Informazione



Cinque paesi NATO contro le armi nucleari USA. Ma non l’Italia

di Antonio Mazzeo (4 Marzo 2010)


"Testate nucleari? No grazie". Per la prima volta, alcuni paesi europei dell’Alleanza Atlantica starebbero prendendo seriamente in considerazione di chiedere agli Stati Uniti d'America di rimuovere l’arsenale nucleare ospitato nel vecchio continente. La notizia è stata pubblicata da alcune testate giornalistiche tedesche e francesi; più precisamente, Belgio, Germania, Lussemburgo, Olanda e Norvegia sarebbero intenzionate a porre la questione all'ordine del giorno del prossimo summit NATO previsto per il mese di novembre 2010. Il quotidiano Der Spiegel aggiunge che i ministri degli esteri dei cinque paesi avrebbero già inviato una richiesta in merito al segretario generale della NATO, Fogh Rasmussen, mentre sarebbero stati attivati i canali diplomatici per invitare altri alleati europei ad aderire alla richiesta di denuclearizzazione. Sempre per Der Spiegelil ministro degli esteri tedesco Guido Westerwelle avrebbe già richiesto agli Stati Uniti la rimozione di 20 testate nucleari dalla Germania

L'agenzia France Presse, da parte sua, scrive che alcuni importanti esponenti politici del Belgio starebbero sostenendo la richiesta "No Nukes" presso il quartier generale NATO di Bruxelles, anche se il portavoce del ministero degli esteri belga, Bart Ouvery, ha dichiarato in un’intervista che "non è comunque in discussione la rimozione immediata di tutte le armi nucleari esistenti". L'ipotesi di riduzione riguarderà inoltre solo le armi nucleari di proprietà degli Stati Uniti, mentre Francia e Gran Bretagna manterrebbero inalterati i loro arsenali di morte.

L'esistenza di contatti tra gli USA e i partner europei per un possibile smantellamento parziale delle testate ospitate nel vecchio continente è stata confermata dalNew York Times; secondo il quotidiano, l'amministrazione Obama starebbe per completare una "revisione dei piani di guerra nucleari" che "potrebbe potenzialmente condurre ad un cambiamento della politica USA". Per Sharon Squassoni, ricercatore delCenter for Strategic and International Studies, è tuttavia difficile prevedere oggi come Washington potrebbe reagire ad una formale richiesta degli alleati NATO di rimozione delle armi nucleari dall’Europa. 

C'è incertezza sul reale numero delle testate USA esistenti oggi nel vecchio continente. Secondo alcuni ricercatori internazionali indipendenti, esse andrebbero da un minimo di 200 a un massimo di 350. Si tratterebbe in particolare di bombe di gravità del tipo B-61, trasportabili dai cacciabombardieri USA e dei paesi partner. Dal computo sono ovviamente escluse le testate nucleari stoccate transitoriamente o in transito nelle principali basi aeree europee o quelle poste a disposizione dei sistemi missilistici dei sottomarini e delle unità navali in transito nelle acque del continente.

Nel maggio 2008, la Federazione degli Scienziati Americani (FSA) ha rivelato i contenuti dei manuali prodotti nel 2005 e 2007 dall’US Air Force, denominati "Nuclear Surety Staff Assistance Visit and Functional Expert Visit Program Management". Destinati al personale che cura la sicurezza degli ordigni, i manuali indicano le località dove essi sono stoccati in siti sotterranei protetti noti come "WS3  - Weapon Storage and Security System", e dove, di conseguenza, i tecnici nucleari svolgono i controlli di sicurezza semestrali. Entrambi gli elenchi riportano i nomi delle installazioni italiane di Ghedi (Brescia) e Aviano (Pordenone), insieme alle basi di Kleine Brogel in BelgioBüchel in GermaniaVolkel in OlandaLakeneath in Gran Bretagna e Incirlik in Turchia. La lista del 2005 comprendeva anche le basi tedesche di Ramstein e Spangdahlem, ma le infrastrutture sono state escluse dalle ispezioni nel documento del 2007. Di conseguenza la Federazione degli Scienziati Americani ritiene che le testate siano state rimosse definitivamente da queste due ultime installazioni. In tempi più recenti, l’US Air Force avrebbe rimosso anche le bombe dislocate nella base britannica di Lakenheath. Così, secondo la FSA, la "maggior parte delle armi nucleari USA è stoccata in tre basi mediterranee: quelle di Ghedi, Aviano e Incirlik". 

