Informazione

Perché la solidarietà non cessi
(le adozioni a distanza alla Zastava di Kragujevac)

PER UN DESIDERIO DI PACE
SABATO 16 DICEMBRE 2006
ore 16.00
Sala "Montes", via Trieste 17, Staranzano (GO)

Sarà presente
Gilberto Vlaic, vicepresidente dell'Associazione Non bombe ma solo
Caramelle - ONLUS

L'associazione Zastava si occupa di portare aiuti nelle zone della
Serbia bombardate dalla Nato nel 1999 e principalmente a Kragujevac
dove c'era l'omonima fabbrica di automobili. Verranno proiettati
filmati che mostrano i danni provocati dalla guerra e i progetti
umanitari realizzati per aiutare quelle popolazioni. Seguirà un
dibattito.
La cittadinanza è invitata a partecipare.

L'incontro è organizzato dall'ANPI di Staranzano con la
collaborazione di:
SPI-CGIL, AUSER. Con il patrocinio del Comune di Staranzano

L' Associazione " Z A S T A V A " di Brescia era nata, quasi
spontaneamente, subito dopo i bombardamenti Nato che avevano
distrutto i reparti essenziali della più grande fabbrica di
autoveicoli dei Balcani: la "ZASTAVA", appunto, situata a
Kragujevac, a sud di Belgrado. Su iniziativa di delegati delle RSU e
sindacalisti FIOM-CGIL era sorto un primo coordinamento presso la
Camera del Lavoro di Brescia. Lo stesso era avvenuto in tante città
e realtà aziendali di tutta Italia. Moltissimi lavoratori,
pensionati, semplici cittadini si erano resi conto della portata del
disastro economico e sociale che stava avvenendo in quella città:
36.000 operai e tecnici, che con l' indotto arrivavano a 60.000,
passavano, in un attimo, da una condizione di lavoratori con una
vita normale, ad una condizione di disoccupati estremamente poveri!
Ed allora tanti piccoli uomini, animati da una concezione
solidaristica della vita che non conosce confini, univano i loro
sforzi e davano avvio ad un progetto per affrontare l' emergenza:
innanzitutto è stato necessario dare un po' di sollievo dalle
preoccupazioni economiche a chi era più disagiato fra i tanti
disagiati, sostenere chi aveva una famiglia numerosa, chi aveva
bimbi piccoli ( le famiglie numerose sono ancora tante a
Kragujevac ) e, soprattutto, dare un segnale di solidarietà
concreta, e sappiamo bene quanto valga dal lato psicologico il non
sentirsi soli.
Molti anche gli enti pubblici, i sindacati di categoria e le
rappresentanze sindacali di tante aziende grandi e piccole , qualche
direzione aziendale, che hanno contribuito alla realizzazione del
progetto di adozione a distanza di bambini figli di lavoratori della
fabbrica distrutta che sono stati selezionati mediante l' opera del
sindacato autonomo Zastava: in pochissimi giorni 250 bambini e
bambine hanno avuto dei genitori adottanti a Brescia, ben 1.500 in
tutta Italia! L' impegno è consistito nel versare 50.000 lire al
mese (oggi 26 Euro ). L' importo può sembrare esiguo, se rapportato
al valore dei soldi in Italia; ma bisogna considerare che in
Jugoslavia il contributo che i lavoratori in mobilità ricevono(
quando lo ricevono ) non arriva alle 28.000 lire mentre quelli più
fortunati che ancora risultano occupati nella Zastava percepiscono
dalle 70 alle 80 mila lire mensili. Le somme raccolte sono state
portate, in varie spedizioni, da volontari dell' Associazione a
Kragujevac e consegnate direttamente ai bambini e ai loro familiari
in occasione di incontri pubblici. Non una lira di quanto raccolto è
stato utilizzato per spese di gestione o di viaggio: questi oneri,
che pure ci sono stati, sono stati fino ad oggi sostenuti dai
volontari dell' Associazione e ancor di più, dalla Camera del Lavoro
di Brescia che si è sobbarcato l' impegno delle spese più
consistenti (trasporti, alloggio, ecc.).
Nel gennaio 2002 l' originaria associazione si è costituita in ONLUS
ed agisce in maniera completamente autonoma dal punto di vista
gestionale ed economico mentre continua ad usufruire del patrocinio
della CGIL di Brescia per quanto riguarda il lato logistico ( uso
sale per riunioni, stampa volantini, ecc. ) La formula adottata
dell' adozione diretta a distanza è già ben conosciuta e apprezzata
sia per la semplicità di utilizzo sia, soprattutto, per le garanzie
che offre. Infatti, ogni adottante riceve, all' atto dell' adesione,
una scheda contenente la foto, il recapito e i dati essenziali del
bambino adottato. E' poi libero, se lo vuole, di stabilire un
rapporto personale con il bambino e la sua famiglia, di scrivere,
telefonare, inviare pacchi, ecc. In base al progetto originario,
l'operazione avrebbe dovuto terminare alla fine del I° anno. Ma le
condizioni economiche e sociali che abbiamo constatato nel corso
dell' ultimo viaggio, ci hanno indotto a chiedere a tutti gli
attuali adottanti di proseguire lo sforzo, rinnovando l' adesione
all' adozione . Questo appello lo rivolgiamo anche a tutti quelli
che volessero contribuire sia con una adozione completa o con somme
inferiori. Siamo inoltre alla ricerca di altre forme di intervento
che andando oltre l' emergenza, riescano a dare un respiro più ampio
e duraturo ai nostri interventi: ci riferiamo a programmi di corsi
di riqualificazione per lavoratori in mobilità finanziati dalla
Comunità Europea oppure forme di finanziamento di piccole attività
commerciali e produttive che possano servire a rimettere
gradualmente in moto una economia che adesso è costretta all'
immobilismo. La situazione infatti resta ben lontana dal ritorno ad
una condizione di vita normale: la fabbrica sta per essere smembrata
in sei parti e privatizzata; solo un reparto tornerà, forse, alla
originaria produzione di autovetture, occupando 10 -11000 addetti.
Gli altri? Dovranno adattarsi a condurre fino alla fine dei loro
giorni, una vita di stenti e di precarietà, in occasioni serie di
occupazione.
La nostra attenzione è rivolta anche alle condizione di salute di
queste famiglie: tutti siamo a conoscenza delle bombe all' uranio
impoverito e delle fabbriche chimiche colpite, che insieme hanno
scaricato sul terreno e nelle acque sostanze che producono per certo
gravissime malattie all' apparato immunitario umano. Questo, in una
realtà in cui l' assistenza sanitaria statale è ormai un ricordo del
passato e le stesse attrezzature diagnostiche e terapeutiche sono
obsolete o inservibili, ci costringe a ricercare possibilità di cura
anche in Italia oltre a intervenire sul posto, come alcuni gruppi
hanno già fatto, installando apparecchiature sanitarie che sono
riusciti a reperire nel nostro paese.

http://www.tesseramento.it/immigrazione/pagine52298/newsattach630_Il%
20Manifesto%2012.pdf

Il Manifesto 12-12

La storia Ferid Sulejmanovic, espulso nel 2000. Ma la Corte europea
gli aveva dato ragione

Morte assurda di un rom legale

Era uno degli zingari del campo Casilino, Roma, spediti a Sarajevo. A
torto. Ha provato a rientrare da clandestino. E' morto soffocato in
un tir

Cinzia Gubbini

Sembra quasi l'ultimo atto di una tragedia. Solo che è tutto vero.
Niente palcoscenico, niente applausi finali. Per Ferid Sulejmanovic,
il protagonista di questa storia, un'uscita di scena tra i gas
tossici sprigionati dall'alluminio ferroso.
Ferid, 33 anni, rom bosniaco, era stato cacciato sei anni fa
dell'Italia, nel corso di un'espulsione di massa che la Corte di
Strasburgo ha dichiarato illegale. Il suo cadavere è stato trovato
sabato mattina nel cassone di un camion sbarcato al porto di Ancona.
Il tir, che trasportava lui e un altro uomo non ancora identificato
era partito dal porto di Zara, in Croazia. I due viaggiatori
«abusivi» sono stati uccisi dalle esalazioni sprigionate dai lingotti
di alluminio, che erano destinati a un'azienda del nord, e dietro cui
si erano nascosti. L'inchiesta aperta alla Procura sulla loro morte
dovrà anche accertare se quelle sostanze sono consentite. Quando al
porto è arrivata l'agenzia regionale non ci ha visto chiaro:
nonostante il telone fosse ormai stato alzato da tempo, e la banchina
fosse ventilata, ha rilevato un'alta concentrazione di ammoniaca,
anidride solforosa e arsina. Ma anche di altre sostanze, al momento
ignote, e forse illegali. I due uomini non avevano documenti addosso:
nelle tasche dei loro indumenti sono stati trovati soltanto un
pacchetto di sigarette e soldi bosniaci. Ma la sorella di Ferid è
andata ieri alla polizia di frontiera per riconoscerlo: sapeva che
stava per arrivare, che aveva intenzione di infilarsi in un camion
per raggiungere l'Italia, da dove era stato cacciato. Considerato
illegale, al pari dei gas che lo hanno ucciso.
Solo che l'espulsione di Ferid è particolare. Illegale, anche quella:
a dirlo è stata nel 2002 la Corte europea dei diritti dell'uomo. Era
l'alba del 3 marzo del 2000 quando polizia e carabinieri arrivarono
senza preavviso nei campi rom di Roma Tor de' Cenci e Casilino 700.
Furono prelevate 67 persone, tra di loro bambini, donne incinte,
anziani e malati. In dodici ore furono portati all'aeroporto e
rispediti a Sarajevo, nonostante la maggior parte di loro fosse
fuggita dalla guerra, e i bambini fossero nati in Italia e nulla
sapevano di quel paese. Manifestazioni, interrogazioni parlamentari,
appelli, non servirono a nulla. Ma chi protestava aveva ragione. La
comunità di Sant'Egidio, che seguiva le famiglie di Casilino 700,
assistita dall'avvocato romano Nicolò Paoletti, fece ricorso alla
Corte europea per i diritti umani, raccogliendo la procura delle
persone che riuscirono a rintracciare: quasi tutti avevano trovato
riparo nel quartiere di Ilizda, un sobborgo di Sarajevo dove vivono
molti rom. Il fotografo Stefano Montesi ricorda il viaggio per
intercettare le famiglie espulse: «Vivevano in case diroccate,
intorno c'erano cartelli con scritto "attenti alle mine"». Furono
messe insieme 16 procure. La Corte fece sapere che il ricorso era
ammissibile. Solo allora, era il 2002, il governo si decise a trovare
un accordo, pur di evitare una condanna che avrebbe stigmatizzato
l'Italia per la violazione di diversi articoli della Convenzione
europea: quello che vieta «trattamenti disumani e degradanti», quello
che vieta discriminazioni, e quello che assicura il diritto a un
ricorso effettivo. E fece tornare i ricorrenti, riconoscendo loro
anche un risarcimento economico.
Ferid Sulejmanovic venne a sapere della «vittoria» solo dopo la
sentenza, chiese all'avvocato se potevano rientrare: «Ho studiato a
fondo il caso - spiega Paoletti - ma tutti i termini di legge erano
ormai scaduti per un ricorso. Certo, una buona amministrazione, preso
atto della posizione della Corte, avrebbe dovuto riesaminare tutte le
espulsioni. Ma così non è stato». Allora Ferid è salito su un camion
diretto in Italia. Con lui c'era un altro uomo: al campo rom Casilino
900 dicono che probabilmente si tratta di Tissan Severovic, un altro
rom espulso qualche anno fa. Ma il suo corpo ieri non era ancora
stato identificato. Anche se - nonostante la questura di Ancona non
abbia diffuso dettagli - poco dopo il ritrovamento dei cadaveri le
agenzie di stampa hanno informato che «entrambi erano stati espulsi
dall'Italia» e che uno dei due aveva precedenti penali. Le notizie
corrono, spesso a metà.

