Informazione
SULLA GRANDE MANIFESTAZIONE A VICENZA DEL 2 DICEMBRE 2006
Comunicato del Comitato nazionale per il ritiro delle truppe italiane
La grande manifestazione di Vicenza, che ha visto una partecipazione
ben al di là delle più rosee previsioni, segna un potenziale punto di
svolta per il movimento contro le basi militari nel nostro paese.
Il 2 dicembre nella città berica si sono incontrate forme di
resistenza popolare e territoriale che in questi anni "hanno fatto
scuola", facendo uscire dalle secche di una "rappresentanza politica"
connivente con il potere un comune sentire di intere popolazioni: il
popolo dei NO TAV, del NO MOSE, i comitati contro i rigassificatori e
le discariche, i comitati contro le basi militari .
Questo variegato fronte ha assunto a Vicenza la battaglia
antimilitarista non solo e non tanto come portato ideale, ma come
prodotto dei processi di coinvolgimento diretto dei territori nelle
politiche belliciste.
La volontà e la lungimiranza del movimento vicentino ha suggellato
questa unificazione in una manifestazione, verificando così la
determinazione e la consistenza di una soggettività collettiva non
doma di fronte alle perduranti politiche di guerra.
I segnali che provengono da altri insediamenti militari (camp Darby,
Sigonella, Taranto...), indicano la volontà delle gerarchie militari
USA di rafforzare la presenza nella penisola, in previsione
evidentemente delle prossime offensive contro il Libano, la Siria,
l'Iran, il Darfur...
Il governo Prodi è di nuovo di fronte ad una scelta di fondo:
l'eventuale placet ad una più massiccia presenza U.S.A. in Italia
significherebbe un ulteriore passo verso il diretto coinvolgimento
dell'Italia nel conflitto mediorientale.
Le dichiarazioni del Ministro della Difesa e del vice presidente del
Consiglio sono state in queste settimane chiarissime e favorevoli alla
nuova base al Dal Molin.
Dichiarazioni del resto conseguenti con le scelte degli ultimi mesi su
Afghanistan e Libano, con un ritiro "bipartizan" dall'Iraq, con una
Legge Finanziaria "di guerra", che aumenta dell'11% le spese militari
per il 2007 e per i prossimi anni.
Di fronte a queste politiche del cosiddetto "governo amico", solo una
pratica indipendente dei movimenti potrà determinare le condizioni di
un nuovo rapporto di forza nel paese, in grado di dare autorevolezza e
prospettiva alle esigenze popolari. Il movimento espressosi a Vicenza
ci pare vada in questa direzione.
Si tratta ora di dare continuità a quella mobilitazione, ramificando
ancora di più i comitati contro le basi nei territori e andando alla
costruzione di una RETE ANTIMILITARISTA, momento reale di
coordinamento operativo su scala nazionale e continentale.
Il Comitato nazionale per il ritiro delle truppe italiane
info @ disarmiamoli.org www.disarmiamoli.org
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Da "la Repubblica", 3 dicembre 2006:
Trentamila persone, secondo gli organizzatori, sono arrivate a Vicenza
per dire no alla costruzione della più grande base Usa in Europa (e la
seconda base statunitense in città visto che c'è già la Ederle).
Un corteo festoso di giovani, famiglie e bambini provenienti non solo
dal nord-est ma da tutta Italia. D´altro canto, spiegano i
coordinatori del fitto cartello di organizzazioni, partiti, movimenti
che hanno aderito , non si tratta solo di un affare locale. «È stato
un percorso che ha visto assemblee di centinaia di persone di diversa
provenienza e appartenenza spiegano i Comitati cittadini che hanno
lanciato l´appello per una manifestazione nazionale - In un tempo in
cui l´ipocrisia dei "poteri forti" di questo paese, che antepongono
sempre la logica del profitto e del comando agli interessi della
collettività, si è manifestata in maniera organizzata per tentare di
stravolgere, criminalizzare e manipolare la realtà a proprio uso e
consumo. Crediamo sia fondamentale ribadire, ancora una volta, quali
sono gli obiettivi della manifestazione. Scendiamo in piazza,
innanzitutto, per prendere parola in maniera comune. Per dare parola a
un percorso che dovrà continuare anche il 3 il 4 e i mesi a seguire».
Le adesioni sono fittissime: dai Verdi a Rifondazione, dal Pdci
all'Arci, dai beati Costruttori di pace agli Statunitensi contro la
guerra, dalla Tavola della Pace ai comitati di cittadini, dai
sindacati di base fino ai movimenti "più duri" come quello dell´ex
leader dei Disobbedienti Luca Casarini, dei centri sociali del Nord
Est, degli anarchici. Per i Ds l´adesione è soprattutto a livello
cittadino: 5 consiglieri comunali, ma anche parlamentari Ds come Lalla
Trupia che «ha assolua fiducia che il ministro Parisi si opponga alla
nuova base». Mentre il segretario della Quercia Fassino ha ribadito la
necessità «di un confronto, tra il governo e le istituzioni locali
interessate, il più presto possibile».
Fitta anche la schiera dei politici, dalla paralmentare della
Margherita Laura Fincato che ribadisce la necessità di un referendum a
cui si unisce il portavoce dei verdi alla Camera, Angelo Bonelli «ci
deve essere un'espressione democratica della cittadinanza». Di città
svenduta parla il sindaco di Venezia Massimo Cacciari che replica « il
goveno deve tener conto della posizione della città, sarebbe uno
scempio accettare un'altra base militare».
«La militarizzazione del nostro territorio e la cessione di sovranità
nazionale nei confronti di una forza armata straniera è incompatibile
con la aspirazione di pace del nostro Paese spiega Alfio Nicotra,
responsabile Pace del Prc, presente a Vicenza - Il rilancio ed il
potenziamento della presenza militare degli Stati Uniti nel nostro
Paese non riguarda solo Vicenza ma anche la Sicilia. A Lentini in
provincia di Siracusa per esempio è stato dato recentemente l'avvio ad
un megaprogetto insediativo per i militari USA di Sigonella (un
migliaio di villette su 91 ettari di aranceto). Sia a Lentini che a
Vicenza c'è lo zampino della Maltauro, la società specializzata nella
costruzione di megainsediamenti militari».
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manifestazione no camp dal molin 2 dicembre 06 Vicenza
Inviato da: "soccorsopopolare @ libero.it"
Sab 2 Dic 2006 8:37 pm
Grande grandissima manifestazione popolare contro il progettato Camp
Dal Molin a Vicenza oggi. Moltissime persone più delle 5000 previste.
Una massa di vicentini e di tantissima altra gente venuta dai paesi e
dalle città del veneto. 15.000 sicuramente, ma forse anche molti di
più hanno percorso le strade di Vicenza fino a circondare verso sera
con un lungo serpentone tutto l'aeroporto guardato da reparti in armi.
Del resto armatissima era la città con centuinaia e centinaia di
poliziotti e carabinieri ovunque. Piccoli grupetti di armigeri contro
un imponente fiume di popolo. La caratteristica di questa
manifestazione è la sua complessità, un intero popolo in tutte le sue
sfaccettature, nella sua moltitudine di comitati e organizzazioni di
ogni tipo ma tutte accumunate da una decisione: fermare ad ogni costo
la base. Bandiere no tav accanto a striscioni contro la guerra, a
bandiere sindacali e per la pace.
