Informazione

(italiano / castellano)


Hasta la victoria
In memoria di Fidel


1) Il carteggio tra Fidel Castro e Slobodan Milošević (1999)
2) Riflessioni di Fidel Castro sul Kosovo (2007)
3) Condannatemi, non importa, la Storia mi assolverà (Fidel Castro Ruz, 1953)


*** Chi volesse firmare il il registro delle condoglianze per il compagno Fidel Castro Ruz potrà farlo fino al quattro dicembre, presso l'Ambasciata cubana, in via Licinia 7 a Roma, a pochi metri da Viale Aventino ***


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Alla nostra pagina sul CARTEGGIO CASTRO-MILOŠEVIĆ 
si vedano anche:

Fidel Castro: Il ruolo genocida della NATO (ottobre 2011 - estratto)
Fidel Castro: A Silent Complicity (October 2007)
Castro says Spain's Aznar sought to bomb Serb media (Reuters - Sep 30, 2007)
Fidel Castro on Kosovo and US tyranny (June 2007)


Dalla stessa pagina, di seguito si riportano testi 
- sulla lettera di Casto a Milosevic del 25 marzo 1999 (en castellano)
- la lettera di risposta di Milosevic a Castro del 30 marzo 1999
- i messaggi di Castro a Milosevic del 2 e 5 aprile 1999 e una nuova risposta. 

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Las guerras ilegales del imperio

Cuando se inicia la guerra de Estados Unidos y sus aliados de la OTAN en Kosovo, Cuba definió de inmediato su posición en la primera página del periódico Granma, el 26 de marzo de 1999. Lo hizo a través de una Declaración de su Ministerio de Relaciones Exteriores con el título de “Cuba convoca a poner fin a la injustificada agresión de la OTAN contra Yugoslavia.”

Tomo párrafos esenciales de aquella Declaración:

“Después de un conjunto de dolorosos y muy manipulados sucesos políticos, prolongados enfrentamientos armados y complejas y poco transparentes negociaciones en torno a la cuestión de Kosovo, la Organización del Tratado del Atlántico Norte lanzó al fin su anunciado y brutal ataque aéreo contra la República Federativa de Yugoslavia, cuyos pueblos fueron los que más heroicamente lucharon en Europa contra las hordas nazis en la Segunda Guerra Mundial. “Esta acción, concebida como ‘castigo al gobierno yugoslavo’, se realiza al margen del Consejo de Seguridad de la ONU. [...]

“La guerra lanzada por la OTAN reaviva los justos temores de la humanidad por la conformación de un unipolarismo insultante, regido por un imperio guerrerista, erigido a sí mismo en policía mundial y capaz de arrastrar a las acciones más descabelladas a sus aliados políticos y militares, de manera similar a como ocurriera a principios y en la primera mitad de este siglo con la creación de bloques belicistas que cubrieron de destrucción, muerte y miseria a Europa, dividiéndola y debilitándola, en tanto los Estados Unidos fortalecían su poderío económico, político y militar. “Cabe preguntarse si el uso y el abuso de la fuerza solucionarán los problemas del mundo y defenderán los derechos humanos de las personas inocentes que hoy mueren bajo los misiles y las bombas que están cayendo sobre un pequeño país de esa culta y civilizada Europa. “El Ministerio de Relaciones Exteriores de la República de Cuba condena enérgicamente esta agresión de la OTAN contra Yugoslavia, liderada por los Estados Unidos [...]

“En estos momentos de sufrimiento y dolor para los pueblos de Yugoslavia, Cuba convoca a la comunidad internacional a movilizar sus esfuerzos para poner inmediato fin a esta injustificada agresión, evitar nuevas y aún más lamentables pérdidas de vidas inocentes y permitirle a esta nación retomar la vía pacífica de las negociaciones para la solución de sus problemas internos, asunto que depende única y exclusivamente de la voluntad soberana y la libre determinación de los pueblos yugoslavos. [...]

“La ridícula pretensión de imponer soluciones por la fuerza es incompatible con todo razonamiento civilizado y los principios esenciales del derecho internacional. [...]

De continuarse por este camino, las consecuencias podrían ser impredecibles para Europa y para toda la humanidad.”

Con motivo de estos hechos, había enviado el día anterior un mensaje al presidente Milosevic, a través del embajador yugoslavo en La Habana y de nuestro embajador en Belgrado. “Le ruego comunique al presidente Milosevic lo siguiente:

"Después de analizar cuidadosamente todo lo que está sucediendo y los orígenes del actual y peligroso conflicto, nuestro punto de vista es que se está cometiendo un gran crimen contra el pueblo serbio y, a la vez, un enorme error de los agresores, que no podrán sostener, si el pueblo serbio, como en su heroica lucha contra las hordas nazis, es capaz de resistir.

“De no cesar tan brutales e injustificables ataques en pleno corazón de Europa, la reacción mundial será aún mayor y mucho más rápida que la que desató la guerra en Vietnam. “Como en ninguna otra ocasión en los últimos tiempos, poderosas fuerzas e intereses mundiales están conscientes de que tal conducta en las relaciones internacionales no puede continuar.

“Aunque no tengo relación personal con él, he meditado mucho sobre los problemas del mundo actual, creo tener un sentido de la historia, un concepto de la táctica y la estrategia en la lucha de un pequeño país contra una gran superpotencia y siento un odio profundo hacia la injusticia, por lo que me atrevo a transmitirle una idea en tres palabras:

“Resistir, resistir y resistir".

“25 de marzo de 1999.”

Fidel Castro Ruz.

1º de octubre de 2007

 6:14 p.m.

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Lettera di Milosevic a Castro del 30 marzo 1999

Tratto da: RIFLESSIONI DEL COMANDANTE IN CAPO: LA RISPOSTA DI MILOSEVIC
di Fidel Castro Ruz - 2 ottobre 2007 - 5:32 p.m. (Fonte: Ambasciata delle Repubblica di Cuba, via email - Jugoinfo - Reflexiones del Comandante en Jefe)

Nelle sue "Riflessioni" datate lunedì 1 ottobre 2007Fidel Castro ha scritto di un messaggio di solidarietà da lui inviato a Milosevic il 25 marzo 1999, nel corso della aggressione della NATO contro il paese di cui Milosevic era il presidente.
Il 2 ottobre 2007, lo stesso Castro ha rivelato di aver ricevuto da Milosevic il seguente testo di risposta:

“Eccellentissimo Signor Presidente:

“Ho ricevuto il suo messaggio del 25 marzo 1999 con interesse e sincera gratitudine. La ringrazio per le sue decise parole d’appoggio e di stimolo alla Iugoslavia, e inoltre per la condanna all’aggressione della NATO espressa da Cuba e dai suoi rappresentanti durante le sedute delle Nazioni Unite. La Repubblica Federale dI Iugoslavia è sottoposta da parte degli  Stati Uniti e della NATO a un’aggressione, la più grande a livello mondiale dai tempi delle aggressioni di Hitler. È stato commesso un crimine non solo contro la Repubblica Federale di Iugoslavia quale Stato pacifico, sovrano e indipendente, bensì un’aggressione contro tutto ciò che nel mondo intero possiede un valore alle porte del XXI secolo: al sistema delle Nazioni Unite, al Movimento dei Paesi Non Allineati, alle fondamenta stesse della legalità, ai diritti umani e alla civiltà in generale. Mi sento orgoglioso di poterle comunicare che l’aggressione ha solamente reso più omogenea e ha rafforzato la determinazione dei popoli della Iugoslavia a resistere e a difendere la libertà, la sovranità e l’integrità territoriale. Le nostre forze armate e il popolo sono decisi e disposti ad assolvere il loro compito. Per questo per noi è benvenuta e, oltretutto, necessaria, la solidarietà e l’aiuto degli amici di tutto il mondo, nella maniera più ampia e forte possibile.
           
“Il comportamento del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite riguardo all’aggressione della NATO alla Repubblica Federale di Iugoslava rappresenta una sconfitta per le Nazioni Unite. È un segnale molto negativo e un monito importante per il mondo intero, specialmente per i paesi medi e piccoli, sebbene non lo sia solo per loro. Sono sicuro che Lei è informato di come la Repubblica Federale di Iugoslava e la Repubblica Serba si siano continuamente e sinceramente impegnate nel cercare una soluzione politica per il Kosovo e la Metohija sempre nell’interesse di tutte le comunità nazionali che vivono lì e che rispettano il nostro ordine costituzionale. La prego, signor Presidente, di far sì che l’amicizia di Cuba continui la sua azione in seno al Movimento al fine di convocare l’Ufficio di Coordinamento dei Non Allineati e che il gruppo d’amici condanni risolutamente l’aggressione della NATO alla Repubblica Federale di Iugoslavia. Sono altresì convinto che il Suo prestigio personale sarebbe di grande utilità per incoraggiare i paesi dell’America Centrale e del Sud e, più in generale, i paesi Non Allineati ad alzare la voce per esprimere una forte condanna di questa vandalica aggressione. Ancora una volta, nel ringraziare per la solidarietà e per l’appoggio alla Repubblica Federale di Iugoslavia, esprimo la speranza che rimarremo in stretto contatto. Voglia ricevere, signor Presidente, l’espressione del mio più profondo rispetto.
           
“Firmato Slobodan Milosevic” 

(30 marzo 1999)

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Fonte: Ambasciata di Cuba in Italia, Reflexiones del Comandante en Jefe

Testo della riflessione del Comandante in Capo Fidel Castro Ruz, dal titolo “IL 2° ED IL 3° MESSAGGIO A MILOSEVIC E LA SUA RISPOSTA”, del 4 ottobre 2007.

IL 2° ED IL 3° MESSAGGIO A MILOSEVIC E LA SUA RISPOSTA.


Il 2 aprile 1999 inviai a Milosevic, tramite la nostra Missione all’ONU, il secondo messaggio:

“Sarebbe consigliabile non processare i tre prigionieri nordamericani. L’opinione pubblica internazionale è molto sensibilizzata al riguardo e si creerebbe un forte movimento contro i serbi.”

Il 5 aprile 1999 gli trasmisi un terzo messaggio attraverso le nostre Missioni all’ONU ed in Iugoslavia: 

“Ci congratuliamo per la decisione presa, secondo quanto informano le agenzie di stampa, nei riguardi dei tre prigionieri. È molto intelligente e corretto aver promesso di trattarli bene e di liberarli quando cesseranno i bombardamenti. Ha annullato la manovra che gli Stati Uniti stavano realizzando per sensibilizzare contro la Serbia l’opinione pubblica interna, molto divisa nei riguardi dell’aggressione. Gli spietati bombardamenti contro obbiettivi civili e l’eroica resistenza del popolo serbo stanno provocando un impatto all’interno e fuori dell’Europa, anche in seno alla stessa NATO.”

Lo stesso 5 aprile 1999 riceviamo la risposta di Milosevic, per mezzo del suo ambasciatore all’ONU:

"Desidero estendere la mia gratitudine al Presidente ed al popolo della Repubblica di Cuba per la loro simpatia e per la solidarietà veso il nostro popolo ed il nostro paese, vittime dell’aggressione degli Stati Uniti e della NATO. 

“Spero che continueranno i suoi utilissimi sforzi con i capi di stato, in particolare con i leader dei paesi Non Allineati affinché comprendano l’estremo pericolo per le relazioni  internazionali nel loro insieme derivante dal precedente creato dall’aggressione degli Stati Uniti e della NATO contro la sovranità e l’indipendenza di un piccolo paese.  Desidero invitarla e chiederle di inviare un messaggio personale ai presidenti Mandela, Nujoma, Mugabe, Obasanjo, Rawlings e Vajpayee, per chiedere loro di condannare l’aggressione e, nel caso lo avessere già fatto, chiedere di riaffermare tale condanna affinché si continui a respingere l’aggressione allo scopo di mobilitare l’appoggio più ampio possibile dei Non Allineati alla Iugoslavia in questo momento tanto importante. Riceva i miei più sentiti e calorosi saluti. Per quanto riguarda i 3 militari nordamericani imprigionati, apprezzo molto  il suo amichevole suggerimento e desidero informarla che questi soldati penetrarono, abbondantemente armati, in profondità in territorio iugoslavo servendosi di alcuni  blindati. Sono in corso indagini sull’accaduto. Essi sono trattati in modo umano e serio.  Il suo suggerimento è stato capito e praticamente accettato.  Non abbiamo fretta di portare i soldati davanti alla giustizia. Non lo faremo ora.  Forse successivamente, o forse non lo faremo. Non lo faremo in fretta."

