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Subject: [icdsm-italia] PROCESSO MILOSEVIC: UN "PROCESSO ALLE INTENZIONI"
Date: March 11, 2006 8:46:01 PM GMT+01:00


Riportiamo di seguito un saggio pubblicato nel libro:

IN DIFESA DELLA JUGOSLAVIA.
IL J'ACCUSE DI SLOBODAN MILOSEVIC DI FRONTE AL "TRIBUNALE AD HOC" DELL'AIA
Zambon Editore (Frankfurt, 2005)
240 pagine, 10 euro, ISBN 88-87826-33-1
(VEDI IN FONDO PER L'INDICE ED ALTRE INFORMAZIONI)

Il testo risale alla scorsa estate.


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Processo Milosevic: un "processo alle intenzioni"

a cura di ICDSM-Italia (Sezione Italiana del Comitato Internazionale
per la Difesa di Slobodan Milosevic)


Con il discorso che in questo libro riproduciamo, il 31 agosto 2004 ha
avuto inizio la fase detta della "difesa" nel "processo" intentato
contro Slobodan Milosevic (1) presso il "Tribunale ad hoc per i
crimini commessi sul territorio della ex Jugoslavia" dell'Aia, in
Olanda - abbreviato: TPIJ. (2)

Al Presidente Milosevic sono stati concessi solo 150 giorni "netti"
per la presentazione della sua difesa: solo la metà del tempo usato
dalla "accusa" per i tre "capi di imputazione" - per le guerre in
Croazia, in Bosnia ed in Kosovo. Mentre scriviamo, il "processo di
difesa" è in pieno svolgimento; la sua conclusione è all'incirca
prevista per la primavera 2006; il "verdetto" dovrebbe seguire di
alcuni mesi.
Già nel corso della fase "della accusa", comunque, è risultato
evidente come, il "processo", non riuscendo di fatto a dimostrare la
colpevolezza dell'ex presidente, sia un clamoroso fallimento e dunque
motivo di estremo imbarazzo e preoccupazione per gli sponsor del TPIJ.
Contro Milosevic il "tribunale" ha infatti usato ogni mezzo di
pressione politica, mediatica e fisica (a causa del suo stato di
salute e di cure inappropriate): malgrado tutto ciò, gli accusatori ed
i giudici non sono riusciti spezzare la difesa di Milosevic.


La natura del "Tribunale ad hoc"

Il caso del TPIJ chiarisce molto bene la collateralità di certe
neonate istituzioni penali internazionali ai progetti egemonici dei
paesi imperialisti. Il TPIJ è stato fondato nel 1993 dal Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite per l'insistenza di Madeleine Albright
(3). Il normale canale per creare un Tribunale come questo, come a suo
tempo ha puntualizzato lo stesso Segretario Generale dell'ONU, avrebbe
dovuto essere "un Trattato Internazionale stabilito ed approvato dagli
Stati Membri che avrebbero permesso al Tribunale di esercitare in
pieno nell'ambito della loro sovranità". (4) Tuttavia, Washington ha
imposto un'interpretazione arbitraria del Cap.VII della Carta delle
Nazioni Unite, che consente al Consiglio di Sicurezza di prendere
"misure speciali" per restaurare la pace in sede internazionale.
Perciò il "Tribunale ad hoc" è una struttura illegittima e para-legale.

Esso è finanziato dai paesi della NATO, e soprattutto dagli USA (5),
in maniera diretta oltreché attraverso l'ONU, ma anche da altri paesi
non proprio neutrali nella problematica jugoslava, come l'Arabia
Saudita, nonché da enti "non-governativi" e personaggi "privati", come
George Soros. Per farsi una idea di quali forze muovano questa
istituzione para-legale da dietro le quinte, è forse sufficiente
guardare ai curricola di alcuni dei protagonisti. L'attuale presidente
del "Tribunale ad hoc", Theodor Meron, già ambasciatore di Israele in
Canada (sic), era stato nient'altro che l'inviato di Bill Clinton
alla Conferenza di Roma per la istituzione del Tribunale Penale
Internazionale (TPI), nel 1998: fu cioè il principale responsabile del
sabotaggio, da parte USA, della istituzione di un TPI che fosse
realmente super partes ed avesse competenze generali - non solo "ad
hoc" per la Jugoslavia o per il Ruanda... La "procuratrice" Carla Del
Ponte, dal canto suo, è da tempo al centro di polemiche in Svizzera
per lo strano modo con cui ha condotto importanti inchieste, ad
esempio quella sul narcotrafficante Escobar junior; si veda anche la
clamorosa intervista rilasciata a Jürgen Elsässer dal testimone-chiave
nella vicenda Mabetex/Pacolli, Felipe Turover, che ha accusato la Del
Ponte di avere insabbiato l'inchiesta e di aver messo a repentaglio la
vita dei testimoni. (6)

Il sostegno della NATO al TPIJ è particolarmente indicativo delle vere
finalità di questa struttura para-giudiziaria. Secondo Jamie Shea,
portavoce della NATO durante la aggressione di questa contro la
Repubblica Federale di Jugoslavia (RFJ) nel 1999, "la NATO è amica del
Tribunale, è la NATO che detiene per conto del Tribunale i criminali
di guerra sotto accusa... Sono i paesi della NATO che hanno procurato
i fondi per istituire il Tribunale, noi siamo tra i più grandi
finanziatori." (7) Oltre ad attestare il sostegno finanziario e la
"amicizia" della NATO - proprio mentre questa bombardava i convogli di
profughi ed il petrolchimico di Pancevo - Jamie Shea rivendica dunque
ad essa il ruolo di "polizia giudiziaria". La quale, come s'è visto in
decine di occasioni, specialmente in Bosnia ma anche nel caso di
Milosevic, opera attraverso colpi di mano e rapimenti, nel corso dei
quali alcuni "sospetti" sono stati persino uccisi - mentre diversi
serbi-bosniaci detenuti all'Aja sono deceduti per presunti infarti e
suicidi.
Il "Tribunale ad hoc" dell'Aja ha sistematicamente dichiarato il non
luogo a procedere per le documentate accuse di crimini di guerra mosse
da varie parti alla NATO.

La sproporzione tra le incriminazioni nei confronti di esponenti serbi
rispetto a quelle di croati, kosovari albanesi e bosniaci musulmani,
responsabili di gravi crimini, è resa evidente dai numeri. (8) Ancor
più evidente è il fatto che dei tanti "imputati", gli unici con
responsabilità eminentemente politiche siano appartenenti alla parte
serba - Milosevic, Milutinovic, Karadzic - mentre i leader delle
fazioni secessioniste sono stati tutti indistintamente "risparmiati"
nonostante (ad esempio) i loro torbidissimi trascorsi. (9)

La "giustizia" del "Tribunale ad hoc" è dunque quella di una parte in
causa contro l'altra: il contrario esatto del super partes. Il TPIJ,
analogamente al famigerato Tribunale Speciale dell'Italia fascista, è
uno strumento politico totalmente sotto controllo dei vincitori, cioè
degli aggressori, devastatori ed invasori della Jugoslavia.

Noti giuristi e commentatori hanno spiegato come, nel suo
funzionamento, il TPIJ violi tutti i principi del diritto
internazionale. In sostanza, esso non rispetta la separazione dei
poteri, né la parità fra accusa e difesa, né tantomeno la presunzione
di innocenza finché non si giunge ad una condanna: la regola 92 del
TPIJ stabilisce che le confessioni siano ritenute credibili, a meno
che l'accusato possa provare il contrario, mentre in qualsiasi altra
parte del mondo l'accusato è ritenuto innocente fino a quando non sia
provata la sua colpevolezza. Il TPIJ formula i propri regolamenti e li
modifica su ordine del Presidente o del Procuratore, assegnando ad
essi carattere retroattivo: attraverso una procedura totalmente
ridicola, il Presidente può apportare variazioni di sua propria
iniziativa e ratificarle via fax ad altri giudici (regola 6). Il
regolamento stesso non contempla un giudice per le indagini
preliminari che investighi sulle accuse. Il "Tribunale ad hoc"
utilizza testimoni anonimi, che si possono dunque sottrarre a
verifiche da parte della difesa; secreta le fonti testimoniali, che
possono essere anche servizi segreti di paesi coinvolti nei fatti.
Esso usa la segretezza anche sui procedimenti aperti (regola 53);
ricusa o rifiuta a proprio arbitrio di ascoltare gli avvocati della
difesa (regola 46), allo stesso modo dei tribunali dell'Inquisizione;
può rifiutare agli avvocati di consultare documentazione probatoria
(regola 66); può detenere sospetti per novanta giorni prima di
formulare imputazioni, con l'evidente scopo di estorcere confessioni.
Dulcis in fundo, i giudici si arrogano persino il diritto, d'accordo
con la "pubblica accusa", di revisionare la trascrizione del
dibattimento, censurandola allo scopo di impedire la divulgazione di
quegli interventi di Milosevic considerati "ad uso esterno" e dunque
irrilevanti o inopportuni per gli Atti del "processo".

L'imputazione contro l'allora Presidente della Repubblica Federale di
Jugoslavia Slobodan Milosevic veniva resa pubblica dall'allora
"procuratrice" Arbour su pressione di Madeleine Albright, proprio
durante i bombardamenti della NATO nella primavera del 1999,
nell'ambito della campagna mediatica di demonizzazione della
Jugoslavia e dei suoi dirigenti che ha accompagnato la aggressione
militare. Un tassello, insomma, della più ampia operazione di
disinformazione strategica e guerra psicologica. (10)
Per la effettiva cattura di Milosevic, però, dovevano maturare le
condizioni politiche in Jugoslavia.

Questo cambiamento è avvenuto solo nell'autunno del 2000, quando a
Belgrado si è instaurato il regime-fantoccio filo-occidentale. Tra gli
Allegati di questo libro riproduciamo il discorso tenuto dall'allora
presidente jugoslavo in vista del turno di ballottaggio alle elezioni
presidenziali, tre giorni prima del colpo di Stato che, il 5 ottobre
del 2000, portò al potere le destre filo-occidentali. Il ballottaggio
non si potè svolgere, visto che, tra l'altro, le schede elettorali del
primo turno vennero "opportunamente" distrutte nell'assalto e
nell'incendio dei locali del Parlamento da parte di alcune decine di
teppisti. Nei giorni successivi furono attaccate le sedi dei partiti
della sinistra e dei sindacati, e molti militanti verranno fatti
oggetto di vigliacche aggressioni. (11) Nel discorso che riproduciamo
nell'Allegato 2, Milosevic pronosticava, nel caso di un passaggio dei
poteri alla coalizione liberista DOS, gravi conseguenze per il paese
sia dal punto di vista politico-istituzionale, sia da quello
economico sociale. Ad anni di distanza, tutte le previsioni di
Milosevic risultano purtroppo verificate: lo Stato jugoslavo non
esiste più, essendo stato trasformato in una precaria "Unione di
Serbia e Montenegro" destinata ad ulteriormente disgregarsi, e
l'economia versa tuttora in una crisi profonda, poichè l'apertura al
capitale straniero non ha portato alcun beneficio alla produzione
bensí solo dismissioni e decomposizione. La disoccupazione e la
povertà in Serbia e Montenegro sono oggi generalizzate.


Il rapimento di Milosevic

La rocambolesca cattura di Milosevic è avvenuta mesi dopo il golpe, il
31 marzo 2001: in cambio, al nuovo governo sono stati accordati 50
milioni di dollari dagli USA. I dirigenti belgradesi, per ottemperare
ai ricatti militari ed economici degli USA, della Nato e del Tribunale
dell'Aja, hanno commesso una serie di macroscopiche illegalità.
Milosevic è stato detenuto per tre mesi senza che nessuno delle
centinaia di testimoni ascoltati avesse fornito prove a sostegno della
pretestuosa imputazione di "abuso di potere" (diversa da quella di
"crimini di guerra" usata all'Aia). Al termine delle due proroghe
della detenzione preventiva, Milosevic avrebbe dovuto essere
scarcerato; invece, un ulteriore scandalo è stata la modalità della
sua "estradizione" da Belgrado in Olanda, tramite una operazione-lampo
illegale ed anticostituzionale curata dai settori più filo-americani
del governo di Zoran Djindjic (12). Il sequestro ed il trasporto
all'Aia su velivoli della RAF inglese avveniva in base a un decreto
del solo premier e del ministro degli interni, con un governo
dimezzato dal ritiro dei ministri montenegrini; un decreto che
violava, insieme alle Costituzioni jugoslava e serba (13), la
posizione del Parlamento Federale nonché l'orientamento dei partner di
maggioranza e dello stesso presidente jugoslavo Kostunica. Il giorno
dopo il trasferimento di Milosevic, i governanti jugoslavi ottenevano
il loro ulteriore premio: la promessa (sic) di 1.360 milioni di
dollari, stanziati dalla "Conferenza dei donatori" alla condizione
della totale privatizzazione dell'economia nazionale.

All'Aia, Milosevic ha da subito tenuto un atteggiamento fermo ed
inequivocabile: si dichiara prigioniero politico, non riconosce
legittimità al "Tribunale ad hoc" (14) e rifiuta di essere assistito
da avvocati, compresi quelli designati "d'ufficio" dal "Tribunale"
stesso (15). Le prime udienze - tra luglio 2001 e gennaio 2002 - sono
state dedicate a problemi procedurali, ma Milosevic non ha mancato di
dire la sua ogni volta che gli è stato concesso di parlare, e
fintantoché il microfono non gli è stato spento in malo modo.
Il 29 ottobre 2001, ad esempio, dopo la lettura della "imputazione
sulla Croazia" ha detto testualmente:

"È assurdo accusare la Serbia ed i serbi per la secessione armata
della Croazia, che ha causato una guerra civile, conflitti e
sofferenze per la popolazione civile."
Il giorno dopo, commentando "l'imputazione sul Kosovo", egli ha fatto
notare che essa "riguarda solamente fatti avvenuti dal 24 marzo alla
fine della prima settimana di giugno [1999], laddove (...) tutto il
pianeta sa che è proprio dal 24 marzo fino alla prima settimana di
giugno compresa che la Nato ha commesso la sua criminale aggressione
contro la Jugoslavia. (...) Se la corte non vuole prendere in
considerazione questi fatti, allora è ovvio che questa non è una corte
ma solamente una parte del meccanismo atto ad eseguire crimini contro
il mio paese e la mia gente. Se quest'ultimo è il caso (...) e dunque
se la corte è parte dell'ingranaggio, allora per piacere, date lettura
ai verdetti che vi è stato detto di formulare e smettetela di annoiarmi."

Dopo la lettura del "capo d'imputazione" sulla Bosnia-Erzegovina,
Milosevic dichiarava invece: "Questo testo miserabile che abbiamo qui
ascoltato è l'apice dell'assurdità. Devono darmi credito per la pace
in Bosnia, e non per la guerra. La responsabilità per la guerra in
Bosnia è delle potenze che hanno distrutto la Jugoslavia e dei loro
satrapi in Jugoslavia, e non della Serbia, né del suo popolo, né della
sua politica. Questo è un tentativo..." Qui il microfono veniva spento.