Lo sviluppo di questa imponente mobilitazione sarà un'assemblea
allargata dei comitati che garantirà l'ampliamento della mobilitazione
e la non contrattabilità dell'obiettivo. Sì può vincere e si deve
vincere. Marginalizzate sono già forme desuete di soggettivismo,
narcisimo grupettaro. Impedire l'apertura di questa grande base di
guerra è l'aiuto più concreto che possiamo dare ai popoli che
resistono. Impedirlo costruendo un blocco popolare è un ulteriore
grande contributo alla lotta contro l'imperialismo.
Da rimarcare la presenza di compagni di altre regioni dalla Toscana
alla Liguria al Piemonte alla Lombardia al Friuli a Roma. E' questa di
Vicenza la più grande mobilitazione contro una base della morte. Essda
si fonda e proviene dalle lotte decennali, anche se "carsiche" dei
comitati popolari veneti contro la guerra e per la pace. E' da
uagurarsi che la mobilitazione odierna si trasformi in blocco, in
fronte popolare e non sia decomposta dai soliti desueti giochi delle
soggettività politiche.
Oggi a Vicenza abbiamo aperto una nuova fase di massa che congiunge
assieme la lotta contro la guerra interna ( massacro del territorio)e
la guerra imperialista. Cerchiamo di tenerla aperta e favorire le
future iniziative di manifestazione di campo, di blocco e tutto quel
che sarà necessario a bloccare davvero i lavori.
CAMP DAL MOLIN NON PASSERA'
GLI USA POSSONO ESSERE BATTUTI NON SOLO IN IRAQ
(Fonte: aa-info @yahoogroups.com)
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Sulla manifestazione di Vicenza vedi anche:
https://www.cnj.it/INIZIATIVE/NODALMOLIN/
20Corriere%20della%20Sera%20del%2003.pdf
Dal Corriere della Sera del 03-12-06, pag. 19
autore: Rinaldo Frignani categoria: REDAZIONALE
L'incidente all'alba in una casa container a Roma, nel campo dove
vivono 48 famiglie. Giallo sulle attrezzature anti incendio
Rogo tra i nomadi, morti gli sposini
Il sacrificio di Sasha salva i familiari
Strappa alle fiamme i genitori, due sorelle, la nipotina. Non riesce
ad aiutare la moglie, 16 anni, incinta
ROMA — Giocava a pallone in una squadra di periferia. Voleva essere
un campione, magari della Roma, la sua squadra del cuore, ma prima di
questo, sognava di diventare papà. Invece Sasha Traikovic, 17 anni,
nomade serbo, sarà ricordato come un eroe: all'alba di ieri ha
salvato tutta la sua famiglia dal rogo del container dove abitava in
un accampamento a Centocelle, ma poi è morto tra le fiamme nel
tentativo di trascinare fuori sua moglie Ljuba Mikic, incinta al
secondo mese, prigioniera del fuoco scatenato dal corto circuito di
una stufa elettrica. Anche la ragazza, di appena 16 anni, non ce l'ha
fatta. I pompieri, chiamati inspiegabilmente quando ormai il rogo
aveva distrutto tutto, li hanno trovati carbonizzati, abbracciati
nella loro piccola stanza. A Sasha devono la vita il padre Pete, la
madre Gordana, due sorelle e una nipotina di 9 mesi.
Il dramma si è consumato alle 5.20 nell'accampamento in via dei
Gordiani, periferia est della Capitale. Un'area riqualificata dal
Campidoglio tre anni fa, quando il Comune donò a 48 nuclei familiari
di nomadi serbi e bosniaci (separati da vecchie ruggini e da una
recinzione metallica) altrettanti containers «ignifughi» prodotti da
una ditta di Parma. Strutture decisamente migliori delle baracche
fatiscenti dove, fino all'anno prima, i rom avevano abitato
dall'altra parte della strada in un campo non attrezzato distrutto da
un devastante incendio. Ma l'acqua corrente, i servizi igienici,
l'energia elettrica e le fognature non sono bastati per strappare due
giovanissimi sposi a una fine terribile. Il campo in via dei Gordiani
è anche lo stesso visitato a Ferragosto dal ministro dell'Interno
Giuliano Amato, che agli auguri nelle sale operative delle forze
dell'ordine preferì il contatto con le pattuglie su strada. E fra
quei containers grigi il ministro fu avvicinato da un giovane
apolide, Zwonko Djorgevic, nato in Italia ma condotto al cpt di Ponte
Galeria non appena maggiorenne perché non aveva mai fatto la
richiesta del permesso di soggiorno. Un episodio-simbolo, e non solo
per il ministro, della situazione esistente nell'accampamento, da
mesi in balìa anche di spacciatori di eroina e cocaina. Ma Sasha e
Ljuba, chiamati dagli amici «Sale» e «Lilli», erano lontani da tutto
questo. Lui, dopo aver lasciato gli studi, lavorava in un centro
sportivo del quartiere. La moglie, invece, voleva fare l'esame di
terza media e frequentava una scuola serale. Due giovani perbene in
un posto difficile, ben conosciuti fin da bambini anche dai volontari
della Comunità di Sant'Egidio, invitati al loro matrimonio in stile
gitano lo scorso 30 settembre. Sul rogo di ieri mattina la procura ha
aperto un'inchiesta per morte come conseguenza di altro reato.
Nella ricostruzione della tragedia c'è qualcosa che non convince i
carabinieri e i vigili del fuoco, intervenuti in forze dopo la prima
chiamata arrivata al «115» solo alle 6.10. Le prime squadre sono
giunte in via dei Gordiani otto minuti dopo. Le fiamme avevano già
avvolto tutto, compresa una veranda in legno costruita dagli amici di
Sasha per ingrandire il container della famiglia Traikovic. Ci sono
dubbi sulla presenza nel campo di attrezzature anti-incendio: i
bocchettoni esistono (uno si trova proprio sotto alla veranda
bruciata), ma gli investigatori hanno trovato solo una lancia usata
per spegnere il rogo dagli altri nomadi. Le altre, in dotazione ai
containers, sono scomparse. Così, per salvare i Traikovic, i vicini
di casa non hanno potuto fare altro che utilizzare un piccolo
estintore e un minuscolo tubo di gomma per innaffiare le piante.
Troppo poco contro un inferno che non ha lasciato scampo ai due sposi.
From: RP
Subject: Re: [JUGOINFO] Uno stupido articolo su Tito
Date: December 1, 2006 4:51:32 PM GMT+01:00
rispetto al "giornalista" Battistini... citato nella lettera al
Corriere da Ivan P. riportata qua sotto.
Il nome mi ricordava qualcosa e sono andato a cercare delle note di
qualche mese fa: dovrebbe essere lo stesso, quel Battistini, il
giornalista espulso - poveretto - da quel cattivone di Castro...
Ricordate anche il suo articolo sul Corriere della Sera del 23 maggio
in cui dava voce "al più autorevole oppositore del regime" Oswaldo Payà?
Bene, quell'articolo è pieno di menzogne e a rivelarlo e nientedimeno
che lo stesso Payà dalle pagine del sito del suo movimento.