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Opera Nomadi

Ente Morale (D. P. R. 26/03/70 n. 347)

Presidenza Nazionale
operanomadinazionale@...
Via di Porta Labicana 59-00185 Roma
tel. 06/44704749
fax 06/49388168


IX° Seminario Nazionale Opera Nomadi

15 e 16 dicembre 2006


"I Rom/Sinti e le Metropoli"


Programma :


15 dicembre


§ Gruppi di lavoro (ore 09:30-19:30)

§ II° Concorso Musicisti di Strada Rom/Sinti (ore 21.30-24:00)

(presso Sala Teatro Municipio 3 Comune di Roma, via dei Sabelli 119)



16 dicembre


§ Conclusioni (ore 09:30-13:00)

(presso Sala Teatro Municipio 3 Comune di Roma, via dei Sabelli 119)

Interviene: Sottosegretario all'Interno On.le Marcella Lucidi


Organizzazione dei 5 Gruppi di lavoro


§ GRUPPO DI LAVORO N. I "HABITAT": "La cultura dell'Abitare"

presso Sede UIL
via Cavour 108 (Quartiere Esquilino- pressi Stazione Termini)

Conduttore di gruppo: Massimo Converso (Presidente Nazionale Opera
Nomadi)


§ GRUPPO DI LAVORO N. 2 "SCUOLA"

presso Ministero Pubblica Istruzione,
via Ippolito Nievo 35 (Quartiere Trastevere) Sala Conferenze "Kirner"
I° piano

Conduttori di Gruppo: Dr. Matteo Tallo (Dirigente MPI) , Prof.ssa
Renata Paolucci (Responsabile Settore SCUOLA Opera Nomadi Nazionale)
Prof. Marco Nieli ( Pres. O.N. Napoli), Ins. Anna Biondani (O.N.
Sicilia), Prof.ssa Antonia Dattilo (CSA - MPI Bologna),


§ GRUPPO DI LAVORO N. 3 "LAVORO"

presso Assessorato al Lavoro del Comune di Roma
Lungotevere de' Cenci 5, II° piano "Sala Blu" (Quartiere Ebraico)

Conduttore di Gruppo: Aleramo Virgili (Responsabile Sportello Lavoro
Rom/Sinti Comune di Roma)


§ GRUPPO Dl LAVORO N. 4 "DIRITTI/MEDIATORI"

presso Comune di Roma - Gruppo Consiliare P.R.C.
via delle Vergini, 18

Conduttori di Gruppo: Rag. Giorgio Bezzecchi (Mediatore Rom COMUNE di
MILANO),
Prof.ssa Bianca Mori La Penna (Responsabili Settore DIRITTI Opera
Nomadi Nazionale)


§ GRUPPO DI LAVORO N. 5 "SANITA'"

Presso Caritas Diocesana -Sala Riunioni-
via Marsala, 103 (Stazione Termini)

Conduttore di Gruppo: Dr. Salvatore Geraci (Responsabile Nazionale
Area Sanità - CARITAS)


Per qualsiasi informazione ed iscrizione ai diversi gruppi rivolgersi
alla

Segreteria Tecnica Nazionale
Tel. 06/44704749
Fax. 06/49388168
operanomadinazionale @...

ORDE TITINE


"Io faccio parte di quelle generazioni che hanno liberato Trieste
dalle orde titine. Non vorrei essere costretto a liberare Trieste una
seconda volta da queste nuove ondate bolsceviche"

Giancarlo Gentilini su “Il Piccolo” del 9/12/06, con riferimento agli
strenui difensori delle... panchine nei parchi pubblici a Trieste
(sic), noto rifugio per barboni e zozzoni vari, tutti pericolosi
slavo-comunisti. (Segnalato da Claudia Cernigoi)

From: forumpalestina @ libero.it
Subject: Olmert è "persona non gradita" in Italia. Mercoledi
manifestazione a Roma
Date: December 8, 2006 6:37:45 PM GMT+01:00

Olmert è "persona non gradita" in Italia

Mercoledi 13 dicembre, ore 17.30
manifestazione a Piazza SS. Apostoli a Roma

Il governo italiano intende ricevere mercoledi 13 dicembre il premier
israeliano Olmert ossia il responsabile della mattanza dei palestinesi
a Gaza (456 uccisi solo da giugno a oggi) e del mattatoio di questa
estate in Libano (centinaia di morti e migliaia di sfollati). Pochi
giorni fa il governo italiano ha negato il visto di entrata in Italia
al ministro palestinese dell'informazione. Il governo Prodi continua a
rendere vigente l'accordo di cooperazione militare tra Italia e
Israele siglato dal governo Berlusconi mentre mantiene in vigore
l'embargo contro la popolazione palestinese. Siamo ben oltre i due
pesi e due misure. Noi, al contrario, riteniamo che l'Italia non debba
essere in alcun modo complice con l'occupazione israeliana della
Palestina e con uno Stato militarista e aggressivo contro i popoli e i
paesi confinanti.
Mercoledi 13 dicembre saremo in piazza con una manifestazione in
piazza SS. Apostoli. Ci faremo sentire con le nostre parole e con un
cacerolazo. Proietteremo in pubblico i documentari sugli effetti delle
nuovi armi utilizzate dall'esercito israeliano a Gaza e in Libano.
Invitiamo tutti a essere in piazza con noi per far sapere che Olmert
in Italia è una "persona non gradita".

P.S. Per la stampa

Sulle base delle esperienze accumulate in questi anni e in base alle
richieste che perverranno dalla varie redazioni sarà possibile
assistere e riprendere a:
- bruciatura di una o più bandiere (di vari tagli e di vari paesi a
secondo delle richieste)
- bruciatura di uno o più pupazzi (di varia fattura e dimensione)
- slogans irripetibili (in coro)
- slogans indicibili (in coro)
- slogans desueti (in coro e in assolo)

Inoltre, saranno disponibili e già pronti i modelli per i comunicati
stampa che prevedono:
- fac simile comunicato stampa di esecrazione per le bandiere bruciate
- fac simile comunicato stampa di indignazione per i pupazzi bruciati
- fac simile comunicato stampa di stigmatizzazione per gli slogans
indicibili, irripetibili o desueti

I comunicati saranno già pronti e conformeranno i servizi dei tg
serali e delle pagine dei giornali il giorno successivo. I dichiaranti
dovranno solo apporre la propria firma al fac simile del comunicato.
La possibilità di poter usufruire dei servizi "telegiornale unico" e
"giornale unico" sono rigorosamente bipartizan.

Cari giornalisti ma perchè vi dovete far trattare così?!!

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Mail: forumpalestina @...
Sito: http://www.forumpalestina.org

La coda della vipera

Continua la campagna per la revoca della cooperazione militare tra
Italia e Israele.
Mercoledì 13 dicembre mobilitazione contro la visita di Olmert in Italia

Report dell'assemblea pubblica promossa dal Forum Palestina

Roma. – Sala piena, posti in piedi, interventi di tutti gli invitati e
circa tre ore di discussione. Gli ingredienti per una iniziativa
riuscita ci sono stati tutti. A Roma ieri pomeriggio il Forum
Palestina ha rilanciato la campagna per la revoca dell'accordo
militare Italia e Israele e gli altri obiettivi della manifestazione
del 18 novembre pesantemente criminalizzata e oscurata nei suoi
contenuti da un killeraggio politico-mediatico decisamente bipartizan.

"Denunciando politicamente e pubblicamente l'esistenza e le
conseguenze di questa collaborazione militare tra Italia e Israele, è
stato come pestare la coda di una vipera" hanno detto gli
organizzatori aprendo la discussione. E' scattata una reazione
durissima dei poteri forti militari, economici e della lobby
bipartizan che sostiene a tutti i livelli il rafforzamento delle
relazioni tra Italia e Israele a scapito dei diritti dei palestinesi.
"L'embargo dell'Unione Europea e dell'Italia contro i palestinesi è
una vergogna, un crimine contro l'umanità che non può essere
accettato" è stato ribadito. Allo stesso modo è stato lanciato
l'allarme sulla crescente militarizzazione dell'economia e della
ricerca e sul militarismo che sta impregnando anche la politica
italiana e di cui si è avuta dimostrazione con le sporporzionate e
strumentali reazioni alla manifestazione del 18 novembre.

La petizione popolare che chiede al governo la revoca dell'accordo
militare sta circolando e raccogliendo firme in tutta Italia ben al di
sopra delle aspettative. Su questo si costituirà a breve un comitato
di garanti e si avvieranno iniziative capillari in tutte le città.
L'obiettivo è quello di far emergere la questione della cooperazione
militare Italia-Israele in tutti i suoi risvolti concreti, politici,
diplomatici. Analogamente partirà la campagna "BoicotTelecom.
Telefoni rosso sangue" che chiede il disinvestimento dei rilevanti
investimenti della azienda italiana sul mercato israeliano per mettere
in campo nuovi strumenti di pressione sulle autorità israeliane. Su
questo sono pronti gli adesivi da utilizzare per la campagna e che
possono essere richiesti al Forum Palestina.

Il primo appuntamento di mobilitazione sarà comunque il prossimo
mercoledì 13 dicembre quando il premier israeliano Olmert verrà in
visita in Italia per incontrarsi con Prodi, un Prodi reduce di
dichiarazioni gravissime (riportate oggi sul Corriere della Sera)
sulla rivendicazione dell'ebraicità dello Stato israeliano, una tesi
che mette una lapide sopra le rivendicazioni dei palestinesi residenti
in Iraele o espulsi nei campi profughi del Medio Oriente, mentre resta
ancora in vigore l'embargo contro una popolazione già stremata
dall'assedio israeliano e che vede l'Italia ricevere ufficialmente
Olmert ma negare il visto di ingresso addirittura ad un ministro
palestinese che doveva partecipare ad un convegno in una sala del
Senato. La dichiarata equivicinanza del governo italiano su Palestina
e Israele somiglia ormai sempre più alla complicità che ha
caratterizzato la politica estera del governo Berlusconi. E' stata
convocata una manifestazione di protesta in piazza SS. Apostoli dalle
ore 17.30 sotto la sede dell'Unione.

Al dibattito, dopo le introduzioni curate dai compagni del Forum
Palestina, hanno preso parte Manlio Dinucci, Angelo Baracca, Shoukri
Hroub, Nella Ginatempo, Jacopo Venier, Ferdinando Rossi, Lucio
Manisco, Fosco Giannini, Roberto Taddeo, Giovanni Franzoni, Bassam Saleh.

Roma, 7 dicembre

(francais / english / deutsch)

Il noto scrittore H. Boell, ed importanti centri culturali e case editrici tedesche, sono state sul libro paga della CIA. Lo ha documentato un servizio trasmesso dalla rete franco-tedesca ARTE. Tra cinquant'anni, forse, sapremo chi dei nostri "intellettuali" italiani contemporanei è sul libro paga della CIA ancora oggi...

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QUAND LA CIA INFILTRAIT LA CULTURE

INFO PROGRAMME

samedi, 2 décembre 2006 à 18:05 
Rediffusions : 
pas de rediffusions



QUAND LA CIA INFILTRAIT LA CULTURE 
(Allemagne, 2006, 52mn)
ZDF
Réalisateur: Hans-Rüdiger Minow

Fruit de trois ans de recherches, ce documentaire montre comment les services secrets américains ont manipulé les milieux artistiques et intellectuels européens pendant la guerre froide. Beaucoup d'écrivains travaillèrent ainsi pour la CIA, très probablement à leur insu.


