Informazione
Data: Lun 7 Mar 2005 18:26:24 Europe/Rome
A: crj-mailinglist @yahoogroups.com
Oggetto: [JUGOINFO] AVVISO: Bari 17-31/3: SOS KOSOVO
Bari -17-31marzo
SOS Kosovo
I monasteri medievali serbo-ortodossi prima e dopo la guerra
Mostra fotografica e conferenze
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Most za Beograd – Un ponte per Belgrado in terra di Bari
Associazione culturale di solidarietà con le popolazioni jugoslave
via Abbrescia 97, 70121 BARI. most.za.beograd@...
tel. 0805562663-conto corrente postale n.13087754-CF:93242490725
L'associazione opera per la diffusione di una cultura critica della
guerra e il riavvicinamento tra i popoli con culture, etnie, religioni
ed usanze diverse al fine di una equa e pacifica convivenza. Si
impegna per la diffusione di un forte senso di solidarietà nei
confronti delle popolazioni jugoslave e degli altri popoli vittime
della guerra. Ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle
controversie internazionali.
In particolare l'associazione:
- promuove iniziative di conoscenza della storia e della cultura
jugoslave
- promuove, attraverso raccolte di fondi e donazioni, iniziative di
solidarietà nei confronti delle vittime della guerra nel campo
sanitario, scolastico, alimentare e in ogni altro campo; adozioni a
distanza di bambini jugoslavi;
- promuove iniziative di gemellaggio tra enti locali italiani e
jugoslavi, tra scuole italiane e jugoslave, scambi culturali e di
amicizia.
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SOS Kosovo
I monasteri medievali serbo-ortodossi prima e dopo la guerra
### Mostra fotografica ###
17-31marzo – ore 9.30 -19.00
Palazzo Simi, Strada Lamberti, Città Vecchia, Bari
Info: 0805562663
Prenotazioni visite guidate: 0805427003 – 3339152284
Tra il 1999 e il marzo 2004 (quando è stato scatenato un vero e
proprio pogrom antiserbo che ha provocato decine di morti e centinaia
di feriti e ha costretto ad abbandonare le loro case altre 4000
persone, che si aggiungono agli oltre 220.000 profughi Serbi e di
altre nazionalità non albanesi) sono stati devastati e distrutti circa
120 monasteri medievali e chiese serbo-ortodosse: rischiano di
scomparire definitivamente documenti dell'architettura monumentale,
cattedrali con una pittura murale di inestimabile valore estetico e
storico, testimonianza di una cultura nata in un contesto geografico
caratterizzato dall'incontro tra civiltà orientale e civiltà
occidentale.
La Mostra, organizzata dalle associazioni ADIRT e Most za Beograd in
collaborazione con Mnemosyne-Centro per la protezione del patrimonio
culturale e ambientale del Kosovo e Metohija, illustra il patrimonio
artistico-culturale del Kosovo nel suo corpus bizantinoslavo, da San
Pietro di Korisa a Studenica di Hvosno, alla Madonna di Ljevisa, al
Patriarcato di Pec, da Gracanica a Decani, ai Santi Arcangeli presso
Prizren. Illustra altresì gli enormi danni inflitti a questo
patrimonio negli ultimi 5 anni, in cui la politica di pulizia etnica
dell'UCK si è accanita particolarmente anche contro l'eredità
culturale e spirituale serba.
In concomitanza con la Mostra, sono state organizzate due conferenze:
l'una sull'arte e il patrimonio storico-artistico del Kosovo e
Metohija, anche in relazione ai rapporti intercorsi tra Serbia e
Puglia nel Medioevo; l'altra per discutere e riflettere sulla
situazione attuale e le prospettive politiche di una regione che,
lungi dall'essere pacificata dopo quasi 6 anni di protettorato ONU, è
un "buco nero" nel cuore dell'Europa.
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Giovedì 17 marzo ore 16.30 - Palazzo Simi
Strada Lamberti, Città Vecchia, Bari
### Il grande patrimonio artistico-religioso del Kosovo e Metohija a
rischio di estinzione ###
Interventi di
Nellina Guarnieri, presidente dell'ADIRT
Giuseppe Palomba, associazione Most za Beograd
Giuseppe Andreassi, Sovrintendente per i beni archeologici della Puglia
Aleksandar Simic, consigliere giuridico del primo ministro serbo V.
Kostunica
Svetlana Stipcevic, docente di lingua e letteratura serbo-croata
presso l'Università di Bari
Branko Jokic, già direttore del Museo di Pristina, membro di Mnemosyne
Relazioni di
Mirjana Menkovic, Presidente di Mnemosyne-Centro per la protezione del
patrimonio culturale e ambientale del Kosovo e Metohija
Lo stato del patrimonio artistico-culturale del Kosovo dopo la guerra
e i pogrom del marzo 2004
Rosa d'Amico, direttrice della Pinacoteca nazionale di Bologna, membro
promotore del comitato "Salva i monasteri"
L'arte bizantina in Serbia tra `200 e `300.
padre Gerardo Cioffari, direttore del Centro Studi Nicolaiani
I rapporti tra la Puglia e la Serbia nel Medioevo
Nino Lavermicocca, ADIRT
Aspetti della cultura artistica dei monasteri serbi ai tempi dello zar
Milutin II
Saluti di rappresentanti istituzionali ed enti patrocinatori
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venerdì 18 marzo ore 16.00
Aula "Contento"
Facoltà di Giurisprudenza - p.zza C. Battisti, Bari
### Lo status giuridico internazionale del Kosovo. Situazione attuale
e prospettive di soluzione politica ###
Relazioni e interventi di
Dott. Aleksandar Simic, consigliere giuridico del primo ministro serbo
V. Kostunica
Prof. Giovanni Cellamare (Università di Bari)
Prof. Nicola Cufaro Petroni, Centro Interdipartimentale Ricerche sulla
pace dell'Università di Bari
Prof. Nico Perrone, Università di Bari
Prof. Vincenzo Starace, Università di Bari
Prof. Ugo Villani, Università La Sapienza, Roma.
Ivan Pavicevac, Coordinamento per la Jugoslavia
On. Luana Zanella, del comitato "Salva i monasteri"
On. Maria Celeste Nardini, già membro della Commissione parlamentare
Difesa
Tommaso di Francesco, del quotidiano Il manifesto
Stefano Boccardi, del quotidiano La Gazzetta del Mezzogiorno
Coordina
Andrea Catone, Presidente dell'associazione Most za Beograd
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Organizzata da
Most za Beograd - Un ponte per Belgrado in terra di Bari -
Associazione culturale di solidarietà con le popolazioni jugoslave
ADIRT - Associazione difesa insediamenti rupestri e territorio
Con la collaborazione di
Mnemosyne - Centro per la protezione del patrimonio culturale e
naturale del Kosovo e Metohija, Belgrado
Col patrocinio di
CIRP - Centro Interdipartimentale di Ricerche per la Pace - Università
di Bari
Sovrintendenza per i beni archeologici della Puglia
Provincia di Bari
Comune di Bari
Durante il periodo della Mostra saranno proiettati documentari e
diapositive sulla situazione del Kosovo e sui disastri della guerra:
Mnemosyne (a cura di), L'eredità culturale multietnica del Kosovo in
pericolo
(documentario, 2004)
Michel Collon, Vanessa Stojlkovic, I dannati del Kosovo
(edito in VHS con il libro di Enrico Vigna, Kosovo "liberato" – le
menzogne per fare le guerre le ragioni per fare la pace, La città del
Sole, Napoli, 2003)
Corrado Veneziano, Sedìci persone – le parole negate del bombardamento
della TV di Belgrado
(edito in DVD con il libro "Se dici guerra umanitaria, a cura di
Corrado Veneziano e Domenico Gallo, Besa ed., 2005)
Pasquale Giordano, Le altre verità del Kosovo (2004)
(di Gaetano Stellacci)
(ANSA) - BRATISLAVA, 22 FEB - Il vertice di giovedi' a Bratislava tra i
presidenti americano, George W.Bush, e russo, Vladimir Putin, attirera'
sulla Slovacchia l'attenzione internazionale e sara' quindi una
occasione per emergere sulla scena politica europea, dove finora molti
la confondono con la Slovenia.
A dare il meritato riconoscimento internazionale, con la prima visita
nella sua storia di un presidente degli Usa nella nuova Slovacchia
liberale e filo americana, dopo decenni in orbita sovietica, sara'
proprio Bush, che in campagna elettorale nel 1999 l'aveva scambiata con
la Slovenia. Parlando sei anni fa con un giornalista, l'allora
candidato repubblicano Bush aveva confidato di avere imparato molte
cose sulla Slovacchia parlando con Janez Drnovsek (all'epoca premier
della Slovenia).
Ma a confondere i due Stati dal passato nell'Europa comunista non sono
soltanto gli occidentali. Nel 2002 durante una visita in Romania il
presidente sloveno fu accolto in forma solenne al suono dell'inno
slovacco.
A questo bisogna aggiungere che i due paesi si sono dati anche due
bandiere pressoche' indistinguibili, a strisce orizzontali (dall'alto
in basso) bianco, blu e rosso, dove l'unica differenza e' lo stemma
presente su ambedue i vessilli in posizione leggermente diversa e con
un motivo differente. Per questo la Slovenia alcuni mesi fa ha
cominciato a pensare di darsi una nuova bandiera, per distinguersi
meglio, ma il progetto di legge e' fermo in commissione.
La Slovacchia, nata nel 1993 dalla scissione della Cecoslovacchia in
due Stati indipendenti (l'altro e' la Repubblica Ceca), con i suoi 49
mila kmq e cinque milioni di abitanti e' grande oltre il doppio della
Slovenia, la ex repubblica della Jugoslavia indipendente dal 1991,
estesa su 20 mila kmq dove abitano circa due milioni di persone.
Situate a est delle Alpi in Europa centrale, confinano ambedue con
Austria e Ungheria (la Slovacchia e' a nord, la Slovenia a sud) del cui
impero una volta facevano parte. La Slovenia condivide con l'Italia
anche il confine di terra piu' orientale della Penisola.
Slovacchi e sloveni parlano ambedue lingue slave, abbastanza diverse da
risultare incomprensibili ai rispettivi cittadini, tuttavia hanno un
aggettivo, ''slovensky'', che in Slovacchia significa slovacco ed in
Slovenia vuol dire sloveno. (ANSA). STE
22/02/2005 18:50
http://www.ansa.it/balcani/slovenia/20050222185033288279.html
1. Articolo di P. Matvejevic
2. P. Matvejevic: »Foibe« su fašistički izum
3. Pismo redakciji O. Daric povodom clanka P. Matvejevica
=== 1 ===
[ Vai alla pagina originale per leggere i talvolta incredibili, ma
comunque significativi commenti:
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3901/1/51/ ]
Predrag Matvejević: le foibe e i crimini che le hanno precedute
15.02.2005 - Il noto scrittore di Mostar, docente all’Università La
Sapienza di Roma, interviene sulla questione delle foibe e del giorno
del ricordo con un articolo pubblicato sul quotidiano fiumano Novi
List. La condanna di tutti i crimini e il rischio delle
strumentalizzazioni. Ringraziamo Matvejević per averci reso disponibile
il suo testo
Di Predrag Matvejević, Novi List [http://www.novilist.hr/ - VEDI SOTTO
per l'originale in serbocroato], 12 febbraio 2005 (titolo originale
"Foibe" su fašistički izum)
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Luka Zanoni
Queste righe sono state scritte nel Giorno del ricordo in Italia, 10
febbraio 2005 – quel dispiacere lo condivido con molti cittadini di
questo Paese. I crimini delle fosse e quelli che in esse vi sono
finiti, ciò che le ha precedute e che le ha seguite, l'ho condannato da
tempo - mentre vivevo in Jugoslavia, quando di ciò in Italia si parlava
raramente e non abbastanza. Ho scritto pure sui crimini di Goli Otok,
di cui sono state vittime molti comunisti, Jugoslavi e Italiani che
erano più vicini a Stalin e Togliatti che al "revisionismo" di Tito. Ho
parlato anche della sofferenza degli esiliati italiani dall'Istria e
dalla Dalmazia, dopo la Seconda Guerra mondiale – l'ho fatto in
Jugoslavia, dove probabilmente era più difficile che in Italia. Non so
di preciso quanti scrittori italiani ho presentato, che allora erano
costretti ad andare via e quelli che sono rimasti: Marisa Madieri, Anna
Maria Mori, Nelida Dilani, Diego Zandel, Claudio Ugussi, Giacomo
Scotti, ecc. Non ricordo quanti articoli ho pubblicato sulla stampa
delle minoranza italiana, poco conosciuta in Italia, così da poterla
appoggiare, desiderando che fosse meno sola e meno esposta – e anche
loro mi hanno appoggiato quando decisi di andarmene.
Le fosse, o le foibe come le chiamano gli Italiani, sono un crimine
grave, e coloro che lo hanno commesso si meritano la più dura condanna.
Ma bisogna dire sin da ora che a quel crimine ne sono preceduti degli
altri, forse non minori. Se di ciò si tace, esiste il pericolo che si
strumentalizzino e "il crimine e la condanna" e che vengano manipolati
l'uno o l'altro. Ovviamente, nessun crimine può essere ridotto o
giustificato con un altro. La terribile verità sulle foibe, su cui il
poeta croato Ivan Goran Kovačić ha scritto uno dei poemi più commoventi
del movimento antifascista europeo, ha la sua contestualità storica,
che non dobbiamo trascurare se davvero desideriamo parlare della verità
e se cerchiamo che quella verità confermi e nobiliti i nostri
dispiaceri. Perché le falsificazioni e le omissioni umiliano e
offendono.
La storia ingloriosa iniziò molto prima, non lontano dai luoghi in cui
furono commessi i crimini. Prenderò qualcosa dai documenti che abbiamo
a disposizione: il 20 settembre 1920 Mussolini tiene un discorso a Pola
(non scelse a caso quella città). Annuncia: "Per la creazione del
nostro sogno mediterraneo, è necessario che l'Adriatico (si intende
tutto l'Adriatico, ndr.), che è il nostro golfo, sia in mano nostra; di
fronte alla inferiorità della razza barbarica quale è quella slava". Il
razzismo così entra in scena, seguendo la "pulizia etnica" e il
"trasferimento degli abitanti". Le statistiche che abbiamo a
disposizione fanno riferimento alla cifra approssimativa di 80.000
esuli Croati e Sloveni durante gli anni venti e trenta. Non sono
riuscito a confermare quanti poveri siano stati portati dalla Calabria,
e non so da dove altro, per poterli sostituire. Gli Slavi perdono il
diritto, che avevano prima in Austria, di potersi avvalere della
propria lingua sulla stampa e a scuola, il diritto al predicare in
chiesa, e persino l'iscrizione sulla tomba. Le città e i villaggi
cambiano nome. I cittadini e le famiglie pure. Lo Stato italiano
estesosi dopo il 1918 non tenne in considerazione le minoranze e i loro
diritti, cercò o di denazionalizzarli totalmente o di cacciarli.
Proprio in questo contesto per la prima volta si sente la minaccia
delle foibe. Il ministro fascista dei lavori pubblici Giuseppe Caboldi
Gigli, che si attribuì l'appellativo vittorioso di "Giulio Italico",
scrive nel 1927: "La musa istriana ha chiamato con il nome di foibe
quel luogo degno per la sepoltura di quelli che nella provincia
dell'Istria danneggiano le caratteristiche nazionali (italiane)
dell'Istria" ("Gerarchia", IX, 1927). Lo zelante ministro aggiungerà a
ciò anche dei versi di minacciose poesie, in dialetto: "A Pola xe
arena, Foiba xe a Pizin" ("A Pola c'è l'arena, a Pazina le foibe").
Mutuo questo detto da Giacomo Scotti, scrittore italiano di Rijeka.
Le "foibe" sono, quindi, un'invenzione fascista. Dalla teoria si è
passati velocemente alla prassi. Il quotidiano triestino "Il Piccolo"
(5.XI.2001) riporta la testimonianza dell'ebreo Raffaello Camerini che
era ai lavori forzati in Istria, alla vigilia della capitolazione
dell'Italia, nel luglio 1943: la cosa peggiore che gli successe fu
prendere gli antifascisti uccisi e buttarli nelle fosse istriane, per
poi cospargere i loro corpi con la calce viva. La storia avrebbe poi
aggiunto a ciò ulteriori dati. Uno dei peggiori criminali dei Balcani
fu di sicuro il duce ustascia Ante Pavelić. Jasenovac fu un Auschwitz
in piccolo, con la differenza che in esso si facevano lavori perlopiù
"manualmente", ciò che i nazisti fecero "industrialmente". E le fosse,
ovviamente, furono una parte di tale "strategia". Mi chiedo se anche
uno degli scolari italiani in uno dei suoi sussidiari poteva leggere
che quello stesso Pavelić con le squadre dei suoi seguaci più criminali
per anni godette dell'ospitalità di Mussolini a Lipari, dove ricevette
aiuto e istruzioni dai già allenati "squadristi" fascisti. Quelli che
oggi parlano dei programmi scolastici in Italia e sul luogo delle
foibe, non dovrebbero trascurare di includere anche questi dati. E
anche altro vale la pena di ricordare: il governo di Mussolini aveva
annesso la maggior parte della Slovenia insieme con Lubiana, la
Dalmazia, il Montenegro, una parte della Bosnia Erzegovina, l'intera
Bocca di Cattaro. A quel tempo, tra il 1941 e il 1943, di nuovo, furono
cacciati dall'Istria circa 30.000 Slavi – Croati e Sloveni – e fu
occupata la regione. Le "camicie nere" fasciste portarono a termine
fucilazioni individuali e di massa. Fu falciata un'intera gioventù. I
dati che provengono da fonti jugoslave fanno riferimento a circa
200.000 uccisi, particolarmente sulle coste e sulle isole. La cifra mi
sembra che sia però ingrandita – ma anche se solo un quarto
rispecchiasse la realtà, sarebbe già molto. In Dalmazia gli occupanti
italiani catturarono e fucilarono Rade Končar, uno dei capi del
movimento, il più stretto collaboratore di Tito. In determinate
circostanze hanno pure aiutato il capo dei cetnici serbi in Dalmazia,
il pope Ðuijić, che incendiò i villaggi croati e sgozzò gli abitanti,
vendicandosi con gli ustascia per i massacri che avevano commesso
contro i Serbi. Così da fuori prese impulso pure la guerra civile
interna. A ciò occorre aggiungere l'intera catena dei campi di
concentramento italiani, i più piccoli e i più grandi, dall'isoletta di
Mamula nel profondo sud, davanti a Lopud nelle Elafiti, fino a Pago e
Rab nel golfo del Quarnaro. Erano spesso stazioni di transito per la
mortale risiera di San Sabba di Trieste, e in alcuni casi anche per
Auschwitz o Dachau. I partigiani non furono protetti dalla Convenzione
di Ginevra (in nessun luogo al mondo) così che i prigionieri furono
subito fucilati come cani. Molti terminarono la guerra con gravi
ferite, corporali e morali. Tali erano quelli in grado di commettere
crimini come le foibe.
Non c'è nessun dato in nessun archivio, militare o civile, sulla
direttiva che sarebbe giunta dall'Alto comando partigiano o da Tito: le
unità di cui facevano parte molti di quelli che avevano perso i
familiari, i fratelli, gli amici, commisero dei crimini "di propria
mano". Purtroppo, il fascismo ha lasciato dietro di sé talmente tanto
male che le vendette furono drastiche non solo nei Balcani.