Fidel Castro Ruz
4 ottobre 2007
6:23 p.m.


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Source: [JUGOINFO] 19 luglio 2007Reflexiones del Comandante en Jefe

FIDEL CASTRO SUL KOSOVO

Elaborazione e traduzioni di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova.


http://www.adnki.com/index_2Level_English.php 
ADN Kronos International (Italy) - 12 giugno 2007

Kosovo: Castro discute su Bush “tiranno”

Havana - Il leader di Cuba Fidel Castro ha rivolto un severo rimprovero al Presidente degli Stati Uniti George W. Bush per le sue osservazioni, riguardanti l’indipendenza del Kosovo secessionista, rilasciate domenica scorsa durante la sua visita nella capitale Albanese, Tirana.
In un documento dal titolo “Il Tiranno visita Tirana” diffuso dall’agenzia stampa di Cuba, Castro ha criticato aspramente Bush per l’appoggio espresso all’indipendenza del Kosovo, “senza il minimo rispetto per gli interessi di Serbia, Russia e dei vari paesi Europei che si sono dimostrati sensibili al destino della Provincia, che è stata lo scenario dell’ultima guerra della NATO.”                          

Il documento dell’ottuagenario Castro continuava così: “Bush ha ammonito la Serbia che avrebbe ricevuto aiuti economici solo appoggiando l’indipendenza del Kosovo, la culla della cultura di quel Paese. Prendere o lasciare! Bush è bramoso di affetto. Ha goduto del tutto per le accoglienze senza proteste a lui riservate in Bulgaria. Ha parlato con quei militari del Paese che hanno preso parte alle guerre in Iraq e in Afghanistan. Ha cercato di impegnarli ulteriormente per versare sangue generoso in queste guerre per la pace.” 

Il lunedì, Bush aveva fatto visita alla Bulgaria – un fedele alleato degli USA – come tappa finale di un giro Europeo di otto giorni, che aveva visto la sua partecipazione al summit dei G8 in Germania, e le visite alla Repubblica Ceca, alla Polonia, all’Italia e all’Albania. 
Commentando l’arrivo in settembre di più di 3.000 militari USA in una nuova base in Bulgaria, come parte della politica USA di spostare molte delle sue forze Europee più vicino al Medio Oriente, Castro ha affermato: “Da duemila a cinquemila soldati di Bush saranno movimentati a rotazione costante attraverso le tre basi militari impiantate dall’impero... Come se noi stessimo vivendo nel più felice dei mondi possibili!”  


http://www.plenglish.com/article.asp?ID=%7BC9C6116D
Prensa Latina - 14 giugno 2007

Nuove riflessioni di Fidel Castro

Havana – Il Presidente Cubano Fidel Castro si è espresso sull’appoggio dato all’Albania da parte del Presidente USA George W. Bush  per il suo ingresso immediato nella NATO e sulla decisione di Bush di domandare l’indipendenza per la provincia Serba del Kosovo.  
Data l’importanza, Prensa Latina riproduce integralmente le riflessioni del Presidente Cubano: 

 “In cerca di affetto”

Effettivamente è stata l’Albania l’unico posto dove Bush ha ricevuto un qualche affetto; per voler essere larghi, questo vale per l’accoglienza in Bulgaria dove diverse migliaia di persone lo hanno atteso sventolando bandierine Americane, comunque sembrando fredde nei suoi confronti.   
L’appoggio di Bush dato all’Albania per il suo ingresso immediato nella NATO e la sua decisione di esigere l’indipendenza per la provincia del Kosovo hanno fatto diventare non pochi Albanesi un po’ pazzi. 
Giornali ed altri mezzi di comunicazione riportano che molti di costoro, interrogati singolarmente, hanno risposto: “Bush è un simbolo di democrazia. Gli Stati Uniti sono i protettori della libertà dei popoli.” Migliaia di soldati e poliziotti Albanesi disarmati, condizione richiesta dalle autorità Yankee, facevano ala su due colonne, che andavano dall’aeroporto alla capitale, per più di 20 chilometri.                                                                                                                                                         In Europa, lo spinoso problema dell’indipendenza di una parte della Serbia è veramente controverso, e creerebbe un precedente che potrebbe essere seguito in diversi Paesi da altre regioni che reclamano la sovranità all’interno degli attuali confini.    
E così l’Albania passerebbe da una situazione sociale di sinistra ad una di destra estrema. 
Vivere per vedere! Vedere per credere! 
La Serbia riceve un duro colpo non solo politico ma anche economico. Il Kosovo possiede il 70% delle risorse energetiche della Serbia. 

Tra il 1998 e il 1999, l’anno della guerra della NATO contro la Serbia, la Provincia ha contribuito per il 70% dello zinco e dell’argento. 
È stato valutato che il Kosovo possiede l’82% delle possibili riserve di questi metalli, ed inoltre le più grandi riserve di  bauxite, nickel e cobalto. La Serbia perde industrie, territori e proprietà ed è lasciata sola con l’imposizione di pagare il debito estero incorso per gli investimenti in Kosovo, prima del 1998. Ho ricevuto proprio adesso un dispaccio dall’AFP che mi obbliga alla lettura di poche righe. Il comunicato letteralmente recita: 

“ Mosca, 13 giugno 2007. La Russia accusa l’Occidente di tenere incontri segreti relativi all’indipendenza del Kosovo. Secondo un comunicato rilasciato dal Ministro Russo per gli Affari Esteri, la Russia ha censurato le nazioni Occidentali che mercoledì si sono adoperate in segreto e unilateralmente per preparare l’indipendenza del Kosovo. Il portavoce del Ministero, Mikhail Kamynin, con riferimento all’incontro delle potenze Occidentali tenutosi a Parigi martedì, in assenza del governo di Mosca, ha puntato l’indice contro i colloqui segreti che hanno indotto a sospettare che sia stato preparato unilateralmente uno scenario per la sovranità del Kosovo. Kamynin ha continuato: ‘Questo comportamento è intollerabile. La Russia non è stata invitata all’incontro e questo risulta incompatibile con le dichiarazioni che andavano nel senso di una soluzione, in apparenza, di accomodato.' ”


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www.resistenze.org - popoli resistenti - cuba - 12-09-06 

Condannatemi, non importa, la storia mi assolverà
 

Fidel Castro

 

 

Il seguente testo e' un estratto del testo di difesa pronunciato da Fidel Castro, avvocato di se' stesso, di fronte al Tribunale che lo processava con l'accusa di "attentato ai Poteri Costituzionali dello Stato e insurrezione"  per l'eroico assalto al Quartiere Moncada [1] dell'Esercito, effettuato il 26 luglio 1953, a seguito del quale venne arrestato insieme a molti altri compagni, la maggior parte dei quali fu poi giustiziata in carcere, dopo barbare e inenarrabili torture (tratto dall'edizione completa: La Historia me absolvera', Nuestra America Editorial [2], 2005, Buenos Aires, Argentina )... [a cura di Paolo Teobaldelli] 
 

 

Signori Giudici,

 

mai un avvocato ha dovuto esercitare il suo ufficio in tal difficili condizioni; mai contro un accusato sono state commesse un tal cumulo di irregolarita' schiaccianti. L'uno e l'altro sono in questo caso la stessa persona. Come avvocato, non ho potuto vedere il verbale ne' lo vedro' e, come accusato, da settantasei giorni sono chiuso in una cella solitaria, totalmente e assolutamente isolato, oltre tutte le prescrizioni umane e legali.

 

Chi sta parlando aborrisce con tutta la sua anima la vanita' puerile e non sono parte del suo animo ne' del suo temperamento qualsiasi posa da tribuno ne' sensazionalismi di nessun tipo. Se ho dovuto assumere la mia propria difesa davanti a questo tribunale e' per due motivi. Il primo perche' praticamente mi si privo' di essa completamente; il secondo perche' solo chi era stato ferito tanto profondamente e aveva visto tanto indifesa la patria e avvilita la giustizia, puo' parlare in una occasione come questa con parole che siano sangue del cuore e organi vitali della verita'. [...] 
Signori Giudici, quante pressioni si sono esercitate affinche' mi si spogliasse anche di questo diritto consacrato a Cuba da lunga tradizione. Il tribunale non pote' acconsentire a tali pretese perche' era gia' lasciare un accusato al colmo della mancanza di difesa. Questo accusato che sta esercitando ora questo diritto, per nessuna ragione al mondo omettera' di dire quello che deve dire. [...]
Vi ricordo che le vostre leggi di procedimento stabiliscono che il giudizio sara' "orale e pubblico"; senza dubbio, si e' impedito al popolo l'entrata a questa sessione. Solo hanno lasciato passare due avvocati e sei  giornalisti, nei periodici dei quali la censura non permettera' pubblicare una sola parola. Vedo che ho per unico pubblico, in sala e nei corridoi, circa cento tra soldati e ufficiali. Grazie per la seria e amabile attenzione che mi state prestando! Che appaia di fronte a me tutto l'Esercito! Io so che un giorno ardera' dal desiderio di lavare la terribile macchia di vergogna e di sangue che le ambizioni di un gruppo di persone senza anima ha lanciato sopra le uniformi militari. [...]

 

Per ultimo devo dire che non si lascio' passare nella mia cella nessuno trattato di Diritto Penale. Solo posso disporre di questo minuscolo codice che mi ha prestato un avvocato, il valente difensore dei miei compagni: il Dott. Baudilio Castellanos. Allo stesso modo si proibi' che giungessero nelle mie mani i libri di Marti' [3]: sembra che la censura del carcere li considero' troppo sovversivi. O sara' forse perche' io dissi che Marti' era l'autore intellettuale del 26 luglio? [...]
Non importa in assoluto! Porto nel cuore le dottrine del Maestro [4] e nel pensiero le nobili idee di tutti gli uomini che hanno difeso la liberta' di tutti i popoli.
Solo una cosa chiedo al tribunale; spero che me la conceda, come compensazione di tanto eccesso e arbitrarieta' che ha dovuto soffrire questo accusato senza protezione alcuna delle leggi: che si rispetti il mio diritto ad esprimermi in piena liberta'. Senza di cio' non potrete soddisfare neanche la mera apparenza di giustizia e l'ultimo anello della catena sarebbe, piu' di nessun altro, di ignominia e codardia.

 

Confesso che qualcosa mi ha sorpreso. Pensavo che il Pubblico Ministero sarebbe venuto con una accusa terribile disposto a giustificare sino alla sazieta' le pretese e i motivi per i quali in nome del diritto e della giustizia - e di quale diritto e di quale giustizia? - mi si deve condannare a ventisei anni di prigione. Pero' no. Si e' limitato esclusivamente a leggere l'articolo 148 del Codice di Difesa Sociale, secondo il quale, piu' circostanze aggravanti, sollecita per me la rispettabile quantita' di ventisei anni di prigione. Due minuti mi sembrano molto poco tempo per chiedere e giustificare che un uomo passi al chiuso piu' di un quarto di secolo. E' forse per caso il Pubblico Ministero disgustato del Tribunale? [...] Comprendo che e' difficile, per un Pubblico Ministero che ha giurato fedelta' alla Costituzione della Repubblica, venire qui in nome di un governo incostituzionale, statuario, di nessuna legalita' e minor moralita', a chiedere che un giovane cubano, avvocato come lui, chissa' ... altrettanto decente come lui, sia inviato a ventisei anni di carcere. Pero' il Pubblico Ministero e' un uomo di talento e io ho visto persone, con meno talento di lui, scrivere lunghe arringhe [...]

