Informazione
di Roberto Renzetti
È molto grave che a 70 anni di distanza si debba ancora discutere delle responsabilità criminali di un personaggio come Rodolfo Graziani. Eppure è così. Il tutto inizia con la notizia che in un paesino della provincia di Roma, Affile, si è inaugurato l’11 agosto 2012 un monumento ("Onore e Ordine"), con parco di Radimonte annesso, dedicato alla memoria del suddetto criminale che aveva scelto per adozione quel piccolo centro. Per sommo sfregio, il tutto è costato alla comunità tra i 130 ed i 180 mila euro.
Da chiarire fino in fondo come sono arrivati i soldi alla giunta di destra di Affile. Il sindaco dice che i soldi per il parco sarebbero stati deliberati dalla ex giunta della Regione Lazio presieduta da Marrazzo (resta da capire se per il solo parco o anche per il monumento) con determinazione del febbraio 2010 per il «completamento del Parco Radimonte». Alcuni quotidiani hanno sostenuto invece che il finanziamento sia stato deliberato dall'attuale giunta Polverini.
Il sindaco è un furbetto perché avrebbe chiesto fondi per un monumento al Soldato senza specificare che ad Affile il Soldato è Graziani. Il sindaco è anche un nostalgico che ignora i trascorsi del truce Graziani affermando che è stato pluridecorato. E poiché coloro che ignorano in Italia sono la maggioranza, ogni tanto occorre rinfrescare la memoria a cominciare dal perché Graziani non è stato impiccato come i suoi sodali a Norimberga.
Infatti se in Germania qualcuno si azzardasse a commemorare appena con una lapide Goering o Rommel, verrebbe subito arrestato e gettato in prigione. Perché? Perché in quel Paese, finita la guerra si fece chiarezza con il Processo di Norimberga: da una parte i nazisti assassini, criminali da impiccare e dall’altra i cittadini che dovevano sapere quali erano i crimini di chi li aveva guidati per 12 anni.
In Italia niente Norimberga. Eppure di criminali ne abbiamo avuti! Caspita se ne abbiamo avuti! Ma chiarezza, appunto, non è stata mai fatta così che le italiche genti, ignoranti e smemorate, non sanno proprio cosa è accaduto, chi fu il criminale persecutore, chi il perseguitato. Ma perché da noi non si è fatta, non dico una Norimberga ma almeno una Frascati o una Valmontone? Perché i prodi e vigorosi americani avevano rapporti stretti con il Fascismo e con la Mafia.
Lo sbarco in Sicilia fu possibile senza gravi perdite perché guidato da Lucky Luciano. L’esercito USA avanzava preceduto da un carro armato su cui sventolava una bandiera azzurra. Era il segno di riconoscimento di Luciano ai picciotti. Gli yankee debbono passare e basta. E la mafia siciliana si organizzò perché nessuno si azzardasse a reagire. Per altri versi gli USA ebbero stretti rapporti con il fascista Junio Valerio Borghese, il comandante della X MAS (quel delinquente golpista del 1970, ricordate?). Doveva essere la testa di ponte che legava esercito USA e Fascisti.
Ma perché? Perché in Italia, contrariamente a quanto avvenne in Germania, vi era un forte movimento di resistenza a maggioranza comunista. Se l’Italia fosse stata liberata in queste condizioni e con i fascisti impiccati, come si sarebbe dovuto fare (come in Germania del resto), il Paese sarebbe diventato quasi certamente a guida comunista. Gli USA, prevedendo questo scenario e protetti dalla spartizione di Yalta, hanno difeso, sostenuto, foraggiato i fascisti (questo è il motivo della fucilazione immediata di Mussolini e gerarchi ... gli USA volevano quel prigioniero ma i partigiani sapevano di losche manovre che prevedevano addirittura un Mussolini reintegrato al potere).
Ebbene, tra i criminali fascisti, militari, da impiccare vi era Graziani (insieme a vari altri, come Roatta, Robotti, Badoglio, ...). Per quanto detto si salvarono, occorreva mantenere personaggi che avessero esperienza militare da usare eventualmente contro una sollevazione comunista.
Ma chi era Rodolfo Graziani? Molto in breve si può definire un macellaio con i deboli e dette sfoggio delle sue abilità a partire dalla Libia tra il 1921 ed il 1930 arrivando ad essere nominato da Mussolini in persona governatore della Cirenaica nel 1930 (incarico che mantenne fino al 1934). Si distinse per le deportazioni di massa e per sistemare centinaia di migliaia di libici, sospetti di collaborazione con la resistenza, in campi di concentramento (qui morirono decine di migliaia di persone per malattie e stenti e qui Graziani fu battezzato il macellaio di Fezzan.
Passò quindi a macellerie superiori durante la guerra d’Etiopia e la repressione della resistenza di quel Paese tra il 1935 ed il 1937. Utilizzò contro popolazioni inermi l’iprite, un gas micidiale, antesignano del napalm, del fosgene ed altri aggressivi chimici. Per titoli da carnefice conquistati sul campo fu nominato Maresciallo d’Italia e fu promosso viceré e comandante dell’esercito in Etiopia. Purtroppo scampò ad un attentato ma la sua tempra di valoroso si scatenò contro un monastero in cui presumeva si fossero rifugiati alcuni attentatori. Il risultato fu il massacro di circa 1500 monaci che seguì quello di varie migliaia di etiopi.
Tornato in Italia, nel 1938 firmò, insieme a Padre Agostino Gemelli e a tanti altri imbecilli, il Manifesto della Razza. Nel 1939 fu nominato da Mussolini Capo di Stato Maggiore dell’Esercito ed in questa veste inviato in Libia da dove ebbe l’ordine di invadere l’Egitto. Qui non si trattava più di combattere contro popolazioni male armate ma contro l’Esercito inglese. Ed infatti, nel 1940, fu duramente sconfitto per i suoi gravissimi errori tattici (oltre alle ingenti perdite, 130 mila dei nostri soldati furono catturati e tutto il materiale militare fu perduto). Nel 1941 fu destituito per incapacità e codardia. Fu messo sotto processo (che in Italia non porta mai a nulla se è contro i potenti) e dimenticato per due anni.
La sua vita pubblica si concluse nel modo più inglorioso possibile: fu nominato Ministro della Guerra della Repubblica Sociale Italiana (RSI). Impose l’arruolamento obbligatorio pena la fucilazione per chi non si fosse subito presentato e firmò un manifesto di condanna a morte per ogni partigiano. Si arrese a Milano al IV Corpo d’Armata USA alla fine di aprile del 1945. Fu fatto prigioniero e vagò per varie carceri gestite da alleati. Nel 1948 fu condannato da un Tribunale italiano a 19 anni di reclusione (accusa solo di collaborazionismo con i tedeschi) con un condono spettacolare di 17 anni! Ciò gli permise di uscire subito dal carcere. Gli americani e gli inglesi non fecero invece nulla contro Graziani perché non tennero in alcun conto tutta l’enorme quantità di documenti portati dal governo etiopico con particolare riferimento all’uso dei gas asfissianti (iprite).
Intanto Graziani aveva aderito al Movimento Sociale Italiano (MSI) costituitosi come erede del Fascismo nell’immediato dopoguerra. Nel 1953 divenne Presidente onorario di questo movimento ed in questa veste ricevette ad Affile, come no?, Andreotti, allora collaboratore di De Gasperi. I due si abbracciarono pubblicamente dando anche visiva mostra della continuità con il Fascismo.
In ogni caso le vicende del criminale Graziani meritano attenzione. Ho raccolto diversi articoli di vari storici e li propongo agli interessati: http://www.fisicamente.net/MEMORIA/index-1945.pdf.
Affile, imbrattato mausoleo di Graziani
Montino: giusta espressione di dissenso
Rampelli: delinquenti. Per le scritte individuati e denunciati tre ragazzi
Gli autori delle scritte sul sacrario dedicato al ministro della Guerra di Salò, noto anche per aver usato i gas contro libici ed etiopi e aver firmato il Manifesto della razza, sono stati hanno individuati i carabinieri della Compagnia di Subiaco. I militari dell'Arma, che hanno avviato indagini dopo una denuncia del sindaco di Affile, Ercole Viri, informa una nota dei militari, «sono riusciti in poche ore a scoprire gli autori delle scritte vandaliche fatte la notte scorsa con vernice spray sulle pareti del mausoleo e anche sugli scalini d'accesso. I tre - continua la nota - vestiti tutti di scuro, sono stati identificati mentre si stavano aggirando nei pressi di una via secondaria. Messi alle strette dai carabinieri hanno ammesso le proprie responsabilità. Tutti e tre sono stati denunciati con l'accusa di danneggiamento aggravato».