Ricordiamoci del Friuli, nella parte confinante con l'Italia, dove non
c'erano scontri tra nazionalità: i dati parlano di diecimila uccisi
senza tribunale, alla fine della guerra. In Francia ce ne furono oltre
50.000. In Grecia non so quanti.
In Istria e a Kras dalle foibe sono stati esumati fino ad ora 570 corpi
(lo storico triestino Galliano Fogar ne riporta persino un numero
minore, notando che nelle fosse furono gettati anche alcuni soldati
uccisi sui campi di battaglia, non solo Italiani). Oggi possiamo
sentire la propaganda che su svariati media italiani fa riferimento a
"decine di migliaia di infoibati". Secondo lo storico italiano Diego de
Castro nella regione furono uccisi circa 6.000 Italiani. Non serve
aumentare o licitare quel tragico numero, come in questo momento
sembrano fare i giornali italiani, con 30.000 o 50.000 uccisi. Bisogna
rispettare le vittime, non gettare sulle loro ossa altri morti, come
hanno fatto gli "infoibatori".
Per ciò che riguarda invece i luoghi che tutti questi dati occupano
nell'immaginario, non mi sembra che sia benvenuta la propaganda che
come tale è diffusa dal film "Il cuore nel pozzo", che in questi giorni
è stato visto in televisione da circa 10 milioni di Italiani,
pubblicizzato in un modo incredibilmente aggressivo. Nessuna
testimonianza storica parla di una madre che i partigiani portano via
dal figlio e poi la buttano nelle foibe! Questa è un'invenzione
tendenziosa dello sceneggiatore. Il cinema italiano ha una eccellente
tradizione nel neorealismo, una delle più significative di tutta la
moderna cinematografia - non gli servono dei modelli simili al
"realismo sociale", dei film sovietici girati negli anni sessanta del
secolo scorso. E nei preparativi, che in questi giorni sono stati
organizzati, o nelle trasmissioni tv più guardate, sarebbe stato meglio
se ci fosse stato qualche ministro che avesse, rispetto al fascismo, un
diverso passato piuttosto che quelli che abbiamo visto in scena. Ciò
sarebbe servito da modello e autenticità alle testimonianze.
La Jugoslavia non esiste più. Croati, serbi, sloveni e gli altri
nazionalisti si compiacciono quando la destra italiana gli offre nuovi
argomenti per accusare lo Stato che essi stessi hanno lacerato.
(Ricordiamoci che il film è stato girato in Montenegro, nella Bocca di
Cattaro, con un attore serbo che interpreta il ruolo del partigiano
sloveno…) Così di nuovo si feriscono i popoli le cui cicatrici ancora
non sono state medicate. È questo il modo migliore – in particolare se
se allo stesso tempo si nasconde tanto quanto non corrisponde a verità?
Perché, non c'è una qualche via migliore? Il dispiacere che
condividiamo può essere reso in un modo più degno e nobile, la storia
in modo meno mutilato e difettoso? Non è fino a ieri che vicino a
Trieste passava la più aperta frontiera tra l'Oriente e l'Occidente, al
tempo della guerra fredda e della grande prosperità della città di San
Giusto? Gli Italiani e i Croati in Istria, in questi ultimi anni, non
hanno forse trovato un linguaggio comune per opporsi al nazionalismo
tudjmaniano molto più di quanto non sia stato fatto altrove in Croazia?
E alla fine a chi serve questa strumentalizzazione di cui siamo
testimoni?
Non siamo ingenui. Si tratta di una mobilitazione eccezionalmente
riuscita del berlusconismo nello scontro con l'opposizione, con la
sinistra e le sue relazioni col comunismo che, secondo le parole di
Berlusconi, ha sempre e solo portato "miseria, morte e terrore", e
persino anche quando sacrificò 18 milioni di vittime di Russi nella
lotta per la liberazione dell'Europa dal fascismo. Questa campagna
meditata è iniziata 5-6 anni fa, al tempo in cui fu pubblicato "Il
libro nero sul comunismo", distribuito pubblicamente dal premier ai
suoi accoliti. Essa è condotta, pubblicamente e dietro le quinte,
abilmente e sistematicamente. Il suo vero scopo non è nemmeno quello di
accusare e umiliare gli Slavi, ma danneggiare i propri rivali e
diminuire le loro possibilità elettorali. Ma gli Slavi – in questo caso
perlopiù Croati e Sloveni – ne stanno pagando il conto.
Esiste una sorta di "anticomunismo viscerale" che secondo le parole di
un mio amico, il geniale dissidente polacco Adam Michnik, è peggio del
peggiore comunismo. Il sottoscritto forse ne sa qualcosa di più: ha
perso quasi l'intera famiglia paterna nel gulag di Stalin. Ma per
questo non disprezza di meno i fascisti.
=== 2 ===
http://www.novilist.hr/
Default.asp?WCI=Rubrike&WCU=2859285A2863285A2863285A28582858285D28632896
2897289E286328632859285A286128612858285A28632863286328592863D
Novi List
Izdanje za: Subotu, 12.2.2005
STRAŠNA ISTINA O JAMAMA KOJA KORIJENJE VUČE IZ 1918. GODINE, IMA
POVIJESNU KONTEKSTUALNOST KOJU SE NE SMIJE ZANEMARITI
»Foibe« su fašistički izum
Talijanska država koja se proširila početkom 20. stoljeća nije vodila
računa o manjinama i njihovim pravima, nastojala ih je ili potpuno
denacionalizirati ili istjerati. Upravo u takvu kontekstu čuje se prvi
put prijetnja foibama
Piše književnik Predrag Matvejević za »Corriere della Sera« i »Novi
list«
Ovi su redovi pisani na Dan žalosti u Italiji, 10. veljače 2005. godine
– tu žalost dijelim s mnogim građanima ove zemlje. Zločine jama i one
koji su ih izvršili, ono što im je prethodilo i slijedilo, osuđivao sam
odavno – dok sam još živio u Jugoslaviji, kad se o tome rijetko i
nedovoljno govorilo u Italiji. Pisao sam također o zločinima na Golom
otoku, na kojem je stradalo mnogo komunista, Jugoslavena i Talijana
kojima su bili bliži Staljin i Togliati negoli Titov »revizionizam«.
Govorio sam također o stradanju talijanskih izgnanika iz Istre i
Dalmacije, nakon Drugoga svjetskog rata – činio sam to u Jugoslaviji,
gdje je vjerojatno bilo teže nego u Italiji. Ne znam točno koliko sam
predstavio talijanskih pisaca koji su tada morali otići i onih koji su
ostali: Marisu Madieri, Anna-Mariju Mori, Nelidu Milani, Diega Zandela,
Claudija Ugussija, Giacoma Scottija itd. Ne sjećam se koliko sam
članaka objavio u štampi talijanske manjine, slabo poznate u Italiji,
kako bih je podržao, želeći da bude manje sama i izložena – i oni su
mene podržali kad sam odlučio otići.
Jame, ili foibe kako ih Talijani zovu, težak su zločin, a oni koji
su ga počinili zaslužuju najtežu osudu. Ali valja odmah reći da su i
tome zločinu prethodili drugi, možda ne manji. Ako se to prešuti,
postoji opasnost da se instrumentaliziraju i »zločin i kazna« te
manipulira jednim ili drugim. Naravno, ni jedan se zločin ne može
umanjiti ili opravdati drugim. Strašna istina o foibama, o kojoj je
hrvatski pjesnik Ivan Goran Kovačić napisao jednu od najpotresnijih
poema evropskoga antifašističkog otpora, ima svoju povijesnu
kontekstualnost, koju ne smijemo zanemariti ako doista želimo govoriti
istinu i ako tražimo da ta istina potvrdi i oplemeni naše žaljenje. Jer
krivotvorenje i izostavljanje ponižavaju i vrijeđaju.
Prijeteća pjesmica fašističkog ministra
Neslavna priča započela je mnogo prije, nedaleko od mjesta na kojima su
zločini počinjeni. Posegnut ću stoga za dokumentima kojima raspolažemo:
20 rujna 1920. godine Mussolini drži govor u Puli (nije slučajno
izabrao taj grad). Izjavljuje: »Za ostvarenje našega mediteranskog sna,
potrebno je da Jadran (podrazumijeva se cijeli Jadran, op. P.M.), koji
je naš zaljev, bude u našim rukama; naspram niže, barbarske rase kakva
je slavenska.« Rasizam tako stupa na scenu, praćen »etničkim čišćenjem«
i »preseljenjem stanovništva«. Statistike koje nam stoje na
raspolaganju spominju približnu brojku od 80.000 izgnanih Hrvata i
Slovenaca u toku dvadesetih i tridesetih godina. Nisam uspio utvrditi
koliko je dovedeno sirotinje iz Kalabrije, i ne znam sve otkuda, da ih
zamijene. Slaveni gube pravo, koje su prije toga imali u Austriji, da
se služe svojim jezikom u školi i štampi, pravo na propovijed u crkvi,
pa čak i natpis na groblju. Gradovi i sela mijenjaju imena. Građani i
obitelji također. Talijanska država koja se proširila nakon 1918. nije
vodila računa o manjinama i njihovim pravima, nastojala ih je ili
potpuno denacionalizirati ili istjerati. Upravo u takvu kontekstu čuje
se prvi put prijetnja foibama. Fašistički ministar javnih radova
Giuseppe Caboldi Gigli, koji je sebi namijenio pobjednički naziv
»Giulio Italico«, piše 1927. godine: »Istarska muza nazvala je foibom
mjesto koje je dostojno za pokop onoga tko u pokrajini Istri ugrozi
nacionalne (sc. talijanske) karakteristike Istre« (»Gerarchia, IX,
1927). Revnosni ministar će tome dodati i stihove prijeteće pjesmice, u
dijalektu: »A Pola xe arena, Foiba xe a Pizin« (»U Puli je arena, u
Pazinu foiba«). Preuzimam te navode od Giacoma Scottija, talijanskog
pisca iz Rijeke.
Jasenovac – umanjeni Auschwitz
»Foibe« su, dakle, fašistički izum. S teorije prešlo se brzo na praksu.
Tršćanski dnevnik »Il Piccolo« (5. XI. 2001) navodi svjedočenje Židova
Raffaella Camerinija koji je bio na prisilnom radu u Istri, uoči
kapitulacije Italije, u srpnju 1943. godine: najgora stvar koja ga je
zapala bila je dovoziti ubijene antifašiste i bacati ih u istarske jame
te preko njihovih leševa nalijevati živo vapno. Povijest bi tome dodala
još neke podatke. Jedan od najgorih zločinaca na Balkanu bio je sigurno
ustaški duce Ante Pavelić. Jasenovac je bio umanjeni Auschwitz, s tom
razlikom što se u njemu obavljalo posao uglavnom »ručno« ono što su
nacisti činili »industrijski«. I jame su, naravno, bile dio takve
»strategije«. Pitam se je li i jedan talijanski učenik u nekoj svojoj
čitanci mogao pročitati da je taj isti Pavelić s odredima svojih
najkriminalnijih sljedbenika godinama uživao Mussolinijevo
gostoprimstvo na Liparima, gdje su dobivali pomoć i instrukcije već
istreniranih fašističkih »skvadrista«. Oni koji danas govore o školskim
programima u Italiji i o mjestu za foibe u njima, ne bi trebali
propustiti uvrstiti i te podatke. I još nešto valja spomenuti:
Mussolinijeva je vlast anektirala veći dio Slovenije zajedno s
Ljubljanom, Dalmaciju, Crnu Goru, dio Bosne i Hercegovine, cijelu Boku
kotorsku. Tada je ponovo, između 1941. i 1943., oko 30.000 Slavena –
Hrvata i Slovenaca – protjerano iz Istre i okupiranih krajeva.
Fašističke »crne košulje« obavljale su masovna i individualna
strijeljanja. Cijela je jedna mladost pokošena. Podaci koje daju
jugoslavenski izvori spominju oko 200.000 ubijenih, napose na obalnom
prostoru i otocima. Brojka je, čini mi se, ipak uvećana – ali ako samo
njezina četvrtina odgovara stvarnosti, to je već mnogo. U Dalmaciji su
talijanski okupatori uhvatili i strijeljali Radu Končara, jednog od
predvodnika otpora, najbližeg Titova suradnika. U određenim prilikama
oni su pomagali i srpskom četničkom vojvodi u Dalmaciji, popu Đujiću,
koji je palio hrvatska sela i klao njihove stanovnike, osvećujući se
ustašama za pokolje koje su oni radili nad Srbima. Tako je i izvana
potican unutarnji građanski rat. Tome valja dodati cijeli lanac
talijanskih koncentracijskih logora, manjih i većih, od otočića Mamule
na krajnjem jugu, preko Lopuda u Elafitima, do Paga i Raba uz
Kvarnerski zaljev. Oni su često bili prolazne stanice za smrtonosnu
Rižarnu svetoga Sabe u Trstu, a u nekim slučajevima i za Auschwiz ili
Dachau. Partizani nisu bili zaštićeni Ženevskom konvencijom (nigdje u
svijetu) tako da su zarobljenici odmah strijeljani kao psi. Mnogi su
rat završili s teškim ranama, tjelesnim i duševnim. Takvi su bili kadri
počiniti zločine poput foibi.
Drastične osvete
Nema nikakvih podataka ni u kakvoj arhivi, vojnoj ili civilnoj, o
direktivi koja bi došla od partizanskog Vrhovnog štaba ili Tita:
jedinice u čijim je sastavima bilo mnogo onih koji su izgubili
obitelji, braću, drugove, činili su zločine »na svoju ruku«. Na žalost,
fašizam je ostavio za sobom toliko zla da su osvete bile drastične ne
samo na Balkanu. Sjetimo se Friullija, u susjednom dijelu Italije, gdje
nije bilo međunacionalnih obračuna: podaci govore o desetak tisuća
ubijenih bez suda, na kraju rata. U Francuskoj ih je bilo više od
50.000. U Grčkoj ne znam koliko.
U Istri i na Krasu izvađeno je dosad iz fojbi 570 leševa (tršćanski
historičar Galleano Fogar navodi čak nešto manju brojku, s napomenom da
su u jame bacani i neki vojnici ubijeni u okolnim bitkama, ne samo
Talijani). Danas možemo čuti propagandu koja u raznim talijanskim
medijima spominje »desetine tisuća ujamljenih « (infoibati). Prema
talijanskom historičaru Diegu de Castru u regiji je ubijeno oko 6.000
Talijana. Ne treba tu tragičnu brojku uvećavati i licitirati, kao što
to u ovom času čine talijanska glasila, s 30.000 ili 50.000 ubijenih.
Valja poštovati žrtve, ne bacati na njihove kosture druge mrtvace, kao
što su to činili »jamari« (infoibatori).
Što se pak tiče mjesta koje svi ovi podaci zauzimaju u imaginariju,
ne čini mi se da je dobrodošla propaganda kakvu širi film »Srce u
bunaru« (Il Cuore nel pozzo), koji je ovih dana vidjelo na televiziji
oko 10 milijuna Talijana, reklamiran na neviđeno agresivan način. Ni
jedno povijesno svjedočenje ne govori o majkama koje partizani odvajaju
od djece i zatim bacaju u jame! To je tendenciozna izmišljotina
scenarista. Talijanski film ima izuzetnu tradiciju neorealizma, jednu
od najznačajnijih u modernoj kinematografiji uopće – ne trebaju mu
modeli slični »socrealističkim«, iz sovjetskih filmovima snimanih
šezdesetih godina prošloga stoljeća. A i na priredbama, koje su ovih
dana upriličene, ili pak u najgledanijim TV emisijama, bilo bi bolje da
se našao neki ministar koji ima u odnosu prema fašizmu drukčiju
prošlost nego oni koje smo vidjeli na sceni. To bi pridonijelo ugledu i
vjerodostojnosti svjedočenja.
»Utrobni anti-komunizam«
Jugoslavije više nema. Hrvatski, srpski, slovenski i drugi
ultranacionalisti raduju se kad im talijanska desnica pruži nove
argumente da optuže državu koju su sami rastrgali. (Spomenuti je film
snimljen u Crnoj Gori, u Boki, s glumcem Srbinom koji igra slovenskoga
partizana ...) Tako se ponovo ranjavaju narodi čiji ožiljci još nisu
zacijeljeli. Je li to najbolji način – pogotovo ako se istodobno skriva
toliko toga što ne odgovara istini? Zar nema nekog boljeg puta? Može li
se žalost koju dijelimo učiniti dostojanstvenijom i plemenitijom,
historiju manje krnjom i osakaćenom? Nije li do jučer pokraj Trsta
prolazila najotvorenija granica između Istoka i Zapada, u vrijeme
hladnoga rata i velikoga prosperiteta grada svetoga Giusta Pravednika?
Nisu li Talijani i Hrvati u Istri našli ovih posljednjih godina
zajednički jezik da se odupru tuđmanovskom nacionalizmu više nego igdje
drugdje u Hrvatskoj? I kome na kraju krajeva služi instrumentalizacija
kojoj smo svjedoci?
Nismo naivni. Posrijedi je izuzetno uspjela mobilizacija
berlusconizma u obračunu s opozicijom, s ljevicom i njenim vezama s
komunizmom koji je, prema Berlusconijevim riječima, uvijek vodio samo u
»bijedu, smrt i teror«, pa čak i kad je prinio kao žrtvu 18 milijuna
Rusa u borbi za oslobođenje Evrope od fašizma. Ova je smišljena
kampanja započela prije 5-6 godina, u vrijeme kad je objavljena »Crna
knjiga o komunizmu« koju je premijer javno dijelio svojim
privrženicima. Ona se provodi, javno i iza kulisa, vješto i
sistematično. Njezin pravi cilj i nije, zapravo, optužiti ili poniziti
Slavene, nego nauditi vlastitim oponentima i umanjiti njihove izborne
šanse. Ali Slaveni – u ovom slučaju ponajprije Hrvati i Slovenci –
plaćaju račun.
Postoji jedna vrsta »utrobnog antikomunizma« koja je, prema
riječima moga prijatelja, genijalnog poljskog disidenta Adama Michnika,
gora od najgoreg komunizma. Potpisani možda zna nešto o tome: izgubio
je gotovo cijelu očevu obitelj u staljinskom gulagu. Ali zbog toga
ništa manje ne prezire fašiste.
=== 3 ===
pismo redakciji O. Daric povodom clanka P. Matvejevica
*Novi List *broj 12/02/2005
Cenjena Redakcijo,
molila bih za rec u povodu teksta G.dina Matvejevica,
koji kaze da su jame "tezak zlocin za najtezu osudu" i "Mnogi su rat
završili s teškim ranama, tjelesnim i duševnim. Takvi su bili kadri
počiniti zločine poput foibi". . Prezvakavanjem fasisticke i
post-fasisticke propagande kojom se brisu granice izmedju zlocina i
kazne, izmedju agresora i zrtve, lako se moze dovesti u zabludu
neobavestena citalacka publika. Matvejevic kaze i da je "Jama" Ivana
Gorana Kovacica "jedna od najpotresnijih poema evropskoga
antifašističkog otpora", ali o tome, na kraju. Matvejevic poducava
citaoca da su Jugoslaviju rastrgli nacionalisti, sto je jos jedna
para-laza notornog mesetara Matvejevica, koji Tudjmana eufemisticki
naziva "nacionalistom". Istina je, medjutim, da je vrhunac u procesu
uspostave ustaskog rezima bila politika genocida koja se temeljila na
teoriji o NDH kao cistom etnickom podrucju Hrvata, gde je trebalo
fizicki iskoreniti sve druge narode, sto se u praksi i sprovodilo
masovnim pokoljem Srba, Jevreja, Cigana .. Verovatno Matvejevic izbegava
da to jasno predoci citaocu zato sto je svojevremeno bio pocasni gost na
ceremoniji beatifikacije ustaskog kasapina, Stepinca. Izbegava takodje
pomenuti 1) da su Hitler i Musolini iz emigracije doveli na vlast ustase
sa A. Pavelicem na celu, 2) da je ustaska propaganda o Hrvatskoj sa
granicom na Drini, toboznjem ostvarenju vekovnih teznji Hrvata i
njihovom oslobadjanju od velikosrpske hegemonije, bila bez oslonca u
sirokim drustvenim slojevima, pa je ustaski rezim morao pribegavati i
"unutrasnjem ciscenju" likvidirajuci hrvatske rodoljube i komuniste.
