Informazione

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Titolo:: Presentazione di "Kosovo: il buco nero d'Europa"

DATA D'INIZIO: 2/24/2005
ORA D'INIZIO: 8:00 PM
Durata: 6 Ore
Luogo: Firenze (Toscana)
Dettagli del luogo: Libreria Majakovskij

Centro Popolare Autogestito
Firenze Sud
Uscita Viale Europa Bus 23, 8, 31, 32, 33
055 6580479 libreria @... http://www.cpafisud.org

Tema dell'appuntamento: guerra in kosovo
Tipo di appuntamento: iniziativa
Contatto:
Email di contatto: libreria @...
Telefono di contatto: 055 6580479

DESCRIZIONE: Presentato da uno degli autori:

UBERTO TOMMASI

Due diari di viaggio grazie ai quali il lettore può ricostruire
l'immagine, fino ad oggi distorta da omissioni e manipolazioni
praticate dalle agenzie di stampa, di un paese in cui, senza esclusioni
di colpi e sui cadaveri delle vittime di un pogrom che dura da anni,
le maggiori potenze stanno combattendo una battaglia per il possesso
delle più grandi riserve di carbone d'Europa.

Ore 20.00 cena sociale
A seguire la presentazione che sarà preceduta dalla proiezione del
video:

“I Dannati del Kosovo”

L'iniziativa viene presentata anche per riaffermare il contenuto
politico del movimento contro la guerra alla ex-jugoslavia voluta dal
governo di centro-sinistra ed inserita all'interno della campagna
nazionale contro l'art 270 ed i reati associativi.
Soprattutto in solidarietà ai compagni che vengono processati, proprio
in questi giorni, per l'aggressione poliziesca davanti al consolato USA
in occasione dello sciopero organizzato dal sindacalismo di base il 13
maggio 1999.

Giovedì 24 febbraio ore 21.30

Libreria Majakovskij
Centro Popolare Autogestito
Firenze Sud
Uscita Viale Europa Bus 23, 8, 31, 32, 33
055 6580479 libreria @... http://www.cpafisud.org

> A mia volta vi segnalo un articolo trovato in rete (Osservatorio
> Balcani, moderati dell'Ulivo)
> A parte l'informazione sulla foiba di Basovizza (i documenti
> angloamericani testimoniano che non vi furono infoibati neppure i
> centinaia di cui parla Scotti, come si dimostra nel nuovo libro di
> Claudia Cernigoi), il resto è molto interessante.
> Smrt fazismu Svoboda narodu
> Alessandra Kersevan


[ vai alla pagina originaria per leggere anche i commenti dei lettori:
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3884/1/51/ ]

La memoria delle foibe in Istria: intervista a Giacomo Scotti

10.02.2005 scrive Andrea Rossini
Un clima di nazionalismo insopportabile sta inquinando i rapporti tra
Italiani, Croati e Sloveni. Giacomo Scotti, giornalista e scrittore di
Fiume/Rijeka, racconta il clima di questi giorni e nella propria
analisi contestualizza i fatti storici per i quali oggi in Italia si
celebra il giorno del ricordo. Pubblichiamo ampi stralci
dell’intervista realizzata in collaborazione con Radio Onda d’Urto


Osservatorio sui Balcani: Cosa furono le foibe e quante furono le
vittime delle violenze avvenute tra il ’43 e il ’47 a Trieste, in
Istria e Dalmazia?

Giacomo Scotti: Oggi il termine di infoibati viene esteso a tutti
quindi anche alle persone che furono catturate in combattimento negli
ultimi mesi della seconda guerra mondiale, per esempio i repubblichini
della Repubblica di Salò che operavano in Istria al servizio della
Gestapo e dei nazisti, o in generale i caduti italiani negli scontri
con i partigiani nel territorio dell’ex Venezia Giulia, quindi Istria e
Quarnero. Qualche centinaio di loro morì di stenti, o di malattie nei
campi di prigionia nei dintorni di Ljubljana, e anche questi vengono
messi tra gli infoibati. I veri infoibati che sono stati fucilati e i
cui corpi sono stati gettati nelle foibe sono verosimilmente alcune
centinaia. La storiografia dell’estrema destra parla tuttavia di
parecchie migliaia.

Osservatorio sui Balcani: In Italia si parla per l’appunto di una cifra
che arriva in certi casi alle 10.000 persone e oltre. Questa cifra
dunque secondo te non è corretta?

Giacomo Scotti: Non secondo me ma secondo gli storici triestini che
potremmo definire di centro, come Galliano Fogar, e perfino secondo
alcuni esuli istriani, come per esempio l’ex sindaco di Trieste, che
hanno scritto libri sull’argomento. Ci sono state due fasi. Dopo la
capitolazione italiana dell’8 settembre 1943 in Istria c’è stata una
sollevazione, un’insurrezione di contadini che hanno assalito i
Municipi, hanno assalito anche le case dei fascisti, di coloro che
facevano parte della milizia volontaria della sicurezza nazionale,
degli agenti dell’OVRA (la polizia segreta fascista, ndr) ammazzandone
parecchi nelle loro case, e alcuni gettandoli nelle foibe.
L’insurrezione istriana durò dal settembre fino al 4 ottobre del ’43,
quindi circa 30 giorni. Dopo sono arrivati i Tedeschi e hanno messo a
ferro e fuoco l’Istria. Le vittime dell’insurrezione erano per la
maggior parte gerarchi fascisti, ma ci sono andati di mezzo anche degli
innocenti, ci sono state rese di conti fra gente che aveva dei conti da
regolare. Tuttavia non si può parlare di odio antiitaliano, in un certo
senso non si facevano distinzioni. Prima ancora che calassero le grosse
divisioni tedesche in Istria, i comandi italiani di Pola, ad esempio,
avevano consegnato ad un battaglione di Tedeschi di 350 uomini una
guarnigione di 15.000 soldati. I Tedeschi avevano messo questa gente
nei vagoni per deportarli in Germania. I partigiani slavi, partigiani
per modo di dire, questi insorti che avevano preso i fucili gettati via
dalle truppe italiane oppure i propri fucili da caccia, hanno atteso
questi convogli diretti in Germania nella stazione di Pisino, nel cuore
dell’Istria, assalendo due treni e liberando circa 3.000 marinai
italiani, cadetti. Migliaia e migliaia di soldati italiani, non
solamente di stanza in Istria ma anche provenienti dalla Croazia,
disarmati, dopo l’8 settembre, che attraversavano l’Istria interna per
andare a Trieste, non quella costiera, popolata in gran parte da
popolazione italiana, ma l’Istria interna popolata quasi esclusivamente
da popolazioni slave, sono stati accolti e rifocillati da queste
popolazioni, che li hanno protetti per non essere presi dai Tedeschi
che nel frattempo, ad ottobre, erano calati in gran numero da Gorizia e
dal Brennero. Ci sono anche documenti, anche per esempio
dell’episcopato di Trieste, che attestano questa solidarietà, quindi è
falso sostenere che tutte le vittime erano italiane e che dall’altra
parte c’erano solo i barbari slavi.

Osservatorio sui Balcani: Nel maggio ’45 i partigiani jugoslavi
occuparono Trieste. Quei 40 giorni vengono considerati e raccontati
come il culmine delle violenze antitaliane. Come va inquadrato quel
periodo?

Giacomo Scotti: In Istria la caccia al fascista avvenne in quei trenta
giorni del settembre, e poi non si è ripetuta più. A Trieste invece è
avvenuta la seconda fase, quella appunto dei 45 giorni. Qui ci sono
stati effettivamente episodi di pulizia etnica perché la cosiddetta
guardia popolare - di cui facevano parte tra l’altro moltissimi
Italiani, triestini, goriziani e friulani – e che a Trieste dava la
caccia ai gerarchi, ai fascisti, ha colpito anche molti antifascisti la
cui colpa era quella di battersi perché Trieste restasse italiana. Da
una parte c’era l’idea di molti combattenti di costruire il socialismo
fino all’Isonzo, però c’era anche molto nazionalismo da parte delle
truppe di Tito arrivate a Trieste, che erano per la gran parte truppe
della Quarta Armata, Dalmati. Erano circa 12.000 partigiani, anche se
non si poteva più parlare di partigiani perché l’esercito cosiddetto
partigiano era un esercito dei più potenti, che aveva ormai 800.000
uomini ben armati. Inoltre c’erano alcuni reparti del Nono Corpus
sloveno, quindi uomini che avevano direttamente subito angherie dal
fascismo. Non dimentichiamo che il fascismo oltre ad essersi annessi
circa 600.000 Croati e Sloveni dopo la prima guerra mondiale, nella
seconda guerra mondiale aveva occupato e si era annesso una parte della
Slovenia, creando la provincia di Ljubljana, territori dove non c’era
un solo Italiano. Anche una parte della Dalmazia era stata annessa dopo
il 6 aprile ’41 all’Italia, era stata occupata e migliaia e migliaia di
Dalmati Croati sono finiti nei ben 109 campi di concentramento in
Italia. Quindi c’era rabbia, c’è stata anche vendetta, un revanscismo
da parte di questi soldati e sono stati commessi crimini. Ho trovato un
documento in questo senso, un telegramma di Tito inviato al comandante
jugoslavo della piazzaforte di Trieste che viene rimproverato
aspramente per non aver saputo controllare e moderare questo regime di
occupazione, togliendogli addirittura il comando. Quanti siano stati i
cosiddetti infoibati in questa fase non saprei dirlo non avendo
studiato il problema direttamente, io mi sono occupato nei miei libri
della storia istriana, però stando a storici triestini come Galliano
Fogar che era un azionista, oppure Raoul Pupo, oggi professore
universitario, si tratta anche là di alcune centinaia di persone finite
nella foiba di Basovizza, che ora è diventata monumento nazionale
italiano. Di fronte a queste vittime bisogna certamente inchinarsi.
Però bisogna anche dire che quelli che parlano di 10.000 o 20.000
infoibati infangano le vere vittime perché con le menzogne finisce che
la verità viene coperta e anche chi dice il vero non viene creduto.

Osservatorio sui Balcani: Dopo queste violenze ci fu l’esodo da Istria
e Dalmazia. In questo caso si parla di 350.000 Italiani che sarebbero
partiti dopo il ’45. Si tratta di cifre attendibili?

Giacomo Scotti: L’esodo complessivo dall’Istria e dalla Dalmazia e da
tutte le terre che sono state date alla Jugoslavia in virtù del
trattato di pace del ’47 e della sconfitta purtroppo dell’Italia, dopo
l’avventura nella quale l’aveva precipitata il fascismo, è stato di
240.000 persone. Negli ultimi dieci anni alcuni storici seri hanno
studiato questa questione, dopo il crollo del comunismo, tra di loro
addirittura uno storico anticomunista, Zeljavic. Sono andati negli
archivi, hanno preso i registri dello stato civile che ogni comune
nelle cosiddette province italiane dell’Istria e della Dalmazia aveva,
facendo ricerca. La Dalmazia in definitiva era Zara, una città di
20.000 abitanti sotto l’Italia, una piccola enclave. C’erano poi la
provincia di Fiume, che aveva tre comuni, con circa 50.000 abitanti, e
la provincia di Pola, che ne aveva 300 e poco più. Se veramente fossero
350.000 gli esiliati, sarebbero il 90% della popolazione che viveva in
quelle zone, compresi i Croati, e invece secondo il censimento fatto
dieci anni dopo la fine della guerra c’erano ancora 180.000 Croati
presenti e oggi, a 60 anni dalla fine della guerra, ci sono ancora
35.000 Italiani. Questi storici hanno preso in mano i registri dello
stato civile e i registri delle Questure, che sotto l’Italia erano
precisissimi segnalando addirittura chi era ebreo, chi era ariano, chi
non ariano, chi era antifascista ecc. Sono dati italiani, dello Stato
italiano che in base al trattato di pace l’Italia ha dovuto restituire
alla Jugoslavia come preda di guerra. Nell’esodo inoltre sono scappate
moltissime persone che non erano italiane, 20.000 Croati soltanto
dall’Istria, perché non volevano il comunismo, non volevano restare
sotto Tito. Molti Istriani poi, ad esempio, che lavoravano come
ferrovieri a Trieste e in Italia e non volevano perdere il posto di
lavoro, se ne sono andati. Ci sono molti motivi diversi, ma alla fine
sono partite 240.000 persone. Tra queste c’erano, veniamo alle cifre,
44.000 funzionari che erano venuti dall’Italia negli ultimi 18 anni di
presenza italiana in Istria, maestri elementari, insegnanti,
questurini, carabinieri, finanza ecc. che si iscrivevano nelle liste
della cittadinanza ma non erano autoctoni istriani o dalmati o fiumani.
Non li voglio certamente togliere, ma questi erano 44.000. C’erano poi
20.000 Croati. Quindi quando si parla di Italiani bisogna fare
attenzione. Parliamo degli Istriani, di qualsiasi nazionalità, non
erano soltanto Italiani i profughi.

Osservatorio sui Balcani: Tu hai seguito un percorso contrario a quello
di cui stiamo parlando, recandoti a vivere in Jugoslavia dopo la
seconda guerra mondiale. Negli anni recenti per l’impegno pacifista che
hai intrapreso nel corso delle guerre in ex Jugoslavia degli anni ’90 e
anche in ragione della tua nazionalità italiana hai trascorso anni
difficili… Come ti appresti a vivere questa giornata che in Italia è
stata ufficialmente definita del ricordo, il 10 febbraio?

Giacomo Scotti: Io e molti altri, quasi tutti gli Italiani qui, stiamo
vivendo questi giorni con molto disagio, ci sentiamo veramente
avviliti. Le destre, ovunque, i nazionalismi, ad esempio il
nazionalismo dei dieci anni di Tudjman, durante il quale hanno cercato
addirittura di chiuderci le scuole italiane, ci hanno perseguitato, ed
ora questo nazionalismo da parte italiana, che è un’euforia
insopportabile, con questi film che dicono menzogne, queste cifre che
dicono menzogne, queste parate, ci avviliscono… Questi nostri vicini,
amici con i quali viviamo qui nell’Istria, a Fiume, questi Croati, ci
dicono: “Noi che abbiamo subìto un’aggressione durante la guerra,
abbiamo subìto 360.000 morti dall’occupazione italiana, abbiamo subìto
i campi di concentramento italiani… Invece di chiederci perdono ci
attaccate ormai continuamente…” Come può fare un Italiano che vive qua
a guardare in faccia questa gente? Con la quale ogni giorno vive? Dopo
la morte di Tudjman di nuovo si era creato un clima di tolleranza, un
clima di convivenza pacifica… Invece di dare agli esuli che hanno
sofferto quella soddisfazione di essere ricordati al di sopra degli
odi, al di sopra dei rancori, ora in Italia si sfrutta questa giornata
per fare una campagna tremenda… Mi basta vedere la televisione, leggere
i giornali – qui arriva il Piccolo di Trieste – per esempio il Piccolo
ieri diceva che alla sala Tripcovich di Trieste è stato presentato
questo film sulle foibe…

Osservatorio sui Balcani: La fiction di Rai Uno, Il cuore nel pozzo?

Giacomo Scotti: Sì. Tutta la platea era formata soltanto da aderenti al
Fronte della Gioventù, della Fiamma Tricolore, e di Alleanza Nazionale.
Voi sapete benissimo che a Trieste Alleanza Nazionale non è quella di
Fini, si vantano di essere i picchiatori di Via Paduina, insomma sono
rimasti sempre i soliti. Ebbene a un certo punto un soldato, un
repubblichino prende la pistola e ammazza due persone, due partigiani,
li ammazza dicendo che con questo vuole evitare che la sua fidanzata
venga uccisa da loro. Ebbene è scoppiato un applauso, di fronte alla
morte di questi due partigiani, di questi due slavi, è scoppiato un
applauso irrefrenabile. Quando uno Sloveno, esponente della minoranza
slovena di Trieste, ha cercato di entrare nella sala per protestare, lo
hanno preso per il collo gridando alla polizia italiana: “Buttate fuori
questa gentaglia.” Ecco questo è il clima che si è creato a Trieste e
già da molti giorni… Il giorno della memoria viene celebrato il 10
febbraio, non ci siamo ancora ma è già un’ubriacatura di odio, di
revanscismo, dove vogliamo arrivare con queste cose? La stampa di qui
riporta queste cose. Oggi per esempio (5 febbraio, ndr) il Novi List di
Fiume, che è il giornale a più grande tiratura in Croazia, titola:
“Tutti gli italiani vittime, solo noi Croati e Sloveni siamo stati i
carnefici.”

Osservatorio sui Balcani: Nelle settimane scorse, in Croazia, c’è stato
un attentato dinamitardo al monumento di Tito, nella nativa Kumrovec.
Allo stesso tempo sono stati eretti [poi rimossi] monumenti ad
esponenti ustascia del cosiddetto Stato Indipendente di Croazia di Ante
Pavelic, Budak e Francetic. Nella Croazia del 2005 sono ancora forti i
movimenti e le tendenze di estrema destra?

Giacomo Scotti: La risposta te la posso dare citando i risultati delle
recentissime elezioni presidenziali. A destra della candidata dell’HDZ
si è schierato uno che ai tempi di Tudjman era tra i massimi esponenti
dell’HDZ, un erzegovese, Ivic Pasalic, presentandosi come capo del
Blocco Croato, che ha raccolto tutte le sedici associazioni degli ex
combattenti della cosiddetta Guerra Patriottica, gli ustascia, insomma
la crema della destra in camicia nera. Ha ottenuto solo lo 0.5% dei
voti. Questa è la destra ustascia neofascista oggi in Croazia. Però è
una destra che ha ancora appoggi nei servizi segreti del governo, l’HDZ
non ha fatto pulizia nei suoi ranghi, ancora la polizia segreta
tudjmaniana tira le fila nel sottosuolo. Tutti sanno dove si trova
Gotovina [il generale ricercato dal Tribunale dell’Aja, ndr], ma
nessuno lo va a prendere, la Croazia è diventata ostaggio di un
cosiddetto eroe che sta facendo soffrire le pene dell’inferno alla
Croazia che non può entrare in Europa finchè lui è latitante. Ma tutti
questi alla fine raccolgono solo lo 0,5% dei voti, quindi la Croazia
non è fascista, i fascisti sono pochi, però sono terroristi, mettono le
bombe sotto i monumenti, provocano, sono una piccola minoranza di
terroristi.

[ la prima edizione di Operazione Foibe è leggibile online al sito:
https://www.cnj.it/FOIBEATRIESTE/index.htm ]

Kappa Vu Edizioni
Presentano

Martedì 22 febbraio – ore 18 – Sala della Regione

via San Francesco 4 - Udine

Operazione Foibe
Tra storia e mito

di Claudia Cernigoi

(Kappa Vu Edizioni)

Interverranno insieme all’autrice:

Jože Pirjevec (storico e Docente di Storia dei paesi slavi
all’Università di Trieste)

Kristian Franzil (Consigliere regionale Prc)

Sandi Volk (storico)

Luigi Raimondi (Presidente onorario ANPI della Provincia di Udine)

Alessandra Kersevan (editrice)


Lo studio di Claudia Cernigoi vuole fare chiarezza sulla storia delle
nostre terre, vuole rendere giustizia ai morti di tutte le parti,
finora strumentalizzati a scopo di propaganda; vuole mettere fine a
quella continua creazione di elementi di tensione politica in un’area
di confine delicata come la nostra e, oltretutto, potrebbe servire a
liberare finalmente anche gli Sloveni e la sinistra da quel senso di
colpa che si portano dietro come "infoibatori", accusa che viene loro
mossa incessantemente da sessant’anni senza che d’altra parte si tenga
minimamente conto dei vent’anni di dominio fascista e
snazionalizzazione forzata subita dai popoli "non italiani" e dei
successivi anni di guerra con massacri feroci perpetrati contro le
popolazione dell’Istria, della Slovenia e di tutta quell’area che viene
chiamata Venezia Giulia.

"Il libro di Claudia Cernigoi, Operazione Foibe. Tra storia e mito
(Kappa Vu Edizioni), arricchito con documentazione in parte inedita,
pone il discorso sulle foibe nei dovuti limiti storiografici. Non
pensiamo che tutto questo basterà a tacitare la propaganda
antipartigiana che continua con toni sempre più violenti, anche da
parte di alcuni autori ritenuti fino a qualche tempo fa vicini alle
tematiche della Resistenza. Vorremmo però che almeno gli studiosi che
agiscono nell’ambito degli Istituti storici del Movimento di
Liberazione, nel parlare di questo libro lo facciano con il dovuto
rispetto storiografico, tenendo conto della documentazione presentata"
(Alessandra Kersevan)

"Questa seconda edizione del libro era quanto mai necessaria perché ci
aiuta a comprendere più a fondo cosa sia stato il fenomeno delle foibe
e come esso sia stato usato e strumentalizzato. In questi sette anni
(il tempo trascorso dalla prima edizione del libro) l’autrice ha
approfondito la sua conoscenza della questione con ricerche in archivi
italiani ed esteri, seguendo attentamente gli sviluppi della campagna
propagandistica sull’argomento. Ha cioè fatto quello che ogni storico
che si rispetti dovrebbe fare prima di lanciare giudizi" (Sandi Volk)

Claudia Cernigoi
è nata a Trieste nel 1959. Giornalista pubblicista dal 1981, ha
collaborato alle prime radio libere triestine e oggi dirige il
periodico "la Nuova Alabarda" (il sito è www.nuovaalabarda.tk ). Ha
iniziato ad occuparsi di storia della seconda guerra mondiale nel 1996,
e nel 1997 ha pubblicato per la Kappa Vu il suo primo studio sulle
foibe, Operazione foibe a Trieste. In seguito ha curato una serie di
dossier (pubblicati come supplemento alla "Nuova Alabarda") su
argomenti storici riguardanti la seconda guerra mondiale e sulla
strategia della tensione. Nel 2002, assieme al veneziano Mario
Coglitore, ha pubblicato La memoria tradita, sull’evoluzione del
fascismo nel dopoguerra (ed. Zeroincondotta di Milano).

Info: Mauro Daltin – Ufficio Stampa Kappa Vu Edizioni

Tel: 0432530540 - www.kappavu.it - info @...

"IT'S FUN TO SHOOT SOME PEOPLE..."

(english / deutsch)


Meldung - US-General: Leute killen macht Spaß

Das erklärte der Kommandeur der ersten US-Marinedivision im Irak, der
zwei-Sterne General James Mattis, bei einer Konferenz im San Diego
Convention Center am vergangenen Dienstag. In seinem Vortrag über Krieg
und Widerstandskämpfer im Irak, der als Video auf der Webseite des
US-Nachrichtensender NBC-San Diego zu sehen ist(1), munterte er seine
200 militärischen und zivilen Zuhörern mit den Worten auf: "Übrigens,
das Kämpfen ist toll. Da geht’s richtig rund. Es macht Spaß, ein paar
Leute zu killen. Da bin ich sofort dabei.” Weil seine Aufforderung zum
Mord mit Applaus begrüßt wurde, wiederholte der General etwas später
sein tödliche Spaßformel, diesmal in Bezug auf und Afghanistan wo er
ebenfalls bereits gedient hatte: "Du kommst nach Afghanistan, dort
findest Du Typen, die schlagen ihre Frauen, nur weil sie keinen
Schleier tragen. Solche Typen haben ihre Männlichkeit längst verloren.
Deshalb macht es tollen Spaß, sie zu erschießen”, sagte US-General
Mattis, diesmal unter stürmischem Applaus der Anwesenden.    j.W./ RWR,
den 3.2.2005

1) Das Video ist zu sehen unter folgender URL:  

 http://cf.nbcsandiego.com/dgo/sh/videoplayer/
video.cfm?id=4154699&owner=dgo

oder 

http://www.nbcsandiego.com/news/4153541/detail.html

oder für den Text:

http://www.signonsandiego.com/news/military/20050203-1436-
marinescomments.html

"IT'S FUN TO SHOOT SOME PEOPLE..."