Ancora, in dicembre, Milosevic si richiamava a fatti di estrema attualità:

"Per me è assolutamente chiaro il motivo per cui questo falso pubblico
ministero insiste sulla unificazione [dei tre "capi d'accusa"]. La
causa di questo è l'11 Settembre. Loro vogliono mettere in secondo
piano le accuse contro di me sul Kosovo perché queste inevitabilmente
aprono la questione della collaborazione della amministrazione Clinton
con i terroristi nel Kosovo, compresa la organizzazione di Bin Laden.
(...) Quello che si può trovare sotto la superficie di questi "capi
d'imputazione" non sono altro che i detriti ed il fango di dieci anni
di guerra mediatica, condotta con l'obiettivo di demonizzare sia la
Serbia, sia il popolo serbo e la sua dirigenza, ed anche me
personalmente, e addirittura la mia famiglia. Perché la guerra
mediatica ha preceduto quella reale, ed ha avuto come obiettivo quello
di convincere l'opinione pubblica occidentale che siamo delinquenti,
anche se non abbiamo mai dato argomenti per avvalorare questo. Voi
oggi avete letto qui che il 6 Aprile 1992 l'Unione Europea riconobbe
la Bosnia-Erzegovina. Questo è stato fatto sotto l'influenza
dell'allora Ministro degli Esteri tedesco Hans Dietrich Genscher,
perchè il 6 Aprile era il giorno in cui nel 1941 Hitler attaccò la
Jugoslavia bombardando Belgrado. C'era un desiderio di simboleggiare,
in questo modo, il capovolgimento degli esiti della II Guerra Mondiale."

Il 30 gennaio 2002, Slobodan Milosevic aveva nuovamente l'occasione di
parlare dinanzi alla "corte" dell'Aia:

"In realtà c'era un piano evidente contro quello Stato di allora che
era, direi, un modello per il futuro federalismo europeo. Quello Stato
era la Jugoslavia, dove più nazionalità erano comprese in un sistema
federativo che realizzava la possibilità di vivere con pari diritti,
con successo, con la possibilità di prosperare, svilupparsi e, direi,
di essere d'esempio al mondo intero di come si può vivere insieme. Per
tutto il tempo abbiamo lottato per la Jugoslavia, per conservare la
Jugoslavia. In fondo, tutti i fatti comprovano soltanto quello che sto
dicendo. E soltanto la Repubblica Federale di Jugoslavia tuttora
esistente ha conservato la sua struttura dal punto di vista delle
nazionalità.
(...) Con ciò che sta avvenendo li' [in Kosovo] si sta in pratica
riabilitando la politica del periodo nazista, di Hitler e Mussolini.
Questo grande parlare di "Grande Serbia", di questa presunta idea che
non è mai esistita, non serve altro che a mascherare la creazione di
una "Grande Albania" - quella stessa che crearono Hitler e Mussolini
durante la Seconda Guerra Mondiale. Guardate soltanto quello schema, e
guardate che cosa si sta facendo adesso, quello che vogliono sottrarre
alla Serbia, al Montenegro ed alla Macedonia - e un domani forse anche
alla Grecia del Nord, quando le relazioni greco-turche saranno messe
alla prova di nuovo per ordine del comune padrone, ed anche quella
sarà per loro una questione da risolvere."

Milosevic, uomo politico di orientamento socialista riformatore, parla
qui chiaramente della Jugoslavia di Tito... e la difende! Parla di un
paese nel quale si rifuggiva sia da uno jugoslavismo sovranazionale
"artificiale", sia dal nazionalismo separatista, a favore di una
cultura di sintesi, pluralista, propriamente jugoslava, in grado di
riunire le preesistenti culture in una nuova, dinamica identità,
adatta ad uno Stato fondato sui diritti di cittadinanza e non - come è
purtroppo oggi - sulle identità etniche o religiose. (16)


Il dibattimento e la sua "rimozione" mediatica

Dopo alcune incertezze legate alla intenzione della "procuratrice" Del
Ponte di unificare i tre procedimenti sul Kosovo, sulla Croazia e
sulla Bosnia, il "processo" a Milosevic è stato effettivamente
unificato ed è iniziato il 12 febbraio 2002. Da allora i mass-media,
dopo le prime giornate-shock, hanno abbassato il sipario -
gradualmente, ma completamente. In Jugoslavia, le autorità hanno
dapprima impedito il proseguimento della diretta televisiva, poi hanno
operato per isolare Milosevic in ogni maniera.

Di fatto, l'ondata repressiva scatenata con lo "stato d'emergenza"
("Operazione Sciabola") proclamato in Serbia dopo il misterioso
omicidio Djindjic (primavera 2003, nel pieno della "fase della accusa"
nel TPIJ) è servita anche ad impedire l'opera dei collaboratori di
Milosevic, vicini alla Associazione Sloboda (17) che lo assiste; e per
questo molti osservatori ritengono che lo "stato d'emergenza" sia
stato deciso di comune accordo con il governo DOS da chi "muove i
fili" all'Aia.
Per tutto il tempo, inoltre, in Serbia è proseguito un vero e proprio
linciaggio mediatico ai danni di Milosevic e della sua famiglia, da
parte dei mezzi di informazione, oramai tutti in mano al capitale
straniero (anglosassone-sorosiano, ma anche e soprattutto tedesco: ad
esempio il maggiore quotidiano, Politika, è adesso in mano alla
cordata Westdeutsche Allgemeine Zeitung di Bodo Hombach). La campagna
diffamatoria è basata su accuse, pettegolezzi ed allusioni di tutti i
tipi; i famigliari di Milosevic, temendo il peggio (in Serbia dal 2000
si susseguono gli omicidi politici), sono stati costretti ad
abbandonare il paese. (18)

In aula, nella "fase della accusa" l'atmosfera era surreale. Nel
confronto con i testimoni dell`"accusa", Milosevic agevolmente
rovesciava le imputazioni, spesso mettendo i testimoni stessi in
contraddizione: tanto che qualcuno di questi ritrattava, qualcun altro
rinunciava a deporre, qualcuno si sentiva male, qualcuno si rendeva
conto che la sua deposizione in fase istruttoria era stata
falsificata... In tutti questi mesi ed anni di dibattimento, giorno
dopo giorno, battuta dopo battuta, la "triplice accusa" a Milosevic -
pomposamente riassunta nella formula: "impresa criminale congiunta"
(joint criminal enterprise) - si è dimostrata essere un vero e proprio
"processo alle intenzioni", come recita una felice locuzione della
lingua italiana: nient'altro che un teorema, cioè, basato su ipotesi
iniziali non dimostrate, frutto di falsificazioni macroscopiche e/o di
elucubrazioni su di una presunta "catena di comando" con Milosevic al
vertice.

Ribaltando completamente il "tavolo da gioco", Milosevic ha però messo
la stessa NATO sul banco degli imputati come prima responsabile non
solo dei bombardamenti, ma proprio dell'infame squartamento della RFS
di Jugoslavia, ripercorrendo gli atti diplomatici, politici e militari
a vari livelli compiuti dai paesi dell'Alleanza. I fatti in proposito
citati da Milosevic nel corso del dibattimento, e rielencati in forma
organica nel testo centrale di questo libro, sono tutti fatti storici,
ormai, benché vengano sostanzialmente ignorati o minimizzati dai
commentatori occidentali e filo-occidentali. Sono fatti
incontrovertibili, e Milosevic, mentre ripercorre pagine e pagine di
storia balcanica e mondiale, dinanzi alla "Corte" ne scrive a tutti
gli effetti una nuova, con grande dignità, pur nel completo
isolamento, con troppi avversari e solo pochi amici attorno, e nella
astiosa disattenzione dei "balcanologi" di ogni sorta.

L'obiettivo degli sponsor del "Tribunale ad hoc" - cioè fare di
Milosevic il capro espiatorio esclusivo e "conclusivo" per le tragedie
jugoslave a cavallo dei due millenni - può essere conseguito solamente
nella misura in cui le opinioni pubbliche restino ignare di ciò che
viene effettivamente detto nell'aula dell'Aia. L'operazione di
"scaricamento" delle responsabilità in toto sulla figura di Milosevic,
attraverso l'intera costruzione del processo-farsa, rappresenta di per
se stessa un enorme tentativo di rimozione: essa vuole offrire ai veri
responsabili del magnum crimen (la distruzione della Jugoslavia e la
guerra) l`opportunità di risciacquarsi la coscienza, autoassolversi,
financo sottrarsi al pagamento dei danni dei bombardamenti. Ma tale
abnorme, disonesta operazione può avere successo solamente se, a sua
volta, sul dibattimento dell`Aia sia fatto sostanzialmente calare il
sipario, non ne sia data cioè alcuna cronaca, cosicchè tanto ostentato
sforzo di ricerca "della verità sui crimini della guerra in
Jugoslavia", tanto materiale accumulato, rimanga inutilizzato da
giornalisti, commentatori, studiosi, storici... È una rimozione dentro
l'altra, in un gioco di scatole cinesi: come la cancellazione della
Jugoslavia dalle cartine geografiche, ed analogamente all`oblio
imposto sui bombardamenti NATO e su tanti altri episodi-chiave, così
pure i momenti salienti del "processo" a Milosevic vengono ignorati
dai media. Questo silenzio giornalistico, in quanto ulteriore momento
della campagna strategica di disinformazione che ha accompagnato la
guerra di squartamento della Jugoslavia, è il peggiore nemico di
questo paese e delle popolazioni che la abitano, ed è, con tutta
evidenza, l'arma più micidiale adoperata in questa triste fase storica
contro di esse.

Perciò nessuno ha riportato i dettagli del confronto in aula tra
Milosevic e Stipe Mesic, attuale presidente croato ed ex uomo di
Tudjman, né quelli del confronto con l'ex presidente della Slovenia
Milan Kucan, benché riguardassero i momenti cruciali e drammatici
dello scoppio della guerra fratricida nel 1991. Nessuna cronaca è
stata fatta della testimonianza di Zoran Lilic, probabilmente la più
importante nel "processo" visto che Lilic fu addirittura presidente
della RF di Jugoslavia mentre Milosevic era presidente della Serbia;
non si è parlato della deposizione di un uomo dei servizi, Rade
Markovic, chiamato come testimone dell'accusa ma che poi, in aula, ha
dato ragione a Milosevic ed ha dichiarato di essere stato sottoposto a
pesanti pressioni dal governo serbo attuale affinché dichiarasse il
falso; nessuno ha commentato nemmeno il confronto con il "nonviolento
kosovaro" (19) Ibrahim Rugova; per non parlare poi degli interventi in
aula di diplomatici e politici occidentali, o dei ridicoli spettacoli
offerti da falsi esperti di storia, facilmente sbugiardati da
Milosevic nel corso di tutta la "fase dell'accusa".

Negli ultimi mesi, dedicati alla replica dell'accusato, si sono svolte
numerose importantissime sedute: come ci aspettavamo, purtroppo, i
nostri media non ne hanno riportato neanche l'eco.


La fase della "autodifesa"

Il 5 luglio 2004, l'ex Segretario di Stato USA Madeleine Albright
faceva visita al "Tribunale". Da quel momento, la dirigenza della
politica estera USA dava inizio in modo pesante ad una campagna
mediatica mirata ad imporre restrizioni al diritto del Presidente
Milosevic all'autodifesa personale.

Il 31 agosto ed il 1 settembre 2004, il Presidente Milosevic ha
presentato la sua dichiarazione in apertura del "processo di difesa" -
che qui riproduciamo per la prima volta in lingua italiana.
In seguito, prima che il Presidente Milosevic fosse in grado di
produrre il suo primo testimone (di circa 1600 da lui citati), il 2
settembre 2004 la "Corte" prendeva una decisione senza precedenti
sottraendo al Presidente Milosevic il diritto a difendersi in prima
persona ed imponendogli un "avvocato difensore" contro la sua volontà.
I britannici ex "amici curiae" (collaboratori del Tribunale), Stephen
Kay e Gillian Higgins, venivano "imposti d'ufficio" dalla "Corte" come
difensori del Presidente Milosevic, (20) in modo da tenere sotto
controllo la conduzione del "processo di difesa", a partire dalle
deposizioni dei testimoni. La partecipazione del Presidente Milosevic
al suo stesso "processo" veniva ridotta alla possibilità di presentare
ai testimoni domande "addizionali", dopo la loro deposizione e solo
dopo avere ricevuto il permesso dai "giudici". (21)

Il 29 settembre 2004, Kay ed Higgins – solo dopo aver affrontato
l'opposizione più energica possibile da parte del Presidente Milosevic
– presentavano appello davanti alla "Corte d'Appello" del Tribunale
contro il loro essere stati imposti, fingendo dunque di condividere la
posizione del Presidente Milosevic. Ma il loro comportamento concreto
rendeva evidente il contrario: tanto che essi prendevano contatto, di
propria iniziativa, con le persone indicate come testimoni nell'elenco
predisposto da Milosevic. Contemporaneamente, più di un centinaio di
questi possibili testimoni dichiaravano di non essere disposti a
testimoniare, a meno che non venisse ripristinato il diritto del
Presidente Milosevic all'autodifesa personale. Il 18 ottobre 2004,
l'avvocato Kay dichiarava alla "corte" che più di 90 dei testimoni
che egli aveva cercato di contattare, avevano rifiutato di
testimoniare, date le attuali circostanze. Inoltre, Kay aggiungeva che
era stato fatto ogni sforzo per convincere i testimoni a venire in
"Tribunale", e non obiettava nulla al "Giudice Presidente" Robinson
che notificava l'ordine di comparizione davanti alla Corte ai
testimoni "reticenti": si dimostrava così una volta di più che Kay ed
Higgins sono completamente dalla parte del Tribunale, e che il loro
atteggiamento è del tutto ostile a Milosevic.

Tra i tanti testimoni che hanno boicottato questa "corte" illegale, va
ricordata la posizione netta di Peter Handke - uno dei più grandi
scrittori tedeschi contemporanei, che conosce benissimo la situazione
jugoslava tanto da avere scritto numerosi testi in proposito negli
ultimi anni. Handke ha rinunciato a comparire come testimone perchè
non riconosce la legittimità di quello che egli chiama il "Grande
Tribunale":

<<La Giustizia è la Giustizia, è stata la dichiarazione di uno degli
attuali, episodici, fittizi detentori del potere in Serbia,
dichiarazione con la quale egli ha salutato il Tribunale
Internazionale e lo ha sostenuto. No, la Giustizia non è la Giustizia.
Ed "un testimone è un testimone?" No, un testimone non è un testimone.
Al limite, io mi considero un testimone di passaggio. Ed uno così -
forse non è il niente, ma certo è niente per il Tribunale. (...) La
mia "intima convinzione" mi porta non solo a ritenere che Slobodan
Milosevic sia di fronte alla corte sbagliata, ma anche che egli sia -
"innocente" proprio no (questa, come ho già detto, non è cosa che mi
riguardi), ma sicuramente: "non colpevole nel senso dell'accusa", e
neanche nel senso dell'organizzazione del processo.>> (22)

Probabilmente a causa di questa eclatante forma di boicottaggio dei
testimoni, e per la intransigenza del Presidente Milosevic, il 1
novembre 2004 la "Corte di Appello" emetteva una sentenza in base alla
quale bisognava modificare le modalità di conduzione del "processo di
difesa". Milosevic avrebbe potuto condurre da solo la propria difesa,
ma "la presenza di un Collegio di Difesa Assegnato consentirebbe al
processo di continuare anche nel caso in cui Milosevic si trovasse
temporaneamente non in grado di parteciparvi." Ad un più attento
esame, questa sentenza della "Corte di Appello", che a prima vista
sembra una quasi-vittoria per Milosevic, consente in effetti una
violazione ancora peggiore dei diritti dell'"imputato", in quanto pone
le fondamenta del dibattimento in absentia (il processo può cioè
continuare anche in assenza dell'imputato).