 

Signori Giudici: perche' tanto interesse a che io taccia? [...] E' che manchi completamente la base giuridica, morale e politica per focalizzare seriamente la questione? E' che si teme tanto la verita'? E' che si desidera che anche io parli per due minuti e che non tocchi qui i punti che non lascia dormire a certa gente dal 26 luglio? [...] non accettero' mai questo bavaglio, perche' in questo giudizio si sta dibattendo qualcosa in piu' della semplice liberta' di un individuo: si discute di questioni fondamentali di principio, si dibatte delle basi stesse della nostra esistenza come nazione civilizzata e democratica. [...]
[...] il Pubblico Ministero non merita neanche un minuto di replica. [...] 
E' un principio elementare del Diritto Penale che il fatto imputato debba accordarsi esattamente al tipo di delitto prescritto dalla legge. Se non c'e' legge esattamente applicabile al punto controverso, non c'e' delitto.

 

L'articolo in questione dice testualmente: "Si imporra' una sanzione di privazione della liberta' da tre a dieci anni all'autore di un atto diretto a promuovere un sollevamento di gente armata contro i Poteri Costituzionali dello Stato. La sanzione sara' la privazione da cinque a dieci anni se si porta ad effetto l'insurrezione" In che paese sta vivendo il Pubblico Ministero? Chi le ha detto che noi abbiamo promosso un sollevamento contro i Poteri Costituzionali dello Stato? Due cose risaltano alla vista. In primo luogo, la dittatura che opprime la nazione non e' un potere costituzionale, ma semmai incostituzionale; nacque contro la Costituzione, oltre la Costituzione, violando la Costituzione legittima della Repubblica. La Costituzione legittima e' quella che emana direttamente dal popolo sovrano. [...] In secondo luogo, l'articolo parla di Poteri Costituzionali, vale a dire, al plurale, non al singolare, perche' considera il caso di una Repubblica retta da un Potere Legislativo, un Potere esecutivo e un Potere Giuridico che si equilibrano e si contrappesano uno con l'altro. Noi abbiamo promosso una ribellione contro un potere unico, illegittimo, che ha usurpato e riunito in uno solo i Poteri  Legislativo, Esecutivo e Giuridico della Nazione, distruggendo tutto il sistema che precisamente cercava di proteggere l'articolo del codice che stiamo analizzando. [...]
Vi avverto che vo a iniziare. Se nelle vostre anime resta ancora un pezzetto di amore per la patria, di amore per l'umanita', di amore per la giustizia, ascoltatemi con attenzione. So che mi si obblighera' al silenzio per molti anni; so che cercheranno di occultare la verita' con tutti i mezzi possibili; so che contro di me si alzera' la congiura dell'oblio. Pero' non per questo la mia voce si risparmiera' [...]

 

Ascoltai il dittatore il lunedi' 27 luglio [...] L'accumulo di menzogne e calunnie che pronuncio' nel suo linguaggio turpe, odioso e ripugnante, solo si puo' comparare con l'enorme quantita' di sangue giovane e limpido che dalla notte prima stava spargendo, con sua conoscenza, consenso, complicita' e plauso, la turba piu' crudele di assassini che possa mai concepirsi. [...]
E' necessario che mi occupi un po' del considerare i fatti. Si disse, da parte del governo stesso, che l'attacco fu realizzato con tanta precisione e perfezione che evidenziava la presenza di esperti militari nella elaborazione del piano. Niente di piu' assurdo. Il piano fu tracciato da un gruppo di giovani nessuno dei quali aveva esperienza militare; e rivelo i loro nomi, meno due di loro che non sono ne' morti ne' catturati: Abel Santamaria, Jose' Luis Tasende, Renato Guitart Rosell, Pedro Miret, Jesus Montane' e colui che parla. La meta' sono morti, e con giusto tributo alla loro memoria posso dire che non erano esperti militari, pero' avevano patriottismo sufficiente per dare, a parita' di condizioni, una sonora lezione a tutti quanti i generali del 10 marzo (allusione ai generali che appoggiarono il colpo di Stato di Fulgencio Batista il 10 marzo del 1952, N.d.T.) che non sono militari ne' patrioti. [...]

 

E' ugualmente certo che l'attacco si realizzo' con coordinazione magnifica. [...]
Abel Santamaria con ventuno uomini aveva occupato l'Ospedale Civile; con lui c'erano un medico e due nostre compagne per accudire i feriti. Raul Castro, con dieci uomini, occupo' il Palazzo di Giustizia; e a me tocco' attaccare l'accampamento con il resto, novantacinque uomini. Arrivai con un primo gruppo di quarantacinque, preceduto da un'avanguardia di otto  [...] Il gruppo di riserva, che era in possesso di quasi tutte le armi lunghe, dato che le corte andavano all'avanguardia, prese per una via sbagliata e si perse completamente in una citta' che non conoscevano. [...]
Si fecero sin dai primi momenti numerosi prigionieri, circa venti, e ci fu un momento in cui tre nostri uomini  [...] Ramiro Valdez, Jose Suarez e Jesus Montane', riuscirono ad entrare in una baracca e a detenere li' per un certo tempo circa cinquanta soldati. Questi prigionieri testimoniarono davanti al Tribunale, e tutti senza eccezione hanno riconosciuto che furono trattati con assoluto rispetto, senza dover soffrire neanche una parola di insulto. [...] 

 

La disciplina da parte dell'Esercito fu abbastanza scarsa. Vinsero alla fine per il numero, che dava loro una superiorita' di 15 ad uno, e per la protezione  che loro forniva la difesa della fortezza. [...]
Quando mi convinsi che tutti i nostri sforzi per prendere la fortezza erano gia' vani, cominciai a ritirare i nostri uomini a gruppi di otto e dieci. La ritirata fu protetta da sei cecchini che al comando di Pedro Miret e di Fidel Labrador, bloccarono eroicamente il passo all'Esercito. Le nostre perdite nella lotta erano state insignificanti. Il gruppo dell'Ospedale Civile non ebbe piu' di una vittima; il resto fu vinto dal situarsi delle truppe dell'esercito di fronte all'unica uscita dell'edificio, e soltanto deposero le armi quando non rimaneva loro piu' neanche un proiettile. Con loro stava Abel Santamaria, il piu' generoso, amato ed intrepido dei nostri giovani, la cui gloriosa resistenza lo rende immortale davanti alla storia di Cuba. Vedremo la sorte che loro tocco' e come desidero' sradicare Batista la ribellione e l'eroismo della nostra gioventu'.

 

I nostri piani erano di proseguire la lotta sulle montagne in caso di insuccesso dell'attacco al reggimento. Potei riunire un'altra volta, a Siboney, un terzo delle nostre forze; pero molti si erano gia' persi d'animo. Una ventina decisero di consegnarsi; gia' vedremo che cosa fu di loro. Il resto, diciotto uomini, con le armi e l'attrezzatura che rimanevano, mi seguirono sulle montagne. Il terreno era a noi perfettamente sconosciuto. Durante una settimana occupammo la parte alta della Cordigliera della Grande Pietra e l'Esercito occupo' la base. Ne' noialtri potevamo scendere ne' loro si decisero a salire. Non furono, dunque, le armi; furono la fame e la sete che vinsero l'ultima resistenza. Dovetti distribuire gli uomini in piccoli gruppi: alcuni riuscirono a filtrare attraverso le linee dell'esercito, altri  furono consegnati da monsignor Perez Serantes. Quando solo restavano con me due compagni: Jose Suarez e Oscar Alcalde, tutti e tre totalmente stremati, all'alba di sabato 1° di agosto, una forza al comando del tenente Sarria ci sorprese dormendo. Gia' la mattanza dei prigionieri era cessata in seguito alla tremenda reazione che provoco' nella cittadinanza, e questo ufficiale, uomo di onore, impedi' che alcuni assassini ci uccidessero  [...]

 

Si e' ripetuto con molta enfasi da parte del governo che il popolo non assecondo' il movimento. mai avevo udito una affermazione tanto ingenua e, al tempo stesso, tanto piena di malafede. Pretendono evidenziare con cio' la sottomissione e codardia del popolo  [...] Se il Moncada fosse caduto in mano nostra persino le donne di Santiago di Cuba avrebbero impugnato le armi!
Molti fucili furono caricati ai combattenti dalle infermiere dell'Ospedale Civile! Anch'esse combatterono. Questo non lo dimenticheremo mai. [...]
Il Pubblico Ministero era molto interessato a conoscere le nostre possibilita' di successo. Queste possibilita' si basano su ragioni di ordine tecnico-militare e di ordine sociale. 
Si e' desiderato instaurare il mito delle armi moderne come certezza della totale impossibilita' della lotta aperta e frontale del popolo contro la tirannia. Le sfilate militari, le grandi parate di materiale bellico, hanno per obiettivo il fomentare questo mito e creare nella cittadinanza un complesso di assoluta impotenza. Nessun arma, nessuna forza e' capace di vincere a un popolo che si decide a lottare per i propri diritti. Gli esempi storici passati e presenti sono incontestabili. E' ben recente il caso della Bolivia, dove i minatori, con cartucce di dinamite, sconfissero e distrussero a reggimenti dell'esercito regolare. 

 

Pero noi cubani non dobbiamo cercare esempi in altri paesi, perche' nessuno e' tanto eloquente come quello della nostra patria. Durante la guerra del 1895 c'erano a Cuba circa mezzo milione di soldati spagnoli in armi [...] I cubani non disponevano in generale di altra arma che il machete, perche' le sue cartucciere erano quasi sempre vuote. C'e' un passaggio indimenticabile della nostra guerra di indipendenza narrato dal generale Miro' Argenter [...] " la gente  [...] in maggior parte provvista di solo machete, fu decimata [...] Attaccarono agli spagnoli con i pugni, senza pistola [...]"
Cosi' lottano i popoli quando desiderano conquistare la propria liberta': tirano pietre agli aerei e deviano i carri armati a morsi! [...]
Dissi che la seconda ragione sulla quale si basava la nostra possibilita' di riuscita era di ordine sociale. Perche' avevamo la sicurezza di contare sul popolo? Quando parliamo di popolo non intendiamo i settori concilianti e conservatori della nazione, a quelli per cui va bene qualsiasi regime di oppressione, qualsiasi dittatura, qualsiasi dispotismo, prostrandosi dinanzi al reggente di turno sino a rompersi la fronte contro il pavimento.
Intendiamo per popolo, quando parliamo di lotta, la grande massa irredenta, quella a cui tutti offrono e quella che tutti ingannano e tradiscono, quella che anela una patria migliore, piu' degna, piu' giusta [...]

 

Noi chiamiamo popolo se di lotta si tratta, ai seicentomila cubani che stanno senza lavoro desiderosi di guadagnarsi il pane con onore senza dover emigrare dalla propria patria in cerca di sostentamento; ai cinquecentomila operai stagionali della campagna che abitano in baracche miserabili, che lavorano quattro mesi e soffrono la fame per il resto dell'anno dividendo con i propri figli la miseria, che non hanno un fazzoletto di terra per seminare e la cui esistenza dovrebbe muovere a piu' compassione se non ci fossero tanti cuori di pietra; ai quattrocentomila operai industriali e braccianti le cui pensioni, tutte, sono rapinate, [...] la cui vita e' il lavoro perenne e il cui riposo e' la tomba; ai centomila piccoli agricoltori che vivono e muoiono lavorando una terra che non e' loro, contemplandola sempre tristemente come Mose' alla terra promessa, per poi morire senza mai giungere a possederla, che devono pagare per i fazzoletti di terra come servi feudali una parte dei propri prodotti, che non possono amarla, ne' migliorarla, ne' abbellirla, o piantare un cedro o un arancio perche' non sanno se un giorno verra' un funzionario a dirgli che deve andarsene; ai trentamila maestri e professori tanto pieni di abnegazione, di sacrifici e necessari al destino migliore delle future generazioni e che tanto male li si tratta e paga; ai ventimila piccoli commercianti appesantiti dai debiti, rovinati dalle crisi e ammazzati dalla piaga di funzionari filibustieri e venali; ai diecimila giovani professionisti: medici, ingegneri, avvocati, veterinari, pedagoghi, dentisti, farmaceutici, giornalisti, pittori, scultori, ecc., che escono dalle aule con i propri titoli desiderosi di lotta e pieni di speranza per trovarsi poi in un vicolo senza uscita, tutte le porte chiuse, sorde alle suppliche e al clamore. Questo e' il popolo! Quello che soffre tutte le sue disgrazie ed e' pertanto capace di combattere con tutto il coraggio! A questo popolo il cui cammino di angustia e' lastricato di inganni e false promesse, non andavamo a dire: "Ti daremo" ma semmai: "Ecco prendi, lotta ora con tutte le tue forze perche' siano tue la liberta' e la felicita'!". [...]

