But in
fact they were totally allied with world imperialism and, as partners
of global monopoly capital, were ready to exploit the workers doubly.
Today Bush may boast about the defeat of the socialist bloc in
Europe. But the rising resistance to U.S. imperialism all over the
globe demonstrates more clearly than any words that the tide is once
again turning in favor of the workers and the national liberation
struggles.
=== 2 ===
Data: Gio 26 Ott 2006 6:50 pm
Da: uberto tommasi
Oggetto: Re: sui fatti d'ungheria
Nessuno parla mai della caccia che, in quei giorni, gli insorti
ungheresi diedero, casa per casa, ai comunisti impiccandone migliaia
agli alberi, come facevano vedere le foto di allora, oggi
opportunamente sparite dai mass-media.
Inoltre sarebbe anche opportuno ricordare che le truppe russe erano
in Ungheria solo perchè dodici/tredici anni prima i fascisti
ungheresi, in terra russa, uccidevano, stupravano, rubavano e
bruciavano abitazioni con le persone dentro. Chi conta oggi quei morti?
Neppure è da affidare al dimenticatoio revisionista la storia di una
nazione che gli ebrei se li raccolse da sola per consegnarli ai nazisti.
Tanto clamore per il 50° della rivolta. Intanto nell'alleata Turchia,
dal 1970 ad oggi quasi un milione di persone passavano per le carceri
e sotto tortura. In Grecia i collonelli entravano nell'università
sparando con i cannoni dei carri armati ed i bambini cileni ed
argentini rubati dai torturatori ancor oggi non hanno trovato i
genitori (Quelli sopravvissuti).
Ed i 650.000 morti, la maggior parte civili, scannati in Irak dagli
americani, anche se vengono uccisi in diretta non vengono celebrati,
mentre la colomba mannara Rice fa lezione d'ipocrisia.
Anni fa ci fu anche chi tentò la riabilitazione di Nerone e scrisse
un libro. Tutto è possibile lo dimostra Pansa. Il potere scrive libri
ed occupa i mass-media, tanto come un tempo incideva lapidi e c'è
sempre chi "...maledice chi va e plaude chi resta"
Tanto avevo da dire Uberto Tommasi
Fonte: http://it.groups.yahoo.com/group/resistenza_partigiana/
=== 3 ===
I massacri delle Croci Frecciate
Nonostante la città fosse oramai assediata il governo delle
Croci Frecciate continuò ad emanare ordini contro gli Ebrei. Szalasi
e i suoi ministri avevano abbandonato la capitale rifugiandosi ad
Occidente ma ancora il 23 dicembre il ministro degli interni Vajna
ordinò che tutti gli Ebrei che si erano in qualche modo nascosti si
presentassero, entro ventiquattro ore, al Consiglio Ebraico per
essere assegnati al ghetto. Accesi da una specie di furore
demenziale le Croci Frecciate cominciarono la loro caccia
all'Ebreo "nascosto" mentre i carri armati sovietici puntavano al
cuore della città. In tale confusione venne arrestato come Ebreo
Asta Nielson cugino del re di Svezia. Il 6 dicembre con un altro
decreto venne ordinato che le strade che erano intitolate a
personaggi di ascendenza ebraica mutassero nome. Le bande armate
delle Croci Frecciate percorrevano la città. Circa cinquanta-
sessanta Ebrei a notte venivano massacrati da queste squadre di
assassini. Dopo aver derubato, torturato e violentato le Croci
Frecciate trascinavano le vittime sino alle rive del Danubio e si
divertivano a legarle a gruppi di tre. Sparavano poi alla testa
della persona al centro e scaraventavano il cadavere e le persone
ancora vive nelle acque gelate del fiume. Il peso della persona
uccisa trascinava a fondo quelle ancora vive. Tra le centinaia di
squadre della morte particolarmente efficiente fu quella guidata da
un monaco cattolico, Andras Kun. La sua banda fece irruzione l'11
gennaio 1945 nell'ospedale ebraico di via Maros provocando una
strage orrenda. Il monaco incitava i suoi a sparare nel "santo nome
di Cristo". Non c'era pietà per nessuno: né donne, né bambini, né
vecchi. I casi di assassinii di massa furono innumerevoli. Il 28
gennaio SS e Croci Frecciate attaccarono l'ospedale di piazza
Bethlen occupandolo per ventiquattro ore. Poi, dopo aver
terrorizzato e derubato pazienti e medici, rapirono ventotto
adolescenti che uccisero due giorni dopo. In questo caos mortale
Szalasi era impegnato a scrivere le proprie memorie e a comunicare
in sedute spiritiche con l'anima di John Campbell, un misterioso
defunto scozzese in contatto - come diceva il Capo delle Croci
Frecciate - con lui. In questa sanguinosa atmosfera popolata da
alienati ed assassini gli sforzi disperati di pochi uomini delle
ambasciate neutrali: Wallenberg, Perlasca, Lutz, monsignor Rotta
salvarono dalla morte migliaia di Ebrei.