Scrive Battistini citando Payà:
"La mia vita inquesti tre anni è diventata ancora più dura.
Da quando gli americani sono distratti dall'Iraq, e hanno bisogno di
Guantánamo, Castro fa quel che vuole."
Precisa Payà: << Non dissi mai "la mia vita in questi tre anni è
diventata ancora più dura. Da quando gli americani sono distratti
dall'Iraq, e hanno bisogno di Guantánamo, Castro fa quel che vuole".
Non ho nemmeno mai sfiorato il tema. >>
Continua Battistini: "Hanno incarcerato me e la mia famiglia. La
sicurezza dello Stato m'è entrata perfino in camera da letto, mentre
dormivo con mia moglie"
Precisa ancora Payà: << Non ho mai detto "hanno imprigionato me e la
mia famiglia..." non dissi mai "la sicurezza dello Stato m'è entrata
perfino in camera da letto, mentre dormivo con mia moglie". >>
Insomma è tutto un "non dissi mai".
Potete leggere l'articolo del Corriere:
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2005/05_Maggio/23/paya.shtml
e l'articolo del "dissidente cubano":
http://www.mclpaya.org/pag.cgi?page=viewnot&id=not.8549988.1552
RP
--- In JUGOINFO, "Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia"
<jugocoord@...> ha scritto:
From: Ivan
Subject: articolo su Tito
Date: November 22, 2006 10:29:16 AM GMT+01:00
To: lettere@...
Spett. Redazione
Ho comperato "Il Corriere" del 18 novembre scorso per ingannare un pò
il tempo viaggiando in treno.
Sfogliando l'inserto "Io donna" trovo l'articolo "Giù le mani da nonno
Tito" di Francesco Battistini.
Un articolo veramente stupido, oso dire "monnezza"! Le uniche parole
sensate riportate in questo articolo sono quelle di Francesco Cossiga,
che certo non è un "pacifista", "provocatorie" o meno: "Tito lo
conoscevo bene, era un grand'uomo e grazie a lui l'Adriatico è sempre
stato un mare amico. Ci ha fatto risparmiare centinaia di miliardi in
difese militari, su quel versante. E anche Trieste dovrebbe fargli un
monumento; quale esercito vittorioso fu il primo a entrare in città
alla fine della guerra, se non quello jugoslavo?"
Ma, il fotografo Zivan Gallic ha visto l'articolo per il quale ha
fatto il suo servizio?
Spett. Redazione e "Signor" giornalista Battistini, "la deposizione
del marchio" (il nome di Tito), effettuata sia in Serbia che in
Croazia dai familiari di Tito, dovrebbe salvaguardare il suo nome
anche da queste stupidità!
Ivan P.
--- Fine messaggio inoltrato ---
<< "Noi musulmani abbiamo bisogno di un papa forte", dice il gran
mufti di Sarajevo Mustafa Ceric al settimanale tedesco Zeit in una
lunga intervista. Secondo il gran mufti, Benedetto XVI, che ieri è
rientrato dal viaggio in Turchia, a Ratisbona ha fatto benissimo a
difendere la fede contro la sete di dominio del fanatismo religioso.
(...) "L'imam di Sarajevo il venerdi usava pregare per il Kaiser",
ricorda. >>
(fonte: Il Foglio quotidiano, 2/12/2006)
Incontro internazionale dei Partiti comunisti e operai a Lisbona
Il 10-12 novembre scorso si è svolto a Lisbona il tradizionale Meeting Internazionale dei Partiti Comunisti e operai, a cui hanno preso parte delegazioni di 63 partiti da ogni parte del mondo, mentre 17 partiti, impossibilitati per varie ragioni a partecipare, hanno inviato messaggi o contributi scritti.
Questo "evento" è stato costruito negli anni sopratutto per iniziativa del KKE greco, e infatti le prime otto edizioni si sono svolte ad Atene. Quest'anno il partito organizzatore è stato il Partito Comunista Portoghese (PCP), a conferma di uno sforzo per una maggiore circolarità e socializzazione nella preparazione di questo tipo di Conferenze, divenute la principale occasione di incontro/confronto per la quasi totalità dei Partiti comunisti del mondo.
Questo, già in sé, è un fatto di rilievo: dopo il crollo dell'Urss e la fase di isolamento/smarrimento delle forze comuniste, riprende un dialogo ed un confronto multilaterale che si era per molti anni interrotto, ed emergono anche i primi segni di una volontà di cooperazione e azione comune o convergente. Il tema all’ordine del giorno non è certo quello di una nuova "Internazionale dei comunisti", di cui non esistono certamente oggi le condizioni; lo spirito di questi appuntamenti è viceversa quello di offrire a tutte le forze comuniste e rivoluzionarie un "luogo" ed una occasione di confronto e di coordinamento.
Chi volesse leggere i vari interventi (per ora disponibili solo in inglese, francese, spagnolo, portoghese) potrà rendersi conto di quanto la ricerca sia aperta e non ingessata o precostituita.
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Rifondazione comunista sta puntando tutto sulla Sinistra europea, associazione che è nata nel gennaio 2004 e di cui fanno parte in tutto undici partiti della sinistra radicale continentale. Al punto da trascurare i vecchi compagni dell'Internazionale comunista. E’ un’osservazione non da poco, perchè questo attivismo, questo movimento a livello internazionale dà lo specchio di un movimento interno del Prc. “Se vuole sapere se per noi sono sullo stesso piano la Sinistra europea e l'Internazionale dei partiti comunisti e operai glielo dico subito - dice esplicito Ramon Mantovani, deputato, ex responsabile degli affari internazionali del Prc e membro della commissione esteri – è assolutamente più importante la prima”.
Ovvero, è più importante un movimento che nel nome non ha nemmeno la parola comunista, che include tanti partiti non comunisti e persino un ex socialdemocratico come il tedesco Oskar Lafontaine, ex ministro delle finanze di Gerhard Schroder. “Non deve sorprendere, d'altronde noi ci chiamiamo "Rifondazione" proprio perchè abbiamo sempre mirato a rifondare il comunismo - aggiunge Mantovani - La parola "comunista” non appare neanche nel Gue/Ngl, il nostro gruppo al parlamento europeo la cui sigla sta per "Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica". E questo perchè all'interno dei due gruppi ci sono anche movimenti non comunisti, sarebbe stata una violenza usare quella parola”.
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www.resistenze.org - 18-11-2006
INFORM AZIONI LOGISTICHE
PER PULLMAN E AUTO USCITA OBBLIGATORIA AUTOSTRADA VICENZA EST
Ritrovo corteo ore 13.00 a Villa Tacchi in Viale della Pace; ora partenza corteo entro le 14.00 dalla Caserma EDERLE.
Vicenza è salita prepotentemente alla ribalta delle cronache, negli ultimi tempi. Purtroppo non per le bellezze architettoniche o paesaggistiche che la contraddistinguono, ma perché questa città è stata scelta, all’insaputa dei suoi abitanti, per diventare lo snodo principale delle politiche militari statunitensi. L’aereoporto Dal Molin di Vicenza dovrebbe diventare, secondo gli strateghi del Pentagono, la base logistica più importante dell’esercito americano, proiettando la propria potenza di fuoco nel già martoriato Medioriente. La 173^ Airborne Brigade, attualmente dislocata tra Vicenza e la Germania, si trasformerebbe in una Unità d’Azione, pronta in poche ore a trasferirsi, armi e bagagli, nei vari scenari di guerra.