 

Cuba potrebbe albergare splendidamente una popolazione tre volte maggiore; non ci sono dunque ragioni perche' esista la miseria  fra i suoi attuali abitanti. [...]
A quelli che mi chiamano per questa convinzione sognatore, io rispondo con le parole di Marti': "Il vero uomo non guarda da che lato si vive meglio, ma da che lato sta il dovere; e questo e' l'unico uomo pratico il cui sogno di oggi sara' la legge del domani, perche' colui che ha posto gli occhi agli organi vitali universali e visto ribollire i popoli, tra lamenti e sangue, nella conca dei secoli, egli sa che il divenire, senza nessuna eccezione, sta dal lato del dovere".
Unicamente inspirati a tali elevati propositi e' possibile concepire l'eroismo di quelli che caddero a Santiago di Cuba. Gli scarsi mezzi materiali, sui quali dovemmo contare, impedirono il sicuro successo. [...]

 

I politici spendono nelle loro campagne milioni comprando coscienze, e un pugno di cubani che desiderarono salvare l'onore della patria dovette affrontare la morte con le mani vuote per carenza di risorse. Cio' spiega da chi e' stato governato il paese sino ad ora, non da uomini generosi e fedeli, ma dal bassofondo della politicheria [...] Con maggior orgoglio che mai dico che conseguente ai nostri principi, nessun politico di ieri ci ha visti bussare alla sua porta chiedendo un centesimo, che i nostri mezzi furono messi insieme con esempio di sacrificio che non ha paragoni, come quello del giovane Elpidio Sosa che vendette la sua attrezzatura e si presento' da me un giorno con trecento pesos "per la causa; Fernando Chenard, che vendette la apparecchiatura del studio fotografico con il quale si guadagnava da vivere; Pedro Marrero che impegno' il suo stipendio di molti mesi e al quale fu necessario impedire che vendesse persino i mobili della sua casa; Oscar Alcalde, che vendette il suo laboratorio di prodotti farmaceutici; Jesus Montane', che consegno' il denaro che aveva risparmiato per piu' di cinque anni, e cosi' nello stesso stile molti altri, spogliandosi ognuno di quel poco che aveva. 

 

Bisogna avere una fede molto grande nella propria patria per agire cosi', e questi ricordi di idealismo mi portano direttamente al capitolo piu' amaro di questa difesa: il prezzo che fu fatto loro pagare dalla tirannia per il desiderio di liberare Cuba dalla oppressione e dalla ingiustizia. [...]
I fatti sono ancora recenti, pero' quando gli anni passeranno e il cielo della patria si schiarira', quando gli animi esaltati si quieteranno e la paura non turbera' piu' gli spiriti, si iniziera' allora a vedere in tutta la sua spaventosa realta' la magnitudine del massacro, e le generazioni future rivolgeranno terrorizzate gli occhi a questo atto di barbarie senza precedenti nella nostra storia. Pero' non desidero che l'ira mi accechi, perche' ho bisogno di tutta la chiarezza della mia mente e la serenita' del cuore distrutto per esporre i fatti cosi' come occorsero, con tutta semplicita', senza drammatismi, perche' sento vergogna come cubano, che alcuni uomini senza anima, con i suoi crimini inqualificabili, abbiano disonorato la nostra patria dinanzi al mondo.
Non fu mai il tiranno Batista un uomo di scrupoli che tentenna prima di dire al popolo la piu' fantastica menzogna. [...]

 

Le cose che affermo' il dittatore dal poligono dell'accampamento di Columbia, sarebbero degne di risa se non fossero cosi' impappate di sangue. Disse che gli attaccanti erano un gruppo di mercenari tra i quali c'erano molti stranieri; [...] disse che l'attacco era stato ideato dall'ex-presidente Prio e con suo denaro, e si e' provato sino alla sazieta' l'assenza assoluta di ogni relazione tra questo movimento e il regime passato; disse che eravamo armati di mitragliatrici e granate a mano, e qui i tecnici dell'Esercito hanno dichiarato che avevamo solo una mitragliatrice e nessuna granata a mano; disse che avevamo sgozzato la postazione di guardia, e qui sono apparsi a verbale i certificati di morte e i certificati medici corrispondenti a tutti i soldati morti o feriti, dai quali, risulta che nessuno presentava lesioni di arma bianca. [...]
Quando un capo di stato o chi pretende esserlo fa dichiarazioni al paese, non parla per parlare: alberga sempre qualche obiettivo, persegue sempre un effetto, lo anima sempre una intenzione. Se eravamo gia' stati militarmente vinti, se gia' non rappresentavamo piu' un pericolo per la dittatura, perche' ci si calunniava in questo modo? Se non e' chiaro che era un discorso sanguinario, se non e' evidente che si pretendeva giustificare i crimini che si stavano commettendo dalla notte prima e che si andavano a commettere dopo, che parlino per me i numeri: il 27 luglio, nel suo discorso dal poligono militare, Batista disse che gli attaccanti avevano avuto trentadue morti; alla fine della settimana i morti salivano a piu' di ottanta. In quale battaglia, in quali luoghi, in quali combattimenti morirono questi giovani? Prima che parlasse Batista si erano assassinati piu' di venticinque prigionieri; dopo che parlo' se ne assassinarono cinquanta.

 

Che grande senso dell'onore quello di quei militari modesti, tecnici e professionisti dell'Esercito, che al comparire dinanzi al tribunale non deformarono i fatti, e relazionarono attenendosi alla stretta verita'. Questi si che sono militari che onorano l'uniforme, questi si che sono uomini! Ne' il militare ne' l'uomo vero e' capace di macchiare la sua vita con la menzogna o il crimine. Io so che sono terribilmente indignati con i barbari omicidi che si commisero, io so che sentono con ripugnanza e vergogna l'odore di sangue omicida che impregna sino all'ultima pietra il Quartiere Moncada.
Esorto il dittatore a ripetere ora, se puo', le sue vili calunnie contro le testimonianze di questi onorevoli militari, lo esorto a che giustifichi davanti al popolo di Cuba il suo discorso del 27 luglio, che non taccia, che parli! Che dica se la Croce d'Onore che pose nel petto agli eroi del massacro era per premiare i crimini ripugnanti che si commisero; che assuma sin da ora la responsabilita' davanti alla storia e non pretenda di dire poi che furono i soldati senza suoi ordini, che spieghi alla nazione i settanta omicidi; fu molto il sangue! La nazione ha bisogno di una spiegazione, la nazione lo domanda, la nazione lo esige. [...]

 

Non si ammazzo' durante un minuto, un'ora o un giorno intero, ma una intera settimana, i colpi, le torture, [...] non cessarono un istante come strumento di sterminio maneggiato da perfetti artigiani del crimine. Il Quartiere Moncada si converti' in un laboratorio di tortura e morte, e alcuni uomini indegni convertirono l'uniforme militare in pannelle da macellai. I muri si incrostarono di sangue; nella parete le pallottole restarono incrostate con frammenti di pelle e capelli umani [...]
Le mani criminali che reggono il destino di Cuba avevano scritto per i prigionieri all'entrata di quell'antro di morte, la scritta dell'inferno: "LASCIATE OGNI SPERANZA". [...]
Conosco molti dettagli di come si realizzarono questi crimini, per bocca di alcuni militari che pieni di vergogna, mi riferirono le scene di cui erano stati testimoni. [...]
Il primo prigioniero assassinato fu il nostro medico Mario Muñoz, che non portava armi ne' uniforme e vestiva il suo camice di medico, un uomo generoso e competente che aveva prestato cura con la stessa devozione tanto all'avversario quanto all'amico ferito. Nel cammino dall'Ospedale Civile al Quartiere gli spararono un colpo alla schiena e lo lasciarono li' con la bocca rivolta in basso in una pozza di sangue. Pero' la mattanza di prigionieri non comincio' sino alle tre del pomeriggio. Fino a questa ora si aspettarono ordini. Arrivo' dunque dall'Avana il generale Martin Diaz Tamayo, il quale porto' istruzioni concrete uscite da una riunione dove si trovavano Batista, il capo dell'Esercito, il capo del SIM (Servizio di Intelligence Militare, N.d.T) e altri. Disse che "era stata una vergogna e un disonore per l'Esercito aver avuto nel combattimento tre volte piu' vittime degli attaccanti e che si dovevano uccidere dieci prigionieri per ogni soldato morto" Questo fu l'ordine! [...]

 

Quello di cui questi uomini avevano bisogno era precisamente questo ordine. Nelle loro mani peri' il meglio di Cuba: i piu' valorosi, i piu' onorati, i piu' idealisti. Il tiranno li chiamo' mercenari, e li' essi stavano morendo come eroi in mano di uomini che ricevono uno stipendio dalla Repubblica e i quali con le armi che essa ha dato loro perche' la difendano, servono piuttosto gli interessi di un manipolo e assassinano i migliori cittadini. 
Per mezzo della tortura offrivano loro la vita se tradendo la propria posizione ideologica si prestavano a dichiarare falsamente che Prio [6] aveva dato loro il denaro, e come essi rifiutavano indignati la proposta, continuavano torturandoli orribilmente. [...]
Le fotografie non mentono e quei cadaveri appaiono distrutti. [...]
Questo lo fecero per molti giorni e assai pochi prigionieri di quelli che erano detenuti sopravvissero. [...]

 

Signori Giudici, dove stanno i nostri compagni detenuti nei giorni 26, 27, 28 e 29 luglio che si sa erano settanta nella zona di Santiago di Cuba? Solamente tre e le due ragazze sono ricomparsi; [...]
Dove stanno i nostri compagni feriti? Solo cinque sono comparsi; i restanti furono ugualmente assassinati. Qui, al contrario, hanno sfilato venti militari che furono nostri prigionieri e che secondo le loro stesse parole non ricevettero neanche una offesa. Qui hanno sfilato trenta feriti dell'Esercito, molti di loro in combattimenti sulla strada, e nessuno di essi fu giustiziato. Se l'Esercito ebbe diciannove morti e trenta feriti, com'e' possibile che noi abbiamo avuto ottanta morti e cinque feriti? [...]

 

Come puo' spiegarsi la favolosa proporzione di sedici morti per un ferito, se non giustiziando i feriti nell'ospedale stesso e assassinando poi gli indifesi prigionieri? Questi numeri parlano senza possibile replica. "E' una vergogna e un disonore per l'Esercito aver avuto nel combattimento un numero di vittime tre volte superiore agli attaccanti; bisogna ammazzare dieci prigionieri per ogni soldato morto ..." Questo e' il concetto che hanno dell'onore i caporali divenuti generali il 10 di marzo [7], e questo e' l'onore che desiderano imporre all'Esercito nazionale. Onore falso, onore di apparenza che si basa sulla menzogna, la ipocrisia e il crimine; assassini che plasmano con il sangue una maschera di onore. Chi disse loro che morire combattendo e' un disonore? Chi disse loro che l'onore di un Esercito consiste nell'assassinare feriti e prigionieri di guerra? In guerra gli eserciti che assassinano i prigionieri si sono sempre guadagnati il disprezzo e l'esecrazione del mondo. [...]
Il militare di onore non assassina il prigioniero indifeso dopo il combattimento, ma lo rispetta; non giustizia il ferito, ma lo aiuta; impedisce il crimine e se non puo' impedirlo fa come quel capitano spagnolo che sentendo gli spari con cui si fucilavano gli studenti ruppe indignato la sua spada e rinuncio' di continuare a servire quell'esercito. [...]

