Informazione
Ossezia, Transnistria, Montenegro, Kosovo
1) Ossétie, Monténégro: deux standards differents pour les
imperialistes OTAN !
2) Giulietto Chiesa sui "due pesi e due misure" adottati dal
Parlamento Europeo
=== 1 ===
Déclaration du Secrétaire général sur le "référendum" et "l'élection
présidentielle" en Ossétie du Sud/région de Tskhinvali (Géorgie)
http://www.nato.int/docu/pr/2006/p06-142f.htm
Au nom de l'OTAN, je me joins aux autres dirigeants internationaux
pour rejeter le prétendu "référendum" et la prétendue "élection"
conduits en Ossétie du Sud/région de Tskhinvali (Géorgie). Les
actions de ce type ont pour seul but d'exacerber les tensions dans le
Sud-Caucase. La communauté internationale, dont l'OTAN, a réaffirmé
avec force et de façon continue qu'elle soutient l'intégrité
territoriale de la Géorgie. J'appelle toutes les parties à agir de
bonne foi et à conduire des négociations dans le but de parvenir à un
règlement politique. Trouver une solution pacifique est la seule
manière d'instaurer la paix et la stabilité à long terme dans le Sud-
Caucase.
Petit rappel, du 22 mai 2006
Déclaration du Secrétaire général de l'OTAN
au sujet du référendum au Monténégro
Au nom de l'OTAN, je félicite les autorités et la population du
Monténégro pour la tenue, dans des conditions régulières, d'un
référendum libre et équitable. L'OSCE a conclu que le résultat de
cette consultation est le reflet de la volonté de la population,
conformément aux principes directeurs agréés pour le référendum.
Compte tenu de cette évaluation et au vu de la forte participation
électorale, qui donne une véritable légitimité à cette consultation,
l'OTAN reconnaît les résultats du référendum.
L'OTAN invite tous les partis politiques et les citoyens à respecter
le résultat du référendum. Les gouvernements de Belgrade et de
Podgorica doivent maintenant examiner les nombreuses questions
bilatérales auxquelles ils devront trouver une solution. L'Alliance
compte bien maintenir de bonnes relations avec les deux gouvernements.
Source : http://fr.groups.yahoo.com/group/alerte_otan/messages
Liste gérée par des membres du Comité de Surveillance OTAN
=== 2 ===
Giulietto Chiesa su Ossezia e Transnistria
Segnalato da: Mauro Gemma
Approvate risoluzioni su Ossezia e Transnistria - 26-10-06
Strasburgo, 26 ottobre 2006
Il Parlamento europeo ha approvato oggi, a grande maggioranza, due
risoluzioni: una sull' Ossezia del sud (Georgia) l'altra sulla
Transnistria (Moldavia). I due testi approvati dalla Plenaria sono il
frutto della negoziazione tra i diversi Gruppi politici, i quali,
precedentemente, hanno elaborato la propria posizione attraverso un
dibattito tra i propri membri. Qui di seguito il contributo di
Giulietto Chiesa alla discussione su Ossezia e Transnistria svoltasi
all'interno del Partito Socialista Europeo.
Cari amici,
leggo la vostra proposta di risoluzione su Transdnistria e Ossetia e
vi scrivo per manifestarvi il mio diverso parere.
Nel mio intervento alla riunione del gruppo avevo già manifestato
opinioni sostanzialmente differenti rispetto a quelle che in questa
risoluzione sono contenute. Ribadisco qui le mie opinioni.
In primo luogo ritengo che il contenuto e il tono di una tale presa
di posizione siano tali da produrre un risultato opposto a quello che
credo ci stiamo proponendo. Se l'obiettivo è quello di raggiungere
soluzioni pacifiche e negoziate, allora questo tipo di argomentazione
non solo è tale da produrre una reazione di rigetto, ma soprattutto
quello di rendere impossibile una qualunque posizione mediatrice
dell'Europa. Essendo evidente che non può fare da mediatore chi si
schiera da una parte contro l'altra.
In secondo luogo rilevo che l'intera argomentazione, parola per
parola, che viene usata per destituire di ogni fondamento il
referendum della Transdnistria, potrebbe, a stretto rigore dei
termini, essere usata a proposito delle elezioni in Russia, di tutte
le elezioni in Russia che si sono tenute a partire dal gennaio 1992
fino ad oggi. Purtroppo noi, e l'Europa, non abbiamo mai detto queste
cose alla Russia e, anzi, abbiamo sonoramente applaudito tutte le
elezioni dell'era Eltsin e anche le prime dell'era Putin. Ora, alla
luce di questo record, risulta difficile pensare che una nostra così
drastica posizione contro Tiraspol sia giustificabile, se non
adottando la ben nota pratica dei "due pesi e due misure", cioè uno
per i nostri amici e l'altro per i nostri nemici. Io vorrei solo far
rilevare che è proprio questa pratica, da molti anni adottata
dall'Europa, è quella che ci ha largamente screditato di fronte a
ampi, maggioritari settori dell'opinione pubblica russa, cioè non
solo dei dirigenti, ma della gente in generale.
Inoltre, in un caso come nell'altro, in Transdnistria come in
Ossetia, siamo di fronte a popolazioni essenzialmente (in larga
maggioranza sicuramente) di lingua russa e, nel caso della
Transdnistria di etnia russa, che compattamente vogliono ritornare
sotto il governo russo, cioè sotto la protezione russa. Per quanto si
possa affermare che i due referendum siano stati e saranno
manipolati, dovrebbe essere chiaro a tutti noi (se non vogliamo
mettere la testa sotto la sabbia) che proprio quella è la realtà
della volontà popolare. Così come lo sarebbe quella del Nagorno
Karabakh nel chiedere l'annessione formale all'Armenia se si dovesse
giungere a un referendum.
Esiste ancora il principio dell'autodeterminazione dei popoli, che
non è stato abolito e che noi europei ci apprestiamo ad applicare nel
caso del Kosovo. Non si vede perchè dovremmo escluderlo nel caso
dell'Ossetia del Sud e della Transdnistria. Tanto più che, in nessuno
dei due casi, siamo di fronte a una tremenda pulizia etnica quale
quella che le popolazioni albanesi del Kosovo stanno commettendo nei
confronti della minoranza serba.
Ciò vale particolarmente per l'Ossetia del Sud. Ciò che è accaduto in
Georgia, dopo l'indipendenza, durante il regime di Zviad
Gamsakhurdia, lo sterminio cui la popolazione osseta è stata
sottoposta e di cui sono stato testimone diretto, escludono
categoricamente ogni possibilità di un ritorno di quella piccola
popolazione sotto controllo georgiano. Quali che siano le motivazioni
che si vogliono utilizzare, le critiche nei confronti della Russia
(di Eltsin e di Putin), è un fatto inammissibile quello di spingere
gli osseti a ritornare alla situazione precedente. La gente di
Transdinistria, di Ossetia, ha visto e ben compreso, in questi anni,
quale è la sorte delle popolazioni di lingua russa che rimangono
tagliate fuori dalla madrepatria: quale che sia l'azione
propagandistica di Mosca nei loro riguardi, si deve tenere conto che
la gente non è così cieca come talvolta amiamo raccontarci. Sanno
assai bene che l'Europa è più ricca e più democratica, ma i legami
storici e le paure attuali sono molto più forti delle lontane
aspettative. Il fatto che preferiscano installarsi in un sistema
autoritario piuttosto che nella libera Europa, in un lontano futuro,
dovrebbe farci riflettere invece che condurci a lanciare anatemi nei
loro confronti.
Ritengo dunque un errore, anzi un grave errore, procedere su una tale
linea, che non solo non è motivata e motivabile secondo criteri di
giustizia, ma che è insostenibile giuridicamente e che, infine,
recherà pregiudizio ai rapporti tra Russia ed Europa e agl'interessi
europei più in generale.
Ricevete i miei rispettosi saluti,
Giulietto Chiesa
La condanna di Saddam un grave errore
Con l'Iraq pronto ad infiammarsi
Il processo senza giustizia con un verdetto farsa
Justice is impossible under occupation
Workers World statement on the verdict against Saddam Hussein
The U.S.-machinated “trial” and the Nov. 5 guilty verdict and death sentence against Iraqi President Saddam Hussein and two of his colleagues are nothing more nor less than a continued attack on the people of Iraq and all the peoples of the region threatened by U.S. imperialism. No good for the people can come from a U.S.-dictated punishment of the Iraqi president. The “trial” is a frontal attack by the conquering power on Iraqi sovereignty at a time when the 2003 U.S. conquest of Iraq is collapsing under the determined assault of Iraqi resistance fighters.