Questa è la volontà dell’amministrazione Bush.
Qualcosa di nuovo si è invece manifestato nella nostra troppo spesso sonnacchiosa città. Un movimento che, dal basso e in maniera del tutto autonoma, si è sollevato, ha organizzato una resistenza potente a questo progetto, aprendo una contraddizione enorme alla politica “ufficiale”, quella dei partiti, di centrodestra e centrosinistra. Se il governo precedente ha lavorato sottobanco per favorire questo insediamento militare, l’attuale governo ha dimostrato ben poca voglia di contrastarlo. Anzi, il ministro della difesa del governo Prodi ha testualmente definito “coerente e compatibile con le politiche militari del governo” questa nuova base di guerra.
Il movimento vicentino ha posto al centro della propria battaglia due aspetti fondamentali, tra loro concatenati: la tutela del territorio e dei beni comuni, lo spazio cittadino come identità collettiva, da difendere anche e soprattutto in nome delle generazioni future; in maniera altrettanto forte il no alla guerra e il rifiuto di diventare complici, più o meno consapevoli, di un meccanismo che produce lutti, tragedie e sofferenze, che rende la nostra vita quotidiana sempre più incerta e pericolosa. Questo movimento si è allargato proprio perché ha prodotto, nell’immaginario collettivo, l’idea che resistere a questo scempio fosse possibile, nonostante le enormi difficoltà e le pressioni messe in atto da chi vorrebbe speculare e far colare centinaia di migliaia di metri quadri di cemento, o da chi pensa che la guerra e le sue basi siano un modo come un altro per guadagnare soldi, e vede nelle caserme l’unico sistema per esportare democrazia e pace.
Questo intreccio forte ha permesso al movimento vicentino di espandere il proprio consenso anche oltre i confini locali, di far diventare questa lotta come propria da chiunque lo volesse.
Il movimento vicentino contro la nuova base Usa lancia quindi una manifestazione nazionale, da tenersi il 2 dicembre a Vicenza.
Quello che noi vogliamo costruire è un appuntamento che riproduca le dinamiche e le caratteristiche fin qui emerse, nel rispetto della battaglia che i cittadini di Vicenza in primis hanno fin qui condotto, capace di riprodurre in piazza la ricchezza di un movimento moltitudinario, che dia l’idea della sua ricchezza e della sua molteplicità di pensiero, linguaggio e pratica. Una piazza capace idealmente di mantenere assieme tutti coloro che si oppongono alla distruzione del territorio con quelli si oppongono alla guerra e lottano per la pace.
La piattaforma che scaturisce dal dibattito vicentino, marca alcuni punti fondamentali:
- No alla sottrazione e distruzione del territorio e dei beni comuni per la costruzione di presidi militari
- No alla guerra, alla sua mistificazione che la vorrebbe “buona” o “cattiva”, santa o umanitaria. No all’aumento delle spese militari.
- Desecretazione degli accordi riguardanti le basi militari e accesso pubblico alle informazioni
L’Assemblea Permanente di Vicenza, che riunisce comitati, associazioni, movimenti e singoli cittadini, lancia inoltre a tutte/i una campagna verso il 2 dicembre. Proponiamo quindi di costruire, per i giorni 24 e 25 novembre, delle iniziative territoriali davanti alle prefetture, ai municipi, alle basi militari, per lanciare la manifestazione nazionale del 2 dicembre, in solidarietà ai comitati e ai cittadini di Vicenza.
Vicenza, 5 novembre 2006
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STRUTTURA DEL CORTEO IN ORDINE DI POSIZIONE
FAMIGLIE CON BAMBINI, STATUNITENSI PER LA PACE, E ASSEMBLEA PERMANENTE (TESTA DEL CORTEO) QUI SOLO BANDIERE "NO DAL MOLIN" E LO STRISCIONE "DIFENDERE LA TERRA, PER UN UN FUTURO SENZA BASI DI GUERRA"
CAMION con la postazione di Radio Sherwood
COMITATI CITTADINI, ASSOCIAZIONI LOCALI ADERENTI: cooperative, beati, ...
CENTRI SOCIALI
CUB, SINDACATI DI BASE,
CENTRI SOCIALI
PARTITI POLITICI
COMITATO VICENZA EST E RIFONDAZIONE COMUNISTA (CODA CORTEO)
MUSICA E SPETTACOLI ALLA FINE DELLA MANIFESTAZIONE
I Nerovivo, Luca Bassanese, L'Impossibile Banda degli Ottoni, Seven Gnoms e Skart Crew suoneranno alla manifestazione nazionale di sabato 2 dicembre contro l'insediamento di una nuova base militare americana all'aeroporto Dal Molin di Vicenza. I concerti si terranno al parco giochi di via Aeroporti a Rettorgole Le cittadine e i cittadini dell'Assemblea Permanente di Vicenza
PER ADERIRE INVIA UNA MAIL ALL'INDIRIZZO nodalmolin@...
oppure scrivi la tua adesione sul Blog di www.AltraVicenza.it
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ALTRI LINK:
VICENZA. LA GUERRA PREVENTIVA DENTRO CASA
La storia, i pericoli, i documenti e le mobilitazioni contro la nuova base militare USA all'aereoporto Dal Molin
http://www.contropiano.org/Documenti/2006/Ottobre06/DossierDalMolin/Dal-Molin_dossier.asp
Vicenza, 2 dicembre: manifestazione nazionale contro le servitù militari e contro la guerra
VIDEO: "No Usa al Dal Molin". L'intervento del capogruppo PRC al consiglio comunale di Vicenza
http://www.youtube.com/watch?v=gl-0ItBWQYw
Aggiornamenti, approfondimenti e rassegna stampa
http://www.globalproject.info/art-10058.html
Base di Vicenza: Rimodulazione delle forze Usa
http://www.resistenze.org/sito/os/ip/osip6f11.htm
Libano: Soldati Unifil, corsi in Israele
I genieri italiani diretti nel Libano del Sud partecipano a dei corsi
«di formazione professionale» organizzati per i reparti dell'Unifil
dall'esercito israeliano. Cinque membri del contingente italiano sono
stati di recente in Israele per un corso d'addestramento. La prossima
settimana toccherà ai soldati del contingente spagnolo.
Fonte: Il Manifesto, 24 novembre 2006
di Vladimiro Giacché*
1. Retorica antica e menzogne moderne
Questa rivista ha denunciato più volte la sistematica opera di
deformazione della realtà posta in essere – in modo sempre più
smaccato – dall’informazione “ufficiale”.
Tra tutti i metodi utilizzati per distorcere e “addomesticare” la
verità, ce n’è uno oggi particolarmente in voga. Possiamo definirlo
il “metodo della sineddoche indebita”. La “sineddoche” è una figura
retorica ben nota già ai maestri di eloquenza dell’antichità. Nella
sua variante più usata, essa consiste nell’adoperare la parte di una
cosa per designare la cosa nella sua interezza (pars pro toto). Così,
nell’espressione “accolse sotto il suo tetto”, il termine “tetto”
indica la casa nel suo insieme. Si tratta di un modo di esprimersi
che può essere letterariamente efficace, e che comunque nel caso
specifico non è improprio: infatti il tetto è una parte essenziale
della casa.