Precutkuje Matvejevic jos jedan vazan istorijski podatak bez koga
citalac ne moze jasno izostriti sliku i celovito sagledati zlocin. Cini
to, opet, zarad prostora za manipulacije i oportunisticka potkusurivanja
kojima je vican. Evo jos i tog bitnog elementa : Ustaski rezim je
iskljucivo zavisio od okupatorskih sila, zbog cega je sporazumom
jadranska obala ustupljena Italiji a Nemci su ostalo vec sami uzeli pod
svoje. Umesto toga, Matvejevic citaoca zamajava digresijama na racun
soc-realizma u sovjetskoj kinematografiji i "staljinovskih gulaga", a
sve sa ociglednom namerom da ubelezi koji unosan poen kod evropskog
establismenta, sto nece promaci francuskom citaocu koji je do u tancine
izbistrio nacrt ustava Evropske Zajednice uoci skorog referendumskog
izjasnjavanja o istom. Pa kada smo naveli bitno, sto Matvejevic krije
kao zmija noge, i izbacili izlisno, cime nas Matvejevic zamajava,
dolazimo do ciste slike koja ne dopusta zamenu teza i presipanje
zlocina.
Zapravo, u II svetskom ratu u Istri se razvija NOP pod vodjstvom
Komunisticke Partije Hrvatske. Godine 1942. osnivaju se prvi partizanski
odredi, a nakon kapitulacije fasisticke Italije 1943. buknuo je opsti
narodni ustanak kojemu su delom pristupili i italijanski antifasisti.
Ukinuti su svi fasisticki zakoni, nastavljena je borba protiv nemackog
okupatora, na Ucki je osnovana Prva istarska brigada "Vladimir Gortan" a
u Gorskom kotaru jos dve istarske brigade, tako da je ubrzo osnovana 43.
istarska divizija, koja je sudelovala u zavrsnim borbama za oslobodjenje
Istre i Slovenskog primorja. Tu negde Matvejevic
uspeva da udene "tezak zlocin" povodeci se za propagandom revizionista,
negacionista i, opcenito, povampirenog fasizma, kojim je Evropa vesto
rukovala u brisanju Jugoslavije, i ne samo Jugoslavije, nego globalno
posmatrano, sveukupnih tekovina proleterske revolucije.
Matvejevic sevrda: Cas je blizak pobornicima sv. Stepinca i samozvanim
rusiteljima Jugoslavije, a cas Ivanu Goranu Kovacicu i partizanima!
Upleo se kao pile u kucine u zamesateljstvu laza i para-laza. Evo samo
jedne ilustracije, od sjaset mogucih: "Spomenuti je film snimljen u
Crnoj Gori, u Boki, s glumcem Srbinom koji igra slovenskoga partizana"
Svaka cast na krunskom argumentu! Srbin je Sloven a neuki Matvejevic ima
cudan detektor za utvrdjivanje glumcke podobnosti !
Pa da zakljucimo, sa na pocetku citiranim velikodusnim prinosenjem
Evropi na oltar bisera jugoslovenske narodnooslobodilacke epopeje,
"Jame", Ivana Gorana Kovacica, i stihom iz Internacionale koja nije
silazila sa usana, nijednom borcu nigde u Evropi, pa ni u Jugoslaviji.
Navescu tek jedan stih, kao kontrapunkt mesetarenju evropejca Matvejeva.
............
Nas varkom lagali su silni,
nek mir je nama, njima boj !
A vojska, saveznik obilni,
Bit ce s nama uz svoga svoj,
Osvajacki tko u rat poziva
Da narod bude drugom rob,
Nek znade : nasa puska ziva
i njemu sprema crni grob !
Olga Daric,
Pariz
CROAZIA:SU RETE LISTA 800 OMOSESSUALI,PANICO IN AMBIENTI GAY
(ANSA) - ZAGABRIA, 14 FEB - Una lista di circa 800 nomi di omosessuali,
molti dei quali conosciuti nella vita pubblica del paese, circola su
internet in questi giorni in Croazia destando preoccupazione nella
comunita' gay e critiche per violazione di privacy. Lo scrive oggi la
stampa croata. Si tratta di una e-mail contenente 800 nomi e cognomi,
numeri di telefono, indirizzi e posti di lavoro di persone che occupano
cariche pubbliche o lavorano nei media, nella diplomazia, nel mondo
dell'arte, della cultura o dell'economia, tutte denunciate per la loro
inclinazione sessuale. Anche se negli ultimi anni sono stati fatti dei
passi in avanti, in Croazia il sentimento di omofobia e' ancora molto
diffuso. Secondo Dorino Manzin dell'associazione per i diritti degli
omosessuali 'Iskorak' ''la lista sembra autentica, dato che conosco
personalmente molte di queste persone''. ''Sono convinto che e' stata
fatta da qualcuno che conosce bene la comunita' gay croata e ne fa
parte'', ha aggiunto Manzin consigliando a quelli che si trovano sulla
lista di cambiare numero di telefono annunciando che la sua
associazione sporgera' denuncia per violazione di privacy. ''Molti ci
stanno chiamando per chiedere se vi si trova anche il loro nome, si e'
creato non poco panico tra i gay in Croazia'', ha detto. Sulla lista si
trovano anche nomi di diplomatici stranieri, funzionari di Bruxelles
attualmente in Croazia, dirigenti politici, ma anche croati degli
ambienti militari, delle forze dell'ordine e dei servizi segreti, di
sportivi, imprenditori, medici, scienziati, giornalisti... Oltre ai
dati generali sono riportati anche alcune loro abitudini personali, la
descrizione fisica, nomi di ex partner, amici. (ANSA). COR
14/02/2005 19:01
[ UNA DJIHAD TARGATA U.S.A. - IN EUROPA E NON SOLO
Mujaheddin e servizi segreti occidentali nei Balcani
Dibattito e dialogo con JUERGEN ELSAESSER, giornalista e saggista
autore del libro: “Amerikas Djihad in Europa”
ROMA, 29 MARZO 2005 - libreria Odradek, ore 18:00
https://www.cnj.it/INIZIATIVE/roma290305.htm ]
WEITERE INFOS UNTER: http://www.juergen-elsaesser.de
---------- Forwarded message ----------
Date: Sat, 5 Mar 2005 13:53:50 +0100
From: "Jürgen Elsässer"
Am 11. März 2004 kamen bei einer blutigen Anschlagserie auf Züge in
Madrid über 190 Menschen ums Leben.
Wie konnte das passieren? Wer hat dem islamistischen Terror die Tür
nach Europa geöffnet?
Antwort auf diese Fragen gibt das neue Buch von Jürgen Elsässers:
"Wie der Dschihad nach Europa kam. Gotteskrieger und Geheimdienste auf
dem Balkan".
Es erscheint jetzt im Verlag der Niederösterreichischen Presse
(www.np-buch.at) und wird ab nächste Woche im Buchhandel erhältlich
sein. Sie können das Werk auch zum Ladenpreis (19.90 Euro) plus zwei
Euro Porto/versand auch direkt per Re-Mail bestellen, auf Wunsch
signiert. (Näheres zum Inhalt � siehe unten oder unter
www.juergen-elsaesser.de)
Der Autor liest und diskutiert auf Veranstaltungen:
Sonntag, 6. März, Hamburg, 17 Uhr, Serbischer Club, Schützenstr. 107,
22761 Hamburg-Altona
Dienstag, 15. März, Wien, 20 Uhr, Universität, Altes Hörsaalgebäude,
Hörsaal 32, Dr. Karl Lueger-Ring 1, 20 Uhr
Mittwoch, 16. März, 20 Uhr, Frankfurt/M., Kulturzentrum "ORO",
Heddernheimer Landstr. Nr. 151 60439 Frankfurt
Donnerstag, 17. März, 19.30 Uhr, Berlin, Humboldt Universität,
Hauptgebäude, Raum 1072, Unter den Linden 6 (zusammen mit Willy Wimmer,
MdB/CDU)
Freitag, 18. März (oder Samstag, 19. März) Leipzig (Ort noch nicht
sicher)
Sonntag, 20. März, 17.00 Uhr, Lübeck, "Otto-Passage-Saal", Große Burg
Straße 51, 19.00 Uhr
Samstag, 26. März, 21 Uhr, Rom/Mittelitalien
Fernsehdiskussion auf dem Fernsehsender TeleAmbiente (Kanal 68 in Roma
und Lazio, wird am folgenden Dienstag (29.3.) um 12 Uhr wiederholt; die
Sendung wird auch von einigen anderen Regionalsendern übernommen
Dienstag, 29. März, 17.30 Uhr, Rom, Libreria Odradek , Via dei Banchi
Vecchi 57
Sonntag, 10. April, 14.00 Uhr, Basel, Rheinfelderhof, Hammerstrasse 61
Dienstag, 12. April, Strausberg(bei Berlin), Gaststätte Fähre, Große
Straße 1, 18.30 Uhr (!)
Weitere Lesungen sind für Stuttgart, Aachen, Marburg und Heidelberg
absehbar.
****************************************************************
http://www.jungewelt.de/2005/03-11/022.php
junge Welt, 11.03.2005
Feuilleton
Rüdiger Göbel
Dschihad-Export
Vom Brotschlangenmassaker in Sarajevo zu den einstürzenden Neubauten in
New York. Den Gotteskriegern auf der Spur
Am 11. März 2004 kamen bei einer blutigen Anschlagserie auf Vorortzüge
in Madrid 192 Menschen ums Leben, mehr als 1500 wurden verletzt. Wie
konnte das Schreckliche vor einem Jahr passieren, wer hat den
islamistischen Terroristen die Tür nach Europa geöffnet? Diese und
viele andere Fragen stellt Jürgen Elässer in seinem neuen Buch »Wie der
Dschihad nach Europa kam. Gotteskrieger und Geheimdienste auf dem
Balkan«, das in dieser Woche erschienen ist. Die Antworten des
jW-Autors sind hochbrisant, bürsten sie doch nicht zuletzt die
westliche Balkanpolitik und -Berichterstattung der vergangenen 15 Jahre
gegen den Strich.
Spannend wie ein Thriller, akribisch und detailliert beschreibt
Elsässer, wie die US-Geheimdienste in den neunziger Jahren auf dem
Balkan islamische Terrorgruppen aufbauten – gerade so wie zuvor die
Mudschaheddin in Afghanistan – und damit den Krieg eskalierten, die
Kampfhandlungen verlängerten und letztlich das Leid der Bevölkerung
vergrößerten. Im Zentrum der amerikanischen Subversion in Südosteuropa
stand die US-Söldnerfirma MPRI, die bei ihren »Kunden« damit wirbt,
mehr Vier-Sterne-Generäle unter Vertrag zu haben als das Pentagon.
US-Veteranen trainierten die kroatische Armee und reguläre
bosnisch-muslimische Truppen, bildeten aber auch islamische Fanatiker
als brutale Untergrundkämpfer aus und versorgten sie – unter den Augen
der NATO – mit Waffen.
Für Interessierte sind diese Informationen nichts Neues. Doch die
antiserbische Connection hatte weitreichende Folgen: Die
Hauptverdächtigen der Anschläge vom 11. September 2001 waren
NATO-Helfer auf dem Balkan. Laut Elsässer haben die wichtigsten
mutmaßlichen Selbstmordattentäter von New York und Washington in den
neunziger Jahren in Südosteuropa gekämpft. Während in den vorliegenden
Standardwerken zu Al Qaida und Osama bin Laden die Aktivitäten der
Terroristen in Afghanistan und Sudan und die von ihnen durchgeführten
Anschläge in Ostafrika, Saudi-Arabien, Asien und Spanien fast minutiös
geschildert werden, blieb ausgerechnet das südosteuropäische
Aufmarschgebiet der »Dschihadisten« bisher so gut wie unbeachtet. Vor
allem im Bürgerkrieg in Bosnien-Herzegowina haben einige tausend
Militante aus den arabischen Staaten und dem Iran an der Seite ihrer
Glaubensbrüder gegen die »ungläubigen Christen«, also gegen Serben –
zum Teil auch gegen Kroaten – gekämpft.
Mit Geldern und Kämpfern aus der islamischen Welt wurde die
bosnisch-muslimische Armee aufgebaut, Osama bin Laden war deswegen
persönlich bei Alija Izetbegovic im Präsidentenpalast in Sarajevo. Über
die Wiener Botschaft, Drehscheibe illegaler Waffenlieferungen ins
Bürgerkriegsgebiet, hatte bin Laden schließlich einen bosnischen Paß
bekommen, viele seiner Anhänger haben sich dauerhaft in Bosnien und
Albanien niedergelassen. »Von dort führen ihre Spuren in das Kosovo,
nach Mazedonien – und zu den Anschlägen auf das World Trade Center und
das Pentagon«, so Elsässer, letztlich gar bis nach Madrid. Dieser
langen Linie des Terrors kann der Autor (noch) nicht wirklich gerecht
werden. Zum Teil sind die Ereignisse zu gegenwärtig, zum anderen ist
die offizielle Desinformation enorm.
Die Stärke des Buches liegt eindeutig in der Beschreibung des
konsequent Totgeschwiegenen: Auf dem Balkan erlebte das »afghanische«
Bündnis zwischen den USA und den Mudschaheddin eine unselige
Neuauflage, die den Bürgerkrieg um drei Jahre verlängerte. Unter Bruch
des UN-Waffenembargos versorgten US-Transportflugzeuge über den
Militärflughafen Tuzla die gläubigen Juniorpartner mit modernem
Kriegsgerät. Nicht nur das, der Pentagongeheimdienst ging gegen
UN-Blauhelme vor, die diese illegale Kooperation beobachtet hatten und
dagegen einschreiten wollten.
Hunderte, wenn nicht Tausende Serben wurden von diesen
amerikanisch-trainierten islamistischen Sondereinheiten massakriert.
Berichte über enthauptete Leichen waren während des bosnischen
Bürgerkrieges als serbische Propaganda abgetan worden. Entsprechende
Meldungen aus dem US-besetzten Irak sorgen heute für Abscheu und
Entsetzen. Laut Elsässer verübten vor allem eben die von Washington
aufgestellten Balkankrieger schreckliche Greueltaten, selbst einige der
den Serben zugeschriebenen Massaker dürften auf ihr Konto gehen. Drei
brutale Anschläge auf Zivilisten haben eine besondere Bedeutung, folgte
doch in jedem Fall eine gesteigerte Einmischung des Westens in den
Bürgerkrieg – einseitig zugunsten der Muslime. Das sogenannte
Brotschlangenmassaker mit 18 Toten in Sarajevo am 27. Mai 1992 führte
zur Verhängung von UN-Sanktionen gegen die Bundesrepublik Jugoslawien.
Im Anschluß an ein Massaker auf einem Marktplatz der bosnischen
Hauptstadt, bei dem am 5. Februar 1994 mehr als 60 Menschen getötet
wurden, flogen NATO-Kampfjets die ersten Luftangriffe gegen
bosnisch-serbische Stellungen. Das zweite Marktplatzmassaker am 28.
August 1995 mit 37 Getöteten war schließlich Anlaß zum ersten
Kriegseinsatz der NATO seit ihrem Bestehen. Zwei Wochen lang wurden
militärische und zivile Ziele der Serben bombardiert und dadurch der
Rückzug auf breiter Front erzwungen. Elsässer trägt en detail
»Unstimmigkeiten« und »Zweifel« an der offiziösen serbischen
Schuldzuschreibung zusammen.
Die Pentagon-Vertragsfirma MPRI übernahm nach dem Friedensabkommen von
Dayton 1995 die Kontrolle der bosnisch-muslimischen Armee. »Statt die
Gotteskrieger auszuschalten, wie es die offiziellen Washingtoner
Legenden wollen, übernahm MPRI die fähigsten Kämpfer, bildete sie in
dem mittlerweile ebenfalls von Bin-Laden-Vertrauten durchsetzen
Albanien aus und schickte sie zur Unterstützung der albanischen
Terrorbewegung UCK ins Kosovo und nach Mazedonien«, so Elsässer. Seit
geraumer Zeit gebe es darüber hinaus eine »erhebliche
Wanderungsbewegung von Dschihad-Kämpfern zwischen dem Balkan und
Tschetschenien«.
Das Buch ist Ergebnis einer mehrjährigen Recherche und stützt sich
neben englischsprachigen, französischen und serbokroatischen Quellen
auch auf Gespräche mit Mitgliedern der UN-Mission in Bosnien sowie
Material eines nicht näher bezeichneten Geheimdienstes. Letzteres macht
es schwer zu urteilen, wie belastbar einzelne Informationen wirklich
sind.
Und doch: Elsässer legt mit seinem neuen Buch ein Standardwerk vor über
die Details westlicher Interventionspolitik auf dem Balkan und ihre
weitreichenden tödlichen Folgen. In der mittlerweile ganze Regale
füllenden 9/11-Literatur schließt er damit eine Lücke.
* Jürgen Elsässer: Wie der Dschihad nach Europa kam. Gotteskrieger und
Geheimdienste auf dem Balkan. Wien 2005, Verlag der
Niederösterreichischen Presse. 246 Seiten, 19,90 Euro
Buchvorstellung in Berlin zusammen mit dem CDU-Bundestagsabgeordneten
Willy Wimmer am Donnerstag, 17. März, 19.30 Uhr, Humboldt Universität,
Unter den Linden 6, Hauptgebäude, Raum 1072
La Krajina e gli spettri del passato
01.03.2005 scrive Luka Zanoni
In un momento particolarmente delicato per la Croazia e la Serbia,
entrambe in attesa di un parere positivo da parte dell’UE, scoppia un
caso singolare. A Belgrado viene eletto un sedicente “Governo in
esilio” della Repubblica serba di Krajina
Mentre sia in Croazia che in Serbia i rispettivi governi cercano di
fare i salti mortali per cercare di convincere l’UE che stanno
procedendo nella giusta direzione, nell’ottica dell’avvio dei
negoziati, previsti per il 17 marzo per la Croazia, e alla scadenza
imminente della presentazione dello Studio di fattibilità per la
Serbia, un fatto sconcertante piomba sulla strada europea delle due ex
repubbliche jugoslave.
Sabato 26 febbraio al centro culturale Dom sindikata di Belgrado si è
tenuta una seduta in cui è stato formato il cosiddetto “Governo in
esilio” della Repubblica serba di Kraijna (RSK). Nella seduta è stato
ribadito che “nemmeno dopo nove anni dalla brutale aggressione
dell’esercito croato e della pulizia etnica dei Serbi della regione
della RSK, né la Croazia, né la comunità internazionale hanno fatto
alcunché per continuare il processo di soluzione della questione dei
Serbi di Croazia”.
Una dichiarazione che ci riporta indietro agli anni novanta, al tempo
della guerra nella ex Jugoslavia, e alla dichiarazione unilaterale di
indipendenza della Regione autonoma della Krajina, divenuta in seguito
la Repubblica serba di Krajina guidata da Milan Babic, oggi pentito e
in carcere in Olanda.
[NOTA BENE: l'autore di questo articolo definisce "unilaterale" la
dichiarazione di indipendenza della Repubblica serba di Krajina,
omettendo di spiegare che la prima dichiarazione "unilaterale" di
"indipendenza" - illegittima e devastante per gli equilibri nell'area -
fu quella della Croazia (25/6/1991). ndCNJ]
Nel comunicato, riportato dall’emittente B92 il giorno stesso della
seduta, si precisa che il compito del “Governo rifugiato” è di
difendere coi mezzi politici e con colloqui con il governo croato,
l’Unione europea e le Nazioni Unite, gli interessi dei Serbi della
Croazia.