 

Per i miei compagni morti non chiedo vendetta. Dato che le loro vite non avevano prezzo, non potrebbero pagarla con la loro tutti i criminali messi insieme. Non e' con il sangue che si puo' pagare la vita dei giovani che morirono per il bene di un popolo; la felicita' di questo popolo e' l'unico prezzo degno che si puo' pagare per quelle vite.
In piu' i miei compagni non sono dimenticati, ne' morti; vivono oggi piu' che mai e i suoi assassini devono vedere terrorizzati come sorge dai loro cadaveri eroici lo spettro vittorioso delle loro idee. Che parli per me l'Apostolo: "C'e' un limite al pianto durante la sepoltura dei morti, ed e' l'amore infinito per la patria e la gloria che si vede sopra i loro corpi, che non teme, non si abbatte ne' mai si indebolisce; perche' i corpi dei martiri sono l'altare piu' bello della dignita' ".
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Opere d'arte italiane ostaggio dei golpisti ucraini

1) Petizione: Nessuna onorificenza per Poroshenko
*) Verona antifascista in piazza contro la cittadinanza a Poroshenko
2) Contro la cittadinanza onoraria all’ucraino Poroshenko un appello a Mattarella (Fabio Marcelli)
*) Renzi, occhio a quei quadri / Valdegamberi: «Non accetto diktat dal Consolato Ucraino e riportino a Verona i quadri rubati» / Ucraina: da Verona sola andata
3) Il mistero dei quadri mai tornati in Italia (DagoSpia)
4) Poroshenko denunciato per appropriazione indebita


Sul golpe in Ucraina ed il carattere nazista del regime instaurato si veda la nostra pagina dedicata:

Segnalazione iniziativa: SERATA PRO-DONBASS
Padova, sabato 10 dicembre 2016, dalle ore 17 – presso la mensa Occupata di Via F. Marzolo 4
proiezione di materiale video, testimonianze, cena a base di prodotti tipici ucraini e russi, lotteria di beneficenza
Adesioni entro giovedì 8 dicembre ai numeri 3200270839 - 3282669864
I fondi raccolti saranno usati per inviare aiuti umanitari nelle regioni colpite dalla guerra civile


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по-русский: Никакой почести Петру Порошенко

in english: No honour to Poroshenko


Petizione rivolta al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella

Nessuna onorificenza per Poroshenko


Noi sottoscritti, cittadine e cittadini italiani e non, premesso che il Consiglio Comunale di Verona ha approvato la proposta del sindaco Flavio Tosi di conferire la cittadinanza onoraria a Petro Poroshenko, quale segno di riconoscenza per il recupero dei quadri di Castelvecchio, siamo ad evidenziare quanto tale provvedimento si ponga in contrasto con i principi e i diritti fondamentali della persona umana, sanciti dalla nostra Costituzione e dalle norme del diritto internazionale sia consuetudinario sia convenzionale. La decisione di conferire tale onorificenza a Petro Poroshenko, divenuto capo dello Stato ucraino a seguito di elezioni svolte in un clima di violenze di piazza e guerra civile nel Donbass, offende il senso profondo della giustizia e del rispetto dei diritti umani universali. Il Presidente Poroshenko è, infatti, a capo di un sistema politico-istituzionale che trae il proprio fondamento dal colpo di Stato del febbraio 2014 che rovesciò il precedente Presidente Yanucovich, elettoralmente legittimato. Nel succitato colpo di Stato hanno avuto un ruolo decisivo forze neo-naziste alle quali appartengono anche ministri dell’attuale governo che persegue una politica di sistematica repressione del dissenso e di violazione dei diritti umani nei confronti della consistente componente russofona e, in generale, di tutte le minoranze. La popolazione russofona del Donbass è sottoposta a una costante opera di repressione militare che il governo di Kiev attua persino mediante bombardamenti indiscriminati contro civili. Le opposizioni all’attuale governo stanno subendo una spietata repressione. Basti solamente evocare gli innumerevoli episodi di eliminazione fisica, incarcerazioni senza garanzie processuali ed emigrazioni coatte. Tali violazioni sono ulteriormente sostanziate da una serie di gravissimi fatti di cui il governo, l’esercito ucraino e una serie di bande paramilitari si sono resi responsabili negli ultimi due anni. Fra i gravissimi fatti di cui sopra, ricordiamo la strage del 2 maggio 2014 a Odessa nella quale furono bruciati vivi moltissimi civili da bande paramilitari filonaziste e filogovernative. I rapporti dell'ONU e di Amnesty International, a tal riguardo, affermano che le indagini condotte dal governo di Kiev "non soddisfano i requisiti della Convenzione europea sui diritti umani " e che, dopo due anni dalla tragedia, non sono stati trovati i colpevoli poiché godono della complicità della polizia e della protezione del governo di Kiev. Ci appelliamo, pertanto, al Suo ruolo di Garante della Costituzione e alla Sua sensibilità istituzionale affinché intervenga nei modi che riterrà più opportuni, al fine di evitare il rischio che, attraverso l’onorificenza di cui sopra, si consumi una palese offesa ai principi di democrazia e al rispetto dei diritti dell’uomo. 
Auguri di buon lavoro, signor Presidente.


Primi firmatari
1. Coordinamento Ucraina Antifascista
2. Banda Bassotti
3. Lidia Menapace, partigiana, Comitato nazionale ANPI, politica, saggista
4. Licia Pinelli, Milano
5. Vittore Bocchetta, ex-deportato, antifascista, Verona
6. Luciano Perenzoni, partigiano, divisione pasubiana
7. Umberto Lorenzoni, partigiano divisione "Nannetti", Presidente provinciale ANPI Treviso
8. Riccardo Saurini, consigliere comunale, Verona
9. Gianni Benciolini, consigliere comunale, Verona
10. Valerio Evangelisti, scrittore
11. Giorgio Cremaschi, sindacalista
12. Pierpaolo Leonardi, Esecutivo nazionale USB, Segretario Generale del
Sindacato Mondiale dei Lavoratori Pubblici
13. Domenico Losurdo, professore universitario e direttore dell'Istituto di 
Scienze filosofiche e pedagogiche "Pasquale Salvucci" all'Università di 
Urbino
14. Angelo D’Orsi, professore universitario, Università di Torino
15. Massimo Zucchetti, professore universitario, Università di Torino
16. Alexander Hobel, professore universitario, Università Federico II, Napoli
17. Andrea Genovese, professore universitario, University of Sheffield (GB)
18. Daniele Butturini, professore universitario, Università di Verona
19. Giuseppe Amata, professore universitario, Università di Catania
20. Mauro Gemma, direttore Marx21
21. Sergio Cararo, direttore di Contropiano
22. Checchino Antonini, direttore di Popoff Quotidiano
23. Fabrizio Marchi, giornalista, pubblicista direttore del periodico on line L'Interferenza
24. Marco Santopadre, giornalista
25. Antonio Mazzeo, giornalista, attivista no muos
26. Franco Fracassi, scrittore, giornalista
27. Marinella Correggia, giornalista e scrittrice
28. Giuseppe Aragno, storico, Fondazione Humaniter, Napoli
29. Sandi Volk, storico, Commissione consultiva del Comune di Trieste per il Civico Museo della Risiera di S. Sabba – Monumento nazionale.
30. Banda POPolare dell'Emilia Rossa





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Italy: Veronese protest after Poroshenko made honorary citizen (RT, 11 giu 2016)
Activists rallied in Verona on Saturday following the City Council's decision to award Ukrainian President Petro Poroshenko an honorary citizenship
Verona antifascista in piazza contro la cittadinanza a Poroshenko (di Ross@ Verona, 12 giugno 2016)
La giunta comunale di Verona ha approvato la proposta del sindaco Flavio Tosi di conferire la cittadinanza onoraria al capo della giunta golpista ucraina Poroshenko, quale segno di riconoscenza per il recupero dei quadri di Castelvecchio, offendendo la nostra comune memoria antifascista.
Verona democratica e antifascista, medaglia d’oro della Resistenza, non può tollerare che venga concessa la cittadinanza onoraria  a chi, come il golpista e filo – nazista Poroshenko, nel metodo e nel merito, ha violato i principi della democrazia e del diritto internazionale con lo sterminio di migliaia di civili.
Ieri 11 giugno il Comitato veronese di solidarietà con l’Ucraina antifascista ha protestato di fronte a Palazzo Barbieri, sede del Comune, per chiedere l’immediata revoca della suddetta decisione, in nome dell’antifascismo, dell’antimperialismo, del sostegno alle repubbliche del Donbass e di Lugansk, dell’opposizione alla Nato e all’Unione Europea complice e acquiescente.


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Verona, contro la cittadinanza onoraria all’ucraino Poroshenko un appello a Mattarella

di Fabio Marcelli | 29 luglio 2016

Non si può certo dire che l’attuale presidente ucraino Petro Poroshenko sia un campione della pace, della libertà, della democrazia o dei diritti umani. Al contrario. Venuto al potere spodestando il precedente presidente Janukovich, Poroshenko, al pari del suo predecessore, fa parte del ceto di oligarchi arricchitiche è prosperato su tutto il territorio delle ex Repubbliche sovietiche nel corso degli ultimi 25 anni grazie allo sfruttamento di enormi risorse minerarie, agricole e naturali a beneficio di questa nuova casta. Però la sua ascesa al potere ha determinato un netto peggioramento della situazione dell’intera area. In primo luogo per le modalità, e cioè la pressione violenta esercitata da settori legati a formazioni apertamente neonaziste e che rivendicano piena continuità con un movimento come quello del leader nazionalista ucraino Stepan Bandera, che durante la guerra si prestò al pieno collaborazionismo con Hitler, e per tale motivo è stato ritenuto di stampo “genocida” perfino da un Parlamento come quello polacco non certo sospettabile di sinistrismo. Poroshenko si è detto“deluso” da tale decisione, dato che essa riguarda direttamente i suoi alleati nazifascisti all’interno del Parlamento ucraino.

Come si può evincere dall’intervento svolto dall’Associazione internazionale dei giuristi democratici al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni unite, tutta l’azione del governo Poroshenko è stata del resto improntata alla lotta cieca contro ogni forma di progressismo e dal tentativo di riesumare i peggiori fantasmi anticomunisti: “Il giro di vite senza precedenti su partiti politici, media indipendenti e altre voci di dissenso, nonché l’allarmante diffusione di ultra-nazionalismo, xenofobia e discorsi d’odiosono gravemente sottovalutati, se non ignorati. Il supporto e l’impunità  garantiti dal governo all’estrema destra e a gruppi neonazisti non possono essere trascurati. Questi elementi, che sono peraltro tra le cause profonde del conflitto, hanno colpito brutalmente gli avversari politici e le minoranze, provocando profonde divisioni da ricucire.  Nel suo slancio repressivo contro il dissenso, il governo, adducendo presunte minacce alla sicurezza nazionale, ha bandito media, giornalisti, libri, film e ha messo sulla lista nera artisti come Emir Kusturica, Oliver Stone, Goran Bregovic e molti altri. Il Partito comunista d’Ucraina, il principale partito d’opposizione nel Paese prima del “cambio di regime”, si è trovato sotto una crescente pressione: i suoi uffici sono stati assaliti, le sue manifestazioni proibite, i suoi membri picchiati e intimiditi. Nel luglio 2014 il ministro di Giustizia è  ricorso in sede amministrativa per bandirlo definitivamente. Il processo, caratterizzato da significativi attacchi all’indipendenza della magistratura, è tuttora in corso. E’ in corso di preparazione unelenco di monumenti e memoriali da distruggere da parte dell’Istituto della Memoria nazionale, guidato da Volodymyr Vyatrovych, ben noto nella comunità  scientifica per i suoi libri che negano i crimini di OUN-UPA, gruppi nazionalisti paramilitari ucraini che durante la seconda guerra mondiale hanno combattuto in unità  naziste come la divisione SS “Galizia”, massacrando decine di migliaia di polacchi ed ebrei. Il progetto di “cancellazione della memoria”, oltre che prominenti politici russi e ucraini, include altresì rappresentanti europei della socialdemocrazia e del movimento antifascista come Karl Liebknecht, Rosa Luxemburg, Wilhelm Pieck, Ernst Thalmann, Georgi Dimitrov e Mate Zalka”.