Dans les années de l'après-guerre, les services secrets américains lancent une vaste opération d'infiltration des milieux européens de la culture. Ils lui consacrent plusieurs millions de dollars et s'appuient sur un organisme, le "Congrès pour la liberté de la culture", dont le siège se trouve à Paris. La capitale française est un lieu stratégique pour publier des revues lues jusqu'en Afrique, en Amérique latine et dans les pays arabes. Le Congrès pour la liberté de la culture s'intéresse aux artistes et intellectuels de gauche, qu'il essaie de soustraire à l'influence marxiste et de gagner à la cause américaine. En France, la revue Preuves dirigée par Raymond Aron constitue le fer de lance de cette diffusion de la pensée anticommuniste. En Allemagne, le "Kongress für kulturelle Freiheit" naît en juin 1950 à Berlin, en zone d'occupation américaine. La revue Der Monat reçoit les premiers subsides de la CIA vers 1958. Elle compte parmi ses collaborateurs d'éminents journalistes et les principaux représentants des maisons d'édition en Allemagne fédérale. Le Congrès dispose ainsi de relais à Berlin, Munich et Francfort. Il s'établit aussi à Cologne où il développe des relations privilégiées avec les rédactions de la presse écrite et de la télévision. Heinrich Böll, futur Prix Nobel de littérature (en 1972), est approché et travaillera - plusieurs documents le confirment - pendant plus de dix ans pour le Congrès et ses différentes organisations. Sans savoir qu'il oeuvre en fait pour la CIA ? C'est ce que pense Günter Grass, autre cible de l'agence américaine. Au-delà de ces deux personnalités, toute la fine fleur des arts et des lettres a été approchée par les services secrets américains et leur a apporté son soutien, le plus souvent sans le savoir. C'est ce que montre très bien ce documentaire, fruit de trois ans de minutieuses recherches.

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Newsletter vom 24.11.2006 - Heinrich Böll: "Staatlich gesteuert"

BERLIN/KÖLN/PARIS (Eigener Bericht) - Der deutsche Schriftsteller Heinrich Böll hat für mehrere Tarnorganisationen des US-Auslandsgeheimdienstes gearbeit. Dies behauptet eine TV-Dokumentation des deutsch-französischen Senders ARTE, die gestern in Berlin der Presse vorgestellt wurde. "Wir alle haben für die CIA gearbeitet", bekennt darin die ehemalige Geschäftsführerin des Kölner Kulturstützpunktes, die Böll für europaweite Aktionen der CIA heranzog. Man habe aber diese Hintergründe nicht gekannt, sondern an eine Finanzierung durch die Ford-Stiftung (USA) geglaubt. Auch der in dem Film interviewte Böll-Kollege Günter Grass hält eine wissentliche CIA-Tätigkeit Bölls für unwahrscheinlich. Wie Dokumente des Films belegen, bezahlte die CIA Bölls Reisekosten und bezuschusste auch andere Schriftsteller bei Auftritten in der internationalen Kulturszene. Böll "war ein Diamant in der Sammlung der CIA", sagt der Autor des Films im Gespräch mit dieser Redaktion...


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Newsletter vom 26.11.2006 - Heinrich Böll: Im Geheimdienstgestrüpp

PARIS/LODZ/KÖLN (Eigener Bericht) - Die europaweite Tätigkeit einer CIA-Tarnorganisation im Umfeld des Schriftstellers Heinrich Böll wurde vom Bundesverband der Deutschen Industrie (BDI) mit bedeutenden Beträgen unterstützt. Dies ergeben Recherchen von german-foreign-policy.com. Aufgabe der Organisation war es, osteuropäische Intellektuelle mit offenen und geschmuggelten Druckerzeugnissen zu versehen und sie als Dissidenten zu gewinnen. Als deutsche Mitglieder des geheimdienstlich organisierten CIA-Ablegers fungierten neben Böll die Verleger Klaus Piper ("Piper Verlag") sowie Joseph C. Witsch ("Kiepenheuer und Witsch"). Im Kölner Witsch-Verlag, der auch Bölls Werke betreute, arbeitete die frühere US-Agentin Carola Stern als Lektorin. Im Dünndruck hergestellte Verlagsprodukte wurden nach Ostdeutschland oder nach Polen geschleust, osteuropäische Künstler an die CIA-Kulturzentrale in Paris herangeführt. Geldtransfers für eine Nachfolgeorganisation liefen ab 1967 unter anderem über die Friedrich-Ebert-Stiftung...


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Newsletter vom 29.11.2006 - Heinrich Böll u. Co: "Manche CIA-Wässerchen"

BERLIN/WASHINGTON/BERN/ROM (Eigener Bericht) - Mehrere Chefkorrespondenten der führenden deutschen TV-Anstalten standen bei Beginn ihrer Karrieren in ARD und ZDF mit CIA-Vorfeldorganisationen in Kontakt. Treffpunkt war eine "geheimdienstlich finanzierte Villa in Rheinnähe", sagt der Autor eines für heute angekündigten Dokumentarfilms des deutsch-französischen Senders ARTE im Gespräch mit dieser Redaktion. Die Spitzenjournalisten wurden in Washington eingesetzt. Ihre Berichte aus der US-Hauptstadt beeinflussten das Millionenpublikum der öffentlich-rechtlichen TV-Kanäle. Mitglied der CIA-Vorfeldorganisationen sei auch der spätere Nobelpreisträger für Literatur, Heinrich Böll, gewesen. Arbeitsaufträge erteilten demnach CIA-Führungsoffiziere mit Sitz in Paris, die in regelmäßigen Abständen ihre Kultur-Niederlassungen (unter anderem Köln, Hamburg, Westberlin und München) zu Prüfzwecken aufsuchten. Die bis in die späten sechziger Jahre nachweisbaren CIA-Aktivitäten erstreckten sich auch auf die Schweiz, Österreich und Italien. Dabei kam es zur Zusammenarbeit mit ehemaligen Spitzeln und hohen Amtsträgern des deutschen NS-Regimes und der Mussolini-Diktatur, belegt die Dokumentation an prominenten Beispielen. Auch auf das Nobelpreiskomitee nahm die CIA Einfluss...


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Lettre d'information du 29/11/2006 - Heinrich Böll et compagnie: "Quelques petites vodkas de la CIA"

BERLIN/WASHINGTON/BERNE/ROME (Compte-rendu de la rédaction) -- Plusieurs correspondants en chef des principales stations de télévision furent, dès le début de leurs carrières, à l'ARD et à la ZDF (les principales chaînes de télévision publiques allemandes) en contact avec des organisations de façade de la CIA. Le lieu de rencontre était "une villa proche du Rhin, financée par les services secrets", explique le réalisateur du documentaire diffusé sur ARTE mercredi soir, lors d'un entretien avec cette rédaction. Les grands journalistes étaient des correspondants à Washington. Leurs rapports depuis la capitale des Etats-Unis influençaient les millions de téléspectateurs des chaînes publiques allemandes. Le futur prix Nobel de littérature, Heinrich Böll, était également membre de cette organisation de façade. Les officiers dirigeants de la CIA au siège de Paris donnaient des ordres de travail, ils se rendaient régulièrement à leurs filiales culturelles (entre autres Cologne, Hambourg, Berlin-Ouest et Munich) pour des visites de contrôle. Les activités de la CIA, documentées jusqu'à la fin des années soixante, s'étendaient également à la Suisse, l'Autriche et l'Italie. Il y avait des collaborations avec d'anciens agents secrets et de hauts fonctionnaires du régime nazi allemand et de la dictature de Mussolini, ce qui est prouvé par de nombreux exemples documentés...


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Newsletter 2006/11/24 - Heinrich Boell: "State Directed"

BERLIN/COLOGNE/PARIS (Own report) - The German writer Heinrich Boell had worked for several front organizations of the US secret service. This is alleged in a TV documentation of the French-German television channel ARTE, which was introduced to the press in Berlin. "We all worked for the CIA", admitted the former business administrator of the base of cultural operations in Cologne, that enlisted Boell's services for CIA actions all over Europe. But this background was unknown. It was believed that the Ford Foundation (USA) was doing the financing. Also Boell's colleague, Guenter Grass, who was interviewed in the film, considers improbable that Boell was deliberately engaged in CIA activity. As proven by documents in the film, the CIA paid Boell's travel expenses. It also subsidized appearances in the international cultural scene of various other writers. Boell "was a diamond in the CIA's collection", says the author of the film in a discussion with german-foreign-policy.com...


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Lettre d'information du 06/12/2006 - Heinrich Böll: dans les méandres des services secrets

PARIS/LODZ/COLOGNE (Compte-rendu de la rédaction) -- L'activité européenne d'une organisation de camouflage de la CIA dans l'entourage de l'écrivain Heinrich Böll a été encouragée par l'union fédérale de l'industrie allemande (Bundesverband der Deutschen Industrie, BDI) par un soutien financier conséquent. Ceci a été établi par des recherches de german-foreign-policy.com Le but de cette organisation a été d'approvisionner des intellectuels d'Europe de l'Est avec des écrits ouvertement et clandestinement et ainsi les inciter à la dissidence. En tant que membres allemands de l'antenne de la CIA, on trouve outre Böll les éditeurs Klaus Piper ("Piper Verlag") ainsi que Joseph C. Witsch ("Kiepenheuer und Witsch"). Chez l'éditeur Witsch, basé à Cologne, qui traitait également les Å“uvres de Böll, l'ancienne agente américaine Carola Stern travaillait comme lectrice. Des livres imprimés sur du papier mince furent introduits en Allemagne de l'Est et en Pologne, et des artistes d'Europe de l'Est furent approchés par la CIA. Des transferts de fonds pour une organisation chargée de relever cette première transitèrent dès 1967 entre autre par la fondation Friedrich Ebert...


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Newsletter 2006/12/10 - Heinrich Boell and Co: "Drinking CIA Brandies"

BERLIN/WASHINGTON/BERNE/ROM (Own report) -- At the beginning of their careers, several top correspondents of German television's prominent First (ARD) and Second (ZDF) channels were in contact with CIA front organizations. The meeting place was a "mansion close to the Rhine, financed by the secret service", says the author of a documentary film broadcast by the French-German channel, ARTE, in a discussion with german-foreign-policy.com. The key journalists were appointed to Washington. Their reports from the US capital influenced the millions of viewers of the public television channels. Heinrich Boell, the future literature Nobel Prize laureate, was also a member of the CIA front organization. Assignments were issued by CIA case officers stationed in Paris, who, at regular intervals, went to inspect their cultural subsidiary stations (in Cologne, Hamburg, West Berlin, Munich and elsewhere). The CIA activities, that verifiably lasted into the late sixties, encompassed also activities in Switzerland, Austria and Italy. The documentation substantiates with prominent examples, that this included also cooperation with ex-agents and high officials of the Nazi regime and Mussolini's dictatorship. The CIA had an influence even on the Nobel Prize Committee...





GLI ANNIVERSARI DELL'URSS


1) D. Kovacevic: 8 dicembre 1991

2) A. Catone: 7 novembre 1917


=== 1 ===

8 DICEMBRE 1991

L'8 dicembre 2006 si sono compiuti 15 anni dal formale
scioglimento dell'URSS.

Dopo una serie di mosse sbagliate di Gorbiaciov, in data
del 8/12/1991, i leaders della Russia, Bielorussia ed Ucraina
firmarono l'accordo sulla creazione della Comunità degli Stati
Indipendenti (CSI). In questo modo, cessò la sua esistenza
l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, fondata nel
1922. Nel corso del 1991, tante repubbliche sovietiche già avevano
lasciato autonomamente l'Unione.

