Informazione

(english / italiano)

Tentata "esecuzione extragiudiziale" di un prigioniero dell'Aia

E' l'ennesimo caso di attentato alla vita dei prigionieri del "Tribunale ad hoc" dell'Aia. Radislav Krstic, condannato a una pena pesantissima in seguito ad una controversa sentenza sul "genocidio" di Srebrenica (ma lui non era nemmeno sul posto in quei giorni), è stato aggredito in un supercarcere inglese, dove stava scontando la pena, e colpito alla gola con una lametta da un carcerato. 
L'esecutore materiale è Indrit Krasniqi, giovanissimo albanese che sta scontando una pena per violenza e assassinio di una ragazza minorenne... e il mandante? Perché un mandante, in ogni caso, c'è: quantomeno, mandante è l'odio cieco che in questi anni è stato profuso utilizzando la parolina in codice "Srebrenica" per silenziare ogni dubbio o dissenso sull'intervento imperialista dell'Occidente in Jugoslavia. 

Valutando di avviare specifiche iniziative su Krstic e sulla condizione dei prigionieri dell'Aia, il Forum di Belgrado invita innanzitutto a mobilitarsi per chiedere come prima cosa il trasferimento di Krstic in un paese diverso dal Regno Unito.

(a cura di Italo Slavo)

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Brutal revenge: In a high-security British jail, a Serbian warlord has his throat slashed by three Muslim inmates


By David Williams and Stephen Wright
Last updated at 1:17 AM on 8th May 2010


A former Serb general convicted of Europe's worst massacre since the Second World War had his neck slashed open by three Muslim prisoners in a British jail yesterday.

Radislav Krstic, 62, serving a 35-year sentence for war crimes, was in a critical condition in hospital after the attack at top security Wakefield Prison.

The Serbs were the deadly enemies of Bosnian Muslims during the Yugoslav civil war in the 1990s. At least one of Krstic's attackers is said to be a Bosnian Muslim.

The incident is a huge embarrassment to prison bosses because Krstic is regarded as one of Britain's most sensitive and high-profile inmates.

It is almost certain to be raised at diplomatic level and questions will be asked about how the suspects were able to attack him.

He was convicted for his part in the massacre of more than 8,000 Bosnian Muslim men and boys who had been rounded up in the UN's supposedly safe haven of Srebrenica in July 1995.

At the time he was one of the most powerful men in the Bosnian Serb army, second only to General Ratko Mladic, who is still on the run from war crimes investigators.

He was arrested in a daring joint SAS and U.S. Navy SEAL snatch in Bosnia in December 1998.

In 2001 he became the first man to be convicted of genocide by the War Crimes Tribunal in the Hague and was sentenced to 46 years in prison.

This was overturned on appeal and replaced by a 35-year sentence for aiding and abetting genocide.

Under the 1948 Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide, Britain is obliged to take a share of prisoners convicted at the tribunal.

Among Bosnian Muslims, Krstic, who is married with a daughter, remains a figure of hatred, with the families of many of his victims swearing revenge.

Retribution appears to have come when he was attacked in the maximum security area of Wakefield while in his cell - D320.

He was slashed using a homemade weapon - believed to be a razorblade embedded in a toothbrush.

Last night it emerged that one of his suspected assailants was serving life for the torture and murder of a girl in a suburban park in 2005.

He is Indrit Krasniqi, 22, of Chiswick, West London, convicted in 2006 of the gang murder of Mary-Ann Leneghan, 16, in Reading.

Krstic was found by prison officers on the floor in a pool of blood at 11am. One of the cuts narrowly missed a major artery. He had also been beaten around the head and body.

He was unconscious when he was taken to nearby Pinderfields Hospital. An insider said: 'At first it was thought that Krstic was dead because of all of the blood.

'It was a well-planned and executed ambush. The view is that it was an act of revenge.'

Last night Krstic, although critically ill, was not said to be in a life-threatening condition.

The jail was in 'lockdown' as staff searched for the weapon used in the assault. 

The attack comes at a time when former Bosnian Serb leader Radovan Karadzic is standing trial at the Hague charged with war crimes relating to Srebrenica and other atrocities. 

