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Date: Fri, 26 Nov 2004 16:13:27 +0100
From: Alessandro Marescotti
Subject: Porti a rischio nucleare: forte imbarazzo del governo, sarà
tolto il segreto

Comunicato di PeaceLink

Il testo dell'interpellanza e la risposta del governo sono su
http://italy.peacelink.org/editoriale/articles/art_8315.html
nel campo "note".

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Piani di emergenza nucleari, portaerei e sottomarini atomici


L'on. Mauro Bulgarelli (Verdi) presenta un'interrogazione che spiazza il
governo. Dal 1995 le norme a tutela delle popolazioni non sono attuate.
Il
governo è costretto ad ammetterlo e promette l'emanazione delle norme
attuative. L'iniziativa avrà una ricaduta pratica: sarà tolto il segreto
militare dai piani di emergenza per le popolazioni. Soddisfazione di
PeaceLink che dal 2000 ha premuto sui parlamentari e sui governi per
richiedere l'accesso alle informazioni sul rischio nucleare. Ma c'è
anche
un particolare inquietante...


---

Ciò che i cittadini dovrebbero conoscere di diritto e che tutti i
governi
dal 1995 ad oggi hanno nascosto: così potremmo definire la patata
bollente
dei piani di emergenza nucleare. Ci riferiamo agli undici porti
italiani in
cui possono transitare e attraccare navi e sommergibili a propulsione
nucleare.

Essi sono Augusta, Brindisi, Cagliari, Castellammare di Stabia, Gaeta,
La
Maddalena, La Spezia, Livorno, Napoli, Taranto e Trieste.

In base al decreto legislativo 230 del 1995 i cittadini dovrebbero
sapere
se vivono in un'area a rischio nucleare. E conoscere i piani di
emergenza.
E invece quei piani rimangono nel cassetto, top secret, per non generare
allarme fra le popolazioni.

La lunga lotta di PeaceLink per conoscere i piani di emergenza cominciò
a
febbraio dell'anno 2000. A settembre la Prefettura di Taranto - dopo
l'affondamento di un sottomarino nucleare russo, dopo l'intimazione di
PeaceLink ai sensi di legge e alla vigilia di un incandescente consiglio
comunale monotematico sul rischio nucleare - ci dette importanti
informazioni ufficiali da cui emergeva che la città sarebbe stata
evacuata
in caso di grave incidente e di forte dispersione di radioattività. Fu
una
crepa aperta nel muro del silenzio. Poco dopo il prefetto di Taranto fu
trasferito. La lotta di PeaceLink è proseguita per anni e ora è giunta
in
parlamento, lavorando in tantem con un parlamentare, l'onorevole Mauro
Bulgarelli, che ha preso a cuore il problema, è stato presente al
convegno
del 20 novembre a Taranto, e il 25 novembre ha presentato
un'interpellanza
urgente.
E' stato un lavoro realizzato in tandem fra l'iniziativa dal basso e i
poteri che ogni parlamentare ha di restituire ai cittadini il senso
della
sovranità popolare, che è prima di tutto diritto all'informazione.
Cosa è emerso?
Che avevamo ragione.
Il governo non ha contestato nulla di quanto l'interpellanza conteneva.
Era tutto vero. E il governo ha dovuto riconoscere le proprie
inadempienze,
che a dire la verità hanno caratterizzato anche i governi di
centro-sinistra.

L'iniziativa avrà una ricaduta pratica: sarà tolto il segreto militare
dai
piani di emergenza per le popolazioni.

Il sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento, senatore
Ventucci, ha affermato testualmente: "La classifica di sicurezza,
infatti,
impedendo la divulgazione delle pianificazioni, precludeva di fatto la
possibilità di informare la popolazione sul rischio potenziale a cui era
esposta, non permettendo, tra l'altro, l'acquisizione, da parte della
popolazione stessa, delle norme di comportamento da rispettare nel caso
dovesse verificarsi realmente una tale emergenza".

Esprimiamo soddisfazione in quanto dal 2000 abbiamo premuto sui
parlamentari e sui governi per richiedere l'accesso alle informazioni
sul
rischio nucleare.

Sentiamo che la nostra lotta - resa più incisiva dai gruppi locali che
in
questi anni hanno fatto pressione sulle prefetture - è riuscita a
scuotere
l'albero: il frutto proibito sta per cadere. Si tratta del frutto
proibito
della conoscenza, che non doveva andare nelle mani dei cittadini e che
ora
reclamiamo per tutti, ai sensi del decreto legislativo 230/95.

Ma c'è un particolare inquietante che ci preoccupa. Avevamo sollevato il
problema della mancata copertura assicurativa dei cittadini esposti al
rischio nucleare: nessuna assicurazione privata risarcisce in caso di
disastro nucleare. La questione è stata posta dall'on. Mauro Bulgarelli
e
il governo non ha risposto, segno evidente che si espongono i cittadini
ad
un rischio senza prevedere alcun risarcimento di diritto.

A questo proposito l'on. Mauro Bulgarelli ha affermato: "Lascia
sconcertati
il fatto che il Governo non abbia chiarito, omettendo di rispondere al
quesito contenuto nell’interpellanza, se sia stata prevista e attivata
una
copertura assicurativa dallo Stato italiano atta a risarcire i danni a
cose
e persone in caso di incidente nucleare, visto che le coperture
assicurative private in caso di incidente nucleare escludono il
risarcimento dei danni".

Cavie di un rischio da tenere fino ad ora nascosto. E, come le cavie,
neppure assicurati.

Qualunque cittadino ha l'obbligo di fare l'assicurazione per la propria
auto. L'auto può fare disastri ed è bene assicurarla. Ma per un
sottomarino
che ha un reattore nucleare a bordo non è prevista alcuna
assicurazione...

Eppure uno studio scientifico presentato a Taranto il 20 novembre scorso
(http://www2.polito.it/didattica/climatechange/
Rapporto_Sommergibili.pdf)
mette in chiaro che i reattori a bordo dei sottomarini non avrebbero la
licenza di funzionare a terra per l'intrinseca pericolosità, dato che
sono
privi dei sistemi di sicurezza previsti per quelle centrali nucleari che
nel 1986 il popolo italiano, con referendum, non volle più.

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3661/1/51/

Uranio impoverito: negli alimenti che provengono da Bosnia Erzegovina e
Kossovo?

24.11.2004
Con un proprio decreto il Ministro Sirchia ha avviato un monitoraggio
in particolare su funghi, cereali, altri vegetali, prodotti
lattiero-caseari e prodotti ittici. Alla ricerca di uranio ed arsenico.

Di Nicole Corritore e Davide Sighele


E’ stato pubblicato sulla gazzetta ufficiale del 28 ottobre scorso. Il
Ministero della salute ha emesso un decreto con il quale si avvia un
programma di monitoraggio sulle derrate alimentari provenienti da
Bosnia Erzegovina e Kossovo.

Sono due i contaminanti chimico-fisici ricercati: uranio ed arsenico.
Si ritorna quindi a parlare di uranio impoverito. Non è chiaro se
quest’iniziativa del Ministero avvenga solo ora a causa dei ritardi
caratteristici della nostra burocrazia, l’iter sarebbe stato in questo
caso avviato nel 2000, in seguito alle prime polemiche sulle morti
sospette dei militari italiani deceduti per la “Sindrome dei Balcani”,
oppure se Sirchia sia intervenuto a seguito di nuovi elementi non
ancora resi pubblici.

