Informazione
Uoči 29. novembra 1990., CIA objavljuje u N.York Times-u: „Jugoslavija će se održati još 18 mjeseci. Nije rečeno da neće izbiti ratni sukobi. Za glavnog krivca bit će proglašen Slobodan Milošević“.
* Le date da non dimenticare:
Dal 28 al 30 novembre 1943, a Jajce in Bosnia-Eezegovina, si svolge la II sessione del Consiglio Antifascista per la Liberazione del Popolo Jugoslavo (AVNOJ), nella quale si decide di fondare la Jugoslavia su basi federative e democratiche, quale comunità di popoli aventi pari diritti.
– Nella notte tra il 30. novembre e 1. dicembre 1971 Tito rende pubblica la sua dura critica nei confronti di alcuni esponenti del PC di Croazia per il loro nazionalismo.
– 1. dicembre 1918: a Belgrado il reggente Re Alessandro dichiara la formazione del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, su proposta di una delegazione di Zagabria.
La morte del grande rivoluzionario e comunista Fidel Castro
In memoria di Fidel
1) Il carteggio tra Fidel Castro e Slobodan Milošević (1999)
Fidel Castro: Il ruolo genocida della NATO (ottobre 2011 - estratto)
Fidel Castro: A Silent Complicity (October 2007)
Castro says Spain's Aznar sought to bomb Serb media (Reuters - Sep 30, 2007)
Fidel Castro on Kosovo and US tyranny (June 2007)
Dalla stessa pagina, di seguito si riportano testi
- i messaggi di Castro a Milosevic del 2 e 5 aprile 1999 e una nuova risposta.
Cuando se inicia la guerra de Estados Unidos y sus aliados de la OTAN en Kosovo, Cuba definió de inmediato su posición en la primera página del periódico Granma, el 26 de marzo de 1999. Lo hizo a través de una Declaración de su Ministerio de Relaciones Exteriores con el título de “Cuba convoca a poner fin a la injustificada agresión de la OTAN contra Yugoslavia.”
Tomo párrafos esenciales de aquella Declaración:
“Después de un conjunto de dolorosos y muy manipulados sucesos políticos, prolongados enfrentamientos armados y complejas y poco transparentes negociaciones en torno a la cuestión de Kosovo, la Organización del Tratado del Atlántico Norte lanzó al fin su anunciado y brutal ataque aéreo contra la República Federativa de Yugoslavia, cuyos pueblos fueron los que más heroicamente lucharon en Europa contra las hordas nazis en la Segunda Guerra Mundial. “Esta acción, concebida como ‘castigo al gobierno yugoslavo’, se realiza al margen del Consejo de Seguridad de la ONU. [...]
“La guerra lanzada por la OTAN reaviva los justos temores de la humanidad por la conformación de un unipolarismo insultante, regido por un imperio guerrerista, erigido a sí mismo en policía mundial y capaz de arrastrar a las acciones más descabelladas a sus aliados políticos y militares, de manera similar a como ocurriera a principios y en la primera mitad de este siglo con la creación de bloques belicistas que cubrieron de destrucción, muerte y miseria a Europa, dividiéndola y debilitándola, en tanto los Estados Unidos fortalecían su poderío económico, político y militar. “Cabe preguntarse si el uso y el abuso de la fuerza solucionarán los problemas del mundo y defenderán los derechos humanos de las personas inocentes que hoy mueren bajo los misiles y las bombas que están cayendo sobre un pequeño país de esa culta y civilizada Europa. “El Ministerio de Relaciones Exteriores de la República de Cuba condena enérgicamente esta agresión de la OTAN contra Yugoslavia, liderada por los Estados Unidos [...]
“En estos momentos de sufrimiento y dolor para los pueblos de Yugoslavia, Cuba convoca a la comunidad internacional a movilizar sus esfuerzos para poner inmediato fin a esta injustificada agresión, evitar nuevas y aún más lamentables pérdidas de vidas inocentes y permitirle a esta nación retomar la vía pacífica de las negociaciones para la solución de sus problemas internos, asunto que depende única y exclusivamente de la voluntad soberana y la libre determinación de los pueblos yugoslavos. [...]
“La ridícula pretensión de imponer soluciones por la fuerza es incompatible con todo razonamiento civilizado y los principios esenciales del derecho internacional. [...]
De continuarse por este camino, las consecuencias podrían ser impredecibles para Europa y para toda la humanidad.”