Spostiamoci adesso dal mondo delle belle lettere e passiamo a quello
della cattiva informazione. È qui che ci imbattiamo nella sineddoche
indebita. Che consiste nel trascegliere, all’interno di un fenomeno
complesso, un elemento irrilevante (e comunque non caratterizzante)
ed utilizzarlo quale elemento qualificante per descrivere e definire
quel fenomeno. Sembra una cosa un po’ astrusa, invece è
concretissima. È il metodo che la stampa italiana, nella sua quasi
totalità, ha adoperato a proposito di almeno tre diverse recenti
manifestazioni di protesta.
2. La realtà inventata: 3 episodi significativi
Primo episodio. Manifestazione del 20 marzo 2004: 1 milione di
persone in piazza a Roma contro la guerra in una grande
manifestazione pacifica. Al termine della manifestazione, un piccolo
gruppo di manifestanti (10 persone? 20 persone?) inveisce contro il
segretario dei DS Fassino, colpevole ai loro occhi (e a dire il vero
anche ai nostri) di aver aderito due giorni prima ad una pagliaccesca
manifestazione “unitaria contro il terrorismo” assieme agli Schifani
e ai Cicchitto – manifestazione non a caso andata completamente
deserta. La Quercia, dopo qualche esitazione iniziale, decide di
cavalcare la vicenda. Il risultato è visibile sui quotidiani di
domenica 21, e soprattutto (a causa appunto dell’esitazione) su
quelli di lunedì 22 marzo. Emblematica la Repubblica del 22 marzo:
tutti, ma proprio tutti, gli articoli dedicati alla manifestazione si
limitano a chiosare-commentare-condannare la contestazione a Fassino.
Secondo episodio. Venerdì 4 giugno 2004, in una Roma spettralmente
blindata, si svolge la visita di Bush jr. Altra manifestazione contro
la guerra, questa volta esplicitamente sabotata da gran parte del
centro sinistra (eccetto Rifondazione, PdCI e Verdi). In questo caso
il casus belli è rappresentato dallo slogan “dieci, cento, mille
Nassiriya” che – a quanto afferma Mario Reggio sulla Repubblica –
viene “scandito un paio di volte nei pressi della Piramide Cestia”,
proprio all’inizio del corteo, da un gruppetto di imbecilli (o
peggio), stranamente non più rintracciabili durante il corteo.
Ovviamente tutti i quotidiani – inclusa la Repubblica – dedicano
all’episodio la maggior parte dello spazio dedicato alla
manifestazione, con relativi titoli scandalizzati.
Terzo episodio. Sabato 18 febbraio 2006. Manifestazione per la
creazione di uno Stato palestinese. La manifestazione, organizzata
dal Forum Palestina, viene sostenuta da molte associazioni e dai
sindacati di base, ma boicottata da quasi tutto il centrosinistra:
soltanto il PdCI aderisce come partito; vi sono poi alcuni
parlamentari dei Verdi, e una rappresentanza delle minoranze di
Rifondazione. La segreteria di quest’ultimo partito boicotta
attivamente la manifestazione, facendo ritirare l’adesione anche a
gruppi e singoli che in un primo momento avevano aderito: così – ad
esempio – Alì Rashid e Luisa Morgantini “scoprono” all’improvviso di
non aver sulle prime letto bene il manifesto di convocazione della
manifestazione, e di trovarsi in disaccordo con esso. Disaccordo ben
strano, se si pensa che la manifestazione propone nientemeno che… il
rispetto delle risoluzioni dell’ONU sullo Stato di Palestina con
capitale a Gerusalemme Est e sulla necessità che gli israeliani si
ritirino dai Territori occupati nel 1967. Comunque sia, la
manifestazione si svolge normalmente, e si conclude con diversi
interventi interessanti. In essi viene tra l’altro rivendicata
l’importanza della resistenza nei confronti degli aggressori e degli
occupanti, in Palestina come in Irak. Uno degli organizzatori ricorda
dal palco come il termine di “resistenza” non dovrebbe destare
scandalo in un Paese come il nostro, che sino a prova contraria è una
Repubblica sia “fondata sulla Resistenza”. Niente di tutto questo
finisce sui TG e sui giornali del giorno dopo (uniche eccezioni: TG3
e “Liberazione”). Ci finiscono invece 4 o 5 idioti che, sul finire
della manifestazione, danno fuoco a una bandiera Usa e a una banidera
israeliana e inneggiano a Nassiriya (evidentemente, repetita
iuvant…). Tra i titoli più garbati quello di Repubblica: “Al rogo le
bandiere di Israele e USA”; sottotitolo: “Un gruppuscolo, che
inneggia a Nassiriya, irrompe al corteo pro Palestina”. Ecco fatto:
episodi assolutamente marginali, talmente marginali che la gran parte
dei manifestanti ne ha appreso l’esistenza soltanto dai mezzi di (dis)
informazione, diventano la notizia. Che oltretutto viene riportata
incompletamente: ossia evitando accuratamente di aggiungere che gli
autori delle bravate di cui sopra (un tempo si definivano
“provocazioni”) sono stati allontanati in malo modo dalla
manifestazione. Da questa non-notizia che diventa titolo sono
ovviamente sorte le solite polemiche mediatico-politiche (ormai è
impossibile separare i due termini: la società dello spettacolo ha
letteralmente inghiottito la “politica politicante”). Con fiumi di
inchiostro indignato versato da politologi, opinionisti e politici.
Tutta gente che quindi – come Max Stirner – ha “fondato la sua causa
sul nulla” (ma, a differenza di Stirner, senza esserne consapevole).
3. Qualche motivo di riflessione
Gli esempi citati sopra ci offrono diversi motivi di riflessione.
Proviamo a metterli in fila.
1) Sempre più spesso accade che la realtà non sia nient’altro che la
rifrazione della sua immagine sui media. Detto in altri termini: la
costruzione della realtà operata dalla “informazione” ormai
sostituisce la realtà stessa. In concreto, per i lettori dei giornali
del 19 febbraio, ad eccezione di coloro che vi avevano partecipato,
la manifestazione del 18 febbraio è stata una manifestazione in cui
roghi rituali di bandiere si alternavano a slogan pro-Nassiriya.
Punto e basta. La realtà è la sua rappresentazione. E nei casi di cui
ci siamo occupati, questo meccanismo ha determinato un completo
capovolgimento della realtà e della verità dei fatti.
2) Chi prenda in esame le tre manifestazioni citate può facilmente
accorgersi di un fatto incontrovertibile: la portata del sostegno
“partitico-istituzionale” alle manifestazioni sulle guerre del Medio
Oriente nel corso del tempo si è drasticamente ridotta. Prima hanno
cominciato a sfilarsi Ds e Margherita, poi i Verdi e la maggioranza
di Rifondazione. Ovviamente, questo ridursi della “solidarietà”
istituzionale non è estraneo all’ampiezza dei “cori” giornalistici
(non è un caso che uno dei peggiori articoli sulla manifestazione del
18 febbraio si sia potuto leggere sul manifesto, a firma di Sara
Menafra). Ma perché il sostegno “politico-istituzionale” si riduce?