"Actually, it's a lot of fun to fight. You know, it's a hell of a
hoot," says Lieutenant General James Mattis. "It's fun to shoot some
people. I'll be right upfront with you, I like brawling." Mattis'
remarks on the thrills of combat, might have attracted less attention
if it weren't for the fact that Mattis has been assigned to develop and
improve the doctrine for training future U.S. marines. Mattis was even
more blunt about the U.S. approach in Afghanistan: "You go into
Afghanistan," he said, "you got guys who slap women around for five
years because they didn't wear a veil. You know, guys like that ain't
got no manhood left anyway. So it's a hell of a lot of fun to shoot
them." (John Lumpkin, AP, San Diego.com, February 3, 2005)

-Mattis on video and still pix broadcast on NBC in San Diego (NBC, San
Diego)
http://www.nbcsandiego.com/news/4153541/detail.html


Inizio del messaggio inoltrato:

> Da: "Coord. Naz. per la Jugoslavia"
> Data: Lun 7 Feb 2005 16:48:37 Europe/Rome
> Oggetto: [JUGOINFO] Visnjica broj 481
>
>
>
> PROPRIO DIVERTENTE
>
>
> La frase choc del generale dei marines
> "Sparare alla gente e' proprio divertente"
>
> San Diego - "Sparare alla gente" e' "divertente". Il generale James
> Mattis, comandante della prima divisione dei marines in Iraq, ne e'
> convinto e ha cercato di spiegarlo al suo uditorio californiano.
> Descrivendo la lotta contro la guerriglia ha detto anche che
> "combattere e' un gran divertimento, mi piace infilarmi in una rissa".
> Molti tra i militari presenti hanno sorriso, ma altri sono rimasti
> perplessi [finiranno presto ad Abu Ghraib oppure a Guantanamo, ndCNJ].
> "Non penso che a nessuno di noi - ha detto l'ex ammiraglio Edward
> Martin - piacesse ammazzare". Il Pentagono ha deciso un richiamo
> verbale, ma senza prendere alcun provvedimento disciplinare.
>
> (da La Repubblica di venerdi 4 febbraio 2005)

PENOSA FINE DI UN TEORICO DEL "GIORNALISMO EMBEDDED"


> Chi è Eason Jordan?
>
> 3 brevi articoli in sequenza temporale per rendersi conto di quanto
> grande
> sia quella democrazia che addirittura si vuole esportare....
>
>
> Chi è e come si era integrato al “sistema” di guerra….
> http://www.italian.it/isf/home571.htm

I giornalisti accompagneranno le truppe USA

di Ralph Blumenthal e Jim Rutemberg
traduzione di Nello Margiotta per associazione Peacelink
febbraio 2003

<< Per la prima volta dalla 2° guerra mondiale e su una scala mai
vista prima per l'esercito americano, saranno assegnati al seguito di
unità di combattimento e di supporto, giornalisti che copriranno tutti
gli  attacchi USA in Iraq e li accompagneranno per tutto il
conflitto... Un altro problema sarà come mantenere un segreto militare
con un esercito di  giornalisti ben forniti di strumenti elettronici.
Dice Eason Jordan, direttore esecutivo della CNN. "L'esercito non vorrà
certo  avere una copertura televisiva in diretta di un convoglio di
mezzi che si muova sull'autostrada Bassora- Baghdad e che potrebbe
rivelare agli iracheni  dove questi mezzi si trovino"... Ci saranno
forti restrizioni su qualunque pezzo giornalistico riguardante
operazioni da effettuare od operazioni ritardate o soppresse... L'altra
settimana il Pentagono ha assegnato gli accrediti a giornali, agenzie e
network  televisivi. questa settimana gli organizzatori stanno
registrando i nomi dei corrispondenti selezionati... >>

> Il Manifesto riporta le affermazioni che ha rilasciato a Davos.
> http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/09-Febbraio-2005/
> art134.html

il manifesto - 09 Febbraio 2005

Reporter uccisi da soldati Usa?

La possibilità che dei soldati americani in Iraq abbiano
deliberatamente sparato su giornalisti per ucciderli è stata evocata,
seppur in modo ambiguo e con una immediata marcia indietro, da una
fonte più che autorevole: il direttore della Cnn Eason Jordan, in un
discorso tenuto recentemente al forum economico di Davos. «Sono stato
capito male», ha poi spiegato Jordan, dopo che negli Usa è esplosa la
polemica. Ma secondo chi lo ha ascoltato a Davos, il discorso era
chiarissimo: dei 63 reporter morti in Iraq e considerati cinicamente
«danni collaterali» della guerra americana, almeno 12 sarebbero stati
invece uccisi deliberatamente dai militari. Secondo Barney Frank,
deputato americano presente a Davos, il direttore della Cnn - che negli
anni di Bush si è trasformata nella voce semiufficiale della Casa
bianca - avrebbe sostenuto senza equivoci di essere a conoscenza dei
casi di 12 giornalisti uccisi dai soldati Usa proprio in quanto
reporter.

> La logica conseguenza..
> http://www.rainews24.rai.it/Notizia.asp?NewsID=52289

Usa. Si dimette il direttore della Cnn. Aveva accusato le truppe
americane di prendere di mira i giornalisti

Washington, 12 febbraio 2005

Eason Jordan, direttore news della Cnn, finito nel libro nero del
Pentagono per aver fatto commenti sgraditi sulla morte di alcuni
giornalisti in Iraq, ha deciso di rassegnare le dimissioni.
Il mese scorso, in occasione del World Economc Forum di Davos, Jordan
si lasciò andare ad un commento che mandò su tutte le furie i vertici
delle forze armate americane: disse di pensare che 12 giornalisti che
sono stati uccisi in Iraq dalle forze della Coalizione, fossero stati
presi di mira intenzionalmente.
Nella bufera di polemiche che seguì le sue dichiarazioni, Jordan
rettificò, spiegando che non aveva intenzione di accusare le forze
armate di aver voluto uccidere i 12 giornalisti. Ma le polemiche non
si placarono, soprattutto per la pubblicità data alle sue parole da
commentatori tv e politici conservatori.
Sull'argomento è tornata, l'altro ieri, la portavoce di Cnn Christa
Robinson, secondo la quale Jordan aveva semplicemente tentato di
distinguere tra quei giornalisti che sono stati uccisi a causa di un
fattore esterno, come l'esplosione di una bomba, e quelli che invece
sono stati uccisi perché scambiati erroneamente per nemici.
Nello spiegare le sue dimissioni, Jordan afferma: "Ho deciso di
dimettermi per impedire che la controversia suscitata dai miei commenti
sull'allarmante numero di giornalisti uccisi in Iraq finisse per
danneggiare ingiustamente la Cnn".


(segnalazioni di Enrico, Pistoia)

[ http://komunist.free.fr/arhiva/dec2004/mirkovic.html
Arhiva : : Decembar 2004.
Bronzanom junaku odsecaju glavu

Altri comunicati e collegamenti alla pagina:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4139 ]


Decapitato l'eroe di bronzo


Quello che i feroci ustascia non avevano osato fare nemmeno in sogno
fintantoché era vivo, sono riusciti a farlo i loro rampolli, ai danni
della statua di bronzo di Tito, alcuni giorni fa a Kumrovec – hanno
decapitato la statua!

Durante la Guerra di Liberazione, ed anche negli anni successivi,
costoro si tenevano quanto più lontani possibile da lui, dai partigiani
e dai comunisti, mentre compievano infami azioni contro la popolazione
inerme in Croazia ed in Bosnia- Erzegovina. Le loro più grandi "lotte"
hanno condotto a Jasenovac, dove hanno ucciso più "nemici" che
qualunque esercito regolare nella II Guerra Mondiale! I partigiani nel
1945 non ritenevano che gli ustascia si sarebbero arresi, ma pensavano
che sarebbero andati nel bosco a continuare la loro guerriglia per la
loro "Bella nostra..." ["Bella nostra patria" è l'inno della Croazia
"indipendente", ndt] Invece questi "eroi", quelli sopravvissuti
s’intende, se la sono svignata, oltre la frontiera, con a capo il loro
"valoroso" duce e per "la via dei topi" della Chiesa romano-cattolica
[le famigerate Ratlines, vedi:
https://www.cnj.it/documentazione/ratlines.htm , ndt] sono scappati
oltre l’Atlantico, sotto le gonne di quello Stato che già all’epoca
iniziava a raccattare questa gentaglia per la lotta contro il
comunismo: gli USA.

Per decenni, dalle loro basi americane e da quelle vaticane, hanno
tentato di ammazzare, bruciare e distruggere tutto quello che nel mondo
sa di jugoslavo, e in verità raramente nel nostro Paese [vedi ad
esempio la cronologia degli attentati in Australia:
https://www.cnj.it/documentazione/ustascia.htm ].

Tito dette loro la caccia in tutto il mondo. Alcuni sono stati
acciuffati, molti che hanno tentato di infiltrarsi nel Paese per
continuare ad uccidere e mettere a ferro e fuoco il nostro paese, hanno
finito la loro vita da criminali sotto le pallottole della Polizia e
dell’Esercito Popolare Jugoslavo (JNA). Hanno tenuto per tutto quel
tempo i loro collaborazionisti nel nostro paese, perché il nazionalismo
croato, radicato da secoli, si sradicava con difficoltà.

Il loro forte sostegno veniva dagli USA e dal Vaticano, paesi guida
dell’anticomunismo nel mondo. Il tentativo di appropriarsi del potere
in Croazia, durante "la primavera croata" nel 1970, fu duramente
bloccato da Tito, dalla Lega dei Comunisti Jugoslavi e dall’JNA. I loro
leader sono stati processati e condannati [di solito a qualche anno di
patrie galere, ndt].

Però, costoro non hanno perso tempo, subito nel 1991, e di questo
possono ringraziare la debolezza del governo traditore e della LCJ.

Gli ustascia sopravvissuti e i loro rampolli sarebbero ritornati a
bordo di aerei ultrasonici militari in Croazia. L’HDZ [il Partito
secessionista di estrema destra di Tudjman e dell'attuale premier
croato, ndt] e lo stesso Tudjman hanno resuscitato il cosiddetto Stato
Indipendente Croato [del 1941 – 1945], eccetto il lager di Jasenovac. E
tuttavia i serbi ed i comunisti sono dovuti ugualmente scappare dalla
Croazia. Invece di Jasenovac c'è stata l'operazione "Lampo" e la
"Tempesta", "eroiche" battaglie nelle quali non è stato sparata neanche
una pallottola ne' dall’Esercito croato ne' da quello della R. Serba di
Krajina: i cetnici [nazionalisti serbi, ndt] fuggivano all’impazzata,
mentre gli ustascia "frenavano" la loro fuga per non raggiungerli!
Perché la cosa non finisse senza spargimento di sangue, fiamme e fuoco,
gli ustascia ammazzavano tutti i serbi rimasti, in prevalenza persone
anziane che non volevano abbandonare le loro case bruciandole poi.
Altrimenti, che guerra patriottica sarebbe stata, senza aver ucciso
nemmeno un nemico?

Giacché non sono rimasti partigiani e comunisti vivi per contrastarli,
gli ustascia si sono scagliati contro i monumenti ai caduti. Nella
"guerra patriottica" [in Croazia] sono stati devastati circa 3.000
monumenti ai caduti nella Guerra di Liberazione. Ora all’ordine del
giorno si è arrivati al monumento di Tito. Ciò dimostra che il governo
in Croazia si è soltanto verbalmente dissociato dalla politica
ustascioide dell’HDZ, mentre di fatto la sta coerentemente applicando.
Questa è una politica anticomunista e antisocialista.
Perciò, le dichiarazioni ufficiali dei leader politici e del governo,
con le quali si condanna questo atto "vandalico" a Kumrovec, vanno
intese solo come operazioni di marketing politico pre-elettorale,
perché si sa che la maggior parte dei cittadini croati tuttora
sinceramente stima e rispetta Tito e la sua opera.

La consapevolezza che Tito sia uno dei più grandi statisti, non
soltanto croato ma anche di tutti i popoli jugoslavi, non si può
distruggere minandone il monumento. È passato quasi un quarto di secolo
dalla sua morte, ma lui ancora eccita e motiva la maggior parte degli
ex cittadini jugoslavi, che pensano con nostalgia e orgoglio a lui ed
al bel tempo vissuto in pace. Questa non è più soltanto nostalgia. Si
ricomincia ad "andare coi partigiani". In tutte le ex repubbliche
jugoslave stanno spuntando organizzazioni che portano questo grande
nome – Tito.
La gente comincia a comprendere che in esse militano molte di più
persone che non tra gli ustascia, i cetnici, i bielogardisti, i
balisti, ed altri fascisti.
Ma soprattutto, queste persone son ben di più di quella minoranza di
ladri e saccheggiatori dei loro propri beni collettivi.

Queste persone non sono guidate soltanto dall’antifascismo ma anche
delle idee socialiste, che in gran parte furono realizzate nella ex
Jugoslavia socialista. La privatizzazione senza scrupoli, che priva dei
fondamentali diritti umani – il diritto al lavoro e all’ autogestione -
influisce sulla consapevolezza che è necessaria una lotta organizzata
contro i due mali peggiori attualmente esistenti sul territorio dell’
ex RSF di Jugoslavia: il capitalismo ed il nazionalismo.

Perciò dobbiamo aspettarci che di fronte a tutto questo, le forze
nazionaliste e capitaliste in Croazia, come anche nelle altre ex
repubbliche jugoslave, risponderanno come gli ustascia hanno fatto a
Kumrovec. Però, personalmente ritengo che l’evento di Kumrovec aumenti
il numero dei titoisti e rinforzi in loro la consapevolezza che si
doveva esser più determinati e più risoluti nella lotta, dal 1980 in
poi, per "Tito anche dopo Tito!"

Stevan Mirkovic, Direttore Centro Tito, Belgrado, Obilicev venac 4/V

(traduzione a cura di Ivan per il CNJ)

KOSMET (italiano / francais)


1. LINK in italiano

2. Un articolo de "Il Corriere di Firenze" sulla conferenza stampa del
CNJ (9/2/2005):
L'appello del coordinamento per la Jugoslavia al Comune e alla Regione.
"Si dia voce ai bambini del Kossovo"

3. BREVI

4. Due articoli che cercano goffamente di minimizzare il problema del
separatismo etnico e del revanscismo pan-albanese:

- Kosovo: nazionalismo estremo (Alma Lama / Oss. Balcani)

- La “Grande Albania” e l’aspirazione dei nazionalisti (Indrit Maraku /
Oss. Balcani)

5. Lettera dal Kosovo: calma prima della tempesta? (Mauro Barisone /
Oss. Balcani)


6. « Le Kosovo doit être indépendant »
(Réseau Voltaire, 11 février 2005 / Source : Der Tagesspiegel)


=== 1 ===

LINK

Kosovo 2005: Viaggio - reportage nell’Apartheid in Europa - (Prima
parte) di Vigna E.

...quell’anziano, il cui figlio era venuto in Italia in cerca di lavoro
ed ora è in regola con i documenti, l’ha invitato prima che muoia, a
rivedersi in Italia dopo 5 anni, ma lui non può andare perché è un
cittadino... che non esiste più: infatti dovrebbe avere il timbro dal
consolato italiano di Pristina... ma lui non può uscire dall’enclave e
andare a Pristina, perché essendo serbo lo possono ammazzare...

http://www.resistenze.org/sito/te/po/se/pose5b08.htm

Serbi del Kossovo: timori d’inizio anno

17.01.2005 [Biserka Ivanović] La comunità serba del Kossovo non inizia
l'anno tra i migliori auspici. Con il ricordo agli scontri di marzo
sono in molti a temere che anche il 2005 venga segnato dalla violenza.
Una paura su tutte: che l'eventuale estradizione del Primo ministro
[SIC] Ramush Haradinaj all'Aja sia la scintilla che faccia scoppiare il
tutto....

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3781/1/150/

Kosovo: indipendenza nel 2006?

27.01.2005 scrive Davide Sighele - Secondo l'Internationl Crisis
Group occorre arrivare all'indipendenza del Kosovo per la metà del
2006. Costi quel che costi. Altrimenti si rischiano nei prossimi mesi
nuove violenze. Ma si può prevedere un futuro della regione senza
includere nelle decisioni Belgrado e soprattutto non restando nel
quadro delle Nazioni Unite e prescindendo dalla prospettiva europea dei
Balcani? Un commento di Osservatorio sui Balcani.

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3846/1/51/

Soeren Jessen-Petersen, avanti tutta

5.01.2005 [Biserka Ivanović] E' il quinto Rappresentante di Kofi
Annan chiamato ad amministrare il Kossovo. Biserka Ivanovic, nostra
collaboratrice da Pristina, ci fornisce un quadro dei suoi primi 5 mesi
in Kosovo. Nonostante i fallimenti nel convincere i serbi a votare alle
ultime elezioni un primo risultato lo ha già raggiunto: ha ritrovato la
fiducia dei kossovari. »

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3831/1/45/

Kosovo euroregione, intervista con Dusan Janjic
09.02.2005 Da Belgrado, scrive Danijela Nenadić
Il 2005 dovrebbe essere l’anno decisivo per il Kosovo, l’anno in cui
sono previsti i colloqui sulla definizione dello status della
provincia. Fino ad ora è stato difficile trovare un’intesa tra i vari
interessi in gioco. Ciononostante gruppi indipendenti stanno mettendo a
punto nuove soluzioni, una di queste è il Kosovo come euroregione [SIC
- possibilmente transfrontaliera insieme al resto della Grande
Albania... ndCNJ]

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3879/1/51/


=== 2 ===

Di seguito un articolo comparso su "Il Corriere di Firenze" del 9
febbraio 2005 sulla conferenza stampa tenutasi il giorno prima:


L'appello del coordinamento per la Jugoslavia al Comune e alla Regione

"Si dia voce ai bambini del Kossovo"

di Francesca Zatini

FIRENZE - "Molti dei nomadi sono rifugiati dell'ex Jugoslavia che là
avevano una casa e un lavoro e ora hanno bisogno di aiuto, di qualcuno
che porti alta la propria voce, che denunci le vessazioni a cui sono
stati costretti, renda loro identità e dignità".

Paola Cecchi, responsabile del coordinamento nazionale per la
Jugoslavia tenta di rompere il pregiudizio su coloro che vivono nei
campi, ora "villaggi" nomadi, per aprire gli occhi alla politica e ai
cittadini. Ci prova: ribadisce che tutti i nomadi non sono nomadi, che
molti sono solo costretti lì dall'inciviltà e dalla barbarie, chiama in
causa il Comune di Firenze e la Regione Toscana.

Chiede che il Comune riporti all'Onu la voce dei tanti bambini che in
Kossovo non possono più andare a scuola per il rischio di essere
uccisi. Chiede una delegazione ufficiale per andare in Kossovo a
constatare l'effettiva "pulizia etnica" in corso dal 1999 che ha
costretto tanti anche a Firenze.

"Non tutti i nomadi sono nomadi - tuona Paola Cecchi in una conferenza
stampa poco prima di partire per un'altra missione in Turchia - già nel
1993 al Poderaccio vivevano quasi tutti ex Jugoslavi: venite a vedere
cosa sta succedendo a quel popolo, a quelle città, la pulizia etnica,
l'azzeramento della libertà e della dignità delle persone - dice al
Comune e alla Regione Toscana - comprendiamo che si tratta di
un'emergenza ancora in corso, che la pulizia etnica è reale e che la
conseguenza è visibile anche al Poderaccio dove tuttora vivono molti
kossovari, rom-ascali, macedoni, bosniaci, serbi, albanesi: non nomadi,
ma persone che in Yugoslavia avevano casa e lavoro". E che provano con
tante difficoltà a ricostruirsi una vita "piantare le radici del
proprio albero qui, per fare i propri frutti" come ha raccontato Adem
Beyzak, portavoce dell'associazione Amici dei Rom che in Kossovo ha
lasciato un lavoro da camionista, una casa in macerie, una comunità.
"Mezzo Kossovo si è trasferito a Firenze: là le K force e il
battaglione Uck hanno distrutto tutto" racconta Andrea Catone che ha
visto con i suoi occhi la situazione dell'ex Yugoslavia l'anno scorso
in un viaggio verità che con immagini angoscianti ed interviste. C'è
già un libro: scritto da Uberto Tommasi e Mariella Cataldo, con la
prefazione di Catone, sarà presentato al Cpa di Firenze il prossimo 24
febbraio.