Il “Governo in esilio” è composto dai deputati già eletti nel 1993, i
quali si considerano ancora legittimi rappresentanti dei Serbi
dell’allora Krajina serba. Tuttavia – come precisato dal presidente del
Parlamento della RSK, Rajko Lezajic - questi ultimi non sono in
contatto con i rappresentanti dei Serbi di Croazia presso il parlamento
croato, e questo perché “loro non sono i rappresentanti del popolo
serbo della Krajina. Loro sono rappresentanti di se stessi. Noi siamo
il popolo serbo che è sempre stato equiparato a quello croato, dal 1918
al 1990”, ha precisato Lezajic.
Tali dichiarazioni hanno suscitato le ire della Croazia ufficiale, ma
hanno incontrato scarsa rilevanza e dichiarazioni non ufficiali sulla
presa di distanza da parte del governo di Belgrado. A fronte delle
buone relazioni tra i due Paesi la maggior parte dei rappresentanti di
governo ha espresso in via non ufficiale la propria disapprovazione per
una tale iniziativa.
Una timidezza di posizioni che ha reso del tutto insoddisfatto il
governo di Zagabria, benché rassicurato dall’ambasciatore della Serbia
e Montenegro, Milan Simurdic, della condanna di una siffatta bizzarra
iniziativa.
Non dello stesso parere, però, è la segreteria del Partito radicale
serbo. Per voce del presidente della segreteria del SRS, Dragan
Todorovic, si viene a sapere che il suo partito appoggia le intenzioni
dei rappresentanti del governo in esilio della Krajina. “la RSK è sotto
occupazione della Croazia e deve essere fatto in modo che tutti i
Serbi, cacciati durante l’operazioni Lampo e Tempesta, ritornino. Noi
li possiamo aiutare moralmente, perché non siamo al governo, ma appena
andremo al potere, faremo tutto il possibile per aiutarli. E a
Strasburgo parleremo di questo, così che l’Europa possa sentire cosa è
accaduto ai Serbi della RSK”, ha detto Todorovic a Radio B92.
Non sono tardate, ovviamente, le reazioni da parte dello stesso
presidente dei Consiglio nazionale serbo Milorad Pupovac, nonché
deputato al parlamento croato. Pupovac ritiene che “questa sia
un’iniziativa di quella gente che nel 1995 (anno delle due operazioni
militari di cui sopra, ndt.) era tra i maggiori responsabili di quanto
accaduto, proprio perché non fecero nulla per impedirlo”.
Va ricordato che durante le operazioni Lampo e Tempesta, nell’estate
del 1995, furono allontanati migliaia di Serbi di quella regione,
commettendo pure crimini di guerra, dei quali tra i maggiori
responsabili figura il latitante generale croato Ante Gotovina.
Ad ogni modo, insiste Pupovac non è chiaro l’intento di questa
iniziativa, dal momento che i Serbi di Croazia hanno i loro
rappresentanti legalmente eletti. Il timore è che ciò possa portare ad
una frattura tra il governo di Zagabria e quello di Belgrado.
Un timore condiviso pure dalla presidentessa del Partito popolare
croato, Vesna Pusic, che ha definito l’iniziativa come un incidente e
come il tentativo di “impedire l’avvio dei colloqui con l’UE e di
rinviare le riforme della Croazia in accordo con gli standard dell’UE.
Questo incidente a Belgrado non è favorevole e secondo me – ha detto la
Pusic – politicamente è del tutto irrilevante”.
Il quotidiano croato “Slobodna Dalmacija”, esce nell’edizione di lunedì
28 febbraio con il seguente titolo “Colpevoli della guerra chiedono
ancora sangue”. Un articolo che richiama la pericolosità dell’idea di
una grande Serbia [SIC - e la Jugoslavia multinazionale? ndCNJ] e delle
sue conseguenze. Secondo il presidente della Comunità dei ritornanti in
Croazia Josip Kompanovic “questi giochi col fuoco potrebbero avere
delle serie conseguenze delle quali molti non sono coscienti, e che di
nuovo potrebbero essere sentiti sulla pelle degli abitanti di qua,
siano essi Croati o Serbi”.
Kompanovic aggiunge inoltre di conoscere di persona il neo eletto
premier del governo della RSK, un certo Milan Buha di Beli Manastir,
noto per il suo orientamento nazionalista. Notizia confermata
dall’emittente belgradese Radio 021, che lo individua come il direttore
della azienda Lisja di Novi Sad.
Secondo la maggior parte dei commenti raccolti dalla stampa croata, la
controversa iniziativa organizzata a Belgrado, giunge proprio nel
momento in cui la Croazia sta incrociando le dita per ottenere l’esito
positivo sull’avvio dei negoziati con l’UE. L’intento sarebbe quello di
frenare l’avvicinamento del Paese all’UE, cercando di portare
l’attenzione su una delle condizioni cruciali per l’ingresso nell’UE,
ossia il rispetto delle minoranze.
Tuttavia, fa notare il presidente del SDSS (Partito democratico
indipendente serbo) e deputato al parlamento croato, Vojislav
Stanimirovic, si tratta di persone che hanno venduto le loro proprietà
in Croazia e adesso vivono e lavorano in Serbia e Montenegro, “se
pensano che ci siano ingiustizie verso i Serbi di Croazia, perché non
vengono qui e cercano per vie politiche di realizzare i loro piani”.
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CROAZIA: PROTESTA PER GOVERNO SECESSIONISTA IN ESILIO
(ANSA) - ZAGABRIA, 1 MAR - Il governo croato ha fortemente condannato
oggi la proclamazione da parte di un gruppo di secessionisti serbi di
Croazia di un 'governo in esilio', avvenuta sabato a Belgrado. Lo si e'
appreso da un comunicato del ministero degli esteri croato. Il ministro
degli esteri Kolinda Grabar Kitarovic, condannando la formazione
dell'assemblea costituente della Republika Srpska di Krajina (Rsk) e la
conseguente elezione di un governo in esilio della Rsk, ha espresso in
una nota di protesta all'ambasciatore serbomontenegrino in Croazia,
Milan Simurdic, anche la delusione di Zagabria per la mancata reazione
ufficiale del governo di Belgrado. ''La Croazia e' delusa e pertanto
protesta per il fatto che il governo di Belgrado non abbia preso le
distanze da questo avvenimento, contrario allo spirito europeo di
cooperazione e che rischia di compromettere il buon andamento dei
rapporti bilaterali tra i due paesi'', si legge nel comunicato. Il
gruppo di una quarantina di politici serbi, originari della Croazia ed
eletti nel 1993, durante la guerra degli anni Novanta, al parlamento
della regione secessionista Krajina, in passato di maggioranza etnica
serba, hanno 'ricostituito' sabato a Belgrado la loro vecchia
assemblea, eleggendo anche il governo che ha subito proclamato la
Krajina ''regione sotto occupazione temporanea''. In una risoluzione il
'premier' Milorad Buha e i sei 'ministri', dei quali non sono stati
resi noti i nomi, fatto che ha aggiunto al tutto un tono cospirativo,
hanno anche spiegato che ''la questione nazionale serba potra' essere
risolta unicamente con la cessazione dell'occupazione'' ed hanno
chiesto ''il diritto all'autodeterminazione''. Anche se l'evento non e'
stato preso troppo sul serio a Zagabria, il premier Sanader ha subito
detto che si tratta di un gruppo di persone che ha perso il contatto
con la realta'. ''L'idea della Grande Serbia [SIC] e' stata sconfitta e
non c'e' piu' alcuna chance per la realizzazione di tali
fantasticherie'', ha aggiunto. Da sua parte il rappresentante della
minoranza serba al parlamento di Zagabria, Milorad Pupovac, il cui
partito appoggia l'attuale governo croato [SIC], ha definito
l'iniziativa ''un gesto anti-serbo che potra' solo nuocere ai serbi in
Croazia e al processo di rientro dei profughi''. E' stato proprio la
questione serba in Croazia ad accendere la miccia delle guerre
balcaniche degli anni Novanta. Nel 1991, in risposta alla dichiarazione
d'indipendenza [SIC] della Croazia dalla Jugoslavia, i secessionisti
serbi [SIC - si noti il diverso vocabolario usato a seconda della
"etnia" in questione, ndCNJ], appoggiati in pieno da Belgrado, avevano
proclamato un loro stato, la Krajina appunto, chiedendo l'unione con la
Serbia. Dopo quattro anni di scontri che hanno provocato circa 15.000
morti le truppe di Zagabria hanno ripreso il controllo della regione,
dalla quale sono fuggiti circa 300.000 serbi, quasi l'intera
popolazione. Da allora ne e' ritornato poco piu' di un terzo. COR
01/03/2005 16:58
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SERBIA-CROAZIA: TADIC STIGMATIZZA REPUBBLICA OMBRA KRAJNA
(ANSA) - BELGRADO, 2 MAR - Il presidente serbo Boris Tadic e'
intervenuto sulle polemiche innescate dall'idea di alcuni nazionalisti
di creare un 'governo ombra in esilio della repubblica di Krajna',
l'entita' al centro del conflitto serbo- croato degli anni '90,
definendo la vicenda ''dannosa per i nostri interessi''. ''La Serbia -
ha detto Tadic all'agenzia Tanjug - non deve destabilizzare i paesi
vicini per non essere di nuovo additata come fattore di caos''. Il
presidente serbo ha sottolineato che l'idea di un tale governo ombra
''danneggia gli interessi piu' sensibili della Serbia, la questione
kosovara'', ed e' ''pericoloso anche per i serbi che vivono in
Croazia''. Zagabria aveva duramente protestato due giorni fa per
l'iniziativa di un gruppo di profughi ultranazionalisti di rendere la
Krajna un territorio autonomo, con forti legami con Belgrado. L'idea
era stata plaudita dagli ultranazionalisti del Partito radicale serbo,
principale forza di opposizione che non nasconde la fedelta' all'idea
della 'Grande Serbia'. Quella di Tadic e' la prima reazione ufficiale
all'incidente diplomatico: il governo del premier conservatore Vojislav
Kostunica non si e' ancora pronunciato. (ANSA). OT
02/03/2005 18:27
della operazione revisionista-revanscista
"Giornata del Ricordo + Il cuore nel pozzo"
1. Le reazioni in ex Jugoslavia al Giorno del ricordo
(L. Zanoni / Oss. Balcani)
2. Un'occasione nel pozzo (F. Juri / Oss. Balcani)
3. Tiepida reazione del governo sloveno sulle foibe (A. Brstovsek /
Dnevnik / Oss. Balcani)
4. FOIBE: FINI, AIUTARE CROATI A LIBERARSI DI DEMONI E NOSTALGIE [sic]
/ FOIBE: FINI, ORA C'E' SENSO STORIA COMUNE / ESULI: INCONTRO
ITALIA-CROAZIA PER INDENNIZZI / FOIBE: PROBABILE INCONTRO PRIMAVERA
ITALIA-CROAZIA-SLOVENIA / ITALIA-CROAZIA: COLLOQUIO FINI-BISCEVIC
ALTRI LINK:
Relazione della Commissione storico-culturale italo-slovena
Koper-Capodistria, 25 luglio 2000
http://www.kozina.com/premik/indexita_porocilo.htm#kazal
FOIBE: ANTIFASCISTI ISTRIANI CONTRO FILM IL CUORE NEL POZZO (ANSA)
JUGOINFO Mer 9 Feb 2005
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4244
Le foibe viste dalla Croazia
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3870/1/51/
oppure:
JUGOINFO Mer 9 Feb 2005
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4244
La Slovenia e “Il cuore nel pozzo”
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3873/1/51/
oppure:
JUGOINFO Mer 9 Feb 2005
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4244
Foibomania nei media e libri italiani. Intervento del giornalista e
scrittore Armando Černjul
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4233
Predrag Matvejevic e le foibe
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3901/1/51/
oppure:
JUGOINFO Lun 14 Mar 2005
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/messages/
REPETITA JUVANT:
10/2/2005: FINI, CROAZIA ENTRERA' SE COLLABORA SU CRIMINALI GUERRA /
8/11/1992: Fini e Roberto Menia (allora segretario della federazione
MSI-DN di Trieste) al largo dell'Istria lanciano in mare bottigliette
irredentiste
JUGOINFO Gio 10 Feb 2005
https://www.cnj.it/immagini/meniafini.jpg
Reazioni in Croazia alle dichiarazioni del vice premier italiano Fini
su Istria, Fiume e la Dalmazia...
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3522/1/51/
oppure:
JUGOINFO Ven 22 Ott 2004
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3929
=== 1 ===
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3892/1/67/
Le reazioni in ex Jugoslavia al Giorno del ricordo
14.02.2005 scrive Luka Zanoni
Pubblichiamo una breve rassegna di alcune delle notizie relative al
“Giorno del ricordo” e alla fiction televisiva trasmessa dalla RAI, “Il
cuore nel pozzo”, pubblicate nei giorni scorsi dalla stampa d’oltremare
La questione delle foibe e la “Giornata della memoria”, nonché la
fiction televisiva “Il cuore nel pozzo” hanno trovato ampio spazio
sulle pagine della stampa d’oltremare. Nonostante non ci siano state
reazioni ufficiali dei governi, sui quotidiani sloveni e croati sono
usciti nei giorni scorsi articoli e trafiletti su questo argomento.
Il 9 febbraio, il quotidiano sloveno “Dnevnik” riporta un lungo
articolo sulla fiction televisiva. Oltre a riportare dell’alta
percentuale di audience ricevuta in Italia dalle due puntate dello
sceneggiato, sottolinea la reazione dell’Accademia liberale slovena
alla proiezione del film, valutato come “opera di indottrinamento e di
propaganda politica”. Dal canto suo l’Accademia slovena – riporta il
Dnevnik - ha controbattuto con la proiezione di un altro film dal
titolo “Nel mio Paese”. Una pellicola sui crimini commessi dagli
Italiani e dai Tedeschi nei confronti degli Sloveni, girata nel 1948.
L’Accademia, si legge, ha esplicitamente chiesto al governo sloveno di
reagire a questa “manipolazione della storia”.
Sullo stesso tema prende posizione il quotidiano della minoranza
italiana in Slovenia e Croazia, “La voce del popolo”, con un articolo
intitolato “’Furono giustiziati 284 fascisti’ - I combattenti
dell’Istria reagiscono alla ‘campagna denigratoria’”. Nell’articolo la
fiction televisiva “Il cuore nel pozzo” viene contestata
dall’Associazione regionale dei combattenti antifascisti, la quale
dichiara che lo sceneggiato è “falso, denigratorio e fuorviante”. Il
pezzo del quotidiano di Pola prosegue citando il commento di Tomo
Ravnic, membro dell’associazione, intervenuto durante la conferenza
stampa del 9 febbraio.
“Da quando in Italia è salito al potere Berlusconi per noi le cose
sono cambiate: per certa stampa ogni occasione è buona per dire male di
noi. Ci dà fastidio il fatto che incessantemente si dice che i
partigiani, cioè i combattenti antifascisti, hanno ucciso gli italiani
solo in quanto tali. È un’atroce bugia che non possiamo tollerare”, ha
commentato Ravnic.
Nello stesso articolo viene riportata la dichiarazione del giornalista
Armando Cernjul, il quale non risparmia critiche ai collegi italiani e
al governo croato: “Noi non riusciamo a scrivere tanti articoli quanti
sono i libri che in materia si danno alle stampe in Italia.” E poi:
“Non passa giorno che alcuni giornali – Il Piccolo, TriesteOggi – non
attacchino il movimento partigiano, esagerando il numero degli
infoibati. Si vergogni il Governo (croato, n.d.a.) che non reagisce
mai. Noi facciamo da pompieri, reagiamo quando qualcuno ci colpisce, ma
le cose vanno chiarite una volta per tutte. Le foibe: non sono
invenzione nostra; cent’anni fa l’irredentismo italiano ci minacciava
con trattamenti simili.”
Sempre il 9 febbraio, il quotidiano croato “Slobodna Dalmacija” esce
con un articolo dal titolo “I media e i politici italiani alla vigilia
della celebrazione del ‘Giorno della memoria’ - Sulla tragedia degli
esuli italiani: la Zagabria ufficiale tace sulle foibe”. Nell’articolo
Senol Selimovic, giornalista del quotidiano croato, riprende ampiamente
la corrispondenza
[http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/3870%5d inviataci da
Drago Hedl sulle foibe viste dalla Croazia, nella quale si sottolinea
il silenzio di Zagabria sulla questione delle foibe e dell’esodo
giuliano-dalmato.
Il giorno successivo in Slovenia “Delo”, “Dnevnik”, “24 Hur”,
riportano una notizia dal titolo, “Studenti italiani non desiderano
imparare la cultura croata”.
“Cinque studenti di lingua e letteratura croata dell’Istituto per
l’Europa centrale e sud-orientale dell’Università La sapienza di Roma,
mercoledì scorso (9 feb., ndt.) hanno protestato di fronte all’istituto
per cambiare il corso di studi, perché non volevano studiare la cultura
di un popolo che ha ucciso gli Italiani solo perché erano Italiani”.
Nel riportare la notizia i quotidiani aggiungono che ciò fa parte di
un’isteria collettiva che ha preso forma attraverso i media alla
vigilia del “Giorno del ricordo”, indetto dall’Italia per il 10
febbraio. Secondo i quotidiani sloveni, si tratterebbe di una campagna
del centro destra, guidata da Silvio Berlusconi, con l’intento di
attaccare gli oppositori politici del centro sinistra.
Il 10 febbraio “Slobodna Dalmacija” ritorna sulla questione con un
articolo dal titolo “L’Italia si rammarica, e la Croazia non
festeggia”, ancora a firma di Senol Selimovic. Un lungo articolo di
carattere storico in cui l’autore presenta i fatti del 1947, anno della
Conferenza di Pace di Parigi, ossia – come precisa l’autore – della
decisione sulla perdita delle “province orientali” dell’Adriatico.
Secondo Selimovic, “una perdita dolorosa solo per gli sconfitti
fascisti italiani”.
Più ad est, anche i media serbi hanno dato spazio alla notizia della
celebrazione in Italia del “Giorno della memoria” e della fiction
televisiva. Il 6 febbraio il quotidiano “Politika” ne aveva parlato
intervistando l’attore belgradese Dragan Bjelogrlic, che interpreta il
ruolo del partigiano sloveno Novak, ne “Il cuore nel Pozzo”. Il giorno
stesso della celebrazione, 10 febbraio, la notizia viene battuta da
B92, una sottolineatura va alle forti reazioni della Slovenia alla
fiction televisiva della RAI. L’11 febbraio ne parla anche il
quotidiano di orientamento progressista “Danas”. “Passerella della
destra a Trieste” è il titolo dell’articolo del quotidiano belgradese
in cui compaiono le parole del ministro Tremaglia in visita a Trieste
e le reazioni sollevate in Slovenia, oltre che alle punte di ascolto
della fiction sulle foibe. “Danas” ritorna sulla questione con un
articolo pubblicato nell’inserto settimanale, “Danas vikend”.
“Violazione nelle fosse della morte” è il titolo dell’articolo
pubblicato dal settimanale, nel quale viene presentato il quadro
storico di riferimento, date e cifre, senza dimenticare i crimini delle
camicie nere nei campi di concentramento , in particolare sull’isola di
Rab, in Croazia.
“Novi List”, quotidiano di Rijeka (Fiume), esce l’11 febbraio con una
prima pagina dedicata al tema della memoria. Due gli articoli
pubblicati. Il primo breve e di circostanza riporta le celebrazioni
del 10 febbraio a Trieste. Il secondo più esteso affonda contro la
fiction televisiva “Il cuore nel pozzo”. “Fiume ricorda ancora i
crimini fascisti”, sottotitolo “Gli antifascisti di Fiume invitano il
governo croato a reagire al film che tendenziosamente modifica la
verità storica sul fascismo e la guerra di questa regione”. Sulla
questione vengono riportate le parole dell’accademico Petar Strcic, il
quale afferma che “Questa non è una protesta solo contro un film,
perché non è né il primo né l’ultimo di tali contesti, questa è una
protesta contro il fatto che un tale tipo di film sia stato trasmesso
dalla televisione di stato italiana. E’ assurdo che in Italia si
interrompa una partita di calcio se compaiono delle scritte fasciste, e
allo stesso tempo alla televisione di stato si può mandare in onda
questo tipo di filmati”.