Con motivo de estos hechos, había enviado el día anterior un mensaje al presidente Milosevic, a través del embajador yugoslavo en La Habana y de nuestro embajador en Belgrado. “Le ruego comunique al presidente Milosevic lo siguiente:
"Después de analizar cuidadosamente todo lo que está sucediendo y los orígenes del actual y peligroso conflicto, nuestro punto de vista es que se está cometiendo un gran crimen contra el pueblo serbio y, a la vez, un enorme error de los agresores, que no podrán sostener, si el pueblo serbio, como en su heroica lucha contra las hordas nazis, es capaz de resistir.
“De no cesar tan brutales e injustificables ataques en pleno corazón de Europa, la reacción mundial será aún mayor y mucho más rápida que la que desató la guerra en Vietnam. “Como en ninguna otra ocasión en los últimos tiempos, poderosas fuerzas e intereses mundiales están conscientes de que tal conducta en las relaciones internacionales no puede continuar.
“Aunque no tengo relación personal con él, he meditado mucho sobre los problemas del mundo actual, creo tener un sentido de la historia, un concepto de la táctica y la estrategia en la lucha de un pequeño país contra una gran superpotencia y siento un odio profundo hacia la injusticia, por lo que me atrevo a transmitirle una idea en tres palabras:
“Resistir, resistir y resistir".
“25 de marzo de 1999.”
Fidel Castro Ruz.
1º de octubre de 2007
6:14 p.m.
di Fidel Castro Ruz - 2 ottobre 2007 - 5:32 p.m. (Fonte: Ambasciata delle Repubblica di Cuba, via email - Jugoinfo - Reflexiones del Comandante en Jefe)
Nelle sue "Riflessioni" datate lunedì 1 ottobre 2007, Fidel Castro ha scritto di un messaggio di solidarietà da lui inviato a Milosevic il 25 marzo 1999, nel corso della aggressione della NATO contro il paese di cui Milosevic era il presidente.
Il 2 ottobre 2007, lo stesso Castro ha rivelato di aver ricevuto da Milosevic il seguente testo di risposta:
“Ho ricevuto il suo messaggio del 25 marzo 1999 con interesse e sincera gratitudine. La ringrazio per le sue decise parole d’appoggio e di stimolo alla Iugoslavia, e inoltre per la condanna all’aggressione della NATO espressa da Cuba e dai suoi rappresentanti durante le sedute delle Nazioni Unite. La Repubblica Federale dI Iugoslavia è sottoposta da parte degli Stati Uniti e della NATO a un’aggressione, la più grande a livello mondiale dai tempi delle aggressioni di Hitler. È stato commesso un crimine non solo contro la Repubblica Federale di Iugoslavia quale Stato pacifico, sovrano e indipendente, bensì un’aggressione contro tutto ciò che nel mondo intero possiede un valore alle porte del XXI secolo: al sistema delle Nazioni Unite, al Movimento dei Paesi Non Allineati, alle fondamenta stesse della legalità, ai diritti umani e alla civiltà in generale. Mi sento orgoglioso di poterle comunicare che l’aggressione ha solamente reso più omogenea e ha rafforzato la determinazione dei popoli della Iugoslavia a resistere e a difendere la libertà, la sovranità e l’integrità territoriale. Le nostre forze armate e il popolo sono decisi e disposti ad assolvere il loro compito. Per questo per noi è benvenuta e, oltretutto, necessaria, la solidarietà e l’aiuto degli amici di tutto il mondo, nella maniera più ampia e forte possibile.
“Il comportamento del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite riguardo all’aggressione della NATO alla Repubblica Federale di Iugoslava rappresenta una sconfitta per le Nazioni Unite. È un segnale molto negativo e un monito importante per il mondo intero, specialmente per i paesi medi e piccoli, sebbene non lo sia solo per loro. Sono sicuro che Lei è informato di come la Repubblica Federale di Iugoslava e la Repubblica Serba si siano continuamente e sinceramente impegnate nel cercare una soluzione politica per il Kosovo e la Metohija sempre nell’interesse di tutte le comunità nazionali che vivono lì e che rispettano il nostro ordine costituzionale. La prego, signor Presidente, di far sì che l’amicizia di Cuba continui la sua azione in seno al Movimento al fine di convocare l’Ufficio di Coordinamento dei Non Allineati e che il gruppo d’amici condanni risolutamente l’aggressione della NATO alla Repubblica Federale di Iugoslavia. Sono altresì convinto che il Suo prestigio personale sarebbe di grande utilità per incoraggiare i paesi dell’America Centrale e del Sud e, più in generale, i paesi Non Allineati ad alzare la voce per esprimere una forte condanna di questa vandalica aggressione. Ancora una volta, nel ringraziare per la solidarietà e per l’appoggio alla Repubblica Federale di Iugoslavia, esprimo la speranza che rimarremo in stretto contatto. Voglia ricevere, signor Presidente, l’espressione del mio più profondo rispetto.