I rappresentanti dei suddetti Stati firmarono questo "accordo", se
ben ricordo, in una dacia in Bielorussia, bevendo pesantemente,
parlando di tutto il resto dei possibili temi di questo mondo
- dato che avevano raggiunto l'intesa già da prima, si capisce...
Dopo aver messo le firme, si ubriacarono tutti e caddero assopiti.
Eltsin per primo, perdette coscienza e si addormentò nei fumi
dell'alcool e nell'amnesia che gli ha fatto dimenticare quei 71
anni precedenti di uno Stato glorioso.

Gli anni seguenti furono i peggiori possibili per la Russia e
gli altri paesi dell'ex-URSS. La crisi economica sprofondò
ancora nell'ulteriore caos. Tanta gente rimase per strada,
diventando veri senza-tetto, fino a morire congelati. La durata
media della vita si accorciò di un decennio, se non di più. Ed è così
tuttora.

Nel contempo, i nuovi leaders recitarono i ruoli dei tutori di
tanti nuovi "imprenditori democratici". I capitali uscivano dal paese
con un ritmo di 100 miliardi di dollari annui, e di più. Le
imprese da privatizzare, di una grandezza di 600 operai in media,
erano messe in vendita a non più di 500 dollari. Un appartamento a
Mosca si offriva per 1,5 dollari, giusto per coprire le spese di
compravendita. Il fondo della crisi arrivò dopo qualche anno,
verso il 1995 o 1996, nell'autunno. Fu il momento in cui, come
al solito, mentre si intravvedeva un spiraglio di luce, di minima
prosperità, si sprofondò nella crisi del raccolto, la crisi delle
patate.

Ci sono tanti che valutano che l'Unione Sovietica avrebbe
potuto r/esistere ancora per un buon periodo. E ci sono
quelli che considerano la sua caduta naturale, insieme con
la "naturale" scomparsa del socialismo, dove questi ultimi, mi
sembra, ragionano come se fossero eterni e immortali il che darebbe
loro il diritto di esprimere dei giudizi definitivi, come se il
XX secolo fosse stato il periodo ultimo e conclusivo di tutti i
processi sociali in questo mondo, e come se, guardando dalla
postazione odierna, nel XXI secolo, varianti diverse non possano
più esserci!

Oggi, i souvenir ex-sovietici, dopo un periodo di loro perdità
del "fascino" commerciale e per via della stessa amnesia "alla
Eltsin", vanno a ruba nuovamente. Ci sono prodotti di tutti i tipi.
Anche E. Evtushenko, invano, cantò più o meno questi versi:

"non sono un comunista / ma quando vedo la bandiera sovietica /
in vendita sul mercato dei pulci di Pietrovka / per un dollaro /
non posso far altro / che piangere."

Forse, piangere, potrebbero farlo ora in tanti.

D. Kovacevic


=== 2 ===

Il nostro Ottobre

Commemorare l’Ottobre sovietico da tempo non è più di moda né
politically correct per la “sinistra”. Si preferisce piuttosto
tributare onori ad altri “ottobre”: la “caduta del muro di Berlino”
nel 1989 o l’insurrezione anticomunista di Budapest nel 1956,
salutata dal presidente della repubblica Napolitano e dal presidente
della camera Bertinotti – l’uno ex comunista, l’altro leader di un
partito che si richiama alla rifondazione comunista - come la vera
rivoluzione anticipatrice delle “rivoluzioni” del 1989-91 che
segnarono la fine delle democrazie popolari e dell’URSS, di quel
lungo ciclo storico che percorre il “secolo breve”, inaugurato
appunto dalla rivoluzione d’ottobre. Il cerchio sembra chiudersi. Il
giudizio della storia – si dice – è stato indiscutibilmente
pronunciato: quella rivoluzione (ma qualcuno tra i pentiti del
comunismo ha sposato persino la tesi del putsch, del colpo di stato)
ha prodotto indicibili orrori ed è finita in un cumulo di macerie. Da
qui una condanna senza appello, la rimozione di quella storia, la sua
cancellazione dal calendario degli anniversari che occorre ricordare
alle nuove generazioni per la loro formazione comunista. E chi
pretende di richiamarsi alla storia delle rivoluzioni comuniste del
‘900 aperta dall’Ottobre sovietico viene etichettato di nostalgico,
irrimediabilmente incapace di leggere le sfide del tempo presente.
Questa è al momento la tendenza prevalente – salvo meritorie
eccezioni – nella cultura politica della “sinistra”, degli eredi di
quel che fu il partito comunista italiano e della “nuova sinistra”
sessantottina e post-sessantottina, in Italia e in molti paesi del
mondo. Questa situazione è ben presente ai comunisti che resistono,
che non accettano la cancellazione di una storia, di un progetto di
società, di un’identità che ha segnato profondamente la storia del XX
secolo e che ora si vuole condannare al silenzio e all’oblio.
Di contro a questa tendenza maggioritaria e devastante, che tutto
sembra travolgere nella sua furia iconoclasta, da cui non si salvano
non solo i bolscevichi – va da sé – ma neppure Marx, anzi, neppure
Rousseau e i giacobini francesi e chiunque abbia odore di
rivoluzionario (l’unica “rivoluzione” oggi ben accetta è la
controrivoluzione!), la prima reazione immediata e appassionata è
quella di sollevare alta al vento la propria rossa bandiera e gridare
con quanta voce si ha in corpo: viva Lenin! Viva la rivoluzione
d’Ottobre, che ha aperto la strada alla liberazione dei popoli dal
giogo coloniale e imperialistico! Viva il partito bolscevico che ha
saputo – unico tra i partiti socialisti della II Internazionale –
dire guerra alla guerra e rovesciare la guerra imperialista in guerra
rivoluzionaria! Viva l’Internazionale comunista, che ha formato una
generazione di comunisti capaci di lottare nella clandestinità contro
il fascismo e di guidare le resistenze in Europa! Viva l’Unione
sovietica, che con l’armata rossa e la resistenza dei suoi popoli è
stata determinante nella sconfitta del nazifascismo! viva l’URSS che
nel secondo dopoguerra ha saputo fronteggiare l’imperialismo
americano e ha favorito, con la sua sola esistenza la resistenza
vietnamita, la liberazione di Angola e Mozambico, le lotte
anticoloniali, la rivoluzione cubana e le lotte popolari in America
Latina! Viva la rivoluzione che, prima nella storia, ha provato a
costruire una società senza privilegi di casta, senza proprietà
capitalistica, fondata sull’idea di uno sviluppo razionale ed
equilibrato dell’economia attraverso il piano!
E questo diciamo e ricordiamo a chi vuole cancellare dalla storia il
comunismo del ‘900. Ma non basta, e anzi, se rimane soltanto un grido
esacerbato nel deserto contro l’infamia e la calunnia, può essere
anche una reazione impotente, l’indice di una debolezza strategica.
La commemorazione fine a se stessa non ha mai interessato i
comunisti. Il giovane Gramsci in uno dei suoi articoli appassionati
accusava il partito socialista di aver ridotto Marx ad un’icona, un
santo al capezzale, da rispolverare per le occasioni, le
commemorazioni, le ricorrenze, per poi lasciarlo marcire in soffitta
per tutto il resto dell’anno, evitando scrupolosamente di trasformare
in azione politica vivente il suo pensiero critico.
Ricordare, difendere, approfondire la memoria storica è utile e
necessario nella misura in cui riusciamo a tradurre questa memoria in
azione culturale e politica, in consolidamento e accumulazione delle
forze comuniste, in formazione comunista per le nuove generazioni.
Non siamo qui per agitare bandiere o icone, non siamo i nostalgici
(anche se questa “nostalgia” comunista è sentimento che merita
rispetto) di un paradiso perduto, di illusioni non realizzate, di un
nobile sogno, di un’utopia irrealizzabile. Se il 7 novembre 1917 è
ancora una data che riteniamo di dover ricordare e onorare non è solo
per un doveroso omaggio agli eroici furori di un tempo che fu, non
intendiamo essere gli avvocati d’ufficio della rivoluzione. L’Ottobre
sovietico non ne ha bisogno né di questo hanno bisogno i comunisti oggi.
Di altro c’è urgente bisogno. In primo luogo di riappropriarsi della
propria storia comunista, contro ogni demonizzazione, ma liberi anche
da ogni mitizzazione. Il comunismo nasce come critica – critica
teorica dell’economia politica borghese nel “Capitale” di Marx e
critica come prassi (e anche l’agire teorico è un’azione pratica
nella misura in cui influisce sulla trasformazione dei rapporti
sociali), pratica politica per l’abolizione dello stato di cose
presente, per il rovesciamento dei rapporti di proprietà borghese
nella proprietà comunista. Occorre sapersi riappropriare criticamente
della propria storia comunista del ‘900. Sono gli altri, la parte
borghese e anticomunista a scrivere oggi questa storia – in parte
molto rozzamente, in parte con mezzi più raffinati che fanno leva
anche sulle centinaia di migliaia e milioni di documenti di storia
sovietica e dei paesi che furono democrazie popolari resi oggi
accessibili agli studiosi. Su questo terreno noi oggi siamo rimasti
indietro. Chiunque abbia provato a scrivere di storia sa che è
attraverso la selezione che lo studioso opera della documentazione
d’archivio che si può delineare un quadro in un modo o nell’altro. I
documenti – verificatane filologicamente l’autenticità – riportano i
fatti, ma all’interno di una massa che come nel caso russo è davvero
straordinaria (6 milioni di documenti all’archivio centrale russo) si
possono selezionare alcuni elementi e ometterne altri. Così la storia
dell’URSS può anche essere ridotta a quella di un immenso Gulag e la
carestia in Ucraina negli anni trenta può essere attribuita a un
qualche diabolico piano staliniano di eliminazione fisica di una
nazione. È tempo di commemorare l’Ottobre dotando i comunisti degli
strumenti adeguati per rispondere all’azione denigratoria e alla
demolizione dell’esperienza storica del comunismo del ‘900.
Ma non si tratta solo di risposta alla diffamazione storica. Il
lavoro che i comunisti possono e debbono intraprendere oggi nella
conoscenza della storia delle rivoluzioni non può essere
principalmente “reattivo”, non deve nascere cioè solo come risposta
agli attacchi. Lo studio appassionato e critico della nostra storia
deve saper giocare d’anticipo – per dirla con una battuta: non
bisogna aspettare agosto 2008 per lavorare su un’adeguata
comprensione di ciò che portò i carri armati dell’URSS a Praga. I
comunisti devono concepirsi e organizzarsi come soggetto autonomo,
che assume l’iniziativa anche sul terreno insidioso e fondamentale
della lotta culturale, senza attendere che siano altri a scegliere e
determinare il terreno sul quale misurarsi.
La storia – in tutti i suoi aspetti - delle rivoluzioni comuniste del
‘900 va studiata e approfondita dotandosi di tutti gli strumenti
adeguati per un lavoro critico collettivo non solo per battere il
“revisionismo storico”, ma perché in essa vi è un bagaglio di
esperienze fondamentali per la lotta politica di oggi, per le sue
prospettive. Per citarne solo un aspetto: il terreno della
costruzione di una nuova organizzazione economica fondata su una
proprietà prevalentemente pubblica, statale, e in diversi casi
sociale. Quell’organizzazione economica, tanto ammirata anche dai
paesi in via di sviluppo poiché riuscì a dotare l’URSS in pochi anni
di un grande apparato industriale, portandola a competere in alcuni
campi con i più avanzati paesi capitalistici, non riuscì a passare
alla fase superiore di un’economia intensiva ad alta produttività. E
ciò fu certamente una delle cause che condussero il paese
dell’Ottobre all’ingloriosa fine del 1991. Ma intanto i bolscevichi e
i comunisti delle democrazie popolari la questione della
organizzazione e gestione di un’economia socializzata la posero e con
essa si misurarono, conseguendo alcuni successi accanto a pesanti
sconfitte. Questo grande patrimonio di esperienze, di teoria
dell’economia politica del socialismo, di pratiche, non può essere
gettato nel dimenticatoio da chi si propone il fine del superamento
della proprietà borghese in proprietà socialista. Solo chi ha
abbracciato un nuovo bernsteinismo e ritiene che il movimento sia
tutto e il fine nulla - e che nulla si può e si deve dire circa una
società socialista, ma aspettare che qualcosa sgorghi da sé, dalle
contraddizioni della società – può eludere il riferimento a questa
esperienza. Ma le contraddizioni del capitalismo, come Walter
Benjamin aveva ben intuito, non portano inevitabilmente al
socialismo, e senza l’azione cosciente e organizzata, diretta a un
fine, possono portare alla distruzione della civiltà: socialismo o
barbarie…
Il frutto peggiore dell’ideologia della fine delle ideologie e della
rimozione della storia comunista è il totale oscuramento delle
prospettive della trasformazione futura della società. La tattica, in
un presente senza storia, senza passato e senza futuro, è diventata
il pane quotidiano di buona parte del personale politico ex comunista
o pseudocomunista. A ben guardare, non è altro che apologia del
capitalismo presente. La coltre di oblio che copre la storia aperta
con l’Ottobre mira anche – e soprattutto - a questo: non solo a non
fare i conti con la storia comunista, ma ad eludere soprattutto la
questione della prospettiva comunista. Il ceto politico nichilista ex
comunista o pseudocomuista non è in grado e non vuole andare al di là
della tattica quotidiana.
Studiare l’Ottobre - e ricordarlo oggi, come si è chiarito, non
intende agitare bandiere ma costruire scienza comunista per la
costruzione di una società socialista - ci consente invece di pensare
ed agire strategicamente, senza elevare la tattica a fine in sé.
Pensare in termini strategici e non solo reattivi. Questo oggi ci
manca, di questo abbiamo bisogno, a questo ci induce oggi la
commemorazione di quel grande spartiacque della storia che fu il 1917
russo. La grandezza dei nostri grandi maestri – di Lenin in primo
luogo – è stata quella di aver saputo collocare ogni scelta tattica
all’interno di una grande prospettiva, ponendo in primo piano la
questione strategica. Pensare strategicamente significa costruire le
condizioni perché siano i comunisti a determinare il terreno su cui
porre le grandi questioni. Reagire, rispondere agli attacchi e alle
provocazioni dell’avversario è doveroso e giusto, ma la sola reazione
non ci fa compiere il salto di qualità di cui i comunisti hanno oggi
più che mai bisogno. L’agenda del mondo, l’agenda delle grandi
questioni culturali di importanza strategica non devono imporcela
altri, ma deve essere posta dai comunisti.
Commemorare oggi l’Ottobre significa allora pensare strategicamente
per la ricomposizione e il rilancio su scala mondiale del movimento
comunista. Un fattore importante per questo pensiero strategico è la
costruzione, coordinando forze e intelligenze, capaci di leggere la
nostra storia e di analizzare le contraddizioni mondiali e il loro
sviluppo, pensando la rivoluzione, il che significa individuare nelle
contraddizioni dell’imperialismo le premesse non solo per una
resistenza dei popoli alle aggressioni, ma anche della possibile
trasformazione della guerra in rivoluzione, della resistenza
nazionale in percorso di transizione socialista. Commemorare oggi
l’Ottobre significa passare dalla resistenza reattiva alla
“resistenza strategica”. Non si può essere soltanto “anti”:
anticapitalisti, antifascisti, antimperialisti. L’Ottobre russo non
fu solo contro la guerra, non fu “pacifista”, non fece solo “guerra
alla guerra”, ma trasformò la guerra in rivoluzione sociale.
Pensare strategicamente significa sapersi dotare oggi anche degli
strumenti culturali per la trasformazione socialista nel XXI secolo.
Non guarderemo allora alla storia del comunismo novecentesco come una
testimonianza del passato da salvaguardare dalle intemperie e
intemperanze dei nuovi barbari, come monaci amanuensi che salvano i
tesori perduti dei classici antichi, ma come una miniera preziosa, un
tesoro di esperienze da cui apprendere, un patrimonio di inestimabile
valore in cui affondano le radici della nostra identità e del nostro
futuro. Non vivremo così immersi nella tattica quotidiana di un
presente senza storia, ma nella prospettiva strategica della
costruzione delle condizioni della rivoluzione, che è nelle cose
presenti.