The whole conduct of the Baghdad kangaroo court was intended to justify the completely illegal and aggressive U.S.-British assault on Iraq in 2003 and their subsequent seizure of the Iraqi people’s resources, especially Iraq's oil and natural gas reserves. No one should be deceived that it has anything to do with the charges in the indictment against the Ba’athist leaders. With Washington responsible for the deaths of over 2 million Iraqis during 16 years of wars and sanctions, it should be apparent to all that the verdict has nothing to do with U.S. concern for the Iraqi people.
Even if the trial had been conducted in an impeccably fair manner in all its details, the court and the charges could not stand up as legitimate. But its conduct was far from fair. There is no legal basis for such a trial under the Geneva Conventions. The acts the prisoners were charged with did not take place as acts of war.
Three defense lawyers were among nine people associated with the trial who were assassinated. Another defense lawyer was wounded. A judge was replaced when others decided he was too soft on Saddam Hussein and gave him too much opportunity to speak in court.
Even Malcolm Smart, director of Amnesty International’s Middle East and North Africa Program and no friend of Hussein, said of the verdict, “We don't consider it was a fair process. The court was not impartial. There were not adequate steps taken to protect the security of defense lawyers and witnesses...."
Given the obvious bias of the court, the verdict was no surprise. Nor was its timing, as the administration of President George W. Bush is presenting this news as a victory for the occupation forces and for his Iraq policy.
The timing of the verdict shows the utter subservience of the court to the most minute demands of imperialism. The timing alone should disqualify the verdict, inasmuch as it is prima facie evidence that the proceeding was closely coordinated with Bush, showing the dominant political role of Washington. It demonstrates the impossibility of there being any judicial validity behind the sentence. If Bush dictated the timing, it must be presumed that he also had a hand in the verdict.
Bush has already welcomed the verdict as a “milestone in the Iraqi people’s efforts.” He says this when the disastrous Iraq war and occupation has become a millstone around the neck of the Republican Party in its attempt to maintain control of the Congress in the midterm elections.
It should also be clear that this verdict has nothing to do with evaluating Saddam Hussein’s historic role. An extensive Workers World Party statement at the time of Hussein’s capture in December 2003 evaluated his often contradictory historic role and especially the negative impact of his government’s decision to “wage a reactionary bourgeois war of conquest against Iran.” (workers.org/ww/2004/hussein1225.php) The U.S. took advantage of that war in the 1980s to the detriment of both Iran and Iraq. At this time, too, none of the forces struggling against imperialism for sovereignty and self-determination in the Gulf region can gain from the U.S.-imposed verdict against Saddam Hussein.
While the verdict’s impact on the Iraq occupation and on the U.S. elections is still a question, there is no doubt that anyone who opposes the U.S. war on the people of the Middle East should also stand up and protest Washington’s criminal attempt to impose an illegal verdict against an individual who represented the sovereign state that U.S. imperialism is attempting to conquer.
The verdict will bring no justice to Iraq. As Workers World said in its Dec. 25, 2003, statement, “Justice for the Iraqi people will begin on the day that the war criminals in Washington are put on trial.”
Workers World, Nov. 5, 2006
posted by Sherif El Sebaie at 12:40 PM
Saluti da Saddam
Anche se con un po' di ritardo, ci tenevo a far giungere ai lettori di questo blog il messaggio inviato dall'ex-Presidente Saddam Hussein. No, non sto scherzando.
Alcuni giorni fa, in effetti, ho avuto l'onore di essere uno dei relatori invitati a parlare de "Il Processo a Saddam Hussein", argomento a cui è stato dedicato uno degli appuntamenti più in vista dell'edizione 2006 di Festival Storia. Il Festival, ideato e diretto dal professor Angelo d’Orsi, docente di Storia del Pensiero Politico Contemporaneo presso l'Università degli Studi di Torino, nasce con l’obiettivo di realizzare una rassegna internazionale di public history: quattro giorni di iniziative diversificate, rivolte a un ampio pubblico, nelle quali trasmissione della conoscenza e capacità di intrattenimento siano sempre contraddistinte da un rigoroso scrupolo scientifico. In effetti la manifestazione si avvale di un Comitato Scientifico internazionale di tutto rispetto, attualmente composto dagli storici Aldo Agosti (Università di Torino), Luciano Canfora (Università di Bari), Paola Carucci (Università “La Sapienza” di Roma), Victoria de Grazia (Columbia University, New York), Giuseppe Galasso (Università “Federico II” di Napoli), Gilles Pécout (École Normale Supérieure di Parigi), José Enrique Ruiz-Doménec (Universidad Autónoma de Barcelona), Giuseppe Sergi (Università di Torino), Françoise Waquet (Centre National de la Recherche Scientifique, Parigi).
Il tema della II Edizione era "Il processo nei secoli", al quale si è voluto premettere, a mo’ di titolo, “Imputato, alzatevi!”, una frase canonica tante volte letta o udita nei gialli degli scorsi decenni. Il Festival ha quindi proposto una ricca selezione di processi, dall'antichità ai nostri giorni: processi che hanno avuto un peso dal punto di vista dei cambiamenti di costume, processi emblematici – a carattere politico, religioso, di opinion – che hanno svolto un ruolo importante, su diversi piani (istituzionale, giudiziario, sociale…) nelle diverse epoche in cui si sono celebrati, segnando cesure, ponendo problemi alla coscienza dei contemporanei. Il primo era quello a Gesù Cristo, di cui si è parlato con Giovanni Filoramo, Padre Samir Khalil Samir, Ermis Segatti, Giorgio Bouchard, Rav Alberto Moshe Somekh, Ida Zatelli, Habib Tengour, Gustavo Zagrebelsky e Carlo Augusto Viano. Poi, fra gli altri, si è parlato anche del processo a Luigi XIV, di quello mancato a Napoleone Bonaparte, Norimberga, Eichmann, i processi dell'inquisizione, alla mafia, quelli finanziari ecc ecc. Tra i numerosissimi ospiti invitati a parlarne anche Marco Travaglio, Peter Gomez e Mario Almerighi. Insomma, c'era veramente l'imbarazzo della scelta. Uno degli appuntamenti conclusivi, infine, era quello dedicato appunto a Saddam Hussein. Se n'è parlato con Claudio Moffa, docente di Diritto e Storia dell'Africa e dell'Asia e direttore del Master Enrico Mattei in Medio Oriente (Università di Teramo), Augusto Sinagra, docente di Diritto delle Comunità europee e internazionale (Università di Roma "La Sapienza"), il sottoscritto e Ziad Najdawi, membro del consiglio difensivo di Saddam Hussein, che ha portato un messaggio da parte del presidente deposto. In particolare, Saddam Hussein, "ogni volta che sente di un soldato italiano ferito o caduto vittima di un attacco in Iraq, si sente profondamente addolorato" e "ringrazia il popolo italiano per aver esercitato pressione sul proprio governo per indurlo a ritirare le sue forze dal territorio dell'Iraq, che ha sempre intrattenuto con l'Italia proficui e costruttivi rapporti di amicizia".