La risposta prevalente nei commenti politici e giornalistici è: la
colpa è di chi manifesta. Le parole d’ordine devono essere
“ragionevoli”, non bisogna parlare di “resistenza” ma di
“terrorismo” (Fassino e Rutelli), alla guerra bisogna rispondere con
la non-violenza (Bertinotti e Pecoraro Scanio), bisogna “valutare il
rapporto delle forze” (Rossanda), ecc. ecc. ecc. Ma le cose stanno
veramente così?
3) No. Il discorso va in qualche modo rovesciato. Il problema non è
che le manifestazioni siano “irragionevoli”. Il problema è che il
concetto di “ragionevolezza” fatto proprio dall’establishment si è
progressivamente ampliato – a spese della ragione (e del buon senso).
Oggi è “estremismo” dire che le risoluzioni ONU sulla Palestina vanno
rispettate; è “estremismo” dire che Bush e Blair sono criminali di
guerra (lo sono in senso letterale: secondo il Tribunale di
Norimberga il massimo crimine è rappresentato dalla “guerra di
aggressione”); è “estremismo” dire che in Irak non è stata esportata
alcuna “democrazia”, ma disgregazione statuale e guerra civile
permanente; è “estremismo” dire che le armi di distruzione di massa
gli Usa in Irak non soltanto non ce le hanno trovate, ma le hanno
portate e le hanno usate (Falluja docet). Perché accade questo?
4) Rispondere a questa domanda non è semplice. Una cosa però è certa:
non è la prima volta che il concetto di “ragione” vede drasticamente
limitati i suoi diritti e il suo stesso significato. Pensiamo
soltanto, per restare a quanto accaduto nel Novecento, alle ondate
ricorrenti di nazionalismo, sciovinismo e razzismo, che hanno
preceduto e accompagnato i massacri coloniali prima, la grande
carneficina della prima guerra mondiale poi, e infine fascismo e
nazismo. È il capitale che, per avere più libertà di movimento, ha
bisogno di mettere la ragione agli arresti domiciliari. Tornando ai
nostri anni, è evidente il piano inclinato su cui sta scivolando da
almeno un quindicennio la tanto mitizzata “civiltà
occidentale” (concetto ideologico per eccellenza, che ha tra l’altro
il vantaggio di cancellare la realtà dei conflitti
interimperialistici). Guarda caso, è proprio con la sconfitta del
Nemico per antonomasia, il “comunismo sovietico”, che hanno ripreso a
correre scatenati i “cani della guerra”: prima Irak 1, poi Bosnia,
poi Kosovo, poi Irak 2; e presto sarà il turno dell’Iran. Questo sul
piano internazionale. Contemporaneamente si sono colpiti e si
colpiscono in ogni Paese i diritti dei lavoratori e il salario nelle
sue diverse forme (diretto, indiretto, differito). All’estero come
all’interno, trionfa insomma la “ragione del più forte”. È a questa
“ragione” che si piega la “ragionevolezza” degli imperialisti rosé di
casa nostra, dei gandhiani dell’ultimora, dei fautori di una
Realpolitik che significa - sempre più spesso e sempre più
chiaramente – piegarsi semplicemente e senza batter ciglio al diritto
delle armi, alla logica della violenza, della sopraffazione e della
morte. In una parola: alla logica della guerra.
4. Restituire le parole alle cose
È essenziale avere la consapevolezza della posta in gioco. È
essenziale capire che a questa deriva, costi quello che costi, non
bisogna piegarsi. La “ragione dimezzata”, la “ragionevolezza” dei
“però” e dei “tuttosommato” è da sempre la migliore alleata del
dominio e della sua barbarie. E allora bisogna resistere. Si può
farlo in diversi modi.
In primo luogo, chiamando le cose con il loro nome. Qui il motto
potrebbe essere: la tautologia è rivoluzionaria. Qualche esempio. Un
muro è un muro, soprattutto se è alto 8 metri e lungo 730 km: non è
un “recinto di protezione”. Non è un “recinto” perché è un muro; e
non è “di protezione” perché – anziché essere costruito sui confini
(già illegali) del 1967 – confisca il 43% dei residui territori
palestinesi. Un criminale di guerra è un criminale di guerra: non è
uno statista e tantomeno un “uomo di pace”. Chi resiste a
un’occupazione militare straniera è un resistente – e non un
terrorista. Una bugia è una bugia – e non un “errore”. Le torture
sono torture – e non “abusi”. E così via.
In secondo luogo, denunciando e combattendo i cliché dominanti. Che
non sono semplici parole, ma schemi di pensiero. E che, in quanto
tali, sono più insidiosi e pervasivi delle singole menzogne e dello
stravolgimento di singoli fatti. Questi cliché hanno contribuito alla
scarsa incisività del cosiddetto “movimento no-war” dopo lo scoppio
della guerra, anche nei confronti di eventi di estrema gravità quali
le torture di Abu Ghraib e l’uso del fosforo bianco a Falluja. I
cliché pesso esistono in due versioni: quella hard (quella urlata dai
Pera e dai Ferrara, tanto per capirsi) e quella soft (quella dei pen
[s]osi “leader” del “centro-sinistra”: Rutelli e Fassino, tanto per
non far nomi). Le due versioni vanno combattute con la medesima
energia. Anche qui, qualche esempio:
Cliché n. 1: L’Occidente è portatore di una civiltà superiore
- Versione hard: È quella contenuta nei testi della Fallaci e nei
discorsi di Calderoli.
- Versione soft: L’Occidente è superiore in quanto non è integralista
ed è “tollerante”. Ovviamente, rispetto a tale dato di fondo è del
tutto irrilevante il fatto che negli ultimi anni eserciti e armi
dell’Occidente abbiano ammazzato decine di migliaia di civili in
Afghanistan e in Irak.
Cliché n. 2: L’Occidente è portatore di un sistema politico superiore
(“democrazia”).
Si tratta di una variante del cliché precedente. È di importanza
fondamentale nel dispositivo del discorso ideologico contemporaneo.
L’Occidente è portatore della “democrazia” e nemico delle “dittature”
e dei “totalitarismi”.
Questo cliché ha consentito a Blair addirittura di fare un uso
apologetico della scoperta delle torture praticate in Irak dai
soldati inglesi: “La differenza tra democrazia e tirannia non è che
in una democrazia non accadono cose brutte, ma che quando accadono se
ne chiede conto ai responsabili”. In sintesi: se le porcherie che
facciamo non vengono scoperte, il nostro è un sistema politico
superiore perché non c’è nulla che dimostri il contrario; se vengono
scoperte, il fatto stesso che vengano scoperte dimostra che il nostro
è un sistema politico superiore. Lo schema può essere variato
all’infinito: così, si può argomentare che la scoperta delle menzogne
di guerra dimostra la buona fede degli Usa e la trasparenza del
sistema ecc.
Da questo luogo comune discende poi il
Cliché n. 3: è legittimo (ed anzi opportuno e necessario) esportare
la democrazia.