Andrea Catone

Fonte: www.resistenze.org

(La politica NATO sul Kosovo acuisce secessionismi dappertutto)



Abmontiert 

08.12.2006


BELGRAD/MADRID/BERLIN (Eigener Bericht) - Die von Berlin forcierte Abspaltung des Kosovo verschärft Sezessionskonflikte in Spanien und Frankreich. Wie ein prominenter spanischer Separatist urteilt, kann Madrid seinen Widerstand gegen die Abtrennung von Teilen seines eigenen Territoriums ("Baskenland", "Katalonien") nicht mehr begründen, wenn es eine weitere Zerschlagung Serbiens akzeptiert. Über sie soll zu Beginn des kommenden Jahres entschieden werden. Die Zustimmung der westlichen Staaten gilt als sicher, seit sich die NATO-Mitglieder, darunter Spanien, auf ihrem Rigaer Gipfel in der vergangenen Woche wesentliche Positionen kosovarischer Separatisten zu Eigen gemacht haben. Damit kündigt sich nicht nur in Spanien, sondern auch auf dem Balkan eine Verschärfung territorialer Konflikte an. Moskau erwägt, im UN-Sicherheitsrat ein Veto gegen die Sezession einzulegen. Berlin zieht für diesen Fall die einseitige Anerkennung eines kosovarischen Staates in Betracht. Zugleich schafft der deutsche Leiter der UN-Mission in Pristina Fakten: Er gestattet die Enteignung serbischer Privatunternehmen im Kosovo und veräußert Staatsbetriebe ohne die gebotene Zustimmung der Belgrader Regierung an ausländische Firmen.

Der UN-Sonderbeauftragte für das Kosovo, Martti Ahtisaari, wird nach den Parlamentswahlen in Serbien am 21. Januar 2007 eine Lösung für den serbischen Sezessionskonflikt vorschlagen. Beobachter rechnen mit einem Plädoyer für die Abspaltung der südserbischen Provinz. Damit würde eine Entwicklung vollendet, die die Bundesregierung seit Jahren vorantreibt. Die Entscheidung über die Zukunft des Kosovo sollte ursprünglich noch in diesem Jahr gefällt werden, ist nun aber auf die Zeit nach den Wahlen in Serbien verschoben worden, um den prowestlichen Parteien in Belgrad nicht zu schaden.

Rechtsposition

Die sich abzeichnende Abspaltung des Kosovo verschärft Sezessionskonflikte in zahlreichen anderen Staaten. Wie spanische Separatisten übereinstimmend mit konservativen Regierungskritikern urteilen, hat Madrid mit der Zustimmung zur "Riga Summit Declaration" der NATO in der vergangenen Woche Positionen preisgegeben, die für die territoriale Einheit des Landes große Bedeutung haben. Bislang vertrat Madrid den Standpunkt, ein Teil eines Staates - etwa das Kosovo - dürfe sich nur mit Zustimmung der Zentralregierung aus dem Staatsverbund lösen. Diese Rechtsposition ist für Spanien wichtig, um gegen Sezessionsforderungen in seinen nördlichen und nordöstlichen Landesteilen ("Baskenland" [1], "Katalonien" [2]) vorzugehen. Sowohl die "baskischen" als auch die "katalanischen" Separatisten verlangen die Gründung eigener Staaten und beziehen in ihre Territorialforderungen auch französische Gebiete ein.

Nicht nötig

Mit der Zustimmung zur "Riga Summit Declaration" hat sich die spanische Regierung auf eine neue Position eingelassen. In der Erklärung verlangen sämtliche NATO-Staaten eine Entscheidung im serbischen Sezessionskonflikt, die "für die Bevölkerung des Kosovo annehmbar ist".[3] Eine Zustimmung der Belgrader Zentralregierung wird nicht für nötig befunden. Damit übernimmt das westliche Kriegsbündnis die Rechtsposition der Separatisten, nach der die Abtrennung eines Landesteils keiner Zustimmung der Zentralregierung bedürfe. Der Vorgang hat weitreichende Folgen. Dies verdeutlicht eine Stellungnahme von Xabier Arzalluz, einem führenden Separatisten Nordspaniens. "An dem Tag, an dem Catalunya ('Katalonien', d.Red.) und Euskadi ('Baskenland', d.Red.) den Finger heben und sagen: 'Wir gehen in die Unabhängigkeit', wird die spanische Regierung (...) nicht mehr den Finger heben und sagen können: 'Ja, aber nur mit der Zustimmung Spaniens'", urteilt Arzalluz nach der Erklärung der NATO.[4]

Ermutigung

Arzalluz' Ankündigung trifft auf Sezessionskonflikte in weiteren europäischen Staaten zu. Betroffen sind mehrere NATO-Mitglieder, darunter Griechenland. In dessen Norden ziehen albanischsprachige Bevölkerungsteile die Abspaltung ihrer Wohngebiete und deren Anschluss an ein "Groß-Kosovo" in Betracht.[5] Sie können sich jetzt auf die "Riga Summit Declaration" berufen. Ähnliches gilt für Rumänien. Starke Kräfte unter den ungarischsprachigen Rumänen verlangen die Wiedererrichtung Ungarns in den Grenzen von 1914 - auf Kosten rumänischen Territoriums.[6] Erst Anfang November hatte sich der rumänische Außenminister mit seiner griechischen Amtskollegin darauf verständigt, im serbischen Sezessionskonflikt einen Kompromiss zwischen Belgrad und Pristina zu verlangen. In einer Abspaltung des Kosovo würden "andere Sezessionsgebiete in ganz Europa eine Ermutigung sehen, ihre Forderungen voranzutreiben", warnte der Botschafter Bukarests in Belgrad noch zwei Tage vor dem NATO-Gipfel.[7]

Einseitige Anerkennung

Inzwischen hat Moskau mitgeteilt, die Kosovo-Erklärung der NATO nicht mittragen zu wollen. Sollten die NATO-Staaten eine Entscheidung anstreben, die der serbische Zentralstaat nicht akzeptiert, werde Russland von seinem Vetorecht im UN-Sicherheitsrat Gebrauch machen, kündigen russische Diplomaten an.[8] Im Westen beschränkt sich der Widerstand inzwischen auf wenige oppositionelle Gruppierungen. Man rate dringend von einer "einseitigen Anerkennung eines albanischen Staates in Kosovo" ab, heißt es etwa im Aufruf zu einer Londoner Konferenz, die sich gegen den drohenden flagranten Bruch des internationalen Rechts wendet.[9] Eine solche einseitige Anerkennung eines kosovarischen Staates wird Berichten zufolge auch in Berlin in Betracht gezogen, sollte Russland sich dem Vorhaben tatsächlich verweigern.