Prima che venisse ripristinato il diritto del Presidente Milosevic a
condurre direttamente la sua difesa, il "Collegio di Difesa Assegnato"
(cioè la coppia Kay-Higgins) aveva già condotto in aula cinque
testimoni tra quelli dell'elenco: Smilja Avramov, ex docente di
giurisprudenza; James Jatras, ex consigliere della Commissione
Repubblicana per la Politica Estera del Senato USA; Roland Keith, già
comandante Canadese dell'OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la
Cooperazione in Europa) in Kosovo; il giornalista tedesco Franz Josef
Hutsch; ed infine Liana Kanelli, una parlamentare greca.

In seguito alla decisione della "Corte d'Appello" del 1 novembre 2004,
il Presidente Milosevic ha incominciato ad ascoltare direttamente i
suoi testimoni. Fino alla pausa estiva (2005), e dunque fino alla
pubblicazione di questo libro, dinanzi al Presidente Milosevic sono
stati convocati una cinquantina di teste: intellettuali di chiara
fama, storici e studiosi, politici di rango elevato, dalla Jugoslavia
e dall'estero, hanno prodotto le loro testimonianze sulla posizione
storica, politica e legale della Serbia, informando sul contesto della
crisi jugoslava, completamente ignorato dall'"atto di accusa", come
pure sulle prese di posizione e sulle azioni personali del Presidente
Milosevic durante il disfacimento della Jugoslavia, che sono sempre
state orientate a prevenire un bagno di sangue.

I giudici hanno costantemente interferito con la conduzione degli
interrogatori, rimproverando a Milosevic di porre ai testimoni domande
"presumibilmente concordate", di presentare prove ritenute non
pertinenti con le specifiche accuse, di introdurre documenti in
maniera non opportuna, ed altri pretesti di natura tecnica. Di fatto,
i giudici non avevano mai applicato tali restrizioni durante la fase
processuale precedente. La "Corte" e l'"Accusa", adesso, fanno a gara
a porre obiezioni di tipo puramente "tecnico", con l'ovvio intento di
sprecare il più possibile dei 150 giorni messi a disposizione per la
presentazione del "processo di difesa".

Durante l'interrogatorio incrociato dei testi a difesa da parte
dell'"accusa", il presidente Milosevic ha spesso dovuto far notare
come le traduzioni di documenti in serbocroato e di altro materiale
fossero scorrette e tendenziose. Ad esempio, Milosevic ha dimostrato,
con la conferma degli interpreti del "tribunale", che in un
documentario della BBC il "Pubblico Accusatore" , avvocato Nice,
deliberatamente traduceva in modo errato alcune frasi pronunciate in
serbocroato.
I "giudici" – in particolar modo Ian Bonomy, che ha sostituito Richard
May, malato, proprio alla fine del "processo d'accusa", nel 2004,
senza avere però avuto il tempo di aggiornarsi sul dibattimento
precedente – usano trattare i testimoni a difesa senza il dovuto
rispetto. Il "Pubblico Accusatore" durante i suoi controinterrogatori
si rivolge a loro con toni veramente aggressivi, senza tener conto
della loro età, della loro posizione o dei meriti professionali –
contrariamente al Presidente Milosevic, che aveva trattato tutti i
testimoni dell'accusa in un modo rispettoso.

Dalla fine di gennaio 2005, le testimonianze a difesa hanno riguardato
il Kosovo.
Una delle più importanti testimonianze è stata prodotta da Dietmar
Hartwig, capo della Missione di Osservatori in Kosovo dell'Unione
Europea (la controparte europea di William Walker). Secondo Hartwig,
le forze serbe di polizia non commisero alcuna aggressione contro i
civili, ma risposero solo alle provocazioni dell'UCK (la guerriglia
dei secessionisti pan-albanesi, appoggiati dalla NATO) in una maniera
"disciplinata". L'UCK è stato descritto come una "organizzazione
terroristica", e Hartwig ha dato rilievo alla netta discrepanza tra i
rapporti che lui inviava ai governi occidentali e la versione pubblica
che questi governi davano sugli avvenimenti in Kosovo.

Una parte importante della autodifesa del Presidente Milosevic è stata
dedicata a ristabilire la verità intorno al tristemente famoso
incidente di Racak del 15 gennaio 1999, che fu dipinto all'epoca come
un massacro effettuato a sangue freddo dalla polizia serba su civili
albanesi disarmati. Il presunto massacro servì da pretesto per
l'aggressione NATO; questo è peraltro il solo incidente, menzionato
nel "procedimento formale di accusa" relativo al Kosovo, che risalga a
prima dell'aggressione NATO.
Milosevic ha convocato importanti testimoni, quali: il perito medico
legale Slavisa Dobricanin (che aveva eseguito le autopsie sui cadaveri
trovati a Racak, ed ha confermato che molti di questi avevano tracce
di polvere da sparo sulle mani); l'investigatore di polizia Dragan
Jasovic (che ha presentato prove che 30 delle persone ammazzate a
Racak erano note come membri dell'UCK); Danica Marinkovic (Giudice
Istruttore dell'inchiesta sull'incidente, che ha testimoniato che il
capo della missione OSCE, William Walker, subito dopo i fatti cercò di
impedirle di visitare il teatro degli avvenimenti, e che i suoi
collaboratori per due giorni furono sottoposti al fuoco dell'UCK
quando cercavano di avvicinarsi ai luoghi, mentre all'OSCE era
consentito di farlo); nonché il giornalista tedesco Bo Adam (che aveva
condotto per proprio conto un'inchiesta sul terreno).

Il 19 aprile 2005, lo stato precario di salute di Milosevic non gli
consentiva di presenziare al "dibattimento processuale". Il "giudice"
Robinson ordinava allora che il processo dovesse continuare in assenza
del Presidente Milosevic, malgrado tutte le Convenzioni Internazionali
(financo lo stesso Statuto del "Tribunale ad hoc") proibiscano
procedimenti in absentia. Robinson ha ovviamente basato la sua
decisione sulla Sentenza della "Corte d'Appello" del 1 novembre 2004.
Il testimone del momento, il serbo profugo dal Kosovo Kosta Bulatovic,
veniva a questo punto citato per essere controinterrogato dalla
"Pubblica Accusa". Bulatovic si rifiutava di rispondere a qualsiasi
domanda in assenza del Presidente Milosevic. La "Corte" allora
stabiliva di ascoltarlo il giorno dopo, e contestualmente lo accusava
di "oltraggio alla Corte". Il 20 aprile, il "Tribunale" sottoponeva a
giudizio Bulatovic per "oltraggio alla Corte"; il 13 maggio 2005, la
"Camera Penale" dichiarava Bulatovic "colpevole di oltraggio alla
Corte", ed emetteva una sentenza di condanna a quattro mesi di carcere
- con la sospensione di due anni, dato il suo stato precario di salute.
Questa "sentenza" vergognosa contro un anziano, che si è opposto alla
violazione di un diritto civile fondamentale di Slobodan Milosevic -
il diritto ad essere presente al proprio processo - esemplifica il
carattere arbitrario e fuori-legge di questo "tribunale", e tradisce
la volontà della "Corte" di intimidire tutti gli altri testimoni "a
difesa". È solo una questione di tempo: la "Corte" creerà ancora
situazioni analoghe - dichiarando che Milosevic "non è in condizioni
fisiche tali da poter essere presente in Aula" - ed altri testimoni
saranno costretti a deporre in absentia dell'imputato!

Subito dopo la pausa estiva, il dibattimento sarà dedicato a
controbattere alla "accusa" per i fatti della Croazia.


La campagna di solidarietà

La preparazione del "processo di difesa" è uno dei compiti per i quali
il lavoro degli assistenti legali di Milosevic (da non confondere con
gli "avvocati d'ufficio", di fatto imposti dall'accusa) e dell'ICDSM
è assolutamente indispensabile. Si tratta di raccogliere una enorme
mole di documentazione e di prendere contatto con tutti i potenziali
testimoni ed altre persone eventualmente a conoscenza di fatti o in
possesso di materiali importanti. Senza mezzi finanziari, logicamente,
questo tipo di attività, e dunque anche la autodifesa di Milosevic
dinanzi al "Tribunale ad hoc", non hanno alcuna chance.

Il "Tribunale" garantisce solamente le spese essenziali per il viaggio
dei "testimoni" in occasione delle udienze; ma tutte le altre spese di
viaggio, di documentazione e di comunicazione vanno autofinanziate. Si
valuta che sia indispensabile raccogliere almeno 10mila euro al mese
per far fronte a tutte le necessità. Le sottoscrizioni più regolari e
consistenti finora sono arrivate dalla Germania, per un ammontare
mensile di poche centinaia di euro in tutto.

Si badi bene: non esistono altre fonti di finanziamento. Una legge
passata dal Parlamento serbo nella primavera 2004 - che in linea di
principio avrebbe garantito una parziale copertura delle spese - è
stata subito "congelata" in seguito alle minacce occidentali. Una
qualsivoglia campagna di finanziamento su basi volontarie a Belgrado è
praticamente irrealizzabile. A causa delle scelte estremistiche, in
senso neoliberista, del regime instaurato il 5 ottobre 2000, la
situazione sociale è disastrosa, la disoccupazione dilaga, i salari
sono da fame, chi ha i soldi per mangiare li tiene ben stretti e solo
in pochi casi è disposto a rischiare la galera (o peggio: vedi le
torture in carcere nella primavera 2003, durante la cosiddetta
"Operazione Sciabola") in attività politiche o di solidarietà a favore
di Milosevic: il quale viene tuttora demonizzato dai media locali
esattamente come da noi. A tutti deve essere inoltre chiaro - se
ancora ci fosse bisogno di ripeterlo - che, al di là delle menzogne
giornalistiche, non esiste alcun "tesoro nascosto" di Milosevic, e che
l'impegno di simpatizzanti e sostenitori per la sua difesa è
insostituibile ed indispensabile.

Ecco perchè, il 20 luglio 2005, la polizia fiscale tedesca è entrata
in casa del tesoriere dell'ICDSM, Peter Betscher, sottraendogli il
computer e tutto quanto ritenuto utile per "investigare sulle modalità
della campagna di finanziamento della difesa di Milosevic". Inoltre,
con un atto gravissimo, che lede i diritti fondamentali della persona,
la polizia tedesca ha bloccato il conto bancario personale di Betscher.

Altri conti, aperti appositamente per la campagna di autofinanziamento
dell'ICDSM, erano stati bloccati un anno e mezzo prima, nell'ambito
di una analoga operazione mirata a "bloccare ogni forma di
finanziamento a Milosevic ed ai suoi famigliari" in base a quanto
previsto da certe persecutorie disposizioni UE; tuttavia, la
magistratura tedesca aveva quasi subito decretato l'illegittimità di
simili provvedimenti, che ledono tra l'altro il diritto inalienabile
alla difesa legale, disponendo lo sblocco di tutti i conti bloccati.
Adesso, invece, nel pieno della fase della "autodifesa" di Milosevic -
che sta causando pesantissimo imbarazzo in Occidente e che viene
dunque sottoposta a rigido silenzio-stampa -, i servizi segreti
tedeschi ripartono all'attacco del comitato di solidarietà a
Milosevic, nel tentativo di intimorirlo, di scoraggiare i donatori, di
isolare Milosevic nella galera dell'Aia.

Noi dell'ICDSM non ci faremo intimorire e continueremo fino in fondo
la battaglia per la verità e la giustizia, e per il perseguimento dei
veri responsabili della distruzione della Jugoslavia; una battaglia
che vede, nella pubblicazione e nella ampia diffusione di questo
libro, uno dei suoi momenti principali. Terminiamo dunque rivolgendo a
tutti, con vigore, un appello a contribuire ed a far contribuire anche
finanziariamente a questa battaglia:

Conto Corrente Postale numero 86557006
intestato ad Adolfo Amoroso, ROMA
causale: DIFESA MILOSEVIC


NOTE:

(1) Slobodan Milosevic è stato prima presidente della Serbia, dal 1989
al 1997, poi presidente della "terza" Jugoslavia (la federazione di
Serbia e Montenegro) fino al colpo di mano dell'ottobre 2001. Come
uomo di partito, nel 1987 è stato eletto presidente della Lega dei
Comunisti della Serbia, ed ha diretto la trasformazione di questa in
Partito Socialista della Serbia (SPS) nel 1990.

(2) Questo "Tribunale ad hoc" non va confuso con la preesistente Corte
Internazionale atta a dirimere le controversie tra gli Stati, che ha
sempre sede all'Aia ma è organismo ben più legittimato.

(3) La ex presidentessa del Tribunale, Gabrielle Kirk McDonald, il 5
aprile 1999 veniva insignita di una onoreficenza dalla Corte Suprema
degli USA. In quella occasione essa spiegava senza alcun imbarazzo:
<<Abbiamo beneficiato del forte sostegno dei governi interessati e
degli individui che si sono adoperati, come il Segretario Albright.
[Si noti che i bombardamenti sulla Jugoslavia erano iniziati da pochi
giorni] Come rappresentante permanente alle Nazioni Unite, essa ha
lavorato incessantemente per creare il Tribunale. In effetti, noi
spesso ci riferiamo a lei come alla "madre del Tribunale".>>
Dunque la "mamma" del Tribunale dell'Aia non è Emma Bonino!

(4) Rapporto ONU n. X S/25704, sez. 18.

(5) In un comunicato stampa diramato all'Aia il 19 aprile 1999
(JL/PIU/397-E) si legge: <<Per conto del Tribunale
PenaleInternazionale per la ex Jugoslavia la ex presidentessa del
Tribunale, giudice Gabrielle Kirk McDonald, ha espresso il suo grande
apprezzamento al governo degli Stati Uniti per la sua concessione di
500mila dollari USA destinati al Progetto Outreach del Tribunale.
Harold Koh, Vice segretario di Stato USA per la democrazia, i diritti
umani ed il lavoro, ha annunciato la donazione in una conferenza
stampa presso il Tribunale venerdì 16 aprile 1999. Questa generosa
contribuzione, che ammonta a più di un terzo del budget complessivo di
Outreach, "consentirà al Tribunale" - come nota lo stesso Vice
Segretario di Stato Harold Koh - "di portare il suo messaggio di
giustizia imparziale non solamente ai governi ed ai rappresentanti
legali dell'ex Jugoslavia, ma, soprattutto, alle famiglie delle
vittime".>> Una dichiarazione tanto nobile da far venire le lacrime
agli occhi, soprattutto se si pensa che questo signore mentre parlava
rappresentava uno Stato - gli USA - che proprio in quei giorni stava
causando dolori enormi e disgrazie a quelle stesse famiglie tramite i
bombardamenti.