Outraged officials in the city of Banja Luka, the centre of Bosnian Serb power, said last night that the 'whole position' of the War Crimes Tribunal would be further undermined if those convicted 'couldn't even by protected in a prison'.

'We should know whether this was allowed to happen... whether a blind eye was turned,' one said.




Giuseppe Ciulla e Vittorio Romano
Lupi nella nebbia
Editore Jaca Book - 2010
Pagine 160 - € 14,00 - EAN 9788816409620

“Mafia likes fog, like wolves”. La mafia vuole la nebbia, come i lupi. Le parole di un poliziotto kosovaro sono la sintesi di un Paese in cui dieci anni di amministrazione ONU non hanno portato benessere e giustizia, ma miseria e criminalità. In cui, in nome della stabilità dei Balcani, si è legittimata una classe dirigente legata a doppio filo con la mafia, Attraverso una scrupolosa inchiesta giornalistica Giuseppe Ciulla e Vittorio Romano tracciano un bilancio a tinte fosche della gestione internazionale: l'insabbiamento dei processi per crimini di guerra, le investigazioni sulle più alte personalità politiche del Paese (tutti o quasi ex comandanti UCK) misteriosamente sparite nel passaggio di consegne dalle Nazioni Unite all'Unione Europea; i rapporti degli osservatori OCSE rimasti lettera morta che denunciano l'inerzia dell’ONU; le responsabilità degli USA. Il Kosovo è grande quanto l'Abruzzo e con 14mila soldati NATo dovrebbe essere uno dei posti più sicuri del mondo. Perché allora nel nord di Mitrovica si spara ancora? Per i magistrati il Kosovo è uno degli snodi più importanti per il traffico di armi, droga, organi ed esseri umani verso l'Occidente. Come mai quindi alle frontiere nessuno controlla i carichi dei camion? Nel cuore dei Balcani che marciano verso l'Europa il Kosovo è uno stato delle mafie, auto proclamatosi indipendente, che ci riporta a una nuova guerra fredda, Con abilità narrativa gli autori intrecciano il racconto dei volti e degli avvenimenti incontrati durante la loro inchiesta al più vasto scenario della scacchiera balcanica e delle missioni internazionali di cui il Kosovo rappresenta un tragico modello.



Lo scandalo Kosovo


di Giuseppe Ciulla e Vittorio Romano

I clan dell'attuale e dell'ex premier coinvolti in omicidi. Il traffico di organi e di droga. L'Onu sapeva e ha insabbiato. Lo dimostrano alcuni documenti ora ritrovati

Il 2 giugno per la prima volta il Kosovo invierà un suo rappresentante alla conferenza Ue-Balcani di Sarajevo, e le cancellerie occidentali sono pronte ad accoglierlo in vista dell'obiettivo finale: l'ingresso di Pristina nell'Unione europea. Quello che gli ambasciatori faranno finta di non sapere è che dopo i bombardamenti del 1999 le Nazioni Unite hanno affidato l'intero Stato alla mafia. 

Le prove sono in una stanza al primo piano della procura di Pristina tra decine di faldoni con un elastico legato attorno e la scritta "closed". Sono le indagini archiviate dai magistrati Onu l'8 dicembre 2008, ventiquattro ore prima di lasciare il Kosovo nelle mani degli europei. 

Nel marzo del 2009 un funzionario dell'Eulex, la missione europea che amministra il Paese, entra nella stanza e si mette a curiosare tra i fascicoli. Nelle sue mani finisce il caso hpq 215/2002, o meglio uno stralcio di quel processo che vede come unico imputato Ramush Haradinaj, l'ex premier del Kosovo e attuale leader del partito AAK. È accusato di aver assalito insieme alle sue milizie la casa di un clan rivale a colpi di Kalashnikov. 

«Le prove contenute nel fascicolo sono schiaccianti», rivela il funzionario, «ci sono foto, testimonianze, bossoli e persino le tracce del sangue degli aggressori». Il 26 settembre del 2002 quel faldone è stato spedito dai giudici Onu di Pec alla Procura di Decani e lì dimenticato per sette anni. «Le Nazioni Unite », aggiunge il funzionario, «hanno insabbiato i processi contro i politici e passato solo 35 faldoni ai giudici europei». Le prove del lavoro di copertura dei crimini da parte dell'Onu sono pubblicate nel libro "Lupi nella nebbia". Ci sono i rapporti di intelligence nei quali si spiega che Haradinaj è il principale trafficante di eroina del Paese, il suo ruolo nell'omicidio di testimoni scomodi o di poliziotti che indagavano sui suoi affari, e soprattutto le prove che le Nazioni Uniti erano perfettamente a conoscenza di aver affidato il Kosovo nella mani di una delle più feroci costole della mafia albanese.