Molto più probabile è la prima ipotesi. Certo è che, dopo le numerose
denunce di pacifisti ed ambientalisti, anche le autorità si preoccupano
per la salute dei consumatori italiani e quindi si ritiene che sia
almeno da verificare l’ipotesi che in Bosnia Erzegovina ed in Kossovo i
bombardamenti NATO con proiettili all’uranio impoverito abbiano causato
forti contaminazioni che rischiano di avere conseguenze gravi sulla
salute rispettivamente a 9 anni ed a 5 dai bombardamenti.

Difficile comunque che queste analisi, a così tanti anni di distanza e
specifiche rispetto ai prodotti che provengono dai luoghi bombardati e
quindi con il rischio contaminazione più alto, riscontrino la presenza
di contaminanti chimico-fisici. D’altronde già in passato una ricerca
svolta in Bosnia Erzegovina dall’UNEP aveva riscontrato bassi livelli
di radioattività nelle zone colpite con proiettili all’uranio
impoverito – percentuali ritenute in quell’occasione dagli esperti UNEP
non pericolose per la salute – ma Pekka Haavisto, responsabile di
quella missione avvenuta nel 2002 aveva tenuto a precisare che in ogni
caso si era intervenuti tardi e che quindi le analisi fatte in
quell’occasione poco potevano dire rispetto ai tassi di contaminazione
raggiunti negli anni precedenti. Ora il monitoraggio italiano
interviene a sua volta a ben 2 anni di distanza dalla già ritardataria
missione UNEP.

Se invece si verificasse il contrario, e quindi si riscontrasse
presenza di uranio ed arsenico nei prodotti agroalimentari provenienti
da Bosnia Erzegovina e Kossovo, allora significa che il livello di
contaminazione è stato ed è tutt’ora altissimo e che tutta la
popolazione bosniaca sta correndo gravi rischi per la propria salute.

Ma, augurandosi che questo non avvenga, anche esiti negativi non
sarebbero sufficienti ad uscirne rassicurati. I morti tra i militari
italiani ci sono stati e continuano a verificarsi ed in Bosnia
Erzegovina sembra che in alcune aree colpite da proiettili all’uranio
impoverito il tasso di tumori sia drammaticamente alto. Purtroppo la
mancanza in alcune zone dei registri tumori mentre in altre riavviati
da solo pochi anni ed in maniera parziale, non rendono possibile
suffragare con certezze statistiche queste impressioni.

C’è un’ipotesi che in Italia sembra in parte rimossa sulle morti legate
all’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito. E’ quella che già da
qualche anno sta verificando la Dottoressa Antonietta Gatti,
dell’Università di Modena e responsabile del progetto “Approccio
bioingegneristico alla Sindrome dei Balcani”. Secondo quest’ultima
infatti i tumori e le leucemie riscontrate nei militari italiani non
sarebbero direttamente legati all’esposizione alla radioattività
dell’uranio impoverito, ma bensì alle nanoparticelle non biocompatibili
che si formano durante le esplosioni ad alte temperature tipiche dei
proiettili all’uranio impoverito e al tugsteno. Polveri che poi entrano
nella catena alimentare e così nel corpo umano. Quindi, in base ai
risultati ottenuti dalla Dott. Gatti, la presenza di queste
nanoparticelle non biocompatibili nei tessuti umani di soggetti affetti
da tumori, è da ritenersi altamente correlabile all’insorgenza della
malattia. Secondo la Gatti quindi non basterebbe riscontrare la bassa
radioattività per affermare che i proiettili all’uranio impoverito non
sono pericolosi.

Un’ultima domanda che solleva questo decreto. Perché si parla anche di
arsenico? Potrebbe essere logico parlarne se si trattasse di prodotti
provenienti dalla Serbia e quindi se si temessero le conseguenze dei
bombardamenti sul centro petrolchimico di Pancevo, nel 1999, ma perché
temere la presenza di arsenico in Bosnia Erzegovina e Kossovo?


Vedi anche:
I bosniaci: le bombe della NATO hanno portato l'angelo della morte
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/3636
Uranio impoverito: animali con otto zampe
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/3190
Uranio Impoverito: tutto da rifare
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/3269
Uranio impoverito: si faccia chiarezza
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/2659
Uranio impoverito, gli errori di Mandelli
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/258

File allegati
Decreto Sirchia su monitoraggio alimenti
( Decreto Sirchia su monitoraggio alimenti [ 10.78 KB ] )
http://www.osservatoriobalcani.org/filemanager/download/28/
decretosirchia.pdf

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IL TESTO IN LINGUA ITALIANA DELLA AUTODIFESA DI MILOSEVIC, IN CORSO
DI REVISIONE E CORREZIONE, E' TEMPORANEAMENTE OSPITATO ALLA PAGINA:
https://www.cnj.it/documentazione/autodifesa04.htm

LE TRASCRIZIONI "UFFICIALI" DEL "PROCESSO" SI TROVANO AI SITI:
http://www.un.org/icty/transe54/transe54.htm (IN ENGLISH)
http://www.un.org/icty/transf54/transf54.htm (EN FRANCAIS)

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Ivachov et Ryjkov à La Haye
(en francais)

1. Le procès Milosevic toujours enlisé dans les débats procéduraux (Le 
Monde)
2. Ivachov et Ryjkov vont témoigner à La Haye
3. Nikolaï Ryjkov a déposé en témoin au procès de Slobodan Milosevic
4. TPI : Nikolaï Ryjkov défend Milosevic et dénonce l'OTAN

SOURCE: alerte_otan @...
http://fr.groups.yahoo.com/group/alerte_otan/messages


---( 1 )---

Le procès Milosevic toujours enlisé dans les débats procéduraux

LE MONDE | 12.11.04 | 13h57
La Haye correspondance

Lors de la reprise du procès Milosevic, mardi 9 novembre, 308e jour 
d'audience, pas un seul mot sur le Kosovo, la Bosnie ou la Croatie n'a 
été prononcé dans le prétoire du Tribunal pénal international pour 
l'ex-Yougoslavie (TPIY).  Depuis plusieurs mois, les accusations de 
génocide, crimes contre l'humanité et crimes de guerre dont doit 
répondre l'ancien président yougoslave sont reléguées au second plan : 
la chambre s'est enfoncée dans un imbroglio procédural dont elle tente 
péniblement de sortir.

Lors de l'audience de mardi "des sommets d'incompétence" ont été 
atteints, selon un juriste du tribunal qui souhaite garder l'anonymat. 
Il aura fallu deux suspensions de séance et trois heures et demie de 
débat pour que les juges étudient la demande de démission des deux 
avocats imposés à l'accusé, début septembre.

L'absurdité de la situation a atteint son apogée lorsque le président 
de la chambre a interrogé Slobodan Milosevic, usant des précautions 
d'usage pour que l'accusé ne verse pas dans la polémique. Mais M. 
Milosevic est devenu pragmatique. "Je pense que vous avez la compétence 
de régler la situation que vous avez créée", a-t-il simplement répondu 
aux juges embarrassés.

La semaine dernière, la chambre d'appel avait confirmé la décision 
prise début septembre de lui imposer des avocats. Mais elle l'a 
assouplie, en acceptant que l'accusé ne soit pas réduit au silence et 
qu'il puisse convoquer et interroger lui-même ses témoins et prononcer 
sa plaidoirie finale. Selon son entourage, l'accusé était prêt à 
accepter ces nouvelles règles du jeu.

Mais cette fois, ce sont les avocats Steven Kay et Gillian Higgins qui 
ont décidé de jeter l'éponge. Ils estiment ne pas être en mesure de 
défendre un accusé qui attaque leur professionnalisme et refuse "de 
coopérer". Depuis début septembre, ils n'ont pu convoquer que cinq 
témoins à la barre. Plus de 200 autres témoins que Slobodan Milosevic 
voulait faire entendre ont décidé en septembre de boycotter le tribunal 
pour soutenir l'accusé au moment où les juges l'avaient confiné au 
silence.