«La vergognosa campagna contro il Parco pubblico di Affile ha prodotto i primi suoi effetti. Un gruppo di delinquenti, coperto dalla notte, ha danneggiato il parco con vernici e scritte ingiuriose contro la Patria, il sindaco di Affile e Rodolfo Graziani», afferma in una nota il deputato del Pdl Fabio Rampelli. «Ognuno - prosegue - può avere le sue posizioni politiche, ma è necessario e doveroso condannare ogni forma di violenza e atti intimidatori, specie se compiuti contro rappresentanti pubblici e opere pubbliche. Siamo certi che il lavoro d'indagine che i carabinieri stanno conducendo in queste ore saprà rapidamente assicurare alla giustizia i responsabili».
«Prendo atto, e con piacere, che nel paese di Affile i giovani non la pensano come il Sindaco che ha voluto un sacrario per il generale fascista e repubblichino Rodolfo Graziani - commenta invece il capogrupo Pd in Regione, Esterino Montino -. Non mi pare che siamo di fronte ad atti di violenza, come dice il senatore Rampelli evidentemente d'accordo con questa opera della vergogna di cui hanno parlato i giornali di tutto il mondo oltre che quelli nazionali, ma ad una vivace e giovanile espressione di dissenso e rivendicazione dei valori della Costituzione italiana. Nulla di violento nemmeno nelle frasi scritte sul mausoleo con la bomboletta spray - continua Montino -. Penso che nei prossimi giorni mi recherò nel paese in Provincia di Roma per incontrare i cittadini. Quei ragazzi sono una speranza , non hanno imbrattato un luogo pubblico, non hanno usato violenza verso nessuno, ma rivendicato che la Costituzione prevede il reato di apologia del fascismo. Quel mausoleo questo è».
Nel 1985 il giornalista Gaetano Contini pubblicò un “documento inedito” (1) redatto presumibilmente verso la fine del 1945 e firmato in calce da Aldo Gamba, all’epoca comandante del 1° Squadrone autonomo, un reparto della Polizia militare segreta sottoposto agli ordini del servizio segreto britannico FSS (Field Security section), con sede a Brescia (2).
Tale documento sarebbe stato scritto da un “informatore” di Gamba, che evidentemente lo ritenne attendibile se decise di inoltrarlo con la propria firma, ed è intitolato “Il piano Graziani per la resurrezione del fascismo”.
L’informatore parte da una serie di circostanze: i documenti rinvenuti nell’archivio di Barracu (sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri della RSI, fucilato il 28/4/45 a Dongo) che fanno riferimento ad una organizzazione segreta costituita “per la salvezza del fascismo”; un considerevole deposito di armi trovato nello stabile di piazza San Sepolcro dove aveva avuto sede il Partito fascista; un altro arsenale scoperto pochi giorni prima a Trezzo d’Adda e quanto risultava da un processo svoltosi a Pavia “per documenti falsi” dove veniva confermata la “strabiliante offerta” avanzata dal maresciallo Rodolfo Graziani (allora ministro della guerra della RSI, già macchiatosi di crimini di guerra in Libia e in Africa Orientale) nel dicembre 1944 ai Comitati di liberazione (qui l’informatore non entra nei particolari ma si presume intenda parlare dei tentativi di collaborazione che delineeremo nell’esposizione successiva).
L’informatore sostiene che questi dati “non hanno aperto che un sottile spiraglio di luce su un vasto diabolico progetto da lungo tempo predisposto e in esecuzione anche in tutto il periodo di lotta clandestino” ed a questo punto parla di una “riunione segreta” che si sarebbe svolta nell’ottobre del 1944 presso la sede della Legione Muti a Milano, riunione tenuta dal maresciallo Rodolfo Graziani alla quale presero parte “elementi politici” della RSI, che non erano “prefetti, gerarchi e pubblicisti”, ma i comandanti della legione Muti, delle Brigate nere, della GNR e due questori (uno dei due era il questore di Milano Larice, colui al quale Mussolini avrebbe consegnato una borsa prima di fuggire verso la Svizzera, con l’incarico di darla al comando della Brigata Garibaldi (3)), oltre ai capi dei servizi di spionaggio, i “torturatori e gli aguzzini”.
Graziani avrebbe loro delineato il progetto che intendeva realizzare, data ormai per sicura la sconfitta militare del fascismo, per la sopravvivenza politica del medesimo: le truppe germaniche si sarebbero ritirate, seguite dal grosso dell’esercito italiano, ma i “politici” (cioè i partecipanti alla riunione) sarebbero rimasti, “celandosi e camuffandosi per fare azione di sabotaggio nelle retrovie, opera di disgregazione all’interno dell’Italia” (sostanzialmente un progetto stay behind, ovvero la resistenza dietro le linee “nemiche”) perché (e qui l’informatore dice di riferire le parole di Graziani, da lui definito “iena”) “non è necessario vincere la guerra perché il fascismo e i fascisti possano, sia pure dietro altre bandiere, salvarsi”.
“Immettere il maggior numero di strumenti fascisti entro le nostre organizzazioni clandestine, mandando in galera gli antifascisti veri, scompigliando le loro trame, creare fino da allora forti posizioni fasciste entro le fila dell’antifascismo, preparare ingenti quantitativi di armi e denaro e poi, dopo il crollo del fascismo iscriversi in massa ai partiti antifascisti, sabotare ogni opera di ricostruzione, diffondere il malcontento, fomentare moti insurrezionali e preparare sotto qualsiasi insegna la resurrezione degli uomini e dei loro metodi fascisti”, scrive l’informatore. E poi riferisce le “particolareggiate, minutissime disposizioni” di Graziani: “organizzare delle bande armate che funzionino segretamente e che aggiungano altre distruzioni a quelle che prima di andarsene effettueranno i tedeschi, che esercitino in tutto il Paese il brigantaggio, che si mescolino alle manifestazioni popolari per suscitare torbidi. Ma soprattutto mimetizzati, penetrare nei partiti antifascisti e introdurvi fascisti a valanga, propugnare le tesi più paradossalmente radicali ed il più insano rivoluzionarismo, sabotare e screditare l’opera del governo e soffiare a più non posso in tutto il malcontento inevitabile”, in modo da suscitare “il rimpianto del fascismo” e permetterne il ritorno al potere.
Graziani avrebbe parlato anche delle “trattative che taluni elementi della corrente più moderata del fascismo, ed altri in malafede, cercavano di allacciare con gli esponenti della lotta clandestina, per addivenire ad un modus vivendi” che ponesse “tregua alla cruenta lotta fratricida”. Tali trattative, disse Graziani “vanno benissimo”, perché “dobbiamo avvicinare gli antifascisti, illudendoli con vaghi progetti di pace separata, di ritorno alla legalità ed alla libertà, di rivendicazioni socialiste, stabilire così molti contatti , scoprire le loro file ed i loro covi”, per poi arrivare ad una “notte di San Bartolomeo, con il preventivo sterminio dei preconizzati nostri successori” precisando però che “i tribuni” e “gli agitatori” andavano lasciati in pace perché “possono servire pure a noi”, ma per “decapitare il nemico” bisognava colpire “gli intellettuali veri, le competenze tecniche, le reali capacità politiche ed amministrative”.
Nel febbraio successivo, conclude l’informatore, si svolsero altre riunioni durante le quali Graziani avrebbe impartito gli stessi ordini a tutti gli iscritti, “raccomandando soprattutto la più vasta penetrazione entro i partiti antifascisti”. Di queste “tenebrose manovre”, aggiunge, sarebbe stato “tempestivamente” informato il SIM, invitato inoltre ad avvisare i partiti per sventare questo “tranello che si tendeva loro”. Ma i partiti invece “spalancarono senza alcuna precauzione le porte” ed il 25 aprile si videro “frotte di squadristi e di ex militari repubblichini tra i volontari della libertà”.