Le indagini insabbiate non riguardano solo Haradinaj. Un'inchiesta coinvolge Lufti Dervishi, fedelissimo del premier Hashim Thaqi. Nel 2005 gli inquirenti Onu hanno la possibilità di interrompere un traffico di organi da centinaia di milioni di dollari: documenti riservati provano che i finanzieri dell'Onu avevano scoperto eccessive forniture di sangue ad alcune cliniche private che operavano a Pristina, in particolare alla Medicus dove Dervishi lavorava come primario. I rapporti sottolineano «l'alto numero di richieste di sangue indirizzato al Centro per le trasfusioni», la necessità di realizzare dei controlli. L'ombra del traffico di organi stava su quei documenti che chiedevano alle Nazioni Unite di proseguire le indagini. «Invece ci siamo arrivati per puro caso», spiega il procuratore europeo Francesco Mandoi: «Un cittadino turco a cui era stato asportato un rene è svenuto all'aeroporto di Pristina e ci ha rilasciato una confessione ». 

Le manette scattano oltre che per Dervishi, anche per altre due persone e la clinica viene chiusa. Si innesca un terremoto politico e giudiziario. «Dalle nostre indagini il traffico è accertato in almeno cinque casi», aggiunge Mandoi. «Ne stiamo verificando altri 25. In Kosovo arrivano centinaia di disgraziati da paesi come Turchia o Kazakhstan, pronti a farsi espiantare i propri organi per poche migliaia di euro. A pagare sono ricchi uomini e donne occidentali. Avviene tutto a Pristina, con la complicità dei politici locali. Dervishi è uomo di Thaqi». 

In Kosovo non c'è uomo in posizione chiave che non risponda ai clan. Un legame quasi familistico, eredità dell'Uck, l'esercito di liberazione. Durante la guerra questi uomini svolgevano attività criminali per finanziare la resistenza, adesso operano per conto degli ex capi, consolidano il potere, finanziano le campagne elettorali, comprano o uccidono avversari. Anche il sindaco di Skenderaj Sami Lustaku è un uomo di Thaqi. Secondo un rapporto Osce è «membro dell'organizzazione terroristica AKSK e coinvolto in numerose attività criminali». Il 14 novembre del 2005, alla presenza di tre poliziotti, il sindaco-soldato minaccia di morte un giudice che sta eseguendo lo sfratto di due locali. Il rapporto è un atto d'accusa durissimo verso le Nazioni Unite. Svela che Lustaku viene avvertito dagli investigatori di essere intercettato, denuncia che un commissario Onu blocca una perquisizione nella casa di Lushtaku per il rischio di «destabilizzare il Kosovo» e per paura di trovare le prove del coinvolgimento di Lushtaku in altri crimini.

Il documento sottolinea come questo «metterebbe ufficiali di alto livello dell'Onu in una brutta posizione ». «La questione che solleva più preoccupazioni », si legge, «è il fatto che l'interferenza con il lavoro dei giudici da parte di funzionari delle Nazioni Unite non è un caso isolato, piuttosto sembra essere una pratica utilizzata da lungo tempo». E cita altri due casi in cui ordini di perquisizione non sono mai stati eseguiti e in cui indagini per crimini anche più gravi rispetto a quelli imputati a Lushtaku sono state «seriamente impedite dai vertici dell'Onu ». Il documento OSCE punta l'indice contro l'ex numero due delle Nazioni Unite Steven Schook, attuale consigliere politico di Haradinaj. Secondo il rapporto, nel 2006 Schook decide che tutte le indagini che possono «destabilizzare» il Kosovo devono avere la sua autorizzazione. Non è finita. Gli investigatori europei in questi giorni stanno ascoltando le confessioni di Nazim Bllaca, un agente dei servizi segreti del premier Thaqi che si è autoaccusato dell'omicidio di 17 oppositori politici. Non dovrebbe essere complicato intuire per conto di chi ha operato il killer Bllaca. 