La démission des deux avocats pourrait entraîner un nouveau report du 
procès. Les juges ont donc tenté de les convaincre de revenir sur leur 
décision. Pour le juge Iain Bonomy, les arguments avancés par l'accusé 
lors de la présentation des preuves à charge par le procureur devraient 
suffire aux avocats pour déterminer une stratégie de défense, sans la 
coopération de l'accusé.

Stéphanie Maupas


---( 2 )---

Ivachov et Ryjkov vont témoigner à La Haye

Novosti, 18 novembre
http://fr.rian.ru/rian/
index.cfm?prd_id=427&msg_id=5101629&startrow=1&date=2004-11-
18&do_alert=0


MOSCOU, 18 novembre - RIA Novosti. Leonid Ivachov et Nikolaï Ryjkov 
s'envolent vendredi pour La Haye qui où seront entendus en qualité de 
témoins à décharge dans le procès de l'ancien président de la 
Yougoslavie, Slobodan Milosevic.

Le vice-président de l'Académie des problèmes géopolitiques, Leonid 
Ivachov, a déclaré à RIA Novosti : "Vendredi nous partons avec Nikolaï 
Ryjkov pour La Haye pour déposer comme témoins. Le chef de la Chambre 
de commerce et d'industrie, Evgueni Primakov, se rendra à La Haye à la 
fin du mois".

L'interlocuteur de RIA Novosti a fit remarquer qu'il prendrait part au 
procès pour faire des dépositions objectives sur le processus qui avait 
eu lieu dans la République fédérative de Yougoslavie et autour d'elle.

Il a expliqué sa volonté de déposer à condition que "du côté adverse 
des dépositions soient faites par des responsables de l'OTAN qui 
cherchent à s'embellir, à justifier l'agression, à diaboliser 
Milosevic, les Serbes et les dirigeants politiques de la Yougoslavie".

Les représentants russes prendront la parole devant le Tribunal pénal 
international pour l'ex-Yougoslavie (TPI) samedi et dimanche, a dit 
Leonid Ivachov.

Cette semaine le Tribunal a repris l'audition des témoins à décharge de 
l'ancien président yougoslave Slobodan Milosevic accusé de génocide en 
Bosnie-Herzégovine et de crimes contre l'humanité commis en Croatie et 
au Kosovo. Le premier témoin à être entendu a été Mikhaïl Markovic qui 
passait pour l'idéologue du Parti socialiste de Serbie dont Milosevic 
est jusqu'à présent le président.

Leonid Ivachov avait pris une part directe aux efforts de règlement de 
la crise du Kosovo en qualité de représentant du ministère russe de la 
Défense tandis que Nikolaï Ryjkov dirigeait le comité de la Douma, 
chambre basse du parlement russe, chargé d'apporter une assistance à la 
Yougoslavie et avait plus d'une fois visité ce pays et rencontré ses 
dirigeants. Evgueni Primakov était premier ministre lorsque, en 1999, 
il avait fait faire demi-tour à son avion au-dessus de l'Atlantique 
alors qu'il se rendait à Washington, en signe de protestation contre la 
décision des Etats-Unis de bombarder la Yougoslavie.

Le TPI a tenté en septembre dernier d'imposer à Milosevic qui se défend 
lui-même dans son procès un avocat occidental ayant la compétence pour 
choisir les témoins, sélectionner leurs dépositions et les interpréter. 
Les témoins ont alors refusé massivement de déposer.

Les témoins russes ont eux aussi refusé d'aller à La Haye parce que 
"dans ces conditions-là la participation d'un témoin à décharge pouvait 
être interprétée contre Milosevic et ne servirait ni l'objectivité du 
procès ni l'adoption d'une décision juste", a dit le général russe.

La reprise du procès est devenue possible lorsque le Tribunal a de 
nouveau autorisé l'accusé à se défendre lui-même.

Le juge Patrick Robinson a déclaré la semaine dernière à La Haye que 
Milosevic devait achever son plaidoyer en 150 jours ouvrables et que 
toute interruption imprévue sans rapport à une indisposition sera 
comprise dans ce délai. Milosevic a indiqué pour sa part qu'il 
demanderait une prolongation de ce délai accordé à sa défense. Il a 
aussi demandé à entendre en audience des leaders occidentaux actuels et 
anciens, notamment Bill Clinton, Tony Blair, Madeleine Allbright, 
Wesley Clark, Gerhard Schröder et Rudolf Scharping.


---( 3 )---

Novosti, 22 novembre
http://fr.rian.ru/rian/
index.cfm?prd_id=427&msg_id=5119502&startrow=1&date=2004-11-
22&do_alert=0

Nikolaï Ryjkov a déposé en témoin au procès de Slobodan Milosevic


LA HAYE, 22 novembre - Andreï Poskakoukhine. Le membre du Conseil de la 
Fédération (Chambre haute du Parlement russe), Nikolaï Ryjkov, a 
déposé, ce lundi, à titre de témoin à la décharge, à La Haye au procès 
du Slobodan Milosevic au Tribunal pénal international pour 
l'ex-Yougoslavie (TPIY).

Comme l'a raconté Nikolaï Ryjkov, venu en tant que président de la 
Commission sur la Yougoslavie de la Douma d'Etat (Chambre basse du 
Parlement russe) avec plusieurs autres parlementaires russe en 
République fédérale de Yougoslavie (RFY), il a vu lui-même qu'à la 
suite des frappes aériennes de l'Alliance de l'Atlantique Nord en 1999, 
de très nombreux ouvrages civils avaient été détruits à Belgrade, à 
Novi-Sad et dans d'autres villes yougoslaves.

"Dans le même temps, je n'ai pas vu alors un seul ouvrage militaire qui 
soit détruit, qui ait été le cible d'une frappe aérienne de l'OTAN", a 
souligné le membre du Conseil de la Fédération. Cela dit, Nikolaï 
Ryjkov a estimé que ces bombardements de l'Alliance de l'Atlantique 
Nord n'avaient en fait rien à voir avec la protection des populations 
albanaises du Kosovo.

Répondant aux question de Slobodan Milosevic, Nikolaï Ryjkov a déclaré 
qu'au cours de ses multiples rencontres avec Slobodan Milosevic 
lui-même, ses assistants et d'autres hommes politiques de la 
Yougoslavie de l'époque, il n'avait pas entendu une seule mention de 
l'idée de la création de la Grande Serbie, chose qui leur est cependant 
attribuée. Dans le même temps, le parlementaire russe a dit entendre 
des propos des nationalistes albanais sur la Grande Albanie.

Comme l'a souligné Nikolaï Ryjkov, en intervenant au procès, se 
trouvant en compagnie de Slobodan Milosevic et d'autres représentants 
de la direction yougoslave, il avait entendu le Président de la RFY 
d'insister invariablement sur les moyens pacifiques de règlement des 
problèmes, bien que certains membres de la direction yougoslave de 
l'époque furent pour des procédés plus radicaux.

Selon Nikolaï Ryjkov, après le début des bombardements de la 
Yougoslavie par l'Alliance de l'Atlantique Nord, la direction militaire 
de la RFY avait donné l'ordre qui interdisait formellement tous les 
actes illicites qu'il s'agisse des violences à l'égard des populations 
civiles et des pillages. Et d'ajouter que les soldats et officiers 
yougoslaves pris en flagrant délit d'actes pareils étaient arrêtés et 
traduit en justice.