“Firmato Slobodan Milosevic”
(30 marzo 1999)
Testo della riflessione del Comandante in Capo Fidel Castro Ruz, dal titolo “IL 2° ED IL 3° MESSAGGIO A MILOSEVIC E LA SUA RISPOSTA”, del 4 ottobre 2007.
Il 2 aprile 1999 inviai a Milosevic, tramite la nostra Missione all’ONU, il secondo messaggio:
Il 5 aprile 1999 gli trasmisi un terzo messaggio attraverso le nostre Missioni all’ONU ed in Iugoslavia:
Lo stesso 5 aprile 1999 riceviamo la risposta di Milosevic, per mezzo del suo ambasciatore all’ONU:
“Spero che continueranno i suoi utilissimi sforzi con i capi di stato, in particolare con i leader dei paesi Non Allineati affinché comprendano l’estremo pericolo per le relazioni internazionali nel loro insieme derivante dal precedente creato dall’aggressione degli Stati Uniti e della NATO contro la sovranità e l’indipendenza di un piccolo paese. Desidero invitarla e chiederle di inviare un messaggio personale ai presidenti Mandela, Nujoma, Mugabe, Obasanjo, Rawlings e Vajpayee, per chiedere loro di condannare l’aggressione e, nel caso lo avessere già fatto, chiedere di riaffermare tale condanna affinché si continui a respingere l’aggressione allo scopo di mobilitare l’appoggio più ampio possibile dei Non Allineati alla Iugoslavia in questo momento tanto importante. Riceva i miei più sentiti e calorosi saluti. Per quanto riguarda i 3 militari nordamericani imprigionati, apprezzo molto il suo amichevole suggerimento e desidero informarla che questi soldati penetrarono, abbondantemente armati, in profondità in territorio iugoslavo servendosi di alcuni blindati. Sono in corso indagini sull’accaduto. Essi sono trattati in modo umano e serio. Il suo suggerimento è stato capito e praticamente accettato. Non abbiamo fretta di portare i soldati davanti alla giustizia. Non lo faremo ora. Forse successivamente, o forse non lo faremo. Non lo faremo in fretta."
4 ottobre 2007
6:23 p.m.
FIDEL CASTRO SUL KOSOVO
Elaborazione e traduzioni di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova.
http://www.adnki.com/index_2Level_English.php
ADN Kronos International (Italy) - 12 giugno 2007
Kosovo: Castro discute su Bush “tiranno”
Havana - Il leader di Cuba Fidel Castro ha rivolto un severo rimprovero al Presidente degli Stati Uniti George W. Bush per le sue osservazioni, riguardanti l’indipendenza del Kosovo secessionista, rilasciate domenica scorsa durante la sua visita nella capitale Albanese, Tirana.
In un documento dal titolo “Il Tiranno visita Tirana” diffuso dall’agenzia stampa di Cuba, Castro ha criticato aspramente Bush per l’appoggio espresso all’indipendenza del Kosovo, “senza il minimo rispetto per gli interessi di Serbia, Russia e dei vari paesi Europei che si sono dimostrati sensibili al destino della Provincia, che è stata lo scenario dell’ultima guerra della NATO.”
Il documento dell’ottuagenario Castro continuava così: “Bush ha ammonito la Serbia che avrebbe ricevuto aiuti economici solo appoggiando l’indipendenza del Kosovo, la culla della cultura di quel Paese. Prendere o lasciare! Bush è bramoso di affetto. Ha goduto del tutto per le accoglienze senza proteste a lui riservate in Bulgaria. Ha parlato con quei militari del Paese che hanno preso parte alle guerre in Iraq e in Afghanistan. Ha cercato di impegnarli ulteriormente per versare sangue generoso in queste guerre per la pace.”