Fonte: http://it.groups.yahoo.com/group/resistenza_partigiana/
Da: "fontanof"
Oggetto: In ricordo dei partigiani italiani, sloveni e croati.....
"...Nella notte fra il 24 e 25 novembre del 1944, il battaglione
muggesano "Alma Vivoda" venne a trovarsi al centro di un
rastrellamento tedesco che ha come obiettivo proprio la sua
liquidazione. Le colonne nemiche stringono in un cerchio di fuoco le
compagnie partigiane ed eccetto la terza compagnia il battaglione è
distrutto. Comincia così il calvario dei prigionieri, fra i quali vi
sono Libero Stradi e Mario Sinico, duramente percossi e seviziati
sono costretti a camminare scalzi fino a Capodistria, in testa al
corteo cammina lo studente Nevio Lonza, vicecommissario di
compagnia. Arrivati nella piazza principale di Capodistria i
partigiani sono esposti al ludibrio dei fascisti e dei loro
collaboratori dove subiscono altre sevizie..."
Dopo dieci anni di assenza delle Giunte Comunali precedenti (di
destra) finalmente il Sindaco di Muggia, Nerio Nesladek, ha voluto
ristabilire la tradizione, essere cioè presente, e l'ha fatto con
grande sensibilità e cognizione di causa.
Devo dire che il discorso è stato interrotto molte volte da applausi
sentiti e commossi da parte dei numerosissimi presenti.
fabio
Ps Per chi non conosce queste zone dirò che Kucibreg si trova
nell'Istria croata, ad una decina di Km da Capodistria.
Kucibreg, 5 novembre 2006
Sono onorato, molto onorato, di essere qui oggi, come Sindaco, per
rappresentare tutta la mia città, Muggia, in questo importante
incontro.
Per ben dieci anni, pur essendo stata sempre invitate, le due
precedenti amministrazioni di destra della mia città, con un'unica
eccezione, hanno regolarmente ignorato questa manifestazione.
Così facendo, non solo è stato spezzato un solido legame tra la mia
gente e questi luoghi, ma è stata anche offesa la memoria dei nostri
concittadini caduti.
Sono stati calpestati i sentimenti di chi è sopravvissuto e di tutti
coloro che non hanno dimenticato in tutti questi anni.
Sono stati ignorati, infine, i valori su cui poggia la nostra stessa
Repubblica.
In verità, anche se sono mancati i rappresentanti ufficiali, la
città di Muggia invece è sempre stata presente: con la sua
Associazione dei partigiani, con i suoi partiti democratici ed
antifascisti, con i molti consiglieri comunali e con i tanti,
tantissimi cittadini qui presenti ogni anno.
Oggi commemoriamo un importantissimo fatto d'armi della lotta di
liberazione dalla tirannia nazifascista: qui, 62 anni fa, sono
caduti tanti partigiani croati, sloveni ed italiani.