(6) L'intervista a Turover è apparsa su KONKRET, dicembre 2002 (in
italiano su:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2137 ). Per
quanto riguarda il caso Escobar junior, vedi: Fausto Cattaneo,
Deckname Tato (Nome in codice: Tato), Zurigo 2001. A pag. 197: "Il
conflitto con Carla Del Ponte è inevitabile. Lei non vuole
assolutamente veder Escobar Junior (noto narcotrafficante, NdT) in un
carcere svizzero." E, a pagina 366, aggiunge: "La nomina di Carla Del
Ponte a Pubblico Ministero presso il Tribunale dell'Aia nell'agosto
1999 rappresentò il coronamento di una carriera che si è sempre
realizzata nel segno della politica."

(7) Conferenza stampa tenuta il 17 maggio 1999.

(8) Le recenti incriminazioni ed arresti contro alcuni esponenti
minori della "manovalanza" UCK non mutano questo quadro complessivo;
lo stesso vale per l'arresto di Nasir Oric, musulmano della Bosnia
responsabile di micidiali "sortite" delle sue truppe dalla "enclave
protetta" di Srebrenica a danno dei serbi dei villaggi circostanti nel
1992-1993 - e dunque ben prima dei fatti del 1995 sui quali la stampa
internazionale ha tanto insistito, benché la loro vera dinamica ed
entità sia tuttora da chiarire. Nel caso dei croati, mentre nessun
leader politico è stato "incriminato" dall'Aia, lo Stato croato ha
finora negato ogni tipo di collaborazione anche per i militari
responsabili della eliminazione fisica degli abitanti serbi della
Slavonia e delle Krajine.

(9) Franjo Tudjman, oggi defunto, è stato l'autore di testi
revisionisti sul genocidio nazista; Alija Izetbegovic, autore della
"Dichiarazione Islamica" e legato all'Arabia Saudita, all'Iran, al
Pakistan ed a Bin Laden, fu a capo dei filonazisti "Giovani Musulmani"
durante la II Guerra Mondiale; i leader dell'UCK, anche macedone, sono
personaggi ricercati dalle polizie di mezzo mondo per le loro
frequentazioni criminali. Tutti costoro subirono condanne e spesso
scontarono pene nella RFSJ per reati quale l'"istigazione all'odio tra
le nazionalità".

(10) La "necessità" di una indagine contro Milosevic veniva annunciata
alla conferenza stampa congiunta tenuta dalla "madre del Tribunale ad
hoc", Albright, e dall'ex-procuratore Louise Arbour (successivamente
sostituita dalla Del Ponte) a Washington D.C. il 30 aprile del 1999:
si veda il documento ufficiale dell'ufficio del portavoce del
Dipartimento di Stato USA:
http://secretary.state.gov/www/statements/1999/990430a.html .

(11) Notiamo, per inciso, che tutte le forze politiche italiane
festeggiarono quegli avvenimenti, stravolgendone completamente il
significato grazie all'opera disinformatrice dei media. Negli anni
successivi gli eventi politici di Serbia e Montenegro sono stati messi
in sordina da giornali e TV occidentali, impedendo la conoscenza della
situazione reale, soprattutto nei suoi risvolti sociali, da parte
della nostra opinione pubblica.

(12) A sottolineare il vero e proprio affronto operato da questi
agenti della NATO nel governo serbo, ai danni del paese e della sua
stessa dignità e memoria storica, basti guardare al giorno in cui il
sequestro è avvenuto: 28 giugno, una data altamente simbolica per la
nazione serba. Quel giorno, nel 1389 si concludeva la nota battaglia
contro i Turchi; nel 1914 avveniva l'attentato di Sarajevo; nel 1989
Milosevic teneva il famoso discorso a Kosovo Polje (riprodotto in
questo libro, vedi Allegati). Non è perciò un caso se alcune
manifestazioni internazionali contro il "Tribunale" dell'Aia siano
state convocate dall'ICDSM il 28 giugno, ripetutamente dal 2003 ad oggi.

(13) La opinione contraria della Corte Costituzionale è stata
formalizzata il 6 novembre 2001; il testo è stato pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale della RF di Jugoslavia N.70/01 il 28 dicembre 2001.

(14) ''Considero questo tribunale falso, così come le accuse a mio
carico. Questo tribunale è illegale in quanto non è stato designato
dall'Assemblea Generale della Nazioni Unite, quindi non ho alcuna
necessità di nominare un avvocato di fronte
ad un organo illegale''. Queste le parole di Milosevic nel corso
dell'udienza del 3 luglio 2001. Si veda anche la dettagliata memoria
scritta di Milosevic, datata 30 agosto 2001:
http://www.icdsm.org/more/aug30.htm .

(15) I cosiddetti "Amici curiae", la cui scarsa serietà è dimostrata
dal fatto che dopo pochi mesi uno di loro ha rilasciato alla stampa
una intervista dicendosi convinto che Milosevic sarà condannato, e per
questo è stato sostituito nell'incarico in seguito alle proteste di
Milosevic.

(16) Di questa straordinaria identità jugoslava, non a caso largamente
rimossa dal dibattito nostrano sui Balcani, ha parlato ad esempio Neil
Clark recensendo a sua volta un libro sul tema dello jugoslavismo:
"Negli anni Sessanta questi tentativi di formare una comune identità
jugoslava parevano aver avuto successo. I matrimoni misti indicavano
che un numero sempre maggiore di cittadini si facevano registrare nei
censimenti come jugoslavi. (...) Nel capitolo conclusivo, un'"orazione
funebre" personale per la Jugoslavia, Aleksa Djilas afferma che se
l'Occidente potesse tornare indietro all'inizio degli anni Novanta, le
cose andrebbero diversamente. Io non ne sono certo. La distruzione di
una nazione militarmente forte e non allineata, sostituita da una
serie di protettorati deboli della NATO e del FMI, conviene
perfettamente a chi governa il nuovo mondo. La verità, come lo stesso
Djilas riconosce, è che fin quando è esistita l'Unione Sovietica, la
Jugoslavia aveva una funzione rispetto all'Occidente, ma una volta
abbattuto il muro di Berlino, essa era solo d'impaccio. (...) La
Jugoslavia, secondo Djilas, "rimane la più pratica e sensibile, la
più anti-distruttiva risposta alla questione nazionale degli Slavi del
Sud". Essa è, come affermato da Slobodan Jovanovic all'epoca
dell'attacco delle potenze dell'Asse nel '41, il modo migliore in cui
il popolo balcanico può garantirsi l'indipendenza e proteggersi dal
dominio straniero."
(Neil Clark sul "New Statesman" del 28 aprile 2003, a proposito del
libro: "Yugoslavism: histories of a failed idea (1918-1992)" di Dejan
Djokic (editor), Hurst & co., 369 pagine, ISBN 1850656630)

(17) Sloboda vuol dire "Libertà", ma anche "Slobo-si": attualmente
questa associazione non è altro che la sezione centrale, belgradese,
dell'ICDSM (Comitato Internazionale per la Difesa di Slobodan Milosevic).

(18) Una "autodifesa" di Milosevic da alcune di queste accuse è la
Lettera Aperta che in questo libro riportiamo (Allegato 3). Segnaliamo
anche, sul caso "Telekom Serbia", la presa di posizione di
ICDSM-Italia datata 5 ottobre 2003 (e 4 marzo 2004:
http://it.groups.yahoo.com/group/icdsm-italia/ )

(19) ''Hussein e Milosevic ... in quanto dittatori si assomigliano. Il
problema che si pone il mondo civile è quello di annullare le
potenzialità dei dittatori, per andare sempre più verso la democrazia
(...) Noi kosovari dobbiamo ringraziare Dio per l'intervento della
Nato che è servito a salvare un popolo e una civiltà'' (ANSA 13/02/2003).

(20) In precedenza, la Cancelleria del Tribunale aveva richiesto a
diversi uomini di legge la loro disponibilità ad assumere questo
ruolo, fin dall'inizio dell'agosto 2004. Fra questi avvocati vi era
l'ex amicus curiae Branislav Tapuskovic, che però aveva dichiarato in
un'intervista al quotidiano Serbo "Blic" del 7 agosto 2004 che si
rifiutava di agire come difensore di ufficio contro la volontà del
Presidente Milosevic. In una lettera alla Cancelleria dell'ICTY, Mr.
Tapuskovic ribadiva: "Secondo l'Articolo 21 (4)(d) dello Statuto del
Tribunale Internazionale per la ex Jugoslavia, viene garantito
all'accusato il diritto AD ESSERE PROCESSATO IN SUA PRESENZA E DI
DIFENDERSI DA SOLO PERSONALMENTE." Viceversa, i signori Kay ed Higgins
hanno immediatamente espresso la loro disponibilità ad assumere
l'incarico, fin dall'inizio.

(21) La giustificazione addotta dal "Tribunale" (come pure dalla
"Pubblica Accusa") era che nella conduzione della propria difesa lo
stato di salute di Milosevic avrebbe potuto ulteriormente
deteriorarsi. (Non è necessario sottolineare che questa era la prima
volta che si interessavano per la sua salute). In realtà, l'"Accusa"
già da molto tempo aveva richiesto l'imposizione di un avvocato
difensore d'ufficio, la prima volta nell'agosto del 2001.

(22) Il testo "Le Tablas di Daimiel - relazione di un testimone di
passaggio sul processo contro Slobodan Milosevic", risale al gennaio
2005, ed è apparso nel fascicolo estivo 2005 del bimestrale tedesco
"Literaturen".



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IN DIFESA DELLA JUGOSLAVIA
IL J'ACCUSE DI SLOBODAN MILOSEVIC DI FRONTE AL "TRIBUNALE AD HOC" DELL'AIA

Zambon Editore (Frankfurt, 2005)
240 pagine, 10 euro, ISBN 88-87826-33-1

Il testo integrale, in lingua italiana, della dichiarazione di
Slobodan Milosevic in apertura del "processo di difesa" dinanzi al
"Tribunale ad hoc per i crimini commessi sul territorio della ex
Jugoslavia" dell'Aia (31 agosto - 2 settembre 2004), ed altri testi
inediti di Slobodan Milosevic.

A cura della Sezione Italiana del Comitato Internazionale per la
Difesa di Slobodan Milosevic (ICDSM Italia)

Da capro espiatorio ad accusatore: Milosevic punta il dito sulle
potenze che hanno voluto la distruzione della Jugoslavia – vera prima
tappa della "guerra permanente" per il Nuovo Ordine Mondiale.

Distribuzione:



- per l'Italia

# distribuzione militante: rivolgersi ad
ICDSM-Italia
c/o GAMADI, Via L. Da Vinci 27
00043 Ciampino (Roma)
tel. +39-339-3873909 fax +39-06-4828957
email: icdsm-italia @ libero.it

+++ ICDSM-Italia è contattabile anche per organizzare
iniziative-dibattito e presentazioni del libro +++

# nelle librerie:
CDA – Bologna
# altri:
Achab
Via Caroto 2/a – 37131 Verona
Tel.: 045 8489196 – Fax: 045 8403149
info @ edizioni-achab.it – www.edizioni-achab.it

- per l'estero

rivolgersi a Zambon Editore, Francoforte sul Meno (Germania)
zambon @ zambon.net - Tel. 069/779223 Fax 069/773054


"Tra le idiozie e le infamie messe in circolazione dall'ideologia che
ha accompagnato la guerra contro la Jugoslavia, una spicca in modo
particolare: il processo all'Aia contro Milo?sevi´c [...] A
pronunciare tale requisitoria è in primo luogo un paese che, ancora
nel secondo dopoguerra, non è indietreggiato dinanzi ad alcuna infamia
nel tentativo (fallito) di assogettare i popoli dell'Indocina: qui,
ancora ai giorni nostri, innumerevoli bambini, donne e uomini
continuano a portare nel loro corpo martoriato i segni
dell'indscriminata guerra chimica condotta dagli aspiranti padroni del
pianeta. D'altro canto, per ironia della storia, la farsa giudiziaria
contro Milo?sevi´c va avanti mentre, nonostante la censura, trapelano
particolari agghiaccianti su Guantanamo e Abu Ghraib..." (Domenico
Losurdo)

"...Determinanti per la istituzione del Tribunale Internazionale per i
Crimini in Jugoslavia (in sigla: ICTY) le pressioni esercitate da
Madeleine Albright quale ambasciatore USA alle Nazioni Unite. Quegli
stessi USA che si sono sempre opposti alla costituzione del Tribunale
Penale Internazionale (in sigla: TPI), non consentendo che i cittadini
degli Stati Uniti vengano sottoposti al giudizio di autorità
giudiziarie diverse dalle loro, in ossequio alle ambizioni
imperialistiche degli USA. In Italia ne abbiamo avuto (fra gli altri)
un doloroso esempio per l'eccidio del Cermis ad opera di piloti USA
sottratti al giudizio dell'autorità giudiziaria italiana e
sostanzialmente assolti negli USA.
Per quanto riguarda la costituzione dell'ICTY va osservato che la
Carta dell'ONU non consente la possibilità, per il Consiglio di
Sicurezza, di creare "tribunali ad hoc" da ritenere discriminatori ed
organizzati per colpire i nemici USA..." (Giuseppe Mattina)


INDICE:

Introduzione: Domenico
Losurdo........................................................3
Processo Milosevic: un "processo alle
intenzioni"..........................9
(a cura di ICDSM-Italia)
Lettera al Presidente
Milosevic.......................................................37
di Miriam Pellegrini Ferri e Spartaco Ferri
Sulle illegalità del processo contro Slobodan Milosevic:
Giuseppe
Mattina.................................................................................39
DICHIARAZIONE DI SLOBODAN MILOSEVIC......................45
in apertura del "processo di difesa" dinanzi
al "Tribunale ad hoc per i crimini commessi
sul territorio della ex-Jugoslavia" dell'Aia (Olanda)
31 agosto-2 settembre 2004
Legenda: nomenclatura ed acronimi:
............................................199
Allegato 1:
Discorso di Milosevic a Campo dei Merli, 28 giugno 1989........211
Allegato 2:
Slobodan Milosevic si rivolge alla nazione, 2 ottobre 2000........219
Allegato 3:
Lettera di Milosevic all'opinione pubblica, agosto 2003.............229
SCHEDA: ICDSM
..............................................................................239


Questo testo è stato realizzato interamente grazie al lavoro
volontario dei membri e dei simpatizzanti dell'ICDSM e grazie ai
proventi della sottoscrizione popolare per la difesa di Slobodan
Milosevic. Il ricavato della vendita di questo libro va a copertura
delle spese dell'ICDSM e della difesa legale di Milosevic.

Per il contributo prezioso, fornito per la realizzazione di questo
libro, ringraziamo tra gli altri: A. Amoroso, C. Bettio, O. Daric , C.
Ferretti, S. Ferri, D. Losurdo, M. Marianetti, A. Martocchia, G.
Mattina, I. Pavicevac, B. Stradcutter, F. Zuddas.