=== 2 ===
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3929/1/51/
Un'occasione nel pozzo
22.02.2005 scrive Franco Juri
Una manipolazione storica ed un'occasione mancata. E' così che Franco
Juri, giornalista istriano, descrive la fiction "Il cuore nel pozzo".
Un articolo che affronta le sfaccettature di una storia e di una
geografia complessa e intricata qual'è quella istriana e giuliana,
italiana, slovena, croata
Con la messa in onda del film »Il cuore nel pozzo« la Rai, che negli
ultimi tempi si distingue per una ricca e spesso anche valida
produzione di fiction tv, è stata coinvolta in un'operazione
mediatico-propagandistica dagli stridenti connotati politici , forse
degna piu' dei sistemi autoritari, lasciati dietro al muro di Berlino,
che di una cultura democratica europea.
Chi l'operazione l'ha suggerita – probabilmente i padrini politici che
si sono pavoneggiati alla prima del film, sigillandolo con il marchio
di uno spot governativo - hanno in verità bruciato una grande
occasione; quella di offrire una credibile riduzione cinematografica di
quel complesso contesto storico che il 10 febbraio, da quest' anno, si
ricorda anche ufficialmente.
Ma andiamo per ordine. Un film per la tv che nasce imbastito di tanto
roccoccò politico firmato An, come omaggio alla memoria delle vittime
delle foibe e dell'esodo, tradisce in partenza il suo goffo tentativo
manipolatorio. Tanto più che per alleggerire la proporia responsabilità
artistica il regista Alberto Negrin aveva spiegato a più riprese che la
storia narrata è un'invenzione, ovvero solo un pretesto per dare forma
e vita a figure cinematografiche piene di pathos e sentimento, in un
contesto presumibilmente storico e credibile. Praticamente un western
made in Italy, con buoni e cattivi ben definiti e senza sfumature
fuorvianti. Una fiction d' impatto sentimentale il cui target è un
pubblico televisivo di cultura cinematografica e di cognizione storica
mediobassa.
Pensando un pò che da anni ormai gli indiani d'America non sono più i
cattivi selvaggi di Ombre rosse, è lecito chiedersi se il
telespettatore medio italiano nel 2005 sia disposto a recepire e fare
propria una morale in bianco e nero senza porsi un minimo di dubbio.
Ebbene la mia speranza, guardando »Il cuore nel pozzo«, è che i
telespettatori italiani siano meno sprovveduti e ignoranti di quanto
sperato dagli ispiratori della fiction in questione.
Personalmente l'ho guardata fino alla fine con una certa difficoltà
proprio da un punto di vista dell'attendibilità - se vogliamo anche
solo cinematografica - dell'operazione, tanto essa pecca di
superficialità, luoghi comuni, pregiudizi, falsità, a-geografia ,
manipolazione di sentimenti primari e persino di una manciata di
razzismo. Insomma un kitsch. Persino le fisionomie scelte ( i bei volti
mediterranei delle vittime e degli eroi italiani e i rudi tratti slavi
e balcanici dei Titini, eccezion fatta per la dolcezza slovacca tutta
treccine bionde e occhi azzurri della protagonista femminile innamorata
di un italiano vero), per non parlare delle scenografie montenegrine,
tolgono sin dalle prime immagini qualsiasi credibilità al tentativo di
riproporre un ambiente istriano alla fine del conflitto bellico.
Un secondo punto debole è la madornale esagerazione nella ricostruzione
di fatti e comportamenti che contraddistinsero la vittoria dei
partigiani in Istria ed il travaglio della popolazione italiana nelle
penisola. Nessuna storia ormai , nemmeno quella slovena o croata, nega
la repressione, le violenze, le foibe (per altro »scoperte« ed usate
non solo e per primi dai partigiani, ma precedentemente anche dai
fascisti) e le altre cause dell'esodo di alcune (due?tre?) centinaia di
migliaia di Istriani e Dalmati a guerra conclusa. Prova ne sia la
famosa relazione redatta, su proposta dei governi italiano e sloveno,
da una commissione mista e plurale di storici, che ha lavorato per ben
7 anni, relazione che il governo e grossa parte della classe politica
italiana ora insistono ad ignorare se non persino ad occultare. Già
perchè un contesto violento come quello enfatizzato televisivamente
nella fiction non può certo essere spiegato solo con una battuta
sfuggita ad uno dei protagonisti all'inizio del racconto: »Dopo quello
che hanno subito non faranno distinzioni....«. Al pubblico televisivo
italiano non è mai stato raccontato e spiegato che cosa gli altri, gli
slavi....«avevano subito«. La storia parte un'altra volta da dove
inizia il film e nel confrontro tra i rassicuranti volti civili e da
brava gente degli italiani e quelli barbari e assetati di sangue degli
slavi il messaggio che trafigge il cuore del consumatore televisivo è
inequivocabile; comunque abbiamo sempre avuto ragione noi, perchè
portatori di civiltà. Noi Istriani sappiamo bene che proprio così non
era. Ma dove sono, ad esempio, gli italiani antifascisti che hanno
combattuto a fianco dei Titini? Ad esempio quelli della divisione »Pino
Budicin« o della »Fratelli Fontanot«? Dove sono i tricolori con la
stella rossa, che sventolavano in Istria nell'immediato dopoguerra?
Com'è possibile che il bilinguismo abbia resistito nell' Istria annessa
dalla Jugoslavia, se i titini - secondo il film di Negrin - arrivavano
come Attila o come Novak il cattivo e distruggevano tutto, ammassando
la popolazione italiana come nelle più drammatiche scene della Shoah,
separando figli da genitori, pestando, ammazzando.
Quelle che avrebbero potuto essere situazioni e reazioni estreme
(comunque non documentate), nel film diventano regola. In verità le
ultime scene da shoah in Istria si erano viste nel 1944. Come ad
esempio nel paese istriano-croato di Lipa, presso Fiume, dove il 30
aprile di quell'anno 287 civili, donne, bambini e anziani, furono
trucidati da reparti misti delle SS e dei residui repubblichini. La
popolazione del paese che conosco benissimo perchè vicino a quello di
mia madre, venne ammassata nell'edificio della scuola ed arsa viva. I
superstiti vennero passati per le baionette. L'eccidio di Lipa rimane
lì, testimonianza muta e certo non unica di una realtà che in Italia
continua ad essere ignorata, occultata. Come i gas tossici di Badoglio
e Graziani in Etiopia. Come i massacri di Roatta in Montenegro. Come i
campi di concentramento di Arbe e Gonars. Come gli eccidi dell'esercito
fascista nella provincia di Lubiana.
Peccato, la fiction di Negrin è soprattutto un'occasione perduta. La
Rai ne avrebbe potuto produrre bene una più consona alla memoria,
basandola su un contesto affidabile e magari su uno dei tantissimi
fatti veri, avvenuti nelle terre in questione nel difficile periodo
della guerra e del dopoguerra. Ciò avrebbe reso maggior dignità ai
protagonisti veri di quel dramma. Si sarebbe potuta prendere in
prestito la narrazione ben documentata di un Fulvio Tomizza; Materada o
La miglior vita, si sarebbe potuto potuto contestualizzare, in
un'operazione intellettualmente e storicamente oltre che esteticamente
più onesta, la violenza delle foibe e dell'esodo cercando -come la
buona letteratura e la buona cinematografia sanno fare - di capire e
trasmettere le sfaccettature di una storia e di una geografia complessa
e intricata qual'è quella istriana e giuliana, italiana, slovena,
croata.
L' Istria con la sua variegata realtà etnica e culturale offre al
cinema infinite possibilità. Ma per tradurle in buon cinema è
necessario un minimo di approfondimento geografico, storico, culturale.
Nel »Cuore nel pozzo« l'approfondimento non c'è, nemmeno minimamente.
Il film si sarebbe potuto fare senza avallare, come è stato fatto, una
nuova rimozione della memoria, fatta questa volta di sentimenti accesi
quanto superficiali, rivolti in negativo all'altro con l'unico scopo
strumentale di approfondire l'odio, la diffidenza e di uccidere la
ragione. Paolo Rumiz avverte, giustamente, che la rimozione è una fuga
dalle proprie responsabilità e dalle proprie sconfitte. Lubiana ha
deciso saggiamente di mettere in onda il film il 14 febbraio sulla TV
di stato slovena, trasmettendo pure uno scioccante documentario della
Bbc sui crimini petpetrati in Africa e nei Balcani dall'esercito di
Mussolini. Dopo il film la TV slovena ha trasmesso un pacato e plurale
dibattito, invitandovi pure una storica italiana ed un famoso esule
triestino, Sardos Albertini. E' stata la migliore delle risposte
possibili, un esempio di confronto aperto e democratico, specie se
paragonato con il Porta a porta di Bruno Vespa dedicato allo stesso
tema e al film in questione. Il pubblico sloveno ha avuto occasione di
riflettere autonomamente sull'operazione propagandistica di Maurizio
Gasparri e su quali manipolazioni affettive, su quale »abuso di minori«
è capace chi strumentalizza la storia, riducendo anche la verità a mero
contorno della sua falsificazione.
=== 3 ===
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/4001/1/51/
Tiepida reazione del governo sloveno sulle foibe
10.03.2005 - Il giornalista sloveno Andrej Brstovsek (Dnevnik) descrive
l'imbarazzo del governo di Ljubljana nell'affrontare la questione delle
foibe, a seguito della messa in onda del controverso sceneggiato
italiano "Il cuore nel pozzo". Riconciliazione simbolica tra Italia,
Slovenia e Croazia?
Di Andrej Brstovsek*, Ljubljana, Transitions Online
[http://www.tol.cz/look/TOL/home%5d, 2 marzo 2005 (titolo originale:
"Moving on?"). Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall'Asta
Ljubljana, Slovenia – Un film italiano, massicciamente pubblicizzato,
sulle uccisioni di civili italiani alla fine della Seconda Guerra
Mondiale in quella che allora era la Jugoslavia ha irritato molti in
Slovenia e rendendo tesi i rapporti tra i due Paesi. "Il Cuore nel
Pozzo" è stato largamente condannato in Slovenia per il suo
rappresentare i partigiani jugoslavi come criminali, senza considerare
le circostanze in cui avvennero i fatti.
Il dibattito che si è innescato a causa del film mostra che i due Paesi
non hanno mai raggiunto una vera riconciliazione e non riescono neppure
ad avere una visione concorde su quanto esattamente accadde prima,
durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale.
"Io volevo fare una semplice storia. Il fine non era quello di dare un
messaggio politico," dice il regista, l'italiano Alberto Negrin. Il
film mostra immagini di famiglie messe davanti ai plotoni d'esecuzione
dei partigiani italiani e jugoslavi, bambini italiani che strillano per
essere stati separati dalle madri e civili uccisi che vengono gettati
nei pozzi carsici della Slovenia e della Croazia, le fojbe o foibe.
Il film non parla dei crimini commessi dai fascisti in quelle zone.
Una nuova vacanza romana
Se Negrin voleva fare un film non-politico, ha ottenuto il risultato
opposto. In Italia, il film ha ricevuto l'esplicita approvazione di
Alleanza Nazionale, partito della coalizione di governo del Primo
Ministro Silvio Berlusconi, che affonda le sue radici nei fascisti di
Mussolini. "Dobbiamo estrarre da un abisso di menzogne una verità
nascosta dall'imposizione di un pregiudizio culturale", ha detto il
ministro italiano delle Comunicazioni Maurizio Gasparri, membro di
Alleanza Nazionale, come riportato dalla Reuters.
Il film, in due parti, è stato trasmesso in prima visione sulla
televisione di Stato italiana appena prima del 10 febbraio, una nuova
festività nazionale che commemora le vittime delle foibe. Milioni di
Italiani lo hanno visto – e anche un buon numero di Sloveni si sono
sintonizzati.
La reazione politica da parte dei vicini ad est dell'Italia è stata
immediata e decisa.
Tra i primi a replicare sono stati i veterani sloveni e croati della
Seconda Guerra Mondiale, che hanno accusato il regista Negrin di essere
prevenuto e di cercare di dipingere l'Italia come vittima mentre in
effetti essa fu l'aggressore.
"Le forze d'occupazione italiane uccisero e violentarono, ciò che causò
rappresaglie. Le vendette sono sempre state cieche," ha detto Janez
Stanovnik, presidente dell'associazione slovena veterani della Seconda
Guerra Mondiale. Ha detto che era una "enorme menzogna" sostenere che
gli Italiani furono uccisi per il solo fatto di essere Italiani.
Anche senza il film, la nuova festività italiana avrebbe creato qualche
perplessità in Slovenia. È probabile che il parlamento sloveno
risponderà proclamando una nuova festività slovena, che celebrerà
l'annessione alla Slovenia della regione costiera di Primorje, che un
tempo era italiana.
È un fatto storico incontrovertibile che molti Italiani furono uccisi
in Slovenia e Croazia dopo la guerra – le stime sul loro numero variano
da 1.700 a 10.000. Molti Italiani abbandonarono il territorio anche per
paura di rappresaglie, oppure perché non volevano vivere in uno Stato
comunista.
Ma sia i veterani che gli storici sostengono che, mentre è importante
ammettere ufficialmente le uccisioni e le espulsioni, bisogna anche
considerare le circostanze in cui ebbero luogo. Già prima della Seconda
Guerra Mondiale, l'Italia perseguiva una politica d'aggressione verso
l'Istria (ora divisa tra Croazia e Slovenia) e la Dalmazia (oggi parte
della Croazia) e poi occupò la maggior parte di quei territori durante
la guerra.
Nel dopoguerra, diversi trattati tra Italia e Jugoslavia affrontarono
il problema dei cittadini italiani fuggiti alla fine della guerra. Gli
accordi obbligavano il governo italiano a rimborsarli delle proprietà
abbandonate in Jugoslavia; questi rimborsi erano considerati altresì
come un indennizzo italiano per i danni di guerra in Jugoslavia.
Ma nonostante la definizione legale della questione, l'argomento non
trovò mai un accomodamento politico.
Di fronte alla minaccia italiana di porre il veto all'inizio dei
negoziati per l'adesione della Slovenia all'UE, a metà degli anni '90,
la Slovenia dovette firmare uno speciale accordo con l'UE con il quale
apriva i suoi mercati immobiliari ai profughi italiani.
Nello stesso periodo, sia la Jugoslavia che la Slovenia (che divenne
indipendente nel 1991) tentarono di occuparsi della minoranza italiana
rimasta sul territorio. Uno dei 90 seggi nel parlamento sloveno è
riservato ad un rappresentante della minoranza italiana (un altro è
riservato ad un rappresentante della minoranza ungherese), e l'
Italiano è lingua ufficiale nelle aree dove vive la minoranza italiana.
Jansa in una difficile posizione
Ma la questione va oltre i diritti di una minoranza o i risarcimenti
per le passate ingiustizie, e per la perdita di proprietà immobiliari,
benché tutti questi aspetti siano stati sollevati dalle famiglie di
coloro che furono uccisi o abbandonarono il Paese. In questo caso si
tratta anche di ricostruire correttamente questa pagina di storia – e
di essere capaci di superarla e passare oltre.
Mentre l'attuale governo italiano di centro-destra, che ha sostenuto il
film, raccoglierà probabilmente dei benefici dal rivisitare il passato,
la nuova coalizione di governo di centro-destra in Slovenia si trova in
una situazione scomoda. Non è più solo una questione di rapporti
bilaterali, ma anche di politica interna. I critici accusano il governo
sloveno di essere stato lento nel reagire perché la sua posizione
anticomunista gli rende difficile difendere i partigiani comunisti.
Un certo numero di personaggi pubblici hanno fatto pressione sul Primo
Ministro Janez Jansa e sul Ministro degli Esteri Dimitrij Rupel perché
replicassero al film. Il leader dei Socialdemocratici, all'opposizione,
Borut Pahor, ha suggerito di inviare una nota diplomatica a Roma. Il
governo dapprima ha sostenuto che un film non poteva essere una base
per discutere di relazioni bilaterali, ma ha cambiato atteggiamento
dopo che la televisione slovena ha deciso di trasmettere il film – ed
ha riportato un record di ascolti.
Il governo ha emesso una dichiarazione che esprimeva il desiderio che
l'Italia si confrontasse in maniera critica con il suo passato, e
riaffermava che il governo rifiutava ogni interpretazione della storia
recente che fosse pregiudiziale o politicamente motivata. Questo poteva
anche essere visto come una critica del regime comunista jugoslavo e
della sua versione dei fatti.
Il tono conciliante sembra avere avuto qualche effetto. Un
sottosegretario del Ministero degli Esteri italiano ha menzionato la
possibilità che rappresentanti dei tre Paesi possano firmare una
"riconciliazione simbolica", presumibilmente nel corso di un summit tra
Berlusconi, il Presidente sloveno Drnovsek, e il Presidente Croato
Stipe Mesic.
D'altra parte, come ha detto Stanovnik della associazione slovena
veterani, la riconciliazione è una questione di coscienza personale. E
se a questa coscienza non è stato fatto un esame negli ultimi
sessant'anni, è poco probabile che ciò possa accadere ora.
*Andrej Brstovsek è un giornalista del quotidiano di Ljubljana "Dnevnik"
=== 4 ===
FOIBE: FINI, AIUTARE CROATI A LIBERARSI DI DEMONI E NOSTALGIE
(ANSA) - TORINO, 10 FEB - L' avvio dei negoziati per l' ingresso
della Croazia nell' Unione Europea deve essere l' occasione per
''aiutare gli amici croati a liberarsi dei demoni e delle paure del
passato''. Questo il concetto che il ministro degli Esteri Gianfranco
Fini ha espresso parlando a Palazzo Carignano, a Torino, in occasione
delle celebrazioni per il Giorno del Ricordo, insieme con il
presidente dei deputati dei Ds alla Camera, Luciano Violante. Un
tema che non e' stato apprezzato da alcuni esuli presenti alla
manifestazione, anche se il dissenso si e' limitato ad alcune
dichiarazioni rilasciate ai giornalisti alla fine della cerimonia.
''L' Europa - ha detto Fini - ha interesse a stabilizzare i Balcani.