Solo in Italia, le testate a disposizione delle forze aeree USA sarebbero una novantina, una cinquantina ad Aviano e il resto a Ghedi.Nell'installazione bresciana, gli ispettori dell'US Air Force avrebbero però rilevato "problemi di sicurezza" ai sistemi di protezione delle armi. L'inquietante particolare è stato denunciato ancora dalla Federazione degli Scienziati, che ha citato come fonte un altro report dell'US Air Force, denominato "Air Force Blue Ribbon Review of Nuclear Weapons Policies and Procedures", parzialmente declassificato nel 2008. Problemi di difficile risoluzione al punto che il Pentagono starebbe pianificando il ritiro da Ghedi del 704 MUNSS, lo speciale squadrone USA di manutenzione delle bombe atomiche, e il trasferimento degli uomini e dei sistemi d'arma ad Aviano

Ad oggi, nulla è trapelato in Italia se e quando verrà realizzata la concentrazione di tutte le testate nell'installazione friulana. Date le posizioni esasperatamente filo-nucleari del governo italiano è però impensabile che Berlusconi, Frattini e La Russa possano prendere sul serio la proposta di denuclearizzazione parziale di Belgio, Germania, Lussemburgo, Olanda e Norvegia. A complicare le cose c'è poi l'articolato programma di potenziamento delle infrastrutture in atto all’interno della base di Aviano. Per l'anno fiscale 2011, l'US Air Force ha richiesto al Congresso lo stanziamento di 19 milioni di dollari per costruire tre nuovi edifici che ospiteranno 114 abitazioni per il personale di stanza nella base. Essi dovrebbero sorgere accanto alle sei palazzine esistenti nella cosiddetta Area 1 dove sono concentrate le unità abitative, l’ospedale militare e le scuole per i figli del personale USA. Secondo la scheda progettuale presentata al Congresso, lo scopo delle nuove costruzioni è quello di "eliminare o ricollocare tutte le funzioni oggi esplicate nell'Area 2 utilizzata dai primi anni '90 dai militari USA (niente di più di un paio di dormitori e qualche facilities di supporto), per restituirla alle forze armate italiane, proprietarie dell’area". 

Secondo il colonnello Bo Bloomer, comandate del 31st Civil Engineer Squadron, le modalità per la restituzione dei circa 13 acri dell'Area 2 sono in via di discussione con le autorità militari italiane. Ciò non comporterà tuttavia cambi significativi al numero del personale militare e civile USA assegnato ad Aviano; l'US Air Force prevede che si passerà a 4.248 unità nel 2015, 15 in meno di quanto presenti a fine 2009. 

L'Area 2 è raggiungibile dall’Area 1 grazie alla "Via Pedemonte", ma la distanza tra i due siti e i "rischi" e le difficoltà di protezione dei mezzi USA in transito hanno convinto i comandi dell’US Air Force a richiedere il ricongiungimento dei dormitori dei militari. Secondo il quotidiano delle forze armate Stars and Stripes, "gli Stati Uniti hanno tentato di ottenere il controllo della Via Pedemonte qualche anno fa per ridurre questi svantaggi ma sono incorsi nella strenua opposizione degli italiani". "Grazie al nuovo programma – aggiunge Stars and Stripes – ad Aviano sista tentando di liberare 100.000 metri quadri di facilities entro il 2020 e ciò consentirà risparmi per oltre 360.000 euro all'anno". 

A un possibile nuovo scenario militare USA sulla Pedemontana ha fatto accenno nei giorni scorsi il console generale degli Stati Uniti a Milano, Carol Peres, durante un'intervista ai microfoni del Tg3 del Friuli Venezia Giulia. Solo una semplice ammissione di possibili novità a medio termine, per poi trincerarsi nel top secret. Peres ha comunque negato che gli USA siano intenzionate a trasferire in Polonia una o più squadriglie con cacciabombardieri F-16, come invece auspicato e pubblicato da uno dei massimi strateghi dell’US Air Force nell’ambito di una maggiore proiezione ad Est del dispositivo aereo e missilistico statunitense. (a.m.)