Sarà più difficile trovare qualche ambasciatore interessato ad ascoltare la storia dei dieci anni di amministrazione Onu. Gli anni in cui trafficanti, assassini e mafiosi si sono presi il Kosovo.
(04 maggio 2010)




Cappuccino, brioche e intelligence n°13: un nuovo libro di Edward Luttwak: wow!

Edward Luttwak non è uomo che perda tempo con ricerche storiche accademiche o fini a sè stesse; quando scrive, scrive perchè ha una precisa operazione politica da realizzare.
Nel 1967 scrisse “Tecnica del colpo di Stato” in cui analizzava con grande precisione i meccanismi dei colpi di stato (particolarmente numerosi in quell’epoca) e le ragioni  per cui alcuni erano riusciti ed altri falliti: sei anni dopo fu fra i consulenti che idearono il golpe cileno contro Allende.
Nel 1976 scrisse “la grande strategia dell’Impero Romano” e l’idea sottostante era quella di riabilitare  l’idea di “Impero”, sino a quel punto,  per gli americani era una parola impronunciabile: gli Usa sono nati da una rivoluzione anticoloniale contro un Impero, appunto, ed essere identificati come Impero appariva come la negazione dello spirito dei “padri fondatori”. Luttwak contribuì a rimuovere questo complesso degli americani insistendo sul carattere repubblicano dell’Impero di Roma e sul suo ruolo come garante della pace, proprio in quanto impero unico: quindici anni dopo, con la caduta dell’Urss quella premessa risultò utilissima per teorizzare l’equilibrio monopolare del dopo-muro.

E poi altri libri sulla grande strategia dell’Urss, o sul concetto stesso di strategia strettamente funzionali all’ultima e risolutiva fase della guerra fredda.
Insomma uno che sa quello che fa.
Ora ci propone un titolo apparentemente bizzarro: “La grande strategia dell’Impero Bizantino” (a proposito, pare che l’argomento sia diventato di gran moda: date un occhiata agli scaffali delle librerie e vedete quanta roba sta uscendo sull’argomento). 

Il cuore del ragionamento di Luttwak è questo: l’impero romano di occidente cadde sotto l’urto delle invasioni barbariche nel 476 Dc, mentre l’impero romano d’oriente cadde solo 10 secoli più tardi e nonostante militarmente fosse meno forte e le sue frontiere fossero meno difendibili. Come mai? L’autore ritiene  che il segreto della longevità di Bisanzio sia consistito in un accorto mixage di diplomazia ed intelligence che consentì a lungo di eterodirigere vicini, avversari ed alleati, giocando l’uno contro l’altro. Bisanzio non cercò mai di abbattere definitivamente nessun avversario, proprio per evitare di avvantaggiare indirettamente altri avversari. Seppero usare con maestria l’arte di disorientare gli avversari con indicazioni geografiche errate, con notizie artefatte sulle intenzioni aggressive dei vicini, soprattutto giocando con molta astuzia sul piano delle alleanze per cui l’alleato di oggi è l’avversario di domani e l’avversario di oggi può diventare l’alleato di domani e, come tali trattati.

Traduzione dal latino di New York all’italiano:
partiamo dall’idea che si scrive Impero romano ma si legge Usa, rispettivamente Impero romano d’Occidente sta per “Usa neo cons dell’era repubblicana” mentre Impero romano d’Oriente sta per Usa dopo la crisi del 2008.
Con il crollo dell’Urss, gli Usa avevano sognato un equilibrio imperiale monopolare (sul modello del primo Impero Romano), sino ad esprimerlo chiaramente nel progetto “Per un nuovo secolo americano”. Ma, con la crisi del 2008, questo sogno è ormai inattuabile ed occorre ridimensionarlo: la crisi finanziaria rende molto difficili nuove avventure militari, intacca il prestigio degli Usa, scuote il dollaro, inoltre, la Cina corre molto più in fretta del previsto e si profilano intese come quella del Bric.
Nonostante tutto, gli Usa restano ancora il paese militarmente più forte ed il dollaro è ancora la moneta di scambio internazionale. Qui il problema è quello di durare come prima potenza in un mondo ormai irrimediabilmente multipolare. Di qui l’analogia con l’Impero bizantino.
Con le lezioni conseguenti:
-giocare la forza più per il suo valore deterrente che per il suo uso effettivo;
- non considerare veramente alleato nessuno, ma giocare l’uno contro l’altro in un sistema di convergenze e divergenze fluttuanti;
- affidare il compito di prima linea all’intelligence prendendo l’iniziativa nella guerra asimmetrica.

Ma, soprattutto, imparare a concepire la strategia non solo come dato militare, ma come disegno d’azione complessivo che contempla sia azioni militari aperte (interventi regionali, presidio di zone calde ecc.) sia azioni coperte (appoggio a terrorismi e rivolte, aggressioni informatiche ecc.) sia non militari (destabilizzazione politica ed economica di avversari, guerra monetaria, spionaggio industriale ecc.). Perchè, ai fini della vittoria, quello che conta non è necessariamente lo scontro militare, ma l’effetto combinato delle varie forme di azione, militari e non militari.
Qualcuno, però, osserverà che un  simile concetto di strategia non appartiene affatto a Bisanzio, come dimostra l’opera “Strategikon” composta dall’Imperatore Maurizio nel VI secolo e che fu il testo base di arte militare bizantina per 5 secoli. 

Appunto… non è di Bisanzio che stiamo parlando.

Aldo Giannuli, 8 maggio ‘10

Ps: ho notato che la libreria Hoepli di Milano ha messo in vetrina il libro di Luttwak accanto al mio sui sevizi segreti: sono commosso…!


Il giorno 06/mag/10, alle ore 22:25, Coord. Naz. per la Jugoslavia ha scritto:


IL SIGNORE DELLA GUERRA

<< La pace è facilissima da ottenere: basta arrendersi. >>

Edward Luttwak alla trasmissione AnnoZero, Rai2, 15 aprile 2010



Ferite Aperte del Confine Orientale e Censure Odierne

1) Lettera aperta: A proposito de "Le ferite aperte del confine orientale" (“Il Corriere della Sera” 23-3-2010)
2) Lettera aperta del Direttore de La Nuova Alabarda Claudia Cernigoi 
3) L'indice dei libri proibiti pubblicato dal Corriere della Sera


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“Corriere della Sera”. Immagine della democrazia che muore. (Da “Fuoriregistro”)


22/04/2010 di giuseppearagno
L’11 marzo alla Commissione Cultura della Camera, l’on. Paola Frassinetti, ex “Fronte della Gioventù” oggi PdL, ha proposto una risoluzione che intende “arginare il fatto deplorevole che alcune associazioni si recano nelle scuole per raccontare una visione dei tragici fatti delle foibe in maniera totalmente travisata“. Non contenta, l’onorevole se l’è presa con “il recente libro dello sloveno (sic) Pirjevec, edito da Einaudi, e distribuito nelle scuole di Torino“. Il libro, ha sostenuto Frassinetti, “esprime giudizi gravi sugli avvenimenti storici riferiti alle foibe, non corrispondenti alla verità; esistono, infatti, negazionisti della vicenda“. Scomunica ufficiale, quindi, “come ha anche ricordato il sindaco di Roma“, e, a onor del vero, un errore c’è stato. Pirjevec è italiano come Alemanno e Frassinetti. Sorge allora un dubbio: fingerlo “sloveno” può farlo sembrar di parte e sminuirne la serietà di studioso? Ma non finisce qui: Frassinetti ha proposto anche l’istituzione, presso il Ministero dell’Istruzione, di un albo degli enti e degli studiosi “autorizzati a recarsi nelle scuole per ricordare i fatti accaduti“. La lista degli abilitati a parlare non s’è fatta, ma s’è deciso – all’unanimità! – che siano i presidi a valutare (?) la serietà e la serenità dei conferenzieri.
Di questa vera e propria rivoluzione copernicana degli studi storici, il “Corriere della Sera” ha fatto da cassa di risonanza e il 23 marzo, in calce a un servizio sulla Grande Italia, ha “indicato” buoni e cattivi. Ne è nata così una specie di “lista di proscrizione”, un minuscolo, triste esempio di “index librorum prohibitorum”. Vale la pena di citarlo testualmente: “Vi sono anche opere che tendono a ridimensionare la portata degli eccidi jugoslavi: Joze Pirjevic, Foibe (Einaudi 2009), Claudia Cernigoi, Operazione foibe tra storia e mito (Kappa Vu 2005), Giacomo Scotti, Dossier foibe (Manni 2005), Giuseppe Aragno, Fascismo e foibe (La città del Sole, 2008). Contro di esse, considerate «negazioniste», le associazioni degli esuli hanno di recente chiesto un intervento delle pubbliche autorità“.
Se, com’è noto a tutti gli studiosi che se ne sono occupati onestamente, nessuno dei citati dall’anonimo giornalista nega l’esistenza del dramma istriano, dove va a parare la manovra? Si vuole agitare lo spettro del “negazionismo“, nell’ attesa di poterlo trasformare in reato?
E’ accettabile tutto questo? E davvero siamo ancora in una repubblica democratica, se impunemente si possono liquidare così gli studi di storici onesti, che fanno ricerca secondo le regole del mestiere, nella maniera più corretta, esplorando archivi e documentando ogni affermazione? E’ accettabile che sia la politica a decidere chi debba parlare nelle scuole? E che un grande giornale fiancheggi la manovra e non senta il bisogno di prendere le distanze?
E anche supponendo che Aragno, Pirjevec, Scotti e Cernigoi sbaglino, a quale governo consentiremo, senza protestare, di trattare un errore alla maniera di un crimine?
Le posizioni di Frassinetti, di cui in qualche modo il Corriere si fa portavoce, sono inquietanti. Si cominciò a parlare di “negazionismo” a proposito di studi che riguardavano apertamente il genocidio ebraico. Inaccettabili, certo, ma pur sempre opinioni da combattere con le armi della ricerca e la forza della democrazia. Si passa ora, con un prevedibile effetto domino, ad altri gruppi nazionali e magari sociali. E’ naturale che chi è stato massacrato desideri che lo storico se ne ricordi, ma è legittimo che siano le vittime a dettare la ricostruzione dei fatti? Da una regola discutibile ma “mirata” ricaveremo una norma generale per una pluralità di eventi cui s’appelli chiunque si ritenga “negato“? E tutti, ognuno in nome di propri interessi e idee politiche, potranno così chiamare in causa gli studiosi per le loro opinabili, ma oneste ricostruzioni? A questo punto non solo i quattro citati, ma tutti troveranno grandi difficoltà a fare gli storici. E’ questo che si vuole? Quello che con preoccupata amarezza e acuto senso della democrazia, Gaetano Arfè, definiva un “popolo di senzastoria“?
Noi non lo vogliamo.
Per questo volentieri abbiamo sottoscritto e pubblichiamo l’appello che segue. Chiunque voglia può aggiungere la sua adesione.
La Redazione di “Fuoriregistro

Lettera aperta
A proposito de Le ferite aperte del confine orientale (“Il Corriere della Sera” 23-3-2010)
Scriviamo a lei, direttore, di cui è nota l’onestà intellettuale, perché rifiutiamo, l’etichetta di “negazionisti” con cui un anonimo corsivo del “Corriere” liquida gli studi di storici onesti, che fanno ricerca nel modo più corretto, esplorando archivi e documentando ogni affermazione. Sarà un caso, ma dopo che l’on. Frassinetti, (Pdl) ha chiesto che sia la politica a decidere chi debba parlare nelle scuole, sembra che il suo giornale intenda “suggerire” cosa leggere e chi abilitare. Noi, non neghiamo nulla, direttore, noi disprezziamo i colpevoli di ogni sterminio e ci fa scudo Kant: “Sapere aude“! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza. Non le diremo col filosofo – sarebbe sin troppo facile – che ormai “da tutte le parti si ode gridare: non ragionate!“, ma ci duole, questo sì, che lei l’abbia consentito quest’invito a non ragionare. Ci duole che gli storici chiamati in causa, esclusi dall’index librorum prohibitorum, non si siano levati come un sol uomo per difendere la libertà di ricerca, di opinione e di parola. Ci duole che la “battaglia delle idee“, sia scaduta a simili livelli. E, come a noi, dovrebbe dolere a lei e ai profughi stessi dell’Istria martoriata per i quali nutriamo profondo rispetto. Ne siamo convinti: le tragedie del Novecento sono nate anche così, da parole apparentemente innocue e malaccorte uscite da una qualche penna fanatizzata per imporre una verità di parte che s’è fatta verità di Stato. Di qui gli odi covati, i propositi di vendetta e le mille tragedie da cui domani non ci renderanno immuni i giorni di una “memoria” usata strumentalmente dalla politica, ma quelli dell’onestà intellettuale e dell’amore per la democrazia. In nome di questi giorni che – lo speriamo – dovranno venire, ci permettiamo di dire con Voltaire che solo gli imbecilli sono sicuri di quello che scrivono. Ne siamo certi: queste nostre poche parole saranno per lei non solo una lettera aperta che ospiterà, ma un appello che vorrà sottoscrivere. E altri con lei.
Di ciò la ringraziamo in anticipo.
Giuseppe Aragno, Storia Contemporanea – Università Federico II Napoli
Claudia Cernigoi, Giornalista – Ricercatrice storica
Jože Pirjevec, Storia dei popoli slavi – Università di Trieste
Giacomo Scotti, scrittore, storico e traduttore
Firme per adesione
Gerardo Marotta, Presidente dell’ Istituto Italiano per gli Studi Filosofici
Nicola Tranfaglia, prof. emerito di Storia dell’Europa e del Giornalismo – Università di Torino
Michele Fatica, prof. emerito di Storia Moderna e contemporanea – Università di Napoli L’Orientale
Angelo D’Orsi, prof. Pensiero politico contemporaneo – Università di Torino
Ferdinando Cordova, prof. di Storia Contemporanea – Università La Sapienza di Roma
Santi Fedele Prof. di storia contemporanea – Università di Messina
Alceo Riosa, Prof. di Storia Contemporanea, Università di Milano
Giovanni Cerchia, Prof. Storia Contemporanea – Università del Molise
Luigi Parente, Prof. Storia Contemporanea – Università Orientale Napoli
Cristiana Fiamingo, Prof. Storia e Istituzioni dell’Africa – Università degli Studi di Milano
Piero Graglia, Prof. Storia dell’integrazione europea – Università di Milano
Marco Sioli, Prof. Storia e Istituzioni delle Americhe – Università di Milano,
Sandro Rinauro, Prof. Geografia economico-politica – Università di Milano
Alessandra Kersevan, Ricercatrice storica
Sandi Volk, storico – Sezione Storica della Biblioteca nazionale slovena
Fabio Gentile – Prof. di Politica comparata – Università di San Paolo del Brasile
Elisa Ada Giunchi, Prof. Storia dell’Asia, Università degli Studi di Milano
Nunzio Dell’Erba, Ricercatore confermato Storia contemporanea Università di Torino
Eros Francescangeli, Prof. Storia contemporanea, Università degli Studi di Padova
Giorgio Sacchetti, Prof. Storia dei partiti e dei movimenti politici, Università degli Studi di Trieste
Aldo Giannuli, Prof. Storia Contemporanea – Università degli Studi di Milano
Vanni D’Alessio, Ricercatore Storia Contemporanea – Università Federico II Napoli
Andrea Catone, storico – Direttore de “L’Ernesto”
Alexander Hobel, Storia contemporanea, Università Federico II di Napoli
Gigi Bettoli, Ricercatore storico
Gaetano Colantuono – storico
Cristina Accornero – Università degli Studi di Torino.
Alberto Gallo, storico, Università di Firenze
Giovanna Savant, Dottore di ricerca Studi politici europei ed euroamericani Università di
Torino
Giampiero Landi, insegnante e storico
Marco Albertaro, storico
Silvio Antonini – ANPI Viterbo
Redazione di “Fuoriregistro”
Redazione del “Forum Insegnanti”
retescuole.net
Associazione Scuolafutura – Carpi
Uscito su “Fuoriregistro” il 24 aprile 2010
ULTERIORI ADESIONI SI STANNO RACCOGLIENDO ATTRAVERSO LA PAGINA INTERNET: http://www.didaweb.net/fuoriregistro/leggi.php?a=13867


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FERITE APERTE E CENSURE

Lettera aperta del Direttore Claudia Cernigoi 


Il 23 marzo 2010 sul Corriere della Sera è apparso un breve articolo dal titolo “Le ferite aperte del confine orientale”, nel quale vengono elencati una serie di testi che parlano delle vicende delle “foibe” e dell’esodo istriano. Dopo alcuni titoli considerati evidentemente “neutri”, vengono indicati due testi “che riflettono l’opinione degli esuli istriani” ed alla fine leggiamo:

Vi sono anche opere che tendono a ridimensionare la portata degli eccidi jugoslavi: Joze Pirjevic, Foibe (Einaudi 2009), Claudia Cernigoi, Operazione foibe tra storia e mito (Kappa Vu 2005), Giacomo Scotti, Dossier foibe (Manni 2005), Giuseppe Aragno, Fascismo e foibe (La città del Sole, 2008). Contro di esse, considerate «negazioniste», le associazioni degli esuli hanno di recente chiesto un intervento delle pubbliche autorità.

Parlo ora per fatto personale, ma penso che gli altri storici coinvolti possano riconoscersi in quanto dirò. Essere liquidati in questo modo su uno dei maggiori quotidiani nazionali non è cosa che possa far piacere a chi, come noi, ha studiato a lungo documenti e testimonianze prima di dare alle stampe cose che sappiamo possono essere soggette a critiche, più politiche che storiche, a dire il vero, ma in effetti quando si parla di questi argomenti spesso la storiografia viene lasciata da parte per dare spazio all’interpretazione politica dei fatti. E dato che le interpretazioni politiche “ufficiali” dei fatti sono diverse dalle conclusioni storiche cui noi si è arrivati, a questo punto scatta l’accusa di “negazionismo” nei nostri confronti, con tutto ciò che l’uso spropositato di questo termine comporta.

[...] Al momento in cui scrivo (8 maggio 2010) la lettera [aperta al direttore del Corriere della Sera più sopra riportata, vedi al punto (2)] non è stata pubblicata dal Corriere della Sera, ma neanche dal Manifesto, che pure aveva dato la propria disponibilità ad Aragno; è stata invece pubblicata dal settimanale anarchico Umanità Nova e si può trovare ai seguenti link:

http://www.foruminsegnanti.it/modules.php?name=News&file=article&sid=1612
http://www.fisicamente.net/portale/modules/news2/article.php?storyid=1396
http://bru64.altervista.org/forum/viewtopic.php?t=16581
http://www.didaweb.net/fuoriregistro/leggi.php?a=13867

In attesa di ulteriori disponibilità, noi continueremo a resistere.

Claudia Cernigoi


=== 3 ===


STUDI E POLEMICHE

Le ferite aperte del confine orientale

Le vicende del confine orientale nella Seconda guerra mondiale sono oggetto di vari studi. Tra i più recenti: Raoul Pupo, Il lungo esodo, (Rizzoli, 2005), Marina Cattaruzza, L' Italia e il confine orientale (Il Mulino, 2007), Guido Crainz, Il dolore e l' esilio (Donzelli, 2005), Raoul Pupo e Roberto Spazzali, Foibe (Bruno Mondadori, 2003), Marta Verginella, Il confine degli altri (Donzelli, 2008) e la raccolta di saggi Dall' impero austro-ungarico alle foibe (Bollati Boringhieri, 2009), che contiene il documento preparato sul tema da una commissione di storici italiani e sloveni. Da segnalare poi due libri di Gianni Oliva editi da Mondadori: Foibe (2002) e Profughi. Dalle foibe all' esodo (2005). Tra le pubblicazioni che riflettono il punto di vista degli esuli italiani: Arrigo Petacco, L' esodo (Mondadori, 1999), Luigi Papo, L' Istria e le sue foibe (Settimo Sigillo 1999). Vi sono anche opere che tendono a ridimensionare la portata degli eccidi jugoslavi: Joze Pirjevic, Foibe (Einaudi 2009), Claudia Cernigoi, Operazione foibe tra storia e mito (Kappa Vu 2005), Giacomo Scotti, Dossier foibe (Manni 2005), Giuseppe Aragno, Fascismo e foibe (La città del Sole, 2008). Contro di esse, considerate «negazioniste», le associazioni degli esuli hanno di recente chiesto un intervento delle pubbliche autorità.

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(23 marzo 2010) - Corriere della Sera