Fin qui il testo riportato nell’articolo di Contini. Altri dati in merito comparirebbero in un rapporto inviato a Mussolini dal Ministero dell’Interno (della RSI) il 21/3/45, con oggetto “costituzione di centri di spionaggio e di operazioni”, dove sarebbe scritto (4):
“il servizio politico della GNR ha creato nel suo seno un organismo speciale che funziona già e la cui potenza sarà accresciuta”. Questo servizio sarebbe composto da un ufficiale superiore (...) 16 osservatori corrieri, 18 agenti informatori per il territorio della RSI e 43 per “l’Italia invasa” (altri avrebbero detto “liberata”, ndr). “Ognuno di essi vive sotto una falsa identità scelta in modo da non destare alcun sospetto”. Il lavoro in atto al momento della redazione del rapporto sarebbe stato “l’insediamento di un gruppo incaricato della fabbricazione di carte e documenti falsi e alla creazione a Padova di un ufficio commerciale che assicuri la copertura ai nostri agenti”.
Gli autori di questo ultimo articolo commentano che Padova e il Veneto “venticinque anni dopo saranno al centro della strategia della tensione e dei suoi complotti, ed aggiungono che il rapporto avrebbe raccomandato, come coperture, “l’infiltrazione nel Partito comunista e nel CLN”.
Sarebbe a questo punto necessario rileggere, tenendo presenti queste relazioni, tutta la storia della Resistenza e di quei fatti “strani” che accaddero a lato di essa, ma ci riserviamo di farlo in altra sede, più articolata. Ricordiamo soltanto che nell’Italia liberata dagli Alleati operarono da subito con attentati ed altre azioni armate, per destabilizzarne l’ancora precario equilibrio raggiunto, gli NP (Nuotatori Paracadutisti) della Decima Mas di Nino Buttazzoni, che nel dopoguerra fu contattato da agenti dei servizi statunitensi che gli offrirono una copertura (era ricercato per crimini di guerra) se avesse collaborato in funzione anticomunista.
Tornando alle infiltrazioni, ricordiamo la vicenda del “conte rosso”, Pietro Loredan, “partigiano” della zona di Treviso, i cui “occasionali rapporti con i partigiani erano guidati direttamente dai servizi segreti di Salò in piena applicazione, dunque, delle direttive contenute nel Piano Graziani” (5).
Pietro Loredan, militante dell’ANPI e del PCI, risultò, in un appunto del SID del 1974, avere fatto parte di Ordine Nuovo nel periodo 1960-62 ed essersi iscritto nel 1968 al Partito comunista marxista leninista d’Italia, ed assieme al suo amico conte Giorgio Guarnieri (altro ex partigiano membro di una missione militare americana durante la guerra di liberazione) ebbe dei rapporti di affari con Giovanni Ventura ed i due “partigiani” utilizzarono le loro qualifiche per accreditare Ventura nell’ambiente della sinistra e favorirne la sua opera di infiltrazione (Ventura si iscrisse proprio al PC m-l per darsi una copertura a sinistra) (6). Inoltre alcune “voci” dissero che la villa di Loredan presso Treviso fosse servita come punto di ritrovo in preparazione del poi rientrato “golpe” di Borghese, ed in essa nel 1997, nel corso di lavori di restauro commissionati dal nuovo proprietario (l’industriale Benetton), fu trovato un deposito di armi.
Anche il ricercatore Giuseppe Casarrubea ha parlato del Piano Graziani, in relazione però alla vicenda di Salvatore Giuliano. Prima di essere ucciso, il “bandito” Gaspare Pisciotta aveva accennato ad un religioso, il frate benedettino Giuseppe Cornelio Biondi, che si sarebbe fatto pagare dalle autorità per la cattura di Giuliano ma “li avrebbe utilizzati per una colossale truffa a danno di un commerciante siciliano”. Biondi dipendeva da un monastero di Parma ma per un periodo aveva vissuto a Padova e Casarrubea scrive “Padova, ambiente frequentato dal monaco benedettino, era un centro di eversione anticomunista. Qui, il 21 marzo del 1945, in attuazione del piano Graziani, si era costituito il coordinamento della rete clandestina destinata ad operare dopo la sconfitta (...)” (7).
Facciamo ora un passo indietro, all’epoca in cui operava in Italia, come capo delle operazioni dell’OSS, il ventiduenne italo americano Max Biagio Corvo, che già dalla fine del 1942 aveva pianificato, con un dettagliato piano d’intelligence, l’occupazione della Sicilia dell’estate del ‘43 e la successiva liberazione dell’Italia. Corvo aveva arruolato i suoi più stretti collaboratori tra la cerchia di amici della propria città, Middletown, nel Connecticut, e tra essi vi era “Emilio Q. Daddario, atleta di eccezionali capacità della Wesleyan University” (8). L’università “wesleyana” fa riferimento alla chiesa metodista, all’interno della quale vi era una forte presenza massonica (9).
Daddario, nome in codice “Mim”, arrivò a Palermo nel dicembre del 1943 ma rimase poco tempo negli uffici siciliani dell’Oss, dopo alcune settimane venne trasferito nel nuovo comando operativo di Brindisi con l’incarico di vice di Corvo. Nell’aprile del 1945 si trovava in Svizzera alle dirette dipendente di Allen Dulles, direttore dell’Oss per l’Europa e futuro capo della Cia. Corvo però lo richiamò in Italia per affidargli un compito assai delicato: la cattura di Mussolini e di alcuni ministri della Repubblica sociale di Salò in fuga sulle montagne piemontesi (10).
Lo storico Franco Fucci scrive che Daddario era stato reclutato “probabilmente per partecipare alle trattative di resa dei tedeschi in Italia” (e qui si inserisce l’Operazione Sunrise, cioè la trattativa condotta da Dulles, i servizi segreti svizzeri ed il comandante della SS Karl Wolff, che servì a mettere in salvo moltissimi criminali di guerra in cambio della rinuncia tedesca alla resistenza nel ridotto alpino); infatti il 27/4/45 fu tra coloro che presero in consegna a Como “tre importanti prigionieri di guerra il maresciallo Graziani, il generale Bonomi, dell’aviazione e il generale Sorrentino dell’esercito” e li portarono a Milano (11).
Rodolfo Graziani fu posto in salvo da Daddario, con il consenso del generale Raffaele Cadorna (comandante in capo del CVL), leggiamo, e fu trasferito il 29/4/45 al comando del IV corpo d’armata corazzato americano di stanza a Ghedi (12) .
Dopo la guerra Graziani scrisse una lettera direttamente a Daddario dal suo campo di prigionia ad Algeri il 15 giugno 1945, che riportiamo di seguito:
Caro Capitano Daddario,
le scrivo da questo campo. Desidero ringraziarti dal più profondo del cuore per quello che lei fece per me in quei momenti molto rischiosi. Non vi è alcun dubbio che io devo a lei la mia salvezza, durante i giorni del 26, 27, e 28 aprile. Per questo il mio cuore è pieno di ringraziamenti e gratitudine e non la dimenticherò mai per tutto il tempo che mi rimarrà di vivere, io sto bene in questo campo e vengo trattato con molto rispetto. Spero che Iddio mi assista per il futuro e che l’Umana Giustizia consideri il mio caso e lo giudichi con equità. La prego di scrivermi e assicurarmi che quanto le lasciai in consegna venne consegnato a destinazione. Mi faccia anche sapere se ha con lei il mio fedele Embaie (13) che la prego di proteggere e assistere. L’abbraccio caramente e non mi dimentichi.
Vostro molto affettuosamente, Rodolfo Graziani.
A questo punto viene da chiedersi se tra le cose che Graziani “lasciò in consegna” a Daddario ci fossero anche le direttive del suo “piano”.
NOTE.
1) Documento pubblicato nella rivista “Storia Illustrata”, novembre 1985, dove leggiamo che è conservato nell’Archivio Centrale dello Stato di Roma, fondo Polizia Militare di Sicurezza, busta 2.
2) Contini scrive che la Fss era “dell’Oss” (la futura CIA), ma questo dato non è corretto.
3) In http://www.stampalternativa.it/wordpress/2007/06/04/tigre-dal-diario-in-poi-2/ ma si tratta di un dato senza conferma.
4) Usiamo il condizionale perché il testo che riportiamo è trascritto senza l’indicazione della posizione archivistica del documento in Italia Libera Civile E Laica = Italia Antifascista 21/3/11, “21 marzo 1945 – Salò, importantissimo documento dei servizi segreti della RSI da conoscere e condividere!!!”.