La traduzione è basata sulle trascrizioni "ufficiali" in lingua
inglese e francese, che si possono reperire al sito internet del
"Tribunale ad hoc":
31 agosto 2004: http://www.un.org/icty/transe54/040831ED.htm
1 settembre 2004: http://www.un.org/icty/transe54/040901IT.htm
2 settembre 2004: http://www.un.org/icty/transe54/040902IT.htm
In lingua francese: http://www.un.org/icty/transf54/transf54.htm

Uvodna rec Predsednika Milosevica u Hagu 31. avgusta i 1. septembra 2004.:
http://www.sloboda.org.yu/uvodnarecC.htm - cirilica;
http://www.sloboda.org.yu/uvodnarecL.htm - latinica.

Invitiamo il lettore a seguire le udienze del "Tribunale ad hoc" anche
via internet sui siti:
http://www.domovina.net/Icty/eng/room1.ram
http://hague.bard.edu/video.html
http://tribunal.freeserbia.com
LE TRASCRIZIONI "UFFICIALI" DEL "PROCESSO" SI TROVANO AI SITI:
http://www.un.org/icty/transe54/transe54.htm (IN ENGLISH)
http://www.un.org/icty/transf54/transf54.htm (EN FRANCAIS)

Ulteriori informazioni ed aggiornamenti ai siti internet:

http://www.sloboda.org.yu/ (Associazione Libertà/Sloboda)
http://www.icdsm.org/ (Comitato internazionale per la difesa di
Slobodan Milosevic)
http://www.pasti.org/milodif.html (sezione italiana dell'ICDSM)
http://www.free-slobo.de/ (sezione tedesca dell'ICDSM)
http://www.free-slobo-uk.org/ (sezione britannica dell'ICDSM)
http://www.icdsm-us.org/ (sezione statunitense dell'ICDSM)
http://www.icdsmireland.org/ (sezione irlandese dell'ICDSM)
http://www.wpc-in.org/ (Consiglio mondiale per la pace/World Peace
Council)
http://www.geocities.com/b_antinato/ (Centro antiNATO dei Balcani)
http://it.groups.yahoo.com/group/jugoinfo (Notiziario JUGOINFO del
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia, Italia)

---

COMITATO INTERNAZIONALE PER LA DIFESA DI SLOBODAN MILOSEVIC
ICDSM Sofia - New York - Mosca www.icdsm.org

* * *
Velko Valkanov, Ramsey Clark, Alexander Zinoviev (Co-Presidente),
Klaus Hartmann (Presidente del Comitato), Vladimir Krsljanin
(Segretario), Christopher Black (Presidente, Comitato Giuridico),
Tiphaine Dickson (Portavoce Legale)
* * *

ICDSM - Sezione Italiana
presidente ad interim: Miriam Pellegrini Ferri

c/o GAMADI, Via L. Da Vinci 27
00043 Ciampino (Roma)
SITO INTERNET: http://www.pasti.org/linkmilo.html


------

http://www.voltairenet.org/article136429.html

Tribunes et décryptages - 9 mars 2006

Comment optimiser la propagande ?

Le cabinet de relations publiques Project Syndicate a très largement
diffusé un texte du secrétaire à la Défense états-unien, Donald
Rumsfeld, appelant à une réforme des moyens de propagande de
Washington. Compte tenu de sa diffusion, ce texte a suscité un grand
nombre de commentaires dans la presse internationale et a remis à
l'ordre du jour la question de la guerre psychologique et de la
fabrique du consentement. Mais, dans la presse occidentale mainstream,
le débat n'a pas porté sur les moyens à mettre en œuvre pour résister
à cette propagande et discerner le vrai du faux. Ce débat a porté sur
les moyens à mettre en œuvre pour rendre cette propagande plus efficace !
C'est un étrange spectacle que de voir, dans des médias se targuant
d'indépendance, d'objectivité et tirant leur légitimité de cette
auto-désignation, un débat sur le meilleur moyen d'influencer la
presse et l'opinion. Une tribune émanant d'un membre important d'un
gouvernement appelle à la reprise en main de l'information pour servir
des intérêts politiques, elle bénéficie d'une audience mondiale, elle
peut être lue par les lecteurs du monde entier sans que cela ne
provoque la moindre remise en cause des médias dominants de la
crédibilité des sources officielles états-uniennes.

Comme toujours pour un texte diffusé par Project Syndicate, la tribune
de Donald Rumsfeld bénéficie d'une diffusion considérable. Nous
l'avons trouvée publiée dans le Los Angeles Times (États-Unis), le
Korea Herald (Corée du Sud), Le Figaro (France), le Daily Star
(Liban), le Jerusalem Post (Israël), El Tiempo (Colombie), Die Welt
(Allemagne) et La Libre Belgique (Belgique), mais d'autres
publications ont dû nous échapper. Cette diffusion planétaire prend
dans le cas de ce texte une dimension comique puisque le propos de
Donald Rumsfeld est essentiellement de se lamenter sur l'incapacité
des États-Unis à se faire entendre. Il assure que les États-Unis et
leurs alliés sont systématiquement dénigrés dans certains médias
manipulés par les « terroristes » qui, eux, ont bien compris l'usage
des médias. À titre d'exemple, il déplore qu'on ait davantage parlé
des tortures contre les prisonniers à Abu Ghraib que des charniers de
Saddam Hussein, oubliant de ce fait la propagande belliqueuse ayant
précédé le conflit. Il regrette également que la diffusion d'articles
favorables à l'occupant en Irak grâce aux moyens du Lincoln Group ait
été révélée et présentée comme un « achat d'information ».
Implicitement, le secrétaire à la Défense assimile donc toute
dénonciation des manipulations médiatiques de son administration ou
des crimes commis par l'armée états-unienne à une action favorable aux
« terroristes », voire à une opération orchestrée par eux.
Le secrétaire à la Défense ne précise pas quels moyens le Pentagone ou
l'administration Bush mettra en œuvre pour soutenir médiatiquement la
guerre au terrorisme. On peut donc déduire que le principal intérêt de
ce texte est de présenter une vision du monde médiatique manichéenne
qui définit toute critique des États-Unis comme partisane du
terrorisme islamiste. Il désamorce également par anticipation toute
critique dans des scandales à venir révélant les manipulations
médiatiques de son gouvernement en les présentant à l'avance comme
relevant de l'intérêt et de la sécurité du « monde libre ». Enfin,
l'auteur insiste également énormément sur le fait que les moyens à
mettre en œuvre doivent être nouveaux, ce qui nécessite de nouveaux
crédits.

Sans surprise, le chroniqueur du Los Angeles Times et chercheur au
Council on Foreign Relations, Max Boot, applaudit l'investissement du
Pentagone dans la propagande. Il déplore en revanche que le
département d'État n'en fasse pas plus. Il souligne que Condoleezza
Rice a fait faire des progrès à son administration en apportant plus
de moyens à la « diplomatie publique » (le terme politiquement correct
pour désigner la propagande), notamment au Moyen-Orient. Mais l'auteur
trouve qu'il est possible de faire davantage en restaurant l'US
Information Agency et en lui donnant plus de moyens. Il demande aussi,
dans un troublant accès de sincérité, une réforme de l'USAID qui la
fera ressembler au ministère des Colonies britannique du temps de
l'empire. L'auteur, tout en réclamant la mise en place d'une meilleure
propagande, ne cache même plus l'inspiration des actions militaires
états-uniennes.

Le doyen de la School of Communication de l'université de Boston, John
J. Schulz, se montre pour sa part beaucoup plus critique sur la
politique de propagande de l'administration Bush dans le Boston Globe.
Toutefois, ce qui le choque, ce n'est pas l'intention, ce sont les
moyens mis en œuvre et surtout le fait que Washington se désengage de
la station de radio internationale officielle Voice of America (VOA),
radio dont il a été le collaborateur pendant 21 ans. M. Schulz est
ulcéré par l'appel à la nouveauté de Donald Rumsfeld. Pour lui, rien
ne sert de construire un nouvel outil de propagande à coup de millions
; VOA est un outil efficace et rentable qui a fait ses preuves. Au
contraire, les experts actuels de l'administration Bush n'ont abouti
qu'à des dépenses inconsidérées ou à de nouveaux scandales.

La presse arabe est bien entendu bien plus critique.
Soussan Al-abtah, universitaire et journaliste libanaise, se moque
dans Asharq Al Awsat de la complainte de Donald Rumsfeld. Elle
rappelle que ce n'est pas « Al Qaïda » qui possède les médias et que
ce n'est pas non plus cette organisation qui propose à des
journalistes arabes de rédiger des articles pro-états-uniens contre
rémunération. L'auteur parle ouvertement de la corruption des
journalistes dans son article, un sujet tabou dans la presse
occidentale bien qu'il s'agisse d'une pratique avérée historiquement.
Elle estime que le texte de Rumsfeld est en fait la marque que
l'administration Bush se retrouve face à une opposition interne de
plus en plus importante et a terni son image dans le monde arabe.
Washington a donc besoin de remobiliser ses troupes et stigmatiser ses
adversaires.
Même écho du côté de Faissal Al-azel, journaliste ba'asiste syrien,
dans Rezgar, journal de la gauche laïque arabe. L'auteur lance un
appel aux médias arabes : les organes de presse doivent se
re-mobiliser et surtout se réformer eux aussi. Si l'ennemi transforme
ses méthodes de propagande, il faut s'adapter.

La propagande a un double objectif : diffuser des informations
favorables, mais aussi empêcher la diffusion d'informations gênantes.
L'administration Bush a ainsi développé une obsession du secret quant
à ses activités, obsession proportionnelle à son usage du mensonge.
Elle s'est également spécialisée dans la décrédibilisation médiatique
de ses adversaires.
L'ancien représentant démocrate de l'Indiana, membre de la commission
d'enquête sur l'Irangate et ancien vice-président de la Commission
d'enquête sur le 11 septembre, Lee H. Hamilton, dénonce l'obsession du
secret dans le Christian Science Monitor et appelle à une réforme des
procédés de classification des documents officiels. Toutefois, les
motivations de l'auteur ne sont pas prioritairement l'information des
citoyens et la possibilité de développer un débat critique à partir de
documents officiels. Il estime plutôt que cette classification
alourdit l'échange d'informations entre les agences de renseignement
US et que la surcharge de documents « secrets » ne permet pas de les
contrôler tous et donc favorise les fuites. Ainsi, c'est au nom de
l'efficacité des organes policiers qu'il plaide pour un ralentissement
des processus de classification.
Dans le Los Angeles Times, l'analyste néoconservatrice de l'American
Entreprise Institute http://www.voltairenet.org/article14285.html,
Danielle Pletka, dénonce l'action médiatique de la CIA qui organise
des fuites opportunes de documents secrets pour saper l'action de
l'administration Bush. L'auteur rappelle que l'agence a une
orientation politique et qu'il faut se méfier de ce qu'elle diffuse.
Cette tribune n'est qu'un épisode de plus dans la guerre qui oppose
les néo-conservateurs à une partie du personnel de la CIA. Ces
derniers, soutenant sur le principe la politique impériale
états-unienne, mais s'opposant aux cibles et aux méthodes choisies par
l'administration Bush, ont organisé toute une série de fuites dans la
presse qui ont fragilisé les positions de la Maison-Blanche. La
nomination de Porter Goss à la tête de la CIA, puis de John Negroponte
à la tête de tout le renseignement états-unien, visait à purger les
services de renseignement états-unien de ces éléments adverses.

Réseau Voltaire

---

« La guerre contre le terrorisme est aussi médiatique »

Auteur Donald Rumsfeld

Membre des administrations Nixon, Ford et Reagan, Donald Rumsfeld est
l'architecte de la grandeur militaire des États-unis. Il est
secrétaire à la Défense de l'administration George W. Bush.
Voir notre dossier spécial http://www.voltairenet.org/rumsfeld.html à
son sujet.

Sources Jerusalem Post (Israël), Daily Star (Liban), Le Figaro
(France), Los Angeles Times (États-Unis), La Libre Belgique
(Belgique), Korea Herald (Corée du Sud), Die Welt (Allemagne), El
Tiempo (Colombie)
Référence « War in the Information Age », par Donald Rumsfeld, Los
Angeles Times, 23 février 2006.
« Fighting wars in today's media age », Korea Herald, 24 février 2006.
« La guerre contre le terrorisme est aussi médiatique », Le Figaro, 24
février 2006.
« How to fight terrorism in the media », Daily Star, 24 février 2006.
« The media war on terror », Jerusalem Post, 26 février 2006.
« La guerra de los medios contra el terror », El Tiempo, 26 février 2006
« Warum Nachrichten Waffen sind », Die Welt, 6 mars 2006.
« Guerre médiatique », La Libre Belgique, 6 mars 2006.


Les terroristes ont bien compris après le 11 septembre 2001 qu'ils
devaient utiliser les médias et ils se sont bien adaptés à l'ère
médiatique, contrairement à l'Amérique et aux autres démocraties. Les
extrémistes violents ont leurs experts en médias et ils conçoivent des
attaques qui vont faire la une des journaux en utilisant tous les
moyens de communication possibles pour en maximiser l'impact. Ils
savent qu'une attaque médiatique peut nous causer autant de tort
qu'une attaque militaire.
Nous menons aujourd'hui la première guerre de l'ère des e-mails,
blogs, blackberry, messageries, appareils photos numériques,
portables, émissions radio et de l'information en continu. En Tunisie,
le principal journal a une diffusion de 50 000 exemplaires pour 10
millions d'habitants, mais les antennes paraboliques fleurissent.
Saddam Hussein ne s'y était pas trompé puisqu'il les avait interdites
en Irak. Malheureusement, nombre de chaînes d'information manifestent
une hostilité ouverte à l'égard de l'Occident. Les médias dans
certaines régions du monde ne servent qu'à enflammer et à déformer,
plutôt qu'à expliquer et informer. Al Qaïda les utilise comme des
tribunes et nous n'avons pris que tardivement la mesure du problème.
Nous commençons à nous adapter. En Irak, l'armée américaine et le
gouvernement irakien ont travaillé ensemble pour fournir des
informations exactes, mais cette démarche a été qualifiée d'« achat
d'informations ». L'explosion d'articles critiques qui en a résulté a
bloqué toute initiative.
Il faut comparer le nombre d'articles consacrés aux abus à Abu Ghraib
par rapport à ceux sur les charniers de Saddam Hussein. Les
gouvernements libres doivent placer la communication au centre de
chaque aspect de la lutte. Plus il faut de temps pour mettre en place
un cadre de communications stratégiques, plus l'ennemi pourra occuper
l'espace. Nous faisons toutefois des progrès. L'écho médiatique autour
de l'action des États-Unis après le tremblement de terre au Pakistan a
amélioré notre image dans ce pays.
Le gouvernement doit développer sa capacité d'anticipation et de
réaction en matière d'information. Nous devons également trouver de
nouvelles méthodes pour toucher les peuples du monde. Pendant la
Guerre froide, Radio Free Europe a été très efficace, nous devons
envisager la création de nouvelles organisations et de nouveaux
programmes susceptibles de jouer un rôle tout aussi utile dans notre
guerre contre la terreur. Certes l'ennemi est habile dans la
manipulation des médias et l'utilisation des outils de communication
modernes à son profit, mais nous avons un avantage : la vérité est de
notre côté, et elle finit toujours par triompher.