Se si accetta questo presupposto si è indotti ad accettarne molti
altri. Qualche esempio, applicato alla guerra irachena:
Cliché n. 4. La resistenza irachena è terrorismo (o comunque un
fenomeno tribale pre-moderno).
Cliché n. 5. In Irak il problema è il “terrorismo” e non l’invasione
angloamericana (e italiana).
Per avere un’idea di come quest’ultimo cliché possa orientare
l’informazione, si può prendere un articolo uscito su la Repubblica
del 27 gennaio 2005, alla vigilia delle elezioni in Irak. È di
Bernardo Valli, ed è abbastanza equilibrato. Nel testo l’articolista
si chiede tra l’altro: è possibile esprimersi in un paese “in stato
d’assedio, occupato da truppe di una superpotenza straniera… e di
trenta potenze minori, da ausiliari armati come in un Far West
mediorientale? In un paese minacciato da una guerriglia disperata e
spietata?”. Questo ragionamento nell’occhiello diventa: “resta la
questione: è possibile esprimersi liberamente in un paese
assediato?”. L’informazione viene selezionata sulla base del cliché
secondo cui il problema è il “terrorismo”, ed il gioco è fatto: gli
invasori sono spariti, e i resistenti sono diventati “assedianti”.
Va notato che sul presupposto della “legittimità di esportare la
democrazia” è stata costruita – una volta venute meno quelle
originarie – una giustificazione posticcia dell’invasione dell’Irak:
che sarebbe avvenuta, appunto, allo scopo di “esportare la
democrazia”. È assai singolare che buona parte del centrosinistra
italiano si sia bevuta questa ennesima menzogna, perdipiù a scoppio
ritardato: il tema dell’“export della democrazia” infatti non era
neppure tra le (false) motivazioni a suo tempo addotte per aggredire
l’Irak. In ogni caso, chiunque conosca la storia del colonialismo non
avrà difficoltà a rinvenire i precedenti di questa “giustificazione”.
Ma in terzo luogo, oltre a combattere i cliché dominanti, bisognerà
offrire un’interpretazione alternativa degli eventi. Rifiutando i
cliché sia nella versione hard che in quella soft e contrapponendo ad
essi un’altra interpretazione generale di ciò che è avvenuto. Così,
l’invasione dell’Irak non è né una tappa della guerra contro il
terrorismo, né un errore. Cos’è, allora? Harold Pinter l’ha definita
così: “un atto di banditismo, di puro terrorismo di stato, che
dimostra un disprezzo assoluto per il concetto stesso di legge
internazionale. L’invasione è stata un’azione militare arbitraria che
si è nutrita di bugie su bugie e di una volgare manipolazione dei
media e quindi dell’opinione pubblica; un atto che aveva l’obiettivo
di consolidare il controllo militare ed economico degli Usa sul Medio
Oriente, camuffandolo – una volta manifestatesi infondate tutte le
altre giustificazioni – da liberazione. Un formidabile dispiegamento
di forza militare che ha la responsabilità della morte e della
mutilazione di migliaia e migliaia di persone innocenti. Abbiamo
portato tortura, cluster bombs, uranio impoverito, innumerevoli atti
di assassinio indiscriminato, miseria, degradazione e morte al popolo
iracheno e l’abbiamo chiamato ‘portare libertà e democrazia al Medio
Oriente’”.
Sono parole tratte dal discorso pronunciato dal drammaturgo
britannico per il conferimento del Nobel, il 7 dicembre dello scorso
anno. Sfortunatamente, nessun giornale italiano ha ritenuto opportuno
riproporle ai suoi lettori.
* l'articolo pubblicato è uscito sul nr.113 della rivista La
Contraddizione
Le Président Slobodan Milosevic est mort. Il a travaillé jusqu'à l'épuisement de ses forces physiques afin que les greffiers serviles du TPI n'écrivent pas l'Histoire de l'ex-Yougoslavie. Nous avons eu le privilège et l'honneur de le rencontrer longuement dans sa cellule au cours de l'année 2005. En arrivant pour la première fois au centre de détention de Scheveningen, nous n'avions pas de sentiment particulier à l'égard de cet homme que nous n'avions jamais rencontré auparavant, mais à la fin de notre témoignage nous éprouvions pour lui de l'amitié et même, disons le clairement, de l'affection.
A l'heure où les hypothèses sur sa mort vont bon train, nous voudrions souligner des faits, évidents et objectifs, qui ont incontestablement aggravé sont état de santé. Slobodan Milosevic ne demandait pour lui-même que deux choses. D'abord, le droit de voir sa famille. Ensuite, le droit de bénéficier d'un traitement médical conforme aux données actuelles de la science. Ces deux droits fondamentaux lui ont été refusés par des individus dont l'hypocrisie n'a d'égale que la bassesse d'âme. Il y a quelques mois, Slobodan Milosevic nous avait demandé de relire une lettre qu'il venait de rédiger en français à l'intention de Javier Solana. Il nous priait de corriger d'éventuelles erreurs de style dans une langue "diplomatique" qu'il ne maîtrisait pas. Nous ne pensons pas trahir un secret en publiant cette lettre dans B. I.
La voici : "Monsieur Solana. Vous savez bien que je dirigeais mon pays et ses forces armées au moment où vous avez déclenché les frappes contre la Yougoslavie et vous n'ignorez pas qu'à présent je me trouve dans votre prison de Scheveningen. La différence fondamentale entre ma personne et les autres détenus qui m'entourent ne réside pas seulement dans le fait que je suis le seul chef d'Etat emprisonné ici mais également dans le fait que je suis la seule personne qui se voit privée de la possibilité de voir sa famille. Je vous décris ma situation car je ne suis pas sûr que vous soyez informé des conditions de ma détention et je ne peux imaginer qu'un homme digne de respect puisse se rendre responsable d'une telle vilénie. Les mesures de rétorsion à l'encontre de l'épouse et des enfants d'un adversaire sont indignes d'un homme d'honneur. Au regard des hautes fonctions qui furent les vôtres et qui sont également les vôtres aujourd'hui, je ne peux douter que vous prendrez les mesures nécessaires afin que les membres de ma famille puissent se rendre et séjourner librement aux Pays-Bas pour me rendre visite. Slobodan Milosevic."
Force est de constater que Javier Solana a cautionné cette vilenie et a révélé, une fois de plus à cette occasion, sa grande carence d'âme. Il est certain que le stress provoqué par la privation de tout contact familial depuis plus de quatre ans a joué un rôle délétère dans l'évolution de son affection cardiovasculaire.
Vers la fin de l'année 2005, alors que son état de santé se dégradait, Slobodan Milosevic nous avait demandé de rechercher un spécialiste français de cardiologie qui accepterait de l'examiner dans sa prison car il n'avait aucune confiance dans les médecins assignés d'office par l'autorité pénitentiaire.
Madame le professeur Florence Leclercq, chef de service de cardiologie au CHU de Montpellier, accepta généreusement de se rendre à La Haye en compagnie d'un cardiologue serbe et d'une cardiologue russe. Leur rapport d'expertise concluait à la nécessité d'un repos, d'une adaptation du traitement et d'un certain nombre d'examens complémentaires. Ils n'ont pas été entendus. Peu après l'annonce du décès de Slobodan Milosevic, le professeur Florence Leclercq nous a adressé un message précisant : "Je suis triste que les examens que nous avions demandés n'aient pas été réalisés".