5) Così scrive Carlo Amabile nel sito www.misteriditalia.com.
6) “Del conte Guarnieri si era molto parlato durante l’inchiesta sulla cosiddetta pista nera, ed era stato indicato come il finanziatore di Freda e Ventura (...) si era poi accertata l’amicizia con Loredan, un nobile veneto che con i due neofascisti aveva avuto contatti diretti e frequenti”, leggiamo nel “Meridiano di Trieste” del 21/6/72. Guarnieri aveva anche una residenza a Trieste, e “il 14 maggio 1972, tre giorni prima di essere ucciso, il commissario Calabresi andò a Trieste per far visita al conte Guarnieri. L’accompagnava l’ex questore di Milano, Marcello Guida. Subito dopo i funerali, Guida tornò a Trieste da Guarnieri e stavolta si fece accompagnare dal prefetto di Milano, Libero Mazza” (M. Sassano, “La politica della strage”, Marsilio 1972, p. 168). Calabresi si fece accompagnare, oltre che da Guida, anche dal senatore democristiano Giuseppe Caron di Treviso, che era stato segretario del CLN della sua città.
7) https://casarrubea.wordpress.com/page/45/
8) Ezio Costanzo “Uno 007 in Sicilia”, “Repubblica” 20 luglio 2010.
9) In http://www.cassibilenelmondo.it/Max_Corvo.htm
10)Ezio Costanzo “Uno 007 in Sicilia”, “Repubblica” 20 luglio 2010.
11)F. Fucci, op. cit. p. 75.
12)http://www.treccani.it/enciclopedia/rodolfo-graziani_(Dizionario-Biografico)/
12)Embaie era un ascaro al servizio di Graziani.
novembre 2011
НЕД 20 невладиних организација у Србији финансирао са милион долара
- 12:29 06.09.2012.
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СРБИЈА МЕЂУ 90 ЗЕМАЉА У КОЈИМА САД РЕАЛИЗУЈУ 1000 ПРОЈЕКАТА ПРЕКО НЕД ФОНДАЦИЈЕ
[PHOTO: Председник НЕД-а, Карл Гершман, уручује награду Џамелу Бетајебу, једном од вођа „арапског пролећа”]
- У чему је логика ако се НУНС помаже са 31 500 долара, а НДНВ (Независно друштво новинара Војводине) са 289 800 долара?
- Пешчаник 397 700 долара и Центар за међународно прививатно предузетништво (ЦИПЕ) са 256 569 долара - „тешкаши” по сумама којима је НЕД помогао њихове активности
ПРЕМА годишњем изваштају америчког НЕД (Национална задужбина за демократију) за 2011.годину, 20 невладиних организација у Србији примило је укупно милион долара за промоцију посебности „регија у Србији“, као што су Војводина и „Санџак“, за утицање на доношење закона, усмеравање новинара, борбу за децентрализацију, отварање форума о евро-атлантским интеграцијама.
Ко финансира Независно удружење новинара Србије – НУНС, Истиномер, Пешчаник, Е-новине, НИП Врањске или ЈУКОМ - и зашто? Одговор стиже директно из пера америчких оснивача овог приватног фонда Конгреса САД.
Асоцијација локалних независних медија „локал прес“
40 000 долара
Да настави са извештавањем о изазовима који су пред Србијом на путу демократске транзиције – на локалном нивоу. Зато ће 15 чланица Асоцијације произвести, разменити и објавити серију од 17 чланака у којима ће се разматрати различити аспекти процеса децентрализације у Србији и информисати грађане како (де)централизација утиче на њихове заједнице.
Размена чланака, јавни округли сто и телевизијски програм ће проширити домет пројекта на целу земљу.
Центар за развој цивилних ресурса
40 586 долара
Да настави да промовише слободу изражавања и поштовање различитости и људских права на југу Србије. Дата средства ће покрити оперативне трошкове алтернативног културног центра ове организације, који ће организовати серију од 16 дискусионих панела, округлих столова, изложби, радионица и јавних догађаја на тему људских права и недавних конфликата на Балкану.
Центар за међународно прививатно предузетништво (ЦИПЕ)
256 569 долара
Да ојача „глас бизниса“ у „јавно – приватном дијалогу“ и да повећа капацитет српске пословне заједнице да учествује у процесу доношења закона.
ЦИПЕ и његов партнер ће консултовати чланове регионалних трговинских комора о препрекама за обављање пословних активности и њиховим предлозима за реформе, помоћи ће им да се ангажују у лобистичким кампањама код владе и помоћи у надзирању статуса законодавних предлога.
Центар за истраживање, транспарентност и одговорност
48 750 долара
Да промовише транспарентност и одговорност српског парламента.
Центар ће надзирати заседања парламента, анализирати извештаје и ток рада парламента, пратити општи законодавни процес и трендове и бележити иступања индивидуалних посланика.
Резултати надзора ће бити представљени на посебном сајту који ће бити повезан са револуционарним вебсајтом „Истиномер“ те организације.
Центар ће такође организовати промотивне догађаје, држати прес-конференције и објављивати билтен ради даљег промовисања њених резултата у надзору.
Центар је добио још 47 000 да настави да развија и промовише свој револуционарни веб сајтwww.istinomer.rs који служи као свеобухватна база података за проверу тачности политичких чињеница. Сајт пружа непартијска поређења и процене изјава званичника и њихове наступе у Србији.
Веб сајт ће бити проширен тако да укључи анализе које ће подносити НВО активисти и новинари у десет градова, које ће Центар обучити да надгледају рад и изјаве власти и званичника на локалном нивоу.
Е новине
41 850 долара
Да промовишу више професионалне и етичке стандарде у новинарству у Србији и региону.
Током девет месеци особље Е новина и новинари сарадници ће производити око 15 аналитичких текстова месечно за on line дневник www.e-novine.com како би подигли свест о улози медија током ратова деведесетих година, и како би охрабрили јавну дебату о тренутној медијској ситуацији у региону.
Пешчаник
397 700 долара
Да настави да охрабрује јавну дебату о најважнијим друштвеним, политичким и економским темама везаним за српску демократску транзицију, као део популарног мултимедијалног програма који представља форум за отворену дискусију истакнутих законодаваца, грађанских и политичких лидера, новинара и академика. Пешчаник ће за ово користити НЕД фондове да настави са производњом свог највише рангираног недељног радио-програма и свог интерактивног политичког е–часописа: www.pescanik.net
Отприлике 32 радио програма и 75 чланака ће бити произведени и објављени.
НУНС
31 500 долара
Да настави да омогућава независно извештавање у Србији.
Кроз свој Центар за истраживачко новинарство (ЦИНС), Удружење ће наставити да промовише концепт независног извештавања и повећати вештине младих новинара да производе квалитетне истраживачке чланке.
ЦИНС ће огранизовати семинар, у трајању од 12 недеља, за истраживачко новинарство за 30 и приправништво за групу од 10 одабраних младих новинара. Најбољих пет ће добити стипендије да произведу истраживачке чланке.
НДНВ (Независно друштво новинара Војводине)
289 800 долара
Да настави да обезбеђују форум за јавни дијалог о кључним питањима са којима се суочава српска демократска транзиција.
НДВД ће организовати 6 панела о децентрализацији у Србији и одржаће тренинг-семинар за новинаре и уреднике који се баве овим темама.
Додатно, НДВД ће надоградити и наставити да одржава веб сајт www.autonomija.info , важан извор вести и форум за јавну дебату.
ЈУКОМ (Комитет правника за људска права)
44 700 долара
Да отвори дебату и промовишу идеје уставне реформе у Србији. ЈУКОМ ће анализирати недостатке актуелног устава у погледу владавине, владавине закона и људских права и предлагати амандмане који су неопходни да се устав поравна са ЕУ стандардима.
Са партнерским организацијама, ЈУКОМ ће јавно промовисати своје закључке и заговарати усвајање препоручених амандмана.
Миленијум
29 900 долара
Да настави промоцију демократских вредности и да настави да подстиче јавну дебату међу грађанима централне Србије о најважнијим социјалним, економским и политичким темама у вези са евро-атлантским интегацијама Србије.