Il lunedì, Bush aveva fatto visita alla Bulgaria – un fedele alleato degli USA – come tappa finale di un giro Europeo di otto giorni, che aveva visto la sua partecipazione al summit dei G8 in Germania, e le visite alla Repubblica Ceca, alla Polonia, all’Italia e all’Albania.
Commentando l’arrivo in settembre di più di 3.000 militari USA in una nuova base in Bulgaria, come parte della politica USA di spostare molte delle sue forze Europee più vicino al Medio Oriente, Castro ha affermato: “Da duemila a cinquemila soldati di Bush saranno movimentati a rotazione costante attraverso le tre basi militari impiantate dall’impero... Come se noi stessimo vivendo nel più felice dei mondi possibili!”
http://www.plenglish.com/article.asp?ID=%7BC9C6116D-
Prensa Latina - 14 giugno 2007
Nuove riflessioni di Fidel Castro
Havana – Il Presidente Cubano Fidel Castro si è espresso sull’appoggio dato all’Albania da parte del Presidente USA George W. Bush per il suo ingresso immediato nella NATO e sulla decisione di Bush di domandare l’indipendenza per la provincia Serba del Kosovo.
Data l’importanza, Prensa Latina riproduce integralmente le riflessioni del Presidente Cubano:
“In cerca di affetto”
Effettivamente è stata l’Albania l’unico posto dove Bush ha ricevuto un qualche affetto; per voler essere larghi, questo vale per l’accoglienza in Bulgaria dove diverse migliaia di persone lo hanno atteso sventolando bandierine Americane, comunque sembrando fredde nei suoi confronti.
L’appoggio di Bush dato all’Albania per il suo ingresso immediato nella NATO e la sua decisione di esigere l’indipendenza per la provincia del Kosovo hanno fatto diventare non pochi Albanesi un po’ pazzi.
Giornali ed altri mezzi di comunicazione riportano che molti di costoro, interrogati singolarmente, hanno risposto: “Bush è un simbolo di democrazia. Gli Stati Uniti sono i protettori della libertà dei popoli.” Migliaia di soldati e poliziotti Albanesi disarmati, condizione richiesta dalle autorità Yankee, facevano ala su due colonne, che andavano dall’aeroporto alla capitale, per più di 20 chilometri. In Europa, lo spinoso problema dell’indipendenza di una parte della Serbia è veramente controverso, e creerebbe un precedente che potrebbe essere seguito in diversi Paesi da altre regioni che reclamano la sovranità all’interno degli attuali confini.
E così l’Albania passerebbe da una situazione sociale di sinistra ad una di destra estrema.
Vivere per vedere! Vedere per credere!
La Serbia riceve un duro colpo non solo politico ma anche economico. Il Kosovo possiede il 70% delle risorse energetiche della Serbia.
Tra il 1998 e il 1999, l’anno della guerra della NATO contro la Serbia, la Provincia ha contribuito per il 70% dello zinco e dell’argento.
È stato valutato che il Kosovo possiede l’82% delle possibili riserve di questi metalli, ed inoltre le più grandi riserve di bauxite, nickel e cobalto. La Serbia perde industrie, territori e proprietà ed è lasciata sola con l’imposizione di pagare il debito estero incorso per gli investimenti in Kosovo, prima del 1998. Ho ricevuto proprio adesso un dispaccio dall’AFP che mi obbliga alla lettura di poche righe. Il comunicato letteralmente recita:
Fidel Castro
(Message over 64 KB, truncated)
Nessuna onorificenza per Poroshenko
Auguri di buon lavoro, signor Presidente.