D'après lui, ses contacts avec l'ancien leader des Serbes bosniaques - 
Radovan Karadjic - lui ont permis de faire la conclusion que celui-ci 
était plutôt critique face aux actions de Slobodan Milosevic et ces 
propositions en vue d'un règlement politique. L'ancien leader des 
Serbes bosniaques avait agi, selon Nikolaï Ryjkov, tout à fait 
indépendamment de Slobodan Milosevic et de la direction de la Serbie, 
alors que les Serbes bosniaques n'écoutaient pas du tout les officiels 
de Belgrade.

Comme l'a fait savoir le parlementaire, la Douma et d'autres ministères 
russes possèdent bien l'information selon laquelle les terroristes 
albanais avaient été financés à partir des revenus provenant du trafic 
de drogue provenant de l'Afghanistan.

Nikolaï Ryjkov a aussi raconté que selon les données dont disposait la 
Commission qu'il avait dirigée à l'époque, la fameuse Armée de 
libération du Kosovo (UCK) avait reçu des armes de l'Allemagne et de 
toute une série d'autres Etats européens. Et de souligner qu'une 
véritable terreur et une authentique tragédie au Kosovo avaient 
commencé après la venue dans cette province des troupes de l'Alliance 
de l'Atlantique Nord, de sorte que des milliers de civils y avaient été 
exterminés, des milliers d'autres avaient été portés disparus, des 
centaines d'églises, de monastères et d'autres bâtiments historiques y 
avaient été réduits en ruines.


---( 4 )---

TPI : Nikolaï Ryjkov défend Milosevic et dénonce l'OTAN

http://fr.rian.ru/rian/
index.cfm?prd_id=427&msg_id=5120773&startrow=1&date=2004-11-
23&do_alert=0

23 novembre - RIA Novosti.

800 000 mercenaires recrutés principalement dans les pays du 
Proche-Orient et formés en Albanie agissaient contre les autorités 
serbes du Kosovo à la fin des années 1990, a déclaré Nikolaï Ryjkov, 
membre du Conseil de la Fédération (chambre haute du parlement russe) 
intervenant la veille devant le Tribunal pénal international pour 
l'ex-Yougoslavie (TPI) en témoin à décharge dans le procès Milosevic.

Les autorités de la Serbie et de la Yougoslavie ont fait tout leur 
possible pour que la situation dans cette province n'atteigne pas un 
point critique, a-t-il dit avant de déclarer qu'il considère l'"Armée 
de libération du Kosovo" comme une organisation terroriste.

Les terroristes albanais, tout comme les tchétchènes, sont un outil de 
règlement de problèmes géopolitiques. C'est un grand danger pour le 
monde entier. Aujourd'hui, les terroristes agissent dans deux endroits, 
demain le terrorisme peut déferler sur d'autres régions, a-t-il estimé.

Nikolaï Ryjkov, qui a été pendant longtemps député communiste à la 
Douma avant sa nomination au Conseil de la Fédération, a cité une 
résolution du 2 octobre 1998 dans laquelle, six mois avant les 
bombardements otaniens de la Yougoslavie, la chambre basse du parlement 
russe exprimait ses craintes suscitées par les préparatifs d'une 
agression contre ce pays.

Le témoin a souligné qu'aux termes de la Charte de l'ONU, l'OTAN a 
perpétré une agression directe contre la Yougoslavie.

Il a souligné qu'ayant effectué des voyages en Serbie, notamment au 
Kosovo, il était arrivé à la conclusion, tout comme d'autres 
parlementaires russes qui l'accompagnaient, que l'exode massif des 
Albanais du Kosovo et de Metohija n'était pas provoqué par des actions 
des autorités yougoslaves mais par les bombardements de l'OTAN.

"Des épurations ethniques véritables n'ont commencé au Kosovo qu'après 
l'arrivée des troupes de l'OTAN qui n'ont rien fait pour arrêter la 
violence contre les Serbes. "C'est à l'OTAN qu'incombe la 
responsabilité de la catastrophe humanitaire du Kosovo", a souligné 
Nikolaï Ryjkov.

Interrogé par Slobodan Milosevic, il a informé qu'en décembre 1999 les 
députés à la Douma avaient remis à la procureure Carla del Ponte une 
lettre dans laquelle les attaques aériennes de l'OTAN contre la 
Yougoslavie étaient qualifiées d'agression et il était souligné que la 
responsabilité en incombait au secrétaire général de l'Alliance 
atlantique Javier Solana et aux chefs des pays de l'OTAN.

D'après le parlementaire russe, Carla del Ponté avait promis d'examiner 
ce problème mais quelques mois plus tard elle avait répondu que le 
Tribunal n'avait pas la compétence de l'examiner.

Nikolaï Ryjkov a déclaré que les Etats occidentaux avaient délibérément 
entrepris des actions visant à démembrer la Yougoslavie. A ses dires, 
tel a été également le cas de l'URSS.

Au cours d'un contre-interrogatoire, le procureur Jeffrey Nice lui a 
posé principalement des questions sur son livre. Le parlementaire russe 
a confirmé sa conviction qu'à son avis l'Occident s'emploie à morceler 
la Russie et que les Etats-Unis projettent de provoquer des conflits 
entre la Russie et d'autres civilisations, en premier lieu musulmane et 
ouest-européenne.

Il a estimé qu'actuellement certains pays mettent à profit le 
terrorisme pour réaliser leurs objectifs géopolitiques.

ASSEDIARE LA RUSSIA
4: "Ci sono nostalgici al potere che vogliono una unione di popoli
slavi" (ergo: mamma li turchi!)


4.1 LA RUSSIA NELL’ “ASSE DEL MALE”?
di Mauro Gemma (l’articolo apparirà nel n. 6/2004 della rivista
comunista “L’Ernesto” - www.lernesto.it)

4.2 BUSH E IL NEW-DEAL TRANSATLANTICO
Ultima chiamata per l’UE
(Di Marta Dassu, da La Stampa)

4.3 L'ANNUNCIO DEL CAPO DEL CREMLINO SUI NUOVI MISSILI NUCLEARI E' UN
AVVERTIMENTO: CAMBIANO GLI EQUILIBRI STRATEGICI
Torna la superpotenza russa, e non è un bluff
(Di Giulietto Chiesa, da La Stampa)

4.4 «L’obiettivo di Mosca: ricostituire una piccola Urss»
Brzezinski: ci sono nostalgici al potere che vogliono una unione di
popoli slavi
(Da La Stampa)


=== 4.1 ===

LA RUSSIA NELL’ “ASSE DEL MALE”?

di Mauro Gemma

(l’articolo apparirà nel n. 6/2004 della rivista comunista “L’Ernesto”
- www.lernesto.it)

Un centinaio di personalità del blocco atlantico invocano l’apertura di
un fronte di “guerra fredda” con la Russia di Putin, allo scopo di
destabilizzare il grande concorrente eurasiatico, proprio nel momento
in cui esso tenta di riprendere il controllo delle enormi risorse
energetiche del paese (1).

 
A sgomberare il campo da equivoci sul futuro oscuro delle relazioni tra
Russia e Stati Uniti ha provveduto, alla vigilia delle elezioni
presidenziali del 2 novembre, Zbignew Brzezinski, già consigliere delle
amministrazioni USA e teorico della strategia americana nell’area
eurasiatica. “L’idillio con Putin, sia per i repubblicani che per i
democratici, è finito. Non prevedo particolari differenze tra le
posizioni di Bush e di Kerry nei confronti del Cremlino. Nei prossimi
anni tutta la politica americana sarà caratterizzata dalla
preoccupazione per gli sviluppi della situazione in Russia. Tale
preoccupazione è condivisa dai più influenti circoli politici degli
USA. E’ il riflesso della disillusione nei confronti di Putin, che ha
iniziato a condurre una politica apertamente antidemocratica, che si
traduce nella feroce e rovinosa guerra in Cecenia”, dichiara il noto
anticomunista, acerrimo nemico prima dell’URSS e poi della Russia, al
giornale filo-oligarchico russo “Novaja Gazeta” (fonte privilegiata di
informazione e commento sulle cose russe anche delle sinistre
occidentali, moderate e “alternative”)(2). E’ stata la più autorevole
smentita anche a quegli ambienti ufficiali russi (che hanno consigliato
Putin a non nascondere le sue preferenze per il candidato Bush) che,
sulla scorta di un’esperienza maturata già al tempo dell’URSS,
continuano a considerare l’establishment repubblicano meno disponibile
di quello democratico a cedere alle pressioni delle lobby anti-russe.