=== 3 ===

SERBIA: CRIMINI GUERRA, CORTE SUPREMA CANCELLA CONDANNA

(ANSA-AFP) - BELGRADO, 12 GEN - La Corte suprema della Serbia ha
cancellato la condanna a 20 anni di prigione inflitta da un tribunale
di Belgrado nel marzo scorso a un poliziotto serbo, riconosciuto
colpevole di crimini di guerra contro la popolazione albanese del
Kosovo. Lo ha fatto sapere la radio B92. Sasa Cvjetan era nel 1999,
quando scoppio' la guerra in Kosovo, membro di una forza speciale della
polizia serba denominata gli scorpioni. E' accuato di aver partecipato
all'uccisione di 19 albenesi, tra cui donne e bambini a Podujevo. Per i
giudici Cvjetan - il primo poliziotto serbo ad essere giudicato per le
violenze nel Kosovo - deve essere nuovamente giudicato. Secondo
l'avvocato del poliziotto al processo di primo grado sono state
commesse troppe irregolarita', dalle false testimonianze e una
ricostruzione lacunosa dei fatti. (ANSA-AFp) TF
12/01/2005 23:38

SERBIA: CORTE SUPREMA ANNULLA SENTENZA SU STRAGE PODUJEVO

(ANSA) - BELGRADO, 13 GEN - La Corte suprema serba ha annullato una
sentenza emessa dal tribunale di Belgrado contro Sasa Cvjetan, ex
membro dell'unita' antiterrorismo degli 'Scorpioni' ritenuta
responsabile, nel marzo del 1999 a Podujevo (Kosovo), del massacro di
14 civili, tutti donne e bambini. Cvjetan era stato condannato a
vent'anni di reclusione, la massima pena applicata in Serbia: nel
motivare la sentenza, il giudice Biljana Sinanovic aveva definito ''un
crimine mostruoso'' la strage. Il rigore dei magistrati era stato
giudicato un segnale incoraggiante sulla capacita' di Belgrado di fare
i conti giudiziari con il proprio passato bellico. La decisione della
Corte suprema segue il ricorso presentato il 22 dicembre scorso dal
difensore di Cvjetan, Djordje Kalanj, che aveva denunciato presunti
abusi e irregolarita' nel corso sia dell'inchiesta che del processo. Le
motivazioni non sono state ancora rese note, ma la cancellazione della
sentenza e' destinata a rinfocolare polemiche ormai annose sulla reale
profondita' del taglio con il passato nazionalistico del regime di
Slobodan Milosevic. Belgrado e' da tempo nel mirino del Tribunale
penale internazionale, che accusa il governo del premier Vojislav
Kostunica di scarsa collaborazione, se non di aperto ostruzionismo.
Restano a piede libero in Serbia quattro ex generali di esercito e
polizia dei quali i magistrati dell'Aja hanno da tempo chiesto
l'estradizione, e il procuratore Carla Del Ponte rimane convinta che
latitanti di punta come l'ex capo militare dei serbi di Bosnia Ratko
Mladic godano in Serbia di rifugio e protezioni eccellenti.(ANSA). OT
13/01/2005 15:18

KOSOVO: PROCURA SERBA INCRIMINA ALBANESE PER CRIMINI GUERRA

(ANSA) - BELGRADO, 18 GEN - La procura speciale serba per i crimini di
guerra ha incriminato un albanese kosovaro ex membro dell'Uck
(l'esercito di liberazione del Kosovo attivo durante il conflitto degli
anni 1998/'99) per l'uccisione di civili serbi a Djakovica (Kosovo
meridionale) nel 1999. Lo riferisce l'agenzia Beta. L'accusato, Anton
'Pindjo' Lekaj, faceva parte secondo la procura di un gruppo che aveva
sequestrato 11 civili serbi, li aveva portati in un hotel e li aveva
per alcuni giorni torturati ''con particolare ferocia'', prima di
ucciderne quattro. Stando alla procura, Lekaj era un componente del
commando 'Cipat', struttura guidata dall'allora capo dell'Uck per la
zona di Dukadjini e attuale primo ministro kosovaro Ramus Haradinaj.
L'incriminazione odierna e' la prima della procura speciale - istituita
nel 2003 - contro un albanese kosovaro. (ANSA). OT
18/01/2005 13:59

KOSOVO: CARABINIERI SEQUESTRANO 20.000 STECCHE SIGARETTE

(ANSA) - ROMA, 18 GEN - Quasi ventimila stecche di sigarette di
contrabbando del valore approssimativo di 200.000 euro sono state
sequestrate dai carabinieri di Pec, inseriti nel contingente italiano
dell'esercito in Kosovo. Insieme alle sigarette, occultate in due
autocisterne e in un magazzino, un commerciante kosovaro di trent'anni
deteneva illegalmente candelotti esplosivi, una pistola, munizioni di
vario calibro, armi da taglio, apparati ricetrasmittenti e targhe
automobilistiche di varie nazionalita': il tutto e' stato sequestrato e
consegnato dai carabinieri alla polizia locale supportata dalla
missione di assistenza dell'Onu. Dalle prime valutazioni sul materiale
contabile sequestrato al commerciante, il personale della missione Onu
ritiene che si potra' risalire ad altri personaggi coinvolti
nell'attivita' di contrabbando tra Kosovo, Albania e Montenegro.(ANSA).
BBB-NE
18/01/2005 18:30

ANNO GIUDIZIARIO: PG BARI, ALBANESI ACQUISTANO ARMI IN ITALIA

(ANSA) - BARI, 14 GEN - Prima era la criminalita' albanese, forte dei
saccheggi compiuti nel 1997, a vendere armi alla mafia pugliese. Ora,
invece, si registra il fenomeno opposto dato che quelle armi sono
diventate obsolete: e' la mafia albanese che acquista armi in Italia
e le porta in Patria. Lo scrive il procuratore generale di Bari,
Riccardo Dibitonto, nella relazione che terra' domani all'
inaugurazione dell' anno giudiziario nel distretto della Corte d'
appello di Bari sottolineando che ''le indagini condotte hanno fatto
registrare una costante attivita' di acquisto in Italia di armi,
dirette in Albania''. Per il pg, ''merita attenzione'' il fenomeno
del traffico di armi ('' di pistole e mitragliette'') sul quale -
scrive - sono in corso indagini per risalire ai canali di
approvvigionamento ''a seguito di recenti rinvenimenti di molteplici
armi con segni matricolari alterati''. ''L' ampia disponibilita' di
armi da parte della criminalita' organizzata locale - continua
Dibitonto - emerge dai seguenti indicatori: elevato numero di
sparatorie con armi balisticamente riscontrate come differenti;
elevato numero di sequestri, anche quantitativamente importanti,
senza correlativo calo di virulenza negli scontri interni alla
malavita locale; risultanze investigative sullo specifico
argomento''. (ANSA). BU
14/01/2005 12:53

KOSOVO: ANCORA 3MILA I DISPERSI, APPELLO CICR E ONU A DIALOGO

(ANSA) - GINEVRA, 14 GEN - A cinque anni dalla fine del conflitto del
Kosovo, la sorte di ben 3mila dispersi resta ignota, hanno deplorato
oggi a Ginevra l'Onu e la Croce rossa internazionale. Al termine di un
incontro presso la sede dell'organizzazione umanitaria, il presidente
del Cicr (Comitato internazionale della Croce rossa) Jakob Kellenberger
ed il reppresentante dell'Onu in Kosovo Soren Jessen-Petersen hanno
quindi lanciato un appello alla ripresa del dialogo diretto tra
Belgrado e Pristina sulla questione dispersi. Il Cicr e' pronto a
favorire tale ripresa ed ad assumere la presidenza di un gruppo di
lavoro sulla sorte dei dispersi, ha detto Kellenberger. Sulla
questione, anche l'Unmik (l'amministrazione dell'Onu in Kosvo) e'
pronta ad agire con l'appoggio della comunita' internazionale, ha
affermato Jessen- Petersen. La dolorosa questione e' in primo luogo
''umanitaria. Le famiglie dei dispersi soffrono da troppo tempo'', ha
detto Jessen-Petersen. Ulteriori rinvii nelle ricerche aggraverebbero
solo la sofferenza dei familiari che hanno il diritto di sapere cosa e'
successo ai loro cari. Un apposito gruppo di lavoro e' gia' stato
creato e riunisce autorita' serbe e del Kosovo. Ma dalla sua creazione
nel marzo 2004 si e' riunito una sola volta. Una ripresa del dialogo
diretto tra Pristina e Belgrado accelererebbe il processo per la
restituzione delle spoglie e la ricerca di notizie, ha sottolineato il
Cicr. (ANSA). XBV
14/01/2005 17:35

KOSOVO: CAPO UNMIK A BELGRADO, CHIEDE NEGOZIATI SU DISPERSI

(ANSA) - BELGRADO, 17 GEN - Il capo dell'amministrazione dell'Onu per
il Kosovo (Unmik) Soren Jessen Petersen ha incontrato oggi a Belgrado
il presidente serbo Boris Tadic e il primo ministro Vojislav Kostunica
per fare il punto sulla situazione nella provincia e chiedere una data
per l'avvio di negoziati sui dispersi. Le autorita' serbe da canto loro
hanno chiesto a Jessen Petersen le dimissioni del capo dell'ente
kosovaro per l'energia elettrica John Ashley, che nelle settimane
scorse aveva ordinato di interrompere per morosita' i rifornimenti di
energia elettrica ad alcune enclavi serbe del nord. Da oltre un mese, i
villaggi di Lipljan e Batuse sono senza corrente, nonostante le rigide
temperature invernali. Tadic ha definito la situazione ''un raffinato
metodo di pulizia etnica: i serbi sono costretti dal freddo a chiedere
rifugio oltre il confine amministrativo''. Jessen Petersen ha chiesto
di ''non politicizzare'' il problema e ha promesso un interessamento.
Il capo dell'Unmik nei colloqui ha insistito sulla partecipazione serba
ai progetti di decentralizzazione in corso e ha chiesto a Kostunica di
fissare una data per l'avvio di negoziati sui dispersi: e' di questi
giorni la notizia di un rapporto dell'organizzazione non governativa
'Centro umanitario per la legge' che afferma come corpi di albanesi
kosovari vennero distrutti nelle fornaci della fabbrica di Mackatica, a
Surdulica (Serbia del sud).(ANSA). OT
17/01/2005 17:36

KOSOVO: PROCURA SERBA INCRIMINA ALBANESE PER CRIMINI GUERRA

(ANSA) - BELGRADO, 18 GEN - La procura speciale serba per i crimini di
guerra ha incriminato un albanese kosovaro ex membro dell'Uck
(l'esercito di liberazione del Kosovo attivo durante il conflitto degli
anni 1998/'99) per l'uccisione di civili serbi a Djakovica (Kosovo
meridionale) nel 1999. Lo riferisce l'agenzia Beta. L'accusato, Anton
'Pindjo' Lekaj, faceva parte secondo la procura di un gruppo che aveva
sequestrato 11 civili serbi, li aveva portati in un hotel e li aveva
per alcuni giorni torturati ''con particolare ferocia'', prima di
ucciderne quattro. Stando alla procura, Lekaj era un componente del
commando 'Cipat', struttura guidata dall'allora capo dell'Uck per la
zona di Dukadjini e attuale primo ministro kosovaro Ramus Haradinaj.
L'incriminazione odierna e' la prima della procura speciale - istituita
nel 2003 - contro un albanese kosovaro. (ANSA). OT
18/01/2005 13:59

KOSOVO: CAMBIO COMANDO TASK FORCE ERCOLE AVIAZIONE ESERCITO

(ANSA) - ROMA, 18 GEN - Si e' svolta oggi all' aeroporto di Djakovica
(Kosovo) la cerimonia del cambio di comandante della task force
'Ercole' tra il colonnello Antonino Giunta - cedente - ed il colonnello
Resbo Beritognolo, subentrante. Erano presenti il comandante della
Brigata Multinazionale Sud-Ovest (Mnbsw), generale Richard Rossmanith
ed il vice comandante della Brigata e comandante del contingente
italiano, colonnello Alberto Zuccaro. Il colonnello Giunta, dopo aver
comandato la task orce Ercole per oltre sei mesi, torna al 5/o
Reggimento dell' Aviazione dell' Esercito 'Rigel', con sede a Casarsa
(Pn). Il colonnello Bertignolo, anche lui pilota di elicotteri
proveniente dal 5/o 'Rigel' di Casarsa, ha alle spalle una
considerevole esperienza in operazioni fuori area. Ha infatti gia'
operato in Namibia, Somalia, Libano e Kosovo. I militari della task
force 'Ercole', assieme ai colleghi tedeschi, austriaci e svizzeri
della task force 'Mercury', forniscono con i loro elicotteri l'
indispensabile trasporto aereo tattico alla componente terrestre della
Brigata Multinazionale Sud-Ovest, permettendo tempestivi spostamenti di
materiali e uomini in tutta l' estesa area di responsabilita'. (ANSA).
NE
18/01/2005 17:30

KOSOVO: SPARATORIA TRA CIVILI E POLIZIA A OBILIC, UN MORTO

(ANSA-AFP) - PRISTINA, 26 GEN - Un uomo e' stato ucciso e due membri
della polizia del Kosovo sono rimasti feriti oggi in una sparatoria
innescata da un gruppo di civili nel corso di un ''normale controllo di
polizia'' a Obilic, vicino a Pristina, capoluogo della provincia
autonoma serba sotto amministrazione Onu dal 1999. Secondo il portavoce
della polizia locale Refki Morina, uno degli assalitori e' morto in
ospedale per le ferite riportate, mentre i poliziotti feriti non sono
in pericolo di vita. Dopo lo scontro a fuoco, gli altri assalitori sono
fuggiti. L'ordine nel Kososo, popolato per il 90% da abitanti di etnia
albanese, e' mantenuto da circa 5.000 uomini della polizia locale e
altrettanti della polizia internazionale. (ANSA-AFP). DIG
26/01/2005 23:04

PANTANO IRAQ:
STORIE DI ELICOTTERI ITALIANI

Proprio nei giorni in cui una sciocca polemica affronta la sfortunata
vicenda della morte del maresciallo Simone Cola (AB 412 o Mangusta il
problema non sono gli elicotteri da usare, ma la protezione fisica
degli uomini a bordo), torna alla ribalta il caso dei due elicotteristi
italiani morti in un'altra missione militare, quella del Kosovo.
Secondo il PM di Roma Maria Bice Barborini, fu l'inadeguato
addestramento a provocare la morte, nell'agosto del 2001, dei caporali
maggiori del Reggimento Alpini Susa in Pinerolo Giuseppe Fioretti, di
Tuscania (Viterbo) e Dino Paolo Nigro, della provincia di Cosenza,
precipitati da un elicottero della marina militare durante una missione
in Kosovo, dopo avere creduto di essere fermi in un volo stazionario e
non ad un'altezza di circa 50 metri.
Con questa accusa, il ten. Dino Mora, vicecomandante della 35/a
compagnia del terzo Reggimento alpini e il cap. Stefano De Rosa,
facente funzione di capo cellula operazioni-addestramento, rischiano di
finire sotto processo a Roma per omicidio colposo plurimo.
L'incidente avvenne il 9 agosto 2001 a Passo di Morines, in Kosovo,
durante un'operazione addestrativa notturna compiuta a bordo di un
elicottero SH3D della Marina Militare. I due alpini si lanciarono nel
vuoto mentre l' elicottero era circa a 50 metri di altezza.
Secondo l' accusa, il ten. Mora non si sarebbe curato che il personale
della squadra di alpini che partecipò a quella missione, avesse
effettuato il previsto e preventivo addestramento sull'elicottero SH-3D
usato e non avrebbe quindi addestrato adeguatamente il personale in
relazione a una missione ritenuta di difficoltà elevato.
Il cap. De Rosa, per l'accusa, avrebbe preso autonomamente l'iniziativa
di dare informazioni non riferite a quel tipo di missione.
Queste condotte avrebbero ingenerato nei due militari che morirono
l'errata convinzione di essere fermi e a distanza ravvicinata dal
terreno e a balzare fuori dal portellone dell'elicottero mentre lo
stesso era in volo.

(Fonte: NEWSLETTER DI MISTERI D'ITALIA n.96
Anno 5 - n. 96 28 GENNAIO 2005
http://www.misteriditalia.com/newsletter/96/numero96.html )

KOSOVO: MAGGIORANZA DEI SERBI PER DIVISIONE PROVINCIA

(ANSA) - BELGRADO, 27 GEN - La maggioranza dei Serbi e Montenegrini e'
in favore di una divisione del Kosovo, secondo un sondaggio realizzato
dall'istituto per le scienze sociali a Belgrado - riferisce l'agenzia
Beta. Secondo questo sondaggio il 57% dei Serbi e il 39% dei
Montenegrini sono in favore di una divisione del Kosovo. Il 19% dei
Serbi e il 22% dei Montenegrini sono contrari ad una divisione della
provincia a maggioranza albanese amministrata dall'Onu dal giugno 1999.
Il sondaggio e' stato realizzato nel dicembre scorso su un campione di
3.041 cittadini. D'altra parte quasi la meta' dei Serbi e Montenegrini
interpellati pensa che il Kosovo e' ''gia' perduto'' e che la provincia
otterra' l'indipendenza. Gli Albanesi del Kosovo, 90% dei due milioni i
abitanti della provincia, chiedono l'indipendenza e vigorosamente si
oppongono all'autorita' di Belgrado. (ANSA). COR
27/01/2005 14:15

KOSOVO: UNMIK AFFIDA AD ALBANESI GESTIONE DUE CARCERI

(ANSA) - PRISTINA, 1 FEB - La missione delle Nazioni Unite in Kosovo
(Unmik) ha affidato da oggi alle locali autorita' albanesi la gestione
e l'amministrazione degli istituti carcerari di Pec e Prizren, a ovest
e a sud della provincia: lo rende noto un comunicato diffuso a
Pristina. Finora l'intera struttura carceraria era sotto il controllo
dell'autorita' internazionale. Il passaggio delle consegne, affermano
fonti dell'Unmik, segna un ulteriore passo verso il definitivo
trasferimento di competenze anche nel campo dell'attivita' giudiziaria
e di polizia, che oggi continua ad essere nelle mani di potere locale e
amministrazione Onu.(ANSA). BLL
01/02/2005 17:53

KOSOVO: BOMBA CONTRO AUTO LEADER SERBO MODERATO

(ANSA-REUTERS) - MITROVICA, 9 FEB - Una bomba e' esplosa sotto l'auto
di un leader serbo moderato del Kosovo, Oliver Ivanovic, a Mitrovica,
nel nord della provincia serba, popolata in maggioranza da albanesi e
amministrata dall'Onu. Lo ha reso noto la polizia delle Nazioni Unite,
precisando che nessuno e' rimasto ferito. L'esplosione e' avvenuta
ieri. La vettura era parcheggiata davanti all'abitazione di Ivanovic.
Nell'otobre scorso Ivanovic aveva sfidato il governo di Belgrado
partecipando alle contestate elezioni per il Parlamento del Kosovo,
anche se il suo partito aveva rifiutato i seggi assegnatigli dopo che
gli elettori serbi avevano disertato i seggi. Ivanovic e' considerato
un traditore dai 'falchi' serbi, che chiedono il boicottaggio totale
delle istituzioni provvisorie del Kosovo, che a loro avviso
porterebbero la provincia all' indipendenza. Mitrovica e' una citta'
divisa in due, secondo etnie, che ha visto violenti scontri tra serbi
(maggioritari nel Paese ma non in Kosovo) e albanesi. (ANSA-REUTERS).
DIG
09/02/2005 03:50


=== 4 ===

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3795/1/45/

Kosovo: nazionalismo estremo

25.01.2005 scrive Alma Lama

Mentre nel resto dei Balcani si assiste ad una certa rinascita di una
destra estrema in Kosovo questo non avviene. Il panorama politico,
fortemente condizionato dal nazionalismo, non rientra nelle
tradizionali categorie destra-sinistra [SIC]. Nessun movimento politico
si rifà a fascismo e nazismo se non per ricordare, a volte, gli "anni
d'oro" dell'occupazione tedesca durante la II guerra mondiale [SIC]
quando il Kosovo venne ricongiunto all'Albania. [SIC]


Rexhep Abdullahu è un uomo pieno di energia e vitalità. Da tanti anni è
a capo del Partito nazionale democratico albanese del Kosovo, che pur
essendo uno dei partiti più vecchi della regione non ha grande
influenza tra gli elettori.

I rappresentanti di questo partito, che non siedono in Parlamento
perché alle recenti elezioni non hanno guadagnato nemmeno un seggio, si
sentono rappresentanti della destra, ma "non assolutamente della destra
estrema".

Abdullahu non accetta di identificarsi con questa nuova categoria che
recentemente sembra essere esplosa in tutto il resto dei Balcani.
Ciononostante in Abddullahu emerge una certa nostalgia di quando il
Kossovo era occupato dai nazisti durante la seconda guerra mondiale.
[SIC] La ragione? Perché in quell'occasione l'esercito tedesco aveva
gettato via i serbi e riunito il Kosovo all'Albania. La gente in Kosovo
definisce spesso i quattro anni di occupazione come "periodo d'oro"
durante i quali i nazisti, sotto lo slogan della razza ariana avevano
dato agli albanesi, a sfavore della comunità serba, una bandiera, una
lingua ufficiale ed un'educazione. Una cosa molto simile era accaduta
in Ucraina rispetto alla Russia.

"Però con la filosofia nazista e con i crimini commessi in quel periodo
non vogliamo avre nulla a che fare", afferma Abdullahu. In effetti è
molto difficile collegare specifiche attività del suo partito con
l'ideologia che caratterizza i movimenti di estrema destra nel resto
dei Balcani ed in Europa.

In Kosovo la situazione differisce infatti dalla gran parte dei Paesi
della regione. L‘estremismo dei movimenti che lavorano più nel
sottobosco politico che non alla luce del sole sono legati soprattutto
a questioni etniche. Impossibile sentir parlare di ammiratori del
fascismo o del nazismo. "In Kossovo esiste un nazionalismo estremo ma
non una destra estrema" [SIC] ricorda Halil Matoshi, pubblicista del
quotidiano "Lajmi". Secondo quest'ultimo la suddivisione tradizionale
del mondo politico in destra-sinistra non esiste in Kosovo, dove non
esiste neppure il concetto di centro. [SIC]

La mancanza di chiari programmi politici e di posizioni politiche è
infatti una tra le caratteristiche principali del panorama politico
kossovaro. Una caratteristica che Albin Kurti, attivista del Kosova
Action Network, non esita a definire "caos".

Secondo Kurti infatti nessun partito politico avrebbe una posizione
ideologica chiara. "Nelle occasioni migliori ci sono singoli individui
che mantengono posizioni chiare. Ma questo non avviene a livello
partitico". L'unica cosa che secondo Kurti accomuna i partiti kosovari
a quelli europei sono i loro nomi, che richiamano a posizioni di
sinistra, destra o centro.

Secondo Guido Franzinetti, professore dell'Università degli studi del
Piemonte orientale, e che dal settembre scorso sta tenendo lezioni
presso l'Università di Pristina sul tema del nazionalismo la destra
estrema non esisterebbe in Kossovo. "E sussistono poche chance che si
crei anche nel lungo periodo perché la situazione in Kosovo è diversa
da altri luoghi. Il Kosovo è una colonia senza grandi alternative ed è
chiaro che i vari partiti politici non sono interessati a creare una
vera e propria riflessione e speculazione sulla questione
destra-sinistra" aggiunge il professore.

"Questo non significa però che i partiti qui da noi non si comportino
né come la destra né come la sinistra" aggiunge Kurti "di fatto ciascun
partito, nelle varie situazioni, segue i propri meschini interessi.
Ciascuno di essi è legato a vari gruppi d'interesse, formali od
informali".

Secondo Kurti questa scarsa definizione della linea politica dei
partiti avrebbe ragioni nelle caratteristiche generali del Kosovo. "In
Kosovo non abbiamo un vero e proprio Stato, e neppure la democrazia è
una vera democrazia", afferma.

"La destra estrema solitamente lotta qualsiasi forma di integrazione di
altre culture, combatte gli stranieri avendo forti accenti xenofobi,
s'oppone alle altre religioni" afferma Matoshi "ma non sono sicuro si
possa fare un parallelismo con il nazionalismo estremo. Quest'ultimo
senza dubbio sopravvaluta i propri diritti negando o sminuendo quelli
degli altri. Ma non è contro ogni forma di integrazione".

"Nei fatti gli stranieri in Kosovo sono benvoluti e rispettati ed hanno
raramente problemi. In altri Paesi europei non accade invece
altrettanto".

E' comunque evidente che i partiti dello spettro politico kosovaro non
si richiamano comunque alla destra estrema. Almeno a parole e nei loro
comportamenti pubblici tutti sono a favore persino dell'integrazione e
la convivenza con la comunità serba. [SIC. UNA PERLA DI ARTICOLO, CHE
NON MERITA COMMENTO. ndCNJ]

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http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3861/1/51/

La “Grande Albania” e l’aspirazione dei nazionalisti

02.02.2005 scrive Indrit Maraku
Il nazionalismo albanese si differenzia da quello del resto dei
Balcani, se quello croato è stato confezionato a Zagabria e quello
serbo a Belgrado, il nazionalismo albanese non viene alimentato da
Tirana, ma dalle sue periferie o dalla diaspora, dove si coltiva il
sogno di una "Grande Albania"


Nel panorama politico albanese esistono più di 50 partiti, ma trovarne
uno di estrema destra è molto difficile. L'unico riconosciuto come tale
è il "Partito della rinascita nazionale", ma non trova nessun sostegno
nella popolazione. Le minoranze etniche – greca, macedone, bulgara e
rom – sono regolarmente riconosciute, non hanno problemi con la
maggioranza [SIC] e generalmente sono ben integrate nella società.
[SIC] Neanche di antisemitismo si è mai sentito parlare. [SIC]
L'Albania, per altro ha buoni rapporti diplomatici con Israele.
Nonostante il Paese delle aquile faccia parte dell'Organizzazione della
conferenza islamica fin dal 1994, una scelta dell'ex Presidente Berisha
fortemente criticata dalla maggioranza dell'opinione pubblica che si
sente europea.

Alla classe politica, però, non manca una componente nazionalista: il
"Fronte per l'unificazione nazionale" (Fbksh) unisce 4-5 piccoli
partiti con l'obiettivo comune di unificare i territori abitati dagli
albanesi nei Balcani. Il suo leader è Idajet Beqiri, arrestato nel 2003
per "incitamento all'odio etnico" nella vicina Macedonia. Ma la
cosiddetta "Grande Albania" trova più sostegno fuori che dentro la
madre Patria.

Protagonista di liste nere

I partiti aderenti al Fbksh insieme riescono ad avere a malapena il
5-7% dell'elettorato albanese, ma questo non ha evitato al suo leader,
Idajet Beqiri, di essere protagonista di due liste nere. In quella del
Dipartimento di Stato Usa il suo nome compare ormai da anni. La novità
invece riguarda la lista stilata ultimamente dall'Unione europea, dove
il nome di Beqiri è stato aggiunto a quello di un colonnello albanese
in pensione, Spiro Butka. Il motivo: ostacolano la piena attuazione
dell'Accordo di Ohrid in Macedonia, che mise fine all'insurrezione
armata della minoranza albanese nel 2001.