Diskriminierung

Im Kosovo schafft ein langjähriger Mitarbeiter des Auswärtigen Amts inzwischen Fakten. Joachim Rücker ist seit Anfang 2005 im Auftrag der Vereinten Nationen für die kosovarische Wirtschaft zuständig und hat im Sommer die Gesamtleitung der UN-Verwaltung in Pristina übernommen.[10] Unter seiner Verantwortung werden Unternehmen in der südserbischen Provinz systematisch an ausländische Investoren verkauft - ohne Einwilligung der dafür zuständigen Belgrader Regierung. Wie ein Vertreter der serbischsprachigen Bevölkerung des Kosovo erklärt, ist "von 190 privatisierten Unternehmen im Kosovo kein einziges im Besitz eines Serben". Die "ökonomische Diskriminierung von Serben und in serbischem Besitz befindlichen Unternehmen" sei maßgeblich von Rücker veranlasst worden.[11] Mit dessen Genehmigung sind kürzlich die kosovarischen Mobilfunk-Antennen der Telekom Srbija (Belgrad) abmontiert worden - ohne gesetzliche Grundlage und ebenfalls gegen den Willen der serbischen Regierung. Wie vor wenigen Tagen bekannt wurde, strebt die Telekom Austria eine Handy-Lizenz im Kosovo an.




[3] Riga Summit Declaration. Issued by the Heads of State and Government participating in the meeting of the North Atlantic Council in Riga on 29 November 2006
[4] "Por lo tanto, el día en que Cataluña y Euskadi levanten el dedo y digan: 'Vamos a la independencia', el Gobierno español dirá que es muy diferente a todo lo que sea, pero no podrá tener ya este precedente y levantar el dedo para decir: 'sí, pero con el consentimiento de España'." Arzalluz dice que 'España no ha parado de desinflarse' y que los vascos lograrán el derecho autodeterminación; Terra Espana 01.12.2006. España acepta en la OTAN que Kosovo decida su futuro sin la opinión de Serbia; ABC 29.11.2006. Die Unterscheidung zwischen den Sezessionsaspiranten "Katalonien" respektive "Baskenland" auf der einen und "Spanien" auf der anderen Seite verdeutlicht, dass die Separatisten den spanischen Staat mehrfach zerschlagen und seine Provinzen in neue Völkerrechtssubjekte umwandeln wollen.
[7] Romania opposes Kosovo's independence; Beta 26.11.2006
[8] Russland kündigt Veto gegen Kosovo-Unabhängigkeit an; Der Standard 04.12.2006
[9] The American Council for Kosovo and The Lord Byron Foundation for Balkan Studies: The Future of Kosovo. Why the Serbs' "No" means "No"; Public Meeting, London, 11/12/2006
[11] Kosovo Serbs: Humanitarian catastrophe; Beta 19.11.2006



Cari compagni del Comitato nazionale per il ritiro dei militari italiani,

condividiamo il vostro appello e l'esigenza che lo ispira. Faremo pertanto del nostro meglio, nel caso auspicato della costituzione di questa Rete Nazionale, per contribuire attivamente alle attività in cantiere.

Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia

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From:   info  @...
Subject: APPELLO PER LA COSTRUZIONE DI UNA RETE NAZIONALE CONTRO LA MILITARIZZAZIONE
Date: December 7, 2006 2:16:44 PM GMT+01:00
To:   jugocoord  @...

Gentile jugocoord  @... ,

APPELLO DEL COMITATO NAZIONALE PER IL RITIRO DEI MILITARI ITALIANI

La strategia di aggressione, economica, politica e militare portata avanti dalle grandi potenze occidentali contro quei paesi e quei popoli che non sono disposti a sottomettersi ai loro diktat continua a produrre rapina, miseria, sfruttamento e distruzioni inenarrabili.
Nessuno strumento viene tralasciato per normalizzare chi si oppone e per ottenere il consenso delle proprie popolazioni al crescente militarismo ed interventismo: dal ricorso ad oscene campagne mediatiche, al sostegno a quelle tendenze politiche disposte a vendersi al miglior offerente trasformandole nei veri rappresentanti in loco della democrazia; dal ricorso (direttamente o per interposta persona) ad atti terroristici fino al finanziamento di Ong compiacenti che facciano da battistrada alla azione militare vera e propria, sotto le spoglie di Intervento Umanitario come successo nella ex-Jugoslavia o in Somalia.
Quando questi mezzi falliscono si passa all'aggressione militare diretta, pudicamente battezzata Operazione di Polizia Internazionale, tanto meglio se condotta sotto le insegne di un accondiscendente ONU, come si è fatto in Afghanistan ed Iraq.
In questi casi non si esita a fare ricorso da parte degli eserciti invasori ad armi di distruzione di massa vecchie e nuove di potenza inaudita e con conseguenze soprattutto sulle popolazioni civili.
Il Libano è l'ultimo episodio di tale strategia dove si è fatto ricorso ad un miscuglio di tutti questi strumenti: dal sostegno alle fazioni filo-occidentali, all'attentato contro uno dei suoi rappresentanti in loco per estromettere la Siria dal paese e sostituirsi ad essa, per marginalizzare le correnti di opposizione più radicali agli interessi euro-americani in Libano; dalla pretestuosa aggressione militare condotta dallo stato di Israele, al successivo invio di una missione militare sotto insegne ONU tanto equidistante da darsi come compito il disarmo degli aggrediti e l'insediamento sul loro territorio libanese.
Un altro quadrante su cui si stanno addensando le mire aggressive dell'occidente è il Darfur (Africa) dove - in vario modo, utilizzando ipocritamente l'emergenza umanitaria - è in corso un opera di manomissione politica, finanziaria e diplomatica mirante a favorire un nuovo interventismo bellico.

NON SOTTOVALUTARE PIU’ L'EUROPA SUPERPOTENZA

La vicenda libanese evidenzia il tentativo europeo di giocare un ruolo di maggior protagonismo nello scenario internazionale, approfittando anche delle difficoltà intervenute nella politica statunitense. L'Europa è divenuta la seconda potenza economico-finanziaria con la nascita dell'Euro e deve crescere sul piano del peso politico, pur tenendo conto degli interessi particolaristici delle varie politiche nazionali. Di conseguenza punta ad emergere non solo come potenza politica ma anche di tipo militare proporzionata al peso conseguito sul piano economico. Per tale motivo il complesso militare assume un aspetto decisivo sia come propulsore dello sviluppo economico, sia come comparto strategico nell'ambito della competizione globale che si delinea tra le maggiori potenze mondiali.
Questa politica neocoloniale, pudicamente definita di mantenimento dell'ordine e della pace mondiale, mentre vede le grandi potenze occidentali sostanzialmente unite nella politica di spoliazione verso i paesi periferici, evidenzia nel contempo una crescente competizione per stabilire privilegi e aree di competenza nella migliore tradizione imperialistica.
 
LE AMBIZIONI E IL NUOVO RUOLO DELL'ITALIA

Il rinnovato protagonismo dall'Italia nelle relazioni diplomatiche quanto il crescente interventismo militare, l'incremento delle spese militari, da molti inaspettato, come previsto dalla Finanziaria del 2007 di Padoa Schioppa  - non solo per sovvenzionare le missioni all'estero ma anche per la dotazione di nuovi armamenti sempre più offensivi -, la riconferma e l'ampliamento dell'alleanza militare della NATO (in teoria funzionale ad un'altra epoca storica) quale strumento attraverso cui oggi veicolare l'affermazione delle proprie esigenze geopolitiche, dovrebbero eliminare ogni dubbio sulla natura della politica estera del governo e sugli interessi sociali di cui è espressione.
Questo governo si distingue da quello di Berlusconi per una tendenza più multilateralista in politica estera e nelle alleanze internazionali ma è, se possibile, ancora più determinato a tutelare sullo scacchiere mondiale gli interessi specifici dell'azienda Italia in collaborazione e/o in competizione con le altre potenze mondiali.  
La somma delle tendenze italiane ed europee sta innescando una pericolosa spinta verso la militarizzazione che non riguarda solo l'aspetto della industria bellica come settore di investimento certo o le azioni di "polizia" internazionali ma produce conseguenze interne molto pesanti. Infatti gli interventi militari all'estero hanno bisogno di un forte sostegno ideologico all'interno del paese e questo porta inevitabilmente, come la storia ha dimostrato più volte ,verso una drastica riduzione della democrazia e della dialettica sociale interna.
La campagna mediatica che è stata fatta attorno alla manifestazione del "Forum Palestina" del 18 novembre scorso è un esempio di come si concretizza una operazione ideologica attorno a fatti inesistenti e questa volta in modo bipartisan.


DAL PACIFISMO AL MOVIMENTO CONTRO LA GUERRA.
 
Il movimento pacifista sviluppatosi negli scorsi anni anche nei paesi occidentali ha espresso una vasta protesta contro la politica dei propri governi, ma è poi rifluito per il prevalere della sfiducia di poter sconfiggere tale politica, per l'assuefazione alla guerra come dato immodificabile di questa fase, ma anche dalle parzialità politiche contenute nella sua opposizione alla guerra.
Troppo spesso infatti si condannavano le politiche dei propri governi non tanto per gli obiettivi che questi dichiaravano di voler perseguire, ma per i brutali metodi utilizzati per realizzarli; in altri casi si è accettata la chiave di lettura secondo cui vi era una guerra quasi paritaria tra contendenti che si trattava di ricondurre alla pace quasi con una equidistanza al di fuori e al di sopra dello scontro in atto, se non per la forte componente di commiserazione e di condanna per le vittime di tale guerra.
Ma quando questi soggetti hanno cominciato a dimostrare di non accettare solo il ruolo di vittime passive e di volersi anzi difendere, quell'atteggiamento pietistico è andato in difficoltà nell'accettare questa nuova situazione e nel doversi schierare in uno scontro che per quanto sproporzionato non era più a senso unico.
In Italia tale difficoltà si è rafforzata con la vittoria elettorale dell'Unione Prodiana che aveva tra i suoi sostenitori diretti o indiretti buona parte degli organismi e delle figure di riferimento di quel movimento, determinando quella che per comodità sintetica definiamo “sindrome del governo amico”, ma che produce paralisi, disorganizzazione e depotenziamento di qualsiasi tentativo di mantenere un'opposizione autonoma ed indipendente contro la guerra.
Si tratta di superare quella sorta di equidistanza tra aggressori e aggrediti, di concentrare la denuncia e le mobilitazioni contro i promotori diretti ed indiretti della guerra, di rifiutare qualsiasi missione militare all'estero condotta da tutti i governi occidentali e da quello italiano in particolare.
Che tali missioni avvengano sotto le insegne della NATO o dell'ONU non ne cambia la natura, come hanno confermato l' intera vicenda irakena, quella Afghana e quella Libanese.
Le resistenze messe in atto dalle popolazioni aggredite non sono solo una legittima reazione contro le aggressioni da cui sono colpite ma, nella misura in cui costituiscono il principale ostacolo al consolidamento di quella strategia, rappresentano anche un fattore di incoraggiamento dei movimenti contro la guerra che agiscono nei paesi occidentali.
Le resistenze ridisegnano i rapporti di forza nelle aree del conflitto, determinando oggi uno sconvolgimento delle strategie USA/israeliane di "guerra infinita" e di egemonia nell'area mediorientale, come emerge con chiarezza in seguito alla sconfitta USA in Iraq e a quella israeliana in Libano.