In questa cornice, che lascia prevedere il delinearsi di nuovi
inquietanti scenari di acuta tensione tra le massime potenze nucleari
del pianeta, si inquadra anche quella che può essere considerata una
delle più importanti offensive “mediatiche” di quest’anno. Si tratta
della “lettera aperta”(3), firmata da un centinaio di illustri
personalità americane ed europee del blocco atlantico, indirizzata il
28 settembre “ai capi di stato e di governo dell’Unione Europea e della
NATO”. Gli autori dichiarano di essere “profondamente preoccupati che
questi tragici avvenimenti (di Beslan) possano essere sfruttati (dal
presidente russo Vladimir Putin) per minacciare ulteriormente
l’esistenza della democrazia in Russia”. Tra le varie accuse rivolte a
Putin c’è anche quella di avere arbitrariamente imprigionato o
costretto all’esilio “i suoi avversari politici”: evidentemente ci si
riferisce al petroliere Khodorkovskij e agli altri magnati fuggiti in
Occidente, che sono responsabili del saccheggio della ricchezza
nazionale e di gravissimi crimini di carattere economico. In politica
estera, gli autori della lettera, andando brutalmente al “nocciolo”
della questione, non mascherano la loro preoccupazione per la “pretesa”
della Russia di esercitare il pieno controllo sulle sue ricchezze
energetiche e la loro destinazione, quando osservano che Putin avrebbe
“un atteggiamento minaccioso…nei confronti della sicurezza energetica
europea”. Essi affermano che “è giunto il momento di ripensare i
termini del nostro impegno con la Russia di Putin” e invitano
esplicitamente a schierarsi dalla parte delle “decine di migliaia di
democratici russi (con in prima fila i residui del “clan Eltsin”) che
stanno ancora combattendo per difendere la libertà e la democrazia nel
loro paese”.

E’ un appello esplicito alla rottura di ogni forma di collaborazione
tra la NATO e la Federazione Russa e al rilancio della “guerra fredda”.

Il testo integrale della “lettera” è stato pubblicato
contemporaneamente da diverse prestigiose testate occidentali, tra le
quali spicca quella del “Washington Post”, e ha immediatamente avuto
un’enorme diffusione nell’intera rete web.

Promotore dell’appello è il primo presidente della Repubblica Ceca
Vaclav Havel(4). Per tradurre in pratica l’iniziativa anti-russa, Havel
si è naturalmente servito di numerose potenti collaborazioni. Tra le
innumerevoli fondazioni e istituti che lo sostengono sistematicamente
nella sua azione di promozione della penetrazione della NATO nell’est
europeo e dell’offensiva contro quel che resta della presenza comunista
su scala mondiale, l’ex “dissidente” ha potuto contare sull’appoggio
della cosiddetta “Nuova iniziativa atlantica”, un progetto dell’
“America Enterprise Institute” da lui creato nel 1996.

Nel lanciare l’iniziativa, Havel si è naturalmente preoccupato di
preservarne il carattere rigorosamente “bipartisan”. E’ questa la
ragione che spiega la “trasversalità” delle adesioni raccolte sia in
ambito ultra-conservatore, che tra gli esponenti del “centro-sinistra”
clintoniano e socialdemocratico. Tra le firme si contano quelle di
rappresentanti dell’anticomunismo più spinto dell’attuale corso
est-europeo, come Landsberghis, l’ex presidente di quella Lituania
recentemente associata alla NATO, dove numerosi militanti comunisti
sono sepolti in galera da oltre un decennio, l’ex premier bulgaro
Philip Dimitrov e l’ex ministro e “dissidente” polacco Bronislaw
Geremek.

Immancabili le firme del filosofo francese André Glucksmann e del verde
tedesco Reinhardt Butifoker

E non è certo casuale che tra le firme di italiani, oltre a quella
(scontata) dell’esponente radicale Daniele Capezzone, spicchino quelle
dell’ex premier socialista Giuliano Amato e del capo di governo
italiano che ha partecipato all’aggressione alla Jugoslavia nel 1999,
il presidente dei “democratici di sinistra” Massimo D’Alema.

Rigorosamente bilanciata tra “falchi” e “colombe” è la pattuglia
americana. Il “Corriere della sera” scrive di “un partito trasversale
americano che si è venuto formando tra politici democratici,
repubblicani e indipendenti…Vanno dall’ideologo neoconservatore William
Bristol all’ex ambasciatore all’ONU Richard Holbrooke, un liberal che
diverrebbe segretario di Stato se John Kerry fosse eletto presidente;
dall’ex direttore della CIA James Woolsey, un falco, all’ex
vicedirettore della Sicurezza Nazionale sotto Bill Clinton, James
Steinberg, una colomba; da Francis Fukuyama, l’autore de “La fine della
storia”, a Robert Kagan, il teorico del divario tra l’America (Marte) e
l’Europa (Venere)”(5).                                    

Contemporaneamente al lancio dell’appello, si è provveduto a dar vita a
una serie di centri e di siti internet che dovrebbero affiancare con un
“bombardamento” propagandistico la “battaglia democratica” in Russia.
Tali iniziative sono coordinate dal cosiddetto “Centro per il futuro
della Russia”, un’istituzione che conta sul sostegno finanziario del
banchiere neofascista Richard Mellon Scafe e il cui “cervello”
organizzativo pare essere l’ex direttore della CIA Woolsey, che, come
abbiamo visto, compare tra i firmatari dell’appello. Compito di tale
centro dovrebbe essere quello di denunciare sistematicamente “le
violazioni dei diritti dell’uomo” in Cecenia e “gli attentati alla
libertà di stampa” nell’insieme della Federazione Russa, organizzando
campagne di denuncia, pressione e mobilitazione della “società civile”
in Russia e all’estero.

Tutte queste iniziative, di cui l’appello è sicuramente la più
clamorosa, si proporrebbero di convincere l’Occidente, considerato
ancora titubante, della necessità di una nuova mobilitazione, simile a
quella dei tempi della “guerra fredda”, al fine di contenere la Russia
e bloccare il processo “totalitario” in corso. Nella fase attuale,
secondo i promotori dell’offensiva, muterebbero, rispetto al passato
“comunista”, solo le caratteristiche ideologiche del nuovo
“totalitarismo”. Si tratterebbe di un’ideologia che farebbe leva sulle
inclinazioni autoritarie dell’identità nazionale russa che non si esita
a definire “ataviche”.

Ma, in realtà, le ragioni di un’iniziativa di tale pesantezza appaiono
ben più concrete. In tal senso, occorre fare un passo indietro nel
tempo, dando uno sguardo alle più recenti fasi che hanno scandito il
progressivo deterioramento delle relazioni tra la Federazione Russa e
gli Stati Uniti.