Il governo Poroshenko ha svolto un ruolo estremamente negativo anche dal punto di vista della pace. Con i suoi continui appelli guerrafondai alla Nato rappresenta un elemento di destabilizzazione e di crisi continua nei rapporti con la Russia. La sua ispirazione apertamente reazionaria e la presenza fra le sue file di formazioni apertamente fasciste hanno portato alla secessione della Crimea e alla crisi nel Donbass, dove la maggioranza della popolazione non intende certamente sottomettersi ai fascisti. Durante la presidenza di Poroshenko sono avvenuti, con l’evidente complicità degli apparati statali, veri e propri crimini contro l’umanità, tuttora impuniti, come l’orrenda strage di Odessa.

Per tutti questi motivi appare a dir poco bislacca l’iniziativa del sindaco leghista di Verona Flavio Tosi di conferire a Poroshenko addirittura la cittadinanza onoraria. Enti locali e regionali hanno certamente una propria sfera d’autonomia nel campo dei rapporti internazionali (si veda al riguardo lo studio che ebbi modo di pubblicare qualche anno fa nell’ambito del Rapporto annuale sullo stato del regionalismo), ma la relativa azione, inclusa l’attribuzione di titoli onorifici, deve certamente svolgersi nell’ambito dei principi fondamentali dell’ordinamento repubblicano tra i quali quello antifascista svolge tuttora un ruolo fondamentale, per non parlare del rispetto dei principi dell’ordinamento internazionale (art. 10 Costituzione) tra i quali quello della tutela dei diritti umani assume un rilievo fondamentale. Va pertanto appoggiato l’appello, che ho firmato insieme a molti altri, indirizzato al Presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, affinché intervenga per porre nel nulla questa improvvida iniziativa. Speriamo che Mattarella si ricordi di essere il Presidente di una Repubblica nata dalla Resistenza antifascista e faccia il suo dovere.


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Renzi, occhio a quei quadri (di Salvatore Merlo – 7 Settembre 2016)
Una storia tragicomica, un’epopea di potere, un mistero diplomatico. Ecco come 17 capolavori della pittura italiana sono stati rapiti in Ucraina (e c’è un riscatto)...

Valdegamberi: «Non accetto diktat dal Consolato Ucraino e riportino a Verona i quadri rubati» (ottobre 11, 2016)
Il Consolato generale dell’Ucraina a Milano ha scritto nei giorni scorsi ai consiglieri di alcune Regioni, compresa l’Emilia Romagna, una lettera di diffida a seguire l’iniziativa del consigliere veneto Stefano Valdegamberi di visitare la Crimea...

Ucraina: da Verona sola andata (14/11/2016 -  Danilo Elia)
È passato ormai un anno dal furto dei capolavori di Mantegna, Rubens, Tintoretto e altri maestri dal museo di Castelvecchio a Verona, e sei mesi dal loro ritrovamento in Ucraina. Ma le tele sono ancora a Kiev...
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Ucraina/Ucraina-da-Verona-sola-andata-175540/


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21 NOV 2016 12:49

IL MISTERO DEI QUADRI MAI TORNATI IN ITALIA - I CAPOLAVORI DI RUBENS, MANTEGNA E TINTORETTO RUBATI A CASTELVECCHIO E RITROVATI SONO A KIEV DA SEI MESI - RENZI AVEVA PROMESSO CHE SAREBBERO ARRIVATI A NOVEMBRE IN ITALIA - IL NODO DELLE RELAZIONI CON L’UCRAINA: SUI QUADRI SI STA GIOCANDO UNA PARTITA DI POLITICA INTERNAZIONALE


Andrea Pasqualetto per il Corriere della Sera

Sei mesi fa il ritrovamento nella boscaglia dell' isola di Turunciuk, sulle sponde del Dnestr, in Ucraina. Le diciassette tele, fra cui i capolavori di Tintoretto Mantegna e Rubens, erano state infilate in sacchi di plastica, pronte a prendere la via della vicina e poco penetrabile Trasnistria, terra di bande criminali ed ex agenti del Kgb nella repubblica di Moldova.

 

Era il 6 maggio scorso e la prima promessa la fece il presidente ucraino Petro Poroshenko, felice di dimostrare all' Europa l' efficienza della sua polizia di confine: «Avvieremo subito le formalità per la loro restituzione».

Il 13 giugno è stata la volta del sindaco di Verona Flavio Tosi che da Kiev, dove era volato per inaugurare al museo Khanenko la mostra temporanea delle opere d' arte trafugate la sera del 19 novembre 2015 a Castelvecchio, aveva voluto tranquillizzare la città: «Il rientro dovrebbe concludersi nell' arco di qualche settimana». Ma dopo tre mesi, ancora nulla. E visto che i quadri non tornavano a casa è sceso in campo direttamente Matteo Renzi: «Gestirò personalmente il problema: a novembre saranno in Italia».

 

Ora che è novembre ed è passato un anno dal «colpo del secolo» commissionato da un collezionista russo e messo a segno da una banda italo-moldava grazie alla complicità della guardia giurata del museo scaligero, i muri di Castelvecchio sono ancora spogli e lo stesso Tosi si vede costretto ad allargare le braccia: «I tempi si sono allungati».

 

Perché, dunque, questi dipinti del valore stimato di 17 milioni non rientrano? «Il fatto è che Poroshenko vuole portare le opere in Italia per restituirle nelle mani di Renzi. I due devono trovare una data d' incontro compatibile: speriamo sia subito dopo il referendum» aggiunge Tosi.
Il motivo per il quale il Presidente ucraino desideri essere presente alla consegna è presto detto. «Dietro c' è un fatto di politica internazionale, Poroshenko vuole creare l' evento che lo avvicini all' Europa, considerate le pressioni a cui è sottoposto. C' è di mezzo la Crimea occupata dalla Russia, i rapporti con Mosca, la guerra».

 

Sui quadri di Castelvecchio si sta dunque giocando una partita che va ben oltre la rapina. A rendere meno agevoli le cose è stata anche la missione di una delegazione della Lega Nord che in ottobre era partita con alcuni imprenditori del Nord Est alla volta proprio della Crimea. Scopo della spedizione: gettare un ponte diplomatico e d' affari con una terra colpita dal boicottaggio dell' Europa contro Mosca.

Risultato? «La delegazione ha preferito schierarsi apertamente con i responsabili della morte di decine di migliaia di ucraini...», è andato giù durissimo l' ambasciatore ucraino in Italia, Yevghen Perelygin. Per Tosi, che in giugno aveva conferito a Poroshenko la cittadinanza onoraria, le due cose corrono su binari distinti: «La missione è stata una provocazione insensata che risponde alla posizione filo russa di Salvini. Penso tuttavia che non abbia un grande peso sulla vicenda».

Getta acqua sul fuoco anche l' ambasciatore d' Italia in Ucraina, Davide La Cecilia: «Mi sentirei di escludere un collegamento. Quanto alla restituzione si sta lavorando a una data che consenta a Poroshenko di accompagnare le opere in Italia perché questa è la sua volontà». La Cecilia ha sotto controllo la situazione: «Le opere si trovano ancora al Khanenko anche se non sono più in mostra. Di tanto in tanto vado a vederle per verificare che godano di buona salute. Rassicuro tutti». L' ambasciatore cerca di stemperare la tensione ma a Verona c' è chi non ci fida: «E l' hanno fatto anche nostro concittadino...».


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Castelvecchio, i quadri non tornano. E Guarienti denuncia Poroshenko

L’avvocato veronese e le tele mai restituite: «Vista la paralisi della democrazia ho deciso di passare alle vie legali»

VERONA Quadri di Castelvecchio: dal 19 novembre 2015, giorno del furto, è passato un anno e i quadri non tornano. «Vista la paralisi della democrazia, ho deciso di passare alle vie legali», ha annunciato lunedì il noto avvocato veronese Guariente Guarienti, che nelle ultime ore ha presentato una doppia denuncia penale contro il presidente ucraino Petro Poroshenko sia alla procura di Kiev che a quella di Verona: «Anche la nostra magistratura può indagare - sostiene il legale - in quanto si tratta di reato commesso da pubblico ufficiale estero ma su corpo di reato italiano». I reati ipotizzati sono appropriazione indebita e/o ricettazione». 

21 novembre 2016

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«Poroshenko? È appropriazione indebita»

22 novembre 2016

Denunciato per ricettazione o appropriazione indebita il capo di Stato ucraino Petro Oleksijovyc Poroshenko.
La denuncia è stata depositata ieri mattina dall’avvocato Guariente Guarienti.
«I quadri sono stati ritrovati sei mesi fa in quel Paese», dice Guarienti, «da allora nonostante visite del sindaco Flavio Tosi in Ucraina, consegne di cittadinanza onoraria, svariate promesse, i nostri capolavori non ci sono stati restituiti. Se in un primo momento appare comprensibile e legittimo che il presidente Poroshenko volesse valorizzare il ritrovamento con un’esposizione nella sua capitale, dopo un anno è legittimo ritenere che il trattenimento dei quadri costituisca reato», dice l’avvocato che si è studiato anche il codice penale ucraino.
«Ho inviato la denuncia anche al procuratore della repubblica di Kiev. Riesaminata la questione credo che i procedimenti possano essere aperti sia a Verona che a Kiev. Il codice penale ucraino non prevede, per quanto abbiamo potuto capire da una traduzione del testo in inglese il delitto di ricettazione, ma indica, all’articolo 191 un’ipotesi di appropriazione indebita. Non abbiamo rinvenuto particolari esenzioni per la personalità del Capo dello Stato. L’articolo 6 recita testualmente: «Qualsiasi persona che ha commesso un reato sul territorio dell’Ucraina è penalmente responsabile, quindi io ho denunciato Poroshenko per i reati che la procura di Kiev ravviserà».

L’articolo di legge del codice penale italiano cui si appella Guarienti è invece il 7, comma uno, numero 4.
«È punito secondo la legge il cittadino italiano o straniero che commette in territorio estero (tra gli altri) i delitti commessi da pubblici ufficiali a servizio dello Stato abusando dei poteri o violando i doveri inerenti alle loro funzioni».
Non resta dunque che aspettare il rinvio a giudizio. E semmai fosse celebrato un processo, Poroshenko sarebbe contumace, visto che ci sono problemi diplomatici insormontabili per una sua venuta in Italia.
Esattamente un anno fa, il 19 novembre 2015, banditi armati con la complicità dell’unico addetto alla vigilanza presente alla chiusura del museo, si impadronirono di 17 tele, fra cui alcune di Pisanello, Caroto, Rubens, Mantegna e Tintoretto, poi rintracciate in Ucraina il 6 maggio scorso, cioè sei mesi dopo.
Un ritrovamento molto «scenografico», le tele nascoste sotto frasche fresche che li ricoprivano a malapena. La sensazione che non fosse quello il luogo in cui i quadri erano rimasti fino a quel momento.
Da allora i capolavori non sono stati restituiti all’Italia nonostante i solleciti del ministro degli Esteri Gentiloni e dello stesso presidente del Consiglio Renzi nei confronti di Poroshenko Lui aveva detto che li avrebbe fatti ritornare entro novembre.
Ma il termine ultimo è scaduto. Improbabile che i quadri arrivino nei prossimi giorni. C’è chi sostiene che il premier Renzi sia in tutt’altre faccende affacendato, impegnato com’è a promuovere il «sì» al referendum, paiono essere poca cosa le tele da riportare in patria.
Per sensibilizzare il governo s’era mosso anche il giornalista Alfredo Meocci che ha inviato mille firme al ministro Dario Franceschini per sollecitare il rientro delle opere.
Ma anche questa sollevazione popolare che aveva suscitato dibattito in città è rimasta lettera, pardon tela, morta.