COMMENTAIRES: http://www.voltairenet.org/article136429.html

« La diplomatie pour le monde réel »
Auteur Max Boot

Max Boot est membre du Council on Foreign Relations. Journaliste
réputé dans les milieux économiques, il dirige la page éditoriale du
Wall Street Journal. Il a publié The Savage Wars of Peace : Small Wars
and the Rise of American Power. Il est expert du cabinet de relations
publiques Benador Associates.
Référence « Diplomacy for the real world », par Max Boot, Los Angeles
Times, 22 février 2006.

« Faire taire la Voix de l'Amérique »
Auteur John J. Schulz

Ancien pilote de l'US Air Force, professeur à l'Army War College,
journaliste et responsable de Voice of America, John J. Schulz est
doyen du College of Communication de l'université de Boston.
Référence « Muffling the Voice of America, par John J. Schulz, Boston
Globe, 24 février 2006.

« Rumsfeld… activiste médiatique.. ?! »
Auteur Soussan Al-abtah

Soussan Al-abtah est écrivain et universitaire libanaise. Elle est
également journaliste dans le quotidien Asharq Al Awsat.
Source Asharq Al Awsat, 21 février 2006.

« Les médias et leur rôle dans la politique et la guerre »
Auteur Faissal Al-azel

Faissal Al-azel est journaliste et écrivain syrien. Il est également
membre du parti Ba'as en Syrie.
Source Rezgar, 31 janvier 2006.

« Quand le trop-plein de " secrets " va trop loin »
Auteur Lee H. Hamilton

Ancien représentant démocrate de l'Indiana et membre de la commission
d'enquête sur l'Irangate et de la U.S. Commission on National
Security/21st Century, Lee H. Hamilton a été vice-président de la
Commission d'enquête sur le 11 septembre.
Référence « When stamping 'secret' goes too far », par Lee H.
Hamilton, Christian Science Monitor, 22 février 2006.

« Ce n'est pas un secret, la CIA fait de la politique »
Auteur Danielle Pletka

Danielle Pletka est vice-présidente chargée des questions d'affaires
étrangères et de défense de l'American Enterprise Institute.Elle fut
administratrice du Committee for the Liberation of Iraq. Elle a été
signataire de l'appel des 115 atlantistes contre Vladimir Poutine.
Référence « It's no secret : The CIA plays politics », par Danielle
Pletka, Los Angeles Times, 21 février 2006.

http://www.voltairenet.org/article136429.html

1. Strategie non violente al servizio dell'Impero

Di Fabio Giovannini, da La Rinascita della sinistra
La parabola di Gene Sharp, dal gruppo Abele alla CIA...

2. La Cia di scorta si chiama Ned

da Latinoamerica/ Il manifesto
Ingloriosa storia e sistematici fallimenti del National Endowment for
Democracy, che dovrebbe aiutare lo sviluppo della democrazia nel mondo...

3. Il videogioco della non violenza

Da Repubblica online, 2/12/2005
Una scommessa nata dall'idea di alcuni dei protagonisti
dell'opposizione a Milosevic. "È il mezzo migliore per parlare ai
giovani"...

Vedi anche:

Russia: la grande offensiva di Soros rivela l'urgenza della realtà
energetica

di Reseau Voltaire, 24/01/2006
Il 23 gennaio l'FSB, il servizio di sicurezza russo, ha comunicato di
aver smascherato una rete di spie britanniche, che lavoravano
all'ambasciata britannica a Mosca. L'FSB ha dichiarato che gli agenti
identificati erano in contatto con organizzazioni russe che affermano
di lottare per la difesa dei Diritti Umani...

http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=7711


=== 1 ===

"La Rinascita della sinistra" , 3 marzo 2006

Strategie non violente al servizio dell'Impero

Di Fabio Giovannini

La parabola di Gene Sharp, dal gruppo Abele alla CIA. Ha messo le
teorie ecopacifiste a disposizione del pensiero neocon per abbattere i
regimi "sgraditi".


Sulla nonviolenza è in corso da tempo un dibattito intenso, nella
sinistra italiana. Pochi sanno, però, che i metodi dell'azione
nonviolenta sono stati messi da anni al servizio dell'espansionismo
americano.

Fin dagli anni 80 i movimenti pacifisti italiani hanno discusso molto
di un testo in tre volumi scritto da un professore americano, Gene
Sharp, Politica dell'azione non violenta (Gruppo Abele, 1986-1997),
vero manuale per l'azione nonviolenta, fondata sulla disobbedienza
civile, ma spinta fino al sabotaggio. Un testo tuttora consigliato
dagli ecopacifisti perché ben lontano da ogni acquisizione solo
verbale della nonviolenza, che non fa i conti con i suoi contenuti
forti, come quella meramente "buonista" utilizzata da Occhetto a
supporto della svolta che portò allo scioglimento del Pci. Bene,
proprio in quegli anni Sharp stava compiendo una svolta radicale. La
sua Albert Einstein Institution (tra i patrocinatori vi sono diversi
ex ufficiali dell'esercito USA) iniziava una collaborazione, fatta di
finanziamenti e consulenze, con istituti filo-governativi come il
National Endowment for Democracy (Ned) creato da Reagan nel 1983, il
National Democratic Institute (Ndi) presieduto da Madeleine Albright e
l'International Republican Institute (Iri), fino alla Freedom House,
nata durante la guerra fredda in funzione anticomunista e a lungo
presieduto dall'ex capo della Cia Woolsey. A portare ulteriori
sostegni economici ci pensavano le fondazioni del miliardario Soros.

Gli Usa si rendevano conto che l'esportazione della democrazia con le
bombe non sempre funziona. Il progetto, allora, era di studiare le
tecniche per ciò che è stato definito "il colpo di stato postmoderno":
come abbattere i regimi sgraditi a Washington puntando sulla società
civile. Nel mirino c'erano inizialmente i paesi del blocco sovietico e
la Cina (le prime "consulenze" di Sharp sono state per i moti di
piazza Tiananmen e per il movimento di Vaclav Havel in
Cecoslovacchia). Nel frattempo Sharp suggeriva le tecniche per
resistere a una fantomatica invasione sovietica dell'Europa in Verso
un'Europa inconquistabile (Gruppo Abele 1989, con introduzione di
Gianfranco Pasquino, ma l'edizione originale aveva una prefazione
dell'ambasciatore anticomunista George F. Kennan, sostenitore del
"contenimento" sovietico all'epoca della guerra fredda), teorizzando
la nascita di migliaia di "gruppi di resistenza" molto simili alla
nostra Gladio. Dopo la scomparsa dell'Urss, Sharp ha perfezionato le
sue tesi in un altro libro, From Dictatorship to Democracy (1993) e le
ha sperimentate sul campo nel 1999, quando i bombardamenti della Nato
non erano bastati a piegare l'ex Jugoslavia e a rovesciare Milosevic.
Allora si scelse un altro tipo di ingerenza, con l'appoggio
dell'Albert Einstein Institution: si dà vita al gruppo Otpor
(Resistenza) che alle elezioni presidenziali del 24 settembre 2000
accusa Milosevic di brogli elettorali. Ne conseguono manifestazioni e
pressioni mediatiche fino a ottenere la caduta di Milosevic.

Il modello Sharp era vincente: non le semplici tecniche di azione
nonviolenta, ma ingenti finanziamenti ai gruppi di opposizione,
stretta collaborazione con gli ambasciatori americani, appoggio dei
mezzi di informazione e uso delle Ong per monitorare le elezioni
accusando i singoli regimi di frodi elettorali. Dopo il successo di
Otpor, il "modello Sharp" viene ripetuto in Georgia, portando alla
caduta di Shevardnadze, e in Ucraina alla destituzione di Kuchma. I
due colpi di stato nonviolenti hanno subito messo in allarme i
governanti bielorussi, uzbechi, kazachi e kirghizi che hanno spesso
denunciato ingerenze occidentali attraverso gruppi sostenuti da Sharp.
Il professor Sharp non si è fermato: nel 2002 ha tenuto corsi di
formazione per l'Iraqi National Council e ora nella lista dei paesi da
sovvertire ci sono Cuba e Iran. Ma c'è un caso che finora non ha dato
i risultati sperati alla "nonviolenza" di Sharp: il Venezuela. Le
lotte contro il presidente Chavez, inviso agli Usa, sono state
organizzate con la collaborazione dell'Albert Einstein Institute fin
dal 2002. Anche in Venezuela si gridò ripetutamente ai brogli
elettorali e si portarono in piazza i contestatori, ma persino gli
osservatori internazionali dovettero riconoscere che il voto si era
svolto regolarmente e Chavez siede ancora al suo posto.

Resta il fatto che il colpo di stato postmoderno spesso riesce. Quello
che mancava alla nonviolenza di Sharp per "vincere" era una cosa: i
soldi. E solo grazie ai soldi americani i metodi nonviolenti di Sharp
sono riusciti a risultare efficaci. Soldi, uso spregiudicato dei media
e appoggio logistico delle ambasciate Usa: non c'erano questi elementi
essenziali, nei primi libri di Sharp. Il teorico americano
evidentemente ha fatto i conti con la realtà.

Oggi gli Usa uniscono quindi la violenza (le guerre di invasione) con
le tecniche "nonviolente" (la destabilizzazione e il rovesciamento di
regimi sgraditi), differenziandole di volta in volta. Certo, si
potrebbe preferire un'espansione dell'imperialismo democratico Usa
senza spargimenti di sangue: ma sarebbe solo un'illusione. A
Washington si sceglie la violenza o la nonviolenza solo in virtù della
loro maggior efficacia, caso per caso.

Il colpo di stato "non violento"

1. Manifestazioni di piazza apparentemente spontanee, in realtà
accuratamente organizzate con perfezione "militare": squadre di
militanti "nonviolenti", analoghe a squadre di soldati, che si tengono
in contatto costante con i cellulari e usano Internet (posta
elettronica e blog) e messaggi sms per coordinare le manifestazioni di
piazza e diffondere le accuse di corruzione.

2. Diffusione di sondaggi elettorali sfavorevoli ai regimi che si
vuole sovvertire e operazioni di monitoraggio delle elezioni volte a
dichiarare sempre e comunque che sono stati commessi dei brogli, per
suscitare il risentimento delle popolazioni.

3. Appoggio dei grandi media internazionali, per veicolare tra l'altro
immaginifiche e rassicuranti definizioni per le rivolte ("rivoluzione
di velluto" in Cecoslovacchia, "rivoluzione delle rose" in Georgia,
"rivoluzione arancione" in Ucraina).

(fonte: http://www.resistenze.org/sito/te/pe/im/peim6c06.htm )


=== 2 ===

il manifesto
01 Marzo 2006
ANTICIPAZIONI

La Cia di scorta si chiama Ned

Ingloriosa storia e sistematici fallimenti del National Endowment for
Democracy, che dovrebbe aiutare lo sviluppo della democrazia nel
mondo. Un articolo da «Latinoamerica»
WAYNE S. SMITH*

Il Ned (National Endowment for Democracy) è un ente che ha visto la
luce nel 1983, grazie al presidente Ronald Reagan e al Congresso degli
Stati uniti, con la finalità di offrire sostegno a quelle istituzioni
estere che il governo federale, per la sua posizione ufficiale, non
poteva aiutare, ad esempio i partiti politici di opposizione. In
apparenza, il Ned è una fondazione privata, non governativa e senza
scopo di lucro, e perciò sostiene questo tipo di istituzioni estere
con il sotterfugio di fornire fondi privati e non governativi. In
realtà si tratta di una finzione, poiché il Ned, malgrado sia a prima
vista un ente privato, riceve un finanziamento annuale dal Congresso.
La finzione ha una sua particolare importanza, naturalmente, perché
nella maggior parte dei paesi, e anche negli Stati uniti, esistono
leggi severe che controllano le attività dei cittadini che ricevono
finanziamenti da un governo straniero. Negli Usa, tanto per fare un
esempio, ogni individuo o ente «soggetto a controllo estero» deve
essere registrato presso il dipartimento di giustizia, e inviare ogni
sei mesi una relazione sulle proprie attività, comprese quelle
finanziarie.

Ormai da molti anni il governo degli Stati uniti predispone in tutto
il mondo interventi che hanno lo scopo di influenzare certi elementi
delle diverse società civili, ad esempio la stampa, i partiti
politici, le unioni sindacali e così via, per spingerli in una
determinata direzione, sia essa a favore delle scelte politiche
sostenute dagli Stati uniti oppure a sostegno dell'opposizione ai
governi di quei paesi, quando non al loro rovesciamento. Fino a
qualche tempo fa, come è noto, il ruolo chiave in questo senso era
giocato dalla Cia e dall'Agenzia Usa per lo sviluppo internazionale
(Usaid, Agency for International Development). Nel 1983 queste
istituzioni confluirono nel Ned. Da allora, Usaid opera come canale
trasparente: quando un'istituzione riceve finanziamenti da Usaid, si
sa che essi provengano dal governo Usa. Il Ned, come già detto, opera
in un mondo immaginifico e pieno d'ombre, continuando peraltro a
dichiararsi una fondazione privata che elargisce denaro privato,
sebbene nessuna delle due affermazioni sia vera.


Decisioni sconclusionate

La fondazione ha un suo consiglio, che a volte prende decisioni
sconclusionate. In alcune occasioni ha sostenuto cause che
contrastavano apertamente con le politiche statunitensi, finendo col
compromettere gli obiettivi Usa e provocando confusione tra gli
osservatori stranieri, perfettamente consapevoli che il Ned è, a tutti
gli effetti, un'agenzia del governo Usa.

Ne è esempio un episodio avvenuto a Panama durante le elezioni del
1984, quando il Ned decise di finanziare un candidato sostenuto dai
militari, Nicolás Ardito Barletta, in aperta contrapposizione con la
politica governativa statunitense. Non solo gli osservatori panamensi,
ma perfino i funzionari dell'ambasciata Usa a Panama non riuscivano
più a capire chi comandasse.

Una delle iniziative più bizzarre del Ned si è avuta a metà degli anni
Ottanta, quando il maggiore sindacato Usa, l'Afl Cio, uno dei
principali beneficiari del Ned, approvò un finanziamento di 1,5
milioni di dollari per la «difesa della democrazia» in Francia. Agli
occhi della maggior parte degli osservatori, la democrazia in Francia
non appariva affatto in pericolo, ma il direttore dell'Afl Cio di
Parigi, responsabile all'epoca delle relazioni internazionali,
affermò: «la Francia... è minacciata dall'apparato comunista. Il
pericolo è chiaro e attuale se ci proiettiamo nei prossimi dieci anni».

Considerato il tipo di mentalità, non sorprende che uno dei gruppi
francesi che ha ricevuto il finanziamento del Ned sia stato l'Union
Nationale Interuniversitaire, un sindacato interuniversitario da molti
considerato un vivaio dell'estremismo di destra e sospettato di legami
con il terrorismo. Quando le attività francesi del Ned vennero rese
pubbliche da un quotidiano locale, il governo Usa si dissociò
dall'intera operazione. Ciò nondimeno, l'episodio evidenzia
chiaramente il rischio di consentire al Ned di perseguire la sua
soggettiva politica estera con i soldi dei contribuenti.