Lungi da me quindi l' idea di dire no all' ingresso della Croazia. Ma
l' avvio dei negoziati dovra' essere l' occasione per far capire agli
amici di Zagabria che e' arrivato il momento di riconoscere i valori
europei, primo fra tutti quello che non si puo' discriminare in base
all' identita'. L' Italia riconosce i diritti delle minoranze, lo
stesso dovra' fare la Croazia, riconoscendo i diritti della minoranza
italiana che vive entro i suoi confini'' [SIC - nel frattempo la
minoranza serba è stata cancellata dalla Croazia con la complicità
europea ed italiana, ndCNJ]. ''Non e' pensabile - ha spiegato - che
a Zagabria resti in vigore una legge che impedisce agli italiani di
acquistare beni in Croazia [SIC - si noti il risvolto bassamente
economico della faccenda, ndCNJ]. E' una legge che l' Europa
cancellerebbe, la Croazia quindi lo faccia prima. Cosi' come non e'
giusto - ha aggiunto - che un italiano nato a Spalato non possa
essere sepolto dove riposano quelli della sua famiglia''. Per
Fini, con l' avvio dei negoziati ''l'' Europa ha una grande
prospettiva''. ''La Croazia - ha sottolineato - ha bisogno dell'
Europa e in questa occasione l' Italia, che e' tra i fondatori
dell' Unione Europea e che ha fatto tesoro degli errori del passato,
deve aiutare gli amici croati a liberarsi dei demoni e delle paure
del passato. A Zagabria devono capire che si puo' essere italiani e
cittadini croati. Solo cosi' il 10 febbraio non sara' solo il
Giorno del Ricordo dedicato alla tragedia delle foibe e all' esodo
degli italiani dall' Istria e dalla Dalmazia. Ma sara' anche - ha
concluso - un momento per guardare al futuro, nella speranza di
concretizzare una grande riconciliazione europea, che per noi parte
da cio' che ci e' piu' vicino: il confine orientale''. Le
contestazioni di alcuni esuli presenti, mantenute sempre a bassa
voce, si sono manifestate apertamente soltanto mentre Fini lasciava
il luogo della cerimonia. ''Non siamo venuti qui per sentire parlare
di Croazia in Europa, Fini doveva fare un altro discorso, questo era
il giorno in cui dovevamo onorare i nostri morti'', sono state alcune
delle frasi ripetute dai presenti. (ANSA). PL
10/02/2005 18:34
FOIBE: FINI, ORA C'E' SENSO STORIA COMUNE
(ANSA) - TRIESTE, 10 FEB - ''Ora che la storia e la politica sono su
binari diversi, che non ci sono piu' le ideologie che sostengono la
superiorita' di un popolo sull' altro, c' e' il senso di una storia
comune'': lo ha detto il Ministro degli Esteri, Gianfranco Fini,
intervenendo al Teatro Verdi di Trieste alle celebrazioni della
Giornata del Ricordo. Fini, dando un riconoscimento ''personale e
doveroso a coloro che nell' epoca in cui non c' era una memoria
condivisa e la percezione della tragedia, mantennero alto questo
ricordo'', ha citato in particolare padre Flaminio Rocchi [frate
francescano di estrema destra, noto per dichiarazioni mendaci e
propagandistiche sulla questione della foibe: vedi ad es.
http://italy.indymedia.org/news/2002/11/120892.php - ndCJ] e il
deputato Ferrucio De Michieli Vitturi, esponente delle associazioni
degli esuli. ''Gli esuli - ha proseguito - ebbero in sorte di
subire, accanto al dolore e al terrore, anche l' affronto dell' oblio
e dell' ignavia. Ma onestamente - ha precisato - dobbiamo dare atto
che la societa' e la cultura italiana sono state capaci negli ultimi
tempi di ricucire il filo della memoria''. ''Oggi - ha proseguito -
non c' e' piu' una versione di parte, un' opinione di comodo, una
verita' di destra e una sinistra, ma la verita'''. (ANSA).
BUO/MST 10/02/2005 18:38
ESULI: INCONTRO ITALIA-CROAZIA A FEBBRAIO PER INDENNIZZI
(ANSA) - ZAGABRIA, 10 FEB - Italia e Croazia si incontreranno il
prossimo 17 febbraio a Roma per tentare di definire la questione
degli indennizzi spettanti agli esuli italiani per i beni abbandonati
in Istria, definiti dagli accordi di Osimo del 1975 e dal trattato di
Roma del 1984 ma mai corrisposti. All'incontro parteciperanno il
capo della diplomazia italiana Gianfranco Fini e il sottosegretario
agli esteri croato Hido Biscevic, in quanto il ministro e'
dimissionario. L'esito della riunione non e' per nulla scontato e
non e' detto che si riesca ad arrivare ad una soluzione: da parte del
governo croato, assicura l'ambasciatore italiano Alessandro
Grafini, c'e' ''un'apertura'' e la presa di coscienza che ''bisogna
fare un gesto distensivo''. Allo stesso tempo pero' ''non c'e' una
posizione chiara'' su come affrontare la questione. Solo negli
ultimi anni sono state presentate tra le 2.500 e le 3.000 domande di
risarcimento alla Croazia, da italiani costretti ad abbandonare
l'Istria lasciando li' i loro beni.(ANSA). GUI
10/02/2005 17:33
[Si noti dunque il concreto risvolto economico celato dietro alla
questione dei "crimini commessi contro gli italiani dai partigiani
titini", ndCJ]
FOIBE: PROBABILE INCONTRO PRIMAVERA ITALIA-CROAZIA-SLOVENIA
(ANSA) - ZAGABRIA, 14 FEB - L'incontro trilaterale tra i presidenti
di Italia, Slovenia e Croazia per la 'riconciliazione simbolica' e
per chiudere i dibattiti storici controversi potrebbe realizzarsi in
tarda primavera. Lo ha detto alla radio slovena Ivo Vajgl,
consigliere per la politica estera del presidente sloveno Janez
Drnovsek, citato dall'agenzia di stampa croata 'Hina'. ''I
preparativi sono in corso - ha dichiarato Vajgl - ma non sono ancora
stati stabiliti i luoghi che i presidenti dovrebbero visitare, ne'
l'esatta forma dell'incontro''. Si tratta di un'iniziativa con cui
i tre presidenti vorrebbero simbolicamente chiudere le discussioni e
i dibattiti sulle due guerre mondiali che nello scorso secolo hanno
visto i tre popoli dalle parti opposte, e probabilmente visitare i
luoghi di maggiore sofferenza. Dopo la prima celebrazione lo scorso
10 febbraio in Italia della Giornata della memoria delle foibe e
dell'esodo, in alcuni ambienti politici sloveni si e' detto che
forse non e' ancora arrivato il momento per un simile incontro dato
che da parte italiana, questa parte della storia, viene ancora
strumentalizzata. (ANSA). COR 14/02/2005 19:40
ITALIA-CROAZIA: COLLOQUIO FINI-BISCEVIC OGGI A ROMA
(ANSA) - ROMA, 17 FEB - ''L'Italia guarda con fiducia ad una Croazia
europea e confida nella sua capacita' di affrontare le questioni
bilaterali con spirito costruttivo, in una condivisa ottica europea e
secondo i principii europei, con l'obiettivo di porre le basi per
potere costituire un vero partenariato adriatico''. E' quanto ha
sottolineato oggi - prima di partire per Bratislava - il Vice
Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri Gianfranco Fini
nell'incontro avuto alla Farnesina con il Vice Ministro degli Esteri
della Croazia, Hidajet Biscevic. Lo si e' appreso alla Farnesina dove
si rileva che Biscevic e' in visita a Roma, su invito italiano, per
una serie di colloqui dedicati ai principali temi bilaterali e
regionali e al processo di integrazione della Croazia nelle strutture
europee ed euro-atlantiche. Nell'incontro con Biscevic Fini ha
evidenziato come la piena collaborazione croata con il Tribunale
dell'Aja sia importante anche nell'ottica della prossima apertura dei
negoziati di adesione di Zagabria all'Unione Europea. La visita
di Biscevic a Roma che, oltre al Ministro Fini, ha incontrato il
Sottosegretario Roberto Antonione, ha costituito l'occasione per uno
scambio di valutazioni sulla situazione nei Balcani, su altri temi
della attualita' internazionale, nonche' per una nuova sessione dei
negoziati dedicati al tema dei Beni degli Esuli Italiani. Sono state
inoltre approfondite alcune questioni specifiche, con particolare
riguardo all'accesso al mercato immobiliare per i cittadini dei due
Paesi e alla disciplina delle sepolture civili e militari. In vista
dello sviluppo dei negoziati sui temi sopra evocati - si e' appreso
ancora alla Farnesina - stato anche stilato un documento congiunto
che individua un'agenda articolata per i futuri incontri, da tenersi
in tempi rapidi. (ANSA). RF
17/02/2005 20:27
[ Del saggista e giornalista tedesco Juergen Elsaesser è uscito in
questi giorni in Germania il nuovo testo: "La Jihad arriva in Europa?
Mujaheddin e servizi segreti nei Balcani" (vedi più sotto -2- una
scheda in lingua tedesca; in inglese alla pagina
https://www.cnj.it/INIZIATIVE/roma290305.htm ).
In un momento in cui l'Islam viene demonizzato ed usato come capro
espiatorio per giustificare la guerra "globale e preventiva"
dell'imperialismo americano, questo libro e le tematiche da esso
affrontate necessariamente scatenano un vivace dibattito, innanzitutto
all'interno della sinistra antimperialista. Un momento di questo
dibattito è l'iniziativa in programma per martedi prossimo a VIENNA
(vedi -1-); Successivamente, Elsaesser sarà in Italia, ospite del
G.A.MA.DI. e del CNJ, per un altro momento di discussione e confronto
(a ROMA il 29/3; nei giorni precedenti si terranno anche trasmissioni
televisive e radiofoniche con l'autore - vedi:
https://www.cnj.it/INIZIATIVE/roma290305.htm
Tutti gli aggiornamenti, ed ulteriori dettagli, su queste iniziative
saranno forniti attraverso la lista JUGOINFO del CNJ.)
Elsässer è gia' noto in Italia per il libro "Menzogne di Guerra - Le
bugie della NATO e le loro vittime nel conflitto per il Kosovo" (Ed. La
Città del Sole, Napoli 2002 - vedi:
https://www.cnj.it/INIZIATIVE/elsaes2004.htm ) di cui, più sotto (-3-),
riproduciamo la postfazione, in lingua tedesca, della nuova edizione,
appena uscita in Serbia. ]
1. Kommt der Dschihad nach Europa?
Eine Diskussion mit J. Elsässer in WIEN, 15. MÄRZ 2005
2. Wie der Djihad nach Europa kam
Gotteskrieger und Geheimdienste auf dem Balkan
Kurztext vom neuesten Buch von J. Elsaesser
3. Von Pogrom zu Pogrom
Neues Nachwort zur serbischen Neuauflage von "Kriegslügen"
=== 1 ===
Kommt der Dschihad nach Europa?
Diskussion mit J. Elsässer, H. Hofbauer und M. Jeftic
15. März, 20h, Uni Wien, HS 32
Jürgen Elsässer, Journalist und Autor, Berlin
Hannes Hofbauer, Osteuropaexperte und Verleger, Wien
Miroljub Jeftic, Autor und Professor für Politik- und
Rechtswissenschaften, Universität Belgrad
Diskussionsleiter:
Martin Vinomonte, Journalist der Wiener Zeitschrift Bruchlinien
In seinem neuesten Buch erklärt Jürgen Elsässer seine These, im
bosnischen Bürgerkrieg hätten internationale islamische Kämpfer – unter
ihnen auch das Umfeld Bin Ladens – mit Unterstützung westlicher
Nachrichtendienste eine bedeutende Rolle gespielt. Eine Fortsetzung des
afghanischen Bündnisses aus den 80er Jahren, auch die Attentäter des
11. September hätten in Bosnien gekämpft.
Elsässers These fällt mit jener in Serbien weit Verbreiteten zusammen,
man wäre ein Vorposten des christlichen Abendlandes gegen den Islam.
Andere stellt sich die Frage nach der Sinnhaftigkeit dieser Ansichten:
Westeuropa und die USA verwenden die Propaganda gegen den Islam wo sie
ins Konzept passe – sie sei nicht Selbstzweck, sondern diene zum
Erreichen bestimmter politischer Ziele.
Seit langem scheint, dass die Opfer westlicher Aggression – Serbien und
die islamische Welt – in der Gegnerschaft zum jeweils anderen eine
erneute Eintrittskarte in die „westliche Wertegemeinschaft“ erblickten.
Gefährliche Illusion – denn die Aussöhnung mit dem Westen gibt es nur
um den Preis totaler Kapitulation. Und zweitens: Die Anwesenheit
internationaler islamischer Kämpfer allein kann die politische Dynamik
des Krieges in Bosnien nicht erklären. Diese ergibt sich nicht durch
geheimdienstliche Aktionen, sondern aus der Geschichte Jugoslawiens und
dem politisch-militärischen, ebenso wie wirtschaftlichem Druck des
Westens.
Zu einer kontroversen Debatte lädt die Jugoslawisch Österreichische
Solidaritätsbewegung.
**************************************
Jugoslawisch-Österreichische Solidaritätsbewegung
PF 217, 1040 Wien
joesb@ vorstadtzentrum.org
http://www.vorstadtzentrum.org/joesb
**************************************
=== 2 ===
Jürgen Elsässer
Wie der Djihad nach Europa kam
Gotteskrieger und Geheimdienste auf dem Balkan
Kurztext
Die Hauptverdächtigen des 11. September haben in den neunziger Jahren
auf dem Balkan gekämpft. Eine Flugstunde von Wien und München entfernt
trainierten sie den gnadenlosen Kampf gegen die Ungläubigen – mit
Unterstützung von NATO-Geheimdiensten.
Während in den vorliegenden Standardwerken zu Al Qaida die Aktivitäten
der Terroristen auf allen Kontinenten ausführlich geschildert werden,
blieb ausgerechnet das europäische Aufmarschgebiet der Djihadisten
bisher so gut wie unbeachtet: Vor allem im bosnischen Bürgerkrieg haben
einige Tausend militante Moslems aus den arabischen Staaten und dem
Iran an der Seite ihrer Glaubensbrüder gegen die Christen, also gegen
Serben und Kroaten, gekämpft. Ebenso wie in den achtziger Jahren in
Afghanistan schloß die US-Administration einen Pakt mit dem Teufel:
Unter Bruch des UN-Waffenembargos versorgte sie die Gotteskrieger mit
modernsten Waffen.
Osama bin Laden hat von der pro-westlichen Regierung in Sarajevo einen
Paß bekommen, Hunderte seiner Getreuen haben sich dauerhaft in Bosnien
und Albanien niedergelassen. Von dort wurden sie von US-Agenten in das
Kosovo und nach Mazedonien geschleust, andere steuerten Wien und
Hamburg an – und bereiteten dort das Inferno des 11. September vor.
Das Buch ist Ergebnis einer mehrjährigen Recherche und stützt sich
neben englischsprachigen, französischen und serbokroatischen Quellen
auch auf Gespräche mit Geheimdienstexperten und Mitgliedern der
UN-Mission in Bosnien und auf zahlreiche Besuche vor Ort.
„Wenn Europa seine Haltung nicht ändert, werden wir Maßnahmen ergreifen
und terroristische Aktionen auf europäischem Territorium entfesseln.
Viele europäische Hauptstädte werden in Flammen stehen.“( Sefer
Halilovic, Oberbefehlshaber der bosnisch-muslimischen Armee , im Jahre
1993)
"Auch wenn die westlichen Geheimdienste die Tätigkeit der Mudjahedin in
Bosnien nie einen Djihad der al Qaida nannten, ist inzwischen klar, daß
es sich genau darum handelte." (Richard A. Clarke, Antiterrorchef der
US-Präsidenten Reagan, Bush sr., Clinton und Bush jr., im Jahre 2004)
Zum Inhalt des Buches
Das "afghanische" Bündnis zwischen den USA und den Mudschahedin erlebte
auf dem Balkan eine Neuauflage, und so war es kein Wunder, dass die
wichtigsten Verdächtigen des 11. September dort ihre Feuertaufe
erfuhren (Kapitel 1). Besonders Bosnien-Herzegowina bot für den Aufbau
einer Dschihad-Front aufgrund seiner Geschichte günstige
Voraussetzungen (Kapitel 2). Nur durch westliche Einflussnahme konnte
es aber gelingen, zu Beginn der neunziger Jahre die dort vorherrschende
gemäßigte Strömung der Muslime auszuschalten und die Förderer des
Heiligen Krieges an die Macht zu bringen (Kapitel 3). Dabei spielte
Wien als Schaltstelle des Waffenschmuggels zunächst die zentrale Rolle,
dort erhielt Bin Laden 1993 auch einen bosnischen Pass (Kapitel 4). Mit
Geldern und Kämpfern aus dem islamischen Welt wurde die
bosnisch-muslimische Armee aufgebaut, Bin Laden war deswegen persönlich
im Präsidentenpalast in Sarajevo (Kapitel 5). Vor allem die
ausländischen Dschihadisten verübten im Verlaufe der dreijährigen
Kämpfe (1992 – 1995) schreckliche Greueltaten, und auch einige der den
Serben zugeschriebenen Massaker könnten auf ihr Konto gehen (Kapitel
6). Doch der Kampfwert der Gotteskrieger war zunächst gering, und das
änderte sich erst, als William ("Bill") Clinton 1993 US-Präsident wurde
und im Zusammenspiel mit dem Erzfeind Iran deren Aufrüstung
organisierte (Kapitel 7). Mit harten Bandagen brachte der
US-Geheimdienst UN-Blauhelme, die diesen Bruch des internationalen
Waffenembargos kritisierten, zum Schweigen (Kapitel 8). Die vermutlich
wichtigste Rolle bei diesem Bosnia-Gate spielte die
Pentagon-Vertragsfirma MPRI (Kapitel 9), die nach dem Friedenschluß von
Dayton (1995) auch die Kontrolle über die bosnische Armee übernahm
(Kapitel 10). Statt dort, wie es die offiziellen Washingtoner Legenden
wollen, die Gotteskrieger auszuschalten, übernahm MPRI die fähigsten
Kämpfer, bildete sie in dem mittlerweile ebenfalls von Bin
Laden-Vertrauten durchsetzen Albanien aus (Kapitel 11 und 12) und
schickte sie zur Unterstützung der albanischen Terrorbewegung UCK ins
Kosovo und nach Mazedonien (Kapitel 13).
Ein Großteil dieser Aktivitäten wurde aus einem saudisch-amerikanischen
Spendensumpf angeblich humanitärer Organisationen finanziert, in dem
Bin Laden nur eine untergeordnete Rolle spielte (Kapitel 14). Ganz
generell stellt sich die Frage, ob Al Qaida nicht eher ein
Propagandabegriff der US-Außenpolitik als eine real existierende
Organisation ist, zumal bei vielen Topterroristen der Verdacht besteht,
dass sie auch für westliche Dienste arbeiten (Kapitel 17). Dies trifft
auch auf die Hauptverdächtigen des 11. September zu (Kapitel 18),
insbesonders auf die beiden angeblichen Masterminds der Anschläge
(Kapitel 19).
In jedem Fall hat sich dank westlicher Protektion in
Bosnien-Herzegowina ein terroristischer Brückenkopf gebildet, der
sowohl für die weitere Entwicklung des Landes (Kapitel 15), als auch
für die Sicherheit in Europa insgesamt ein erhebliches
Bedrohungspotential darstellt (Kapitel 16). Schon seit geraumer Zeit
gibt es darüber hinaus eine erhebliche Wanderungsbewegung von
Dschihad-Kämpfern zwischen dem Balkan und Tschetschenien (Kapitel 20).
Dies wird aber im Westen nicht als Gefahr gesehen, da die US-Öllobby
längst die russischen Energiereserven im Auge hat (Nachwort).
Kontakt zum Autor: info @juergen-elsaesser .de
=== 3 ===
Von Pogrom zu Pogrom
Der albanische Amok im März 2004 und der Wahlboykott der Kosovo-Serben
im Oktober 2004 hat den Westen nicht zur Vernunft gebracht
„Der Fortschritt überall in der Provinz ist offensichtlich.“ (EU-Außen-
und Sicherheitspolitik-Koordinator Javier Solana Ende Februar 2004)
"Die KFOR hat es gut gemacht" (NATO-Generalsekretär Joop de Scheffer
über das Verhalten der sogenannten Schutztruppe bei den März-Pogromen)
Am 17. und 18. März 2004 kam es im Kosovo zu einem regelrechten Pogrom
gegen die Serben und andere Nicht-Albaner, zum schlimmsten
Gewaltausbruch seit dem Sommer 1999. Dabei wurden 19 Menschen getötet
(zunächst war sogar die Zahl 31 genannt worden), über 30 serbische
Klöstern und Kirchen gebrandschatzt, 500 serbische Häusern zerstört und
4 500 Nicht-Albanern vertrieben. Immerhin fand Bernhard Gertz, Sprecher
des Bundeswehrverbandes, klare Worte: »Die Unruhen wurden
generalstabsmäßig geplant und durchgeführt. Es muß also einen breiten
Kreis von Mitwissern gegeben haben ... Wer häufiger dort im Einsatz
war, sieht doch, daß sich nichts verbessert hat und das Land zur
Zentrale der organisierten Kriminalität in Europa geworden ist.«
Genauere Informationen über die "generalstabsmäßige" Vorbereitungen
kann man einem Bericht des Belgrader Verteidigungsministeriums
entnehmen, der am 25. März in der Armeezeitung Vojska veröffentlicht
worden ist. Darin heißt es: "Personen aus der kosovo-albanischen
Führung initiierten die Vorbereitung, Planung und Durchführung des
Pogroms, um das Kosovo von seiner verbliebenen nicht-albanischen
Bevölkerung zu säubern und so die demographischen Tatsachen in Kosovo
und Metohijen so zu verändern, daß die Unabhängigkeit eines
monoethnischen Kosovo durchsetzbar wird. Unsere Analyse der Ereignisse
... steht in direktem Widerspruch zu öffentlichen Stellungnahmen der
Kosovo-Albaner: Das Kosovo-Parlament deklarierte am 25. März 2004, daß
die Ereignisse ... nichts anderes als ein 'legitimer Protest' gewesen
seien, der irgendwie 'in Gewalttätigkeit umgeschlagen' war. Das
Parlament ... machte die Kosovo-Serben für die Gewalt verantwortlich.