Quello che è emerso, unanimamente, dal dibattito moderato da Mimmo Càndito, inviato de “La Stampa”, docente di Giornalismo presso l'Università di Genova nonché presidente italiano di “Reporter senza frontiere” di fronte ad un teatro incredibilmente gremito fino a Mezzanotte passata, è che il processo a Saddam è sostanzialmente una montatura statunitense destinata a distogliere l'attenzione dall'illegalità della guerra, dalle menzogne raccontate per giustificarla e dall'attuale disastro militare da cui l'amministrazione statunitense non sa come uscire. La Risoluzione 1511 del Consiglio di Sicurezza nelle Nazioni unite del 16 Ottobre 2003, che ha legalizzato la presenza delle forza d’occupazione in Iraq non ha cancellato a posteriori - e non avrebbe comunque potuto farlo - la lesione del diritto internazionale di cui si sono resi responsabili gli Stati Uniti e i loro alleati. Il tribunale istituito per processare Saddam è quindi illegale per tutta una serie di motivi: 1) è stato istituito dalle forze occupanti 2) non offre le minime garanzie di imparzialità verso l’accusato e di autonomia nei confronti dell'occupante 3) sono assenti le norme di diritto positivo iracheno sulla base delle quali giudicare i crimini del presidente deposto 4) il Tribunale applica pene non previste dall'ordinamento penale nel momento in cui i comportamenti (successivamente considerati illeciti) sono stati tenuti 5) la concessione ai giudici di una discrezionalità così ampia da attribuire loro un vero e proprio potere normativo... e tutta una serie di altri accorgimenti legali che dimostrano che quello è un tribunale che processa un imputato la cui condanna è stata già scritta, a prescindere, sulla base di una volontà politica che non è nemmeno quella degli iracheni. Questa è l'opinione che deve trarre chiunque si trovi ad affrontare l'argomento in buona fede, ovviamente. Non è quindi casuale che Angelo D'Orsi, direttore del Festival, abbia voluto sottolineare su L'Espresso che "D'altra parte, al Festival della Storia è invitato chi è ritenuto un interlocutore competente". Forse proprio per questo motivo non ho visto Magdi Allam in giro. Ma che i suoi fan non si preoccupino: ho provveduto a segnalare al pubblico, con dovizia di particolari, l'interessantissimo..ehm.. "
Neofascisti, una storia taciuta
Nel Dopoguerra Capi della decima Mas reclutati per addestrare reparti
israeliani
La nascita del Msi fu favorita dai servizi segreti americani
Esce oggi dal Mulino un documentato libro sul neofascismo in Italia a
cura dello storico Giuseppe Parlato. Un volume ricco sul piano della
ricerca (materiali anche inediti, tratti dagli archivi americani e
dagli archivi privati dei protagonisti, oltre che carte riservate del
ministero degli Interni), ma che non mancherà di suscitare
discussione sia per alcune interpretazioni, sia per l´intonazione
complessiva, che pare ispirata da un sostanziale superamento della
bussola antifascista. Fascisti senza Mussolini - questo il titolo,
con il sottotitolo: Le origini del neofascismo in Italia 1943-1948 -
esce a ridosso del sessantesimo anniversario del Movimento Sociale
Italiano, fondato a Roma il 26 dicembre del 1946. Parlato ne rovescia
la tradizionale lettura d´un partito meramente nostalgico,
lumeggiando i rapporti con gli Usa in funzione anticomunista. Un
´estesa trama di contatti - quelli tra neofascisti e amministrazione
americana - che risale a prima della fine della guerra, grazie al
lavoro di tessitura di alcuni fascisti clandestini al Sud, oltre che
di Borghese e Romualdi, con ambienti dei servizi segreti
statunitensi. Non mancano pagine sorprendenti, specie sul
reclutamento nell´immediato dopoguerra degli uomini della Decima Mas
(tra le più zelanti nel difendere il Führer dell´Olocausto) come
addestratori dei reparti d´assalto israeliani. L´autore di Fascisti
senza Mussolini è un allievo di Renzo De Felice, insegna Storia
contemporanea alla Libera Università San Pio V di Roma, presso la
quale ricopre la carica di Rettore. È anche vicepresidente della
Fondazione Ugo Spirito.
Professor Parlato, lei riconduce le origini del Movimento Sociale al
fascismo clandestino operante tra il 1943 e il 1945 nel Sud dell
´Italia liberata.
«Sì, da lì discendono una serie di legami che consentono di leggere
la nascita del Msi in modo totalmente diverso: non un movimento di
reduci, ma una forza atlantica e nazionale nel quadro della Guerra
fredda. Tra i personaggi-chiave della tessitura segreta negli anni
della guerra spicca il principe Valerio Pignatelli della Cerchiara,
un irrequieto e romantico personaggio mandato nel Sud per organizzare
i gruppi fascisti. Le carte che ho consultato nei Nara, i National
Archives and Records Administration, mostrano i contatti del nobile
calabrese, che di fatto era il capo del fascismo clandestino, e
soprattutto della sua influente moglie con ambienti dell´Oss, che
facevano capo ad Angleton».
Quali episodi le paiono rivelatori?
«Nell´aprile del 1944 la principessa Pignatelli - che aveva
collaborato con il marito nella creazione di una vasta rete
clandestina tra Calabria, Campania, Puglia e Sicilia - attraversò l
´Italia scortata da agenti dell´Oss. Ora appare sconcertante che in
piena guerra la moglie di uno dei capi riconosciuti del fascismo
clandestino meridionale potesse tranquillamente varcare le linee,
attesa dai tedeschi e poi da Mussolini, e più tardi tornarsene a
Napoli con l´appoggio logistico e morale dell´Oss».
C´è anche il particolare del figlio.
«A Roma nello stesso periodo operava Emanuele De Seta, figlio della
principessa e collaboratore di Peter Tompkins, agente segreto
americano in Italia. In seguito Valerio Pignatelli si sarebbe
guardato bene dal parlare del coinvolgimento dei servizi. E in campo
neofascista questa ipotesi della collaborazione con il nemico storico
è sempre stata rigettata con veemenza».
Anche Valerio Junio Borghese, capo della Decima Mas, andava tessendo
rapporti con i servizi statunitensi.
«Sì, in quel caso il tramite fu l´ammiraglio Agostino Calosi,
responsabile dell´Ufficio Informazioni della Regia Marina del Sud. L
´attenzione degli americani per la Decima Mas fu notevole. Basti
pensare che il 26 aprile del 1945 Borghese riuscì a rifugiarsi a casa
di amici, per poi essere messo in salvo dallo stesso Angleton, che
andò a prenderselo a Milano. I documenti americani non dicono quando
esattamente cominciarono i primi contatti sotterranei, probabilmente
alla fine del 1944. È evidente che anticiparono d´un paio d´anni la
guerra fredda».
Meno conosciuto, in questa trama segreta, è il ruolo di Pino Romualdi.
«Sin dall´autunno del 1944 Romualdi, che era vicesegretario del
Partito Fascista Repubblicano, entrò in contatto con l´Oss attraverso
il suo segretario, l´ingegner Nadotti. Fu grazie a queste relazioni
che il 27 aprile del 1945 riuscì a scampare alla fucilazione. Ma non
furono contatti finalizzati alla salvezza personale. Sia Romualdi,
sia Borghese e i fascisti clandestini di Pignatelli si ponevano il
problema del "dopo", creando le basi del futuro Movimento Sociale».
Ma gli americani se ne fidavano?
«Quando nel 1946 Nino Buttazzoni, altro capo riconosciuto della
Decima Mas, tenta di sottolineare presso gli Alleati la potenzialità
anticomunista dei neofascisti, l´agente informatore che redige il
rapporto si mostra disponibile al progetto. Però attenzione alle
semplificazioni. I servizi americani non erano omogenei. In molte
note informative la destra neofascista è vista con timore e
perplessità. Se ci furono aperture e spiragli, fu per la paura del
pericolo comunista: questo era molto avvertito negli ambienti vicini
ad Angleton».
Lei scrive che il reclutamento dei neofascisti iniziò prestissimo, all
´indomani della Liberazione: sia da parte della Dc che del Pci.
«Il proselitismo cominciò nei campi di concentramento, circa
centodieci, dove furono rinchiusi i fascisti. A Terni, al principio
del 1946, durante la visita del vescovo agli internati, si fece
capire ai fascisti che, se avessero voluto uscire presto, l
´iscrizione alla Dc non sarebbe stata inopportuna».
Anche la Chiesa, lei documenta, ebbe un ruolo nell´ordito di rapporti
che darà poi origine al Msi.
«Molti fascisti latitanti, tra cui reduci di Salò, trovarono riparo
presso il Seminario maggiore al Laterano, lo stesso che durante l
´occupazione tedesca aveva ospitato De Gasperi, Nenni e Saragat.
Figure come quelle di Giorgio Pini e Giorgio Almirante ebbero lavoro
presso istituzioni ecclesiastiche. Roma si presentava come "una
mammona sensibile e accogliente", così la raccontano i testimoni».
Lei insiste anche sulla campagna di reclutamento ad opera del Pci.
«Ha raccontato Sandro Curzi che nel campo di reclusione di Coltano ci
andava anche lui, insieme ad altri suoi compagni: la direttiva del
partito era conquistare gli internati alla causa comunista. Già
durante la guerra, alla fine del 1941, dai microfoni di radio Milano
Libertà Togliatti s´era rivolto a chi aveva creduto nel fascismo.
Dopo la fine della guerra fu Pajetta ad aprire per primo la strada al
recupero, con una serie di interventi sull´Unità».
Quest´apertura è nota, come l´appello di Togliatti ai fratelli in
camicia nera. Lei però va oltre, sostenendo che l´idea di Togliatti
era quella di travasare nel Pci l´intera classe dirigente fascista.
«Naturalmente è una mia interpretazione, e come tale può essere
discussa. D´altra parte analogo processo era avvenuto sul piano
sindacale: la Cgil ereditò dirigenti e struttura organizzativa del
sindacato fascista. Ma il progetto di Togliatti era ancora più
ambizioso: annettere al partito la spina dorsale dell´amministrazione
che aveva operato sotto il fascismo. L´amnistia e l´affossamento dell
´epurazione vanno visti in questa chiave».
Sempre secondo la sua ricostruzione, la Dc comprese l´operazione.