Primi firmatari
1. Coordinamento Ucraina Antifascista
2. Banda Bassotti
3. Lidia Menapace, partigiana, Comitato nazionale ANPI, politica, saggista
4. Licia Pinelli, Milano
5. Vittore Bocchetta, ex-deportato, antifascista, Verona
6. Luciano Perenzoni, partigiano, divisione pasubiana
7. Umberto Lorenzoni, partigiano divisione "Nannetti", Presidente provinciale ANPI Treviso
8. Riccardo Saurini, consigliere comunale, Verona
9. Gianni Benciolini, consigliere comunale, Verona
10. Valerio Evangelisti, scrittore
11. Giorgio Cremaschi, sindacalista
12. Pierpaolo Leonardi, Esecutivo nazionale USB, Segretario Generale del
Sindacato Mondiale dei Lavoratori Pubblici
13. Domenico Losurdo, professore universitario e direttore dell'Istituto di
Scienze filosofiche e pedagogiche "Pasquale Salvucci" all'Università di
Urbino
14. Angelo D’Orsi, professore universitario, Università di Torino
15. Massimo Zucchetti, professore universitario, Università di Torino
16. Alexander Hobel, professore universitario, Università Federico II, Napoli
17. Andrea Genovese, professore universitario, University of Sheffield (GB)
18. Daniele Butturini, professore universitario, Università di Verona
19. Giuseppe Amata, professore universitario, Università di Catania
20. Mauro Gemma, direttore Marx21
21. Sergio Cararo, direttore di Contropiano
22. Checchino Antonini, direttore di Popoff Quotidiano
23. Fabrizio Marchi, giornalista, pubblicista direttore del periodico on line L'Interferenza
24. Marco Santopadre, giornalista
25. Antonio Mazzeo, giornalista, attivista no muos
26. Franco Fracassi, scrittore, giornalista
27. Marinella Correggia, giornalista e scrittrice
28. Giuseppe Aragno, storico, Fondazione Humaniter, Napoli
29. Sandi Volk, storico, Commissione consultiva del Comune di Trieste per il Civico Museo della Risiera di S. Sabba – Monumento nazionale.
30. Banda POPolare dell'Emilia Rossa
Verona democratica e antifascista, medaglia d’oro della Resistenza, non può tollerare che venga concessa la cittadinanza onoraria a chi, come il golpista e filo – nazista Poroshenko, nel metodo e nel merito, ha violato i principi della democrazia e del diritto internazionale con lo sterminio di migliaia di civili.
Ieri 11 giugno il Comitato veronese di solidarietà con l’Ucraina antifascista ha protestato di fronte a Palazzo Barbieri, sede del Comune, per chiedere l’immediata revoca della suddetta decisione, in nome dell’antifascismo, dell’antimperialismo, del sostegno alle repubbliche del Donbass e di Lugansk, dell’opposizione alla Nato e all’Unione Europea complice e acquiescente.
Come si può evincere dall’intervento svolto dall’Associazione internazionale dei giuristi democratici al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni unite, tutta l’azione del governo Poroshenko è stata del resto improntata alla lotta cieca contro ogni forma di progressismo e dal tentativo di riesumare i peggiori fantasmi anticomunisti: “Il giro di vite senza precedenti su partiti politici, media indipendenti e altre voci di dissenso, nonché l’allarmante diffusione di ultra-nazionalismo, xenofobia e discorsi d’odiosono gravemente sottovalutati, se non ignorati. Il supporto e l’impunità garantiti dal governo all’estrema destra e a gruppi neonazisti non possono essere trascurati. Questi elementi, che sono peraltro tra le cause profonde del conflitto, hanno colpito brutalmente gli avversari politici e le minoranze, provocando profonde divisioni da ricucire. Nel suo slancio repressivo contro il dissenso, il governo, adducendo presunte minacce alla sicurezza nazionale, ha bandito media, giornalisti, libri, film e ha messo sulla lista nera artisti come Emir Kusturica, Oliver Stone, Goran Bregovic e molti altri. Il Partito comunista d’Ucraina, il principale partito d’opposizione nel Paese prima del “cambio di regime”, si è trovato sotto una crescente pressione: i suoi uffici sono stati assaliti, le sue manifestazioni proibite, i suoi membri picchiati e intimiditi. Nel luglio 2014 il ministro di Giustizia è ricorso in sede amministrativa per bandirlo definitivamente. Il processo, caratterizzato da significativi attacchi all’indipendenza della magistratura, è tuttora in corso. E’ in corso di preparazione unelenco di monumenti e memoriali da distruggere da parte dell’Istituto della Memoria nazionale, guidato da Volodymyr Vyatrovych, ben noto nella comunità scientifica per i suoi libri che negano i crimini di OUN-UPA, gruppi nazionalisti paramilitari ucraini che durante la seconda guerra mondiale hanno combattuto in unità naziste come la divisione SS “Galizia”, massacrando decine di migliaia di polacchi ed ebrei. Il progetto di “cancellazione della memoria”, oltre che prominenti politici russi e ucraini, include altresì rappresentanti europei della socialdemocrazia e del movimento antifascista come Karl Liebknecht, Rosa Luxemburg, Wilhelm Pieck, Ernst Thalmann, Georgi Dimitrov e Mate Zalka”.