Wir wissen, wer diese Personen sind. Zum Beispiel haben wir in
Erfahrung gebracht, daß vor einigen Wochen ein Treffen abgehalten
worden ist, auf dem Vertreter der drei wichtigsten Kosovo-albanischen
Parteien und ... der Übergangsverwaltung den aktuellen Stand der
Unabhängigkeitsbestrebungen diskutierten. Eine Fraktion, geführt von
Hashim Thaci (Parlamentsabgeordneter, Führer der Demokratischen Partei
PDK und früherer politischer Direktor der UCK ...) und Ramush Haradinaj
(ebenfalls Parlamentarier, Führer der Zukunftallianz-Partei AAK und
früherer Feldkommandant der UCK ...) beschuldigten Ibrahim Rugova, den
Präsidenten des Kosovo und Führer der Demokratischen Liga LDK, ... und
forderten von ihm, sofort die Unabhängigkeit des Kosovo zu erklären.
Rugova weigerte sich aus taktischen Gründen. Daraufhin drohten Thaci
und Haradinaj damit, ihre Anhänger zu mobilisieren und im Kosovo 'Feuer
zu legen'.
Im weiteren trafen sich Thaci und Haradinaj mit den Anführern der
Albanischen Nationalarmee (ANA – Nachfolgeorganisation der UCK, Anm.
jW) ... Auf diesem Treffen kamen sie zu dem Entschluß, daß die Zeit
reif sei für die Austreibung aller Serben. Man präsentierte einen
detaillierten Aktionsplan (der Anfang März in der PDK-Parteizentrale
entstanden war) und ernannte Haradinaj zum Operationsleiter.
Die Koordinierung des Pogroms fand im Krisenzentrum des
Kosovo-Schutzkorps (KPC) statt, das von Jusuf Kelmendi geführt wird.
Das KPC wurde großteils aus früheren UCK-Kämpfern gebildet. Es wird
von Agim Ceku geführt, einem früheren kroatischen Offizier, der im
August 1995 ... bei der Vertreibung von 300 000 Serben (aus der
Krajina, vgl. Seite xy) mitmachte. Er war auch Generalstabschef der
UCK. Auch einige Mitglieder der Kosovo-Schutzpolizei (KPF) nahmen an
den Gewalttätigkeiten teil, einer mehrheitlich albanischen ....
Zivilpolizei .... Die Angriffe in Kosovska Mitrovica wurden vom
Komandanten des 5. Verteidigungskorps des KPC geführt, Rahman Rama,
einem früheren Kommandeur im 4. Operationsgebiet der UCK. Insgesamt
waren 60 000 Kosovo-Albaner ... an den viertägigen Gewalttätigkeiten
beteiligt."
Die Hasen vom Amselfeld
Während Gertz sich noch wundert, daß »unsere Nachrichtendienste nichts
davon gewußt haben«, gibt es mittlerweile zahlreiche Hinweise, daß die
NATO-geführte Kosovo-Besatzungsmacht KFOR und ganz besonders die
Bundeswehr absichtlich weggeschaut haben, als die Pogrome vorbereitet
und durchgeführt wurden.
In der Krisenprovinz waren Mitte März etwa 18 000 KFOR-Soldaten
stationiert. Der deutsche General Holger Kammerhoff war der Kommandeur
der internationalen Truppe, in dem die Bundeswehr mit 3 900 Soldaten
das größte Kontingent stellt. Trotz dieser starken Präsenz gelang es
nicht, den Amoklauf zu verhindern. Beispiel Prizren, wo die deutsche
Kommandantur ihren Sitz hat: Dort lebten bis zum Abzug der
jugoslawischen Armee am 10. Juni 1999 etwa 10 000 Serben. Gerade 100
hatten bis zu den Pogromen vor sechs Wochen ausgeharrt. Als der
albanische Mob am 17. März auf ihr Viertel vorrückte, gingen die
deutschen Soldaten stiften. "Das Erscheinen eines einzigen Panzers am
Schauplatz des Geschehens hätte, so ein Vertreter der Vereinten
Nationen (Unmik), genügt, und die Demonstranten wären verschwunden.
Aber kein Panzer kam", berichtete die FAZ vom Geschen an diesem Tag.
Noch härter ging der Spiegel mit der deutschen KFOR ins Gericht. »Nicht
nur Serben, sondern auch UNO-Beamte, Soldaten anderer
Truppenkontingente, albanische Menschenrechtler und unabhängige
Journalisten werfen der Bundeswehr Versagen, ja Feigheit vor. In der
Bekämpfung der Ausschreitungen habe sie eine klägliche, wenn nicht die
blamabelste Rolle gespielt«, faßte das Nachrichtenmagazin unter der
Überschrift "Die Hasen vom Amselfeld" zusammen.
Dieses Urteil wird auch durch den Fakt gestützt, daß die Bundeswehr in
diesen Tagen keinen einzigen Verwundeten zu beklagen hatte. Aus den
übrigen KFOR-Kontingenten mußten sich dagegen nach den Unruhen 188
Soldaten einer ambulanten oder stationären Behandlung unterziehen. Vor
diesem Hintergrund erhebt die serbisch-orthodoxe Diözese Raska-Prizren
schwere Vorwürfe. Die deutschen Truppen hätten zugelassen, »daß das
gesamte verbliebene christlich-orthodoxe Erbe in einer Nacht
verschwand«. Und weiter: »Was die Albaner in der Zeit von
Nazi-Deutschland nicht geschafft haben, das haben sie unter den
deutschen Truppen der sogenannten Friedensmission getan.« Bischof
Artemije äußerte kategorisch: Der Einsatz der deutschen Truppen war
»ein Fehlschlag, sie sollten abziehen«.
Gegen solche Kritik wurde die Bundeswehr von der deutschen Regierung in
Schutz genommen. Verteidigungsminister Peter Struck lobte das
»umsichtige Verhalten« der Truppe bei den März-Pogromen: »Sie haben
besonnen reagiert, eine Eskalation verhindert und so Menschenleben
geschützt.« Außenminister Joseph Fischer sekundierte: »Unsere Soldaten
haben unter erheblichem Risiko und unter enormem Druck Großes
geleistet.«
Bis zum Sommer 2004 wurde von Minister Struck darauf verwiesen, daß im
deutschen Sektor im März immerhin "kein einziger Serbe" ermordet
worden sei. Daraufhin konfrontierte die FAZ das
Verteidigungsministerium Ende August mit den Angaben der UNMIK, wonach
in Prizren am 17. März ein gewisser Dragan Nedeljkovic in einem
orthodoxern Priesterseminar mit Brandbeschleuniger übergossen und
verbrannt worden ist. Die Bundeswehr versuchte ihre – wissentliche? –
Falschbehauptung mit dem Argument zu retten, das Priesterseminar sei
nicht als Kulturgut eingestuft worden, und nur als solches hätte es
ihrem Schutz unterstanden. "Mit seiner Stellungnahme widersprach das
Ministerium allen bisher gängigen Definitionen von Verantwortung im
Kosovo sowohl in Bezug auf Karten und schriftlichen Erläuterungen der
NATO", kommentierte das Blatt. Den gelynchten Serben verhöhnte das
Ministerium noch mit dem Hinweis, der Mann sei "als Alkoholiker
bekannt" gewesen.
General Kammerhoff hat anläßlich seiner Verabschiedung aus dem Amt als
KFOR-Oberkommandeur Ende August erneut von einem "Erfolg" seiner
Mission gesprochen, und dies ist auch weiterhin die öffentliche
Sprachregelung der Bundesregierung. Gleichzeitig wollte Kammerhoff aber
"den Exodus der noch etwa 95 000 Serben", die im Kosovo verblieben
sind, "nicht ausschließen", bekannte er gegenüber der FAZ.
BND-Mann zettelte die Pogrome an
Ging es nur um Feigheit und Fahrlässigkeit gegenüber den
UCK-Terroristen, oder muß man der deutschen Politik noch Schlimmeres
vorwerfen? Mitte November 2004 wurde bekannt, daß ein bezahlter Agent
des Bundesnachrichtendienstes (BND) einer der Hauptorganisatoren der
März-Pogrome gewesen ist. Der sich dessen vor deutschen Fernsehkameras
selbst bezichtigte war ein gewisser Samedin Xhezairi, in der UCK unter
dem Kriegnamen Kommandant Hodza bekannt. Der Mann lebte und arbeitete
jahrelang als Medizinisch-Technischer Assistant in Oesterreich und
schloss sich nach Ausbruch des bewaffneten Konflikts im Kosovo 1997/98
der albanischen Untergrundarmee an. Er kaempfte zunaechst in der 171.
UCK-Brigade gegen die Serben. Nachdem dieser Krieg mit Hilfe der NATO
1999 gewonnen war, wechselte Xhezairi ueber die Grenze und nahm im
Fruehjahr 2001 im Rahmen der 112. Brigade am UCK-Aufstand in Mazedonien
teil. Dort war er Kommandant einer Einheit aus unter anderem
auslaendischen Gotteskriegern im Raum Tetovo. Als diese Einheit im Juni
2001 von der mazedonischen Armee bei Aracinovo eingekesselt wurde,
wurde sie von der US Army ausgeflogen. Neben Xhezairi und seinen
Mudjahedin befanden sich auch 17 US-Militaerberater unter den
Geretteten.
NATO-Quellen bezeichnen Xhezairi als Bindeglied zwischen UCK und Al
Qaida. Sein Auftrag sei der Aufbau einer Hizbollah in der
Krisenprovinz. Jedenfalls soll der Albaner schon in Afghanistan und
Tschetschenien gekaempft haben, und seine Telefonnummer wurde bei einem
festgenommenen Al Qaida-Verdaechtigen gefunden.
Daneben ist Xhezairi Koordinator eines geheimen Netzes, das Angehoerige
der formell aufgeloesten UCK geknuepft haben, die heute im
Kosovo-Schutzkorps und der Kosovo-Polizei – zweier von UN und NATO
genehmigten Organisationen – ihren Dienst verrichten. Ueber dieses Netz
wurden die Pogrome im Maerz gesteuert. Xhezairi selbst befehligte den
terroristischen Mob in Prizren und Urosevac.
Kurs auf Unabhängigkeit
Statt angesichts dieser Nachrichten Selbstkritik zu üben, versuchten
Bundesregierung und Bundeswehr eine Radikalisierung ihrer
antiserbischen Politik. Bei der Debatte im Verteidigungsausschuß des
Bundestages Mitte September prallten die unterschiedlichen Positionen
aus dem Auswärtigen Amt und aus dem Verteidigungsministerium
aufeinander. Im Fischer-Ministerium verteidigt man die bisherige Linie
der UNMIK, im Kosovo zunächst grundlegende demokratische Standards zu
sichern, bevor an eine Entscheidung über den künftigen Status der
Provinz gedacht werden kann ("Standard vor Status"). Struck dagegen
sagte: ,,Man muß sich schon die Frage stellen, ob es einen Sinn macht."
In der britischen Presse wurde kommentiert, der deutsche
Verteidigungsminister messe der Verteidigung serbischer Leben keine
weitere Bedeutung bei (,,Struck says it is not worth protecting Serbs",
European Foundation Intelligence Digest).
Strucks Parteifreund, der SPD-Vorsitzende Franz Müntefering, vertrat
Ende August 2004 ganz explizit die Position, daß . ,,daß das Kosovo in
der Lage ist, ein eigener souveräner Staat zu sein". Auch die
SPD-Außenpolitikerin Uta Zapf schwärmte kurz darauf von der
"kosovarischen Unabhängigkeit": ,,Ein solch souveräner Staat wird dann
in die europäischen Strukturen eingegliedert werden. Und: ,,Wir"
müßten das ,,Problem Kosovo" endlich lösen, auch wenn ,,Serbien ...
ganz entschieden für einen Verbleib" seiner Südprovinz eintrete.
Auch ansonsten mehren sich die Stimmen in der deutschen Politik, die
eine Aufhebung der UN-Resolution 1244 verlangen, die bis dato die
völkerrechtliche Zugehörigkeit der Provinz zu Serbien-Montenegro
festschreibt. Der weitestgehende Vorschlag kommt von der FDP, die den
Anschluß des Kosovo an die EU fordert. Das Territorium solle »Europa«
als »Treuhandgebiet« überlassen werden, heißt es in der
Bundestagsvorlage, die der FDP-Abgeordnete Rainer Stinner Anfang April
2004 initiiert hat. »Die Souveränität des Kosovo« gehe dann »auf die EU
über«. Stinner sagte gegenüber der Redaktion des Internetportals
german-foreign-policy.com, nach dem Anschluß werde sich »ein
europäischer Leiter« der »Außen- und Verteidigungspolitik« des Kosovo
annehmen. Bereits jetzt stellt die der FDP nahestehende
Friedrich-Naumann-Stiftung mehrere »Berater« des
Kosovo-Regionalparlaments, die dort in zentralen Wirtschaftsausschüssen
tätig sind.
Auch die einflußreiche Bertelsmann-Stiftung verlangt, daß Serbien seine
südliche Provinz Kosovo endgültig abtreten soll, sieht als künftige
Mandatsmacht allerdings nicht die EU, sondern die UN. Demgegenüber
plädiert die CDU/CSU-Bundestagsfraktion einstweilen nur für eine
»möglichst schnelle Klärung der Statusfrage«. Der Versuch, »die
verfeindeten Ethnien der Serben und Albaner wieder zusammenzuspannen«,
sei – so der CSU-Bundestagsabgeordnete Michael Glos – eine »Fiktion«:
»Multikulturelle Gesellschaften« bildeten »ein sehr schwieriges
Unterfangen, das wir in Deutschland nicht als Leitbild wählen sollten«.
Das könnte man mit gutem Willen auch als Plädoyer für eine
Kantonalisierung der Provinz werten, die den Serben im Nordkosovo
gewisse Schutz- und Autonomierechte gewährt. Einzelne CSU-Politiker
haben Sympathien für diese Lösung geäußert, die ansonsten auch von der
Belgrader Regierung favorisiert wird. Die Mehrheit der Unionsfraktion
dürfte allerdings dem antiserbischen FDP-Vorschlag zuneigen – schon
1999 waren aus der Union Überlegungen zu einer »Euroregion Kosovo«
formuliert worden.
Eine Außenseiterposition im deutschen Politikestablishment vertritt
hingegen Wolf Oschlies, bis vor zwei Jahren noch einer der wichtigsten
Balkanberater der Bundesregierung. "Holt die Serben wieder rein ins
Kosovo!" forderte er im Gespräch mit der Tageszeitung "junge Welt" und
meinte damit explizit die Rückkehr serbischer Sicherheitskräfte. Nur
diese könnten weitere albanische Gewalttaten gegen die Minderheiten
verhindern. Oschlies beruft sich bei dieser Forderung ausdrücklich auf
die UN-Resolution 1244, die Grundlage der Arbeit von UNO und KFOR in
der Provinz ist. Vor dem Hintergrund der oben geschilderten
Diskussionsstandes in den großen Parteien ist es allerdings kein
Wunder, daß ein solcher Ratgeber an den Rand gedrängt wurde. Oschlies
arbeitete viele Jahre als einer der Direktoren des Bundesinstituts für
Ostwissenschaftliche und Internationale Studien in Köln, das im Jahre
2000 der Stiftung Wissenschaft und Politik unterstellt wurde. Im Zuge
des Revirements wurden die Kompetenzen von Oschlies und anderer
Fachleute beschnitten. "Man sprach abwertend von den Balkanschlagseite
und dem Rußlandbauch, die beseitigt werden müßten", klagt Oschlies
heute im Rückblick.
Der Wahlboykott der Serben
Nach einer Untersuchung vom Herbst 2004 sind von den seit dem
NATO-Einmarsch aus dem Kosovo vertriebenen 250 000 Serben lediglich
2000 ins Kosovo zurückgekehrt, wobei ihre Zahl im Jahr 2004 mit bisher
254 einen Tiefpunkt erreicht hat. Während der März-Pogrome wurden die
wenigen vorher restaurierten serbischen Dörfer bis auf eine Ausnahme
wieder zerstört. Das danach von der UNMIK groß angekündigte Programm,
mit 3,6 Millionen Euro den Wiederaufbau abgefackelter serbischer Häuser
zu fördern, war Anfang Oktober 2004 trotz mehrfach Zusagen noch nicht
einmal angelaufen – die Kassen seien leer, behauptet UNMIK.
Vor diesem Hintergrund und den schlechten Erfahrungen mit den letzten
Provinzwahlen (vgl. S. xy) sprachen sich die übergroße Mehrheit der
serbischen Parteien für den Boykott der Kosovo-Wahlen am 23. Oktober
2004 aus. Patriarch Pavle, Oberhaupt der serbisch-orthodoxen Kirche,
sagte zur Begründung: "In welchem Staat der Erde könnte man Menschen
zur Teilnahme an Wahlen auffordern, solange ihre elementaren
Sicherheitsstandards und ihre Menschenrechte nicht garantiert sind?"
Auf Kritik aus dem Westen, nur über Teilnahme am demokratischen Prozeß
könnten die Serben ihre Rechte sichern, sagte einer der Vertriebenen
der Belgrader Tageszeitung Blic: "Wenn wir boykottieren, machen wir
doch nichts anderes als die Kosovo-Albaner zur Milosevic-Zeit. Deren
Boykott hat der Westen damals massiv unterstützt, weil er ihre
Menschenrechte bedroht sah. Warum behandelt man uns anders, wo es doch
um unsere Menschenrechte keineswegs besser steht?"
Die erdrückende Mehrheit der Serben auf dem Kosovo schloß sich dieser
Sichtweise an: Über 99 Prozent blieben dem Urnengang fern. NATO und
Europäische Union hingegen lobten die Wahlen als fair und frei – und
gaben damit zu erkennen, daß sie weitermachen wollen wie bisher.
OdG contro il revisionismo sulle "foibe", RESPINTO dalla maggioranza
bertinottiana
Di seguito riportiamo il testo dell'OdG proposto in votazione a
Venezia, primi firmatari Burgio (moz.2) e Donato (moz.5): si tratta
della rielaborazione, decisa in commissione politica, del testo
(disponibile ora su www.marxismo.net) già votato all'unanimità dai
delegati di tutte e cinque le mozioni al congresso provinciale di Udine.
(vedi più sotto per un commento)
---
Ordine del giorno sulle vicende della Resistenza presso il confine
orientale
Da anni stiamo assistendo ad un'opera di riscrittura della storia della
Resistenza e in particolare delle vicende relative al confine
orientale, tanto che non più semplicemente di revisionismo storico si
tratta, ma di un vero e proprio ribaltamento della verità storica, che
fa diventare aggrediti gli aggressori e vittime i carnefici. Di questa
operazione è stato un momento fondamentale in questi ultimi mesi la
programmazione televisiva de "Il cuore nel pozzo", una fiction dal
contenuto completamente falso e intriso di profondo e antico razzismo
antislavo, una pesante operazione propagandistica che accredita il
giudizio sull'armata partigiana della Jugoslavia come di un'orda
animata di violenza cieca e ispirata dall'unico proposito di cancellare
la presenza degli Italiani dall'Istria.
