COORDINAMENTO NAZIONALE PER LA JUGOSLAVIA - onlus ITALIJANSKA KOORDINACIJA ZA JUGOSLAVIJU |
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In memoria di
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La generosità di Giuseppe Lo scorso aprile moriva a
Genova, nella clinica dove da tempo era ricoverato,
Giuseppe Torre, compagno generoso, conosciuto
personalmente da diversi di noi.
Già qualche anno fa Giuseppe si era informato presso di noi ed altre associazioni sulla possibilità di fare testamento a favore di iniziative internazionaliste e contro la guerra. Poi, pochi giorni prima di morire, Giuseppe ha contattato la nostra Samantha chiedendole informazioni dettagliate sulle nostre attività. Lo conoscevo da un po' di anni, circa sette, perché era un sostenitore e "benefattore" anche di Un Ponte per… Lui passava al Ponte e faceva delle donazioni di denaro, così senza preavviso, perché ha sempre vissuto in un modo un po' anticonsumista, direi. (…) Si interessava di politica internazionale e scriveva anche delle cose, che pubblicava su delle riviste tematiche di provincia, lì a Genova. Era un antiimperialista e anti NATO, quello sicuro. Il suo rapporto con la Chiesa e la religione era di amore ed odio, accusava la società religiosa di averlo distrutto, perché aveva donato molto e ricevuto pochissimo. (…) Era un appassionato e amante della Jugoslavia e poi anche sostenitore della causa serba… (…) Parlavamo spesso della Serbia, dei miei viaggi, e mi chiedeva di mandargli notizie quando volevo. Gli ho raccontato un po' di cose, del CNJ e anche di Non Bombe, che mi stavo trovando bene. Gli spiegai un po' le caratteristiche ed anche il tipo di gestione e di risorse. L'ultima cosa che gli ho mandato era l'iniziativa di "nA More con AMore". Ma gli mandai prima anche delle rassegne del CNJ. Gli piacevano molto le iniziative con i ragazzini, spesso ha contribuito, anche in questi ultimi anni con noi. L'ultima volta che ci siamo sentiti, mi chiese di inviargli i dati delle associazioni di cui facevo parte...Lo scopo della richiesta è stato chiarito in maniera inequivocabile quando, a inizio settembre, abbiamo ricevuto una lettera da parte di un Notaio di Genova. L'11 settembre u.s. il nostro presidente Ivan Pavicevac si è perciò recato a Mignanego (Genova), su invito dell' Avv. Notaio Paolo Lizza, alla lettura del testamento di Torre Giuseppe, nel quale è stato citato, tra molte altre organizzazioni e soggetti beneficiari, anche CNJ onlus. Il patrimonio comprende beni di diversa natura (case, terreni, automobili, bestiame, fondi vincolati e liquidi, cambiali da riscuotere...) ed è in corso l'inventario. L'ammontare e i tempi di acquisizione per CNJ-onlus si vanno precisando in questi giorni. In attesa di maggiori informazioni su questa eredità, non possiamo far altro che esprimere la nostra gratitudine ad un compagno, un militante per la pace e l'amicizia fra i popoli, che ha pensato anche al nostro lavoro quando è stato il momento di decidere che cosa era importante per il futuro. Un futuro nel quale avremo Giuseppe sempre al nostro fianco. |
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Nel Kosovo i Serbi, i Rom e tutte le etnie non albanesi, vivono l'incubo della "soluzione finale". Allo stillicidio delle uccisioni e degli attentati, in questi giorni s'è aggiunta un'azione generalizzata e pianificata di violenze, da parte delle formazioni albanesi, per imporre l'indipendenza. Se verrà concessa, le centomila persone ancora rimaste avranno due scelte: lasciare tutto e fuggire come profughi o andare incontro a una morte sicura, testimoniando fino in fondo i loro diritti violati e la decisione di vivere dove hanno le proprie radici. Con la fine della guerra di bombardamento, durata 78 giorni, motivata per impedire la "pulizia etnica", [nel giugno 1999, ndCNJ] 300mila persone sono fuggite dal Kosovo. Questa realtà è stata occultata e gli "umanitari", coloro che hanno scatenato la guerra e coloro che hanno invocato "l'ingerenza umanitaria", ora sono silenti o, se parlano, continuano a disinformare. Nel frattempo l'Europa ha assistito e si è resa complice della riduzione in schiavitù di un intero