Alessandra Vaccari





Sulla riabilitazione delle formazioni collaborazioniste del nazifascismo nella Bosnia musulmana si veda anche ad esempio:
Sulla continuità dell'islamismo politico bosgnacco dalla divisione SS "Handzar" a Izetbegović si veda ad esempio:



Sarajevo, a scuola di revisionismo


Un istituto scolastico a Sarajevo viene intitolato a Mustafa Busuladžić, figura controversa di intellettuale islamista, accusato di antisemitismo e giustiziato dalle autorità comuniste nel 1945

23/11/2016 -  Alfredo Sasso


Il cambio di regime in un paese porta con sé la riscrittura dello spazio pubblico. Strade, piazze, scuole, istituzioni culturali cambiano nomi, riscrivono memorie e identità, impartiscono nuovi riferimenti politici e morali ai cittadini. Nei paesi post-jugoslavi, e in Bosnia Erzegovina in particolare, questo processo è lungi dal completarsi.

A settembre, il Parlamento del Cantone di Sarajevo esaminava la proposta di intitolare la scuola primaria di Dobroševi a Mustafa Busuladžić, una figura su cui si sono formate narrative del tutto contrapposte. Brillante studioso e martire dell’identità musulmana secondo alcuni; portavoce di idee palesemente nazifasciste, antisemite e patriarcali, secondo altri. Dopo settimane di duro confronto tra i partiti politici, e aspre prese di posizione di intellettuali e accademici, la proposta è stata infine approvata il 26 ottobre, gettando nuove ombre sulla memoria collettiva in Bosnia Erzegovina e sulla sua proiezione nel presente.

Mustafa Busuladžić: chi era, chi (lo) rappresenta oggi

Nato a Trebinje nel 1914, diplomatosi alla medresa "Gazi Huzrev-Begova" di Sarajevo nel 1936, Busuladžić si occupa di letteratura, storia e pensiero islamico con posizioni apertamente tradizionaliste. Nel 1941-42, mentre la Bosnia Erzegovina è occupata dai nazifascisti ustaša dello Stato indipendente di Croazia, Busuladžić ottiene una borsa di studio in orientalistica a Roma, da dove è corrispondente per la radio croata. Tornato a Sarajevo, è militante di El-Hidaje (“La giusta via”), un movimento clericale che rivendica il ritorno ai valori islamici, collaborazionista con il regime ustaša. Poco dopo la liberazione della Jugoslavia a opera dei partigiani, nel giugno 1945, Busuladžić viene giustiziato dalle autorità comuniste dopo un processo sommario, apparentemente per la sua connivenza con le strutture ustaša, nonché per i suoi articoli che accusavano le politiche anti-musulmane dell’Unione Sovietica. Il suo corpo non fu mai ritrovato.

I sostenitori della riabilitazione di Busuladžić risaltano il suo valore intellettuale e il suo aspetto di martire. Secondo lo scrittore ultraconservatore Džemaludin Latić, si tratterebbe addirittura del “più brillante pensatore bosgnacco del XX secolo”, che avrebbe offerto una sintesi fra tradizione, spiritualità islamica e giustizia sociale, contrastando sia il comunismo, sia il fascismo. Con argomenti simili si sono espresse influenti voci dell’accademia sarajevese, come quella di Šaćir Filandra, preside della Facoltà di Scienze Politiche, che ha esaltato il suo “sguardo filosofico sui fondamenti del mondo contemporaneo”.

Infine è arrivato il consenso politico. L'SDA, il partito nazionalista al potere nella Federazione di BiH e nel Cantone di Sarajevo, ha subito appoggiato la proposta di intitolare la scuola a Busuladžić. Una scelta che non sorprende: il caso è stato utilizzato a scopi elettorali (si era nel pieno della campagna per il voto amministrativo). Inoltre, il padre fondatore del partito, Alija Izetbegović, negli anni ‘40 militava nel movimento dei Giovani Musulmani, contiguo a El-Hidaje. Va però precisato che l’iniziativa è partita dal basso, ovvero da una petizione di cittadini di Dobroševi (sobborgo nel nord-ovest di Sarajevo, dove si trova la scuola) poi seguita dal parere favorevole di consiglio di quartiere, dell’amministrazione e persino dal consiglio dei genitori dell’istituto scolastico.

Più che diretta dai vertici, la vicenda sembra svilupparsi in un contesto politico-culturale conservatore in cui è comune ritenere che l’identità bosgnacca soffra di un deficit di memoria. In questi ambienti, si adducono cause profonde risalenti al periodo jugoslavo e rimaste irrisolte dopo la guerra degli anni Novanta: debolezza delle istituzioni, complesso di inferiorità rispetto alle “altre” narrative nazionali presenti in Bosnia Erzegovina (quella serba e quella croata), immutata subalternità al discorso antifascista classico. Secondo questa visione, le riabilitazioni degli intellettuali bosgnacchi anticomunisti del passato compenserebbero questi presunti torti della memoria.

Gli scomparsi della čaršija

Alla riabilitazione di Busuladžić si sono opposti diversi intellettuali progressisti e tutti i partiti civici non-nazionalisti, che lo ricordano come un “propagatore del fascismo”, indicando l’odio etnico e di genere presente nei suoi scritti. “Qui la gente ha lottato contro gli ebrei e le loro speculazioni, frodi, prevaricazioni. Essi sono scomparsi dalla čaršija [il centro storico di Sarajevo, ndA] ma lì è rimasto il loro spirito giudeo di macchinazione, speculazione, occultamento e accumulazione delle merci, contrabbando e usura”, scriveva Busuladžić nel 1944. Nell’articolo “Il culto della nudità” (Kult golotinje) del 1943, l’autore si scagliava invece contro l’emancipazione femminile, associandola alla depravazione e alla decadenza economica. Il declino delle antiche Atene e Roma sarebbe iniziato quando la donna “ha iniziato a lasciare la casa” e abbandonato la maternità, “essenza dell’esistenza femminile”.

Il compiacimento per gli “scomparsi dalla čaršija” e la sottomissione della donna, per giunta riletti nel contesto di una città e un paese che hanno recentemente conosciuto altre pulizie etniche, ha gelato il sangue a molti. Come hanno osservato diversi commentatori, la confusa sovrapposizione tra il Busuladžić intellettuale islamista e il Busuladžić vittima individuale di un processo sommario, rende invisibili le migliaia di vittime innocenti della Seconda guerra mondiale in Bosnia Erzegovina, nonché le iniziative di solidarietà e coraggio civile che vi ebbero luogo.

Inoltre, è mancato non solo un dibattito pubblico, ma anche un confronto scientifico più esteso riguardo una figura che rimane semisconosciuta ai più, con le conseguenti manipolazioni politiche. “La prima domanda che ci si dovrebbe porre è: quali opere fanno di Mustafa Busuladžić ‘uno dei più grandi intellettuali bosgnacchi tra le due guerre mondiali?’ Per quanto mi riguarda, la risposta non è molto chiara. Penso che al centro della questione ci sia una determinata ideologia, quella dei Giovani Musulmani, e della sua rivitalizzazione nella società bosniaca, che de jure è avvenuta dal 1990, e de facto si ripropone dopo ogni tornata elettorale”, spiega a OBC Transeuropa Edin Omerčić, ricercatore presso l’Istituto di Storia dell’Università di Sarajevo.

La revisione della memoria appare uno strumento della politica per riempire i propri vuoti. Tarik Haverić, politologo impegnato da tempo nella critica ai revisionismi, e che si è dedicato proprio a un’analisi critica degli scritti di Busuladžić, ha commentato: “La destra clero-nazionalista che è al potere nei diversi livelli del paese (naturalmente non solo musulmana!) non ha nient’altro da offrire”, e dunque “legittima il proprio potere sulle sofferenze passate”. Si tratta di un processo consolidato. Nella parte croata di Mostar, vi sono diverse vie intitolate a ministri e alti ufficiali ustaša, mentre nella Republika Srpska lo “screening nazionalista” della toponomastica può dirsi completato. La scuola è un passaggio ulteriore nell’occupazione dello spazio pubblico. “Tutte le élite nazionaliste dell’ex-Jugoslavia trattano la scuola come fabbrica del loro modello di identità. L’ideologizzazione del sistema scolastico si presenta non solo a livello simbolico, con la ridenominazione, ma anche a livello sostanziale, con la politicizzazione della conoscenza attraverso le cosiddette ‘materie nazionali’”, spiega il filosofo Enver Kazaz.

A Mustafa Busuladžić, dopo la guerra degli anni '90, è già stata intitolata una via a Sarajevo. Nell'era jugoslava, quella stessa via (all'epoca un tratto più lungo) era intitolata a Fuad Midžić, partigiano musulmano e comunista. Midžić, fuggito dal lager ustaša di Jasenovac, fu ucciso a Sarajevo il 6 aprile 1945, il giorno in cui la città si liberò dal nazifascismo. Negli anni '80, Ulica Fuada Midžića diventò uno dei “simboli della Sarajevo jugoslava” perché citata in una canzone dei leggendari Zabranjeno Pušenje, emblemi dello ju-rock e della scena culturale alternativa. I componenti del gruppo vivevano proprio in quella via. Chissà se un giorno qualcuno dei ragazzi diplomati alla scuola Mustafa Busuladžić ascolterà quella canzone e si chiederà chi era Fuad Midžić, e dove era la sua via.




(italiano / english / deutsch)

NATO ohne Existenzberechtigung

1) NATO`S “Saint Trinity” (Z. Jovanović' Interview to Chinese daily newspaper “People`s Daily” / Zhenminzhibao))
2) Die NATO ist passé und Von der Leyen völlig inkompetent (L.M. De Stéfano Z. de Lenkait)


Altri testi segnalati:

Mezzi e armamenti micidiali. Servono davvero alla Difesa nazionale? (Vito Francesco Polcaro, 18.11.2016)
Portaerei, velivoli da attacco, armamenti nucleari. Le “cannoniere volanti”. Il caso dei controversi F35. Le atomiche ad Aviano. Ma l’Italia non dovrebbe ripudiare la guerra?...


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Zivadin Jovanovic, the Belgrade Forum for a World of Equals                                                                                                                                                                                           August 19th, 2016
 
 
NATO`S “Saint Trinity” – liberal capitalism, privileges of the West and uni-polar world  
 
Interview to Chinese daily newspaper “People`s Daily” (Zhenminzhibao)
 
1.  Recently NATO held its summit in Warsaw. Warsaw used to be the place to sign the Warsaw Treaty. Is there something special for NATO to choose such place to hold its summit?
 
Reply:
Choosing Warsaw for the last NATO summit reflects acceleration of NATO expansionist strategy toward East.  Poland being, after Germany, the second largest and strongest country in the Baltic region plays very important role in the implementation of this strategy. In NATO plans Poland has particular role in overseeing Baltic Sea Basin and Baltic – Anatolia (Turkey) continental belt. Poland was first country to accept USA anti- rocket shield base on its territory, dislocation of so called rotating NATO commands, troops and weaponry. Generally, in the strategy of encircling and confronting Russia, USA relies more on fidelity and anti-Russian orientation of leaderships of former Warsaw Pact member countries than on some traditional West European allies. Probably, for the same reason, some earlier important NATO summits had also been held in East European countries:  Check Republic (2002), Latvia (2006), and Rumania (2008). 
 