Un commento della SKOJ sulla ventilata privatizzazione di Telekom Srbija:


SAOPŠTENJA SKOJ-a
 
PRIVATIZACIJA TELEKOMA NOVA PLAČKA RADNIČKE KLASE
 
Savez komunističke omladine Jugoslavije osuđuje najavu Vlade Srbije da će privatizovati Telekom Srbije jer će na taj način još jedna državna firma od vitalnog značaja preći u ruke stranog kapitala. Odluka Vlade o privatizaciji preduzeća Telekom Srbija još jednom pokazuje po građane Srbije pogubni neoliberalni karakter vladajuće vrhuške. Takođe, najnoviji potez buržoaskog režima razotkriva nesposobnost Vlade da reši sve veći trgovinski deficit ali i da se izbori sa opravdanim nezadovoljstvom građana
 
Telekom je najprofitabilnija domaća kompanija koja je prošle godine imala operativnu dobit od 43,5 odsto, što je rekord u poslednjih desetak godina.  Od toga je država Srbija dobila svoj deo, grčki partner, kompanija OTE svoj, a jedino radnici nisu dobili ništa.
 
Vladi Srbije pripada 70 odsto a Telekomu 30 odsto dobiti te kompanije. Od tih 30 odsto radnici nisu dobili ništa. Pristalice neoliberalnog koncepta i zagovornici privatizacije u javnosti su stvorili slika da radnici Telekoma imaju velika primanja, jer imaju monopol, a istina je da najveći prihod kompanija ostvaruje u sektoru gde postoji jaka konkurencija a to je mobilna telefonija. Uvođenje poreza na telefoniranje mobilnim telefonom je direktno urušavanje kompanije jer se zavlači ruka u džep radnicima Telekoma budući da se destimilišu korisnici usluga.
 
Srpska buržoaska vlada je najveća katastrofa koja nas je zadesila. Naša zemlja lakše i brže se oporavila od posledica razaranja Drugog svetskog rata nego što se može oporaviti od vladavine neoliberalne vlade koja nas vodi u propast.
 
Pred svima nama stoji borba za rušenje poretka koji nam je nametnut, koji nas ponižava i pljačka. Radnička klasa mora dići svoj glas i reći odlučno NE daljoj privatizaciji koja je uperena protiv vitalnih interesa građana Srbije.
   
Stop privatizaciji!
Za novu ekonomiju za dobrobit svih ljudi!
 Za socijalističku privredu!
 
Sekretarijat SKOJ-a 
26.3.2010. god.


Dedicato a chi cerca la verità in buona fede ma col cervello.

UN “NEGAZIONISTA” RINGRAZIA.


Credo che, tutto sommato, la prof. Rossana Mondoni, sacerdotessa del culto di Graziano Udovisi (l'unico “sopravvissuto alle foibe” ancora vivente, non a caso da lei paragonato a Padre Pio) e autrice dell'ultima, ennesima intervista con l'anziano “combattente italiano al confine orientale” (pubblicata in un libello a lui dedicato), meriti da parte nostra un ringraziamento.

Certo non fanno piacere gli anatemi e le ingiurie che costei (come già fece celebrando Norma Cossetto) continua a lanciare contro i “negazionisti”, affibbiando tale qualifica – appropriata per chi nega gli stermini nazisti - a chiunque osi mettere in dubbio il dogma del “genocidio degli italiani da parte degli slavo/comunisti” nelle terre contese alla fine della seconda guerra mondiale (si veda a questo proposito la chiara e forte risposta di Claudia Cernigoi su www.nuovaalabarda.org).