Миленијум ће организовати серију од 15 филмских пројекција и ТВ дебата у 9 различитих српских градова, што ће омогућити форум за отворену дискусију истакнутих законодаваца, грађанских и политичких лидера, новинара и интелектуалаца пред живом публиком.
Национална коалиција за децентрализацију
43 950 долара
Да настави да унапређује процес децентрализације у Србији изграђујући подршку јавности за реформу локалне власти и децентрализацију.
Користећи моћ нових и традиционалних медија, коалиција ће организовати мултимедијалну кампању, осмишљену да мотивише обичне грађане да учествују у процесу унапређивања децентрализације.
Кампања ће укључити серију ТВ програма „он лајн“ такмичење, штампане и електронске билтене и друге форме отварања ка грађанима и њиховим изабраним представницима.
НИП Врањске
20 000 долара
Да истраже, произведу и објаве 24 велике теме односно чланке који се тичу кључних политичких, социјалних и економских питања од значаја за етничке заједнице на југу Србије.
Нудећи висококвалитетне, избалансиране и актуелне информације од општег интереса за све грађане, Врањске ће наставити да подстичу дијалог и граде поверење између албанске и српске заједнице у овој проблематичној регији.
Школа новинарства Нови Сад
58 000 долара
Да спроведе широку кампању која има за циљ подизање јавне свести о превази корупције у кључним јавним аренама – као што су политика, здравство и образовање.
Кампања, која ће бити спроведена у 4 земље југоисточне Европе ће циљати на омладину и у њу ће бити укључене креативне студентске акције, медијске продукције и регионални форуми.
У оквиру ширег, вишегодишњег пројекта, средства НЕД ће бити искоришћена за спровођење активности у Србији.
Регионални центар за мањине
29 800 долара
А подигне јавну свест и охрабри адекватну примену антидискриминаторног законодавства у Србији. Центар ће организовати тренинге да изгради капацитете локалних организација за људска права који ће покретати питања дискриминаторног понашања и праксе, надгледати рад релевантних регулаторних тела, промовисати препоруке за унапређену примену закона,
Истаживачки центар Лесковац
38 000 долара
Да настави да изграђује вештине студената активиста на југу Србије и да им омогући да играју значајнију улогу у промовисању питања који се односе на омладину у овом неразвијеном региону. Пројекат ће бити спроведен у две јужне општине Јабланица и Пчиња, укључиће три тренинга, 15 радионица, шестодневни семинар, серију средњошколских дебата, допуњених месечном публикацијом коју припреме учесници.
Урбан ин
38 000 долара
Да охрабри јавну дебату о најважнијим политичким, економским и социјалним темама које се односе на проблематичну регију Санџака.
Урбан ин ће организовати 8 јавних дебата, које ће бити ТВ емитоване и које ће омогућити форум за оторену дискусију власти, цивилних и политичких лидера, новинара и интелектуалаца пред живом публиком.
Урбан ин ће организовати три догађаја за промоцију регионалног дијалога и сарадње са активистима из суседних држава.
Војвођанка – регионална женска иницијатива
50 000 долара
Да настави да подстиче јавну дебату о људским правима и да подижу свест о људским правима. Шесте године, Војвођанка ће организовати Фестивал људских права – VIVISECTfest у 13 градова у Србији.
Храбрим коришћењем фотографија и документараца, фестивал даје јединствен оквир за дебату о питањима која су важна за демократизацију западног Балкана.
Очекује се да ће више од 6000 људи посетити фестивал „Освајање слободе“ у 2011.
Омладински центар ЦК 13
26 986 долара
Да спроведе мултимедијални програм едукације који промовише омладински активизам и поштовање различитости у српској покрајини Војводини.
ЦК13 ће организовати серију од најмање 40 радионица, наступа, публикација и других активности, представљајући младим људима другачија средства за изражавање и обезбеђује им вештине да обликују јавну дебату на нов и креативан начин..
Центар ће, такође, обезбедити форум за јавни дијалог о осетљивим питањима са којима се суочава омладина у Војводини.
Иницијатива Зајечар
48 900 долара
Да настави да промовише омладински активизам у јужној Србији оснажујући средњошколске парламенте и омладинске НВО, омогућавајући им да играју значајнију улогу у питањима која се односе на омладину.
Иницијатива ће организовати тренинге да помогне младима да се више укључе у своју заједницу и дати мале донације до 3000 долара за око пет организација у тимочкој регији.
Србија је, иначе, међу чак 90 земаља у којима САД реализују 1000 пројеката преко НЕД фондације.
Диана Милошевић
Da: "Comitato antifascista e per la memoria storica - Parma" <comitatoantifasc_pr @ alice.it>Data: 11 settembre 2012 12.01.33 GMT+02.00Oggetto: un altro 11 settembre
l'11 settembre 1973 in Cile il golpe fascista sostenuto dall'amministrazione USA, dal segretario di stato Henry Kissinger, che col massacro di migliaia di cileni pose fine al Governo di sinistra, democraticamente eletto, di Unidad Popular guidato da Salvador Allende. Un'esperienza politica avanzata di democrazia e socialismo, quella di Unidad Popular, che avrebbe potuto cambiare il corso della storia del Cile, avere ripercussioni internazionali, essere d'esempio per diversi altri Paesi del mondo.
Nel gennaio '78 il Comune di Parma ha conferito la cittadinanza onoraria a Kortensia Bussi De Allende, vedova del Presidente Allende, Luis Corvalan Lepe, segretario del Partito Comunista Cileno, Bernardo Leighton Guzman, dirigente antifascista della Democrazia Cristiana cilena.
Inti Illimani "Ya parte el galgo terrible" (YouTube): http://www.youtube.com/watch?v=6m_AotV9X1M
Ma gli 11 settembre, entrambi, sono lontani
Posted By Gennaro Carotenuto On 11 settembre 2012
A 39 anni di distanza dall’11 settembre 1973 e 11 da quello del 2011 è oramai consolidato un dannoso antagonismo tra le due ricorrenze. Il ricordo dell’11 settembre 1973, l’abominio di un colpo di stato contro il governo democratico cileno presieduto da Salvador Allende, eterodiretto dagli Stati Uniti (nella foto il sicario Pinochet stringe la mano al mandante Kissinger), è osteggiato dal complesso mediatico-industriale fino a rappresentarne la volontà di commemorarlo come una provocazione, un’offesa alle vittime dell’11 settembre ‘ufficiale’.
Il ricordo del più grande singolo atto terroristico della Storia, quello di New York, continua intanto a essere rappresentato come il più straordinario esempio di “uso pubblico della Storia”. Appare sempre più chiaro che invece i due eventi sono intimamente legati e fondativi della nostra contemporaneità.
Un’ideologia iniqua, razzista e criminale, il neoconservatorismo, fu infatti capace di usare gli atti terroristici dell’11 come il nascente Terzo Reich fece con l’incendio del Reichstag nel 1933. Il terrorismo, come spesso accade, fu stabilizzante. Furono demonizzate, col pretesto di questo (Genova ne fu illuminante antefatto), le ragioni dei critici di un modello economico e sociale i guasti del quale erano già sotto gli occhi di tutti. Il delirio millenarista dei neoconservatori ebbe il pretesto per mettere a ferro e fuoco mezzo mondo. Ben peggio avrebbe fatto, basta ricordare l’allucinante “Asse del male latinoamericano da colpire” o i 40-50 paesi da attaccare millantati da Donald Rumsfeld, se ne avesse avuto il tempo.
Nel giro di pochi anni non un solo leader di quella stagione politica (Bush, Rumsfeld, Tony Blair, José María Aznar, Silvio Berlusconi), a dimostrare in che mani fossimo, mantiene un minimo di credibilità e onorabilità. Riuscirono solo, a prezzo d’inenarrabili tragedie, a dare ancora un po’ di benefit ai loro grandi elettori, stringendoci a coorte nella solidarietà a quel modello che ergevano a simbolo stesso di un Occidente sotto attacco, e che in quella identificazione veniva umiliato. Era così forte, stridente, volgare, la correlazione tra quegli attentati e l’uso pubblico di questi da essere per molti sospetta. Un decennio dopo, i fondamentalismi contrapposti, quello islamico e quello protestante, entrambi oscurantisti e suprematisti, sono impantanati. L’esportazione della Jihad attraverso le bombe non ha prosperato come non ha prosperato la pretesa di usare la supremazia militare per imporre il predominio degli Stati Uniti e dei satelliti di questo sul mondo.