Ma neanche in Albania Beqiri ha avuto vita facile. Arrestato per conto
di Interpol-Tirana il 15 dicembre del 2003 in Germania, mentre cercava
di passare il confine con la Svizzera, il leader del Fbksh è stato
estradato pochi giorni dopo nella capitale albanese. Con l'accusa di
"incitamento all'odio etnico" in Macedonia anche tramite Internet, le
autorità giudiziarie lo hanno condannato ad 1 anno e mezzo di
reclusione. Dopo aver scontato la pena, il leader del Fbksh è stato
liberato il 16 agosto del 2004.

Beqiri è conosciuto come leader politico dell'Aksh (Armata nazionale
albanese, in Italia meglio nota come Ana), un gruppo armato attivo in
Macedonia, nato dalle ceneri dell'Uck, in seguito all'Accordo di Ohrid
che non accontentò tutti gli ex guerriglieri. Attivo tra quest'ultimi è
stato Spiro Butka. Il colonnello in pensione "vanta" contatti con gli
ex esponenti dell'Uck che combatterono in Kosovo nel 1999, con quelli
della Tmk (le Truppe protettive di Kosovo) e con i guerriglieri
dell'ormai disciolta Uck della Macedonia (le due formazioni hanno la
sigla in comune per via di una coincidenza linguistica dell'albanese:
Esercito per la liberazione del Kosovo – Esercito per la liberazione
nazionale). Anche se le conferme mancano, si pensa che sia stato
proprio Butka ad avvicinare Beqiri all'Aksh.

In seguito alla notizia del suo neo ingresso nella lista nera dell'Ue,
Beqiri ha voluto specificare di non essere contro l'Accordo di Ohrid.
"Noi siamo convinti che, in caso quell'Accordo possa attuarsi, riesca a
realizzare solo il 10% delle richieste degli albanesi. Con quello
(l'Accordo, ndr) non riusciamo a integrarci né in Europa né alla Nato.
Ma questo non vuol dire che noi siamo contrari all'Accordo", ha detto
all'emittente di Tirana "News24".

L'appartenenza alla lista stilata da Bruxelles gli vieta l'ingresso e
la circolazione nel territorio dell'Unione per 12 mesi, a cominciare
dal 31 dicembre 2005. Un'"assurdità", secondo lui, visto che è in
possesso di un passaporto belga. L'Albania permette da anni la doppia
cittadinanza e Beqiri ne è uno dei tanti fruitori.

Ma il carcere e le liste nere pare che non lo spaventino più di tanto.
Il 20 gennaio scorso Beqiri dichiarò pubblicamente di voler portare gli
Albanesi ad un referendum sull'unificazione "delle terre albanesi".
Presto inizierà la raccolta delle 50 mila firme che la Costituzione
chiede per presentare la richiesta al Parlamento. Per raggiungere
questo, assicura, l'Fbksh "non userà mai i mezzi della violenza, [SIC,
SI È GIÀ VISTO] ma esclusivamente quelli politici e diplomatici
riconosciuti dagli accordi internazionali". [AD ES. I BOMBARDAMENTI
DELLA NATO]

La Grande Albania

Della cosiddetta "Grande Albania" e dei pericoli che ne potrebbero
derivare si è parlato molto negli ultimi anni. Ma in realtà essa non è
mai esistita. [SIC] L'unica eccezione risale alla Seconda guerra
mondiale quando Benito Mussolini mise il Kosovo sotto l'amministrazione
del Governo filo-Duce di Tirana. [APPUNTO]

Attualmente, i primi a non voler creare una Grande Albania sono gli
stessi Albanesi, [SIC] maggiormente quelli in Patria ma anche quelli
del Kosovo. Paskal Milo, storico ed ex ministro degli Esteri, offre una
spiegazione: "I contatti umani degli ultimi 10 anni tra gli Albanesi
divisi tra le due parti del confine hanno testimoniato una differenza
non solo di mentalità e di formazione culturale, ma anche di sviluppo
economico. Questo vuoto non può essere riempito in un breve periodo".

Di questa realtà sembra aver tenuto conto anche il pretendente al
trono, Leka Zogu I. Prima di tornare in Patria, l'unificazione dei
territori albanesi era uno dei suoi argomenti preferiti. Ma negli
ultimi mesi, con l'ingresso ufficiale in politica col Movimento per lo
sviluppo nazionale, Leka Zogu sembra aver dimenticato [SIC] il "sogno"
della Grande Albania.

Remzi Lani, una delle firme più prestigiose del giornalismo albanese,
spiega dove differisca il nazionalismo albanese da quello balcanico.
[SIC - L'ALBANIA NON È BALCANICA] "Mentre i nostri vicini temono il
fantasma della Grande Albania, a Tirana questo capitolo viene ritenuto
chiuso. Se il nazionalismo serbo è stato "cucinato" a Belgrado e quello
croato a Zagabria, il nazionalismo albanese non viene alimentato da
Tirana, ma dalle sue periferie o dalla diaspora".

Infatti, i maggiori sostenitori del Fbksh non vivono in Albania, ma in
Kosovo, Macedonia, Montenegro e in altri Paesi del mondo dove sono
emigrati da generazioni. Per il resto si tratta di vecchi nostalgici
che non sono riusciti a capire che i confini oramai sono stati segnati
da decenni. E che non hanno capito che nei Balcani – usando le parole
dell'ex ministro Milo – "non ci può essere una nazione etnicamente
pulita. Ogni altra pretesa sarebbe una speculazione".


=== 5 ===

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3876/1/51/

Lettera dal Kosovo: calma prima della tempesta?

08.02.2005 - In Kosovo la situazione sembra congelata. Ma sotto lo
strato di ghiaccio (tra l'altro temperature sotto zero in questi giorni
e quasi assenza di fornitura di energia elettrica) sembra che la
violenza stia nuovamente per scoppiare. Una lettera accorata di un
cooperante. Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Di Mauro Barisone*


Sono stato a Mitrovica, per vedere quale fosse la situazione. Mitrovica
è, in questi ultimi anni, il nervo scoperto del Kosovo. Lì sono partiti
gli scontri più violenti del dopoguerra, lo scorso marzo.

Il freddo era intenso. -14 e oltre, nella notte si è scesi sino a –17.
L'assenza di corrente elettrica totale.

Da mercoledì scorso il ponte principale è praticamente chiuso, si passa
solo con il tesserino della KFOR, presenza militare NATO, e dalle otto
di sera in poi neppure i civili che abitano dall'altra parte possono
passare. Sul ponte quattro blindati e rotoli di chiodi ostruiscono il
passaggio e il tutto è illuminato a giorno.

Nella parte albanese della città tuttavia la vita sembra tranquilla. Il
ristorante attaccato al ponte era pieno, stranieri e militari.
All'entrata però ci ferma un ragazzo che conosciamo e ci informa che
gli scontri sarebbero imminenti. E' questione di giorni, dice.

Un telegiornale serbo riporta le dichiarazioni di Jovan Simic,
consigliere del Presidente serbo Vojslav Kostunica, secondo il quale la
lettera di estradizione per il Primo ministro del Kosovo, Ramush
Haradinaj, sarebbe stata già firmata dalla procuratrice generale del
Tribunale dell'Aja Carla Del Ponte.

I media albanesi non danno però nessuna notizia, le televisioni
continuano a rassicurare la gente sul fatto che il processo di
democratizzazione sta procedendo, lentamente ma procede. Anche sul
piano dello sviluppo economico si sarebbe sulla buona strada.

La gente attende ma sembra proprio la calma prima della tempesta. Si è
sul filo del rasoio. La mia impressione è che stiamo toccando il fondo,
basta andare in giro per le strade, impraticabili a causa del ghiaccio,
per rendersene conto. Nessuno si preoccupa di pulirle, la corrente
elettrica manca spessissimo e in alcuni quartieri manca da giorni. Per
alcune case la corrente elettrica è l'unica fonte di riscaldamento e in
questi giorni la temperatura si mantiene costantemente sotto lo zero.

Il governo ha diminuito gli stipendi nei posti pubblici, da 220 euro al
mese a 180, ed è previsto il licenziamento di 15.000 dipendenti
pubblici per esuberi. La pazienza della gente sembra essere arrivata al
capolinea e una semplice scintilla potrebbe far saltare tutto.

Probabilmente ne sono consapevoli tutti ed è per questo che nonostante
i problemi, evidenti, la gente cerca di stare tranquilla. Quanto
durerà? C'è qualcuno che sta pilotando l'aumento della tensione? Le
voci di imminenti scontri sono fondate o qualcuno le mette in giro
apposta? Perché i media locali non ne parlano?

Domande che rimangono senza risposta.


* Responsabile a Pec/Peja del Tavolo trentino con il Kosovo


Commenti dei lettori
Titolo: Autore:
Data-Ora:
Domande golub 08.02.2005 14:36
Ma perchè si attende tanto per arrestare Haradinaj? La giustiza
internazionale non dovrebbe fare il suo corso a prescindere da
valutazioni prettamente politiche? Perchè si è aspettato che Haradinaj
diventasse Primo ministro prima di comunicargli che è incriminato
presso l'Aja? Per il Kosovo non prevedo tempi facili


=== 6 ===

Réseau Voltaire, 11 février 2005

« Le Kosovo doit être indépendant »

Source : Der Tagesspiegel
Référence : « Der Kosovo muss unabhängig werden », par Wesley Clark,
Der Tagesspiegel, 10 Février 2005:
http://www.tagesspiegel.de/meinung/index.asp?gotos=http://
archiv.tagesspiegel.de/toolbox-neu.php?ran=on&url=http://
archiv.tagesspiegel.de/archiv/10.02.2005/1638912.asp#art

L'AUTEUR
Le Général Wesley Clark [http://www.nato.int/cv/saceur/clark.htm%5d a été
commandant suprême des forces de l'OTAN
[http://www.nato.int/home-fr.htm%5d en Europe (1997-2000). À ce titre, il
a dirigé les troupes de l'Alliance pendant la guerre du Kosovo. Il a
été candidat malheureux à l'investiture démocrate pour l'élection
présidentielle états-unienne de 2004.

RESUMÉ
Visionnaire, le président Bush
[http://www.reseauvoltaire.net/details_analystes.php3?id_mot=763] a
parlé de sa volonté d'étendre la démocratie dans le monde. Nous avions
évidemment l'Irak à l'esprit mais d'autres régions du monde pourraient
être le théâtre d'explosions de violence. Afin d'éviter une nouvelle
tragédie, il est indispensable que les États-Unis et la communauté
internationale trouvent une issue au problème du Kosovo.
Son statut n'a jamais été clairement défini après les frappes de l'Otan
en 1999. Le Kosovo est sous mandat de l'ONU mais la souveraineté est
toujours exercée par l'Union de la Serbie et du Monténégro. Après dix
années d'oppression de la part de Belgrade, d'actes ignobles et de
migrations forcées, la majorité albanaise du Kosovo, 90 % de la
population, ne se satisfera pas d'autre chose que l'indépendance. Après
presque six ans, la cohabitation entre Serbes et Albanais est toujours
impossible et le but avoué de la Serbie est d'empêcher l'indépendance
du Kosovo. Des affrontements comme ceux du début de cette année qui ont
fait 20 morts et 800 blessés peuvent se reproduire et torpiller les
efforts de stabilisation des états multi-ethniques des Balkans.
On ne doit pas oublier que des élections démocratiques ont été
organisées par deux fois au Kosovo et que les éléments fondamentaux
pour une économie moderne et fonctionnelle sont là, les conditions pour
une existence propre en tant qu'état sont donc réunies. Une partie de
l'élite politique, militaire et médiatique de la Serbie n'a pas fait le
deuil de l'ère Milosevic. Leur but est une partition qui comprendrait
deux parties serbes : les villages du Nord ainsi qu'une partie de la
ville de Mitrovica et la zone plus au Sud où vivent les deux tiers des
Serbes du Kosovo.
Pour éviter une guerre, des combats pour Mitrovica et une offensive
serbe sur le Nord du Kosovo, une solution sur le statut doit être
trouvée par l'ONU sous le patronage des USA. Les conditions préalable à
un futur du Kosovo sont :
- Pas de retour sous le giron de Belgrade.
- Pas de partition du pays.
- Pas d'union ultérieure avec l'Albanie ou un pays voisin.
Si la résolution est bloquée au conseil de sécurité de l'ONU, alors en
2006 nous devrons organiser un référendum sur la constitution avec les
Européens puis reconnaître diplomatiquement le nouvel État du Kosovo.

SOURCE:
http://fr.groups.yahoo.com/group/alerte_otan/messages

<<Un livore antislavo poco conforme alle speranze di pacificazione>>


1. Di che cosa stiamo parlando? ESULI: INCONTRO ITALIA-CROAZIA A
FEBBRAIO PER INDENNIZZI

2. Un livore antislavo poco conforme alle speranze di pacificazione: A
TRIESTE GIORNATA DEGLI ESULI E DEI SUPERSTITI

3. Dare ai fascisti e ai postfascisti la possibilità di urlare la loro
menzogna-verità per oscurare la risonanza dei crimini nazisti e
fascisti... perpetuare la menzogna dell'italianità offesa e occultare
la realtà dell'italianità sopraffattrice: ALLE RADICI DELL'ODIO (di
Enzo Collotti, Il Manifesto del 10/02/2005)


=== 1 ===

ESULI: INCONTRO ITALIA-CROAZIA A FEBBRAIO PER INDENNIZZI

(ANSA) - ZAGABRIA, 10 FEB - Italia e Croazia si incontreranno il
prossimo 17 febbraio a Roma per tentare di definire la questione degli
indennizzi spettanti agli esuli italiani per i beni abbandonati in
Istria, definiti dagli accordi di Osimo del 1975 e dal trattato di Roma
del 1984 ma mai corrisposti. All'incontro parteciperanno il capo della
diplomazia italiana Gianfranco Fini e il sottosegretario agli esteri
croato Hido Biscevic, in quanto il ministro e' dimissionario. L'esito
della riunione non e' per nulla scontato e non e' detto che si riesca
ad arrivare ad una soluzione: da parte del governo croato, assicura
l'ambasciatore italiano Alessandro Grafini, c'e' ''un'apertura'' e la
presa di coscienza che ''bisogna fare un gesto distensivo''. Allo
stesso tempo pero' ''non c'e' una posizione chiara'' su come affrontare
la questione. Solo negli ultimi anni sono state presentate tra le 2.500
e le 3.000 domande di risarcimento alla Croazia, da italiani costretti
ad abbandonare l'Istria lasciando li' i loro beni.(ANSA). GUI
10/02/2005 17:33


=== 2 ===

FOIBE: A TRIESTE GIORNATA DEGLI ESULI E DEI SUPERSTITI/ ANSA

(ANSA) - TRIESTE, 10 FEB - E' stata una giornata di intense emozioni
quella dedicata oggi a Trieste al ricordo delle vittime delle foibe e
all' esodo dal confine orientale: un misto di orgoglio, speranza, ma
anche ricordi tristi, drammatici per alcuni, e qualche difficolta' a
tenere a bada rancori che pure la storia impone oggi di riporre in un
cassetto, anche se opportunamente inventariati. Che a Trieste la
memoria di quegli anni fosse ancora pulsante era cosa nota, ma la
partecipazione che ha accompagnato i vari momenti delle celebrazioni, e
in particolare il primo Convegno mondiale degli esuli istriani e
giuliano-dalmati fortemente voluto dal ministro per gli Italiani nel
mondo Mirko Tremaglia ha spiazzato, in qualche momento, le stesse
autorita', primo fra tutti il vicepresidente del Consiglio e ministro
degli Esteri Gianfranco Fini, al quale e' stato indirizzato qualche
fischio al termine del suo discorso. Preceduta da un appello di Ciampi
(letto anche a Trieste) a sostituire la ragione al rancore e da varie
dichiarazioni di leader storici della sinistra, tra cui Piero Fassino e
Walter Veltroni, a favore di una 'memoria condivisa', la giornata del
ricordo si e' aperta a Trieste con un omaggio alla foiba di Basovizza.
E' li' che il ministro Tremaglia ha parlato di 'giornata storica',
invitando i leader della sinistra a fare ancora un passo verso la
riconciliazione, ''cancellando per sempre Palmiro Togliatti, carnefice
numero uno delle foibe, dalla storia''. Concluso un percorso
commemorativo che ha toccato anche la foiba di Monrupino e i monumenti
ai Caduti e agli infoibati sul Colle di San Giusto, Tremaglia ha
raggiunto Piazza Unita' d' Italia dove, insieme a Fini e davanti a un
migliaio di persone, si e' svolto l' alzabandiera. Fini ha passato in
rassegna i reparti militari schierati e le insegne delle citta', dei
Comuni, delle Province e delle associazioni degli esuli. Alla cerimonia
hanno partecipato anche i Presidenti della Regione Friuli-Venezia
Giulia, Riccardo Illy e del Lazio, Francesco Storace. Subito dopo, le
celebrazioni si sono spostate al vicino Teatro Verdi, sede del Convegno
degli esuli, gremito in ogni ordine di posti. Tremaglia ha preparato
per mesi l' evento, curando personalmente i contatti in ogni parte del
mondo, e in diverse centinaia hanno aderito all' invito dall'
Argentina, dall' Australia, Stati Uniti, Canada e da molti altri Paesi.
Qualcuno ha raccontato la propria dolorosa esperienza di fuga ed
esilio, storie diverse ed uguali di genitori infoibati, abbandono di
case ed amici, viaggi tortuosi verso un futuro ignoto. Gente anziana,
ormai, ancora commossa dai ricordi ma che alle battaglie per gli
indennizzi e la restituzione dei beni, pur sempre vive, antepone la
conquista di una pagina nei libri di storia. Altri, piu' giovani e piu'
agguerriti, che quelle storie hanno sentito raccontare da genitori o
parenti sopravvissuti, non riescono a nascondere un livore antislavo
poco conforme alle speranze di pacificazione. E' in questo contesto,
ricco d' interruzioni, applausi, fischi e richieste d' intervento anche
da palchi e loggione, che Fini, Tremaglia e Illy hanno svolto i
discorsi ufficiali. Se il richiamo di Tremaglia a un proseguimento
della battaglia per la restituzione dei beni abbandonati ha strappato
alla platea lunghi applausi, assai meno entusiasmo hanno suscitato gli
appelli alla pacificazione e a guardare al futuro di Illy, che alla
fine e' stato applaudito, e Fini. ''Ora che la storia e la politica
sono su binari diversi, che non ci sono piu' le ideologie che
sostengono la superiorita' di un popolo sull' altro - ha detto Fini -
c' e' il senso di una storia comune. Questo Giorno del ricordo - ha
aggiunto - e' importante perche' sancisce che oggi non c' e' piu' una
versione di parte, un' opinione di comodo, una verita' di destra e una
sinistra, ma la verita', e lo stanno capendo anche i Paesi ex
confinanti''. ''Ha ragione Ciampi'' ha quindi insistito Fini
sovrastando i fischi, ricordando agli esuli di aver sostenuto le loro
ragioni ''anche quando altri pensavano che fosse propaganda''.
''Bisogna capirli - ha poi commentato il deputato triestino promotore
del Giorno del ricordo Roberto Menia - 60 anni di sofferenza non si
cancellano in un giorno'', ma la via indicata da Ciampi appare ormai
intrapresa. (ANSA). CNT
10/02/2005 17:41


=== 3 ===

Alle radici dell'odio tragedie incomparabili sull'orlo di una foiba

di Enzo Collotti

su Il Manifesto del 10/02/2005

La destra paladina del nuovo patriottismo celebra la Giornata del
Ricordo isolando quella storia dalla cornice dei drammi che hanno
lacerato l'Europa nei quali il fascismo ha trascinato, da protagonista
e non da vittima, il nostro paese


Non era difficile prevedere che collocare la Giornata del Ricordo, per
onorare le vittime delle foibe, a quindici giorni dal Giorno della
Memoria in ricordo della Shoah, avrebbe significato dare ai fascisti e
ai postfascisti la possibilità di urlare la loro menzogna-verità per
oscurare la risonanza dei crimini nazisti e fascisti e omologare in una
indecente e impudica par condicio della storia tragedie incomparabili,
che hanno l'unico denominatore comune di appartenere tutte
all'esplosione sino allora inedita di violenze e sopraffazioni che
hanno fatto del secondo conflitto mondiale un vero e proprio mattatoio
della storia. Nella canea, soprattutto mediatica, suscitata intorno
alla tragedia delle foibe dagli eredi di coloro che ne sono i massimi
responsabili la cosa più sorprendente è l'incapacità dei politici della
sinistra di dire con autorevolezza ed energia: giù le mani dalle foibe!
Come purtroppo è già avvenuto in altre circostanze, l'incapacità di
rileggere la propria storia, ammettendo responsabilità ed errori
compiuti senza per questo confondersi di fatto con le ragioni degli
avversari e degli accusatori di comodo, cadendo in un facile e ambiguo
pentitismo, non contribuisce a fare chiarezza intorno a un nodo reale
della nostra storia che viene brandito come manganello per
relativizzare altri e più radicali crimini.

È assolutamente inutile girare intorno al centro dei problemi senza
aggredirne il cuore. Continuare a deprecare le foibe senza porsi
l'obiettivo di contestualizzarne l'accaduto contribuisce a fare della
retorica, ad alimentare il vittimismo e a offendere ulteriormente la
memoria di chi è stato coinvolto in una atroce vicenda e soprattutto di
chi ha pagato innocente per responsabilità altrui. La vicenda delle
foibe ha molte ascendenze, ma certamente la più rilevante è quella che
ci riporta alle origini del fascismo nella Venezia Giulia. È una storia
nota e arcinota, su cui hanno lavorato storici della mia generazione, a
cominciare da Elio Apih, ancora legati alla lezione e se si vuole anche
ai limiti dell'irredentismo democratico di Salvemini, e su cui lavora
una più giovane generazione di storici, Anna Vinci, Giampaolo Valdevit,
Raoul Pupo per citare i più impegnati, con posizioni diverse tra loro
ma tutti tesi a costruire le linee interpretative di un passato storico
che, tenendo conto della complessità della situazione di un'area
crocevia di culture diverse, contribuisca a creare una nuova cultura
politica capace di fare uscire i comportamenti politici e culturali
dalle secche dello scontro frontale fra gli opposti nazionalismi, la
cui cecità si alimenta a vicenda delle speculari pretese di esclusione.

Sin quando si continuerà a voler parlare della Venezia Giulia, di una
regione italiana, senza accettarne la realtà di un territorio abitato
da diversi gruppi nazionali e trasformato in area di conflitto
interetnico dai vincitori del 1918, incapaci di affrontare i problemi
posti dalla compresenza di gruppi nazionali diversi, si continuerà a
perpetuare la menzogna dell'italianità offesa e a occultare (e non solo
a rimuovere) la realtà dell'italianità sopraffattrice. Non si tratta di
evitare di parlare delle foibe, come ci sentiamo ripetere quando
parliamo nelle scuole del giorno della memoria e della Shoah, ma di
riportare il discorso alla radice della storia, alla cornice dei drammi
che hanno lacerato l'Europa e il mondo e nei quali il fascismo ha
trascinato, da protagonista non da vittima, il nostro paese.