«Intanto Togliatti non si aspettava che i rapporti tra fascisti e
servizi segreti americani fossero così intensi. E poi i democristiani
smontarono il piano di Togliatti, opponendovi subito una contromossa:
intanto la reimmissione nello Stato dei funzionari e degli impiegati
già epurati, successivamente la "non opposizione" alla costituzione
di un unico movimento neofascista, legale, strutturato, e in grado di
partecipare alle elezioni. In questo modo De Gasperi riuscì a
sventare la campagna comunista di conquista dei fascisti».
Fu grazie al referendum del 1946 che Romualdi acquistò un ruolo
politico.
«Si trattò in realtà di una beffa, che però gli riuscì. Promise sia
ai monarchici che ai repubblicani la neutralità dei neofascisti in
cambio della promessa dell´amnistia. Va detto che intanto lavorava
sotterraneamente per far arrivare al governo la minaccia d´una
possibile azione eversiva. Infatti i verbali del consiglio dei
ministri, prima e dopo il referendum, ci mostrano tutta la
preoccupazione per un possibile golpe da parte della Corona con l
´aiuto della manovalanza fascista».
Un dettaglio non secondario è che Romualdi era latitante, condannato
a morte in contumacia da una straordinaria Corte d´Assise.
«Ma non mancarono incontri segreti con esponenti dei vari partiti,
dal Psi alla Dc, che schierò alcuni dirigenti molto vicini a De
Gasperi. Colloqui che si intensificheranno in vista dell´amnistia.
Con il falso nome di Dottor Rossi, Romualdi andò a parlare con Ivanoe
Bonomi nell´appartamento privato dei nipoti, in piazza della Libertà,
a Roma. Probabilmente l´ex capo del governo non realizzò con chi
stesse parlando, ma accettò di porre fine alla legislazione
straordinaria contro i fascisti e di favorire l´amnistia».
Una pagina sorprendente è quella sui rapporti tra Decima Mas e Israele.
«Fu Ada Sereni, nel giugno del 1946, a rivolgersi all´ammiraglio
Calosi perché le indicasse elementi fidati che da un lato potessero
condurre le imbarcazioni dirette in Israele, dall´altro fossero in
grado di addestrare alla guerriglia le formazioni militari degli
ebrei palestinesi presenti in Italia: questo in vista dell
´inevitabile scontro con gli inglesi, decisi ad opporsi allo sbarco
degli ebrei in Palestina. Calosi le indicò uomini della Decima Mas,
che furono reclutati a tale scopo. Due anni più tardi sarà Fiorenzo
Capriotti ad accettare l´incarico di trasferirsi in Israele per
addestrare unità specializzate della neonata marina. Diventerà in
brevissimo tempo uno dei più apprezzati consiglieri militari».
Secondo la sua ricostruzione l´attentato all´ambasciata britannica,
nell´ottobre del 1946, fu il risultato della collaborazione tra
fascisti e destra sionista.
«Sì, Romualdi confessò che c´era anche il loro zampino».
Professore, posso muoverle un´obiezione? Lei dà una ricostruzione
molto dettagliata del neofascismo, ma un ragazzo che non sappia cos´è
stato il fascismo non coglie minimamente la drammaticità della
dittatura e della Repubblica di Salò. Molti dei personaggi dei quali
lei tratta furono responsabili di violenze o comunque conniventi con
un regime oppressivo e persecutore. L´ideologia nera lascerà poi una
traccia nella storia d´Italia, fino alla stagione delle stragi.
«Penso che il compito d´uno storico sia ricostruire le vicende nella
loro fattualità, soprattutto se di quel periodo è stato scritto
finora molto poco. Non credo che debbano intervenire giudizi di
carattere etico. Se entro in un´ottica morale, se faccio l´errore di
avvertire il lettore "guarda, sono dei criminali", finisco per
condizionarlo, anche perché "criminali" si trovano anche nelle file
avversarie. E così che l´ideologia annulla la ricerca storica».
Da un libro sull´eredità del fascismo ci si aspetta la sottolineatura
delle vaste zone d´ombra. Nella sua narrazione si sorvola sulle
vittime dei fascisti, mentre ci si sofferma a lungo sulle vittime
delle violenze partigiane. Anche il fatto che molte figure
compromesse con la dittatura e con Salò rimangano in posti chiave
dello Stato non sembra turbarla più di tanto. Altri storici, a
cominciare dalle ricerche fondamentali di Claudio Pavone, individuano
in questa continuità un grave vulnus per la crescita democratica del
paese.
«Ma il mio compito non è scandalizzarmi. Certo, lei mi fa notare che
sulla continuità tra fascismo e postfascismo è uscito un libro
importante come quello di Claudio Pavone, ma con accenti molto
diversi dai miei. Considero positivo che emerga una nuova generazione
di storici capace di sottrarsi a categorie moralistiche».
Morali, non moralistiche, professore, non disgiunte da ricostruzioni
storiografiche documentate.
«Va bene, morali. Ma io rimango persuaso che lo storico debba
compiere un passo indietro rispetto all´etica. Solo così può capire
la storia del Novecento italiano. Credo poi che il mio libro
scontenterà sostanzialmente un´altra categoria di lettori, ossia
coloro che hanno sempre coltivato un´immagine reducistica e
testimoniale del Msi. Non è un caso che i contatti con i servizi
segreti americani, con gli ambienti ecclesiastici, con i gruppi
monarchici, con settori massonici, ebbene tutta questa tessitura sia
rimasta per sessant´anni sotto una coltre di silenzio. Il mio lavoro
riempie una pagina rimasta fin troppo a lungo bianca».
da "La Repubblica" - 9 novembre 2006
école
NIS (afp, 3 novembre) - Une bombe larguée par l'aviation de l'Otan
pendant les frappes de 1999 et qui n'avait pas explosé a été
retrouvée vendredi sur le toit d'une école primaire à Nis (sud), a
appris un correspondant de l'AFP auprès des autorités locales.
La bombe a été découverte par deux ouvriers qui étaient employés pour
réparer le toit de l'école "Cele Kula" à Nis (220 km au sud-est de
Belgrade).
Une équipe d'experts était attendue en provenance de Belgrade pour
neutraliser l'engin.
L'aviation de l'Otan avait exécuté entre mars et juin 1999 des
bombardements pour faire cesser la répression du régime de Slobodan
Milosevic contre les séparatistes albanais du Kosovo.
A Nis, 25 personnes, dont 22 civils avaient été tués lors de frappes
aériennes de l'aviation de l'Alliance nord Atlantique.
SOURCE : http://fr.groups.yahoo.com/group/alerte_otan/messages
Liste gérée par des membres du Comité de Surveillance OTAN.
Civilizzato (aggettivo) : colto, istruito, raffinato, illuminato, forbito, elegante, sofisticato, cortese.
Mi rendo conto che non dovrei essere stupito, ma nondimeno lo sono. Stupito, in primo luogo, di vivere all’interno di una cultura barbara che è stata capace di farsi passare per civilizzata, e secondariamente, che questa cultura abbia potuto persuadere il mondo di essere in possesso di credenziali di civilizzazione di prima categoria. E in terzo luogo, che sia stata capace di conservare questa illusione almeno per cinquecento anni.
La maggior parte di noi associa l’idea di civilizzazione alla conoscenza e al rispetto per la cultura, tuttavia la radice della parola è quella di cittadino.
« I missili hanno colpito dei serbatoi di stoccaggio del complesso petrolchimico [a Panchevo, a nord-est di Belgrado], provocando la diffusione nell’atmosfera di più di 900 tonnellate di cloruro di vinile monomero (VCM), altamente cancerogeno. Al levar del sole, le nubi di VCM incombevano sopra tutta la città, facendo registrare un limite di tossicità quasi 10.600 volte più alto di quello consentito per la sicurezza dell’uomo, e le nubi che si levavano dall’insediamento industriale erano così dense che i residenti non potevano vedere il sole. Il VCM è già di per sé pericoloso, ma, quando brucia, libera come sottoprodotto il fosgene, una sostanza gassosa talmente nociva da essere stata utilizzata come gas tossico durante la Prima Guerra Mondiale.
Come se l’utilizzo di potenti esplosivi nel corso di bombardamenti “ordinari”, che non fanno “altro” che fare a pezzi uomini, donne e bambini, non fosse decisamente cosa malvagia, quella che io definisco una “guerra ecocida” non risulta immediatamente evidente nei suoi effetti devastanti, non solamente sulle popolazioni ma anche sulle loro generazioni future, sull’intero ecosistema, effetti che si protrarranno nel tempo, di cui noi abbiamo solo una comprensione delle più vaghe, eccetto che non possono essere altro che disastrosi per i nostri discendenti.