A questo proposito, ci sembra illuminante citare testualmente quanto si
può leggere su “reseau voltaire.net” il 4 ottobre 2004:

“Le relazioni tra il Cremlino e la Casa Bianca si sono raffreddate il 2
luglio 2003, con l’arresto per frode fiscale di Platon Lebedev,
presidente del gruppo bancario “Menatep”. Esse si sono ancor più tese
con l’arresto di Mikhail Khodorkovskij, presidente del gruppo
petrolifero “Yukos-Sibneft”, il 25 ottobre 2003, ugualmente per frode
fiscale. Sono divenute acide con l’arresto in Qatar, nel febbraio 2004,
di tre agenti dei servizi segreti russi, denunciati dalla CIA per
essere venuti ad assassinare Zelimkhan Yandarbiyed, considerato il
mandante della presa degli ostaggi al teatro di Mosca. Sono entrati in
una fase di scontro, nel mese di settembre, dopo la dichiarazione di
Vladimir V. Putin che attribuiva la cattura degli ostaggi di Beslan ai
servizi segreti anglo-sassoni.

Il Cremlino si è poi impegnato in una politica di riappropriazione
delle ricchezze nazionali, privatizzate sotto Boris Eltsin a vantaggio
di un pugno di sodali, liquidando uno ad uno gli “oligarchi”. Questo
processo, che viene vissuto dal popolo russo come il recupero dei beni
collettivi rubati, è analizzato negli Stati Uniti alla stregua di una
nazionalizzazione mascherata, di un ritorno strisciante al
collettivismo statalista. Esso ha toccato gli investimenti di Wall
Street, in particolare in seguito all’arresto di Khodorkovskij. Egli in
effetti era vicino alla famiglia Bush, fino a diventare consigliere
della loro società di investimenti, il gruppo “Carlyle”.

Per il FSB (l’ex KGB), sebbene tali elementi non figurino negli atti
giudiziari, Mikhail Khodorkovskij non era solo un uomo d’affari, ma
anche un traditore. In combutta con Henry Kisinger e George Soros,
avrebbe preparato il rovesciamento di Vladimir Putin e la decisione del
suo arresto sarebbe stata presa all’ultimo momento per impedire un
colpo di stato.

Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 esiste un accordo non scritto
tra i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che li
autorizza ad assassinare all’estero i capi terroristi, senza che ciò
possa creare incidenti diplomatici. In tal modo, la CIA ha potuto
liquidare nello Yemen uomini sospettati di appartenere ad
un’organizzazione terrorista internazionale, lanciando un missile
“Predator”, senza sollevare proteste. Allo stesso modo il FSB ha
ritenuto di potere assassinare in Qatar Yandarbiyed per vendicare le
129 vittime della cattura degli ostaggi al teatro di Mosca nell’ottobre
2002. Ma gli agenti del FSB sono stati denunciati dalla CIA alle
autorità del Qatar e bloccati all’aeroporto di Doha mentre si
accingevano a lasciare il paese. Incarcerati, sono in attesa di
processo e rischiano la pena di morte. Per il Cremlino è stata la prova
definitiva che la “guerra mondiale al terrorismo” non è che un
artificio retorico privo di senso, utilizzato dalla Casa Bianca per
avere la possibilità di passare oltre il diritto internazionale”.

Poi c’è stata la tragedia di Beslan, che ha rappresentato il momento di
massima tensione nei rapporti russo-americani, come abbiamo avuto modo
di analizzare in un nostro precedente articolo(6). In quell’occasione
la risposta di Vladimir Putin è stata durissima: nel corso di un
incontro con i giornalisti stranieri ha inchiodato alle loro
responsabilità, chiamandoli esplicitamente in causa, quegli ambienti
occidentali che “vogliono indebolire la Russia esattamente come i
Romani volevano distruggere Cartagine”(7). 

E’ ancora “reseau voltaire.net”(8)a rilevare come la clamorosa presa di
posizione contro il corso politico di Putin si manifesti proprio nel
momento di maggiore difficoltà per gli USA ad esercitare uno stabile
controllo sulle risorse petrolifere del pianeta, dovuto in particolare
ad importanti fenomeni di resistenza di popoli e stati, registrabili in
alcune aree “calde”, strategiche dal punto di vista
dell’approvvigionamento energetico. E’ sempre più evidente che la
poderosa armata americana non riesce ad avere la meglio dell’eroica
Resistenza irachena e a stabilizzare il controllo delle aree di
produzione del paese. In Venezuela, altro grande produttore di
petrolio, le azioni di destabilizzazione, messe in atto
dall’amministrazione Bush, hanno avuto come effetto solo quello di
rafforzare la Rivoluzione “bolivariana” e il prestigio popolare del suo
leader Hugo Chavez. Gli Stati Uniti sono stati costretti in tal modo a
rinunciare, almeno in parte significativa, a diversificare le loro
fonti di approvvigionamento. Si presenta, inevitabile, la necessità di
alzare il tiro direttamente sugli obiettivi principali della
competizione: i tre maggiori produttori del mondo, vale a dire l’Arabia
Saudita, l’Iran e, naturalmente, la Russia, con la sua insopportabile
richiesta di porre delle regole alla penetrazione delle multinazionali
nel suo sterminato territorio.

Una nuova diversa strategia, di conseguenza, potrebbe caratterizzare il
secondo mandato di Bush. Il complesso militare-industriale e le
multinazionali del petrolio cercano di ridefinire gli obiettivi,
creando, allo scopo, nuove “squadre”.   

La pressione propagandistica del potente fronte delle “personalità” del
blocco atlantico risponde pienamente allo scopo.
                               

 
(1) Gran parte delle informazioni contenute in questo articolo sono
reperibili nel lungo e dettagliatissimo contributo apparso il 4 ottobre
2004 nel sito francese di analisi internazionali “reseau voltaire.net”.
http://www.reseauvoltaire.net/%c2%a0
(2) “L’idillio dell’America con Putin è finito”. Intervista a Zbignew
Brzezinski. “Novaja Gazeta”, n. 76, 14 ottobre 2004. ,
http://2004.novayagazeta.ru/nomer/2004/76n/n76n-s10.shtml
(3) La versione italiana della “Lettera aperta ai Capi di Stato e di
governo dell’Unione europea e della NATO” è apparsa il 30 settembre in
“Il Foglio”.
(4) L’artefice della cosiddetta “rivoluzione di velluto” cecoslovacca
del 1989 è uno degli alfieri dell’atlantismo. Il suo servilismo nei
confronti degli Stati Uniti è giunto fino al punto di spingerlo a
proporre una modifica della legge elettorale della Repubblica Ceca, per
permettere all’ex segretario di stato USA Madeleine Albright di
succedergli nella carica di capo dello stato. Fortunatamente la
proposta è apparsa balzana persino alla stessa donna politica
americana, di cui non si può mettere certo in discussione la provata
fede anticomunista. Nel luglio 2004, su suo suggerimento, il governo
ceco ha creato addirittura un “dipartimento per i paesi totalitari” in
seno al ministero degli esteri. Insieme all’ex premier spagnolo José
Maria Aznar, Vaclav Havel si è distinto per il feroce accanimento nei
confronti di Cuba, fino ad organizzare lo scorso settembre, nelle sale
del Senato ceco, una conferenza internazionale “per la democrazia a
Cuba”, con il compito esplicito di appoggiare l’attività
controrivoluzionaria e terroristica nell’ “Isola della libertà”.
(5) Ennio Caretto, “Appello a Europa e NATO: Putin resti democratico”,
“Corriere della Sera”, 29 settembre 2004
(6) Mauro Gemma, “Russia: dopo la tragedia di Beslan”, “L’Ernesto”,
n.4/2004.
(7) “Le Monde”, 8 settembre 2004
(8) “Le dispositif Woolsey”, www.reseauvoltaire.net , 4 ottobre 2004   


=== 4.2 ===

<< Sembra che l'Europa non abbia alternative alla subalternità
atlantica: "...alzi la mano chi pensa che convenga coltivare, in
alternativa agli Stati Uniti, matrimoni di convenienza con Pechino o
Mosca...", fino al punto di richiamarsi alle comune radici "liberali"
per difendersi dai paesi emergenti: "il vecchio Occidente non ha più
molto tempo a disposizione (il suo potere relativo diminuirà
rapidamente) per influenzare le regole del futuro sistema
internazionale". Così pensa la giornalista de La Stampa, insieme a
tanta parte della classe politica italiana... >>
(S. Franchi)
 

BUSH E IL NEW-DEAL TRANSATLANTICO

Ultima chiamata per l’UE

Di Marta Dassu, da La Stampa del 24/11/2004

Vista dall'America di Bush 2, l'Europa non è più irrilevante. Per
convinzione (dubbia) o per necessità (probabile), il presidente
americano meno amato dagli europei intende ritrovare l'Europa.
Nonostante l'Iraq.