Inoltre non sono gradevoli i suoi tentativi di esorcizzare le diaboliche contestazioni alle verità rivelate dal suo inconfutabile testimone, peraltro senza avere il coraggio di citare neppure il titolo del libro [LA FOIBA DEI MIRACOLI, indagine sul mito dei “sopravvissuti”, Kappa Vu, Udine 2008, frutto di una ricerca collettiva e da me firmato] in cui si dimostra la falsità di tali “rivelazioni” e si documentano puntualmente tutti i “passaggi” nella costruzione di quel mito – i quali vanno ben oltre la figura e le vicende personali del sig. Udovisi, coinvolgendo fin dall'inizio i massimi esponenti democristiani e della chiesa locale triestina, impegnati a sostenere le rivendicazioni neo irredentiste italiane nella battaglia diplomatica al tavolo delle trattative di pace -. Infatti le prime palesi falsità e contraddizioni in questa storia risalgono al luglio 1945, quando fra Trieste [curia del vescovo Santin] e Roma [Stato Maggiore del R. Esercito (ufficio “I”) e Ministero per gli Affari Esteri] cominciarono a circolare in forma strettamente riservata ben tre diversi documenti con la “testimonianza di un sopravvissuto alla foiba”: Giovanni Radeticchio. In essi egli afferma di essersi salvato da solo, e che fra gli altri cinque gettati con lui nella foiba e deceduti c'era... Graziano Udovisi. Fu l'inattesa “resurrezione” di quest'ultimo un mese dopo a Padova (dov'era fuggito con documenti falsi, ma fu riconosciuto e arrestato per la sua fama di collaborazionista coi nazisti e di rastrellatore di partigiani) che scompigliò il quadro. La “testimonianza” (pubblicata il 16/1/1946 in forma rigorosamente anonima dall'organo della DC triestina “La Prora”) fu “fatta propria” da Udovisi, con le necessarie modifiche, al processo che subì nel settembre successivo: solo allora i miracolati divennero due. Ma da quel momento entrambi scomparvero dalla scena (anche perché, come è emerso dalle interviste coi parenti di Radeticchio, fra loro era sorta la contesa su “chi aveva salvato l'altro”), e la storia del (dei) sopravvissuto (-i) fu gestita direttamente dagli organi politici (il M.A.E. sul piano diplomatico -segreto-; il CNL Istria, il periodico “Difesa Adriatica” e altri su quello della propaganda), con una serie di manipolazioni e “diramazioni” che moltiplicarono nomi, luoghi e testimonianze.

A queste, come ad altre importanti conclusioni della nostra indagine esposte nel libro sopra citato (p. es. la totale incompatibilità fra le caratteristiche della “foiba” indicata quale teatro del dramma e la dinamica dei fatti raccontati), Rossana Mondoni non fa cenno.

Invece, di fronte alle molte incongruenze e contraddizioni riscontrabili nelle varie versioni della “testimonianza” che Udovisi (o chi per lui) ha ricominciato a sfornare circa vent'anni fa, l'ineffabile maestra di storiografia si limita a sentenziare che “i vissuti sono soggettivi, viaggiano con le emozioni che traboccano” e poi cita (?) nientemeno che “Sant'Agostino. L'anima... rivive gli eventi riplasmandoli... con l'autenticità e la freschezza che solo chi ha veramente vissuto quell'esperienza può fare”. Insomma l'attendibilità di un testimone sarebbe garantita dal livello di emotività (e di confusione) che esprime. Chi lo nega è un negazionista (come chi non crede alla santità di padre Pio è un miscredente)!

Ma è proprio per questo che dobbiamo ringraziarla. La sua opera infatti dimostra senza ombra di dubbio che solo attraverso la Fede (quella religiosa, con la F maiuscola) si può continuare a credere alle verità predicate da Udovisi su se stesso (e sulle vicende delle foibe, e su quelle dei confini orientali più in generale); e ciò a conferma che i risultati delle nostre ricerche non sono attaccabili sul piano razionale e storico.

Paolo Consolaro (Pol Vice)




A SCUOLA CON LIBRO E MOSCHETTO


L'Ufficio Scolastico Provinciale di Salerno (ex Provveditorato agli Studi) ha avviato un'indagine nella sua provincia sulle scuole che non avrebbero rispettato i dettami della legge istitutiva del Giorno del Ricordo. In particolare si citano gli eventuali casi di "manifestato dissenso verso la celebrazione istituita" per legge...


(Sulle iniziative intraprese in Italia per impedire il libero insegnamento nelle scuole delle vicende della Resistenza al confine orientale si veda la documentazione al link: