Informazione


Golpe in Honduras: RSF, Vaticano, media e politici occidentali sono complici


Sulla situazione in Honduras, dopo il golpe guidato dall'italiano Micheletti, segnaliamo:

Il Cardi...male in Italia
Mons. Oscar Rodríguez Maradiaga arriva in Italia. Il suo attivo sostegno al colpo di Stato non deve passare inosservato

Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga, un cardinale golpista a Roma: Persona non gradita!

Alla Comunità di Sant'Egidio: ripensare alla scelta di invitare il Mons. Maradiaga

Ciò che in Honduras non era repressione, lo diventa in Iran grazie alla stampa internazionale
Oltre ogni limite della manipolazione mediatica - di Pedro Antonio Honrubia Hurtado

Honduras: imaginez que l’équivalent se passe à Cuba, que diraient nos médias, et le maire de Paris ?
Danielle Bleitrach 

1° Maggio in Honduras

Perché assassinare la parola?

Honduras: consultazione popolare per installare un'Assemblea Costituente

Appello urgente Honduras: La rifondazione della speranza


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R.S.F. NON ALZA UNA PAGLIA SULLA STRAGE DEI GIORNALISTI IN HONDURAS !
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Honduras : l’ONU s’émeut des assassinats de journalistes, pas RSF

L’association française Reporters sans frontières n’a pas placé le Honduras dans sa liste des Etats prédateurs de la liberté d’expression, publiée le 3 mai, à l’occasion de la Journée internationale de la liberté de la presse. L’ONG pro-US estime qu’il n’est pas établi que ces meurtres soient liés au contexte politique et que l’actuel gouvernement est démocratique.

Le 28 juin 2009, un coup d’Etat militaire, orchestré par les Etats-Unis, a renversé le président élu Manuel Zelaya et placé au pouvoir Roberto Micheletti. Le 29 novembre, la junte a convoqué des élections et déclaré vainqueur Porfirio Lobo Sosa. Le nouveau régime a fait appel à des experts israéliens du maintien de l’ordre. La répression s’est concentrée sur des assassinats ciblés, dont ceux de journalistes.

Le 10 mai 2010, le Rapporteur spécial des Nations Unies sur la promotion et la protection des droits à la liberté d’expression et d’opinion, Frank La Rue, le Rapporteur spécial sur les exécutions sommaires, extrajudiciaires ou arbitraires, Philip Alston, et la Rapporteuse spéciale sur la situation des défenseurs des droits de l’homme, Margaret Sekaggya, ont appelé les autorités honduriennes à faire toute la lumière sur les sept assassinats de journalistes survenus en six semaines dans le pays.

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http://www.voltairenet.org/article165395.html

13 DE MAYO DE 2010

La ONU denuncia los asesinatos de periodistas que RSF se niega a reconocer en Honduras 

La asociación francesa Reporteros Sin Fronteras no menciona a Honduras en su lista de Estados violadores de la libertad de expresión, publicada el 13 de mayo en ocasión del Día Internacional de la Libertad de Prensa. Esta ONG proestadounidense afirma que no se ha demostrado que los asesinatos de periodistas perpetrados en Honduras desde el golpe de Estado militar que derrocó al presidente Manuel Zelaya sean de origen político y que el actual régimen hondureño es democrático.

El 28 de junio de 2009 un golpe de Estado militar, orquestado por Estados Unidos, derrocó al presidente electo de Honduras, Manuel Zelaya, poniendo en su lugar a Roberto Micheletti. El 29 de noviembre los golpistas realizaron una elección presidencial en la que Porfirio Lobo fue declarado ganador. El nuevo régimen recurrió a la ayuda de expertos israelíes en mantenimiento del orden y la represión se ha concentrado en la realización de asesinatos selectivos, incluyendo asesinatos de periodistas que se pronuncian contra el régimen.

El 10 de mayo de 2010, el Relator Especial de la ONU sobre la promoción y la protección de la libertad de expresión y de opinión, Frank La Rue; el Relator Especial sobre ejecuciones sumarias, extrajudiciales o arbitrarias, Philip Alston, y la Relatora Especial sobre la situación de los defensores de los derechos humanos, Margaret Sekaggya, exhortaron a las autoridades hondureñas a esclarecer los 7 asesinatos de periodistas perpetrados en 6 semanas en su país.

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http://www.voltairenet.org/article165377.html

11 MAY 2010

Honduras : UN concerned over assassination of journalists, but not RWB

French NGO Reporters Without Borders did not include Honduras in its 2010 list of Worst Predators of Press Freedom, released on 3 May on the occasion of the World Press Freedom Day. The pro-US NGO maintains that no link between the murders and the political climate has been established and that the current government is democratic.

On 28 June 2009 a military coup, orchestrated by the United States, toppled elected President Manuel Zelaya and put Roberto Micheletti in power. On 29 November the junta held elections and declared Porfirio Lobo Sosa the winner. The new regime has called for Israeli public order experts. The repression is geared towards targeted assassinations, including journalists.

On 10 May 2010, United Nations Special Rapporteur on the promotion and protection of the right to freedom of opinion and expression, Frank La Rue, United Nations Special Rapporteur on extrajudicial, summary or arbitrary executions, Philip Alston, and United Nations Special Rapporteur on the situation of human rights defenders, Margaret Sekaggya, called on the Honduran authorities to elucidate all the circumstances surrounding the killing of seven journalists in six weeks.

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Related article:  

Reporters Without Borders seems to have a geopolitical agenda, by F. William Engdhal, Voltaire Network, 5 May 2010.

http://www.voltairenet.org/article165297.html





IL REPORTAGE


Montenegro, il business dell'energia
le mire italiane sul nuovo Eldorado


L'asse Berlusconi-Djukanovic per privatizzare il Paese. Centrali, ferrovie ed elettrodotti: appalti per 5 milioni di euro in cambio dell'ingresso nella Uedal nostro inviato PAOLO BERIZZI


PODGORICA -Un fiume di denaro pubblico italiano finito - come minimo in perfetto conflitto d'interessi - sui conti della banca di Milo Djukanovic. Lui, il pluri-inquisito ma inscalfibile premier montenegrino - pericoloso contrabbandiere internazionale e favoreggiatore di latitanti secondo le procure di Bari e Napoli, "amico" e "partner affidabilissimo" se si sta a Berlusconi e ai nostri ministri - , che per garantirsi il sostegno di Roma all'ingresso del Montenegro nell'Unione europea e nella Nato svende l'argenteria di casa. Come? Concedendo allettanti (e opache) privatizzazioni. Soprattutto nel settore dell'energia, la vera manna delle nostre imprese oltre Adriatico. Si sono date tutte allo shopping, qui, nell'ex Tortuga delle sigarette e dei loschi traffici divenuta oggi, grazie a una partnership in parte ancora da decriptare, e complice l'imposta su redditi più bassa d'Europa (9%), un nuovo Eldorado. Una specie di terra promessa per gli italiani, ora impegnati a colonizzarla come non riuscì all'ammiraglio Vittorio Mollo nel 1918 e al generale mussoliniano Pirzio Biroli nel 1941. 
Altre epoche. Girata la ruota, cambiati i protagonisti. Oggi si chiamano Claudio Scajola (non più ministro dello Sviluppo economico), Valentino Valentini (fidato consigliere di Berlusconi per i rapporti internazionali), Maria Vittoria Brambilla (ministro per il Turismo). È anche un po' merito loro, in missione per conto del presidente del Consiglio, che pure l'anno scorso è venuto a trovare Djukanovic in visita ufficiale, se la giovane Repubblica autonoma montenegrina - giovane come il suo discusso primo ministro (48 anni, a 29 già aveva in mano il paese e non l'ha più mollato, tra pochi giorni affronterà la prova delle amministrative cercando di scacciare le ombre che lo inseguono), è ora talmente lanciata da essere al centro di un mosaico affaristico-imprenditorial-politico. Assimilabile, per alcuni aspetti, alla stretta attualità italiana. Non vi sono, ad ora, risvolti penali, negli interscambi tra i due Paesi. Ma anche qui si parla di accomodanti relazioni politiche, di centinaia di milioni di euro, di grossi appalti, di operazioni bancarie più o meno filo-dirette. E, soprattutto, di energia. La stessa (in questo caso eolica) per la quale, in Italia, si è molto adoperato il coordinatore del Pdl Denis Verdini. 
Per scattare una fotografia del Montenegro visto dai palazzi romani si può partire da una telefonata. È il 18 gennaio del 2009. Denis Verdini, indagato per corruzione dalle procure di Roma e Firenze, chiama il suo amico Riccardo Fusi, costruttore fiorentino patron di Bpt (Baldassini-Tognozzi-Pontello), la società finita al centro dell'inchiesta sui Grandi Appalti e ritenuta dagli investigatori la "copertura" del consorzio Stabile Novus infiltrato dalla mafia. Non è un evento, la telefonata: "Ci sentivamo anche dieci volte al giorno", dice Fusi, contattato da Repubblica. Il tema di quella conversazione catturata, tra migliaia, dai Ros dei carabinieri, e ricordata dallo stesso Fusi, è il Montenegro. "Domani Valentini va a Podgorica con un gruppo di imprenditori, vuoi andare anche tu?", è l'invito di Verdini. Al suo amico, il coordinatore del Pdl fa presente che in Montenegro c'è la possibilità di guadagnare parecchio. "Purtroppo non sono riuscito ad andare per impegni già presi", si dispiace Fusi. 
Il volo di Stato per Podgorica è organizzato da Valentino Valentini tramite Simest (società del governo che sostiene gli investimenti italiani all'estero). Con il ministro Brambilla e il sottosegretario al commercio estero, Adolfo Urso, ci sono una sessantina di imprenditori (A2A, Enel, Terna, Banca Intesa, Ferrovie dello Stato, Edison, Valtur, Todini). È il primo passo nell'intesa commerciale tra Berlusconi e Djukanovic. 

Ce ne saranno altri due. Decisivi. Uno il 17 marzo 2009: la visita di Berlusconi. Il premier, accolto come un eroe, incontra Milo, come lo chiamano gli elettori. Promette che avrebbe fatto diventare grande il Montenegro. Il 16 giugno spedisce qui un altro suo fedelissimo, il ministro Scajola, che mette la firma su due contratti: energia e infrastrutture. Investimenti per 5 miliardi di euro. Col primo scendono in campo A2A - la multiutility quotata in Borsa nata dalla fusione delle municipalizzate di Milano e Brescia - e Terna. A2A acquisisce il 43% della società energetica pubblica Elektroprivreda. Dei 450 milioni italiani per la privatizzazione, una parte, almeno 300, sono stati versati sui conti della Prva Banka, il colosso bancario controllato dal fratello del premier, Aco Djukanovic, e del quale possiedono azioni lo stesso Milo e la sorella Ana. Lo conferma il direttore della Prva, Predag Drecun. L'opposizione al governo parla di operazione "affrettata e poco trasparente", sponsorizzata da Berlusconi e messa in piedi per favorire il potente clan Djukanovic. In effetti è come se Berlusconi privatizzasse una società pubblica e facesse versare i soldi sui conti della Mediolanum. Ma tant'è, tutto è possibile nel Montenegro delle (sin) energie. Grazie al "prego si accomodino" deciso da Milo, Terna costruirà un elettrodotto sottomarino Pescara-Tivat per portare l'energia balcanica nello stivale. A2A, ancora lei, realizzerà quattro centrali idroelettriche, Enel un impianto a carbone in collaborazione con Duferco che, a sua volta, tirerà su un termovalorizzatore. E per finire il progetto di Italfer (Ferrovie dello Stato): una ferrovia Bar-Belgrado (1 milione già stanziato da Scajola). 

Dietro la campagna montenegrina - è il timore del deputato Pd Alessandro Maran - si nasconde "la nostra illusione di fare nei Balcani tutto quello che non si può fare in Italia, trasferendolo dall'altro lato del confine". No, "è semplicemente una partnership costruttiva e interessante per tutti e due i paesi - ragiona l'ambasciatore italiano Sergio Barbanti - questo è uno Stato che vuole e può crescere". Ma l'assalto all'oro montenegrino è visto da qualcuno come un azzardo. Anche per lo stesso ex regno delle sigarette. Avverte un imprenditore locale: "È vero che sfruttiamo solo il 17 per cento del nostro potenziale, ma questa è una terra da salvaguardare". Buona parte del territorio montenegrino è sotto il patrimonio dell'Unesco. Anche volendo fare la tara a quello che scrivono i giornali vicini all'opposizione, come il "Dan" - titoli forti tipo "è arrivata la mafia dell'energia" - ; anche volendo prendere con le pinze le parole del leader del Movimento per il cambiamento Nebojsa Modojevic ("c'è il rischio che la mafia italiana bruci nei termovalorizzatori qualsiasi porcheria e il rapido accordo con A2A è frutto solo degli interessi personali di Berlusconi e Djukanovic"), è un fatto che il filo che corre tra Italia e Montenegro si regge su un equilibrio ancora ballerino. 
La Procura di Bari, che come quella di Napoli aveva chiesto l'arresto di Djukanovic poiché ritenuto a capo di una cupola mafioso-finanziaria dedita al traffico internazionale di sigarette (mille tonnellate al mese), droga, armi e coperture per 15 criminali, l'anno scorso ha archiviato il fascicolo. Non si può procedere perché Milo è un capo di governo straniero protetto dall'immunità. Ma le preoccupazioni per Djukanovic arrivano anche dal suo paese. La suprema corte di Podgorica ha acceso i riflettori su nove omicidi di testimoni "scomodi" legati al contrabbando (nel 2004 in città fu ucciso anche il giovane direttore del quotidiano Dan). Un'indagine che sta facendo tremare i palazzi del potere. 
Il 23 maggio in Montenegro si vota per le amministrative in 14 comuni. L'opposizione fa blocco per provare a scardinare Milo e, al prossimo suffragio, per mandarlo a casa dopo 18 anni. Lui si sente forte, anche grazie al partner italiano. Messe in cascina le garanzie di Berlusconi, Djukanovic promette l'Europa al suo popolo (che già usa l'euro, caso unico tra i paesi non Ue). Chissà, forse è tutta questione di energia. 

(19 maggio 2010)





http://rickrozoff.wordpress.com/2010/05/11/eastern-europe-from-socialist-bloc-and-non-alignment-to-u-s-military-colonies/

Stop NATO - May 11, 2010

Eastern Europe: From Socialist Bloc And Non-Alignment To U.S. Military Colonies

Rick Rozoff


Eleven years ago today the North Atlantic Treaty Organization was in the seventh week of a bombing war against the Federal Republic of Yugoslavia, one which saw over 1,000 Western military planes fly over 38,000 combat missions, bombs dropped from the sky and Tomahawk cruise missiles launched from the Mediterranean Sea.

Having quickly exhausted military targets, NATO warplanes resorted to bombing so-called targets of opportunity, including bridges on the Danube River, factories, Radio Television of Serbia headquarters in the capital (where sixteen employees were killed), a refugee column in Kosovo, the offices of political parties and the residences of government officials and foreign ambassadors, a passenger train, a religious procession, hospitals, apartment courtyards, hotels, the Swedish and Swiss embassies and the nation's entire power grid. 

U.S. Apache gunships and British Harrier jet aircraft were deployed for attacks on the ground and Yugoslavia was strewn with unexploded cluster bomb fragments and depleted uranium contamination.

The 78-day bombing campaign, NATO code name Operation Allied Force and U.S. Operation Noble Anvil, was promoted in Washington and other Western capitals as history's first "humanitarian war."

The U.S. and NATO dramatically escalated the reckless assault with an overnight attack on the Chinese embassy in Belgrade on May 7 in which five American bombs simultaneously struck the building, killing three and wounding 20 Chinese citizens. The government of China denounced the action for what it was, a "war crime," a "barbaric attack and a gross violation of Chinese sovereignty" and "NATO's barbarian act."

During the long Cold War it was assumed that military action by the North Atlantic military bloc would result in the death and injury of soldiers and civilians in member states of the Warsaw Pact. But NATO's first victims were Serbs and Chinese.

When the war ended on June 11, the West had achieved what it set out to accomplish:

50,000 troops under NATO's command entered Serbia's Kosovo province, where over 12,000 remain eleven years later.

The Pentagon commissioned Kellogg, Brown & Root to construct the nearly 1,000-acre Camp Bondsteel and its sister base Camp Monteith in Kosovo, which continue to operate to the present day.

Kosovo had been wrenched from Serbia and on February 17, 2008 declared itself an independent nation, recognized as such by the U.S. and most all of its NATO allies, though not by almost two-thirds of the world's nations.

In 1999 NATO Secretary General Javier Solana moved across the street as it were in Brussels to become the European Union's High Representative for Foreign Affairs and Security Policy, in which post he supervised a "trial separation" for what remained of Yugoslavia, and the very name of Yugoslavia was wiped from the map as the Western-sponsored State Union of Serbia and Montenegro succeeded it in 2003.

Three years later Montenegro, with a population smaller than that of the American city of Memphis, became the world's newest nation. To demonstrate after the fact what had been planned before, a U.S. guided missile cruiser visited the coastal city of Tivat within months and an American submarine, USS Emory Land, arrived there in 2007 to mark the first anniversary of Montenegro's nominal independence.

In the year following the break-up of the State Union of Serbia and Montenegro, the last-named joined NATO's Partnership for Peace apprenticeship program and the following year was granted an Individual Partnership Action Plan and signed a Status of Forces Agreement with NATO for which the U.S. is the depositary government. In late 2009 it received a Membership Action Plan, the final step before full NATO membership. This March Montenegro became the 44th nation to contribute troops for NATO's war in Afghanistan. All these developments occurred in four years.

Since the beginning of NATO's post-Cold War expansion in 1999, nations of the former Warsaw Pact and of the former Socialist Federal Republic of Yugoslavia have become Western military colonies, hosting visits by and basing troops and military equipment from NATO and its individual members, especially the U.S. So far this year former Warsaw Pact countries Poland, Romania, Bulgaria and most recently Albania have announced their willingness to accede to U.S. and NATO requests for interceptor missile facilities to be stationed on their territories.

The U.S. has acquired four military bases in Romania and three in Bulgaria over the past four years and will soon activate a Patriot Advanced Capability-3 interceptor missile installation in the east of Poland, 35 miles from the Russian border. Longer-range anti-ballistic missile interceptors are to follow according to Polish officials.

NATO has a major training center in Poland, the world's first multinational strategic airlift operation at the Papa Air Base in Hungary, and de facto possession of a former Soviet air base in Lithuania. After meeting with U.S. Defense Secretary Robert Gates earlier in the month, Lithuanian Defense Minister Rasa Jukneviciene announced that the Pentagon chief confirmed U.S. support for a permanent military base in the Baltic Sea region where NATO warplanes have been conducting air patrols since the induction of Estonia, Latvia and Lithuania into the bloc in 2004.

The Lithuanian defense chief also said the Pentagon wants to extend NATO air patrols in the area "till 2018 and beyond." 

Washington plans to establish a missile shield communications center in the Czech Republic, where Britain is currently leading multinational
air combat exercises, Operation Flying Rhino 2010, with 2,000 foreign and 1,000 Czech troops.  

Air bases in Bulgaria and Romania were employed for the attack on and invasion of Iraq in 2003 and have been used regularly for the nearly nine-year U.S.-NATO war in Afghanistan. 

After the invasion of Iraq, new NATO members the Czech Republic, Hungary and Poland sent troops to the country, as did then NATO candidates and partners Albania, Armenia, Azerbaijan, Bosnia, Bulgaria, Croatia, Estonia, Georgia, Kazakhstan, Latvia, Lithuania, Macedonia, Moldova, Romania, Slovakia, Slovenia and Ukraine.

Offering Washington troops for the war in Iraq was a prerequisite for advanced NATO partnerships and eventual full membership. Nine of the above nations were awarded the second in return for their services. Bosnia, Macedonia and as of last year Montenegro have been granted Membership Action Plans, introduced at the 1999 NATO fiftieth anniversary summit in Washington, D.C. as the penultimate stage of full integration. Georgia and Ukraine were presented special Annual National Programs by NATO shortly after Georgia's war with Russia in August of 2008.

All twelve new Eastern European NATO members have troops in Afghanistan, as do prospective members Armenia, Azerbaijan, Bosnia, Georgia, Macedonia and Montenegro. 

NATO has taken over the former Warsaw Pact and former Yugoslavia, in the first case without firing a shot. In the second through two bombing campaigns (Bosnia in 1995 and Serbia in 1999) and three deployments of ground troops (Bosnia in 1995, Kosovo in 1999 and Macedonia in 2001).

All ex-Warsaw Pact nations outside the former Soviet Union now have soldiers killing and dying under NATO command in Afghanistan, as all but the erstwhile East Germany did in Iraq, though none of them did under Warsaw Pact obligations during the ten years of Soviet involvement in the South Asian nation. Seven of fifteen former Soviet republics also have troops serving under NATO in the Afghan war zone.

The U.S. and other major Alliance powers conduct regular multinational Partnership for Peace military maneuvers in all three former Soviet Republics in the South Caucasus - Armenia, Azerbaijan and Georgia - and have held comparable exercises in Ukraine and Kazakhstan.

The major purpose of the war games and other drills is to prepare the militaries of the host and participating nations for interoperability in military, including combat, missions abroad, most prominently in Afghanistan and Iraq over the past few years.

Georgia had 2,000 troops in Iraq in 2008, at the time the third largest foreign contingent, although its population is only slightly over four million, a fraction of that of the U.S., Britain and other major troops providers.

Most of those troops were flown back to Georgia on U.S. military transport planes during the five-day war with South Ossetia and Russia in August of 2008. Georgia will soon have almost 900 troops in Afghanistan, the largest per capita contribution of any of the 50 nations supplying soldiers to NATO for the fighting there.

During the 36 years of the Warsaw Pact member states aside from the Soviet Union rarely deployed military units outside their borders and never overseas.

In the past decade all non-Soviet members and all former Yugoslav republics but Serbia have had their sons and daughters deployed by NATO to such frequently far-flung war and conflict zones as the Balkans, Afghanistan and Iraq and adjoining countries like Kyrgyzstan, Uzbekistan (Germany) and Kuwait. Over a hundred Polish, Romanian, Bulgarian, Czech, Estonian, Latvian, Hungarian, Lithuanian and Slovak soldiers have returned to their homelands from Afghanistan and Iraq in coffins.

When the Soviet Red Army left Bulgaria in 1947 no foreign troops were stationed in that nation until U.S. Secretary of State Condoleezza Rice visited it two years after its NATO accession to sign an agreement on three military bases there: The Bezmer Air Base, the Graf Ignatievo Air Base (recently certified as meeting "100% compliance" with NATO requirements) and the Novo Selo Training Range.

The last Soviet troops left Romania in 1958. When Nicolae Ceausescu became leader of the nation in 1965, he distanced his country from the Soviet Union and the Warsaw Pact, forbidding exercises and deployments involving other states.

In 2005, the year after Romania gained full NATO membership, Condoleezza Rice visited Bucharest and secured four bases for the Pentagon and NATO: The Mihail Kogalniceanu Air Base (already used for the war against Iraq), the Cincu and Smardan training bases, and the Babadag firing range.

The U.S. recently concluded military exercises with Bulgaria - Operation Thracian Spring - from April 22 to 28 and led joint air force exercises with Bulgaria and Romania from April 12 to 16 at the Aviano Air Base in Italy.

This February Romanian and Bulgarian government officials announced that they would accept American and NATO Standard Missile-3 interceptor installations and the troops to man them.

In 1960 Albanian leader Enver Hoxha turned against the Soviet Union and other Warsaw Pact allies, aligning himself with the People's Republic of China. No foreign troops or bases were allowed in the country.

Starting in 1993 the U.S. Sixth Fleet began conducting naval exercises with Albania, acquired the use of military bases there and deployed troops to a forward base it established near the port city of Durres for the war against Yugoslavia in 1999.

Last week the nation's prime minister and the chief of staff of the armed forces - after meeting with NATO Secretary General Anders Fogh Rasmussen - announced their willingness to host U.S. and NATO interceptor missile facilities and the soldiers who will accompany them.

Albania, along with Croatia, with whom U.S. Special Operations Command
Europe just concluded two months of air exercises for what was described as "large-scale counterinsurgency, stability and counterterrorism operations" abroad, are NATO's newest members, joining in 2009.

NATO's Supreme Allied Commander Europe, American Admiral James Stavridis, was in Bulgaria on April 26 and 27 and Secretary General Rasmussen is expected there on May 20.

Even affiliating with the Brussels-based bloc demands conditions that are onerous and inflexible. NATO partners are told which Western arms manufacturers they must purchase weapons from, where their troops are to be deployed, who their friends and who their enemies are around the world. The full foreign policy orientation of candidates and members is dictated from Brussels and Washington.

NATO is a bloc that no nation has ever withdrawn from or will be allowed to leave.

Before his visits to Albania and Croatia late last month the latter said at NATO headquarters in Brussels, "My dream will come true if - one day - we could see all countries in the Balkans as members of NATO. They belong to the Euro-Atlantic Community. I hope to see their flags represented here among all other NATO nations."

Bulgarian Foreign Minister Nikolay Mladenov visited Washington, D.C. at the end of April to meet with among others U.S. National Security Advisor James Jones, and pledged support for NATO and European Union membership for both Serbia and Kosovo.

At last month's NATO foreign ministers meeting in Estonia, Bosnia's Membership Action Plan was approved.

NATO's Kosovo Force is training and arming the Kosovo Security Force, an army in formation under NATO control.

With the demise of the Cold War former members of the Warsaw Pact may have hoped for a demilitarized Europe, one free of armed blocs. Instead the first and preeminent Cold War military alliance, NATO, will soon have engulfed almost every nation on the continent.

The new nations of former Yugoslavia, a founding member of the Non-Aligned Movement which had never been in any military bloc, will not be spared that fate.

Rasmussen won't have long to wait for his dream to be realized and for the flags of all nations and pseudo-nations in Eastern Europe to fly at NATO headquarters. And at bases in Afghanistan and other combat zones. 

Foreign troops will be based permanently on their soil as their troops are deployed far abroad.

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Stop NATO
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GUERRA E' PACE

Nel 1999 aveva incominciato la sua carriera di pacifista di regime snaturando la tradizionale marcia antimilitarista Perugia-Assisi.
Aveva infatti imposto la presenza del criminale di guerra Massimo D'Alema - pur non riuscendo a farlo digerire ai manifestanti.
Quest'anno Flavio Lotti ha voluto strafare: ha invitato alla Perugia-Assisi direttamente il generale Vincenzo Camporini, Capo di Stato Maggiore della Difesa. La liaison era cominciata per iniziativa di Camporini, (*) che giustamente ritiene che << la presenza dei civili nei teatri di conflitto è non solo auspicabile ma necessaria: “Le forze armate da sole non bastano” specie se, chiarisce, ci mandano a svolgere “compiti impossibili” che, da soli, i militari non possono risolvere. >> (**) 
Non bastano le bombe, infatti, per imporre nei cervelli delle popolazioni da soggiogare gli interessi ("i valori") dell'Occidente... A questo fine, come sempre nella Storia degli ultimi secoli, sono indispensabili i missionari: quelli come Flavio Lotti.

P.S. Alla Perugia-Assisi oggi Camporini (forse) non c'era. In compenso la tradizionale manifestazione dei nonviolenti italiani è diventata oramai la passerella di tutta la ipocrita dirigenza dei partiti del centrosinistra: quelli cioè che votano il finanziamento miliardario di tutte le operazioni militari all'estero. (a cura di Italo Slavo, 16/5/2010)

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Giovedi' 7 Gennaio 2010 

MARCIA DELLA PACE: LOTTI INVITA GENERALE CAMPORINI ALLA PERUGIA-ASSISI

MARCIA PACE: GENERALE CAMPORINI, APRIRE DIALOGO CON PACIFISTI

(AGI) - Roma, 7 dic. - E' tempo che Forze armate e movimento pacifista avviino un dialogo. L'opinione e' stata espressa al massimo livello, vale a dire dal capo di Stato maggiore della Difesa, Vincenzo Camporini. Il generale, invervistato da Ritanna Armeni e da Emanuele Giordana nella penultima puntata della trasmissione 'Soldati', in onda oggi su Radio3 alle 18, ha sottolineato che questo processo puo' iniziare nel rispetto delle diversita' e a patto che si sia disposti "a rimuovere le barriere ideologiche". L'intervista, che occupa gran parte della trasmissione, e' stata fatta poi ascoltare nella parte riferita al movimento pacifista a Flavio Lotti, esponente di punta di quel movimento e organizzatore della Perugia-Assisi.
Lotti non ha esitato a cogliere quest'apertura e ha invitato i militari italiani a partecipare "alle giornate di discussione", preparatorie della storica marcia della pace che si tiene da anni in Umbria. "Se cio' avvenisse", hanno commentato i due conduttori della trasmissione, "significherebbe che le Forze armate italiane sono davvero cambiate. E che lo e' anche ilmovimento per la pace che evidentemente riconosce nel dialogo, com'e' sua tradizione, lo strumento migliore per combattere la guerra".
Nelle 15 puntete di 'Soldati' sono stati intervistati una trentina di militari, sottufficiali e non, tra cui -oltre a Camporini- i generali Cabigiosu, Graziano, Bertolini, D'Alessandro e Fogari. (AGI)

Vai alla pagina dedicata di Radio3 e scarica il podcast della trasmissione: http://www.radio.rai.it/radio3/terzo_anello/soldati/index.cfm

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IL PACIFISTA E IL GENERALE(2) 

Ritanna Armeni Emanuele Giordana

Mercoledi' 12 Maggio 2010 

C'è un grande assente all'incontro che, per la prima volta, vede la più alta carica militare italiana, il generale Vincenzo Camporini, a colloquio con i responsabili della Tavola della pace, gli organizzatori della Perugia Assisi, la più famosa camminata del pacifismo italiano. E' la politica il convitato di pietra che, sia il generale, sia Flavio Lotti, coordinatore della Tavola, evocano più volte. (...) Alla viglia della Perugia Assisi (domenica), Camporini tende una mano e dice che se la politica non riesce a risolvere le crisi e non può sperare che le risolvano al suo posto i soldati, la presenza dei civili nei teatri di conflitto è non solo auspicabile ma necessaria: “Le forze armate da sole non bastano” specie se, chiarisce, ci mandano a svolgere “compiti impossibili” che, da soli, i militari non possono risolvere. (...)

I militari (e gli italiani più di altri), sono invece convinti che l'aiuto umanitario possa, anzi debba, far parte della loro presenza nel teatro, della loro missione. Questo intervento viene rivendicato come parte di quella diversità italiana di cui vanno orgogliosi. Ma molti sono i critici di questa posizione. Si tratta – dicono - di una pericolosa confusione di ruoli, che schiaccia la neutralità del medico che cura le ferite e lo apparenta all'esercito occupante di turno. E tuttavia su questa ambiguità sono nati in Afghanistan e in Iraq, i Provincial Reconstruction Team (Prt) unità civili-militari che, attraverso cellule specializzate (Cimic) sono a metà tra un avamposto militare e un ufficio di cooperazione di prima emergenza.

Il generale Marco Bertolini già capo di Stato maggiore di Isaf in Afghanistan difende questa posizione. “Se un militare interviene all'estero per riportare la pace non lo si può staccare dal contesto generale. E proprio in Afghanistan si è cercata una collaborazione con i civili, pur rispettando la neutralità delle Ong che fa parte del loro statuto e che noi rispettiamo. Ma ciò non vuol dire che lo sforzo del militare possa venir 'incapsulato', isolato”.

Non è d’accordo Nino Sergi presidente di Intersos, una delle più attive Organizzazione non governative presenti in Afghanistan:“Credo che in Afghanistan le operazioni dei militari definite umanitarie in realtà siano funzionali alle strategie del contingente e questo è l'esatto contrario della neutralità e dell'imparzialità. Un esercito è, per forza di cose, di parte. Ciò finisce a creare un'ambiguità nociva soprattutto per gli umanitari”. Ma Sergi ricorda anche l'esperienza del Libano dove è stato creato un Tavolo di coordinamento tra Ong, militari, ambasciata che è stato forse uno dei primi tentativi di definire ruoli e comportamenti. Piccoli passi. Ma problemi ancora aperti.