In particolare per il fondamentalismo protestante la nemesi fu feroce. Pretendevano di usare l’11 settembre addirittura per far finire la Storia e imporre a tutto il pianeta il loro modello sociale ed economico e disporre, attraverso l’imposizione con la forza di governi servili (come col fallito golpe in Venezuela dell’11 aprile 2002), di risorse per un altro giro di giostra. Ancora questa settimana un povero cristo è morto a Guantanamo, la base militare statunitense in territorio cubano occupato illegalmente da più di mezzo secolo. Stava lì da oltre dieci anni e non era mai stato incriminato di alcunché, a dimostrazione che al neoconservatorismo di esportare democrazia e stato di diritto non importasse affatto.
La realtà li ha smentiti nelle loro frenesie da dottor Stranamore. Intere regioni del pianeta non rispondono più e quelle che rispondono, come l’Europa, sono in affanno. Neanche i talebani afghani sono stati sconfitti con le armi. I regimi rovesciati, dall’Iraq alla Libia, hanno lasciato spazio a simulacri di democrazia. L’Occidente, nel breve volgere di un decennio, non è più il centro del mondo ma un frammento del mondo multipolare. La Cina, l’India, interi continenti come l’America latina, concertano cammini autonomi senza riconoscere primogeniture. Di “nuovo secolo americano” non parla più nessuno. L’FMI, lungi dall’aver smesso di fare disastri, non è più egemone. Perfino il G8, che ancora a Genova si atteggiava a governo del mondo, è stato di fatto sostituito dal G20, istanza imperfetta ma più rappresentativa, in attesa che le Nazioni Unite cambino o periscano. Soprattutto, la crisi strutturale del modello neoliberale morde lo stesso Occidente. I tecnocrati chiamati al governo applicano le stesse ricette che hanno portato al disastro. Nelle periferie di questo, dal Messico alla Grecia, si palesa come incubo la fine del lavoro evocata da Jeremy Rifkin come sogno meno di vent’anni fa.
Lo spettro della fine del lavoro, che vuol dire fine dell’aspettativa di vita degna per moltitudini di persone, ci riporta al punto di partenza. Fu per risolvere armi alla mano il conflitto tra capitale e lavoro che fu bombardato il palazzo della Moneda a Santiago del Cile quell’11 settembre di 39 anni fa. Arrivarono i Chicago Boys, gli economisti neoliberali venuti dal Nord, che poterono sperimentare sulla carne viva dei lavoratori cileni torturati le loro teorie. Non risolsero ma pretesero di cancellare tale conflitto, incarnato dalla figura alta di Salvador Allende, come cancellarono le libertà sindacali e i diritti umani. Fu con le bombe alla Moneda che si aprì la stagione che portò al delirio d’onnipotenza neoconservatore, attraverso il reaganismo, il thatcherismo, il neoliberismo reale. Proprio in America latina arrivò a indurre carestie in paesi ricchissimi come l’Argentina. Infine, attraverso l’uso strumentale dell’11 settembre 2001, vollero le “guerre infinite” e seminarono la gramigna del nostro presente di declino.
Oggi, nonostante la figura di Allende si stagli ancora per etica, statura politica, visione della complessità, è lontano il Cile dell’Unidad Popular, il Cile dei sindacati e delle organizzazioni di classe, il Cile dell’universalità dei diritti al quale davamo il nome di Socialismo. È lontano ma è allo stesso tempo vicino, come testimoniano i governi integrazionisti latinoamericani e nello stesso Cile gli enormi movimenti studenteschi. È vicino perché, con quel golpe ignominioso, non fu messa fine a un’esperienza di governo in un paese periferico, ma si cancellò una possibilità concreta di progresso per sperimentare e imporre il modello che portò a infinite ingiustizie. È lontano l’11 settembre 1973, ma il Cile popolare ha ancora molto da insegnare. Al contrario il modello dell’11 settembre è davvero al capolinea.
Gennaro Carotenuto su http://www.gennarocarotenuto.it
Ricordando l’11 settembre 1973
La mattina dell’11 settembre 1973 a Santiago del Cile un colpo di stato militare, foraggiato dal governo degli Stati Uniti d’America, mise fino al sogno cileno, al governo progressista e riformista di Salvador Allende, che stava cercando di realizzare il socialismo con mezzi democratici.
Non gli fu permesso: nazionalizzare i mezzi di produzione sottraendoli ai capitalisti, soprattutto stranieri, per ridistribuire la ricchezza a tutto il popolo cileno in modo da garantire una vita decente a ciascuno, fu osare troppo. Allende fu ucciso dai golpisti mentre difendeva il proprio posto al palazzo presidenziale, migliaia di cittadini furono uccisi sommariamente in quei giorni, decine di migliaia imprigionati, torturati, internati in campi di detenzione. Erano sindacalisti, militanti, studenti, lavoratori, intellettuali, casalinghe, contadini. Ed il Cile precipitò in un incubo che durò per vent’anni.
I servizi statunitensi iniziarono a preparare la deposizione di Allende subito dopo la sua vittoria elettorale, (settembre 1970), dopo non essere riusciti ad impedirla. Il capo della stazione della Cia a Santiago nel 1970 era Dino Pionzio, un italo-americano membro dell’associazione Skull & Bones (letteralmente Teschio e Ossa, infatti il loro simbolo sembra quello dei pirati), una sorta di confraternita creata presso l’Università di Yale nel 1832, e della quale si dice sia il luogo in cui vengono formati coloro che sono destinati a determinare la politica degli Stati Uniti. Moltissimi dirigenti della Cia furono membri della Skull & Bones, così come ne fanno parte sia l’ex presidente George Bush, sia il suo concorrente democratico alle elezioni nel 2004, John Kerry.
Heinz Duthel, autore tedesco di una storia della Massoneria cita Pionzio come massone, particolare che ci ricorda che anche Allende era massone, così come era massone Pinochet, e che a questo proposito si dice che la responsabilità del golpe sarebbe da attribuire a Fidel Castro, iscritto alla stessa loggia di Allende e Pinochet, e che avrebbe detto ad Allende che poteva fidarsi del generale (teoria di Pierre Kalfon, più volte smentita).
In realtà noi abbiamo trovato che Allende era Maestro della Loggia Hiram 66 di Santiago (in “la Massoneria” delle edizioni Demetra) mentre Pinochet avrebbe aderito alla Loggia Vittoria n. 5 tra il 1941 ed il 1942 (“il Mastino” in http://www.papalepapale.com/develop/controstoria-imbarazzante-di-allende-massone-e-nazicomunista-parte-2/, articolo peraltro molto poco condivisibile), quindi se siano appartenuti alla stessa loggia può anche essere dubbio, però rimane il problema del ruolo che la massoneria ebbe nel golpe, considerando che alcuni fratelli massoni cospirarono per eliminare un altro fratello massone.
O forse furono proprio le scelte politiche ed economiche di Allende ad essere viste dai suoi confratelli come un tradimento nei confronti della comune consociazione, ed a provocare quindi una reazione così violenta ed efferata nei suoi confronti?
Ricordiamo qui l’intervento di Allende alle Nazioni Unite nel 1972:
“Ci troviamo davanti a un vero scontro frontale tra le grandi corporazioni internazionali e gli Stati.
Questi subiscono interferenze nelle decisioni fondamentali, politiche, economiche e militari da parte di organizzazioni mondiali che non dipendono da nessuno Stato.
Per le loro attività non rispondono a nessun governo e non sono sottoposte al controllo di nessun Parlamento e di nessuna istituzione che rappresenti l'interesse collettivo.
In poche parole la struttura politica del mondo sta per essere sconvolta.
Le grandi imprese multinazionali non solo attentano agli interessi dei Paesi in via di sviluppo, ma la loro azione incontrollata e dominatrice agisce anche nei paesi industrializzati in cui hanno sede.
La fiducia in noi stessi che incrementa la nostra fede nei grandi valori dell'umanità, ci da la certezza che questi valori dovranno prevalere e non potranno essere distrutti.”
Questo il motivo per cui Allende fu assassinato. Perché le “organizzazioni mondiali che non dipendono da nessuno Stato” non potevano permettere che la sua politica prendesse piede, non potevano permettere che si minassero i loro interessi.