Vista dai think-tanks americani, l'Europa ha due capitali: Londra e
Bruxelles. Bush padre guardava a Berlino quando lanciò, senza successo,
la sua visione di un nuovo ordine mondiale successivo alla guerra
fredda; anche Kerry avrebbe probabilmente guardato lì. Bush 2 scommette
invece su un'Unione «anglo-atlantica», con Londra ancorata al suo
interno. Secondo gli analisti di Washington, quel che Bush proporrà,
nel suo tour europeo a febbraio, è un rilancio politico della Nato o
una sorta di nuovo patto Stati Uniti-Ue. Quali che siano le formule
Bush 2 cambierà almeno il tono e lo stile, con quei «pappamolla» degli
europei (definizione «neocon»); butterà simbolicamente alle ortiche -
con la tappa a Bruxelles - la teoria che agli Stati Uniti convenga
disaggregare, invece che unire, il Vecchio Continente; e cercherà così
di offrire una sponda agli «euro-atlantisti». Ci riuscirà? E quanto
conviene agli europei stessi che la superpotenza solitaria cerchi di
nuovo la loro compagnia? Bush 2 potrebbe anche rtiuscire, ma a due
condizioni. La prima è che qualcosa si sblocchi, in Iraq e nel Medio
Oriente allargato, con il recupero di almeno qualche grano di realismo
da parte americana.

La Conferenza di Sharm el-Sheikh ci dirà fino a che punto Bush 2 sia
deciso a coinvolgere l'Iran nel tentativo di chiudere il fronte
iracheno. Se così non sarà - e se la linea del rifiuto su Teheran
spazzerà via anche l'accordo provvisorio degli UE-3 (Francia, Germania
e Gran Bretagna) sulla questione nucleare - l'Iran finirà per dividere
Stati Uniti ed Europa come e più dell'Iraq. Dobbiamo esserne
consapevoli, sia noi che gli americani: il rapporto transatlantico è
diventato ormai «ostaggio» dell'intera vicenda mediorientale. Senza un
accordo su questo fronte -dal Golfo fino a Gerusalemme - un new deal
transatlantico non si avrà.

La seconda condizione è che Londra rimanga effettivamente ancorata
all'Unione europea. Tendiamo quasi a rimuovere il problema, ma se il
referendum sul Trattato costituzionale verrà bocciato dagli inglesi,
nel 2006, la disaggregazione dell' Europa diventerà uno scenario
realistico, non perché impostoci dal di fuori ma perché inflittoci dal
di dentro. Il cuore continentale dell'Unione può anche sognare che
liberarsi di Londra sia il modo per tornare ad esistere, come Europa.
Ma così non sarebbe: la storia degli ultimi due anni ha già dimostrato
che la teoria della «piccola Europa» non ha, nell'Unione allargata,
credibilità sufficiente.

Cosa allora conviene, dal punto di vista europeo? Conviene lasciarsi
alle spalle le finte lotte di prestigio (né Parigi né Londra hanno in
realtà esercitato nessuna vera influenza su Bush 1), prendendo atto di
una scomoda verità: un'Europa divisa sul rapporto con l'America avrà
sempre poca voce in capitolo. Conviene anche rinunciare all'utilizzo di
Bush come alibi (le elezioni ci sono state, l'America è quella che ha
votato), per guardare in faccia il punto essenziale: europeismo e
atlantismo sono ancora compatibili? Dall'Iraq in poi, una parte dei
governi e larga parte dell'opinione pubblica europea hanno teso a
rispondere di no. Se cerchiamo di riflettere in modo più freddo,
dovrebbe essere chiaro che, per quanto le società europee possano
sentirsi diverse da quella americana, l'Europa non ha alternative
miglióri al rapporto preferenziale con gli Stati Uniti. Un Churchill di
oggi, se ci fosse, direbbe che è il rapporto peggiore - eccetto tutti
gli altri.

E nel disordine anarchico che ancora prevale, l'Europa non ha certo la
forza di giocare in proprio: alzi la mano chi pensa che convenga
coltivare, in alternativa agli Stati Uniti, matrimoni di convenienza
con Pechino o Mosca. Fra Stati Uniti ed Europa esistono conflitti
importanti, economici e politici: gestirli in modo cooperativo è una
priorità, essendo consci, come scrive Tim Garton Ash nel suo ultimo
libro (Free World), che il vecchio Occidente non ha più molto tempo a
disposizione (il suo potere relativo diminuirà rapidamente) per
influenzare le regole del futuro sistema internazionale. Questo è il
nostro interesse di fondo. Per il resto, il dibattito sull'America è
soprattutto un surrogato; o meglio la spia delle nostre difficoltà a
definire in positivo una identità politica europea condivisa. Sperare
che l'America ci serva, in negativo, da federatore esterno, che faccia
l'Europa al posto nostro e contro di sé, è chiedere troppo.