popolo, costretto a vivere in "enclave" e, ciononostante, a subire l'uccisione di propri membri, la profanazione dei cimiteri e la distruzione delle chiese: 146, secondo la denuncia del Patriarcato al Tribunale Penale Internazionale. Un popolo privato della possibilità di lavorare e d'ogni diritto. Le prospettive di coloro, che sceglieranno di essere profughi, sono di aggiungersi a un milione circa di rifugiati che già vivono nella disperante situazione in cui la Serbia è stata ridotta, devastata prima dall'embargo e poi dalle bombe. Ma non è solo questione dei cittadini d'etnia non albanese. Dopo l'entrata delle truppe NATO, è questo il quadro che s'è venuto formando nella regione: l'80% del prodotto lordo - sono le parole testuali di chi comanda i soldati italiani - proviene da traffici illeciti: droga, prostituzione ed altro; fra i 3000 scomparsi, molti sono albanesi e l'assassinio politico è pratica d'uso, nei confronti dei moderati. Concedere l'indipendenza significa infine, oltrechè rendere ridicola la Carta dell'Onu, destabilizzare l'intera regione. E' tuttavia l'Europa sembra più che mai determinata a portare alle ultime conseguenze, soggiacendo agli Stati Uniti, la distruzione di ciò che rimane della Iugoslavia. L'ultimo frammento è stato il Montenegro. La situazione umana che si è venuta creando, sotto molteplici aspetti, e le prospettive ben visibili sembrano del tutto ininfluenti per le decisioni politiche, ma, si badi bene, la disumanità si coniuga con l'illegalità. La guerra contro la Iugoslavia, si conclude con gli accordi di Kumanovo: questi prevedono che il Kosovo permanga come parte integrante della Federazione, il successivo ritorno delle forze ed autorità federali, l'impegno delle forze occupanti di garantire i diritti delle minoranze. Tale trattato pare lettera morta. E lo stesso dicasi per la Risoluzione 1244 dell'Onu, che l'ha recepito. L'Onu viene ridotta a una maschera, il cui compito non è di garantire gli impegni, in conformità della Carta, ma quello di fornire un assenso formale alla propria distruzione. Strumento essenziale di questa politica è, al momento attuale, il silenzio, il celare all'opinione pubblica la realtà, propiziato da un coacervo e ben nutrito numero di interessi che, in tal modo, si assumono interamente la responsabilità di impedire una soluzione dei problemi, quantunque lampanti per la loro drammaticità. Per comprendere bene il perché di questa politica e del silenzio, sarà opportuno chiarire come s'è generata la dissoluzione della Iugoslavia e chi sono i veri responsabili. Intendo attenermi ai fatti storici assodati, riscontrabili. Il 5 novembre 1990, il Congresso degli Stati Uniti vara una legge per bloccare tutti gli aiuti alla Iugoslavia; da quel momento, in modo ufficiale, i finanziamente saranno concessi alle forze "democratiche". Nel momento in cui iniziano gli scontri (giugno-luglio 1991) l'Unione Europea preme ed ottiene che l'Esercito Nazionale Iugoslavo [JNA] sia confinato nelle caserme. Ovviamente, in questo modo, si dà via libera alle forze paramilitari, all'introduzione di armi e combattenti. Chi controlla che cosa, se il soggetto cui spetta garantire l'ordine e l'integrità della Nazione viene reso prigioniero? Nel maggio 1992, il Presidente della Conferenza sulla Bosnia, Josè Cutilhero, ottiene il consenso delle tre parti a un piano di cantonizzazione della Bosnia, delineato nelle linee essenziali e da esse sottoscritto; Izetbegovic lo affossa, dopo aver incontrato l'ambasciatore statunitense Zimermann. Nel corso del conflitto, Carter fa concludere un nuovo piano di pace, in brevissimo tempo. Anche questo finisce nel cestino, al suo ritorno negli Stati Uniti. Le prime a dichiarare la secessione sono la Slovenia e la Croazia, il 25 giugno '91, e poi la Bosnia nel '92. Agiscono in base a un diritto della Costituzione Iugoslava? Assolutamente no. E se dunque uno viola la legge e tantopiù un gruppo mette in discussione l'autorità e l'integrità dello Stato ed è pronto a far valere con la forza la propria decisione d'infrangerla, chi è l'aggressore e il promotore della guerra? La Slovenia, nel giugno '91, s'impadronisce dei posti di