La gamma di armi... “ecologiche” impiegate dalle sedicenti nazioni civilizzate è di per sé devastatrice, ma, come i loro stessi bersagli, esse stesse contengono spesso sostanze tossiche e cancerogene, e quindi gli effetti di queste armi vengono moltiplicati dai prodotti chimici che si riversano nell’ambiente.
Risulta inconcepibile che i pianificatori delle guerre non si rendano conto delle conseguenze che si hanno nel prendere come bersagli moderni stabilimenti industriali, il cui contenuto, una volta liberato, rende di fatto inabitabile l’ambiente, forse per generazioni.
« Il tempo di dimezzamento dell’Uranio Depleto (DU) è di 4,5 miliardi di anni, di conseguenza viene assicurata così la contaminazione perpetua delle zone colpite. Per comprendere esattamente cosa significa questo in termini temporali, considerate che l’età del sistema solare è leggermente più lunga.
I media occidentali, utilizzando le false dichiarazioni della NATO secondo cui il DU non è una fonte di radioattività, non procura un aumento delle radiazioni, dichiarazioni che si basano sull’utilizzo dei contatori Geiger che di fatto non misurano le radiazioni α emesse dal DU, hanno contribuito nel respingere le accuse di pericolosità nei confronti del DU.
Ma quanto sono ingegnosi gli umani quando si tratta di concepire metodi di sterminio! Che milioni di persone altamente specializzate siano impiegate ad inventare questi mezzi terrificanti di morte, dovrebbe indurci ad una aperta rivolta contro i nostri governi, quando stanno commettendo tali azioni di pura malvagità contro i nostri fratelli uomini, e tutto questo per il conseguimento del profitto privato.
Tale è il grado di alienazione, provocato non solamente dal fatto che gli scienziati e gli ingegneri nei loro laboratori isolati sono totalmente distaccati dagli effetti della loro ingegnosità, ma perché noi tutti conviviamo con una cultura che ha fatto della disinformazione, da generazioni, la sua caratteristica e che ha acquisito l’idea che noi occupiamo qualche nicchia più alta nell’albero dell’evoluzione, tanto è perniciosa la nostra concezione di « civilizzazione ».
In ultima analisi, le ragioni vere, occultate agli occhi del pubblico, sono puramente economiche.
« Il Patto di Stabilità sponsorizzato dall’Occidente per l’Europa del sud-est ha preteso l’estensione delle privatizzazioni e degli investimenti occidentali. Il Nuovo Forum per la Serbia, finanziato dal Ministero degli Affari Esteri Britannico ha condotto i professionisti e i docenti universitari Serbi regolarmente in Ungheria per delle discussioni con gli “esperti” Britannici e dell’Europa Centrale... Il Forum ha preconizzato il “reintegro della Jugoslavia nella famiglia Europea”, un eufemismo per designare lo smantellamento dell’economia orientale socialista e la messa in opera di una campagna di privatizzazioni in favore del profitto delle imprese occidentali.» 4
In realtà, la parola « civilizzazione » è di fatto un termine del codice del capitalismo, dello stile occidentale, che giustifica lo sterminio di massa e il terrorismo contro tutti quei paesi che resistono alle sue pretese.
Note
1. George Monbiot, « Consigning Their Future to Death » (Affidano il loro futuro alla morte), The Guardian (Londra), 22 aprile 1999.
Tom Walker, « Poison Cloud Engulfs Belgrade » (Una nube tossica ha inghiottito Belgrado), The Times (Londra), 19 aprile 1999.
Mark Fineman, « Yugoslav City Battling Toxic Enemies » (La città Jugoslava si batte contro nemici tossici), Los Angeles Times, 6 luglio1999.
« Use of Depleted Uranium (DU) Weapons by NATO Forces in Yugoslavia » (Uso in Jugoslavia di armi ad Uranio Depleto da parte delle forze della NATO), Coghill Research Laboratories (UK), aprile 1999.
Tutte le citazioni e i riferimenti sono tratti da “Stranges Liberators -- Militarism, Mayhem and the Pursuit of Profit” (Liberatori stranieri -- Militarismo, disordine caotico e ricerca del profitto) di Gregory Elich. Llumina Press, 2006.
URL di questo articolo : http://www.tlaxcala.es/pp.asp?reference=1417&lg=fr
Fonte: http://fr.groups.yahoo.com/group/alerte_otan/
Među gostima ovogodišnjeg Sajma knjiga u Beogradu bio je i Andrea Katone, profesor iz Barija, jedan od organizatora i promotora Društva za solidarnost i kulturu „Most za Beograd”. Proučavajući rusko društvo, istočnu Evropu i Balkan, ovaj profesor filozofije se 1999. godine posebno posvetio proučavanju rata u Jugoslaviji i pitanju Kosova. Njegovo ime nalazi se na mnogim knjigama koje pokušavaju da isprave nepravde prema Srbima, a koje su objavili italijanski izdavači „La citta del sole” i „Achab”.
Pomenuti izdavači bili su, takođe, gosti na ovogodišnjem sajmu, a njihove knjige bile su izložene na štandu beogradskog Zavoda za udžbenike i nastavna sredstva. Zavod je objavio i prevod dela „Koridor” Džin Toski Maracani Viskonti, na čijoj promociji je govorio i Andrea Katone. On je istakao da je od najveće važnosti upoznati Italiju sa istorijom i kulturom srpskog naroda od srednjeg veka do naših dana, prevoditi i štampati knjige iz srpske istorije i književnosti, kao i otvoriti Srpski kulturni centar u Italiji
Možete li da objasnite za naše čitaoce kako je nastalo Društvo „Most za Beograd” čiji ste direktor, i šta je njegov cilj?
– Naše udruženje nastalo je u Bariju, marta 1999. godine, zahvaljujući grupi intelektualaca, studenata i radnika koji su želeli da se čuje i „drugi glas” protiv, u horu ponavljanih, neistina o srpskom narodu. Izveli smo za vreme, i posle NATO agresije, jednu akciju protiv široko prihvaćenog stava i mišljenja, zajedno sa nekim udruženjima i intelektualcima iz drugih zemalja, na primer sa francuskim novinarom Mišelom Kolonom, autorom izvrsnog dokumentarca o stanju na Kosovu posle okupacije NATO. Taj film smo preveli, prikazivali i distribuirali na video-kasetama po celoj Italiji. Organizovali smo i predavanja na univerzitetima, u školama, radničkim klubovima, parohijama...
Do nas je doprla vest o izložbi „SOS Kosovo – srpski srednjovekovni manastiri pre i posle rata”.
– Da, to je bila izložba o pogromu marta 2004. kada su kosovski Albanci uništavali i spaljivali srpske manastire i crkve, koju smo organizovali u proleće 2005. u saradnji sa beogradskom „Mnemozinom”, i, istovremeno, savetovanje o statusu Kosova. Pre ove, organizovali smo i brojne druge fotografske izložbe poput one „Napravili su pustoš i to nazivaju mirom”, zatim o oružju i bombama zabranjenim međunarodnim konvencijama koje je NATO koristio, o spomenicima kulture na Kosovu...
Pored borbe protiv laži, šta je još bio cilj „Mosta za Beograd”, čije ime budi andrićevske asocijacije?
– Drugi naš cilj bile su akcije solidarnosti kako bismo pomogli izbeglicama koje su se slile u sankcijama iznurenu Srbiju, zatim deci kragujevačkih radnika čiji su roditelji ostali bez posla, deci i mladima sa Kosova i Metohije koji su izgubili jednog ili oba roditelja. Pored toga, „Most za Beograd” je skromnim novčanim prilogom pomogao više od 300 srpskih porodica, u ukupnoj sumi od više od 350.000 evra. Kap u okeanu, ali ne treba zaboraviti da su skupljeni, malo-pomalo, prilozima profesora, studenata, radnika, penzionera. Uspeli smo da realnu situaciju u Srbiji približimo hiljadama Italijana. Neki od njih su i došli u Srbiju da posete porodice koje su pomogli, ali je do danas ostalo nemoguće da oni ugoste decu ili porodice iz Srbije zbog nepremostivih birokratskih teškoća italijanske konzularne službe u Beogradu.
Otkud toliko interesovanje u Italiji za rat u bivšoj Jugoslaviji i da li ga je uslovila posebna politička situacija?