=== 4.3 ===

L'ANNUNCIO DEL CAPO DEL CREMLINO SUI NUOVI MISSILI NUCLEARI E' UN
AVVERTIMENTO: CAMBIANO GLI EQUILIBRI STRATEGICI

Torna la superpotenza russa, e non è un bluff

Di Giulietto Chiesa, da La Stampa del 24/11/2004

 
ALLA vigilia di una serie di importanti summit internazionali, in cui
incontrerà - tra gli altri - i massimi dirigenti degli Stati Uniti,
della Cina e dell'Unione europea, Vladimir Putin ha annunciato che la
Russia sarà presto in condizione di disporre operativamente di nuovi
sistemi di armi strategiche nucleari «che le altre potenze non hanno e
non potranno avere». Sebbene la dichiarazione - fatta di fronte agli
Alti comandi delle Forze armate russe - contenesse un riferimento alla
necessità di rafforzare le difese del Paese contro il terrorismo
internazionale, è del tutto evidente che (poiché quest'ultimo non si
combatte con testate nucleari multiple e missili intercontinentali
capaci di portare bombe atomiche per 4,4 tonnellate a missile), il
Cremlino ha inteso comunicare alle altre potenze nucleari, tutte
nessuna esclusa, l'avvenuta sostanziale modificazione degli equilibri
strategici. Si tratta di una dichiarazione di enorme importanza. In
primo luogo Putin conferma che la Russia, in questi ultimi quattro anni
successivi all'uscita unilaterale degli Stati Uniti dall'accordo
Usa-Urss (Abm -Antimissile balistico) del 1972, ha rivoluzionato il
proprio sistema nucleare strategico. Washington viene informata che il
suo Scudo spaziale, ancora in costruzione e che prevede una spesa
complessiva superiore ai 120 miliardi di dollari, è già perforabile,
quindi inutile. II presidente russo non indica nessuna delle potenziali
minacce, ma è del tutto chiaro che gli Stati Uniti entrano nel novero
dei bersagli: «Se ignorassimo alcune componenti della nostra difesa,
come ad esempio lo Scudo nucleare e missilistico, ecco che altre
minacce potrebbero crescere». Ma l'avvertimento è a 360 gradi. Anche la
Cina fa parte del club. Mosca riafferma il proprio ruolo di potenza
mondiale in perfetta solitudine: non promuove alleanze, semplicemente
dice che, con le sue forze tecnologiche e scientifiche, ha risalito la
china dello svantaggio. E' dunque terminata l'era della cooperazione
con una Russia considerata dall'Occidente come un partner importante ma
minore. Adesso si dovrà discutere alla pari. Bush ha ricevuto appoggio
e congratulazioni da Putin, ma il suo secondo mandato comincia in
condizioni strategiche opposte a quelle con cui cominciò il primo. La
seconda questione riguarda la veridicità della dichiarazione di Putin.
E' un bluff? E' una cosa seria? Le prime reazioni in Occidente e in
Oriente sono state caute, ma nessuno sembra incline a ritenere che
Putin stia giocando una partita a poker senza avere il poker. Del resto
sono stati numerosi i segnali che Mosca ha sviluppato nuovi sistemi
d'arma negli ultimi tempi. In particolare nel settore dei missili di
crociera ipersonici. Le parole di Putin, associate ad alcune
indiscrezioni anonime fatte filtrare nei mesi scorsi dai vertici
militari russi, fanno emergere l'ipotesi che il sistema di testate
multiple sia stato integrato con i sistemi di guida dei missili di
crociera, rendendo le singole testate non intercettabili proprio perché
non più balistiche. Del resto Mosca ha già messo in vendita, per
acquirenti privilegiati, tra cui l'Iran, un sistema missilistico di
crociera che, a detta degli esperti, non ha al momento alcun antidoto
efficace su teatri di guerra anche molto vasti. II missile si chiama
3M­82, detto Moskit (secondo la definizione Nato: SS-N-22 Sunburn), ha
un raggio d'azione di 100 miglia, oltre il doppio dei micidiali Exocet
di fabbricazione francese che affondarono due navi britanniche nella
guerra delle Falkland e che spezzarono in due la USS Stark nel 1987,
durante la guerra Iran-Irak, uccidendo 37 marinai americani. Ma
Moskit­Sunburn è molto di più: viaggia a una velocità di mach 2,1, cioè
due volte e oltre quella del suono; può trasportare un carico nucleare
di 200 chiloton, ovvero una testata convenzionale di circa 400 chili;
ha un sistema di guida che gli permette bruschi e improvvisi mutamenti
di rotta (ecco la novità che potrebbe riguardare le testate multiple
dei missili balistici intercontinentali); infine, essendo tremendamente
più veloce dei normali missili di crociera e avendo un massa di tre o
quattro volte superiore, può colpire il bersaglio con un'energia
cinetica tanto potente da poter affondare anche navi di grande e
grandissimo tonnellaggio. Nemmeno gli Stati Uniti hanno sistemi
difensivi per neutralizzare quest'arma, che non può essere fermata né
dal sistema radar Aegis, né dal sistema di fuoco Phalanx, ad esso
collegato, che spara 3000 proiettili al minuto sul bersaglio
identificato dal radar. In queste condizioni una nave da guerra diventa
una bara. Putin non sta bluffando e bisogna prenderlo sul serio.

 
=== 4.4 ===

LA STAMPA, 24/11/2004
L’EX CONSIGLIERE PER LA SICUREZZA NAZIONALE ED ESPERTO DELL’EUROPA
ORIENTALE

«L’obiettivo di Mosca: ricostituire una piccola Urss»

Brzezinski: ci sono nostalgici al potere che vogliono una unione di
popoli slavi


corrispondente da NEW YORK - C’E’ lo zampino di Vladimir Putin nel
tentativo delle vecchie élite ucraine di impedire l'affermarsi della
democrazia». Così Zbignew Brzezinski, già consigliere per la Sicurezza
nazionale del presidente Carter e profondo conoscitore dell'Europa
orientale, legge quanto sta avvenendo a Kiev.

Quale è l'origine della crisi politica in atto in Ucraina?

«E' nella volontà delle ex élite politiche locali e della leadership
del Cremlino di impedire all'Ucraina di avvicinarsi all'Unione europea
con il fine di mantenerla vicina a Mosca, stretta alla Russia».

Che cosa accomuna i vecchi poteri locali a Mosca?

«L'obiettivo strategico che si cela dietro questo disegno politico è di
fare dell'Ucraina una nuova Bielorussia».

Perché il presidente russo Vladimir Putin vuole questo?

«Perché lui e gli ex agenti del Kgb come lui che lo circondano nelle
stanze del Cremlino condividono idee nostalgiche, sognano di realizzare
nel prossimo futuro una nuova versione dell'Unione Sovietica, creata
attorno a un'unione di popolo slavi come quelli della Bielorussia e
dell'Ucraina».

L'Unione europea ha reagito al braccio di ferro in atto a Kiev
lanciando segnali di apertura verso il leader l'opposizione. Non crede
che anche questa possa essere considerata un'intromissione negli affari
interni dell'Ucraina?

«L'Unione europea ha interesse a veder emergere in Ucraina la
democrazia e a denunciare le manipolazioni elettorali che sono
avvenute. I brogli alle urne sono incompatibili con una democrazia
europea. Oggi l'Europa non può accettare che un risultato elettorale
venga manomesso».

Lei crede dunque che sia stato davvero Viktor Yushenko a vincere la
tornata elettorale?

«Se teniamo presente i dati che sono stati raccolti dalle opposizioni,
ciò che hanno visto e raccontato i pochi osservatori internazionali
presenti sul posto e anche i dati contraffatti che ci sono stati
forniti dal governo, non credo proprio che rimangano dubbi sul fatto
che l'opposizione abbia prevalso e che è in atto un tentativo di
privare Viktor Yushenko della vittoria legittimamente ottenuta alle
urne».

L'amministrazione Bush considera Vladimir Putin un alleato ma ha fatto
trapelare negli ultimi giorni una crescente attenzione politica nei
confronti di Viktor Yushenko. Quali conclusioni dovrebbe trarre, a suo
avviso, la Casa Bianca da quanto sta avvenendo a Kiev?

«Questa Amministrazione dovrebbe essere seriamente preoccupata per la
sorte della democrazia e dell'Ucraina. Ciò che sta avvenendo a Kiev
avrà ripercussioni nella Federazione russa. Non ci troviamo di fronte a
un evento di importanza secondaria. Una vittoria della democrazia a
Kiev rafforzerebbe chi a Mosca si batte e vuole la democrazia. Una
sconfitta della democrazia a Kiev invece darebbe forza a chi a Mosca
persegue disegni nostalgici ed è animato da propositi illiberali e
dispotici».

Come dovrebbe allora reagire la comunità internazionale di fronte allo
scontro fra Yanukovic e Yushenko?

«La posta in palio in Ucraina è davvero molto alta. Per l'Europa, per
gli Stati Uniti, per chiunque ha a cuore la democrazia. Ciò che io
credo è che l'Unione europea e gli Stati Uniti dovrebbero agire assieme
e in tempi molto ravvicinati».

In quale maniera, per fare che cosa?

«Per chiedere formalmente all'ex presidente Leonid Kuchma o alla Rada
Suprema, il Parlamento ucraino, di indire al più presto nuove elezioni
politiche con la garanzia che avvengano sotto un monitoraggio
internazionale tale da impedire il ripetersi dei brogli che sono
avvenuti in questa occasione».