Ma che cosa sa tuttora la maggioranza degli italiani sulla politica di
sopraffazione del fascismo nei confronti delle minoranze slovena e
croata (senza parlare dei sudtirolesi o della popolazione francofona
della Valle d'Aosta) addirittura da prima dell'avvento al potere; della
brutale snazionalizzazione (proibizione di uso della propria lingua,
chiusura delle scuole, chiusura delle amministrazioni locali,
boicottaggio nell'esercizio del culto, imposizione di cognomi
italianizzati e cambiamento di toponimi) come parte di un progetto di
distruzione dell'identità nazionale e culturale delle minoranze e della
distruzione della loro memoria storica? I paladini del nuovo
patriottismo fondato sul vittimismo delle foibe farebbero bene a
rileggersi i fieri propositi dei loro padri tutelari, quelli che
parlavano della superiorità della civiltà e della razza italica, che
vedevano un nemico e un complottardo in ogni straniero, che volevano
impedire lo sviluppo dei porti jugoslavi per conservare all'Italia il
monopolio strategico ed economico dell'Adriatico. Che cosa sanno
dell'occupazione e dello smembramento della Jugoslavia e della
sciagurata annessione della provincia di Lubiana al regno d'Italia, con
il seguito di rappresaglie e repressioni che poco hanno da invidiare ai
crimini nazisti? Che cosa sanno degli ultranazionalisti italiani che
nel loro odio antislavo fecero causa comune con i nazisti insediati nel
Litorale adriatico, sullo sfondo della Risiera di S. Sabba e degli
impiccati di via Ghega?

Ecco che cosa significa parlare delle foibe: chiamare in causa il
complesso di situazioni cumulatesi nell'arco di un ventennio con
l'esasperazione di violenza e di lacerazioni politiche, militari,
sociali concentratesi in particolare nei cinque anni della fase più
acuta della seconda guerra mondiale. È qui che nascono le radici
dell'odio, delle foibe, dell'esodo dall'Istria. Nella storia non vi
sono scorciatoie per amputare frammenti di verità, mezze verità,
estraendole da un complesso di eventi in cui si intrecciano le ragioni
e le sofferenze di molti soggetti. Al singolo, vittima di eventi più
grandi di lui, può anche non importare capire l'origine delle sue
disgrazie; ma chi fa responsabilmente il mestiere di politico o anche
più modestamente quello dell'educatore deve avere la consapevolezza dei
messaggi che trasmette, deve sapere che cosa significa trasmettere un
messaggio dimezzato, unilaterale. Da sempre nella lotta politica,
soprattutto a Trieste e dintorni, il Movimento sociale un tempo e i
suoi eredi oggi usano e strumentalizzano il dramma delle foibe e
dell'esodo per rinfocolare l'odio antislavo; rintuzzare questo
approccio può sembrare oggi una battaglia di retroguardia, ma in realtà
è l'unico modo serio per non fare retrocedere i modi e il linguaggio
stesso della politica agli anni peggiori dello scontro nazionalistico e
della guerra fredda. I profughi dall'Istria hanno pagato per tutti la
sconfitta dell'Italia (da qui bisogna partire ma anche da chi ne è
stato responsabile), ma come ci esorta in queste settimane Guido Crainz
(in un prezioso libretto: Il dolore e l'esilio. L'Istria e le memorie
divise d'Europa, Donzelli, 2005) bisogna sapere guardare alle tragedie
di casa nostra nel vissuto delle tragedie dell'Europa. Non esiste
alcuna legge di compensazione di crimini e di ingiustizie, ma non
possiamo indulgere neppure al privilegiamento di determinate categorie
di vittime. Fu dura la sorte dei profughi dall'Istria, ma l'Italia del
dopoguerra non fu sorda soltanto al loro dolore. Che cosa dovrebbero
dire coloro che tornavano (i più fortunati) dai campi di concentramento
- di sterminio, che rimasero per anni muti o i cui racconti non
venivano ascoltati? E gli ex internati militari - centinaia di migliaia
- che tornavano da una prigionia in Germania al limite della
deportazione? La storia della società italiana dopo il fascismo non è
fatta soltanto del silenzio (vero o supposto) sulle foibe, è fatta di
molti silenzi e di molte rimozioni. Soltanto uno sforzo di riflessione
complessivo, mentre tutti si riempiono la bocca d'Europa, potrà farci
uscire dal nostro nazionalismo e dal nostro esasperato provincialismo.

Fonte:
http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=3558

(english / italiano)

Mercenari / 3:
Mercenari e competizione globale


1. Roma 16/2/05: PRESENTAZIONE LIBRI

2. Mercenari - Il business della guerra
di Mauro Bulgarelli ed Umberto Zona

3. FLASHBACK:
Il gip: "Gli ex ostaggi italiani mercenari al servizio degli Usa"
(La Repubblica, L'Unità, Lettera a Liberazione. Ottobre 2004)

4. FLASHBACK:
DOPO L'AFFILIAZIONE DI STEFIO / UN DIO DI TEMPLARE
(La Voce della Campania, Novembre 2004)

5. FLASHBACK: ACLI e MERCENARI


---

Le puntate precedenti:

Mercenari / 1:
Manovalanza pan-albanese per la guerra di mafia a Napoli e per la
guerra civile ad Haiti (english / italiano)

Centinaia di «mercenari stranieri» sono i nuclei di fuoco dei clan
camorristi (R. Saviano, Il Manifesto) / Kosovo Liberation Army helps
establish "protectorate" in Haiti (Anthony Fenton, www.haitiaction.net)

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4042

Mercenari / 2:
Die Hunde des Krieges

Abu Ghraib, Krajina, Kosovo: Söldnerfirmen erledigen Schmutzarbeiten
für das Pentagon (J. Elsaesser)

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4051

---

Vedi anche / SEE ALSO:

"Support Our Mercenaries" (by Saul Landau)
http://www.counterpunch.org/landau10182004.html

Contractors and Mercenaries - The Rising Corporate Military
Monster (by R. Mokhiber & R. Weissman)
http://www.counterpunch.org/mokhiber04232004.html

Iraq, la seconda forza della coalizione: I mercenari
(islamonline / megachip / uruknet)

... I mercenari sono la seconda più grande forza in Iraq, superando
anche il più grosso alleato degli Stati Uniti, la Gran Bretagna. Circa
15.000 uomini appartenenti ad imprese private militari sono all'opera
in Iraq, secondo la stima di Peter Singer, autore di "I guerrieri della
corporazione: La salita dell'industria privatizzata militare"...

http://www.uruknet.info/?s1=1&p=6697&s2=30
http://www.megachip.info/modules.php?name=News&file=article&sid=116

---

DOSSIER:

Mercenari, Private Military Companies e Contractors

Dall’organizzazione di colpi di Stato alla gestione pre e post-bellica
in Iraq, mercenari e consulenti privati della sicurezza sono sempre più
presenti ed attivi, in un panorama internazionale che fatica a
riconoscerne l’esistenza ed a inquadrarne le attività. (Aldo Pigoli /
Equilibri.net , 08/04/04)

INDICE: Introduzione / I mercenari / Le Private Military Companies / Il
business internazionale della privatizzazione della sicurezza / I
Military and Security Contractors / PMC e Peacekeeping / Attività
mercenaria, PMC e traffici internazionali illeciti / Mercenari, PMC e
regolamentazione internazionale / Conclusioni

Qui:
http://www.equilibri.net/dossiers/sx2.htm
oppure qui:
http://www.uruknet.info/?s1=1&p=6567&s2=25
oppure qui:
http://www.carmillaonline.com/archives/2004/10/001039.html


=== 1 ===

Un appuntamento da non mancare
Due libri da non perdere
 
“MERCENARI”
E
“COMPETIZIONE GLOBALE” 

Mercoledì 16 Febbraio ore 17 Sala della Sacrestia – vicolo Valdina 3/A

Due testi per leggere oltre la cortina fumogena dellaideologia
neoliberista, della “esportazione” della democrazia e della guerra
infinita.

 Coordina la presentazione dei libri

 Geraldina Colotti              Le Monde Diplomatique

 Saranno presenti gli autori dei testi 

Mauro Bulgarelli             deputato dei verdi

Mauro Casadio                Redazione di “Contropiano”

Luciano Vasapollo           Università La Sapienza – CESTES PROTEO

Umberto Zona                  Ricercatore

Intervengono

 Paolo Cento                       deputato dei verdi

Giovanni Russo Spena     deputato del PRC

Per l’ingresso è necessario avere la giacca ed un documento diidentità

GRUPPO
VERDE                                                                   
     
REDAZIONE CONTROPIANO

Mail: cpiano@ tiscali.it
Sito : http://www.contropiano.org


=== 2 ===

Mauro Bulgarelli e Umberto Zona dopo l'interessantissimo "L'Impero
invisibile", hanno prodotto un nuovo libro estremamente interessante
per capire e individuare i meccanismi della guerra moderna. Uno di
questi è "l'outsourcing" ossia l'esternalizzazione. Ci si affida ai
mercenari, alle società che assicurano logistica e servizi ed anche
alle "organizzazioni non governative". Segnaliamo questo testo e
pubblichiamo l'introduzione del libro che aiuta a comprendere la
traccia di ricerca seguita dai due autori. [a cura di Contropiano -
http://www.contropiano.org]
 

Mercenari - Il business della guerra

di Mauro Bulgarelli, Umberto zona, altremappe.org

La parola d'ordine delle nuove guerre è la flessibilità: un 'esercito'
di interinali della guerra gestisce in nome degli stati belligeranti le
zone a più alto conflitto del pianeta. Gli sviluppi dell'intervento
militare italiano in Iraq hanno portato alla ribalta il ruolo di questi
nuovi mercenari. Chi sono, da dove vengono, cosa fanno?

Nelle librerie Feltrinelli, Rinascita e nelle migliori librerie

 
Introduzione

La guerra scatenata in Iraq da G.W. Bush e dalla càbala neocon ci
riserva ogni giorno nuovi orrori. Mentre scriviamo, la Associated Press
ha appena diffuso un video della strage di Mogr el-Deeb, un piccolo
villaggio nel deserto iracheno dove era in corso una festa di nozze.
Nelle immagini si vede l'arrivo di una carovana di auto con addobbi
nuziali, quindi uomini e donne con il vestito delle festa, prima
ordinatamente disposti in una sala improvvisata ma decorata con tappeti
e disseminata di narghilè, poi intenti nelle danze. Ci sono molti
bambini che razzolano irrequieti tra i convitati. Alcuni sono
piccolissimi e si dimenano tra le braccia dei genitori o dei parenti,
in un misto di insofferenza e eccitazione, come sempre fanno i bambini
quando prendono parte a rituali collettivi a loro oscuri per regole e
finalità ma di cui percepiscono l'elettricità gioiosa che li pervade.
Bella idea andarsi a sposare in quell'inferno che è oggi l'Iraq! E'
quello che devono aver pensato i marine a bordo degli elicotteri Apache
che sorvolavano la zona quando hanno ricevuto l'ordine di fare fuoco su
quell'assembramento sospetto. Il tempo di fare questa considerazione, e
il matrimonio si era trasformato in un funerale. Quaranta convitati
erano ora cadaveri e tra loro c'erano molti bambini. Alcuni, per la
verità, erano irriconoscibili, uno era decapitato. I sopravvissuti
raccontano di un attacco lungo ed efferato, con i soldati Usa che dopo
il raid con gli elicotteri sono scesi a terra e hanno fatto irruzione
nelle case del villaggio, uccidendo altre persone. Eppure gli americani
avrebbero dovuto imparare a riconoscere certe "usanze tribali" dopo
l'errore compiuto in circostanze analoghe in Afghanistan, nei pressi di
Kandahar, dove, nel luglio del 2002, il regalo di nozze di Bush agli
sposi e alle loro famiglie fu una bomba da 500 libbre che mandò al
creatore 100 convitati a un altro banchetto di nozze. I generali James
Mattis e Mark Kimmitt - questi "gelidi coglioni", li avrebbe definiti
Luigi Pintor - non si sono scomposti e anzi hanno fatto i bulli:
"C'erano oltre una ventina di uomini in età militare. Cerchiamo di non
essere ingenui". Capite? Non "armati" ma in "età militare". Con questo
criterio, anche un plotone di boy scout in escursione campestre sarebbe
meritevole di essere annientato col napalm.
Prima di questo assassinio di massa, siamo stati invasi per settimane
dalle cartoline dall'inferno di Abu Ghraib. In quell'occasione, le
generazioni contemporanee hanno avuto modo di comprendere a cosa
alludesse Hannah Arendt quando, descrivendo lo zelo ottuso con il quale
Adolf Eichmann amministrava i treni di ebrei per Auschwitz, coniò il
concetto di "banalità del male". I carcerieri di Abu Ghraib hanno
dipinto in volto un ghigno ebete e maligno quando si mettono in posa
tra corpi nudi incappucciati e cadaveri incellophanati, sembrano
totalmente immersi nella banalità del male quando meccanicamente
trascinano al guinzaglio un essere umano o quando, nelle istantanee
inviate a amici e parenti dai loro videofonini, appaiono stolidamente
compiaciuti delle efferatezze di cui sono stati protagonisti.
Soprattutto, tenete a mente come si sono "difesi" da accuse che devono
loro essere apparse incomprensibili: "Stavamo facendo il lavoro che ci
era stato detto di fare". Lavoro. Questa parola ritorna ossessivamente
in tutto quanto concerne questa guerra, che è stata avviata per finire
il lavoro irresponsabilmente lasciato a metà dal babbo di Bush, che si
è tramutata in una ghiotta opportunità di lavoro per le multinazionali
di mezzo mondo, che è stata prodiga di inserzioni di lavoro per tanti
good fellas, bravi ragazzi, sparsi per il mondo, che dopo aver vestito
la divisa d'ordinanza del mercenario moderno - Oakey metallizzati
inforcati sul cipiglio palestrato e Mp5 luccicante pronta a fare fuoco
-, avranno modo, tornati a casa, di accendere un mutuo per la villetta
e, perché no?, di convolare a giuste nozze.
Quando abbiamo pensato di rimettere mano al progetto di un libro sui
mercenari moderni, avviato e poi rimandato a favore dell'inchiesta sui
think tank sfociata in L'impero invisibile, siamo stati fortemente
motivati proprio dall'evolversi degli avvenimenti della guerra in Iraq.
Questo può aver costituito un limite, perché indubbiamente ne abbiamo
subito l'onda emotiva ma, d'altra parte, proprio l'occupazione
dell'Iraq ci è apparsa come la prima guerra mercenaria globale, in cui
tutti, tra le fila degli occupanti, hanno agito per un interesse
privato. Una verità troppo ingombrante anche per gli irriducibili della
geopolitica usa e getta - quella buona per guadagnarsi il gettone di
presenza nei talk show - o per i commentatori con la vocazione del
poliziotto, capaci di giustificare qualunque nefandezza in nome della
lotta al terrorismo, e che oggi hanno finito le cartucce della
fermezza, del patriottismo o del cinismo. L'Iraq è un mattatoio,
organizzato però secondo le regole dell'azienda globale, popolato da
imprenditori, manager, consulenti, cooperative, operatori umanitari,
interinali e lavoratori a termine, tutti con un contratto da onorare
che giustifica la loro presenza. Tutti lavorano. Tuttavia, a prima
vista può rimanere oscuro l'oggetto di questo lavoro, cosa esso
produca. Diceva Marx che un filosofo produce idee, un poeta poesie, un
pastore prediche e un criminale crimini. E ammoniva di non considerare
blasfemo l'accostamento dell'ultimo con i primi tre, poiché il
criminale non produce solo delitti, ma anche il diritto penale, tutta
la polizia e la giustizia criminale, gli sbirri, i giudici, i giurati,
le prediche e i rieducatori. In Iraq succede probabilmente qualcosa di
simile. Commesso un crimine, l'invasione del paese, esso è stato messo
al lavoro e un gigantesco network si è attivato, producendo operatori
della sicurezza, polizia militare, secondini e carcerieri, guardie del
corpo, Organizzazioni non governative, esperti di ogni tipo. In qualche
modo, tutti possono dire di essere lì per motivi "umanitari", poiché il
lavoro di ognuno è aiutare, proteggere qualcun altro o garantire che
questi possa a sua volta svolgere il proprio lavoro. Un esercito della
misericordia che assomiglia a una processione di monatti.
Per questa via, le nuove guerre producono soggettività, strutturano una
mentalità e formano comportamenti. Una pedagogia nera in piena regola,
che utilizza l'etica perversa del lavoro per prosciugare la guerra da
tutto l'orrore di cui è piena e restituirla al "popolo dei lavoratori"
come legittima opportunità di benessere personale e di vantaggio
privato. Un'operazione che funziona: una compagnia di sicurezza, la
Caci, ha reclutato i torturatori di Abu Ghraib con un annuncio sul
proprio sito internet, proponendo testualmente "eccitanti opportunità
di intelligence per individui disposti a condurre per uno o due anni
interrogatori strategici e tattici"; l'Mi5, il servizio segreto
inglese, ha inaugurato una chat room per entrare in contatto con gli
studenti e rendere appetibile agli occhi dei giovani il lavoro della
spia e, per ultimo, il Mossad ha iniziato a reclutare sul web coniando
uno slogan ad hoc francamente inquietante: "Il Mossad è la sua gente. I
nostri dipendenti sono il nostro vero cuore".
Questa nuova dimensione della guerra, di cui l'Iraq è un formidabile
laboratorio, ci ha portato a riconsiderare la stessa definizione di
"mercenari", quella, per intenderci, attraverso la quale oggi vengono
identificati essenzialmente i contractor militari. Indagando
sull'intero ciclo di produzione delle neoguerre, abbiamo ritenuto
lecito estendere questo termine all'intero "terzo settore bellico", che
contribuisce alla progettazione e all'esecuzione dei conflitti e alla
gestione del cosiddetto dopoguerra. In questo libro, dunque, non
parleremo soltanto dei nuovi soldati di ventura ma anche del ruolo che
assolve il consulting bellico, di quello delle società di servizi
globali, dell'indotto della cooperazione "umanitaria". Quest'ultimo è
senz'altro l'argomento più scabroso da trattare, non fosse altro per il
fatto che esso riguarda anche l'attività di molte persone degnissime.
Ma è indubitabile, a nostro parere, che una vera e propria "industria
dell'umanitario" si stia strutturando attorno alla
professionalizzazione del ruolo del cooperante - soggetto a
flessibilità d'impiego e mobilità operativa sempre più accentuate -,
che l'autonomia delle Organizzazioni non governative - le Ong - dalle
autorità militari, soprattutto dopo la crisi dell'Onu, si è ristretta
pericolosamente, che l'accesso a finanziamenti cospicui inseriti nel
budget della "ricostruzione" determina spesso un'oggettiva e
imbarazzante contiguità con le forze occupanti. Non parlarne avrebbe
fatto torto in primo luogo a tutti coloro che agiscono secondo criteri
improntati alla solidarietà attiva con le vittime della guerra e non in
concerto con chi la promuove.
Per quanto concerne i mercenari armati - i corporate warrior (guerrieri
aziendali) come li ha suggestivamente definiti un analista militare,
P.W. Singer - abbiamo ritenuto utile far precedere la sezione del libro
che esamina più in dettaglio le pecularietà e le innovazioni tecniche
introdotte dalle nuove compagnie di ventura (Private Military
Companies), da un capitolo che illustrasse per sommi capi le
trasformazioni intervenute, all'indomani della Guerra fredda, negli
assetti internazionali e nelle funzioni degli eserciti. E' impossibile,
infatti, comprendere il ruolo assolto oggi dalle compagnie militari
private senza tener conto di quel processo che ha trasformato
progressivamente, ai tempi dell'impero, le guerre in operazioni di
polizia e le funzioni di ordine pubblico in operazioni militari. La
"manipolazione genetica" della figura del poliziotto e di quella del
soldato, la loro totale interscambiabilità e complementarietà nel
quadro delle politiche disciplinari e di controllo postmoderne, il
paradigma della sicurezza e la contestuale privatizzazione
dell'esercizio della forza (a Est e a Ovest), costituiscono i
presupposti imprescindibili per l'affermazione sul mercato della guerra
dei nuovi mercenari.
La considerazione di questo complesso di dinamiche, infine, ci ha
condizionato anche al momento di decidere il sottotitolo di questo
libro - gli interinali della guerra - che non si riferisce, come anche
sarebbe lecito supporre, al rapporto di precarietà lavorativa, per
quanto ben remunerata, che lega molti corporate warrior ai loro datori
di lavoro, ma alla natura stessa della guerra postmoderna. In un'epoca
in cui gli interventi militari assomigliano a retate poliziesche, in
cui l'uso della forza, modulato secondo tutte le sue sfumature, diviene
parte integrante delle tecnologie del potere, in cui guerra e pace
convivono rincorrendosi e ricombinandosi a macchia di leopardo sul
pianeta, la condizione di chi prende parte attiva ai conflitti - sia
esso un mercenario, un consulente o un "cooperante di professione" - è
il risultato di una migrazione frenetica e circolare tra la sua
condizione di "civile" e quella, a vario titolo, di "militare". La
flessibilità, nel campo dell'outsourcing bellico, governa con la
severità di un monarca dispotico, non esenta nessuno: da Mrs.
Karpinski, la generalessa di Abu Ghraib che alterna la sua attività
"civile" di consulente finanziario di successo a quella di volpe del
deserto, al buttafuori che si trasforma a gettone in Terminator, le
nuove guerre attingono a uno sconfinato esercito di riservisti di
professione, capaci di vivere la pace da soldati e la guerra da civili.
Convinti, nel far questo, di essere i migliori interpreti del loro
tempo.


=== 3 ===

http://www.repubblica.it/2004/j/sezioni/esteri/iraqita/gipdice/
gipdice.html

ESTERI
"Stefio, Cupertino, Agliana e Quattrocchi furono arruolati
da Giampiero Spinelli e dalla sua società, la 'Presidium'"

Il gip: "Gli ex ostaggi italiani mercenari al servizio degli Usa"

Un testimone: "Potevano fermare le persone e aprire il fuoco"
I bodyguard: "Tutto falso. Eravamo operatori della sicurezza"

BARI - Mercenari al servizio degli Stati Uniti. Questo erano gli ex
ostaggi italiani sequestrati in Iraq per 56 giorni il 12 aprile scorso
Cupertino, Stefio, Agliana e Quattrocchi (quest'ultimo ucciso dai
rapitori). Lo dice il Giudice per le indagini preliminari di Bari:
"Erano veri e propri fiancheggiatori delle forze della coalizione e
questo spiega, se non giustifica, l'atteggiamento dei sequestratori nei
loro confronti".

Il provvedimento del gip del Tribunale barese Giuseppe De Benedictis è
quello con cui, nelle scorse settimane, ha imposto il divieto di
espatrio (poi annullato dal Tribunale del riesame) a Giampiero
Spinelli, il trentenne di Sammichele di Bari amico di Cupertino,
indagato per arruolamenti o armamenti non autorizzati al servizio di
uno Stato estero (articolo 288 codice penale).

Esaminando il ruolo della società "Presidium corporation" con sede alle
Seychelles, attraverso la quale - secondo l'accusa - Spinelli ha
compiuto a Sammichele di Bari i reclutamenti degli italiani, il gip
scrive che essa è "un centro di addestramento ed arruolamento di
mercenari (o peggio, come farebbe pensare la scelta della sede centrale
in un paradiso fiscale e la relativa tranquillità che offre...)". Era
già emerso che Salvatore Stefio era uno dei referenti della Presidium.

Spinelli è accusato "in concorso con altre persone" di aver arruolato
personalmente a Sammichele di Bari Umberto Cupertino e Maurizio Agliana
"affinché militassero in territorio iracheno in favore di forze armate
straniere (anglo-americane, per la precisione) in concerto e in
cooperazione con le medesime, in contrapposizione a gruppi armati
stranieri".

Nel provvedimento il magistrato aggiunge che le indagini sinora
compiute "hanno consentito di accertare che era effettivamente vero
quanto ipotizzato, subito dopo il sequestro dei quattro italiani in
Iraq, che essi erano sul territorio di quel Paese in veste di
mercenari, o quantomeno, di 'gorilla' a protezione di uomini di affari
in quel martoriato Paese".