– Početkom 1999. godine, kada je vlada naše zemlje uzela učešće u NATO agresiji na Jugoslaviju, preciznije na Republiku Srbiju, nju je vodila koalicija levog centra, dakle različite partije među kojima i neke koje su u prošlosti, 1991, bile protiv agresije na Irak i čija je biračka baza, bilo njen katolički, bilo levičarski deo, podržavala pacifističke pokrete. Da bi mogla da opravda učešće Italije u agresorskom ratu protiv Jugoslavije koja nikoga nije napala i nije prekršila međunarodno pravo, njegovi zagovornici morali su da izmisle demonizaciju srpskog naroda uporedivši ga sa nacistima. Svi ratovi, od onih u antičkom Rimu do danas, bili su praćeni izgovorima i lažima i uvek predstavljani kao opravdani, ali nikada se nije toliko lagalo i toliko izvrtala istina kao u slučaju jugoslovenskih ratova u toku devedesetih godina, a posebno kad je reč o NATO agresiji 1999.
Da li je bilo teškoća i osporavanja rada vaše organizacije?
– Delatnost koju već osam godina obavljamo dobrovoljna je i bez ikakve novčane naknade, a obično oni koji nose pomoć u Srbiju sami snose troškove svoga putovanja. Rad nije lak i nije uvek dobro primljen. Tako je bilo naročito u godinama agresije na Srbiju, tako je na žalost i danas. I dalje su moćni antisrpski lobistički centri, to pokazuje opšte usmerenje italijanskih medija koji su i dalje malo skloni da oslušnu i srpske razloge. Pomaci su mali, ali nam znače. Na primer, knjigu „Drugi rat za Kosovo” u kojoj ukazujem na nepodnošljive uslove Srba i nealbanaca na Kosmetu, priredila je poslanik u italijanskom parlamentu Luana Zanela, a predgovor joj je napisao gradonačelnik Venecije Masimo Kačari.
Vaše ime se pojavljuje na mnogim italijanskim knjigama o ovim temama, bilo da ste autor, pisac predgovora, priređivač, redaktor...
– „Most za Beograd” je pokrenuo i štampanje knjiga koje bi pružile objektivne informacije o onome što se stvarno dešava na tlu nekadašnje Jugoslavije. Pored „Koridora” Džin Toski Maracani Viskonti, želim da pomenem i knjigu „Kosovo, crna rupa Evrope”, s mojim predgovorom, koja je, takođe, prevedena na srpski i koja je u Italiji doživela nekoliko izdanja. Pomenuo bih i knjige „Od Srednjeg istoka do Balkana, krvava zora američkog veka”, napisanu u saradnji sa italijanskim filozofima i istoričarima, i „Laži o ratu u Jugoslaviji” nemačkog novinara Elsesera s mojim predgovorom za italijansko izdanje. Najzad, tu je i „Drugi rat za Kosovo – srpska, pravoslavna, hrišćanska baština koju treba spasavati” u kojoj je i moj prilog o srpskoj istoriji i koju je i vaš list nedavno prikazao.
-----------------------------------------------------------
Izložba o Jasenovcu
– Čini mi se da je danas zanemaren veliki udeo jugoslovenskih naroda u borbi protiv fašizma, a pogotovo srpskog koji je platio najveći cenu. Zato smo se angažovali u novom projektu, izložbi fotografija posvećenoj žrtvama Jasenovca, srpskog Aušvica, koju ćemo, uz pomoć srpskog Muzeja žrtava genocida iz Beograda, otvoriti u Bariju 27. januara 2007. godine, povodom spomen-dana žrtvama fašizma. To će biti prilika da se svet podseti da je srpski narod jedini evropski narod koji je bombardovan i na početku i na kraju 20. veka – kaže Andrea Katone.
Kosovo and Montenegrin Separatists / 1: Allied Against Peace
1. Ceku a Podgorica, Belgrado protesta (dal sito antijugoslavo
"Osservatorio Balcani")
2. Kosovo: Bulgaria, Macedonia and Montenegro have betrayed Serbia
(Regnum, Russia)
=== 1 ===
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/6390/1/51/
Ceku a Podgorica, Belgrado protesta
10.11.2006 Da Podgorica, scrive Jadranka Gilić
Il premier (SIC) kosovaro Agim Ceku va in visita ufficiale nella
capitale montenegrina, ma il governo serbo critica fortemente la
scelta diplomatica di Podgorica. Si inaspriscono i rapporti tra
Serbia e Montenegro
Mentre sono in corso i negoziati per decidere lo status futuro del
Kosovo, il premier kosovaro Agim Ceku è giunto in visita ufficiale in
Montenegro il 3 novembre scorso e si è incontrato con i più alti
esponenti statali montenegrini. Il governo serbo ha criticato
aspramente le autorità di Podgorica per la visita del premier
kosovaro, valutandola come un fatto sorprendente e preoccupante.
Dopo l’incontro del premier kosovaro con le autorità montenegrine
si è tenuta una conferenza stampa a Podgorica, durante la quale Agim
Ceku ha dichiarato che attende una soluzione per lo status del Kosovo
entro la fine dell’anno (B92, 3 novembre).
“Secondo il nostro punto di vista il Kosovo sarà un paese
proiettato verso l’integrazione europea, un paese democratico,
moderno, multietnico e stabile, che vivrà in pace con i vicini e che
contribuirà alla stabilità della regione”, ha dichiarato il
premier kosovaro, sottolineando che questa è l’unica soluzione
sostenibile per la regione. Ceku ha anche detto che i serbi
governeranno i territori che abitano, aggiungendo che “Il Kosovo è
la loro casa, il loro paese ed io sono il loro premier e mi sento
responsabile per tutti.”
Il premier montenegrino, Milo Djukanovic, ha spiegato la posizione
del Montenegro dichiarando che ogni soluzione sulla quale
concorderanno Belgrado, Pristina e la comunità internazionale è
accettabile per il Montenegro, dichiarando inoltre che prima si
risolve lo status del Kosovo meglio è visto che dalla qualità della
soluzione dipendono le future relazioni e la stabilità della regione.
Dall’altra parte il presidente serbo Boris Tadic ha trovato
“inaccettabile e non necessaria” la mossa di Djukanovic di
ricevere il premier kosovaro Ceku nel momento in cui si svolgono le
trattative sullo status futuro. Tadic ha dichiarato: “Agim Ceku non
è stato autorizzato a rappresentare il Kosovo all’estero e a
condurre colloqui bilaterali. Inoltre, penso che non sia necessario
fare pressione per portare a termine i negoziati sullo status del
Kosovo entro la fine dell’anno.” Il presidente serbo ha poi
aggiunto: “Spero che il futuro governo del Montenegro abbia più
comprensione per una questione così complessa e che si comporti in
modo tale da mantenere la stabilità della regione.”
Invece, il premier della Serbia, Vojislav Kostunica, ha ricordato
che “non è mai successo nella storia che il Montenegro si sia messo
contro la Serbia. E da quando esiste, la Serbia non ha mai fatto
niente contro il Montenegro” (B92, 5 novembre). Secondo Kostunica,
la posizione della Podgorica ufficiale secondo la quale il Kosovo è
un vicino del Montenegro, viola direttamente la sovranità e
l’integrità territoriale della Serbia. Il premier serbo ha spiegato
che “questa posizione è stata esposta durante il colloquio con
Ceku, accusato dalla Serbia di aver commesso crimini di guerra contro
la popolazione serba, e non solo in Kosovo”.
Inoltre, il governo serbo ha avvisato il governo montenegrino che ha
l’obbligo di rispettare rigorosamente la sovranità e l’integrità
territoriale della Serbia, in conformità alla Carta dell’ONU e alle
norme del diritto internazionale. In caso contrario, il governo
montenegrino dovrà ritenersi responsabile delle serie conseguenze nei
rapporti fra la Serbia e il Montenegro (B92, 4 novembre).
Anche la presidentessa del Centro di coordinamento per il Kosovo,
Sanda Raskovic Ivic, ha criticato aspramente le autorità di Podgorica
per la visita del premier kosovaro Ceku in Montenegro. Raskovic Ivic
ha valutato la visita di Ceku in Montenegro, come un fatto
sorprendente e preoccupante, nel momento in cui - secondo la Raskovic
Ivic - la comunità internazionale, ed in primis la Russia e la Cina,
sta cambiando la propria posizione sulla soluzione futura per il
Kosovo, a favore della Serbia.
Dal canto suo, il ministro montenegrino degli Esteri, Miodrag
Vlahovic, ha spiegato che la visita del premier kosovaro Ceku in
Montenegro non ha affatto danneggiato gli interessi della Serbia nel
momento in cui sono in corso i negoziati sullo status futuro del
Kosovo. Secondo Vlahovic la comunicazione del Montenegro con i paesi
della regione contribuisce alla stabilità della regione ed è stata
appoggiata dalla comunità internazionale. Vlahovic ha anche spiegato
che la decisione di ricevere Agim Ceku non è stata una decisione
personale del premier montenegrino Milo Djukanovic, ma il risultato
della politica estera del Montenegro.