Sin dall'inizio, Cuba è stata l'obiettivo principale delle attività
del Ned in America Latina. Durante gli anni Ottanta e anche oltre, uno
dei principali destinatari della sua generosità era la Canf,
Fondazione Nazionale dei Cubanoamericani, guidata dal famigerato Jorge
Mas Canosa, uomo di destra votato al rovesciamento del regime di
Castro. Mas Canosa è noto come amico stretto di Félix Rodríguez,
funzionario e veterano della Cia nonché coordinatore delle spedizioni
aeree dal Salvador verso la rete illegale dei rifornimenti ai contras
di Oliver North. Altra figura chiave in questo quadro è Luis Posada
Carriles, accusato di essere uno degli ideatori dell'attentato a un
aereo di linea cubano che nel 1976 provocò 73 vittime. In
un'intervista rilasciata nel 1998 al New York Times, riconobbe di aver
preso parte a numerosi attentati contro alberghi turistici dell'Avana,
che causarono la morte di almeno un turista e il ferimento di molte
altre persone. Il denaro per finanziare l'operazione, disse, veniva da
alcuni dirigenti della Canf.

Oggi il Ned non finanzia più la Canf, che dopo la morte di Jorge Mas
Canosa ha in qualche modo moderato il proprio atteggiamento. Tuttavia
è ancora molto impegnato nel progetto di rovesciare il regime cubano.
Nel 1999 ha creato il Movimento mondiale per la democrazia, che ha
immediatamente etichettato Cuba come uno dei governi più repressivi
del mondo. Freedom House, una delle organizzazioni a cui il Ned
destina molti dei suoi finanziamenti, descrive Cuba come uno tra gli
undici «regimi più repressivi» del mondo. In realtà, una
classificazione più obiettiva dei regimi repressivi è apparsa sulla
rivista Parade il 13 febbraio 2005, e non include Cuba neanche tra i
primi dieci. Vi compaiono, invece, l'Arabia saudita e il Pakistan,
entrambi stretti alleati degli Usa. A voler essere coerenti, il Ned
dovrebbe impegnarsi anche per rovesciare quei governi. Sì, per far
cadere gli amici del presidente Bush che occupano la casa reale saudita.


Un governo repressivo

Comunque, a prescindere dal fatto che il governo cubano sia repressivo
come o più di quelli degli alleati statunitensi, resta il fatto che si
tratta di un governo repressivo. A Cuba c'è poco spazio per la libertà
di espressione e di riunione, e ci si può ritrovare in carcere per la
più arbitraria delle ragioni. Ed è naturale che gli Stati uniti
vogliano spingere l'isola verso una maggiore apertura sociale. Il
punto è che le politiche adottate dall'amministrazione Bush, e poi
seguite dal Ned, sono profondamente sbagliate, totalmente
controproducenti e portano solo a ulteriori restrizioni.

Ironicamente, le cose avevano iniziato a muoversi nella direzione
giusta. Nel 2002 e fino al 2003 abbiamo assistito a un'incoraggiante
tendenza verso una maggiore tolleranza dei dissidenti a Cuba. L'ex
presidente Jimmy Carter ne ha incontrati alcuni durante un suo viaggio
sull'isola nel 2002, così come hanno fatto altri leader internazionali
e molti visitatori americani. Qualcuno dei dissidenti più noti ha
avuto anche il permesso di recarsi in viaggio all'estero. Il governo
può non aver apprezzato il Progetto Varela, che chiedeva un referendum
per maggiori libertà politiche e riforme economiche, ma non ha
imprigionato coloro che lo hanno proposto. E quando Carter nel 2002,
nel suo discorso alla nazione cubana, si è richiamato a questo
progetto, non solo è stato trasmesso in diretta dalla televisione
nazionale, ma le sue parole sono state riportate parola per parola
dalla stampa cubana.

Cosa non ha funzionato? Perché quell'improvviso cambiamento del 2003?
Perché quell'imprevisto arresto di almeno 75 dissidenti? Gran parte
della faccenda è stata una reazione alle provocazioni crescenti da
parte dell'amministrazione Bush, che continuava a chiedere un
cambiamento di regime e a dire che l'appoggio ai dissidenti sarebbe
stato uno dei modi migliori per mettere fine all'epoca di Castro, un
appoggio che in gran parte sarebbe stato fornito tramite Usaid e Ned.
Non sorprende che il governo cubano abbia interpretato questo appoggio
come una provocazione, sovversiva nella sua natura. E, a dirla tutta,
quale sarebbe la reazione del ministro della giustizia Usa e del
direttore della sicurezza nazionale se il capo dell'ufficio per gli
interessi cubani a Washington decidesse di fornire assistenza
materiale a gruppi di americani scontenti, dichiarando che il suo
scopo è quello di provocare la caduta del governo americano e di
sostituirlo con un nuovo sistema socialista? Verrebbe istantaneamente
dichiarato persona non grata.

Uno degli aspetti ancora più cruciali del giro di vite è stato l'avvio
della strategia Usa degli attacchi preventivi e l'inizio della guerra
in Iraq. Ai cubani è sembrato che gli Stati uniti avessero chiaramente
deciso di attuare una politica di azioni militari contro ogni stato
ritenuto una possibile minaccia nei loro confronti, ignorando
organizzazioni e leggi internazionali. È tempo, hanno concluso i
cubani, di chiudere i boccaporti. «Chi lo sa?, mi ha detto un cubano,
la prossima volta potrebbe toccare a noi».

Anche in quest'ottica, il giro di vite e l'arresto dei dissidenti sono
stati una reazione esagerata da parte cubana. Hanno indebolito il
sostegno all'isola da parte dell'Unione europea e di altri paesi, cosa
di cui Cuba proprio non aveva bisogno, soprattutto se teme qualche
tipo di incursione militare da parte degli Stati uniti.


Attività controproducenti

Il punto è che se il giro di vite cubano non ha fatto gli interessi
dell'isola, la politica statunitense - e le attività del Ned - sono
state decisamente controproducenti per gli interessi Usa. Il modo
migliore per portare Cuba verso una maggiore apertura sociale è di
ridurre le tensioni, aumentare il dialogo e allargare i contatti. La
vecchia strategia dell'embargo, delle pressioni e delle operazioni per
rovesciare il regime non ha funzionato, malgrado sia in piedi da
tempo, e i trucchi ancor più aggressivi dell'amministrazione Bush e
del Ned non funzioneranno oggi. Anzi, sono riusciti soltanto a
capovolgere la tendenza verso una maggiore tolleranza dei dissidenti e
a spedire in carcere tanta brava gente. Esattamente il contrario
dell'obiettivo cui dovrebbero mirare gli Stati uniti.

Stessa sorte sembra investire il Venezuela, l'altro stato dell'America
Latina nel quale il Ned ha le maggiori implicazioni. Nelle
dichiarazioni pubbliche relative alle sue attività in questo paese,
l'organizzazione ricorda il sostegno offerto a vari gruppi locali
impegnati per la democrazia. Di fatto, tuttavia, molti di coloro che
hanno sostenuto il fallito colpo di stato dell'12 e 13 aprile 2003,
che mirava a rovesciare il presidente Chávez, ricevevano sovvenzioni
proprio dal Ned. Ciò non significa necessariamente che dietro il
complotto ci fosse la fondazione Usa. I legami con le persone che
parteciparono al golpe, però, hanno inevitabilmente suscitato questo
sospetto nel governo venezuelano, che spesso ha accusato l'ambasciata
americana di aver avuto un ruolo diretto nell'incoraggiarlo.

Più recentemente, il Ned ha finanziato diversi gruppi venezuelani
coinvolti nell'organizzazione del referendum revocatorio dell'agosto
2004; gli oppositori del governo, e apparentemente anche gli Usa,
credevano che la consultazione avrebbe messo fine alla presidenza di
Chávez. Invece così non è stato, e Chávez ha vinto anche facilmente. I
fatti mostrano ancora una volta, e con chiarezza, che mentre gli Stati
uniti si oppongono a Chávez, e mentre il Ned agisce contro di lui
nella convinzione che rappresenti un pericolo per il sistema
democratico, egli viene democraticamente eletto dal popolo del
Venezuela, vince il referendum revocatorio, e ora, secondo gli ultimi
sondaggi, è sostenuto da circa il 70% dei suoi cittadini, quando solo
il 39% degli americani approva l'operato di George Bush.

È tempo ormai che gli Stati uniti lascino perdere i metodi da guerra
fredda che ancora praticano nei confronti di Cuba e del Venezuela.
Piuttosto che cercare di rovesciarne i governi, potrebbero ottenere di
più avviando con questi paesi un dialogo costruttivo e ragionevole. Il
Ned è un passo indietro verso la Guerra fredda, e le sue attività
minano la volontà stessa degli Stati uniti di contare su una
leadership illuminata ed efficiente. Come dice il vecchio adagio,
sarebbe ora di consegnare il Ned alla pattumiera della storia.


* Capo dell'Ufficio di interessi degli Usa a l'Avana durante la
presidenza Carter e ora membro senior del Center for International
Policy di Washington e professore associato presso la Johns Hopkins
University di Baltimora.

Tratto dal n. 93 di Latinoamerica, in vendita
in tutte le librerie Feltrinelli o online
presso www.giannimina-latinoamerica.it


=== 3 ===

Una scommessa nata dall'idea di alcuni dei protagonisti
dell'opposizione a Milosevic. "È il mezzo migliore per parlare ai
giovani". E divertirsi

Il videogioco della non violenza
"Vinci se torna la democrazia"

di GAIA GIULIANI

Ivan Marosevic è uno che la guerra l'ha vista da vicino. Adesso ci
vuole giocare. Ma a modo suo. Quando era studente universitario
nell'ex Jugoslavia, fondò con colleghi e adolescenti del suo paese il
gruppo Otpor (Resistenza). Finalità: la rimozione dal potere di
Slobodan Milosevic. Otpor ci riuscì contribuendo ad organizzare quella
gigantesca manifestazione dell'ottobre del 2000 davanti al parlamento
di Belgrado che portò alla destituzione del dittatore.
Il loro metodo era la "rivoluzione di velluto", sull'esempio di quella
indolore di Alexander Dubcek nell'ex Cecoslovacchia. Tappezzarono
Belgrado di scritte con lo spray. La più famosa diceva: "Slobo, salva
la Serbia: ammazzati". Organizzarono concerti rock, fecero
volantinaggi a tappeto. Cominciarono in poche centinaia, ma presto il
numero dei loro affiliati toccò cifre a quattro zeri. Dopo aver
tentato, fallendo, di entrare nel governo serbo nelle elezioni del
2004, si sono sciolti. Ma il loro spirito sopravvive con Marosevic,
che è diventato membro dell'Icnc (International Centre of Nonviolent
Conflict), un'associazione no profit che si occupa di insegnare
strategie di rivolta non violente nei paesi in cui la democrazia è
ancora un sogno.

Insieme hanno realizzato un progetto rivoluzionario: un videogioco. Si
chiama "A force more powerful", e insegna a sviluppare proprio quelle
pratiche "morbide" usate da Otpor - scioperi, manifestazioni di massa,
disobbedienza civile - contro regimi antidemocratici ed eventuali
conflitti. "L'ho fatto perché oggi i ragazzi crescono nutrendosi di
videogiochi", ha dichiarato Marosevic recentemente, "e sembra che
prendano il mezzo molto seriamente". In effetti le percentuali di
giocatori sono altissime (vedi scheda), e sono partite anche molte
crociate da parte di associazioni di genitori italiane e non,
preoccupate per l'impatto della violenza dei giochi sugli adolescenti.

Nel caso di "A force more powerful", la violenza che preoccupa di più
è quella delle dittature e delle bombe. "Molti dei ragazzi che hanno
aderito a Otpor, quando è iniziata la guerra avevano solo 10 anni",
continua Marosevic. "Nel 2000 erano diventati maggiorenni, e avevano
vissuto l'infanzia sotto un regime liberticida. Sono stati tra i
membri più attivi nelle proteste. Tra i più convinti che la violenza
generasse solo altra violenza".

E il gioco è stato studiato proprio per loro, e per gli attivisti dei
dritti civili.Tre anni di lavoro, la possibilità di utilizzarlo anche
se non si è super esperti di computer. Gli scenari possibili sono
parecchi e ispirati alla storia recente, per simulare il più possibile
le reali condizioni di paesi in cerca di democrazia. I giocatori hanno
anche la possibilità di crearne di propri, con un grado di
approssimazione altissimo tanto da poter strutturare verosimilmente
anche il territorio di appartenenza. Le simulazioni prevedono
variabili come la difesa delle minoranze etniche e religiose, la
costruzione di alleanze tra i vari gruppi, la ricerca di fondi. E se
le azioni dovessero fallire in una prima istanza, è sempre possibile
esercitarsi in nuovi tentativi.

Il gioco sarà messo in commercio all'inizio dell'anno prossimo ad un
prezzo che si aggirerà intorno ai venti dollari: "Per chi non potrà
permetterselo - in molti casi si tratta di cittadini di paesi in via
di sviluppo - la distribuzione sarà gratuita e corredata da manuali di
approfondimento", spiega Marosevic.

Un mondo diverso è possibile? Sigfrido Ranucci di Rai news 24, autore
dello scoop sulle armi al fosforo usate dagli americani a Falluja, ha
dichiarato recentemente che siamo abituati a vedere la guerra come se
fosse un gigantesco videogioco. Giochiamoci per farla diventare pacifica.

(2 dicembre 2005)

Fonte: Repubblica online - www.repubblica.it

http://www.michelcollon.info/articles.php?dateaccess=2006-03-08%2019:18:19&log=invites

Malaise au Monde Diplomatique

par: Berneron, Dauphiné, Faehndrich, Zouhar

Le Monde diplomatique connaît une grave crise qui pourrait remettre en
cause pour longtemps sa ligne éditoriale. Le rédacteur en chef du
journal et son adjoint – tous deux en charge du dossier Proche-Orient
– ont été remplacés en janvier ; le second actionnaire du journal
subit une reprise en main ; un article de l'intellectuel d'origine
palestinienne Edward Saïd a été coupé dans ses passages les plus
critiques envers l'Onu, Israël et les USA ; des membres de la
rédaction sont directement intervenus dans un prix littéraire
jusque-là indépendant. Cela s'ajoute aux millions d'euros prêtés par
le mensuel au groupe le Monde, dont les caisses sont chroniquement
vides, alors que la diffusion du Monde diplomatique est en baisse et
que l'équilibre des comptes ne repose que sur les produits dérivés. En
tant que responsables de l'association des Amis du Monde diplomatique,
nous nous alarmons de cette situation.