Tra le testimonianze raccolte del giudice è risultata determinante
quella di Paolo Casti, arruolato dal febbraio 2004 in Iraq, che ha
dichiarato che i body guard italiani arruolati dagli Stati Uniti
avevano "il potere di fermare e controllare le persone, e in caso di
necessità di aprire il fuoco, sempre e solo in risposta ad attacco
armato".

Minaccia reazioni Maurizio Agliana e controbatte: "Non è vero. Eravamo
in Iraq incaricati di protezione ravvicinata con un contratto della
Sicurezza privata, ovviamente nell' ambito del programma delle Forze di
coalizione. Tutto qui". Identica la posizione di Salvatore Stefio:
"Riaffermo che noi eravamo, come lo siamo sempre stati, operatori della
sicurezza".
(21 ottobre 2004)

(vedi anche:
Gip Bari: "Mi hanno frainteso
Quattrocchi è stato un eroe"
http://www.repubblica.it/2004/j/sezioni/esteri/iraqita/giudicedifesa/
giudicedifesa.html )

---

http://www.uruknet.info/?s1=1&p=6484&s2=22

Il giudice di Bari: «Gli ex ostaggi italiani erano mercenari per gli
Usa»

L'Unità

2 ottobre 2004 - Umberto Cupertino, Salvatore Stefio, Maurizio Agliana
e Fabrizio Quattrocchi, i quattro ostaggi italiani sequestrati in Iraq
per 56 giorni, «erano veri e propri fiancheggiatori delle forze della
coalizione e questo spiega, se non giustifica, l'atteggiamento dei
sequestratori nei loro confronti». Lo scrive il Gip del Tribunale di
Bari, Giuseppe De Benedictis, nel provvedimento con cui ha imposto il
divieto di espatrio a Giampiero Spinelli, il trentenne di Sammichele di
Bari amico di Cupertino (provvedimento poi annullato dal Tribunale del
Riesame) Le indagini sinora compiute, aggiunge De Benedictis «hanno
consentito di accertare che era effettivamente vero quanto ipotizzato,
subito dopo il sequestro dei quattro italiani in Iraq», ovvero «che
essi erano sul territorio di quel Paese in veste di mercenari, o
quantomeno, di “gorilla” a protezione di uomini di affari in quel
martoriato Paese».

Giampiero Spinelli, il trentenne di Sammichele di Bari amico di
Cupertino, è indagato per arruolamenti o armamenti non autorizzati al
servizio di uno Stato estero. Cupertino, Agliana e Dridi Forese
sarebbero stati insomma arruolati «affinché militassero in territorio
iracheno in favore di forze armate straniere (anglo-americane, per la
precisione) in concerto ed in cooperazione con le medesime, in
contrapposizione a gruppi armati stranieri». Il Gip, esaminando il
ruolo della società Presiudim corporation, attraverso la quale Spinelli
avrebbe compiuto a Sammichele di Bari i reclutamenti degli italiani, la
descrive come «un centro di addestramento ed arruolamento di mercenari.
(o anche peggio, come farebbe pensare la scelta della sede centrale in
un paradiso fiscale – ovvero le Seychelles - e la relativa tranquillità
che offre...»).

Secondo la testimonianza di Paolo Casti, arruolato dal febbraio 2004 e
arrivato in Iraq poco prima di Agliana Stefio, Quattrocchi e Cupertino,
i bodyguard italiani avevano «il potere di fermare e controllare le
persone, ed in caso di necessità di aprire il fuoco, sempre e solo in
risposta ad attacco armato».

Come reagiscono gli ex ostaggi? Maurizio Agliana se la prende, e
attacca il Gip di Bari affermando: «Quello che scrive non è vero ed è
ora di finirla di cercare ciò che non c' è mai stato, arrampicandosi
sugli specchi. Lo dico ancora una volta ed è bene che questa cosa sia
ben chiara una volta per tutte: eravamo in Iraq incaricati di
protezione ravvicinata con un contratto della Sicurezza privata,
ovviamente nell' ambito del programma delle Forze di coalizione. Tutto
qui».

Più cauto, e altrettanto criptico sulla reale attività svolta in Iraq,
Salvatore Stefio: «Non voglio dire nulla. Riaffermo che noi eravamo,
come lo siamo sempre stati, operatori della sicurezza».


http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=HP&TOPIC ...

---

http://www.resistenze.org/sito/os/ip/osip4l23.htm
www.resistenze.org - osservatorio - italia - politica e società -
23-10-04

Lettera a Liberazione

Oggetto: editoriale del nuovo direttore Sansonetti sui "mercenari"


Gentile Direttore, quale vecchio e non pentito comunista, e da 10 anni
iscritto a Rifondazione, non sono stato minimamente sorpreso dalla
pubblica crocifissione di quel giudice, colpevole solo di aver chiamato
con il loro nome, “mercenari”, gli ex ostaggi Cupertino e soci.
Ma che il direttore del quotidiano comunista che leggo ogni giorno si
unisse al clima generale di linciaggio, sia nell’editoriale di sabato
23 che la sera precedente nella trasmissione “primo Piano”, mi è
sembrato francamente troppo.

Non solo sono state definite “infelici” le parole di un giudice che si
è limitato ad esprimere una verità ovvia per chiunque abbia una visione
oggettiva delle cose e non si lasci travolgere dalle suggestioni
interessate dei grandi mass media, ma addirittura si è tentato di
santificare, da parte Sua, gli ex mercenari-ostaggi, mettendoli sullo
stesso piano di quelle due ragazze che si trovavano in Iraq per motivi
esclusivamente umanitari.

Particolarmente sgradevole ed inspiegabile ho trovato la Sua
preoccupazione di non voler “...esporre alla curiosità o al ludibrio
tre poveri ragazzi (sic !) che hanno subito terrificanti sofferenze in
Iraq e che non sono colpevoli di alcun reato...”. Tutta la colpa
sarebbe di “...chi ha reclutato i quattro italiani, violando la legge
italiana, e mandandoli in Iraq a rischiare e in un caso a perdere la
propria vita...“.

Devo supporre che Lei sia convinto che i nostri quattro ingenui eroi
pensassero di essere mandati in quel paese invaso e martoriato dalla
guerra a fare gli animatori, i cuochi, o magari gli allenatori di
calcio, e non sapessero che le agenzie che li avevano arruolati
rivendicavano nella loro pubblicità di essere esperte di
“...combattimento nella jungla, in ambiente urbano, nel deserto,
commandos, controterrorismo, controguerriglia...“ (Repubblica, 23 ott.)
e vantavano periodi di addestramento militare in Israele, come quello
Spinelli, amico di Cupertino.

Tra le loro mansioni vi erano quelle di fare da scorta armata ai
dirigenti di quelle società cui sono stati assegnati appalti miliardari
per “ricostruire”  ciò che i loro stessi governi avevano già distrutto
a suon di bombe, il tutto a spese degli Iracheni, compiti cioè di
fiancheggiamento delle truppe occupanti e di collaborazione nel
saccheggio del paese. O forse Lei vorrà sostenere che svolgere
operazioni di sicurezza armata in un paese invaso e sconvolto dalla
guerra sia un lavoro “normale” per un emigrante in cerca di fortuna?

Sono molto indignato, caro Direttore, di questi brutti segnali che
provengono dal quotidiano del mio partito, certamente non casuali, e la
mia conclusione e che posso fare a meno, da ora in poi, di leggere
“Liberazione” formato Sansonetti.

Roma 24.10.04
Vincenzo Brandi, segretario del circolo ENEA Casaccia


=== 4 ===

http://www.lavocedellacampania.it/
detteditoriale.asp?tipo=inchiesta1&id=31

DOPO L'AFFILIAZIONE DI STEFIO / UN DIO DI TEMPLARE

Novembre 2004

Davvero eroici, i Cavalieri Templari. E sempre più “intimi” delle
istituzioni. Quelle italiane, non meno di quelle mondiali. Come il
ministero per le Attività produttive di Antonio Marzano. O quello per
le Politiche comunitarie guidato da Rocco Buttiglione. Senza contare,
in rapida sequenza, l’Unesco, la Nato e perfino l’Onu. Un tourbillon da
far girare la testa. Ma assolutamente reale. Partiamo dall’inizio. I
Templari tornano nelle cronache della grande stampa italiana a inizio
ottobre scorso, quando uno dei body guard rapiti in Iraq, il siciliano
Salvatore Stefio, riceve a Palermo l’investitura di Cavaliere Templare
nel corso di una solenne cerimonia. "Indossa un mantello bianco e una
croce rossa sul petto. E da ieri è un cavaliere templare. L'investitura
di Salvatore Stefio, uno dei quattro ex ostaggi italiani in Iraq -
scrive il 18 ottobre La Sicilia - si è svolta nel pomeriggio di ieri
durante una cerimonia nella chiesa di San Giovanni dei Napoletani". "E'
un momento molto significativo - afferma il neotemplare Salvatore
Stefio - perché rappresenta un ricongiungimento con la sacralità del
tempio e dell'ordine dei Templari a cui tengo molto. Per me che ho
vissuto la prigionia in terra islamica i principi dei Templari sono
molto sentiti. I cavalieri sono stati un elemento di congiunzione tra
il cristianesimo e l'islam in un'ottica di missione di pace". "La
cerimonia - aggiunge il quotidiano - è stata celebrata dal Gran
Precettore d'Italia e Commendatore di Palermo, Pietro Testa". La
notizia arriva proprio nei giorni caldi in cui scoppia il caso
“mercenari”, come il gip di Bari Giuseppe Debenedictis definisce i
vigilantes rapiti nell'ordinanza che prevede il divieto di espatrio per
Giampiero Spinelli, il barese indagato per arruolamento non autorizzato
al servizio di uno Stato estero, amico di Umberto Cupertino. Si erano
infatti concentrate sulla società Presidium, che sarebbe presieduta da
Salvatore Stefio, le indagini della Procura di Bari, la quale indaga
sull’arruolamento degli ex ostaggi italiani. Il pm Giovanni Colangelo,
titolare dell’ inchiesta, dopo aver ascoltato Cupertino e Maurizio
Agliana, aveva deciso di rinviare la convocazione di Stefio, proprio
per completare gli accertamenti riguardanti la società che potrebbe
essere a lui collegata, vale a dire la Presidium international
corporation, con sede alle Seychelles. "Dopo l’ avvio delle inchieste
giudiziarie sull’ arruolamento di cittadini italiani - si legge sulla
Gazzetta del Mezzogiorno - il sito web della Presidium è stato
modificato. Ad esempio sono state tolte alcune parti, tra le altre
quelle relative ad un riferimento della società a Sammichele di Bari,
ad un numero di cellulare che - a quanto si è potuto sapere -
apparterrebbe (ma non vi sono certezze) a Spinelli e ad un referente
che è proprio Salvatore Stefio". Un filo di luce nell’oscuro groviglio
internazionale di sigle per la security che coinvolgerebbero Stefio,
potrebbe oggi essere offerto proprio dalla ricostruzione del milieu
templare entro cui s’inscrive la sua recente affiliazione. E allora
vediamo.

TEMPLARI CONTRO TEMPLARI
Non di uno, ma di "numerosi Ordini Templari" si parla negli atti di
inchieste sulle stragi aperte in Sicilia e in altre Procure italiane.
L’origine storica, risalente ai Cavalieri del Tempio di Gerusalemme e
alle Crociate, é la medesima, ma numerose sono state nel tempo - ed
anche in anni recentissimi - le scissioni. A raccontare le cronache
degli ultimi “scismi” é uno dei due rami principali dei Templari, vale
a dire quell’ O.S.M.T.J. (Ordre Souverain et Militare du Temple de
Jérusalem) Gran Priorato della Lingua d’Italia, che sul piano giuridico
é un’associazione onlus, registrata col numero 3087 e sede in
Montevecchia (Lecco). Nel "1996-1997 - si legge nell’ampia cronologia
pubblicata da quest’Ordine - scomparso il Gran Balivo del Nord, Carlo
Franchini, quello del Centro-Sud Italia Bagnai, residente a Firenze,
abbandona l'Ordine insieme a Haimovici e Venceslai, fondando un ordine
OSMTJ-OSMTH del tutto personale e, naturalmente, senza alcun
riconoscimento ufficiale dell'Ordine O.S.M.T.J". Nasce dunque così in
Italia l'Ordine dei Cavalieri del Tempio di Jérusalem, quella vasta
diramazione templare che vede oggi in Stelio Venceslai il suo Gran
Priore d’Italia, in Pietro Testa il Commendatore di Palermo e, appunto,
in Salvatore Stefio uno fra gli ultimi affiliati in ordine di tempo. Ed
é proprio seguendo le gesta di Stelio Venceslai che parte l’incredibile
intreccio fra istituzioni e Templari. Partiamo dal Venceslai “uomo di
Stato”. Il 2 ottobre 2002 il ministro per le Politiche comunitarie
Rocco Buttiglione e il suo collega al Welfare Roberto Maroni varano
l’insediamento dell’organismo che avrà "il compito di coordinare e
attuare a livello nazionale le misure previste dalla Decisione del
Consiglio dell'Unione Europea del 3 dicembre 2001, che definisce l'anno
2003 come l'anno europeo delle persone disabili". Tutti prescelti fra i
più alti ranghi dai rispettivi ministeri, i componenti. Fra loro c’é il
"Dott. Stelio Venceslai - Ministero delle Attività Produttive". Non
meno rilevanti le funzioni svolte da Venceslai con il precedente
governo. Nel ‘99, ad esempio, troviamo il suo nome nel Comitato di
esperti insediato dalla presidenza del Consiglio con il compito di
"definire le linee strategiche di indirizzo per un approccio globale e
sistematico alla problematiche inerenti alla rete internet", in quanto
designato dal ministro dell'Industria, del Commercio e
dell'Artigianato. A giugno 2002, partecipando in Sardegna ai lavori
dell'undicesimo Congresso Internazionale dei Bic Europei, Venceslai
avanza la proposta di trasformare i Bic "in soggetti attuatori della
qualità delle imprese che si insediano nei paesi dell'Ocse ed extra
Ocse". La più recente presenza pubblica risale al 18 ottobre scorso,
quando Venceslai é fra i relatori del convegno nazionale su
‘Responsabilità etica e sociale dell’impresa”, in qualità di "esperto
di Cooperazione Economica Internazionale". Ma cosa ha a che vedere il
professor Stelio Venceslai, alta carica del ministero per le Attività
produttive, col Gran Priore d’Italia dell’Ordine dei Cavalieri del
Tempio di Jérusalem (con sede a Roma in viale Regina Margherita 140),
Stelio W. Venceslai? La “differenza” starebbe tutta in quella “W”,
sempre presente nelle pubblicazioni e negli atti dei Templari,
regolarmente assente se si parla del Venceslai funzionario al
ministero. Una pubblicazione di trent’anni fa, in tempi non sospetti,
aiuta a sgombrare il campo da equivoci. Nel 1975 il professor
"Venceslai, Stelio W." pubblica un saggio su “La politica industriale
della Comunità” per la rivista della Luic, l’Università di studi
economici di Castellanza, in provincia di Varese. Nello stesso anno
esce sul medesimo periodico un altro intervento a sua firma,
riguardante “Le imprese pubbliche europee”. Ne dà notizia
l’Associazione Essper, fondata proprio per guidare studiosi ed esperti
finanziari nella ricerca delle principali pubblicazioni in materia. In
quel periodo, dunque, la “W” era ancora presente nella firma di un
autore dei più importanti saggi sullo sviluppo economico della Comunità
europea. E di quella corposa esperienza internazionalista deve aver
fatto tesoro, in questi anni, il Gran Priore dei Templari Stelio W.
Venceslai. A cominciare dal fatto che il suo nome ricorre più volte
come rappresentante di diversi Stati nell’elenco dei Gran Precettori de
La Rochelle, istituto mondiale dei Cavalieri Templari. Con referenti
massimi in Australia (reverendo David Manning), Giappone (Steven
Smith), Canada (reverendo Ron Matthewman) ed America Latina (Robert
Robano), l’International Knights Templar conta ben 46 sedi di
rappresentanza in Europa. Stelio Venceslai é presente nell’elenco quale
referente per quelle di Andorra, Malta, Moldavia, Romania, San Marino,
Spagna e Città del Vaticano. Gran precettore mondiale de La Rochelle é
il norvegese Fredrik S. Michelet. Lo stesso compito spetta, per
l’Europa, a Marcel De Picciotto che risiede a Boulogne, in Francia.
Precettori per l’Europa Centrale e per il Sud America sono
rispettivamente il tedesco Simon de Saint Claire ed il già citato
Robert Robano. Il Segretariato generale é in Slovenia, la Tesoreria in
Grecia. Per le questioni legali ci si rivolge negli Stati Uniti e
precisamente al "Grand Avocat Donald A. Weadon jr", con studi in
Pensylvania, a New York e Washington. La Commenda di Palermo - quella
alla quale é stato iscritto Stefio - pubblica inoltre l’elenco
aggiornato dei link relativi ai Gran Priorati nel mondo. Dal Galles
all’Austria alla Finlandia, fino a Germania, Scozia, Serbia e Stati
Uniti, la presenza di questi Templari risulta diffusa ovunque. Spiccano
la delegazione Italiana (quella romana di viale Regina Margherita,
affidata a Venceslai) ed una delegazione della Nato, con sede ad
Arlington, affidata alle cure del Gran Priore Richard S. Flahavan. Il
marcato segno filostatunitense, del resto, é apertamente visibile in
apertura del sito, versione inglese. Ad accogliere il visitatore c’é
infatti l’immagine dell’ammiraglio James J. Carey, indicato come Gran
Maestro dell’Ordine che in Italia fa capo a Venceslai. Poco più sotto,
altre sorprese.

IN GEMELLAGGIO CON L’UNICEF
Un annuncio informa che l’8 marzo di quest’anno é stato sottoscritto a
Roma un Protocollo d’Intesa tra il Comitato Italiano dell’Unicef ed il
Gran Priorato d’Italia di questi Templari, per l’avvio di una
collaborazione permanente tra i due organismi, a partire dal
collegamento tra i rispettivi siti web, fino alla "partecipazione dei
Comitati provinciali dell’Unicef alle manifestazioni dell’Ordine ed
alla eventuale partecipazione del G. Priorato a progetti di comune
interesse od alla proposizione di proprie iniziative". Ecco alcuni
passaggi dell’intesa: "Considerato il fondamentale ruolo di mediazione
dell’Unicef nella protezione dei diritti dell’infanzia (...),
considerati gli scopi del Gran Priorato d’Italia - OSMTH", si
stabilisce che il Gran Priorato italiano "intende collaborare in
maniera continuativa con il Comitato italiano dell’Unicef in relazione
alla difesa dei diritti dei bambini in tutto il mondo per migliorare le
loro condizioni di vita". Per far questo, il Gran Priorato italiano
s’impegna ad "avere regolari contatti con l’Unicef per partecipare
effettivamente ai progetti e alle iniziative della Commissione in ogni
modo possibile". I Templari promettono inoltre contributi economici ai
progetti della Commissione "per un importo annuale pari a 5.000 euro,
esprimendo, quando necessario, opinioni su progetti e iniziative della
Commissione". Ancora: "Il Gran Priorato d’Italia s’impegna ad informare
i suoi cavalieri sui progetti della Commissione e di sollecitare
ciascun cavaliere alla collaborazione tra i comitati provinciali
dell’Unicef e le autorità locali del Gran Priorati per organizzare
eventi che facciano conoscere le iniziative dell’Unicef". Dal canto
suo, il Comitato italiano Unicef si incaricherà di "informare
regolarmente il Gran Priorato d’Italia-OSMTH sulle proprie iniziative
future" e a linkare sul proprio sito web quello del Gran Priorato. Uno
scambio di link che l’Unicef non ha finora mantenuto. A differenza di
quanto accaduto per l’intesa siglata appena due mesi dopo, a maggio,
tra Unicef e Polizia di Stato nelle persone del capo della Polizia
Gianni De Gennaro ed il neo-riconfermato presidente di Unicef Italia,
il settantaduenne chirurgo plastico catanese Giovanni Micali: dal sito
della Polizia, infatti, oggi un link collega direttamente a quello
dell’Unicef Italia.

NEOTEMPLARI ALL’ONU
Bando, dunque, ad ogni piagnisteo sul destino cinico e baro che ha
perseguitato Crociati e templari dal 1300 ai nostri giorni. Stelio
Venceslai, su questo punto, ha le idee chiare. A novembre 2003 un
comunicato del Gran Priorato austriaco ricorda che "il fratello
Venceslai ha proposto di stabilire un “fondo monetario” dei Templari".
L’idea pare non sia stata ancora attuata, ma questo non scalfisce la
concretezza degli ideali propagandati dal Cavaliere Venceslai,
bolognese di nascita, classe 1935, socio dell’elitario Rotary Nord
della Capitale. "Il nostro vero scopo - chiarisce rivolto agli
aspiranti Templari - é di raccogliere risorse significative con le
nostre iniziative, stimolando donazioni e sponsorizzazioni". "Il nostro
Ordine - aggiunge - pubblica le sue regole, dà visibilità alle sue
strutture ed alle sue azioni. Tutto ciò per noi è molto importante ed è
per questo che le varie branche nazionali sono legittimamente inserite
nell'ordinamento civile dei rispettivi Stati d'appartenenza e che lo
Statuto del nostro Ordine è stato regolarmente registrato in Svizzera e
che abbiamo recentemente ottenuto lo status di ONG dalle Nazioni
Unite". Dopo le notizie sull’intesa con l’Unicef, arrivano insomma nei
precetti di Venceslai ai suoi affiliati ben due “novità” in un solo
colpo. Primo: i Templari sono stati riconosciuti ufficialmente
Organizzazione Non Governativa. Secondo: il riconoscimento é avvenuto
ad opera dell’Onu. Con protocollo numero 19885 del luglio 2002, la
Sezione NGO delle Nazioni Unite informava i Cavalieri - secondo il
documento riportato nel loro sito in versione fotografica - che
"l’Economic and Social Council ha deciso di concedere all’OMSTH lo
status speciale e consultivo di Organizzazione Non Governativa".
Quindi, "l’organizzazione può ora designare rappresentanti ufficiali
alle Nazioni Unite di New York e agli Uffici delle Nazioni Unite a
Ginevra e Vienna". "I rappresentanti designati possono prendere i pass
nelle sedi loro assegnate". Segno dei tempi. Un saggio di Luigi De Anna
pubblicato su Nobiltà, la rivista dell’Istituto Genealogico Italiano,
getta luce proprio su questo fenomeno: il neo-templarismo. "Non si può
affrontare il tema dei self-styled orders o delle organizzazioni di
ispirazione cavalleresca - chiarisce De Anna - senza tenere conto del
filone neo-templare, anche in considerazione della fioritura in
numerosi paesi di organizzazioni che si ispirano alla tradizione
templare, prima tra tutte l’OSMTH (Ordine Sovrano e Militare del Tempio
di Gerusalemme), l’associazione neo-templare di maggior rilievo oggi a
livello internazionale, che ha recentemente acquisito addirittura lo
status di organizzazione non governativa riconosciuta dalle Nazioni
Unite grazie ad un’opera di lobbyng evidentemente molto efficace". Lo
spunto era stato offerto dal volume De Militum Templi Ordinis Regula
Libriisque Cogniti, "curato da Nicolas Haimovici Hastier in
collaborazione con Stelio W. Venceslai". Ciascuna fra le pubblicazioni
riportate nel libro reca la prefazione "del contrammiraglio James J.
Carey". Certo, é proprio lui: lo stesso Carey che abbiamo incontrato
come Gran Maestro mondiale dell’Ordine ma, soprattutto, lo stesso
ammiraglio che nel 1989 l’allora presidente americano George Bush
senior aveva nominato numero uno della Commissione Marittima Federale.
Lo stesso personaggio che compare nell’esclusivo elenco dei membri di
Naval Order, vale a dire la più antica ed esclusiva Società navale
americana. Insomma, un altro uomo delle istituzioni al vertice dei
Templari nel mondo.