Le reazioni della Serbia ufficiale alla visita di Ceku nella capitale
montenegrina hanno provocato le contro-reazioni del governo del
Kosovo. La portavoce del governo kosovaro Ulpijana Ljama, ha detto
che non c’è bisogno che la Serbia interferisca nella politica
estera del Kosovo coi paesi confinanti, così come il Kosovo non
interferirà nelle relazioni tra la Serbia e il Montenegro. La
portavoce Ljama ha aggiunto: “La Serbia deve cambiare politica ed
accettare la nuova realtà dei Balcani, come lo hanno fatto gli altri
paesi” (B92, 5 novembre).
Secondo gli analisti internazionali, oggi il Kosovo rappresenta un
“buco nero” dell’Europa. Al posto dell’integrazione, la
situazione attuale della regione stimola il processo opposto: la
segregazione. La Washington ufficiale insiste che la decisione finale
sullo status di Kosovo sia presa entro la fine dell’anno, mentre gli
esponenti dell’Unione europea annunciano che potrebbe esserci un
rinvio della decisione a dopo le elezioni parlamentari in Serbia. Gli
analisti valutano che l’approccio più realista di Bruxelles è
motivato dal giustificato timore che la decisione sullo status finale
del Kosovo, presa prima delle elezioni, destabilizzerebbe seriamente
la Serbia e radicalizzerebbe la sua scena politica.
=== 2 ===
From: Rick Rozoff
Subject: [yugoslaviainfo] Kosovo, Montenegrin Separatists In
Criminal Collusion
Date: November 10, 2006 4:52:57 PM GMT+01:00
http://www.regnum.ru/english/736189.html
Regnum (Russia)
November 11, 2006
Kosovo: Bulgaria, Macedonia and Montenegro have betrayed Serbia
-Some people believe that the Montenegrin authorities
invited Ceku to Montenegro with a view to improve
their relations with the local Albanian minority after
the Sept 2006 arrest of Albanian extremists from the
Movement for the Rights of Albanians in Montenegro. On
Nov 6, Montenegrin Public Prosecutor Vesna Medenica
said that this group, together with the fighters from
the so-called Kosovo Liberation Army, were plotting
terrorist acts in the territory of Montenegro.
-“The visit of Ceku, who is suspected of having
committed military crimes against Serbs, Montenegrins
and other non-Albanians in Kosovo and Metohija, looked
especially provocative as it took place right after
the adoption of the Constitution of Serbia and exactly
at the moment when the world community is trying to
solve the problem of Kosovo and Metohija in line with
the UN Charter and UN SC Resolution 1244.”
-“Montenegro’s independence gained with the decisive
support of Albanians was just the first step towards
the possible secession of Kosovo and Metohija from
Serbia.”
In the last few months, the head of the interim
government of Kosovo Agim Ceku has visited a number of
countries to enlist their support for Kosovo’s
independence.
He visited the US and the UK, Bulgaria and FYR
Macedonia.
Ceku’s visits have not gone unnoticed: the world
community is very much interested in what status
Kosovo will get and in what stance the UN Security
Council and Contact Group members and Balkan states
have on the matter.
Special attention was given to Ceku’s Nov 3 visit to
Montenegro, which quite recently voted to secede from
Serbia.
In Montenegro Ceku met with the prime minister, the
speaker of the parliament, the FM, and all of them
treated him as the head of the government of a state.
Montenegrin Prime Minister Milo Djukanovic said that
the key topic of his talk with Ceku was not the status
of Kosovo but the future of the region and good
neighborly relations between Montenegro and Kosovo.
Ignoring the fact that Kosovo is an integral part of
Serbia, Djukanovic stressed that, despite its status,
Kosovo is Montenegro’s neighbor and so the sides
should be interested in being good neighbors.
Djukanovic and Ceku exchanged their views of how to
eliminate structural restrictions to the
liberalization of the energy and other markets in the
Balkans and how to attract big investors in the
region.
They also stressed the need to open new border
crossings for bringing closer the business interests
of Montenegro and Kosovo and discussed ways to
strengthen border control and to jointly fight
organized crime. Djukanovic said that the Montenegrin
and Kosovan government delegations would meet to
discuss the return of Kosovan refugees in Montenegro.
Concerning the status of Kosovo, Djukanovic said that
Montenegro is interested in the urgent resolution of
this problem – under the agreement between Belgrade
and Pristina and with the consent of the world
community – and is ready to support any decision to be
passed by the world community.
Ceku used his visit to state once again that the
provision of Kosovo with independence is the only
permanent decision. He once more expressed his
conviction that this decision will be made by the end
of this year.
During his visit to Montenegro, Ceku also met with the
leaders of the Albanian parties in Montenegro and with
the heads of the Albanian community of Ulcinj, a
municipality where Albanians constitute over 70% of
the population.
Ceku said that the Albanian community in Montenegro
has always been constructive: it has never posed a
threat to the country’s interests but, on the
contrary, has actively protected them.
Ceku commended the Albanian community for their active
role in the current processes in Montenegro and
expressed hope that “the Montenegrin Government will
respond positively by guaranteeing the exercise of the
rights of Albanians in Montenegro.”
It is not clear what rights Ceku meant, but it is
known well that the Montenegrin Albanians want
autonomy and hope that Kosovo’s independence will help
them in the matter.
Some people believe that the Montenegrin authorities
invited Ceku to Montenegro with a view to improve
their relations with the local Albanian minority after
the Sept 2006 arrest of Albanian extremists from the
Movement for the Rights of Albanians in Montenegro. On
Nov 6, Montenegrin Public Prosecutor Vesna Medenica
said that this group, together with the fighters from
the so-called Kosovo Liberation Army, were plotting
terrorist acts in the territory of Montenegro.
The visit of Ceku has received a very negative
response from the opposition parties of Montenegro,
who said that it was “a scandal that will cause grave
political consequences” and “an attempt to stab in the
back the Serbian leaders and all Serbs in the
Balkans.”
The Socialist People’s Party of Montenegro said that
the invitation of Ceku, “the well-known representative
of the Kosovan extremists,” was an act of open support
for those forces who want to separate Kosovo and
Metohija from Serbia.
“The visit of Ceku, who is suspected of having
committed military crimes against Serbs, Montenegrins
and other non-Albanians in Kosovo and Metohija, looked
especially provocative as it took place right after
the adoption of the Constitution of Serbia and exactly
at the moment when the world community is trying to
solve the problem of Kosovo and Metohija in line with
the UN Charter and UN SC Resolution 1244.”
The Democratic Serbian Party said that “now that
Serbia is taking active diplomatic steps to keep
Kosovo from secession and the problem of the status of
this southern Serbian region is entering the final
stage, the invitation of Ceku to visit Montenegro was
a non-diplomatic act” and can be interpreted as an
interference in the internal affairs of another state.
The Socialist People’s Party of Montenegro said that
“by inviting Ceku, Djukanovic and his regime have
openly taken the side of the Albanian extremists in
Kosovo and Metohija,” while the People’s Party of
Montenegro said that “by so doing they have shown
support for the Ceku separatist regime” and that
“Montenegro’s independence gained with the decisive
support of Albanians was just the first step towards
the possible secession of Kosovo and Metohija from
Serbia.”
The party urged all opposition parties to initiate a
special parliamentary session for considering “the
Montenegrin authorities’ open support for the Albanian
separatists in Kosovo.”
Those in Serbia have strongly criticized the
invitation of Ceku to Montenegro.
Serbian President Boris Tadic said that it was “an
unacceptable and unnecessary gesture” by Djukanovic
now that the sides are negotiating the future status
of Kosovo.
Those in the Serbian Government said that Kosovo is an
inalienable part of Serbia rather than “a neighboring
state for Montenegro” as the Montenegrin officials
said.
Serbian Prime Minister Vojislav Kostunica warned the
Montenegrin Government that they “should respect the
sovereignty and territorial integrity of Serbia in
line with the UN Charter and international law.
Otherwise, they will be responsible for possible
serious consequences in Serbian-Montenegrin
relations.”
The G-17+ party said that the position of the
Montenegrin authorities does not contribute to the
development of good neighborly relations between
Serbia and Montenegro and must be condemned, while the
secretary general of the Serbian Radical Party
Aleksandar Vucic said that it was “the most shameful
act in the history of Montenegro” and “the Montenegrin
authorities just returned the favor done to them
during the referendum [on Montenegro’s independence].”
The Socialist Party of Serbia demanded that the
Serbian authorities show tough reaction to this
“anti-Serbian gesture” of the Montenegrin leadership.
The Blic daily (Belgrade) said that “Djukanovic may go
into history as the person who restored Montenegro’s
independence but he is also the person who spoiled
Montenegro’s relations with Serbia — the first and
most natural ally.”