Abbiamo voluto riproporre il discorso di Allende a distanza di quarant’anni perché ci sembra ancora del tutto attuale e condivisibile e per non perdere la memoria di un uomo coraggioso ed altruista, che il poeta uruguayano Mario Benedetti definì “uomo della pace”.
Settembre 2012
Pendant la Guerre du Vietnam, au-dessus de l’entrée d’une base américaine on pouvait lire : « Killing Is Our Business, and Business Is Good. » (« Tuer c’est notre affaire, et les affaires marchent fort »). Et en effet, les affaires marchaient vraiment très fort au Vietnam (de même qu’au Cambodge, au Laos ou en Corée), où on comptait par millions le nombre de civils tués. D’ailleurs elles se sont plutôt bien maintenues aussi après la Guerre du Vietnam.
Les massacres ont continué sur tous les continents, aussi bien directement que par l’entremise de « proxies » (1), partout où la « sécurité nationale » américaine avait besoin de bases, de garnisons, d’assassinats, d’invasions, de campagnes de bombardements, ou de sponsoriser des régimes assassins et d’authentiques réseaux et programmes terroristes trans-nationaux, pour répondre à la « menace terroriste » qui ne cesse de défier le pauvre « géant pitoyable » (2). Dans son excellent ouvrage sur l’ingérence des États-Unis au Brésil (United States Penetration of Brazil, Pennsylvania University Press, 1977), Jan Knippers Black montrait déjà il y a des années, combien l’acception merveilleusement élastique du concept de « sécurité nationale » peut être élargie, en fonction de ce qu’une nation, une classe sociale ou une institution estime qu’elle devrait pouvoir recouvrir. Au point que ce sont précisément « ceux dont la richesse et la puissance devraient en principe garantir la sécurité, qui sont en fait les plus paranoïaques et qui, par leurs efforts effrénés pour assurer leur sécurité, engendrent eux-mêmes leur propre [lot de] destruction ». (Son ouvrage traitait du risque d’apparition d’une démocratie sociale au Brésil dans les années 1960, et de son élimination grâce au soutien américain à une contre-révolution et à l’établissement d’une dictature militaire). Ajoutez à cela le besoin des entrepreneurs liés au complexe militaro-industriel, de favoriser des missions justifiant l’augmentation des budgets de défense, et la pleine et entière coopération des médias de masse à cette activité, et vous obtenez une terrifiante réalité.
En réalité ledit géant faussement paranoïaque s’est démené comme un beau diable pour produire des semblants de menaces à peu près crédibles, surtout depuis la chute de « l’empire du mal » que ce pays avait toujours prétendu « contenir ». Dieu merci, après quelques tentatives sporadiques de cristalliser l’attention sur le narco-terrorisme, puis sur les armes de destruction massive de Saddam Hussein, le terrorisme islamique tomba littéralement du ciel pour offrir à cette défunte menace un digne successeur, découlant tout naturellement de l’hostilité du monde arabe aux libertés américaines et de son refus de laisser à Israël la possibilité de négocier la paix et de régler pacifiquement ses désaccords avec les Palestiniens.
En plus d’optimiser les massacres et les ventes d’armes qui en découlent, les États-Unis devenaient ausside facto le premier producteur d’États ratés (3), à l’échelle industrielle. Par État raté, j’entends un État qui, après avoir été écrasé militairement ou rendu ingérable au moyen d’une déstabilisation économique ou politique et du chaos qui en résulte, a presque définitivement perdu la capacité (ou le droit) de se reconstruire et de répondre aux attentes légitimes de ses citoyens. Bien sûr, cette capacité de production des États-Unis ne date pas d’hier – comme le montre l’histoire d'Haïti, de la République Dominicaine, du Salvador, du Guatemala ou de ces États d’Indochine où les massacres marchaient si bien. On a d’ailleurs pu constater récemment une prodigieuse résurgence de cette production d’États ratés, occasionnellement sans hécatombes, comme par exemple dans les ex-républiques soviétiques et toute une kyrielle de pays d’Europe de l’Est, où la baisse des revenus et l’accroissement vertigineux du taux de mortalité découlent directement de la « thérapie de choc » et de la mise à sac généralisée et semi-légale de l’économie et des ressources, par une élite appuyée par l’Occident mais aussi plus ou moins organisée et soutenue localement (privatisation tous azimuts, dans des conditions de corruption optimales).
Une autre cascade d’États ratés découlait par ailleurs des « interventions humanitaires » et changements de régime menés par l’OTAN et les USA, plus agressivement que jamais depuis l’effondrement de l’Union Soviétique (c'est à dire depuis la disparition d’une « force d’endiguement » extrêmement importante bien que très limitée). Ici, l’intervention humanitaire en Yougoslavie a servi de modèle. La Bosnie, la Serbie et le Kosovo furent changés en États ratés, quelques autres s’en sortirent chancelants, tous assujettis à l’Occident ou à sa merci, avec en prime la création d’une base militaire US monumentale au Kosovo, le tout érigé sur les ruines de ce qui avait jadis été un État social démocrate indépendant. Cette belle démonstration des mérites d’une intervention impériale inaugura la production d’une nouvelle série d’États ratés : Afghanistan, Pakistan, Somalie, Irak, République Démocratique du Congo, Libye – avec un programme similaire déjà bien avancé aujourd’hui en Syrie et un autre visiblement en cours dans la gestion de la dite « menace iranienne », visant à renouer avec l’heureuse époque de la dictature pro-occidentale du Shah.
Ces échecs programmés ont généralement en commun les stigmates caractéristiques de la politique impériale et d’une projection de puissance de l’Empire. Ainsi par exemple l’émergence ou/et la légitimation (ou la reconnaissance officielle) d’une rébellion ethnique armée qui se pose en victime, mène contre les autorités de son pays des actions terroristes visant parfois ouvertement à provoquer une réaction violente des forces gouvernementales, et qui appelle systématiquement les forces de l’Empire à lui venir en aide. Des mercenaires étrangers sont généralement amenés à pied d’œuvre pour aider les rebelles ; rebelles indigènes et mercenaires étant généralement armés, entraînés et soutenus logistiquement par les puissances impériales. Ces dernières s’empressent bien sûr d’encourager et soutenir les initiatives des rebelles pour autant qu’elles leur paraissent propres à justifier la déstabilisation, le bombardement et finalement le renversement du régime cible.
Le procédé était flagrant durant toute la période du démantèlement de la Yougoslavie et dans la production des États ratés qui en sont issus. Les puissances de l’OTAN ayant alors pour objectif l’éclatement de la Yougoslavie et l’écrasement de sa composante la plus importante et la plus indépendante, à savoir la Serbie, elles encouragèrent à la rébellion les éléments nationalistes des autres républiques de la fédération, pour lesquelles le soutien voire l’engagement militaire de l’OTAN sur le terrain était naturellement acquis. Le conflit n’en fut que plus long et vira au nettoyage ethnique, mais pour ce qui est de la destruction de la Yougoslavie et de la production d’États ratés, ce fut une réussite (Cf. Herman et Peterson, « The Dismantling of Yugoslavia », [Le démantèlement de la Yougoslavie], Monthly Review, octobre 2007). Assez curieusement, c’est avec l’aval et la coopération de l’administration Clinton et de l’Iran qu’on importa entre autres mercenaires, des éléments d’Al-Qaïda en Bosnie puis au Kosovo, pour aider à combattre le pays cible : la République Serbe (4). Mais Al-Qaïda comptait aussi parmi les rangs des « combattants de la liberté » engagés dans la campagne de Libye, et elle est aussi une composante notoire (même le New York Times le reconnaît désormais, fut-ce avec un peu de retard) du changement de régime programmé en Syrie (Rod Nordland, « Al Qaeda Taking Deadly New Role in Syria Conflict », New York Times, 24 juillet 2012). Bien sûr, Al-Qaïda avait aussi été auparavant une pièce maîtresse du changement de régime [de 1996] (5) en Afghanistan, puis un élément clé du retournement de situation du 11 septembre (Ben Laden, leader rebelle saoudien de premier rang, d'abord sponsorisé par les États-Unis, puis lâché par ses sponsors, se serait ensuite retourné contre eux avant d’être diabolisé puis éliminé par ces derniers).