frontiera con l'Austria e l'Italia, uccidendo i soldati della JNA. La pulizia etnica l'inizia ancor prima, con la cacciata dei serbi. Dalla Croazia, nell'aprile '91, vengono espulsi 40mila serbi; in questa repubblica, il 22 dicembre '90, era stato inserito nella costituzione il principio "la Croazia è lo stato dei croati". E' il croato Stjepan Mesic a dichiarare la fine della Federazione Iugoslava; nei momento più critico, dal 1° luglio '91, al comando della federazione vi sono tre croati: Mesic, quale presidente; Ante Markovic, primo ministro; Budimir Loncar, ministro degli esteri. Si consideri ora, con molta attenzione, la situazione della Bosnia. E' questa un'entità omogenea che si vuole separare? I Serbi sono il 35% ed intendono essere parte dello Stato esistente; i croati e i mussulmani di Itzebegovic promuovono il referendum per la secessione: votanti 63,04 %, a favore 62,68 %, in pratica il 38 % della popolazione. Croati e mussulmani di Izetbegovic sono d'accordo su un solo punto: distruggere lo Stato Iugoslavo, ma ognuno vuole il potere per sè e il proprio gruppo, in base alla distinzione etnica e religiosa. Si combatteranno aspramente a Mostar e altrove e i mussulmani fuggiranno in gran numero alla fine della guerra. Per capire chi è Izetbegovic, basta leggere la sua "Dichiarazione Islamica", pubblicata nel 1970. Questo ne è un passo: "... il movimento islamico dovrebbe e deve iniziare ad impadronirsi del potere non appena sarà moralmente e numericamente forte abbastanza, non solo per rovesciare i non islamici esistenti, ma anche per costruire una nuova autorità islamica...". Vi sono poi i mussulmani di Fikret Abdic: nel settembre '93 dichiarano la zona di Bihac neutrale ed autonoma; attaccati dai fondamentalisti si alleano ai serbi per riconquistare il proprio territorio. Ed infine le mire di Tudjman, il quale vuole estendere alla Drina le frontiere della Croazia. Ora c'è un punto da chiarire. Gli Stati non nascono con le dichiarazioni d'intenti. Occorre l'effettivo potere su un territorio e, in caso di secessione, la sconfitta dello Stato Federale. Da tutto questo emerge come siano illegali i riconoscimenti della Germania e del Vaticano e il loro effetto dirompente, di detonatori della guerra. Con la Bosnia si riconosce uno Stato del tutto inesistente, per mancanza di qualsiasi elemento. In tutti e tre i casi si legittima la volontà di imporre con la violenza la secessione, al di fuori di ogni diritto interno alla Federazione e del diritto internazionale. Il riconoscimento rende solo esplicita la volontà di dar appoggio - diplomatico, finanziario e militare - a quelle forze che intendono frantumare il contesto sociale della Iugoslavia, dove le varie etnie erano profondamente compenetrate tra di loro. I frutti di queste scelte saranno resi ben visibili dal modo in cui evolveranno i vari conflitti e dall'attuale situazione che hanno generato nei minuscoli staterelli in cui la Iugoslavia è stata smembrata. Per legittimare le secessioni e le forze che le promuovono, viene invocato e completamente falsato il principio dell'autodeterminazione dei popoli. Questo nasce negli anni '60, in relazione agli Stati coloniali, come giusta rivendicazione dei popoli ad autogovernarsi, senza il dominio e l'ingerenza straniera; non prevede la frantumazione degli Stati e che, in tale eventuale processo, ci sia l'ingerenza d'altre nazioni. Usato poi dove diversi popoli convivono intrecciati è semplicemente una pazzia. E' però ai Serbi viene comunque negato il diritto a permanere nello Stato esistente e, allo stesso tempo, a dar vita a Stati autonomi. A distanza di trent'anni, quel principio di liberazione si è trasformato in strumento del nuovo colonialismo guerriero, che intende imporre al mondo la propria supremazia tecnologica-militare, schiacciando i popoli e gli individui come fossero formiche. Nella Croazia e nella Bosnia i serbi vedono ripetersi quelle violenze che già avevano subito nel 1941, da parte del cosiddetto Stato Indipendente di Croazia, alleato di Hitler, che aveva sterminato un milione di serbi, con la collaborazione dei mussulmani bosniaci. Cosa avrebbero dovuto fare? C'è da chiedersi fino