2.  As a counterpart of the Warsaw Treaty Organization, is there any necessity for NATO to exist? How should it transform itself in the changed situation?
 
Reply:
NATO was founded in 1949 as defensive alliance and Warsaw Pact six years later. 
Fifty years after NATO became offensive Alliance. A turning point was 1999 NATO aggression on Serbia (Yugoslavia). It was engaged in an offensive action outside territory defined by own Founding Act, against the country which did not posed any danger to any NATO member state, violating UN Charter and undermining the role of UN Security Council. Although pretending to be democratic Alliance, Parliaments of member countries never approved such transformation.  
NATO aims at achieving ultimate control of all world resources on behalf of multinational corporative capital, particularly on behalf of military-industrial, energy and financial sectors. 
Analyzing NATO evolution from defense to aggressive force since the fall of Berlin Wall and dissolution of Warsaw Pact, it may be concluded that NATO has become armed feast spreading and serving the interests of : a) neo-liberal corporate capitalism; b) world-wide privileges of the West headed by USA; and c) uni-polar world order. That`s NATO`s “Saint Trinity”. This strategy has led, among other, to: arbitrary proclaiming of national interest of major NATO member countries beyond any territorial, political or moral standards; undermining of the World order established after the Second World War, especially, the UN System; rise of global mistrust and arms race; eroding of democratic parliamentary system; and militarization of political decision making to suit the interests of military industrial sector. 
On the other side, unprecedented trends in the world towards multi-polarity, sovereignty and independence lead to conclusion that NATO aims are not achievable. Serious question – whether this is understood and accepted by NATO decision makers – remains, up to now, without convincing answer. History teaches us that imperial pattern of thinking has no firm sense of reality. And, exactly here lays the reason for great worry about our future.
Otherwise, frankly speaking, I do not believe that NATO could evolve into peace and justice-loving association. It has gone too far in reasoning that the might is right and that wherever the law blocks NATO objectives it`s got be removed. 
NATO is a relic of Cold War era. It does not serve objectives of peace, justice and sovereign equality of nations. Therefore, in my opinion, it should be dissolved as Warsaw Pact was dissolved. Being large as it is, NATO can hardly escape gradual weakening by internal divisions and conflict of interests until its final destination – history of aggressors, with all accompanying records. Current NATO problems provoked by unsuccessful coup d’état in Turkey might appear only as a peak of approaching iceberg.
                                
3.     Did the enlargement of the NATO intensify the regional security? What effect has NATO made in the security of Balkans?
 
Reply:
USA/NATO policy of expansion to the East (new “Drang nach Osten” doctrine) is just a segment of their strategy of domination and hegemony in the world. The process which has been going on for some time now in the Far East and Pacific appears as blueprint of those in Central and Eastern Europe. Don’t we also hear of arms and forces deployments there, of NATO hybrid expansion, muscles showing military exercises, lining up of USA/NATO allies, old and new ones?
To justify its existence and growing military expenditure after the end of Cold War NATO has been engaged in producing tensions, mistrust, fear and false justifications for introducing global interventionism and militarism. Wherever NATO intervened, from Afghanistan and Iraq, to Libya and Mali it was leaving behind destroyed societies, fragmented states, hundreds of thousands of killed civilians, tens of millions of refugees and displaced persons, growing terrorism, tribal and religious wars, lasting misery and despair. Europe has been and still is collective victim of USA/NATO strategy of domination. Europe pays for USA/NATO hegemonic strategy, wars, sanctions, “colored revolutions”, “export of democracy”, regime changes etc. in terms of losses of sovereignty, development opportunities, own identity and dignity.
NATO was established as a regional Alliance. In the meantime it has been expanding in all parts of the world, including Far East and Pacific, trying to dominate globally. In addition to 28 formal members from Europe and North America, it has developed other forms of association, such as “Partnership for Peace”, special partnership and other arrangements which expand NATO associates to several dozens more.  Thus, NATO today is present in almost all corners of the world including Pacific, Indian and Atlantic, including even, Sothern Atlantic (Couracao).  
Concerning Balkan, it should be noted that NATO played crucial role in fragmenting two Yugoslavia (SFRY and FRY) and even Serbia, undermining basic principles of OSCE and UN Charter. In 90-es its member countries had been helping transfer of Bin Laden`s mujahidin from Afghanistan, Chechnya, Middle East and Maghreb countries to Bosnia`s civil war. They also financed, armed and trained UCK terrorists in Serbia`s Province of Kosovo and Metohija. During 1999 military aggression on Serbia (FRY) NATO allied with UCK. Then, in 2008 NATO member countries were the first ones to recognize unilaterally proclaimed independence of the Province.  
Could all that be constructive, in the interest of stability and development? Today, USA/NATO tries to reinforce their domination in the Balkans, particularly to contain normal relations and cooperation of regional countries with traditional partners and friends like Russia and China.  
4.    
Moscow says the West is the aggressor, citing the eastward expansion of NATO. It has voiced its displeasure at the idea of any further enlargement. What do you think about it?
 
Reply: 
USA/NATO openly treats Russia as their enemy. At the same time USA/NATO military bases have been mushrooming closer to western Russian boarders (Baltic Republics, Poland). Several USA so called missile shield defense bases have been installed at the doorstep of Russia, particularly in Poland, Rumania, and Bulgaria. 
In recent years USA/NATO have established many new military bases in Europe. Today Europe hosts more foreign military bases and hardware then at the time of the peak of Cold War! The first of the large network of new bases was “Bondstil”, USA base in Serbian Province Kosovo and Metohija (under occupation) established immediately after the end of NATO 1999 aggression on Serbia (FRY). Following three USA bases were established in Bulgaria, then four in Rumania and so on, closer to the Russian boarders. Why, what for? Warsaw summit reaffirmed obligation of each member country to devise 2% of GDP for military spending thus further fueling arms race. What for? Decision was taken to dislocate new 5.000 NATO soldiers in Poland, Baltic republics, Rumania and Bulgaria. These are just liaison officers tasked to prepare conditions for dislocation of tens of thousands of forces, if and when USA/NATO decides so. What for? At the same time, NATO anti Russian propaganda is reminiscent of that of the Cold War time.
So, what else to expect from Russia than relevant answers to adequately protect own legitimate interests, first of all, security!
It is high time for western leadership, first of all USA, to recognize that military buildup,
threats to encircle Russia and China and Cold War rhetoric - lead to nowhere. Major international problems - economic and financial crisis, growing international terrorism, migration crisis, nuclear arms proliferation and all others - cannot be resolved by the logic of domination and uni-polar reasoning. The world has already changed bringing back full meaning of sovereign equality and real partnership in solving international problems. 
There must be something seriously wrong with policy makers who proclaim for enemies those whom they badly need to solve own problems.


=== 2 ===

Luz María De Stéfano Zuloaga de Lenkait, Juristin und Diplomatin a.D.

   

12.11.16

 

ZDF-Sendung „Maybrit Illner“ am 10.11.16: „Trumps Triumph - Was steht auf dem Spiel?“,

ARD-Tagesschau vom 11.11.16

 

Die NATO ist passé und Von der Leyen völlig inkompetent.

 

Verlogenheit und Untauglichkeit der CDU und der regierenden Clique bloßgestellt

Die Verlogenheit und politische Untauglichkeit der CDU und der regierenden CDU/CSU/SPD-Clique Deutschlands sind seit langem vor der Öffentlichkeit bloßgestellt. Aber der Auftritt der Verteidigungsministerin Ursula von der Leyen bei Maybrit Illner im ZDF am 10.11.16: „Trumps Triumph - Was steht auf dem Spiel?“ übertraf alles bisher dagewesene an Inkompetenz und Verlogenheit.

 

CDU-Verantwortung für den Krieg in Syrien durch Komplizenschaft mit bewaffneten Mörder-Banden nicht zu verheimlichen

Es erschreckt, wie es die Verteidigungsministerin Ursula von der Leyen fertigbringt, völlig unverfroren vor dem deutschen Publikum zu lügen, um ihre Verantwortung und die ihrer Partei für den Krieg in Syrien durch Komplizenschaft mit bewaffneten Mörder-Banden weiter zu verheimlichen. Ihr muss bekannt und bewusst sein, dass die deutsche Regierung mit ihren Waffenverkäufen nach Saudi-Arabien und Katar indirekt die Terroristen in Syrien und im Irak unterstützt, abgesehen von den Finanzströmen, die ohne Eingreifen der Regierung ungehindert von Deutschland und anderen EU-Staaten aus die Terroristen-Hauptquartiere erreichen. Auch die Unterstützung der deutschen Regierung bei der Formation illegaler Truppen in der Türkei zum Sturz der amtlichen syrischen Regierung ist inzwischen Allgemeingut. Ja, es gab sogar schon Verfassungsentwürfe, formuliert in Berlin und bezahlt vom deutschen Steuerzahler, für eine neue syrische Verfassung! Was für eine unverschämte Einmischung in die inneren Angelegenheiten Syriens, was für ein anmaßender, frecher Bruch der UN-Charta! Eine solche abstoßend verfehlte, rechtswidrige Außenpolitik gegenüber Syrien will die CDU-Ministerin in teutonischer Überlegenheitsattitüde weiter in Komplizenschaft mit Terror-Banden betreiben und dies als völlig in Ordnung und vereinbar mit dem internationalen Recht darstellen. Ausgerechnet diese unzumutbare Ministerin für Verteidigung hat auch noch die Arroganz, den neu gewählten US-Präsidenten Donald Trump in Sachen Völkerrecht und Menschenrechten belehren zu wollen, gerade die internationalen Regeln, die sie und ihre CDU-Regierung längst am brutalsten in Syrien gebrochen haben. Wann hat sie Bedenken geäußert, mit der saudischen Monarchie oder mit Katar zuammenzuarbeiten? Hat sie einmal gegen den ständigen Bruch des Völkerrechts und Brutalitäten dieser Regierungen Position bezogen?

 

Destruktives illegitimes Bündnis als „Wertegemeinschaft“ bezeichnet: Von der Leyen muss weg.

Eine solche Frau darf kein Regierungsamt repräsentieren. Sie muss weg. Für menschliche Werte hat von der Leyen nicht den Funken von Verständnis. Menschliches Mitgefühl ist Fehlanzeige bei ihr. Sie ist die Funktionärin einer Partei, die beide, sie und ihre Partei, bald von der Bildfläche zu verschwinden haben, denn sie agieren menschenfeindlich. Ein destruktives illegitimes Bündnis als „Wertegemeinschaft“ zu bezeichnen, wie es Ursula von der Leyen bei Maybrit Illner tut (10.11.), ist die superlative absurde Vorstellung einer ignoranten oder einfach dummen CDU-Politikerin. Ist es für sie ein gemeinsamer Wert, Menschen anderer Länder, die kein anderes Land angegriffen haben, zu töten, Massenmord zu betreiben, um das vermeintliche gemeinsame Interessen Willen oder aus sonst irgendeinem fabulierten Grund, wie es mit Hilfe der „Wertegemeinschaft“ NATO geschieht?

 

Friedenspolitik und europäische Sicherheitsordnung von Lissabon bis Wladiwostok

Die Zeit ist schon lange reif, die Außenpolitik Europas als Friedenspolitik zu definieren. Dazu sind aber eine Ursula von der Leyen und ihre CDU nicht in der Lage. Sie, ihre Mitarbeiter und ihre CDU-Führung sind dafür völlig inkompetent. Das hat der Auftritt von Ursula von der Leyen bei Maybrit Illner noch einmal für jeden Beobachter sehr deutlich gezeigt. Die NATO ist passé. Zu recht sagt man im Kreis des neuen gewählten Präsidenten Donald Trump, die NATO sei „überflüssig

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