Par
Cyril Berneron, Administrateur des Amis du Monde diplomatique,
responsable du prix des Amis du Monde diplomatique
Bernard Dauphiné, correspondant des Amis du Monde diplomatique à
Carcassonne (France)
Claudine Faehndrich, membre du collège des fondateurs, ancienne
correspondante des Amis du Monde diplomatique à Neuchâtel (Suisse)
Halima Zouhar, administratrice des Amis du Monde diplomatique


Le prix des Amis du Monde diplomatique :

Procédons à une analyse de ce qui se passe au sein du mensuel, en
commençant par ce qui pourrait être considéré comme le plus bénin.
Créé en 2002 par l'association des lecteurs du journal, (les Amis du
Monde diplomatique – association actionnaire du journal à 25 %), le
prix des Amis du Monde diplomatique n'a pas été remis en décembre
2005. Le comité d'organisation a refusé de le décerner pour protester
contre l'ingérence de certains journalistes du mensuel dans le choix
des livres et une volonté de censure.
Le prix était placé sous le parrainage des prix Nobel Dario Fo et Jose
Saramago ainsi que du cinéaste Costa Gavras et de l'écrivain Jose Luis
Sampedro qui avaient pour l'occasion cosigné un appel.
S'inspirant du fonctionnement du prix du Livre Inter, il a été établi
que le prix serait décerné par des lecteurs du Monde diplomatique.
A cette fin, le comité d'organisation procédait simultanément à une
présélection des ouvrages concourant et à celle d'un jury.
Les ouvrages étaient choisis parmi les publications de l'année entrant
dans les catégories essais, documents, analyses (domaines politique,
historique, économique). Partant d'une sélection comprenant trente à
quarante textes, le comité arrivait, par lectures et débats
successifs, à cinq livres.
Simultanément, un appel à candidature était publié dans le Monde
diplomatique.
Le jury était composé sur la base de la diversité et de l'indépendance
d'esprit. Les jurés provenaient en majorité de France mais incluaient
aussi des lecteurs résidant dans d'autre pays. A partir de 2003, dans
le but de bien marquer la séparation entre les membres du comité
d'organisation et ceux du jury, le choix des jurés a été confié au
responsable du prix, Cyril Berneron – qui était alors la seule
personne commune aux deux groupes.
Le jury, comprenant neuf lecteurs, recevait en septembre les cinq
ouvrages sélectionnés et se réunissait durant une journée fin novembre
pour débattre et primer le livre de son choix. Lors de cette journée,
la plus grande liberté était laissée aux jurés, le responsable du prix
se contentant de l'organisation du débat.
Le prix était remis depuis 2003 à l'Assemblée nationale, lieu choisi
pour souligner que cette récompense avait pour finalité d'encourager
le débat d'idées.
En décembre 2004, la Sorbonne s'était, de plus, associée au prix en
recevant le lauréat pour une conférence le soir de la remise de la
récompense.
Depuis sa création, le prix avait été décerné à Michel Warschawski
(Sur la frontière, éditions Stock), Howard Zinn, (Une histoire
populaire des ?tats-Unis, éditions Agone) et Raoul-Marc Jennar
(Europe, la trahison des élites, éditions Fayard).

Des pressions :

Lors de la préparation du prix 2005, le comité d'organisation a établi
une présélection comprenant 29 ouvrages. Comme chaque année, les
membres de ce comité se sont attelés à la lecture avant de se réunir
pour affiner leur choix. Mais, cette année, de fortes pressions ont
été exercées afin d'obtenir, discrètement puis devant la résistance,
publiquement, le retrait d'un ouvrage de la liste.
Lors des années précédentes, des pressions discrètes avaient parfois
été exercées (on pense en particulier au livre de Florence Aubenas et
Miguel Benasayag, Résister c'est créer), mais le refus net du comité
avait suffi à clore la question.
Le livre qui, cette année, a mis à l'épreuve les valeurs de
transparence et de liberté d'expression affichées par le Monde
diplomatique est Le mur de Sharon d'Alain Ménargues, publié aux
Presses de la Renaissance.
Devant la résistance des membres du comité d'organisation aux
pressions discrètes, le directeur de la publication, Ignacio Ramonet,
s'est senti obligé de prendre position devant le conseil
d'administration de l'association du 18 juin 2005. Suite à sa prise de
parole, le conseil a voté une motion censurant le livre :

« Compte tenu de positions inacceptables prises par Alain Ménargues
dans son livre Le Mur de Sharon, le Conseil d'administration des Amis
du Monde diplomatique décide de retirer cet ouvrage de la liste des
choix possibles pour l'attribution de son prix annuel. »

Précisons que cet ouvrage n'a été ni poursuivi ni, a fortiori, condamné.
De plus, le conseil demandait dans la même motion aux correspondants
de l'association (qui possède plus de 60 groupes à travers le monde,
organisant plus de 500 conférences par an) de ne pas recevoir l'auteur
du livre incriminé. Il s'agissait de la première fois dans l'histoire
de l'association (née en 1996) que le conseil intervenait dans le
fonctionnement jusqu'ici totalement libre et indépendant des groupes
locaux :

« Le Conseil demande aux correspondants locaux des Amis du Monde
diplomatique de ne pas inviter l'auteur de l'ouvrage à des
conférences-débats. Cela afin de ne pas nuire à l'image du journal et
à sa ligne sur le conflit du Proche-Orient. »

Trois mois plus tard, lors du conseil d'administration du 21
septembre, le conseil a résolu de modifier les règles de
fonctionnement du comité d'organisation afin d'éviter à l'avenir les
manifestations d'indépendance :
• Il a décidé d'adjoindre au groupe un membre de la rédaction du Monde
diplomatique dont la fonction serait de valider a priori le choix des
ouvrages dans les listes successives. Anne-Cécile Robert, qui pourrait
prochainement être nommée rédacteur en chef adjoint, a accepté ce rôle.
• Il a décidé d'adjoindre deux personnes au responsable du prix pour
effectuer la sélection des jurés.
• Il a décidé de ne plus engager d'attaché de presse pour le prix des
Amis du Monde diplomatique.

Suite à ces dispositions, le comité d'organisation du prix s'est réuni
pour arrêter une position commune. Il a décidé à l'unanimité moins une
voix (7 pour, 1 contre) de ne pas accepter cette censure, de ne pas
remettre le prix en 2005 et de rendre publiques ces actions contraires
aux valeurs affichées tant par le Monde diplomatique que par une
association des Amis du Monde diplomatique qui s'affirme « au service
du débat d'idées ».
Interrogé par Olivier Costemalle du journal Libération, le secrétaire
général de l'association, Dominique Franceschetti, a répondu : « On ne
peut pas accepter n'importe quel livre au nom du débat d'idées ».

L'association belge des Amis du Monde diplomatique, présidée par le
sénateur Pierre Galand, a affirmé son soutien au comité d'organisation
dans une lettre aux instances dirigeantes de l'association française
et du journal.

Malaise

Cette affaire n'est pas un cas isolé. Une crise couve en effet depuis
des mois pour le contrôle du mensuel – et on assiste actuellement à de
profonds changements au sein du Monde diplomatique et de sa structure
actionnariale.
Au 1er janvier, l'équipe de direction a été fondamentalement modifiée.
Le rédacteur en chef, Alain Gresh, et son adjoint, Dominique Vidal,
ont été remplacés (respectivement par Maurice Lemoine et Serge
Halimi). Ignacio Ramonet, le directeur de la publication serait, lui,
sur le départ.
Au siège du mensuel, plusieurs interprétations sont fournies
concernant ces changements. En public, on soutient qu'Alain Gresh
aurait volontairement abandonné le poste ingrat de rédacteur en chef
de ce journal influent afin de pouvoir pleinement s'occuper du site
Internet de la publication. Mais en privé, certains rédacteurs
expliquent, sous couvert d'anonymat, que les tensions au sein de la
direction étaient devenues si grandes qu'il était impossible au
rédacteur en chef et à son adjoint de travailler dans des conditions
acceptables.

Changement de ligne éditoriale sur le Proche-Orient ?

À la question de savoir quelle était la cause des tensions, la
première réponse fournie concerne les liens entre l'association Attac
et le Monde diplomatique. D'après des confidences faites au Canard
enchaîné et à Libération, les partants n'auraient pas accepté
l'intervention d'Ignacio Ramonet dans la crise qui secoue actuellement
la direction de l'association Attac.
D'après nos informations, le changement à la tête du Monde
diplomatique est, en fait, dû à une cristallisation autour du
traitement du Proche-Orient dans le journal. Des pressions ont poussé
dans le sens d'un positionnement plus bienveillant envers la politique
de l'?tat d'Israël.
Outre la possibilité, inévitable, de sollicitations internes provenant
de l'actionnaire principal Le Monde, la rédaction a été l'objet de
pressions externes. Le journal, et nommément Dominique Vidal, ainsi
que son actionnaire Les Amis du Monde diplomatique, ont été en
particulier visés par l'Arche, le mensuel du judaïsme français.
On assista alors à un fléchissement de la ligne éditoriale qui poussa
le Monde diplomatique jusqu'à reprendre en juillet 2005 un article de
l'intellectuel d'origine palestinienne Edward Saïd (décédé en 2003),
publié deux ans auparavant en langue anglaise, en procédant à des
coupes qui en dénaturaient fondamentalement le sens et faisaient
disparaître ses critiques d'Israël, de l'Onu et des ?tats-Unis. Les
nombreuses reprises de l'article et de ses coupes circulant sur
Internet risquent de nuire longtemps à l'image du journal.

Grandes manœuvres au sein de la SA

Juridiquement, le Monde diplomatique a la forme d'une société anonyme
dont le capital est partagé entre trois actionnaires :
• Le groupe le Monde possède 51 % des parts.
• L'association des Amis du Monde diplomatique (lecteurs du journal)
possède 25 % des parts.
• L'association Gunter Holzmann (personnel du journal) possède 24 %
des parts.

L'association des Amis du Monde diplomatique est à la fois actionnaire
du journal et organisatrice de conférences-débats par le biais de ses
groupes locaux présents en France, en Europe, en Amérique du Sud et en
Afrique.
Depuis le printemps 2005, elle est l'objet de toutes les attentions :
• En juin, le renouvellement de son conseil d'administration a été
l'objet d'intenses tractations entre la direction du journal et la
direction de l'association.
• En juillet, le nouveau bureau de l'association a été imposé au
conseil sur un coup de force.
• En septembre, le bureau a repris en main chaque activité de
l'association et centralisé son fonctionnement.
• En décembre, il a décidé de la modification du fonctionnement des
groupes locaux de l'association.

Outre la reprise en main du prix des Amis du Monde diplomatique, la
structure décentralisée de l'association permettant l'organisation de
conférences-débats se voit remaniée. L'objectif est de mieux contrôler
l'activité des groupes locaux, et en particulier de les empêcher de
faire venir des conférenciers non conformes aux orientations des
instances dirigeantes du journal et de l'association. (Ce qui pourrait
être légitime si cette dernière n'affichait pas sa volonté de
développer le débat d'idées.)
Le bureau a ainsi décidé de modifier la diffusion des informations
concernant les conférences. Le courrier papier envoyé mensuellement
aux membres résidant dans un département actif devait être remplacé
par un courriel. Mesure d'économie efficace ? Oui, mais qui pose
problème quand le fichier des membres ne comprend que 10 % d'adresses
électroniques…
Certaines conférences sont certes annoncées dans le mensuel mais pas
toutes – faute de place – ou, parfois, afin de ne pas faire de
publicité à un conférencier n'entrant pas dans la « ligne » du journal.
Quant au site Internet de l'association, les pages avertissant de
certains débats dont l'invité déplaisait au bureau en ont été
supprimées avant la conférence (voire après, pratique surprenante de
réécriture de l'histoire).
Face aux réactions négatives des représentants des groupes locaux, le
bureau a finalement accepté de maintenir l'envoi papier aux adhérents
et de n'utiliser le courrier électronique que pour ceux qui
donneraient explicitement leur accord.
Mais qu'est-ce qui peut bien pousser une association à vouloir se
couper de 90 % de ses membres ? Au sein de la structure le malaise est
grand face à cette question.
Lors de l'assemblée générale 2005, un épisode avait déjà troublé
certains membres et une administratrice nouvellement élue, Halima
Zouhar, avait éprouvé le besoin de rendre public sur Internet une mise
au point concernant des propos xénophobes dont elle témoignait avoir
été la cible en présence de membres de la rédaction qui n'auraient pas
réagi.

Remise en cause de la stabilité financière ?

Des liquidités de plusieurs millions d'euros sont en jeu ainsi que le
contrôle d'un média influent.
Tout cela advient, en effet, alors que le Monde diplomatique a connu
une grave baisse de ses ventes (- 25 % de ventes en kiosque, - 12 % de
ventes globales). Le journal annonce 65 000 exemplaires mensuels
vendus en kiosque, 70 000 abonnés et 70 000 exemplaires en français
vendus à l'étranger. Alors que sa diffusion a continué à baisser en
2005, le directeur général, Bernard Cassen, confiait à ses
actionnaires début février 2006 que le journal était en soi
déficitaire et n'équilibrait ses comptes que grâce aux produits
dérivés (CD-rom, agenda, atlas, éditions étrangères…).
La direction du journal a donc décidé courant 2005 de diversifier ses
revenus en donnant son label à des voyages organisés et à des
formations. Ces deux initiatives ont été reçues de façon mitigée, des
critiques ont, en particulier, été émises sur le choix de cibler la
catégorie la plus aisée des lecteurs du journal, en décalage avec les
positions altermondialistes du mensuel (le séjour d'une semaine au
Caire « introduction à l'islam » variait de 1 970 à 3 050 €, la
journée de formation était de 540 €).
D'autres critiques concernant les voyages posaient la question de la
pertinence du choix des personnes invitées à prendre la parole et de
l'utilité de se rendre en Egypte pour les écouter : aucune
personnalité égyptienne n'était présente, la quasi-totalité des
conférenciers venant de France.

Prêt de plusieurs millions d'euros

Plus sérieusement, au moment des changements actionnariaux au sein du
groupe le Monde, chroniquement déficitaire, et de la possible entrée
au capital de Lagardère, géant de l'industrie de défense et des
médias, plusieurs questions se posent. D'une part, ces changements
auront-ils des conséquences pour le mensuel ? Pour sa ligne éditoriale
? Pour sa pérennité ? D'autre part, le Monde diplomatique qui a prêté
ces dernières années plusieurs millions d'euros au groupe le Monde
doit-il et peut-il en demander la restitution ? Cela modifierait-t-il
l'équilibre entre ses actionnaires ?
La reprise en main du deuxième actionnaire, les Amis du Monde
diplomatique, créé pour assurer l'indépendance de la ligne éditoriale
du mensuel, doit être placée dans cette perspective…
Ce qui n'est pas sans inquiéter les signataires de ce texte.


Cet article est en copyleft.


Liens hypertextes :

Position d'Alain Ménargues sur cette affaire :
http://www.oulala.net/Portail/article.php3?id_article=1864&var_recherche=%22monde+diplomatique%22


Communiqué de presse intitulé Censure dans l'orbite du Monde diplomatique
http://www.agence-paf.net/article.php3?id_article=131

Les 2 articles de Libération :
http://bellaciao.org/fr/article.php3?id_article=22052
Et
http://bellaciao.org/fr/article.php3?id_article=23408

Edward Saïd :
http://www.oulala.net/Portail/article.php3?id_article=1869

Halima Zouhar :
http://www.emarrakech.info/index.php?action=article&id_article=173305