a che punto può difettare il comune buon senso e la consapevolezza di non conoscere nulla della realtà e della storia di altri popoli, nelle nostre convinzioni e decisioni, se abbiamo potuto credere che i Serbi siano stati coloro che abbiano iniziato la pulizia etnica. In Slovenia erano un'esigua minoranza; in Croazia e Bosnia erano comunque minoranze, anche se più consistenti e, in tutti e tre i casi, non avevano il potere politico. Negli avvenimenti jugoslavi, i punti cruciali del conflitto sono segnati dalle stragi. Nel maggio '92, a Sarajevo, una granata colpisce la gente in coda per il pane e il fatto è ripreso in diretta da una equipe tv, presente sul posto; questo darà modo al Consiglio di Sicurezza dell'ONU di dichiarare la Rep. Fed. Jugoslava Stato aggressore e di colpirla con embargo. Il 28 agosto '95, per la seconda volta, una bomba di mortaio colpisce il mercato di Markale: il 30 agosto, iniziano i bombardamenti della NATO. Le strage di Racak è la giustificazione per la guerra umanitaria, contro la R. F. Jugoslava. Nel libro "Il Corridoio" (1), a pagina 33 si può leggere: "Solo molto dopo s' incominciò a capire come Sarajevo e la sua povera popolazione fossero usate come palcoscenico e comparse di un crudele spettacolo messo in scena per convincere ed accattivare il pubblico internazionale..." E a pagina 35: "Solo verso il 1995 cominciò a trapelare come i mussulmani tirassero sulla loro stessa gente e sui soldati dell'Unprofor per attivare l'attenzione e il raccapriccio del pubblico occidentale, assolutamente incapace di concepire una simile mostruosità..." Il clima di scontro e le stragi sono l'elemento necessario per giustificare gli interventi "umanitari" e presentare i serbi come mostri, in modo che la gente non ragioni e non percepisca tutte le illegalità e le mostruosità reali che s'intendono commettere. Sarà bene riflettere un poco su perché gli Stati Uniti dopo aver posto le premesse per far precipitare la Jugoslavia nel caos, bloccando ogni aiuto finanziario, decidono di affondare il piano di pace Cutilhero e quello di Carter. Sono due interventi chiarissimi il cui scopo è d'imporre la guerra, al di là del volere delle parti, nelle forme in cui si sta svolgendo. E per quali interessi? I serbi devono essere sconfitti e deve permanere l'immagine che di loro s'è creata nell'opinione pubblica, in modo da umiliare la Rep. Fed. Jugoslava, logorarla ed infliggerle il colpo decisivo, con la guerra del Kosovo. Chiara scelta di guerra era stata pure la decisione della Comunità Europea, d'ottenere il confino nelle caserme della JNA, unitamente ad altri interventi della Germania, che potrei citare. Riguardo alla "pulizia etnica" nel Kosovo, esistono più e più prove ognuna delle quali, da sola, l'esclude. La strage di Racak, riconosciuta come falsa da una commissione dell'ONU. Il minimo buon senso, per cui si dovrebbe spiegare perché Milosevic accetta una commissione di verifica dell'OSCE e, come ciliegina, ordinerebbe personalmente la strage. Le dichiarazioni del gen. tedesco Loquai, già membro dell'Osce, il quale paragona il presunto genocidio nei confronti degli albanesi alle armi di distruzione di massa di Saddam. L'atto d'accusa della Del Ponte a Milosevic: a lui attribuisce la strage di Racak, ma tutte le altre imputazioni riguardano fatti successivi all'intervento della Nato; non uno straccio di prova e nemmeno il tentativo di presentare qualcosa che gli assomigli, riguardo alla situazione anteriore. Le trattative di Rambouillet: una farsa e un diktat per scatenare la guerra, senza alcuna considerazione per la convivenza delle varie etnie del Kosovo. Le incredibili violenze che attualmente commettono i dirigenti albanesi, in larga misura membri dell'UCK, contro tutte le etnie (2); non sono impazziti improvvisamente ed avevano molte più ragioni di comportarsi in quel modo per ottenere l'intervento della Nato e conseguire l'indipendenza. A dispetto di tutte le menzogne ed infamie, la Serbia è l'unico Stato a permanere multietnico e, sul suo territorio, ospita un milione di profughi, frutto di tutte le pulizie etniche che ci sono state nascoste e si sono realizzate con la distruzione