Il governo Poroshenko ha svolto un ruolo estremamente negativo anche dal punto di vista della pace. Con i suoi continui appelli guerrafondai alla Nato rappresenta un elemento di destabilizzazione e di crisi continua nei rapporti con la Russia. La sua ispirazione apertamente reazionaria e la presenza fra le sue file di formazioni apertamente fasciste hanno portato alla secessione della Crimea e alla crisi nel Donbass, dove la maggioranza della popolazione non intende certamente sottomettersi ai fascisti. Durante la presidenza di Poroshenko sono avvenuti, con l’evidente complicità degli apparati statali, veri e propri crimini contro l’umanità, tuttora impuniti, come l’orrenda strage di Odessa.
Per tutti questi motivi appare a dir poco bislacca l’iniziativa del sindaco leghista di Verona Flavio Tosi di conferire a Poroshenko addirittura la cittadinanza onoraria. Enti locali e regionali hanno certamente una propria sfera d’autonomia nel campo dei rapporti internazionali (si veda al riguardo lo studio che ebbi modo di pubblicare qualche anno fa nell’ambito del Rapporto annuale sullo stato del regionalismo), ma la relativa azione, inclusa l’attribuzione di titoli onorifici, deve certamente svolgersi nell’ambito dei principi fondamentali dell’ordinamento repubblicano tra i quali quello antifascista svolge tuttora un ruolo fondamentale, per non parlare del rispetto dei principi dell’ordinamento internazionale (art. 10 Costituzione) tra i quali quello della tutela dei diritti umani assume un rilievo fondamentale. Va pertanto appoggiato l’appello, che ho firmato insieme a molti altri, indirizzato al Presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, affinché intervenga per porre nel nulla questa improvvida iniziativa. Speriamo che Mattarella si ricordi di essere il Presidente di una Repubblica nata dalla Resistenza antifascista e faccia il suo dovere.
È passato ormai un anno dal furto dei capolavori di Mantegna, Rubens, Tintoretto e altri maestri dal museo di Castelvecchio a Verona, e sei mesi dal loro ritrovamento in Ucraina. Ma le tele sono ancora a Kiev...
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Ucraina/Ucraina-da-Verona-sola-andata-175540/
IL MISTERO DEI QUADRI MAI TORNATI IN ITALIA - I CAPOLAVORI DI RUBENS, MANTEGNA E TINTORETTO RUBATI A CASTELVECCHIO E RITROVATI SONO A KIEV DA SEI MESI - RENZI AVEVA PROMESSO CHE SAREBBERO ARRIVATI A NOVEMBRE IN ITALIA - IL NODO DELLE RELAZIONI CON L’UCRAINA: SUI QUADRI SI STA GIOCANDO UNA PARTITA DI POLITICA INTERNAZIONALE
21 novembre 2016
Denunciato per ricettazione o appropriazione indebita il capo di Stato ucraino Petro Oleksijovyc Poroshenko.
La denuncia è stata depositata ieri mattina dall’avvocato Guariente Guarienti.
«I quadri sono stati ritrovati sei mesi fa in quel Paese», dice Guarienti, «da allora nonostante visite del sindaco Flavio Tosi in Ucraina, consegne di cittadinanza onoraria, svariate promesse, i nostri capolavori non ci sono stati restituiti. Se in un primo momento appare comprensibile e legittimo che il presidente Poroshenko volesse valorizzare il ritrovamento con un’esposizione nella sua capitale, dopo un anno è legittimo ritenere che il trattenimento dei quadri costituisca reato», dice l’avvocato che si è studiato anche il codice penale ucraino.
«Ho inviato la denuncia anche al procuratore della repubblica di Kiev. Riesaminata la questione credo che i procedimenti possano essere aperti sia a Verona che a Kiev. Il codice penale ucraino non prevede, per quanto abbiamo potuto capire da una traduzione del testo in inglese il delitto di ricettazione, ma indica, all’articolo 191 un’ipotesi di appropriazione indebita. Non abbiamo rinvenuto particolari esenzioni per la personalità del Capo dello Stato. L’articolo 6 recita testualmente: «Qualsiasi persona che ha commesso un reato sul territorio dell’Ucraina è penalmente responsabile, quindi io ho denunciato Poroshenko per i reati che la procura di Kiev ravviserà».
«È punito secondo la legge il cittadino italiano o straniero che commette in territorio estero (tra gli altri) i delitti commessi da pubblici ufficiali a servizio dello Stato abusando dei poteri o violando i doveri inerenti alle loro funzioni».