Djukanovic and Montenegrin Foreign Minister Vlahovic
denied the charges and said that the talks with Ceku
have not spoiled Montenegro’s relations with Serbia,
who remains the country’s key partner, and were not
aimed at influencing the talks for Kosovo’s future
status.
In their turn, the Kosovan authorities have blamed
Serbia for interfering in the policies of its
neighbors. The spokeswoman of the Kosovan Government
Ujlpijana Ljama said that Serbia should accept the new
reality in the Balkans.
However, some forces in Kosovo think otherwise. The
Serbian Vece believes that the decision of the
Montenegrin authorities to officially receive Ceku has
deeply hurt the Serbs and the Montenegrins in Kosovo.
However, this step was not unexpected as Djukanovic is
deeply in debt to the Albanian community for his stay
in power all these years.
After his visit to Montenegro, Ceku continued his
tour: he visited Albania, on Nov 6 he went to
Slovakia, where local officials told him that the
decision on Kosovo’s status requires absolute
consensus and that the Kosovan authorities should
refrain from one-sided steps. And now Ceku is planning
to go to Moscow and is waiting for the Russians’
response to his wish to visit Russia for explaining
the stance of the Kosovan leadership.
SOURCE:
http://groups.yahoo.com/group/yugoslaviainfo , http://
groups.yahoo.com/group/stopnato
From: truth @...Date: November 8, 2006 3:51:21 PM GMT+01:00Subject: Fwd: WG: Rückblick auf Milosevic-Prozess-----Ursprüngliche Nachricht-----Von: Y.&K.Truempy-Arzuaga [mailto:TrumpArzu @...]Gesendet: Dienstag, 7. November 2006 22:17Betreff: Rückblick auf Milosevic-ProzessIm Attachement ein Bericht von Cathrin Schütz über den Milosevic-Prozess.Sie war bis zu seinem Tod persönliche Rechtsberaterin von ihm.Neben einem Rückblick auf den Prozess beschreibt sie das Beziehungsnetz in der westlichen Medienlandschaft, welches eine wahrheitsgemässe Berichterstattung über den objektiv gescheiterten Prozesses verhindern konnte.Der Artikel entstammt dem Buch "Der Milosevic-Prozess" von G.Civikov, Promedia 2006.--
Book Review: Jasenovac and the Holocaust in Yugoslavia
By Norman Markowitz, Department of History, Rutgers University
----------------------
Da: www.agitproponline.com
Dopo aver concesso la piazza centrale della palude-Foggia ai
neofascisti il 28 ottobre, la disinibita giunta di centrosinistra
dona ai suoi distratti governati un bell'esempio di praticità e di
risparmio: accorpa due ricorrenze in un solo manifesto e - abile
esperimento sincretico - le commemora in un'unica frase (vogliamo,
per pietas, sorvolare sull'agghiacciante soluzione grafica [si veda
l'immagine al link: https://www.cnj.it/immagini/novembre.gif ] ):
<< In ricordo dei nosti concittadini defunti e dei militari caduti in
guerra e nelle missioni di pace >>.
Il sostanza: il rigoroso sindaco commemora i morti due volte: prima
tutti assieme, come in una sorta di fossa comune immaginaria e
egualitaria. Poi rende omaggio ad una categoria in particolare. Che
anche stavolta non sono gli idraulici caduti in servizio o gli
orologiai morti di crampo alla falange dell'indice. Onora gli italici
militari senza neppure stare a distinguere quelli morti di vento
contrario mentre bombardavano di gas nervino Addis Abeba da quelli
implosi per difendere i pozzi dell'Eni a Nassyria. Sottigliezze da
donnicciole.
CONCORSO A PREMI:
Quali altre festività accorperà d'ora in poi il nostro Gran
Risparmiatore?
Pasqua e il 25 aprile?
San Giuseppe artigiano e la Festa della Repubblica?
E con quale slogan?
www.agitproponline.com
[la foto del manifesto è anche al link: https://www.cnj.it/immagini/
novembre.gif ]
Perché i laboratori della "guerra umanitaria" sono preoccupati delle nostra controinformazione sul caso del Darfur?
Alcune settimane fa, avevamo scoperto che un importante sito specializzato vicino al complesso militare-industriale italiano e alla NATO (www.paginedidifesa.it) , con un articolo di Franco Londei che riproduciamo nel nostro dossier, si stava preoccupando delle denunce e della documentazione che Contropiano da tempo sta producendo sulla preparazione di una nuova “guerra umanitaria” nel Darfur, regione occidentale del Sudan (con le esatte e medesime caratteristiche, fonti, soggetti, ragionamenti di quella in Kossovo). Avevamo annunciato che stavamo preparando un altro dossier ancora più corposo e significativo sul Darfur e sulla preparazione di una nuova “guerra umanitaria” in questa importante regione africana.
In un successivo articolo su un altro sito (http://inpolitica.net), Franco Londei tornava a contestare il nostro impianto di analisi sulla situazione in Darfur dichiarandosi amareggiato di come un sito “pacifista” (Contropiano non è un sito pacifista ma è contro la guerra, la differenza, come ha detto Gino Strada a luglio, è ormai discriminante, NdR) potesse opporsi all’intervento dell’ONU per risolvere una emergenza umanitaria come quella in Darfur. Il ricorso a luoghi comuni e ai ricatti morali (“è facile parlare e dire di no quando si sta comodi nelle proprie case” etc. etc…), cerca di confondere le carte con il buonismo. In discussione infatti non è l’emergenza umanitaria per i profughi del Darfur (dovuta però non solo alla guerra ma anche a fenomeni climatici di cui non si parla mai) ma la manipolazione di questa emergenza umanitaria ai fini di un intervento politico-militare da parte degli Stati Uniti e della NATO in questa area del mondo. Non dovrebbero essere sfuggiti alcuni particolari come la preoccupazione di Washington per il recente vertice tra Cina e paesi africani (a cavallo tra ottobre e novembre) e per la penetrazione della Cina in una regione come quella africana che Stati Uniti e Francia ritengono loro esclusiva riserva di caccia. Il Sudan, in questo scenario, è paradigmatico. Le preoccupazioni umanitarie di Washington e di Parigi le abbiamo già viste all’opera in Jugoslavia, in Iraq, in Afghanistan, in Costa d’Avorio. Si chiamano colonialismo, tant’è che i sostenitori dell’intervento umanitario in Darfur contestano anche la capacità dell’Unione Africana di poter gestire la crisi…in fondo sono…africani, quindi dobbiamo mandare i soldati e gli esperti umanitari delle potenze occidentali a risolvere la crisi.
Non deve sorprendere che l’intervento militare colonial-umanitario si faccia spianare la strada da denunce e documenti di organizzazioni internazionali. Ma queste organizzazioni sono legate a doppio filo con l’establishment statunitense (dall’International Crisis Group di Gorge Soros ed Emma Bonino a Human Rights Watch). Li abbiamo già visti all’opera con falsità, manipolazioni e denunce in Kosovo (smentite poi dalla realtà come le fosse comuni) per preparare l’opinione pubblica a legittimare i bombardamenti e gli interventi militari sul campo. Ce li siamo studiati da vicino, abbiamo radiografato il loro modus operandi, il tono e la costruzione delle notizie e delle denunce. Quelle sul Darfur sono praticamente la fotocopia di quelle che avevamo già visto e sentito sulla Jugoslavia. Diciamo solo che di costoro non ci fidiamo perché non sono degni di fiducia. Si schierano con i più deboli ma lavorano per i più forti.
E’ bene dunque che le forze democratiche e contro la guerra, sappiano che cosa si sta preparando per il Darfur e non si facciano cogliere impreparate. Noi cerchiamo di fornire documentazione e chiavi di lettura che consentano di non cadere nella trappola di quello che Giulietto Chiesa ha definito giustamente lo “tsunami mediatico” al quale è difficile resistere se non si è ben saldi nelle proprie analisi. A questo scopo, da lunedi 6 novembre sul nostro sito (www.contropiano.org ) mettiamo a disposizione il nostro dossier. Qui di seguito il sommario dei documenti e dei contributi ospitati nel dossier.
La redazione di Contropiano
- I laboratori della guerra umanitaria tornano all’opera
- Cronologia degli avvenimenti nel 2006
- La vera posta in gioco in Sudan e Darfur. Dieci interventi che smascherano l’ambiguità della guerra “umanitaria” e chiariscono gli obiettivi degli Stati Uniti
- Stati Uniti e NATO puntano a intervenire militarmente contro il Sudan
- Come i laboratori della guerra umanitaria e i neocons italiani preparano il terreno all’intervento militare