Ces programmes impliquent toujours une habile gestion des atrocités commises, qui permet de pouvoir accuser le gouvernement agressé d’avoir commis des actes de violence graves à l’encontre des rebelles et de leurs partisans, et ainsi de le diaboliser efficacement afin de pouvoir justifier une intervention plus massive. Cette méthode a joué un rôle clé pendant les guerres de démantèlement de la Yougoslavie, et probablement bien davantage encore dans la campagne de Libye et dans celle de Syrie. Elle doit d’ailleurs beaucoup à la mobilisation d’organisations internationales, qui prennent activement part à cette diabolisation en dénonçant les atrocités imputables au dirigeant visé, voire en le poursuivant et condamnant d’office au pénal. Dans le cas de la Yougoslavie, le Tribunal Pénal International pour l’ex Yougoslavie (TPIY), mis en place par l’ONU, travailla main dans main avec les puissances de l’OTAN pour s’assurer que la seule mise en accusation des autorités serbes suffirait à justifier toute action que les USA et l’OTAN décideraient d’entreprendre. Magnifique illustration cette mécanique, la mise en examen de Milosevic par le Procureur du TPIY fut lancée précisément au moment où (en mai 1999) l’OTAN décidait de bombarder délibérément les infrastructures civiles serbes pour accélérer la reddition de la Serbie – alors que ces bombardements mêmes étaient des crimes de guerre caractérisés menés en totale violation de la Charte des Nations Unies. Or c’est précisément le procès de Milosevic qui permit aux médias de détourner l’attention du public des exactions désobligeantes et illégales de l’OTAN.
De même, à la veille de l’agression de la Libye par l’OTAN, le procureur de la Cour Pénale Internationale (CPI) s’empressa de lancer des poursuites contre Mouammar Kadhafi sans même avoir jamais demandé le lancement d’une investigation indépendante, et alors qu’il était notoire que la CPI n’avait jusqu’ici jamais poursuivi personne d’autre que des chefs d’États africains non alignés sur l’Occident. Ce curieux mode de « gestion de la légalité » est un atout inestimable pour les puissances impériales et s’avère extrêmement utile dans la perspective d’un changement de régime comme dans la production d’États ratés.
Interviennent aussi des organisations humanitaires ou de « promotion de la démocratie », soi-disant indépendantes, à l’instar de Human Rights Watch, de l’International Crisis Group ou de l’Open Society Institute, qui régulièrement se joignent au cortège impérial en dressant l’inventaire des seuls crimes possiblement imputables au régime cible et à ses dirigeants, ce qui contribue notablement à radicaliser la polarisation des médias. L’ensemble permet la production d’un environnement moral favorable à une intervention plus agressive au nom de la défense des victimes.
S’ajoute ensuite le fait que, dans les pays occidentaux, les dénonciations ou allégations d’atrocités commises – que viennent renforcer les images de veuves éplorées et de réfugiés démunis, les preuves apparemment patentes d’exactions odieuses et l’émergence d’un consensus sur la « responsabilité de protéger » les populations victimes du conflit – émeuvent profondément une bonne partie des milieux libertaires et de gauche. Nombre d'entre eux en viennent alors à hurler avec les loups et à s’en prendre eux aussi au régime cible, pour exiger une intervention humanitaire. Les autres s’enfoncent généralement dans le mutisme, rendus perplexes, certes, mais craignant surtout de se voir accusés de « soutenir des dictateurs ». L’argument des interventionnistes est que, au risque de sembler soutenir l’expansion de l’impérialisme, on se doit de faire exception lorsque des choses particulièrement graves ont lieu et que tout le monde chez nous s’indigne et demande qu’on intervienne. Mais on se doit aussi, pour se montrer authentiquement de gauche, de tenter une micro-gestion de l’intervention pour contenir l’attaque impériale – en exigeant par exemple qu’on s’en tienne à une interdiction de survol en Libye (6).
Mais les États-Unis eux-mêmes ne sont pas l’une des moindres réussites de cette production d’États ratés. A l’évidence, aucune puissance étrangère ne les a jamais écrasés militairement, mais la base même de leur propre population a payé un tribut extrêmement lourd à leur système de guerre permanente. Ici, l’élite militaire, de même que ses alliés du monde de l’industrie, de la politique, de la finance, des médias et de l’intelligentsia, a très largement contribué à l’aggravation de la pauvreté et de la détresse généralisée, à la désintégration des services publics et à l’appauvrissement du pays, en maintenant la classe dirigeante, paralysée et compromise, dans l’incapacité de répondre correctement aux besoins et attentes de ses citoyens ordinaires, malgré l’augmentation constante de la productivité par tête et du PNB. Les excédents y sont intégralement captés par le système de guerre permanente et par la consommation et l’enrichissement d’une petite minorité qui – dans ce que Steven Pinker dans Better Angels of Our Nature appelle une période de « recivilisation » – combat agressivement pour pouvoir mener sa captation bien au-delà de la simple monopolisation des excédents, jusqu’au transfert direct des revenus, biens et droits publics de la vaste majorité de ses concitoyens (qui se démènent). En tant qu'État raté comme dans bien d’autres domaines, les États-Unis sont incontestablement une nation d’exception !
Traduit de l’Anglais par Dominique Arias pour Investigaction.
Notes :
(1) Ndt : Proxies, groupes paramilitaires ou mercenaires formés, armés, financés et soutenus ou dirigés par une ou plusieurs Grandes puissances pour déstabiliser un pays cible. Les conflits dits « de basse intensité » ou « dissymétriques » menés ainsi indirectement sont appelés « proxy wars ». bien que souvent présentée comme telle, une proxy war est tout sauf une guerre civile.
(2) Ndt : Dans les médias et le cinéma américain, les États-Unis sont fréquemment représentés comme un pauvre « géant pitoyable », malhabile et balourd. Cette représentation permet de minorer les crimes de guerre et crimes contre l’humanité commis délibérément et sciemment par ce pays, en les faisant passer pour autant de bourdes et de maladresses parfaitement involontaires. Le terme « casualties »(négligences) désigne par exemple les victimes civiles d’exactions militaires, lorsque celles-ci sont commises par les USA ou leurs alliés.
(3) Ndt : États ratés (failed states), terme de diplomatie internationale qui désigne les États incapables de maintenir ou développer une économie saine, fait écho à « rogue states » (États voyous) et à « smartstates » (États malins : en l’occurrence ceux qui, à l’instar des États-Unis, évitent de déclencher et de mener officiellement eux-mêmes les guerres qui leur profitent.
(4) Cf. : Unholy Terror [terreur impie ou invraisemblable ou contre nature, l'acception de Unholy étant très large], de John Schindler, article particulièrement démonstratif sur ce sujet et qui, de fait, n’apparaît plus nulle part, sauf sur Z-Magazine ! Voir ici mon « Safari Journalism : Schindler’s Unholy Terror versus the Sarajevo Safari’s Mythical Multi-Ethnic Project », Z Magazine, avril 2008.
- Renversement de la monarchie 1978
- Invasion soviétique en soutien au nouveau régime : 1979-1989
- Guerre civile pro/anti-islamistes :1990-1996
- Coup d’État et prise de pouvoir des Talibans : 1996
- Début de l'intervention de Ben Laden dans le conflit : 1984
- Création d’Al-Qaïda : 1987
(6) Cf. Gilbert Achcar, « A legitimate and necessary debate from an anti-imperialist perspective » [Un débat légitime et nécessaire à partir d’une perspective anti-impérialiste], ZNet, 25 mars 2011 ; et ma réponse dans « Gilbert Achcar’s Defense of Humanitarian Intervention » [Gilbert Achar prenant la défense d’une intervention humanitaire], MRZine, 8 avril 2011, concernant « les finasseries de la gauche impérialiste ».
Edward S. Herman est Professeur Émérite de Finance à la Wharton School, Université de Pennsylvanie. Économiste et analyste des médias de renommée internationale, il est l’auteur de nombreux ouvrages dont : Corporate Control, Corporate Power (1981), Demonstration Elections (1984, avec Frank Brodhead),The Real Terror Network (1982), Triumph of the Market (1995), The Global Media (1997, avec Robert McChesney), The Myth of The Liberal Media : an Edward Herman Reader (1999) et Degraded Capability : The Media and the Kosovo Crisis (2000). Son ouvrage le plus connu, Manufacturing Consent (avec Noam Chomsky), paru en 1988, a été réédité 2002 aux USA puis en 2008 au Royaume Uni.
Source : Z Magazine, septembre 2012.