Questa fiction non ha trovato purtroppo la necessaria opposizione, dal
momento che le polemiche dei partiti e dei personaggi del
centro-sinistra hanno riguardato esclusivamente la strumentalizzazione
che ne ha fatto il ministro Gasparri, senza tuttavia entrare nel merito
dei contenuti assolutamente inaccettabili della stessa; proteste
d'altra parte assolutamente tardive e ipocrite, perché già da oltre un
anno si sapeva che questo film era stato voluto da Gasparri, non per
far luce sui fatti della seconda guerra mondiale, ma per scopi
puramente propagandistici.
Questa operazione di riscrittura della storia, iniziata in modo
sistematico una quindicina di anni fa e di cui si possono chiaramente
individuare i protagonisti in personaggi provenienti dal neofascismo
come Marco Pirina, ha visto in questi ultimi anni la sostanziale
complicità di una parte della sinistra, iniziata con lo “sdoganamento”
dei “ragazzi di Salò”, avvenuto presso l’ateneo Trieste alcuni anni fa,
nel corso dell'incontro fra Violante e Fini. Con la presentazione in
questi giorni di un progetto di legge che riconosce i repubblichini
come combattenti per l'Italia, si prepara anche ufficialmente il
coronamento di questa operazione, che ha come scopo sostanzialmente
quello di riconoscere i repubblichini come i difensori del confine
orientale italiano contro l'esercito di liberazione jugoslavo,
decretando così ufficialmente il ribaltamento della storia italiana
della seconda guerra mondiale e il passaggio dei partigiani alla
condizione di "banditi", come erano stati considerati da fascisti e
nazisti.
In quest'ottica le posizioni assunte dalle varie forze del
centro-sinistra di sostanziale accettazione delle versioni della destra
sulla questione delle "foibe", completamente slegate da ogni
riflessione ragionata sul contesto in cui furono inseriti quegli
avvenimenti, risultano assolutamente miopi e palesano un cedimento
ingiustificabile alle posizioni degli avversari. Va sottolineato che
l’operazione revisionista consiste precisamente nella cancellazione del
contesto storico in cui s’inserirono avvenimenti indiscutibilmente
drammatici. Il problema non è affatto invocare una complessità storica
per giustificare alcunché, bensì chiarire che fatti slegati dal
complesso delle situazioni in cui si produssero risultano totalmente
incomprensibili.
Ragionare sul contesto significa, per esempio, riflettere
sull’accanimento con il quale il fascismo condusse la propria “guerra
contro lo slavismo”, con l’obiettivo specifico di snazionalizzare le
centinaia di migliaia di sloveni e croati costretti dai trattati
sottoscritti dopo la prima guerra mondiale a vivere all’interno dei
confini dello Stato italiano. L’obiettivo di tale opera di
snazionalizzazione fu chiaro: la “bonifica etnica” della Venezia
Giulia; essa venne perseguita con spietata durezza, e sul piano
culturale e su quello economico.
D’altra parte la “questione delle foibe”, e del confine orientale in
genere, sta diventando una sorta di cartina al tornasole che rivela
l'avvenuta condivisione fra destra e sinistra di un pensiero unico
contro il diritto di ribellione, anche violenta, all'oppressore, contro
il diritto stesso di Resistenza dei popoli (sancito e riconosciuto
perfino dall'ONU!) e contro la possibilità che esso venga
legittimamente praticato anche con le armi.
Il Partito della Rifondazione Comunista non può confondersi con i
sostenitori di questo pensiero unico: difendere la memoria storica
della Resistenza di tutti i popoli che hanno resistito al nazifascismo,
fra cui e soprattutto i popoli della Jugoslavia, non solo è
un'operazione storica per i comunisti oggi in Italia, ma è anche un
importante momento del nostro impegno attuale; si tratta infatti di
difendere il diritto alla lotta per la giustizia, l'uguaglianza, la
libertà contro l'imperialismo oggi, nella consapevolezza che la
Resistenza armata non ha niente a che vedere con le operazioni di un
indiscriminato terrorismo individuale che semina morte anche tra i
civili innocenti, ma rappresenta una delle opzioni in campo se diventa
lotta di popolo condivisa e generale contro le invasioni straniere.
Venezia, 6 marzo 2005
Firmatari: Alberto Burgio, Gabriele Donato
---
A Venezia questo OdG è stato votato dai soli delegati delle mozioni 2,
3 e 5; i delegati della mozione 4 si sono astenuti. La risicata
maggioranza bertinottiana (59 per cento dei delegati) ha RESPINTO l'OdG.
D'altronde, proprio a Venezia nell'autunno 2003 i bertinottiani avevano
dato inizio alla campagna revisionistica interna sulle "foibe",
dapprima appoggiando l'intitolazione di una piazza di Porto Marghera ai
"Martiri delle foibe", poi organizzando un seminario sulla
"nonviolenza" nel corso del quale Bertinotti prendeva le distanze da
quella che chiamava l'"angelizzazione della Resistenza".
Nel corso di questo VI Congresso nazionale i bertinottiani sono andati
ben oltre, organizzando una operazione mediatica di pessimo gusto
nell'invitare Leo Gullotta - pagliaccio della televisione di regime e
protagonista della fiction revisionista, razzista ed antipartigiana "Il
cuore nel pozzo" - a celebrare il 60.mo anniversario della Resistenza
attraverso la lettura di alcuni testi. Questa ambigua celebrazione è
stata contestata da delegati di diverse mozioni di minoranza (si veda
ad es.:
http://italy.indymedia.org/news/2005/03/743988_comment.php#744577
http://italy.indymedia.org/news/2005/03/743268.php
http://www.repubblica.it/2005/a/sezioni/politica/proditornatre/
gullottaconte/gullottaconte.html
http://italy.indymedia.org/news/2005/03/744376.php ).
Ritorneremo sull'argomento nei prossimi giorni, con altra
documentazione e commenti.
(a cura di AM)
PROGRAMMA DI SOSTEGNO ALLA POPOLAZIONE DELLO SRI LANKA
Conto corrente intestato a "RADIO ONDA D'URTO" presso
BANCA POPOLARE ETICA n. 100748 ABI 5018 CAB 11200
CAUSALE: "SOLIDARIETA' SRI LANKA"
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Via Giolitti 231 – 00185, Roma
Tel/Fax 06 30609546 Cell 3200844252 Cell 3396267506
E-mail: j v p i t a l i a @ t e l e 2 . i t
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--------------------------------------------------------
Sabato 12 Marzo
presso il CSO Ricomincio dal Faro
“Reggae 4 Asia”
serata a sostegno della popolazione
Srilankese colpita dallo tzunami.
Tre ore di ottimo e puro reggae che vedrà alternarsi sul palco
Brusco,
Red Stripes, Rattatoju e Roots in the Sky.
Il concerto inizierà alle ore 22.00.
In funzione birreria e paninoteca.
Ingresso a sottoscrizione
L’idea di organizzare tale evento nasce dalla voglia di non rimanere
inermi di fronte alla tragedia che ha colpito le popolazioni del
sud-est asiatico e per questo l’incasso della serata servirà per la
ricostruzione e per l’assistenza agli abitanti vittime del maremoto e
sarà completamente devoluto al Fronte di Liberazione del Popolo dello
Sri Lanka (JVP) impegnato da sempre a migliorare le condizioni di vita
del proprio popolo.
Parteciperà all’iniziativa un rappresentante del JVP comitato Italiano
che illustrerà la situazione attuale dello Sri Lanka e le azioni fin
ora svolte.
Si ringrazia per la collaborazione e si prega darne notizia
CSO RICOMINCIO DAL FARO
Via del Trullo 330
Bus 719 da metro Piramide- bus 771 da metro EurMagliana – bus 96
notturno
Info: ricominciodalfaro@...
---
FRONTE DI LIBERAZIONE DEL POPOLO (JVP) – SRI LANKA
Comitato in Italia – Via Giolitti 231 – 00185, Roma
Tel / Fax; 06 30609546 – E-mail; jvpitalia@...
Care compagne, cari compagni, Care amiche, Cari amici.
In occasione della venuta in Italia del compagno Chandrasena
Wijesinghe, membro dell'ufficio politico del JVP (Fronte di Liberazione
del Popolo – SRI LANKA), Attuale Ministro della Pesca e delle Risorse
Ittiche dello Sri Lanka, il JVP - Comitato Italia organizza un incontro
pubblico per approfondire l'attuale situazione politica in Sri Lanka .
Saremmo onorati se gradiste prendere parte, esprimendo la
vostra solidarietà internazionalista, a questo incontro pubblico che si
terrà presso in Roma,
Via Matteo Tondi 80(Metro Pietralata).
Domenica 13 Marzo alle ore 15.30
Con i più calorosi e fraterni saluti.
Il Comitato del J.V.P. in Italia.
08 Marzo 2005.
---
Dichiarazioni del rappresentante della Banca Mondiale che minacciano la
sovranità dello Sri Lanka!
Le dichiarazioni rilasciate dal rappresentante della Banca Mondiale in
Sri Lanka Peter Harrold al "Sunday Times" il 6 marzo dovrebbero essere
prese come un pericoloso segnale sulla sovranità del paese.
La dichiarazione rilasciata dal Sig. Harrold sulla decisione di dare
aiuto finanziario ad aree non specificate dalla Banca Mondiale dice;
"Io sono stato attaccato spesso da sezioni dei media ed il Movimento
Nazionale Patriottico perché loro considerarono la nostra consultazione
col LTTE impropria."
"Dato il fatto che c'è un'area controllata dal LTTE ed ufficialmente
riconosciuta, una specie di stato non ufficiale, e poiché il LTTE
partecipa all'accordo di tregua col Governo, il LTTE ha avuto lo status
di amministratore legittimo"
"Questo è un disastro umano ed il punto della questione è che il danno
all'edilizia provocato dallo tsunami ha colpito sproporzionatamente il
Nordest. "
"Se Lei accetta la base razionale del perché la Banca Mondiale si trova
li -- per alleviare povertà -- Lei dovrà accettare il fatto che noi
lavoreremo in queste aree dove esiste il più grande numero di poveri. E
se noi lavoreremo nel Nord e nell'Est, è corretto e appropriato parlare
col LTTE ed impegnarsi con esso può essere solamente buono per il
processo di pace in Sri Lanka",
Noi siamo costretti ad accettare che il Sig. Peter Harrold stesso ha
fatto queste dichiarazioni presumendo che nessuno le avrebbe citate
come irresponsabili.
Comunque, era chiaro che il rappresentante della Banca Mondiale in Sri
Lanka, Peter Harrold nella sua posizione aveva oltrepassato i suoi
compiti facendo una dichiarazione controversa ad un giornale. Noi
crediamo che lui abbia sfidato direttamente la sovranità dello Sri
Lanka attraverso le sue dichiarazioni.
Il rappresentante della Banca Mondiale in qualsiasi paese non dovrebbe
fare dichiarazioni pubbliche controverse su questioni politiche ed
interne. Lui non ha nessun diritto di agire o di dire qualsiasi cosa
che metta in pericolo o sfidi la sovranità del paese. Il rappresentante
della Banca Mondiale in Sri Lanka ha violato tutti questi limiti
accettati attraverso i suoi commenti fatti a quel particolare foglio.
In base a quale diritto può dire che il LTTE ha un stato non ufficiale
e che c'è un area controllata dal LTTE ufficialmente riconosciuta? Come
può identificare le aree nel Nord e dell'Est come uno stato separato
solo perché un gruppo terrorista ed armato tiene quelle aree con la
forza attraverso uccisioni?
Peter Harold ha fatto queste dichiarazioni basandosi sull'accordo di
tregua firmato da Ranil Wickeremesinghe e Velupillei Pirabaharan sotto
la mediazione dei norvegesi. Noi dall'inizio abbiamo spiegato come
certe sezioni di quell'accordo avevano dato lo status di un stato al
LTTE. Noi avevamo affermato che era un accordo infido. D'altra parte
non era un documento che era stato mostrato al Presidente, che è il
leader dello stato e il comandante delle tre forze, o aveva la sua
approvazione e firma, o almeno presentato al Parlamento. Già molti
partiti politici, incluso il nostro, e molte organizzazioni pubbliche
hanno intentato causa per mettere in dubbio la sua legittimità. Al
momento si sente questo nelle corti. Da allora il Sig. Peter Harold ha
diritto di fare dichiarazioni sulle questioni interne dello Sri Lanka,
venire a conclusioni sulla sovranità di questo paese e rendere
pubbliche quelle conclusioni sbagliate che si basano sul cosiddetto
"accordo di tregua". Inoltre, non solo il rappresentante della Banca
Mondiale, ma anche qualsiasi istituzione o rappresentante di essa, che
mantiene relazioni diplomatiche ed ufficiali con la Repubblica
Socialista e Democatica dello Sri Lanka, ha diritto di discutere il
lavoro di sviluppo in qualsiasi territorio, o decisioni simili con
un'organizzazione terrorista riconosciuta in tutto il mondo come quella
che sta intraprendendo una guerra per dividere Sri Lanka. Chiunque
agisca pensando di avere tale diritto va direttamente contro la
sovranità dello Sri Lanka e direttamente incoraggia il movimento
terrorista e separatista.
Un rappresentante di qualunque istituto straniero o un rappresentante
di qualunque altra missione diplomatica non ha alcun diritto morale a
condurre transazioni con la Banca Centrale, Ministero della Finanza o
qualunque altra istituzione statale che rappresentino autorità basate
sul cosiddetto "accordo di tregua" che non ha status legale come noi
abbiamo menzionato per primi.
D'altra parte questo rappresentante della Banca Mondiale si è fatto
avanti perfino ad esprimere il suo punto di vista sulle questioni di
politica interna in Sri Lanka. Lui l'ha detto, sarebbe ingenuo se il
Governo o qualcun'altro pensasse che loro eseguano freddamente
operazioni nel Nord e nell'Est senza avere un dialogo con
l'organizzazione delle tigri. Inoltre, egli ha espresso il suo punto di
vista su organizzazioni come il Movimento Nazionale e Patriottico.
Esprimendo così le sue opinioni egli sembra aver preso la funzione di
politico dell'opposizione. Un stato sovrano che è stato eletto col
mandato della popolazione ha diritto di eseguire "ingenuamente"
(secondo il Sig. Harold) o "non così ingenuamente" le sue funzioni.
Queste sono decise, ingenue o no, non secondo il punto di vista del
rappresentante della Banca Mondiale, ma secondo i desideri delle
persone. Facendosi avanti ad esprimere le sue opinioni su tali
questioni indica anche che il rappresentante della Banca Mondiale non
conosce i suoi doveri o trascura intenzionalmente la sovranità dello
Sri Lanka ed è divenuto un complice del "locale e internazionale
cospirazione " per accordare l'indipendenza al terrorismo separatista.
Il Sig. Peter Harold deve confermare a quale categoria appartiene.
Il rappresentante della Banca Mondiale sta dicendo al Governo di
sancire l'arruolamento obbligatorio dei bambini? Oppure vuole che
all'organizzazione delle tigri sia data la deroga ad arruolare bambini
per l'addestramento militare?
Il JVP non è un partito politico che permette a chiunque di sminuire la
sovranità dello Sri Lanka. Le masse in questo paese ci hanno dato la
forza per lottare contro e sconfiggere qualsiasi partito che prenda
parte in cospirazioni brutali contro la sovranità della nostra amata
madre patria. Su queste basi noi ci opponiamo veementemente alle
dichiarazioni di Peter Harold, il rappresentante della Banca Mondiale e
chiediamo che queste rilevanti dichiarazioni, che minano la sovranità
dello Sri Lanka e sfidano l'autorità dello stato siano immediatamente
ritirate. Se non avvenisse noi chiediamo che i dirigenti della Banca
Mondiale prendano decisioni per rimuovere immediatamente il loro
rappresentante.
Non c'è altra importante questione nell'era presente che difendere la
sovranità dello Sri Lanka. Qualunque forza vile e viziosa che tenti,
segretamente o pubblicamente di liquidare la sovranità del nostro paese
per dividerlo sarà sconfitta - noi non permetteremo mai a cospirazioni
di forze locali ed internazionali di essere vittoriose. Noi facciamo
appello a tutte le forze patriottiche di essere vigilanti continuamente
su questo e venire a manifestare per difendere la sovranità della
nostra madre patria.
Ufficio Politico,
Fronte di Liberazione del Popolo (JVP)
06.03.2005
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FRONTE POPOLARE DI LIBERAZIONE DELLO SRI LANKA
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PEOPLE'S LIBERATION FRONT (JVP) - SRI LANKA
INTERNATIONAL DONATIONS IN FAVOUR OF SRI LANKA VICTIMS:
People’s Bank International Division, Colombo, Sri Lanka
Account: “Relief Services Fund JVP” at People’s Bank,
Nugegoda Branch, no. 0174 165 0108156, SWIFT: PSBKLKLX023
For additional information: http://www.jvpsrilanka.com/
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"Per la mia formazione due letture sono state fondamentali: la Lettera
a una professoressa di Don Lorenzo Milani e le Lettere di Paolo di
Tarso."
Bertinotti a Panorama del 25 febbraio 2005
"Esorta gli schiavi a esser sottomessi in tutto ai loro padroni; li
accontentino e non li contraddicano, non rubino, ma dimostrino fedeltà
assoluta, per fare onore in tutto alla dottrina di Dio, nostro
salvatore."
Dalla Lettera di S.Paolo a Tito (che non c'entra nulla con l'omonimo
maresciallo, ovviamente)
(Da: "ripensamento\@libero\.it")
in collaborazione con l'Istituto veronese per la storia della Resistenza,
organizza un incontro sul tema:
IL CONTRIBUTO BULGARO ALLA LIBERAZIONE DELL'EUROPA SUD-ORIENTALE DAL NAZIFASCISMO
VERONA - SABATO 19 MARZO 2005, ORE 15.00
Sala Conferenze "Erminio Lucchi", Piazzale Olimpia 3
Il programma prevede:
- Apertura dei lavori
- Saluto del Dott. Maurizio Zangarini, direttore Istituto veronese per la
storia della Resistenza
- La resistenza in Bulgaria (1941-1944) e la partecipazione dell'esercito
bulgaro alla
liberazione della Jugoslavia, Ungheria ed Austria (1944-1945)
Dott. Nedjalko Dacev, Istituto regionale per la storia del movimento di
liberazione nel Friuli-Venezia Giulia
- La resistenza bulgara vista attraverso i diari di Georghi Dimitrov
Prof. Giuseppe Dell'Agata, Università degli Studi di Pisa
- Una donna partigiana: Vela Peeva
Lettura di brani dei poeti della Resistenza a cura dell'Associazione Bulgaria-Italia
- Dibattito e conclusioni (ore 18.00 circa)
Ulteriori informazioni: http://www.bulgaria-italia.com/bg/events/20050319.asp
Per aderire all'iniziativa scrivere a: associazione@...
RELATORI
Nedjalko Dacev, nato a Sofia, si è laureato all'università di Trieste. Profondo
conoscitore della storia e dei sistemi politici e sociali dei paesi balcanici,
ha collaborato con le maggiori riviste specializzate del settore. Collabora
con l'istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli-Venezia
Giulia.
Giuseppe Dell'Agata è professore ordinario di Filologia Slava presso l'Università
di Pisa, dove tiene anche il corso di Lingua e Letteratura Bulgara. Profondo
conoscitore della cultura bulgara ha curato la traduzione in italiano di
alcuni dei più importanti autori bulgari del novecento.
ASSOCIAZIONE BULGARIA-ITALIA
email: associazione@...
website: http://www.bulgaria-italia.com/bg/associazione/
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