della Iugoslavia. Un ultimo risvolto delle guerre umanitarie è l'uso della giustizia, piegata dai vincitori a strumento delle loro nuove strategie. Esse sono appunto "umanitarie" e dunque, oltre ai presupposti per farle apparire tali, gli stessi hanno pensato bene all'opportunità d'istituire un giudice che ne consacri la giustizia e punisca ulteriormente l'avversario. Cosi è stato creato il tribunale speciale dell'Aia, per i crimini nell'ex Iugoslavia, un vero strumento di guerra che fa tabula rasa sia del diritto internazionale, sia dei principi basilari degli ordinamenti giuridici europei (3). Recentemente ci ha restituito, anziché una sentenza, la salma di Slobodan Milosevic. Il processo del secolo, che doveva rendere inconfutabili le sue responsabilità, presto è stato fatto sparire e infine si è fatto sparire l'imputato. Per avere un saggio della sua credibilità, basta valutarne un punto. La Carla Del Ponte fonda l'accusa a Milosevic sul discorso di lui a Kosovo Poljie, nel 1989, quale elemento scatenante della pulizia etnica e programma d'attuarla. Un teorema, ma non solo: un teorema falso, un falso ideologico su un documento scritto che ripetutamente afferma il contrario. Ne cito alcuni passi (4): "In Serbia non hanno mai vissuto solamente i serbi. Oggi, più che nel passato, pure componenti di altri popoli e nazionalità ci vivono. Questo non è uno svantaggio per la Serbia. Io sono assolutamente convinto che questo è un vantaggio" "In particolare il socialismo, che è una società democratica progressista e giusta, non dovrebbe consentire alle genti di essere divise sotto il profilo nazionale e religioso" "La Iugoslavia è una comunità multinazionale e può sopravvivere solo alle condizioni dell'eguaglianza piena di tutte le nazioni che ci vivono" "Rapporti equi ed armoniosi tra i popoli iugoslavi sono una condizione necessaria per l'esistenza della Iugoslavia" Nelle mani di questo tribunale indecente ci sono altri Serbi, altre persone. E l'Europa sta in questo momento strangolando la Serbia, l'intero paese, perché consegni Mladic e Karadzic a un tribunale che può affermare una sola verità: quella dei vincitori. Gli Stati che hanno distrutto la Iugoslavia, uccidendo i civili in 78 giorni di bombardamenti, radendo al suolo le fabbriche, i ponti, le case, inquinando tutto il territorio, ora, in forza di queste devastazioni, esigono dallo Stato che hanno smembrato e ridotto all'estrema povertà la consegna dei suoi cittadini a un tribunale che manifestamente è solo una loro creatura, per far dichiarare legittime le guerre ch'essi conducono. E' questo un punto della politica europea che deve essere subito cambiato. Su di esso si giuoca la nostra credibilità di voler costruire un'Europa diversa e di non essere partecipi e complici dell'attuale modo di gestire la politica internazionale. Nelle vicende iugoslave un ultimo punto è stato da noi cancellato, benché vistoso: la resistenza Iugoslava, l'eroica resistenza Iugoslava. Essa s'è manifestata con la presenza della gente sui ponti e nelle fabbriche, mentre cadevano le bombe; nel respingere [con referendum a inizio marzo 1999, ndCNJ] il diktat di Rambouillet, non accettato dai politici e dalla popolazione; dai serbi del Kosovo, rimasti sulla loro terra nonostante tutte le violenze; dalla strenua battaglia di Slobodan Milosevic all'Aia, che gli è costata la vita. Il loro sacrificio non ci ha smosso neppure un momento, altrimenti avremmo compreso cos'era veramente in giuoco in quegli avvenimenti, la barbarità della nostra guerra, le strade ch'essa apriva nel contesto internazionale; nè resteremmo in silenzio dinanzi a tutte queste aberrazioni. Giuseppe Torre Mignanego (GE). Aderente a SOS Iugoslavia, Torino NOTE: (1) E' della giornalista di liMes Jean Toschi Marazzani Visconti, ed. La Città del Sole. (2) Si veda il filmato "I dannati del Kosovo". (3) Su questo punto rimando ai miei scritti: "Il tempo degli inganni: la falsa giustizia internazionale" e "Lettera aperta" alle ambasciate in Italia (4) Il discorso integrale in italiano è riportato nel libro "In difesa della Iugoslavia", Zambon editore. |
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