DISARMIAMOLI!
PER UN MOVIMENTO REALE CONTRO LA MILITARIZZAZIONE
 
Il principale terreno di impegno di un movimento reale contro la guerra in questa fase, oltre alla netta opposizione alle missioni militari all'estero, deve essere, soprattutto, quello di contrastare le conseguenze delle scelte belliche sui propri territori. È evidente infatti come il crescente militarismo venga utilizzato per rafforzare i dispositivi di sicurezza attraverso cui si cerca di limitare l'esercizio dei più elementari diritti di agibilità politica, sindacale e dell'insieme dei conflitti sociali.
 
a)      E’ ormai prioritaria dentro l’agenda dei movimenti contro la guerra ma anche dei movimenti sociali e sindacali, l’ opposizione contro il continuo incremento delle spese militari e le loro connessioni qualitative (coltre che quantitative) con il complesso militare-industriale e gli apparati di sicurezza che stanno ormai conformando anche le priorità economiche e la vita sociale del nostro paese
 
b) L'impegno dei movimenti deve concentrarsi contro il complesso delle basi militari, di tutte le produzioni di morte e di ogni ristrutturazione in chiave offensiva degli eserciti a cominciare da quello italiano. Infatti è dalle basi militari che vengono supportate le missioni all'estero e le guerre. Non solo,  questi insediamenti servono anche a giustificare una insopportabile militarizzazione dei territori su cui sono installate.
Le esperienze maturate in questi anni di lotta contro le  basi: dalla Toscana alla Sardegna, dalla Sicilia alla Puglia o in Veneto, come sta avvenendo in questi giorni a Vicenza contro l'ampliamento della base USA, sono un prezioso bagaglio per il movimento ed un punto di partenza da sostenere, valorizzare e generalizzare per dare radicamento ed estensione sociale a queste prime forme di opposizione delle popolazioni. Con queste premesse il Comitato per il Ritiro dei Militari Italiani valuta come molto importante la crescita di un movimento popolare e autonomo contro la nuova base militare e la manifestazione nazionale di Vicenza del 2 dicembre e si impegna a costruire momenti di dibattito e di sostegno attivo nei vari territori.

c) L'altro terreno di impegno che riteniamo indispensabile è il sostegno alle rivendicazioni democratiche e sociali dei migranti - prime vittime delle campagne razzistiche, islamofobiche e xenofobe - e, nei fatti, vere e proprie riserve di manodopera colonizzata all’interno del nostro paese. Questa battaglia, costituisce un fattore importante per contrastare il cosiddetto “scontro di civiltà” che si cerca di attizzare per ottenere, anche sul generale piano culturale, il consenso attivo delle popolazioni alla militarizzazione e alla guerra.
 
d) Infine, il Comitato per il Ritiro delle Truppe chiama al confronto tutti gli attivisti, che mantengono immutata la loro opposizione alla guerra, per riflettere insieme su come dare continuità, stabilità ed efficacia al proprio impegno nella direzione del rafforzamento di un rinnovato movimento contro la guerra. L'ipotesi che proponiamo è quella di costruire una rete articolata dei comitati, dei gruppi sociali, delle varie comunità territoriali operanti sul terreno dell'opposizione della guerra e del militarismo, ma anche di promuovere la strutturazione di comitati territoriali dove è mancata fino ad ora una un'azione coordinata contro la militarizzazione in atto nel nostro paese.
Si tratta insomma di costruire una rete attiva e stabile la quale sia in grado, oltre le necessarie scadenze di mobilitazione nazionali, di promuovere e dare ampio respiro alle iniziative locali contro i molteplici effetti del militarismo.


BOG I HRVATI  - DIO E CROATI - DIO È CROATO? 


Da "24 sata", quotidiano di Zagabria:

 

Krunica je simbol Domovinskog rata

Udruga branitelja "Podravke" jucer je, pozivajuci se na rijeci kardinala Kuharica, prema kojemu je "Hrvatska vojska bila jedina koja je krunicu nosila oko vrata kao simbol vjere i poboznosti", krunicu proglasila simbolom Domovinskog rata.
Prvu takvu krunicu jucer je, na prigodnoj svecanosti, predsjednik udruge Mladen Pavkovic, urucio Kati Soljic. (br)

 


IL ROSARIO È IL SIMBOLO DELLA GUERRA PATRIOTTICA

L'associazione dei difensori "Podravka", ricorrendo alle parole del cardinale Kuharic, secondo cui: "L' esercito croato è stato l'unico che portava al collo il rosario, quale simbolo del credo e di devozione", hanno proclamato il rosario simbolo della Guerra Patriottica.
Il primo tale rosario è stato consegnato dal presidente dell'Associazione, Mladen Pavkovic, durante una cerimonia per l'occasione, alla signora Kata Soljic. (br)

 


Nel 1991 come nel 1941! Nel 1941 - 1945, i "difensori" croati si denominavamo "domobranci", mentre nel 1991, e fino ad oggi, "branitelji Domovinskog rata". Sempre con la benedizione della Chiesa cattolica...!       Ivan


LA MERA CONOSCENZA


Per chi ha la consapevolezza
basta solo un accenno.
Per le masse degli indifferenti
la mera conoscenza è inutile

(Haji Bektash Veli. Fonte: www.agitproponline.com)

(srpskohrvatski / italiano)


Lordan Zafranovic sta completando un film su Tito


Sul quotidiano belgradese "Politika" è apparsa una intervista al
regista Lordan Zafranovic ( http://www.politika.co.yu/detaljno.php?
nid=13630&lang=2 ) in gran parte incentrata sul suo progetto per un
grande sceneggiato, in 13 episodi, dedicato ai temi del XX secolo
nella Jugoslavia, del socialismo e di Tito.

Zafranovic ha subito numerosi ostacoli da parte di alcuni registi
di Stato croati. Sembra che almeno tre di questi, oltre a Zafranovic,
volessero fare un film sulla figura di Tito. Da segnalare in
particolare la forte opposizione esercitata dall'Unione dei
Combattenti della Seconda Guerra Mondiale (omologa croata
dell'italiana ANPI, ma negli ultimi anni dominata da ignobili
tendenze revisionistiche) alla realizzazione del film, da parte di
Tonci Vrdoljak, grande voltagabbana. Risulta che Zafranovic sia stato
ad un certo punto bloccato nella lavorazione, dopo che aveva raccolto
un'enorme quantità di materiale di riferimento, interviste,
eccetera. Il regista sta ora finalizzando l'opera in scala un po'
ridotta. Per fortuna, tra pochi mesi l'opera uscirà sia come film che
come sceneggiato.

Tante persone meravigliose hanno rilasciato dichiarazioni su Tito, e
le loro testimonianze costituiranno lo sfondo del film e lo
guideranno nella visione delle realtà di quell'epoca. Sono state
raccolte descrizioni completamente nuove su Tito e sul periodo in
questione, sui suoi più stretti collaboratori, e si è ottenuta una
immagine inaspettata di questi ultimi, le persone cioè che sono
state più vicine a Tito.

La vedova di Tito, Jovanka Broz, nonostante l'insistenza del
regista, purtroppo non ha ancora voluto rilasciare interviste.
Zafranovic è del parere che si tratti delle delusioni personali che
Jovanka ha subito in Serbia nel periodo trascorso, per cui ha
ancora paura di comparire davanti alle camere. Eppure, con
Zafranovic lei davvero potrebbe esser certa che le sue dichiarazioni
non verrebbero manipolate, ed al contrario sarebbero presentate
secondo la sua versione. Zafranovic non ha ancora raggiunto un
livello sufficiente di confidenza con Jovanka Broz per via dei
molti ostacoli
personali, ma tutto lascia intuire che il regista continuerà
nell'opera di persuasione, cercando di convincerla. E speriamo che ci
riesca.


(Sintesi in italiano a cura di DK e AM. Sulla retrospettiva di
Zafranovic tenutasi un anno fa in Italia si veda:
https://www.cnj.it/INIZIATIVE/zafranovic.htm )


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http://www.politika.co.yu/detaljno.php?nid=13630&lang=2

Kultura
Lordan Zafranović za „Politiku”

Autor bez biografije

Dok je Franjo Tuđman bio živ lično sam bio cenzurisan i moj opus je
stavljen u bunker – ističe češki đak, reditelj sa FAMU akademije

U dvorani Kulturnog centra u Beogradu večeras će biti zatvoren Novi
festival autorskog filma koji je obeležilo (ne)prikazivanje kineskog
filma „Letnja palata” koji se takmiči za nagradu „Aleksandar
Saša Petrović”. Ko je dobitnik ovog priznanja odlučiće žiri
kome predsedava Lordan Zafranović, reditelj.
Zafranović je autor koji se glavnom gradu Srbije rado i često
vraća što zbog mnogih prijateljima sa kojima uživa u još jednoj
partiji diskusija o pokretnim slikama, što iz razloga jer ga je
Beograd prihvatao kada su ga mnogi odbacivali. Češki đak i reditelj
koji je diplomirao na čuvenoj FAMU akademiji u Pragu, Zafranović je
značajno ime u jugoslovenskoj kinematografiji, što opravdavaju
filmovi poput „Okupacije u 26 slika” ili „Pada Italije”.


• Kako komentarišete prvobitnu odluku da kineski film „Letnja
palata” ne bude prikazan na otvaranju festivala?



– To je isto kako kada bi vam neko određivao šta možete, a šta
ne možete da radite u svojoj kući. Niko van ove zemlje ne može da
određuje šta se može, a šta ne u ovoj sredini, jer je to stvar ove
sredine. A posebno kada je reč o filmu, autorskom filmu i festivalu
koji ima tradiciju. Ovaj festival je oaza za autore koji mogu
prikazati svoje eksperimentalne filmove, nove forme i nove svetove.
Neprikazivanje filma za mene je bila neka vrsta šoka i znao sam da
će se to ispraviti.



• Znači li ovo (ne)prikazivanje da i danas ima cenzure?



– Ima cenzure, ali je najopasnija autocenzura sa kojom se bore mnogi
autori. Oni to moraju sami da odrade da bi film bio uspešniji i u
komercijalnom smislu i u smislu zatvaranja koprodukcionih
finansijskih konstrukcija. To je ta autocenzura, čiji je jedan vid
postojao i ranije u našoj ideološkoj sredini. Tražilo se ono što
bi se toj ideologiji svidelo, a ne ono što je istina i što je
poseban svet. Što se Evrope tiče, činilo mi se da je takva vrsta
cenzure odavno prošla, ali nije. Dok je Franjo Tuđman bio živ,
lično sam bio cenzurisan u Hrvatskoj, moj opus je stavljen u bunker i
nijedan moj film nije bio prikazan u Evropi šest do sedam godina.
Nikada nije postojala službena zabrana, ali kada su filmovi bili
traženi za pojedine retrospektive u svetu, onda se krug zatvarao
između mog producenta „Jadran filma”, hrvatske kinoteke i
Ministarstva kulture Hrvatske. Odgovornost je prebacivana sa jednih
na druge, i u tom krugu nije se moglo odrediti ko je odgovoran što
filmovi nisu poslati, ili ko to ne želi da moji filmovi budu
prikazani. Moji filmovi su ležali u tim bunkerima i to vreme sam bio
autor bez biografije.



• Sada, međutim, ističete da se Hrvatska otvorila prema Vama?



– Otvorili su se putevi od stranke od koje sam najmanje očekivao.
Činjenica je da se Hrvatska otvara kao i da se situacija unutar
hrvatske kulturne javnosti dosta izmenila. Ona je sada mnogo
drugačija nego pre pet, šest godina.



• U Hrvatskoj su Vam čak odobrena i sredstva za novi film? O kakvom
je projektu reč?



– U takvoj sredini i izmenjenoj atmosferi sada je moguće napraviti
novi film. Reč je o tragikomediji, ili kako ja to volim da kažem,
komediji sa suzama koja se zove „Karuzo”, čija je radnja
smeštena u Splitu, pred Drugi svetski rat. To je poznata legenda o
čoveku koji je umislio da je bolji pevač od Karuza, što je splitska
sredina prihvatila i započela organizovanje njegovog odlaska u
Metropoliten operu. U priči o toj surovoj igri, govoriću i o jednom
čoveku kome mnogo toga nije bilo jasno. Film će mi poslužiti da
govorim i o atmosferi pred Drugi svetski rat, o dolasku italijanskog
fašizma na jadranske obale i o Dalmaciji koja je izvornija nego
danas, ali i o nekim savremenim aspektima igre.



• Ne možete da pobegnete od slikanja fašizma?