Essi sono morti semplicemente per darci la libertà di cui oggi noi
tutti godiamo.
La città di Muggia ha versato un pesante contributo di sangue in
questa battaglia cui ha partecipato con il suo battaglione
partigiano, che portava il nome di Alma Vivoda, la prima partigiana
italiana caduta per gli ideali antifascisti, ancora nel 1943.
In questo luogo invece caddero sul campo 7 partigiani muggesani e
ben 22 morirono successivamente nei campi di concentramento nazisti.
Grande, quindi, è il significato di questo monumento attorno al
quale, di anno in anno, ci ritroviamo per commemorare coloro che qui
sono caduti.
Rendiamo così un doveroso omaggio alla loro memoria, ma sopratttutto
ricordiamo, specialmente alle giovani generazioni, il grande valore
della battaglia di Kucibreg: qui hanno combattuto e sono caduti
tanti giovani di lingua, cultura e tradizioni diverse, uniti però da
un comune, grande ideale: quello della libertà, della pace e
dell'amicizia tra i popoli.
Questi combattenti infatti rappresentavano tutte le etnie che, da
secoli, su queste terre, in questa nostra Istria, hanno
pacificamente convissuto.
Pacificamente convissuto anche quando la durissima politica di
snazionalizzazione messa in atto dal fascismo ha cercato di mettere
questi popoli l'un contro l'altro, togliendo ai croati e agli
sloveni ogni diritto alla propria lingua e alla propria cultura.
Ecco, Kucibreg, la battaglia, l'eroismo, il sacrificio: queste sono
state forti ed inequivocabili risposte a quella politica.
Qui tre popoli, hanno avuto l'orgoglio, assieme, di levare la
testa e prendere le armi contro il sopruso e la sopraffazione. Qui
assieme hanno combattuto contro un nemico che, in quei giorni, era
ancora convinto di essere invincibile.
Molto si va parlando in questi tempi di pacificazione, della
necessità che i capi delle tre repubbliche di Croazia, Slovenia ed
Italia si incontrino e assieme rendano omaggio ai luoghi della
memoria.
Ebbene, i popoli di queste terre, per questa pacificazione, forse
non hanno bisogno di aspettare questi incontri, spesso solo formali:
la pacificazione l'hanno compiuta già allora, combattendo assieme
per la libertà, la democrazia e il progresso sociale.
E non solo qui, in questo o in altri luoghi dell'Istria: essi
avevano già cominciato molti anni prima, assieme in terra di Spagna,
per difendere quella Repubblica dall'attacco fascista.
Non mi stancherò di ripetere che è per me un grande onore, io che
faccio parte della generazione che è venuta dopo, rappresentare in
questo luogo la mia città.
Muggia decorata al valor Militare per attività partigiana, Muggia
che vanta due medaglie d'oro per il contributo di lotta dato dai
suoi partigiani e da grandi dirigenti politici del calibro di Natale
Colarich e Luigi Frausin.
Muggia che nella lotta di liberazione ha dato duecento caduti.
Muggia che ha visto morire altri cento suoi figli per causa della
guerra, in casa, sui campi di battaglia, sul mare.
Per colpa di una guerra voluta dai fascisti, non certamente dalla
nostra pacifica e operosa popolazione.
Essere qui oggi è un dovere e questa manifestazione in onore di
coloro che hanno dato la loro vita per la nostra libertà non è (e
non può essere) un puro atto di formale ricordo: deve essere invece
una testimonianza dell'impegno che ci assumiamo di non dimenticare e
di portare avanti quelle idee per le quali tanti giovani sono caduti.
Libertà, pace, amicizia, in antitesi alla dittatura, la guerra, la
superiorità della razza: non dobbiamo stancarci di ripeterlo.
Sappiamo che non c'è futuro senza la memoria.
E sappiamo anche che chi non ha memoria del passato è condannato a
ripeterlo. (...)
(Fonte: resistenza_partigiana @yahoogroups.com )