RITA PENNAROLA


=== 5 ===

Da: "Silvia"
Data: Gio 22 Apr 2004 18:25:26 Europe/Rome
Oggetto: ACLI e MERCENARI (e la nonviolenza...?)

Ricevo:

"Quello che segue è il progetto di corso che l'Enaip-Acli organizza
insieme alla società di sicurezza israeliana. Lo ha raccolto Piero
Maestri dai vari siti. La cosa- già di per sè gravissima- lo diventa
ancor di più perchè questo non è "solo" uno delle migliaia di corsi che
l'Enaip fa; è l'unico che è stato presentato con conferenza stampa a
Roma il 15 aprile scorso dal Presidente delle Acli Bobba. C'è dunque
un'assunzione politica della cosa. Poichè sono sicuro che la stragrande
maggioranza dei membri delle Acli ha saputo questa cosa dalle reti di
movimento e non condivide nulla di questa iniziativa, credo sia
importante dare più diffusione possibilie alla cosa, chiedendo ai
militanti Acli di pronunciarsi pubblicamente contro. Molti chiarimenti
sono necessari, visto che le Acli fanno parte della Tavola della Pace e
di conseguenza del Comitato Fermiamo la Guerra. Per quel che mi
riguarda, credo che le Acli debbano immediatamente annullare quel
progetto, oltre a chiarirne pubblicamente le motivazioni politiche.
Aqui estamos. Marco Bersani (Attac)

> -- Messaggio originale --
> To: <Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.>,
> <Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.>,
> <Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.>,
> "Forum delle Donne" <forumdonne.prc@...>
> From: "nella ginatempo"
> Date: Wed, 21 Apr 2004 17:37:04 +0200
> Subject: [fori-sociali] Fw: CHIARIMENTO su ACLI e MERCENARI
>
> (...)
>
>> Come già detto in riunione nazionale ieri, chiedo un chiarimento
>> presso il Comitato Nazionale Fermiamo la guerra circa le attività di
>> formazione e addestramento di "operatori per la sicurezza" da parte
>> della ACLI in società
>> con la Logansltd, società israeliana.
>>
>> Il chiarimento è d'obbligo perchè:
>> a) se non sbaglio le ACLI fanno parte del Comitato Nazionale Fermiamo
>> la Guerra;
>> b) hanno predicato più volte la retorica della non-violenza e vari
>> biasimi pubblici contro le componenti più radicali del movimento
>> contro la guerra senza se e senza ma, accusandole di presunti
>> comportamenti violenti;
>> c) costruiscono, attraverso il progetto SCUDO un pensiero VIOLENTO e
>> una pratica VIOLENTA fondati sull'idea di una strategia armata per la
>> sicurezza e attraverso l'addestramento di Rambo privati.
>>
>> Non ho bisogno di aggiungere lo scandalo e l'indignazione che tutto
>> ciò mi ha provocato. Ogni commento è davvero superfluo. La cosa ha
>> già fatto scandalo ed è uscita anche sui giornali (Il Manifesto e Il
>> Messaggero). Ringrazio Piero Bernocchi per avere, per primo,
>> sollevato il caso. Basta leggere con attenzione i documenti che invio
>> nei tre allegati a questa mia.
>> Il primo è il testo della interrogazione parlamentare che i deputati
>> Deiana, Gianni, Mascia e Russo Spena hanno indirizzato sulla vicenda
>> del progetto SCUDO al Ministero degli Interni. Il secondo è il
>> documento pubblicitario della Logans e il terzo è il progetto SCUDO
>> delle ACLI.

>> Se volete approfondire la ricerca visitate questi siti:
>> www.logansltd.com, www.enaip.it . Nel caso non vi riuscisse di aprire
>> i miei allegati, rispondete a questa mia e li mando incollati al
>> messaggio di posta.
>>
>> MA STIAMO ATTENTI NOI PACIFISTI: A CAUSA DELLA TORSIONE DEL CONCETTO
>> DI PRIVATIZZAZIONE DELLA GUERRA E DEI CONCETTI DI DIFESA E SICUREZZA
>> ADESSO GLI OGM SONO TRA NOI.
>>
>> saluti Nella Ginatempo
>>
***********************************************

Programma S.C.U.D.O.
(Security Consulting United Didactics Organization)

Iniziativa formativa sulla sicurezza anti terrorismo e anti crimine per
responsabili e addetti alla sicurezza, dipendenti in generale degli
ambienti di lavoro a rischio di attentati o aggressioni.

Orientamenti progettuali

Una joint per dare sicurezza
La nuova ondata terroristica e di crimine organizzato attraversa un
momento di rapida escalation e turba la serenità della vita quotidiana,
seminando paura e preoccupazione nella società civile. I Governi e le
Organizzazioni Internazionali affrontano questa minaccia con
provvedimenti di emergenza e con l'adozione di regolamenti, direttive e
risoluzioni dedicati alla verifica dell'efficacia delle misure di
sicurezza già in atto ed alla realizzazione di piani specifici. Enaip e
Logans, interpreti dell'attuale disagio e forti dei propri strumenti
istituzionali promuovono ideato un programma a favore delle persone e
delle proprietà all'interno degli ambienti più "a rischio".

finalità di progetto

Programma S.C.U.D.O è un?iniziativa formativa realizzata per insegnare
a gestire le situazioni di minaccia di natura criminale o terroristica
che mettono in pericolo l?incolumità fisica, le attività e i beni delle
persone.

Il programma offre una formazione efficace per la:
prevenzione e riduzione dei rischi identificazione just in time delle
possibili minacce di atti criminali e terroristici protezione propria e
altrui in caso di attentato o di aggressione

I moduli formativi trattano le questioni collegate al crimine e al
terrorismo, le procedure di sicurezza, le tecniche di profilo e di
ispezioni, le risposte alle emergenze, le attrezzature di sicurezza e
lo sviluppo della professionalità del personale di sicurezza.

I corsi sono pienamente conformi ai nuovi emendamenti e regolamenti
nazionali, europei ed internazionali e sono diretti al settore dei
trasporti ( porti, aeroporti, compagnie marittime ed aeree), alle
Istituzioni, al Commercio e al mondo Industriale.

Catalogo:

Corso LG 01: Security Training specializzato per Ship Security Officer
(SSO) & Company Security Officer (CSO) Corso LG 02: Security Training
per addetti alla sicurezza nei porti e nei terminali portuali Corso LG
03: Basic Security Training per il personale portuale Corso LG 04: Basic
Security Training per gli equipaggi Corso LG 05: Corso di
specializzazione per Responsabile della sicurezza del Porto - PFSO ?
Port Facilities Security Officer Corso LG 06: Corso di specializzazione
per gli addetti di sicurezza per aeroporti Corso LG 07: Basic Security
Training per il personale aeroportuale Corso LG 08: Basic Security
Training per il personale di Compagnie Aeree Corso LG 09: Corso di
sicurezza antiterrorismo ed anticrimine per il personale delle industrie
Corso LG 10: Corso di sicurezza anticrimine per il personale delle
industrie Corso LG 11: Corsi di prevenzione contro il crimine per
Commercianti Corso LG 12: Basic Security Training per impiegati bancari
Corso LG 13 :Corso di formazione antiterrorismo per Ufficiali delle
Forze dell?ordine e per Istituzioni Governative Corso LG 14: Corso di
specializzazione per Guardie giurate per la lotta al terrorismo & al
crimine.

Scarica tutto il catalogo (678 kb in .zip)

Referenti organizzativi

Direttore di Programma
Mimma Giaccari giaccari@...

Responsabile del Coordinamento organizzativo
Antonio Migliorini
a.migliorini@...

Responsabile della Comunicazione
Micaela Mescolini
+39 06 72971021

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Partner di progetto:
ENAIP
LOGAN'S Ltd
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PROFILO DELLA SOCIETA?


La Logan?s Ltd è stata fondata nel 1988 da un gruppo di consulenti di
sicurezza, dotati di un vasto know-how e di una grande esperienza nel
campo della sicurezza antiterrorismo militare e civile. I fondatori
hanno riunito una serie di qualità e di capacità e le hanno integrate
per formare una sinergia vincente.

La Logan?s Ltd opera a livello internazionale ed offre le sue consulenze
ad istituzioni e sociètà , per lo sviluppo di soluzioni di sicurezza
personalizzate, professionali ed efficaci, sotto ogni aspetto.

La Logan?s Ltd è stata creata come risposta alle crescenti esigenze
della comunità internazionale; vale a dire la necessità di garantire la
sicurezza del personale, dei beni e delle strutture che sono soggetti a
dei livelli di rischio diversi. Lo scopo principale è quello di
permettere ai clienti di operare in un ambiente più sicuro, enfatizzando
costantemente l?importanza di essere preparati a qualunque evento.

?Il nostro obbiettivo è di aiutare nostri clienti ad operare con
successo in ambienti complessi ed in via di sviluppo, permettendo loro
di controllare e di eliminare qualsiasi rischio grazie ad una gamma
flessibile di soluzioni di sicurezza e di protezione create su misura?


I nostri servizi, eseguiti da massimi esperti di sicurezza israeliani ed
internazionali, vi aiuteranno a:

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infrastrutture, attuali e future. ? Conformarsi alle iniziative e
normative stabilite dalle Istituzioni internazionali ed europee. ?
Rafforzare l?immagine e la reputazione delle infrastrutture, a livello
nazionale ed internazionale. ? Incrementare i vostri affari e
conseguentemente i risultati finanziari futuri della vostra azienda.


Il Personale Logan?s


Il punto di forza della Logan?s è il suo personale. Le squadre dei suoi
esperti sono composte da: 1. Ex -alti ufficiali delle forze della difesa
israeliani, 2. Ex -alti ufficiali dell?Esercito e Senior della Marina
internazionali 3. Tecnici delle Forze speciali antiterrorismo
israeliani. 4. Specialisti di sicurezza antiterrorismo civile israeliani
ed internazionali 5. Ex ufficiali di Polizia internazionali 6.
Consulenti di Sicurezza specializzati in sicurezza marittima & aerea. 7.
Tecnici specializzati in tecnologia & in sistemi di sicurezza. 8.
Esperti di ?intelligence? internazionali

Per ogni progetto, la Logan?s s?impegna a formare i Teams più adeguati
per creare una sinergia vincente, al fine di massimizzare l?efficacia,
la professionalità e l?efficienza della sicurezza.


I nostri Clienti

La Logan?s offre i propri servizi ad istituzioni private e governative
in tutto il mondo. I progetti sono tutelati dalla massima riservatezza
data la natura dei servizi. Tra i suoi clienti, vi sono Società
Aeroportuali, Compagnie Navali, Autorità Portuali, Complessi
Industriali, Forze dell?Ordine ed Enti Governativi.

da http://www.radiocittaperta.it

07/02/2005

Wu ming sulle foibe


Reduci dalla visione del primo episodio de "Il cuore nel pozzo", ne
scriviamo.
Ci siamo sorbiti gli "italiani brava gente" che sembrano capitati lì
per caso, il repubblichino buono e "pacifista" , i partigiani sadici e
vampireschi, il solito prete, l'uso dei bambini come "scudi umani"
mentre si fa bieca propaganda...
Non una parola sull'italianizzazione forzata, sul razzismo anti-slavo,
sui massacri compiuti dai nazifascisti fino a pochi giorni prima. Tra
questi ultimi non poteva non esserci il personaggio interpretato da
Beppe Fiorello. Ci viene presentato quasi come uno sfollato
post-Armistizio, ma qui non siamo nel '43, siamo nella primavera del
'45. Quindi è un repubblichino. Quando parla dei suoi compagni morti in
azione, a quale azione si riferisce? Rappresaglie? Rastrellamenti?
Incendi di villaggi?

E i pochi slavi "buoni"? Le classiche eccezioni che confermano la
regola: buoni *benché* slavi, ma soprattutto: buoni perché
sufficientemente *italianizzati* (cioè, anche se nella fiction non
viene mai detto, *collaborazionisti*: una è la fidanzata del
repubblichino di cui sopra!).
Da questi ultimi, oltreché dal prete, tocca sorbirsi implausibili
pistolotti antirazzisti, come se in quelle terre (nel frattempo annesse
al Reich) nazionalismo e razzismo avessero fatto capolino con la
Resistenza e fossero fenomeni estranei al nazifascismo...
I timori degli antifascisti istriani e delle comunità slovene di qua e
di là dal confine erano pienamente giustificati. Non lo erano invece i
timori di certi figuri della destra, per i quali "Il cuore nel pozzo"
non era abbastanza schierato ed era addirittura eufemistico nel
denunciare i crimini dei partigiani. Costoro non si preoccupino, lo
sceneggiato risponde pienamente alle loro esigenze.

[Il regista Alberto Negrin, qualche anno fa, aveva diretto la fiction
su Giorgio Perlasca. Alla luce di quanto ci ammannisce ora, sospettiamo
che l'intento fosse accendere i riflettori sull'occasionale fascista
buono, uno che imboscava i deportandi anziché aiutare a metterli sui
treni, così da aprire la strada a nuove, interessanti rilettura. Si
veda la recente dichiarazione del camerata Gramazio, secondo cui
persino Giorgio Almirante - capo-redattore della rivista "La difesa
della razza" - era un salvatore di ebrei.]

Le foibe, è palese, vengono usate come "diversivo" da parte della
destra al governo, e per giunta diversivo pre-elettorale, come se a
guidare la GAD o la FED o come cazzo si chiama non ci fosse Prodi bensì
Josip Broz detto "Tito".
Madornali idiozie vengono scritte e ripetute in modo ossessionante,
come quella del "silenzio" su quegli eventi. Accade lo stesso per i
fatti successi più a Ovest, il "Triangolo rosso" etc.: ogni volta si
ricomincia da capo. Complice il Pansa di turno, par sempre di assistere
a una scoperta nuova, anche al trecentesimo libro (scientifico o
sensazionalistico che sia), al cinquantamillesimo scoop, alla
miliardesima puttanata detta in tv.
Tutto questo fingere che a Trieste e in Istria non sia successo nulla
prima del '45 fa venir voglia di rispondere con lo humour nero, come
qualche anno fa "Mladina", la rivista satirica slovena.

Estate 2000: "Mladina" mette on line un videogame modellato sul Tetris,
solo che l'ambientazione è l'orlo di una cavità carsica e i mattoncini
da far scendere sono - a scelta - cadaveri di "domobranci" (miliziani
filo-nazisti) o di partigiani titini.
Già questa ironica forma di "par condicio" (in realtà aderente alla
realtà storica, dato che nelle foibe furono gettati *prima* sloveni e
antifascisti e *poi* nazi e collaborazionisti) dovrebbe far drizzare le
orecchie, ma gli italiani che passano di là - su imbeccata di qualche
fascistone giuliano - non sanno lo sloveno né conoscono la storia. La
parola "domobranci" è per loro un mistero.
Il gioco viene scambiato per un attacco all'Italia, all'Italianità e
chi più ne ha più ne metta, anche se in "Fojba 2000" non figurano
italiani: le vittime virtuali - di destra e di sinistra - sono tutte
slave.

A rigore, uno che non sappia chi erano i domobranci non dovrebbe avere
il diritto di aprir bocca sulle foibe, tantomeno di scandalizzarsi per
quanto avvenne in quelle zone. Ma questo fa parte del problema: nessuno
sa un cazzo, e chi più apre bocca per darle aria è proprio chi meno sa.
Per farla breve, scoppia un grande scandalo al di qua del confine, e il
bello è che dalla messa on line sono già passati diversi anni. Come
sempre è tutto un cadere dalle nuvole, un finto rimanere a bocca
aperta, un artificioso indignarsi. Il ministro per l'innovazione
tecnologica Lucio Stanca chiede alla Farnesina di "attivare i canali
diplomatici affinché venga posta alle autorità slovene l'esigenza di
oscurare subito l'offensivo e vergognoso gioco". Le autorità slovene,
giustamente, se ne fottono.

A sfuggire è il contesto. "Mladina", con pazienza, lo spiega:
"Il gioco rifletteva il clima politico dell'estate del 2000, quando un
esecutivo di centrodestra aveva sostituito il governo di Janez
Drnovsek. Il premier era Andrej Bajuk, sloveno ritornato in patria
dall'Argentina, che non ha mai nascosto le sue simpatie per i
domobranci e l'ostilita' per tutto cio' che ricordava l'epoca di Tito.
Il suo governo duro' solo sei mesi, nell'ottobre del 2000 fu sconfitto
dalla coalizione di centrosinistra che riporto' al governo Drnovsek.
Nella presentazione ci si riferiva, infatti, alle elezioni imminenti.
'Offriamo ai lettori di Mladina un singolare attrezzo di fitness per un
allenamento preelettorale' "

Il gioco è qui (per giocare cliccate su "Torej"):
http://www.mladina.si/projekti/igre/fojba2000/
Se invece di giocare on line lo volete scaricare, cliccate qui:
http://www.thekey.it/modules.php?name=Downloads&d_op=getit&lid=18

Per chi invece non predilige lo humour nero, oppure a integrazione di
quest'ultimo, c'è il bel libro di Claudia Cernigoi, uscito nel 1997 per
le edizioni Kappa Vu di Udine, oggi disponibile gratis on line per
iniziativa dell'editore e dell'autrice. Si chiama: "Operazione foibe a
Trieste: come si mistifica la storia": https://www.cnj.it/foibeatrieste/
Cernigoi smonta, col metodo e gli strumenti dello storiografo serio, le
leggende, esagerazioni e falsità della propaganda di destra su questo
tema.

Chi non ha molto tempo a disposizione può rivolgersi a un testo più
breve (in pdf), un articolo di Federico Vincenti apparso su "Patria
Indipendente" (la rivista ufficiale dell'ANPI) nel settembre 2004:
http://www.anpi.it/patria_2004/08-04/17-18_VINCENTI.pdf

Non possiamo competere con la potenza di fuoco di uno sceneggiato
trasmesso in prime time da Rai1. Ma la guerra non è soltanto potenza di
fuoco, men che meno la guerra culturale.
[tratto da Giap#5, VIa serie - 7 febbraio 2005]

www.wumingfoundation.com

Un articolo del Prof. Angelo Floramo che comparirà domani sul settimanale
friulano "Il Nuovo FVG" ( http://www.nuovofriuli.com/ ). Contiene:

- commento introduttivo
- intervista a Claudia Cernigoi, autrice del libro: Operazione foibe: tra
storia e mito
- intervista a Gabriella Gabrielli, del gruppo Zuf de Zur sull'ultimo album:
Partigiani!

---

Il 10 febbraio si è celebrato il giorno del ricordo. No, non quello della
memoria (anche se i due lemmi potrebbero sembrare, ai più sprovveduti tra i
lettori, comuni sinonimi); quello c'era già. Ma è una memoria che appartiene
agli altri. Tutti gli altri: gli ebrei, gli zingari, gli omosessuali, i
comunisti, i preti rossi, i partigiani.. Un giorno che ogni 27 gennaio
ritorna con il suo corredo dejavu di filo spinato, stivali, vagoni piombati,
divise a strisce e numeri tatuati sul braccio. Suggestioni belle e pronte,
già divenute immaginario collettivo, tanto da agevolare migliaia di
chilometri di pellicole, documentari, drammi con effetti speciali alla
Steven Spielberg. Senza contare poi che quella giornata la si celebra in
virtù dell'Armata Rossa, che come tutti ben sanno fu il braccio militare
dell'Impero del Male. Furono i ragazzi del generale Zukov infatti ad aprire
i cancelli dei campi. No. Si sentiva proprio il bisogno di qualcosa di
diverso, di "italiano". Di esclusivamente italiano, di "nostro", insomma,
qualcosa da contrapporre alla memoria degli altri. In fondo Auschwitz. non è
un monumento che ci appartiene. Non del tutto, almeno. Come non ci
appartiene San Sabba, quel bubbone così politicamente scorretto che deturpa
nel cuore della Trieste riguadagnata all'Italia il mito degli "italiani
brava gente". Meglio dunque seguire il consiglio del poeta Carolus Cernigoy,
che rivolgendo il pensiero proprio alla Risera chiedeva ironico ai
triestini: " Su femo i bravi. / In fondo xe un brusar / ebrei e sciavi. Gli
altri, appunto. Coloro che ben prima delle leggi razziali varate nel 1938 si
videro negare i diritti più elementari di uomini e cittadini. Chissà se
pensieri simili a questi hanno mosso il ministro Maurizio Gasparri quando ha
patrocinato, voluto, richiesto l'istituzione di una "giornata del ricordo",
ispirato dalla "ferma volontà" di un deputato di Alleanza Nazionale, l'italianissimo
e triestinissimo Roberto Menia, "un autentico patriota che ha voluto con
forza questo gesto di riparazione che il Parlamento ha condiviso e che
finalmente ricolloca nella memoria collettiva pagine di storia a lungo
rimosse", come lo stesso onorevole ha recentemente sottolineato sulle
colonne del "Secolo d'Italia". Il ricordo delle foibe, dell'esodo di
migliaia di istriani, fiumani e dalmati ha perfettamente soddisfatto alla
bisogna. Era già pronto. Quale altra pagina di storia avrebbe mai potuto
coniugare meglio tante ossessioni così care alla Destra come il comunismo, l'orda
slava, l'amor di Patria che si spinge fino all'eroico martirio, il
sacrificio dell'italianità e la subliminale (?) convinzione che in fondo in
fondo il Fascismo ha pur sempre rappresentato (pur con i suoi errori e le
sue manchevolezze) la luce dell'italica virtù contro la barbarie dello
straniero, e dello straniero slavo e comunista in particolare ! Lo sosteneva
anche l'irredentista Ruggero Timeus Fauro, in anni non sospetti (tra il 1911
e il 1915), spiegando che "la lotta nazionale è una fatalità che non può
avere il suo compimento se non nella sparizione completa di una delle due
razze che si combattono.Se una volta avremo la fortuna che il governo sia
quello della patria italiana, faremo presto a sbarazzarci di tutti questi
bifolchi sloveni e croati"! E la fortuna l'hanno avuta. Esercitandola per
più di vent'anni. Comunque ora l'occasione è finalmente arrivata. Anche noi
italiani abbiamo la nostra giornata del ricordo, guadagnandoci finalmente il
posto tra le vittime degli eccidi. Peccato che sia un ricordo senza memoria.
Se di ricordo si deve parlare infatti, perché non ricodare tutto, fino in
fondo, senza paura ? Davanti ai "martiri delle foibe", in cui la follia
nazionalista fece cadere molti innocenti, si rievochi anche l'incendio del
Narodni Dom di Trieste, nel 1920, o la strage di Strunjan-Strugnano, del
1921, quando i fascisti, tra Isola e Pirano, spararono da un treno in corsa
su di un gruppo di bambini intenti a giocare, uccidendone due, ferendone
gravemente altri cinque. Si ricordi l'allontanamento forzato dagli uffici
pubblici di tutti i dipendenti di etnia slovena e croata in virtù delle
leggi speciali per la difesa dello Stato, varate nel 1926. Non si
dimentichino le umiliazioni subite da coloro che dovettero cambiare nome,
che non poterono più parlare la loro lingua, che videro violentata l'identita
dei loro paesi, in nome dello svettante tricolore. Ricordiamo anche le
deportazioni di massa di civili nei campi fascisti di Rab-Arbe in Dalmazia o
di Gonars, nella pianura friulana. Furono in tanti a non tornare più a casa.
Sull'orlo delle foibe dovremmo avere il coraggio di chiamare per nome, uno
ad uno, tutti gli 11606 internati croati e sloveni, tra cui moltissime donne
e bambini, morti nei lager italiani tra il 1941 e il 1943. La verità, tutta
la verità, soltanto la verità potrà onorare la Storia. Ma forse il problema
è un altro, e ben lontana dalla verità è la motivazione che sta alla base di
questa "giornata". Perché in fondo tutti questi non sono i "nostri" morti.
Sono i morti degli "altri" e la loro memoria non ci appartiene. Il 10
febbraio, da ieri, è un'esclusiva squisitamente italiana. Parola di
Gasparri. E con parere quasi unanime di tutto il Parlamento italiano. A chi
dunque il ricordo ? A noi !