– Izgleda da ne. To je nešto što će se uvek provlačiti u mojim
filmovima i čemu ću se uvek vraćati na ovaj ili onaj, mnogo
ozbiljniji način kao u nekim ranijim filmovima.



• Šta se događa sa filmom i serijom o Titu na kojima dugo radite?



– Za taj film se vezuje jedna od vrsta cenzure, a nije reč o
autocenzuri. Kada sam objavio da radim na tom projektu, odjednom se
pojavilo nekoliko autora koji su želeli da rade isto to. Neki nisu
poznati, a neki su bili državni reditelji. Među njima je bio i jedan
autor koji ima polarno mišljenje o ovoj temi, čak je nekada bio u
politici, i ja njegovo ime ne želim da spominjem, jer ono ne može da
bude izgovoreno iz mojih usta. Taj autor je i danas u vrhu političkih
uticaja u Hrvatskoj i uspeo je da me zaustavi na neko vreme u
realizaciji filma o Titu, samo iz razloga da bi njegov film o Titu
bio prvi. Radim i dalje naporno i nadam se da ću već za nekoliko
meseci imati gotov film i seriju, doduše, u manjem obimu nego što
sam planirao.



• Šta izdvajate kao najznačajnije iz preobimnog materijala koji
ste snimili sa osobama, među njima i Hertom Has, koji su bili u
najbližem Titovom okruženju?



– Pored Herte Has, mnogo je onih koji su vrlo otvoreno govorili o
Titu. Svi ti divni ljudi i njihova svedočenja će biti sadržaj filma
i oni će usmeravati film prema određenim istinama iz tog doba.
Dobili smo potpuno nove slike jedne biografije koja govori ne samo o
Titu već o epohi u kojoj je radio, o ljudima koji su bili njegovi
najbliži saradnici, ali i o njima samima, dakle mojim sagovornicima,
koji su bili vrlo blizu Tita.



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Razočaranja Jovanke Broz



• Postoje li mogućnosti da i Jovanka Broz govori za Vaš film o Titu?



– Na sve moguće načine sam pokušao da je nateram da govori.
Uveravao sam i sve one koji su sa njom u kontaktu da bi ona bila
neophodna kao svedok tog vremena i kao osoba koja je najduže i
najbliže bila uz Tita. Ona je u Srbiji doživela određena
razočaranja i plaši se da izađe pred kameru. Preko njenih
najbližih i onih retkih sa kojima kontaktira, i dalje pokušavam da
je uverim da neću izvršiti manipulaciju njom ili njenim iskazima i
da ću sve predstaviti onako kako izgovori. Još uvek do toga nisam
došao, jer su kod nje još prisutne mnoge prepreke.


Ivan Aranđelović
[objavljeno: 03.12.2006.]

CONTRO LE BASI DI GUERRA, CONTRO LA GUERRA IN CASA

SULLA GRANDE MANIFESTAZIONE A VICENZA DEL 2 DICEMBRE 2006

Comunicato del Comitato nazionale per il ritiro delle truppe italiane


La grande manifestazione di Vicenza, che ha visto una partecipazione
ben al di là delle più rosee previsioni, segna un potenziale punto di
svolta per il movimento contro le basi militari nel nostro paese.

Il 2 dicembre nella città berica si sono incontrate forme di
resistenza popolare e territoriale che in questi anni "hanno fatto
scuola", facendo uscire dalle secche di una "rappresentanza politica"
connivente con il potere un comune sentire di intere popolazioni: il
popolo dei NO TAV, del NO MOSE, i comitati contro i rigassificatori e
le discariche, i comitati contro le basi militari .
Questo variegato fronte ha assunto a Vicenza la battaglia
antimilitarista non solo e non tanto come portato ideale, ma come
prodotto dei processi di coinvolgimento diretto dei territori nelle
politiche belliciste.

La volontà e la lungimiranza del movimento vicentino ha suggellato
questa unificazione in una manifestazione, verificando così la
determinazione e la consistenza di una soggettività collettiva non
doma di fronte alle perduranti politiche di guerra.

I segnali che provengono da altri insediamenti militari (camp Darby,
Sigonella, Taranto...), indicano la volontà delle gerarchie militari
USA di rafforzare la presenza nella penisola, in previsione
evidentemente delle prossime offensive contro il Libano, la Siria,
l'Iran, il Darfur...

Il governo Prodi è di nuovo di fronte ad una scelta di fondo:
l'eventuale placet ad una più massiccia presenza U.S.A. in Italia
significherebbe un ulteriore passo verso il diretto coinvolgimento
dell'Italia nel conflitto mediorientale.
Le dichiarazioni del Ministro della Difesa e del vice presidente del
Consiglio sono state in queste settimane chiarissime e favorevoli alla
nuova base al Dal Molin.
Dichiarazioni del resto conseguenti con le scelte degli ultimi mesi su
Afghanistan e Libano, con un ritiro "bipartizan" dall'Iraq, con una
Legge Finanziaria "di guerra", che aumenta dell'11% le spese militari
per il 2007 e per i prossimi anni.

Di fronte a queste politiche del cosiddetto "governo amico", solo una
pratica indipendente dei movimenti potrà determinare le condizioni di
un nuovo rapporto di forza nel paese, in grado di dare autorevolezza e
prospettiva alle esigenze popolari. Il movimento espressosi a Vicenza
ci pare vada in questa direzione.

Si tratta ora di dare continuità a quella mobilitazione, ramificando
ancora di più i comitati contro le basi nei territori e andando alla
costruzione di una RETE ANTIMILITARISTA, momento reale di
coordinamento operativo su scala nazionale e continentale.


Il Comitato nazionale per il ritiro delle truppe italiane

info @ disarmiamoli.org www.disarmiamoli.org

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Da "la Repubblica", 3 dicembre 2006:

Trentamila persone, secondo gli organizzatori, sono arrivate a Vicenza
per dire no alla costruzione della più grande base Usa in Europa (e la
seconda base statunitense in città visto che c'è già la Ederle).

Un corteo festoso di giovani, famiglie e bambini provenienti non solo
dal nord-est ma da tutta Italia. D´altro canto, spiegano i
coordinatori del fitto cartello di organizzazioni, partiti, movimenti
che hanno aderito , non si tratta solo di un affare locale. «È stato
un percorso che ha visto assemblee di centinaia di persone di diversa
provenienza e appartenenza – spiegano i Comitati cittadini che hanno
lanciato l´appello per una manifestazione nazionale - In un tempo in
cui l´ipocrisia dei "poteri forti" di questo paese, che antepongono
sempre la logica del profitto e del comando agli interessi della
collettività, si è manifestata in maniera organizzata per tentare di
stravolgere, criminalizzare e manipolare la realtà a proprio uso e
consumo. Crediamo sia fondamentale ribadire, ancora una volta, quali
sono gli obiettivi della manifestazione. Scendiamo in piazza,
innanzitutto, per prendere parola in maniera comune. Per dare parola a
un percorso che dovrà continuare anche il 3 il 4… e i mesi a seguire».

Le adesioni sono fittissime: dai Verdi a Rifondazione, dal Pdci
all'Arci, dai beati Costruttori di pace agli Statunitensi contro la
guerra, dalla Tavola della Pace ai comitati di cittadini, dai
sindacati di base fino ai movimenti "più duri" come quello dell´ex
leader dei Disobbedienti Luca Casarini, dei centri sociali del Nord
Est, degli anarchici. Per i Ds l´adesione è soprattutto a livello
cittadino: 5 consiglieri comunali, ma anche parlamentari Ds come Lalla
Trupia che «ha assolua fiducia che il ministro Parisi si opponga alla
nuova base». Mentre il segretario della Quercia Fassino ha ribadito la
necessità «di un confronto, tra il governo e le istituzioni locali
interessate, il più presto possibile».

Fitta anche la schiera dei politici, dalla paralmentare della
Margherita Laura Fincato che ribadisce la necessità di un referendum a
cui si unisce il portavoce dei verdi alla Camera, Angelo Bonelli «ci
deve essere un'espressione democratica della cittadinanza». Di città
svenduta parla il sindaco di Venezia Massimo Cacciari che replica « il
goveno deve tener conto della posizione della città, sarebbe uno
scempio accettare un'altra base militare».

«La militarizzazione del nostro territorio e la cessione di sovranità
nazionale nei confronti di una forza armata straniera è incompatibile
con la aspirazione di pace del nostro Paese – spiega Alfio Nicotra,
responsabile Pace del Prc, presente a Vicenza - Il rilancio ed il
potenziamento della presenza militare degli Stati Uniti nel nostro
Paese non riguarda solo Vicenza ma anche la Sicilia. A Lentini in
provincia di Siracusa per esempio è stato dato recentemente l'avvio ad
un megaprogetto insediativo per i militari USA di Sigonella (un
migliaio di villette su 91 ettari di aranceto). Sia a Lentini che a
Vicenza c'è lo zampino della Maltauro, la società specializzata nella
costruzione di megainsediamenti militari».

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manifestazione no camp dal molin 2 dicembre 06 Vicenza
Inviato da: "soccorsopopolare @ libero.it"
Sab 2 Dic 2006 8:37 pm

Grande grandissima manifestazione popolare contro il progettato Camp
Dal Molin a Vicenza oggi. Moltissime persone più delle 5000 previste.
Una massa di vicentini e di tantissima altra gente venuta dai paesi e
dalle città del veneto. 15.000 sicuramente, ma forse anche molti di
più hanno percorso le strade di Vicenza fino a circondare verso sera
con un lungo serpentone tutto l'aeroporto guardato da reparti in armi.
Del resto armatissima era la città con centuinaia e centinaia di
poliziotti e carabinieri ovunque. Piccoli grupetti di armigeri contro
un imponente fiume di popolo. La caratteristica di questa
manifestazione è la sua complessità, un intero popolo in tutte le sue
sfaccettature, nella sua moltitudine di comitati e organizzazioni di
ogni tipo ma tutte accumunate da una decisione: fermare ad ogni costo
la base. Bandiere no tav accanto a striscioni contro la guerra, a
bandiere sindacali e per la pace.

Lo sviluppo di questa imponente mobilitazione sarà un'assemblea
allargata dei comitati che garantirà l'ampliamento della mobilitazione
e la non contrattabilità dell'obiettivo. Sì può vincere e si deve
vincere. Marginalizzate sono già forme desuete di soggettivismo,
narcisimo grupettaro. Impedire l'apertura di questa grande base di
guerra è l'aiuto più concreto che possiamo dare ai popoli che
resistono. Impedirlo costruendo un blocco popolare è un ulteriore
grande contributo alla lotta contro l'imperialismo.

Da rimarcare la presenza di compagni di altre regioni dalla Toscana
alla Liguria al Piemonte alla Lombardia al Friuli a Roma. E' questa di
Vicenza la più grande mobilitazione contro una base della morte. Essda
si fonda e proviene dalle lotte decennali, anche se "carsiche" dei
comitati popolari veneti contro la guerra e per la pace. E' da
uagurarsi che la mobilitazione odierna si trasformi in blocco, in
fronte popolare e non sia decomposta dai soliti desueti giochi delle
soggettività politiche.

Oggi a Vicenza abbiamo aperto una nuova fase di massa che congiunge
assieme la lotta contro la guerra interna ( massacro del territorio)e
la guerra imperialista. Cerchiamo di tenerla aperta e favorire le
future iniziative di manifestazione di campo, di blocco e tutto quel
che sarà necessario a bloccare davvero i lavori.

CAMP DAL MOLIN NON PASSERA'
GLI USA POSSONO ESSERE BATTUTI NON SOLO IN IRAQ

(Fonte: aa-info @yahoogroups.com)

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Sulla manifestazione di Vicenza vedi anche:

https://www.cnj.it/INIZIATIVE/NODALMOLIN/