Concernant la "théorie de la Rifampicine", il convient de souligner que la pathologie cardiovasculaire dont souffrait Slobodan Milosevic ne constituait ni une contre-indication absolue ni même une contre-indication relative à la prise de cet antibiotique. La Rifampicine, en cas de prise répétée, est seulement capable de diminuer l'efficacité de certains traitements par un mécanisme d'induction enzymatique, en modifiant en particulier le métabolisme hépatique. Il est donc stupide de prétendre qu'une prise de Rifampicine puisse être responsable d'une mort subite assimilable à une forme de suicide. La thèse du suicide peut être écartée sans l'ombre d'un doute. Il est clair que le décès brutal de Slobodan Milosevic n'aurait jamais pu être mis sur le compte de l'évolution normale et prévisible de sa pathologie cardiovasculaire si cette dernière avait été correctement prise en charge. Il s'agit donc d'un "assassinat judiciaire" provoqué par des conditions de détention inhumaines et des soins médicaux approximatifs et inadaptés, "consentis" par des médecins aux ordres de l'autorité pénitentiaire.
Slobodan Milosevic a porté sur ses épaules, jusqu'à l'épuisement, les charges de tout son peuple, accumulées sadiquement par Madame Carla Del Ponte. Jamais un chef d'Etat ne s'est montré aussi digne de sa fonction que le Président Milosevic dans les geôles du TPI. Ceux-là même qui lui refusent aujourd'hui des "funérailles nationales" ont depuis bien longtemps oublié le sens du mot "nation", pour le plus grand malheur de la Serbie. Mais ses amis, et Dieu sait qu'ils sont nombreux, viendront se recueillir sur sa tombe dans son village natal de Pozarevac, avec le profond respect et toute l'affection qu'il mérite. Et nous sommes fiers d'en faire partie à jamais.
Patrick BARRIOT, médecin colonel, chargé de cours dans plusieurs facultés dont celle de Montpellier, et Eve CREPIN, qui prépare un doctorat d'histoire sur les Serbes de Krajina, tous deux anciens casques bleus en Yougoslavie. Et auteurs de trois livres publiés aux éd. de l'Age d'homme.
=== 2 ===
Italia – Roma, 27 agosto 2006
All’ attenzione dell’ Illustre Segretario Generale dell’ ONU,
Signor Kofi Annan
Onorato Segretario Generale,
pur consapevoli ch’ Ella è chiamata a dare la sua attenzione e la Sua opera ai gravissimi problemi che coinvolgono popoli e paesi di questo nostro pianeta, ci rivolgiamo a Lei, certi che l’ appello di noi Partigiani nella lotta di Resistenza contro il nazifascismo, non le sarà indifferente.
Come Ella ben conosce, abbiamo lottato contro le ingiustizie, contro il razzismo, nel nome della Pace e della collaborazione tra i singoli dei divrsi continenti e nel rispetto delle diverse realtà statali.
Sono le ingiustizie, Signor Presidente,che ancora oggi sollevano la nostra militante indignazione!
Vogliamo parlare del Presidente jugoslavo Slobodan Milosevic Non vogliamo commentare qui, il suo arresto in quanto, in quel tribunale definito ICTY, se questa prassi si doveva seguire, ben altri capi di Stato avrebbero dovuto e dovrebbero rispondere di massacri, di genocidi di aggressioni a popoli inermi, di inquinamenti, di rovina dei mari ed altro.
Noi chiediamo il Suo autorevole intervento affinché chi di dovere sia chiamato a rispondere di OMISSIONE DI SOCCORSO per la quale si è causata la morte prematura ed evitabile di Slobodan Milosevic.
Questo è un omicidio, Signor Segretario Generale e noi ci riserviamo di costituirci parte civile contro gi assassini in oggetto. Non ci si può e non ci si deve sottrarre a far luce su questa grave pratica, relativa all’ omissione di soccorso, sancita come reato in tutti i codici civili, penali e morali del mondo. Pensiamo che la famiglia Milosevic e i milioni di cittadini in Jugoslavia, in Serbia e nel resto del mondo che lo hanno stimato e compianto, debbano fruire almeno di un atto di onesta chiarificazione e di appropriata condanna.
Nel ringraziare, restiamo fiduciosi di un Suo giusto e necessario intervento. Cordialmente salutiamo
per ICDSM-Italia il Presidente
Miriam Pellegrini Ferri
Subject: articolo su Tito
Date: November 22, 2006 10:29:16 AM GMT+01:00
To: lettere@...
Spett. Redazione
Ho comperato "Il Corriere" del 18 novembre scorso per ingannare un pò
il tempo viaggiando in treno.
Sfogliando l'inserto "Io donna" trovo l'articolo "Giù le mani da nonno
Tito" di Francesco Battistini.
Un articolo veramente stupido, oso dire "monnezza"! Le uniche parole
sensate riportate in questo articolo sono quelle di Francesco Cossiga,
che certo non è un "pacifista", "provocatorie" o meno: "Tito lo
conoscevo bene, era un grand'uomo e grazie a lui l'Adriatico è sempre
stato un mare amico. Ci ha fatto risparmiare centinaia di miliardi in
difese militari, su quel versante. E anche Trieste dovrebbe fargli un
monumento; quale esercito vittorioso fu il primo a entrare in città
alla fine della guerra, se non quello jugoslavo?"
Ma, il fotografo Zivan Gallic ha visto l'articolo per il quale ha
fatto il suo servizio?
Spett. Redazione e "Signor" giornalista Battistini, "la deposizione
del marchio" (il nome di Tito), effettuata sia in Serbia che in
Croazia dai familiari di Tito, dovrebbe salvaguardare il suo nome
anche da queste stupidità!
Ivan P.
L'associazione Zastava Trieste e la redazione de La Nuova Alabarda, in
occasione del Dan Republike (29 novembre) presentano la ristampa
integrale del testo "Trieste nella lotta per la democrazia", edito
originariamente dall'Unione antifascista italo-slovena nel novembre 1945.
Il testo parte dall'inizio del Novecento per parlare dei rapporti tra
le varie popolazioni del territorio detto della Venezia Giulia e
comprende la storia del fascismo e della repressione da esso compiuta,
la storia della Resistenza locale ed infine documenti ed analisi
relativi al periodo del potere popolare a Trieste fino all'arrivo
degli angloamericani ed i rapporti che l'UAIS ebbe con il Governo
Militare Alleato.
Si tratta di un testo praticamente introvabile nella sua edizione
originale e che ricopre un'importanza particolare per un'analisi della
storia del periodo al di là dei troppo facili e diffusi luoghi comuni.
La presentazione si terrà
sabato 2 dicembre alle ore 18
presso la Casa del Popolo di Sottolongera
(via Masaccio 24. Capolinea bus 35/)
LA NUOVA ALABARDA
PERIODICO DI INFORMAZIONE INDIPENDENTE
Reg. Tribunale di Trieste
n. 798 d.d. 16/10/1990
http://www.nuovaalabarda.org/
Gruppo Zastava-Trieste
Internazionalismo e Solidarieta'