***



Claudia Cernigoi è nata a Trieste nel 1959. Giornalista pubblicista dal
1981, ha collaborato alle prime radio libere triestine e oggi dirige il
periodico "la Nuova Alabarda" Ha iniziato ad occuparsi di storia della
seconda guerra mondiale nel 1996, e nel 1997 ha pubblicato per la Kappa Vu
il suo primo studio sulle foibe, Operazione foibe a Trieste. In seguito ha
curato una serie di dossier (pubblicati come supplemento alla "Nuova
Alabarda") su argomenti storici riguardanti la seconda guerra mondiale e
sulla strategia della tensione. Nel 2002, assieme al veneziano Mario
Coglitore, ha pubblicato La memoria tradita, sull'evoluzione del fascismo
nel dopoguerra (ed. Zeroincondotta di Milano). Esce proprio in questi giorni
"Operazione Foibe. Tra storia e mito", edito dalla Kappa Vu dell'editrice
Alessandra Kersevan. La monografia, ricchissima di documentazione, è stata
presentata a Trieste lo scorso 7 febbraio.



La memoria lottizzata. In epoca di revisionismi, riletture,
decontestualizzazioni, sembra proprio che il dibattito gridato diventi l'unica
possibilità di intervento. Ma chi di storia si occupa lascia che siano i
documenti a parlare, tacitando gli umori e gli isterismi di ogni colore.
"Operazione Foibe", con i suoi ricchi apparati documentari, si prefigge
questo scopo. E'una ricerca che l'ha impegnata per oltre sette anni, sette
anni di meticolose indagini seguite a una prima edizione, già di per sé
estremamente ricca e stimolante. Qual è stata la motivazione che l'ha spinta
(ogni storico ne ha una!) e cosa ne è emerso ?



Chi non vive a Trieste non può conoscere il clima che si respira in questa
città che il poeta (triestino) Umberto Saba definì "la più fascista d'Italia".
Quindi devo spiegare che da noi le campagne stampa o campagne politiche
sulla "questione foibe" sono più o meno cicliche. Tanto per fare un paio di
esempi: una campagna si sviluppò a metà anni Settanta, per fare da
contraltare all'istruttoria e poi al processo in corso per i crimini della
Risiera di San Sabba. In altri periodi per contrastare le mobilitazioni per
la legge di tutela degli Sloveni in Italia. Otto anni fa, quando per la
prima volta ho iniziato ad occuparmi seriamente di "foibe", era il momento
in cui era iniziata una nuova campagna, questa volta in parte come
"risposta" di destra al processo Priebke ed in parte, a mio parere, perché
dopo lo sfascio della Jugoslavia c'era chi aveva interesse in Italia a
destabilizzare ulteriormente Slovenia e Croazia che non vivevano una
situazione proprio tranquilla, a scopo neoirredentista. Il fato nuovo, all'epoca,
fu che da polemiche politiche si era passati ad un più alto livello di
scontro, se mi si passa l'espressione: cioè era iniziata un'inchiesta
giudiziaria per i cosiddetti "crimini delle foibe", e questa inchiesta stava
coinvolgendo ex partigiani che avevano ormai raggiunto una certa età, ed a
questo punto decisi che era il caso di fissare dei paletti in merito ai
presunti "crimini delle foibe", dato che non mi sembrava giusto che quelli
che all'epoca, non conoscendoli, mi venne da definire "poveri vecchietti" (e
voglio subito dire che i "poveri vecchietti" che ho conosciuto in seguito a
queste mie ricerche erano tutti anziani sì, logicamente, ma pieni di energie
e di voglia di fare) dovessero venire messi sotto giudizio sulla base di
inesistenti prove storiografiche, come i libri di Marco Pirina e di Luigi
Papo. Così presi in mano sia i libri di Pirina, sia gli studi sugli
"scomparsi da Trieste per mano titina" (sia chiaro che certe terminologie
non mi appartengono, ma le riporto perché questa, purtroppo, è la vulgata
vigente), per cercare di capire l'entità reale del fenomeno "foibe". In base
a questo è nato il primo "Operazione foibe", che aveva come scopo
essenzialmente spiegare che gli "infoibati" non erano migliaia, né molte
centinaia, nonostante quello che si diceva da cinquant'anni. Per esempio, da
Trieste nel periodo di amministrazione jugoslava (maggio 1945), scomparvero
perché arrestati dalle autorità, o perché morti nei campi di internamento
per militari, o ancora per vendette personali, circa 500 persone, e non le
1458 indicate da Pirina, che aveva inserito tra gli "infoibati" anche
persone ancora viventi oppure partigiani uccisi dai nazifascisti.



"Tra storia e mito". E' il significativo sottotitolo del suo libro. A
sessant'anni di distanza sembra ancora molto difficile separare le due cose,
o perlomeno impedire che si influenzino a vicenda. E' facile per chiunque
voglia stravolgere i fatti vestire la storia con i panni del mito. Il
recente dibattito stimolato dal discusso film in uscita per Rai Fiction: "Il
cuore nel pozzo", ne è la più evidente dimostrazione. E proprio questa
incerta lettura intorbida la memoria e agevola ogni possibile
strumentalizzazione politica. Accade ancora per Porzus, accade per le foibe
e per molte altre tragedie del Novecento. Perché ? E' forse colpa della
controversa realtà di confine? O qui da noi la storia indugia, stenta a
passare...e quindi diventa facile occasione di attualizzazione, veicolandola
nei labirinti del dibattito politico?



Sulla questione delle foibe non è mai stata fatta veramente ricerca storica.
Altrimenti, come prima cosa, non si parlerebbe di una "questione foibe",
perché le persone che veramente sono morte per essere state gettate nelle
foibe istriane o carsiche sono pochissime, rispetto non solo alle migliaia
di morti (sempre per parlare del territorio della cosiddetta "Venezia
Giulia", cioè le vecchie province di Trieste, Gorizia, l'Istria e Fiume) di
quella enorme carneficina che fu la seconda guerra mondiale, ma degli stessi
morti per mano partigiana. Voglio ricordare che la maggioranza di questi
fatti si riferiscono a cose accadute in periodo di guerra: ad esempio i
circa 400 "infoibati" che furono uccisi nell'Istria del dopo armistizio
(settembre '43), non possono che essere inseriti in un contesto di guerra.
Però è da rilevare che mentre tutti (storici e mass media, oltre a
politicanti e propagandisti) si sconvolgono all'idea di questi 400 morti,
non battono ciglio di fronte alla notizia storicamente dimostrata che il
ripristinato "ordine nazifascista" in Istria nell'ottobre '43 causò migliaia
di morti, deportati nei lager, paesi bruciati e rasi al suolo e violenze di
ogni tipo. È come se ci fossero, secondo certa storiografia, istriani di
serie A e istriani di serie B, cioè rispettivamente quelli di etnia
italiana, la cui morte deve destare orrore e scandalo, mentre per gli altri,
quelli di etnia croata o slovena, sembra essere stata una cosa "normale" che
siano stati colpiti dalla repressione nazifascista.



Al contrario uno dei pregi della sua ricerca è proprio la
"contestualizzazione dei fatti", dalla quale è impensabile prescindere per
tentare almeno di capire il fenomeno nella sua complessità. Come vanno
contestualizzate le foibe? Qual è la chiave per comprenderne i significati
storici, sociali..forse anche antropologici?



Ho già accennato al fatto che le foibe sono diventate appunto un "mito", in
quanto il fenomeno in realtà è un "non fenomeno" che è diventato tale a suon
di propaganda. Che questa propaganda sia stata sviluppata esclusivamente su
fatti concernenti il confine orientale (ricordiamo che in Francia, dopo la
liberazione, ci furono delle vendette contro gli italiani, già occupatori,
che erano stati fatti prigionieri, però nessuno in Italia ha mai detto
niente su questi episodi) ha secondo me diversi significati. Il primo è che
i vari governi italiani succedutisi negli anni (dalle guerre di indipendenza
del Risorgimento, per intenderci) hanno sempre tentato l'espansione ad est,
quindi il fatto di avere perso, dopo la fine della guerra, un bel pezzo di
territorio orientale ha significato una grossa frustrazione per i
nazionalisti. Inoltre ha pesato il fatto che qui i vincitori erano non un
esercito considerato regolare e di una potenza come potevano essere Gran
Bretagna o Stati Uniti, ma si trattava di un esercito popolare, partigiano,
comunista, e composto da popoli "slavi", considerati "inferiori" dal
nazionalfascismo italiano. Quindi nella frustrazione per la perdita della
guerra vanno qui inserite anche le componenti anticomuniste ed antislave.
Grave mi è sembrato però leggere l'Unità (non il Secolo d'Italia o Libero!)
che (cito) parla di "odio degli slavi verso gli italiani", generalizzando un
concetto inesistente con connotazioni oserei dire razziste. Come si può
attaccare la destra xenofoba quando se la prende con gli immigrati e poi
esprimersi in questi termini?

Quanto alla "contestualizzazione", vorrei dire che è impossibile fare un'analisi
unica di un fenomeno che non è un fenomeno. Parliamo degli scomparsi da
Trieste? Un centinaio di essi sono stati condotti a Lubiana e probabilmente
fucilati dopo essere stati processati come criminali di guerra;
centocinquanta o duecento sono forse i morti nei campi di internamento per
militari; una cinquantina le vittime recuperate da varie foibe e per le
quali si ricostruì che erano state uccise in regolamenti di conti e
vendette. Però diciotto di questi "infoibati" erano stati uccisi da un
gruppo di criminali comuni che si erano infiltrati tra i partigiani. Come si
può contestualizzare una simile varietà di cause di morte? Ecco perché
secondo me non si può parlare di "fenomeno" foibe. Quanto ad un'altra
vulgata che va attualmente per la maggiore, cioè che si trattò di
repressione politica contro chi poteva creare dei problemi all'instaurazione
di un nuovo stato comunista, secondo il mio parere se fosse stato questo il
motivo delle eliminazioni, non sarebbero state uccise così poche persone.
Forse posso sembrare cinica mentre lo dico, voglio chiarire che la mia è
solo un'analisi storico-politica, non intendo mancare di rispetto a nessuno.
Ma teniamo presente che a Trieste gli squadristi della prima ora, quelli che
avevano la qualifica di "sciarpa littoria" e veterani della marcia su Roma
erano più di 400; 600 membri contava l'Ispettorato speciale di PS (una
struttura antiguerriglia che lavorava come squadrone della morte in funzione
repressiva antipartigiana), e non contiamo poi le Brigate Nere, la Polizia
non politica, la Milizia territoriale. i funzionari del Fascio che rimasero
al proprio posto. Se si fosse voluto fare un "repulisti" politico, gli
uccisi sarebbero stati dieci volte tanto, ritengo.



Su questa tragedia c'è stato un colpevole silenzio della sinistra che
dev'essere rimosso". Sono le parole dell'onorevole WalterVeltroni, sindaco
di Roma, pronunciate durante la sua recente visita alla foiba di Basovizza.
Come le interpreta ? Tenendo anche conto del fatto che tale silenzio (che
non ha riguardato la solo sinistra, in verità) ha anche permesso alle destre
di classificare ideologicamente tutti i partigiani sloveni e croati (e non
solo loro) come infoibatori, permettendo anche di rimuovere dalle coscienze
degli italiani il clima politico e culturale che per vent'anni il regime
fascista ha imposto a quelle terre, perpetrando violenze fisiche e
psicologiche di estrema gravità !



Io sono dell'opinione che, ammesso e non concesso che di foibe non si sia
mai parlato prima (cosa che non è vera, visto che di libri - non solo di
propaganda disinformativi, ma anche seri come il primo studio di Roberto
Spazzali, "Foibe un dibattito ancora aperto", uscito nel 1992 - ne sono
usciti molti), questo fatto non può giustificare in alcun modo che adesso se
ne parli senza cognizione di causa, ma solo riprendendo le vecchie notizie
della propaganda nazifascista, senza un minimo di senso critico. Quanto ai
crimini commessi dall'Italia fascista, coloniale e imperialista, in Africa
come nei Balcani, fino a Grecia ed Albania durante la guerra, su di essi sì
è calato un pesante silenzio, una censura totale, al punto che il buon
documentario di Michael Palumbo, "Fascist legacy" sui crimini di guerra
italiani (e su come i criminali se la sono cavata senza problemi) è stato
"infoibato" dalla RAI che non ha la minima intenzione di mandarlo in onda,
dopo averlo acquisito. Però la RAI finanzia sceneggiati televisivi di
disinformazione sulle foibe: questo dovrebbe essere un motivo di scandalo,
non tanto che Gasparri promuova il filmato che lui stesso ha ispirato un
paio di anni fa.



Restiamo in tema. Quando l'onorevole Veltroni ha deposto la rituale corona d'alloro
anche ai piedi del monumento che ricorda la fucilazione di cinque sloveni
fucilati per ordine del Tribunale Speciale Fascista, ha suscitato lo sdegno
di Roberto Menia il quale ha affermato che "mentre non vi e' nulla da dire
per cio' che riguarda le tappe di Veltroni alla Foiba di Basovizza e alla
Risiera, anche se fatte con qualche decennio di ritardo, e' evidente che non
possono essere eletti a martiri di una italianita' cattiva nel 1930, coloro
che erano dei terroristi macchiatisi di reati di sangue e di omicidi. Questi
non possono essere contrabbandati per martiri ed e' evidente che Veltroni
sbaglia ed e' sbagliata questa ricostruzione che e' la ricostruzione che
vuol fare la sinistra". Una ulteriore dimostrazione di quanto abbiamo detto
fin'ora ?



È un dato di fatto che i martiri di Basovizza siano stati fucilati dopo una
sentenza di un Tribunale speciale di uno stato non democratico. Quindi prima
di accettare acriticamente la sentenza di questo Tribunale che li definiva
"terroristi", io quantomeno pretenderei, in democrazia, un nuovo processo,
per determinare quali fossero effettivamente le loro responsabilità
concrete. Ma a prescindere da questo, resta il fatto che la loro lotta era
contro un regime dittatoriale che, spero, nessun democratico di oggi intende
avallare come legittimo. Quindi che loro fossero o no "terroristi", secondo
me non ha la minima importanza da un punto di vista storico. Erano degli
antifascisti che lottavano contro la dittatura: tutto qui. In Germania
nessuno avrebbe il coraggio di chiamare "terroristi" gli attivisti della
Rosa bianca o Canaris che attentò, senza successo a Hitler. In altri tempi,
il tirannicidio era cosa considerata corretta, in fin dei conti.



Alessandra Kersevan, il suo editore, ha affermato di essere consapevole che
i risultati della ricerca non basteranno a tacitare la propaganda
antipartigiana che continua con toni sempre più violenti, anche da parte di
alcuni autori ritenuti fino a qualche tempo fa vicini alle tematiche della
Resistenza. L'auspicio è tuttavia che serva acciocchè si affrontino tali
tematiche con il dovuto rispetto storiografico, tenendo conto della
documentazione presentata . E' in fondo questo il valore civile della
Storia, non le pare?



***



Operazione "Partigiani !" A sessant'anni dalla Liberazione, in epoca di
"memorie deboli" e di revisionismo convinto, esce un disco che raccoglie i
canti della Resistenza. E per di più sono voci che vengono da terre in cui
più feroce, aspro e doloroso fu lo scontro. Le terre del confine, quelle del
carso goriziano, dove partigiani italiani, friulani e sloveni combatterono
assieme contro i nazifascisti. Gabriela Gabrielli, degli 'Zuf de Zur, è la
voce di questa epica corale, che idealmente si allarga a tutti i luoghi in
cui la scelta difficile e sempre dolorosa di combattere ha privilegiato l'opzione
per la Libertà contro ogni forma di tirannia dell'Uomo sull'Uomo. Ma come
nasce il progetto, cosa vi ha animato ?



Questo Cd nasce da un spettacolo musicale intitolato "Le vie dell'Eresia",
messo in scena due anni fa. Si trattava di uno spettacolo che raccoglieva
una serie di testimonianze ai confini fra poesia e musica che raccontavano
la storia della Lotta di Liberazione della nostra città, Gorizia. Un
percorso di giustizia sociale che, partendo dalle memorie di chi aveva
combattuto la guerra di Liberazione nelle formazioni partigiane o che
comunque aveva scelto di "resistere", voleva riproporre l'attualità di un
messaggio che è innanzitutto insofferenza per l'oppressione e amore per la
libertà.

Da qui l'idea di farne un CD, soprattutto oggi che queste tracce assumono
maggior valore, da un parte inutili, sterili polemiche, dall'altra
indifferenza rispetto alle passate ed alle nuove sofferenze.



Il vostro lavoro risulta essere anche una fonte documentaria di notevole
pregio, sia per il recupero dei testi e delle musiche che per la
contestualizzazione dei fatti. Non è solo un'operazione filologica e
storica, ma civile. E' una risposta a quanto oggi propongono letture
"inedite" della Resistenza ?



Siamo felici che tu dia un giudizio così buono sul lavoro che abbiamo fatto,
nato perlopiù da spinte dettate dal cuore senza velleità filologiche
particolari.Ci è costato due anni di fatica, con persone che ci
sconsigliavano di farlo, ritenendola un'operazione musicale e culturale
anacronistica e fuori luogo. Per noi non è stato e non è così, soprattutto
oggi nel clima politico e culturale di basso profilo in cui viviamo. Se
questo nostro lavoro può essere una risposta a tutto questo e in special
modo ad una lettura revisionista della Storia (cosa che da più parti si sta
cercando di fare) non può che farci piacere.



Quello che colpisce maggiormente dall'ascolto e dalla lettura del vostro
album sono proprio i profili intensi delle donne e degli uomini che hanno
combattuto. Oltre ogni possibile retorica ne emergono i tratti, forti e
struggenti, profondamente umani: Friderich Sirok, Goriziano, arrestato a
sedici anni per aver inciso col temperino una falce e martello e mai più
tornato a casa; il comandante "Lauro", che dopo un'azione afferma: "si può
essere in gamba anche senza sparare". Enrichetta, la partigiana "zingara"
morta nell'eccidio di Temnica, sul Carso Triestino..ma dove sono le belve
assetate di strage ? O gli ancor più prosaici rubagalline travestiti da
eroi?



Le figure che compaiono nelle pagine del libretto e di cui si sente l'eco
delle canzoni sono figure che fanno parte della storia di Gorizia e della
storia personale di Mauro Punteri (autore del gruppo): il comandante Lauro
era suo padre, Friderick Sirok, suo zio da parte materna, l'idea era proprio
quella di parlare di persone "normali", uguali a noi, persone normali che ad
un certo punto della loro vita, trovandosi in una situazione di guerra, di
mancanza di diritti, hanno dovuto fare delle scelte. Cosa faremmo noi se ci
trovassimo in una situazione analoga? E' una domanda che non ci sfiora
nemmeno.. e spesso non ci rendiamo conto che in questo stesso momento ci
sono decine e decine di situazioni di guerra nel mondo, e che persone come
noi le stanno provando sulla loro pelle. e non occorre andare tanto lontano.
non dimentichiamo che solo dieci anni fa, a sette ore di macchina, c'era l'assedio
di Sarajevo .



Il disco è introdotto dalle parole di Giovanni Padoan: "Oggi, rivivere i
fatti della resistenza vuol dire attualizzarli, vivere di memoria non serve".
Sono davvero emblematiche, quasi una risposta al dibattito di questi giorni,
così polemico, così acceso, così poco civile da contrapporre i morti e
rileggere le "memorie" in chiave puramente ideologica. Le canzoni che voi
raccogliete sono la voce di quelle memorie. Sono passati sessant'anni. Cosa
va gridando ancora, quella voce ?



Il significato di questo lavoro sta in due citazioni, che si ritrovano nel
Cd , la prima la si può leggere nella prefazione a Canti clandestini di
Carolus Cergolj "oggi i cieli sono puliti, ma non bisogna dimenticare come
certi vorrebbero le lacrime ed il sangue versato per renderli puliti" e
questo è il valore della memoria, che è importante, importantissimo, perché
almeno teoricamente dovrebbe impedirci di ripetere errori del passato.Ma la
memoria da sola non basta, deve essere utilizzata in qualche modo,
altrimenti diventa sterile commemorazione. e qui entrano le parole del
comandante Vanni (Giovanni Padoan sue sono le parole che aprono il cd)
"vivere solo di memoria non serve. essere partigiani oggi vuol dire
difendere i diritti, i diritti dell'uomo, i diritto del cittadino, i nostri
come quelli, già calpestati, di tutte quelle persone che vengono da noi
sperando di trovare un futuro migliore. Difenderli con gli strumenti che la
democrazia ci mette a disposizione.". I musicisti lo possono fare con la
musica.

UE: FINI, CROAZIA ENTRERA' SE COLLABORA SU CRIMINALI GUERRA

(ANSA) - TRIESTE, 10 FEB - ''La Croazia avviera' il negoziato per l'
adesione all' Unione Europea, solo se collaborera' con il Tribunale
internazionale dell' Aia per riconsegnare i criminali di guerra'': lo
ha detto il Ministro degli Esteri, Gianfranco Fini, intervenendo a
Trieste, al Teatro Verdi, alle cerimonie per il ''Giorno del Ricordo''.
Sottolineando che ''non lo ha chiesto solo l' Italia, ma tutti i 25
Paesi dell' Unione'', Fini ha invitato la platea a ''capire e
convivere''. Riguardo inoltre alla mancanza di indennizzi per gli esuli
di Istria e Venezia Giulia e Dalmazia, Fini ha sottolineato che ''non
aver trovato un modo per l' indennizzo la dice lunga sull' ignavia che
per anni e' regnata su questa vicenda. E gli amici croati lo sanno''.
Fini ha poi concluso sottolineando che ''non e' con i rancori che si
costruisce la storia, ma con la verita'''. (ANSA). BUO/MST
10/02/2005 13:59


REPETITA JUVANT:


Da: "Coord. Naz. per la Jugoslavia"
Data: Lun 10 Gen 2005 10:15:28 Europe/Rome
Oggetto: [JUGOINFO] Visnjica broj 471


L'HAN GIURATO


8 novembre 1992: Gianfranco Fini e' ritratto al fianco di Roberto Menia
(allora segretario della federazione MSI-DN di Trieste) al largo
dell'Istria, nell'atto di lanciare in mare bottiglie tricolori recanti
il seguente testo:

<< Istria, Fiume, Dalmazia: Italia!...
Un ingiusto confine separa l'Italia dall'Istria, da Fiume, dalla
Dalmazia, terre romane, venete, italiche.
La Yugoslavia [sic, con la Y] muore dilaniata dalla guerra: gli
ingiusti e vergognosi trattati di pace del 1947 e di Osimo del 1975
oggi non valgono piu'...
E' anche il nostro giuramento:
"Istria, Fiume, Dalmazia: ritorneremo!" >>

Vedi: https://www.cnj.it/immagini/meniafini.jpg

( fonte: redazione de La Nuova Alabarda -
http://www.NuovaAlabarda.tk

Sull'irredentismo di Gianfranco Fini, oggi leader della formazione
nazionalista "Alleanza Nazionale" e Ministro degli Esteri della
Repubblica Italiana, vedi anche:

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3522/1/51/
<< Spalato all’Italia, Trieste alla Croazia (18.10.2004)
Reazioni in Croazia alle dichiarazioni del vice premier italiano Fini
su Istria, Fiume e la Dalmazia... >> )