Non resta dunque che aspettare il rinvio a giudizio. E semmai fosse celebrato un processo, Poroshenko sarebbe contumace, visto che ci sono problemi diplomatici insormontabili per una sua venuta in Italia.
Esattamente un anno fa, il 19 novembre 2015, banditi armati con la complicità dell’unico addetto alla vigilanza presente alla chiusura del museo, si impadronirono di 17 tele, fra cui alcune di Pisanello, Caroto, Rubens, Mantegna e Tintoretto, poi rintracciate in Ucraina il 6 maggio scorso, cioè sei mesi dopo.
Un ritrovamento molto «scenografico», le tele nascoste sotto frasche fresche che li ricoprivano a malapena. La sensazione che non fosse quello il luogo in cui i quadri erano rimasti fino a quel momento.
Da allora i capolavori non sono stati restituiti all’Italia nonostante i solleciti del ministro degli Esteri Gentiloni e dello stesso presidente del Consiglio Renzi nei confronti di Poroshenko Lui aveva detto che li avrebbe fatti ritornare entro novembre.
Ma il termine ultimo è scaduto. Improbabile che i quadri arrivino nei prossimi giorni. C’è chi sostiene che il premier Renzi sia in tutt’altre faccende affacendato, impegnato com’è a promuovere il «sì» al referendum, paiono essere poca cosa le tele da riportare in patria.
Per sensibilizzare il governo s’era mosso anche il giornalista Alfredo Meocci che ha inviato mille firme al ministro Dario Franceschini per sollecitare il rientro delle opere.
Ma anche questa sollevazione popolare che aveva suscitato dibattito in città è rimasta lettera, pardon tela, morta.
Sarajevo, a scuola di revisionismo
Un istituto scolastico a Sarajevo viene intitolato a Mustafa Busuladžić, figura controversa di intellettuale islamista, accusato di antisemitismo e giustiziato dalle autorità comuniste nel 1945
23/11/2016 - Alfredo Sasso
Il cambio di regime in un paese porta con sé la riscrittura dello spazio pubblico. Strade, piazze, scuole, istituzioni culturali cambiano nomi, riscrivono memorie e identità, impartiscono nuovi riferimenti politici e morali ai cittadini. Nei paesi post-jugoslavi, e in Bosnia Erzegovina in particolare, questo processo è lungi dal completarsi.
A settembre, il Parlamento del Cantone di Sarajevo esaminava la proposta di intitolare la scuola primaria di Dobroševi a Mustafa Busuladžić, una figura su cui si sono formate narrative del tutto contrapposte. Brillante studioso e martire dell’identità musulmana secondo alcuni; portavoce di idee palesemente nazifasciste, antisemite e patriarcali, secondo altri. Dopo settimane di duro confronto tra i partiti politici, e aspre prese di posizione di intellettuali e accademici, la proposta è stata infine approvata il 26 ottobre, gettando nuove ombre sulla memoria collettiva in Bosnia Erzegovina e sulla sua proiezione nel presente.
Mustafa Busuladžić: chi era, chi (lo) rappresenta oggi
Nato a Trebinje nel 1914, diplomatosi alla medresa "Gazi Huzrev-Begova" di Sarajevo nel 1936, Busuladžić si occupa di letteratura, storia e pensiero islamico con posizioni apertamente tradizionaliste. Nel 1941-42, mentre la Bosnia Erzegovina è occupata dai nazifascisti ustaša dello Stato indipendente di Croazia, Busuladžić ottiene una borsa di studio in orientalistica a Roma, da dove è corrispondente per la radio croata. Tornato a Sarajevo, è militante di El-Hidaje (“La giusta via”), un movimento clericale che rivendica il ritorno ai valori islamici, collaborazionista con il regime ustaša. Poco dopo la liberazione della Jugoslavia a opera dei partigiani, nel giugno 1945, Busuladžić viene giustiziato dalle autorità comuniste dopo un processo sommario, apparentemente per la sua connivenza con le strutture ustaša, nonché per i suoi articoli che accusavano le politiche anti-musulmane dell’Unione Sovietica. Il suo corpo non fu mai ritrovato.
I sostenitori della riabilitazione di Busuladžić risaltano il suo valore intellettuale e il suo aspetto di martire. Secondo lo scrittore ultraconservatore Džemaludin Latić, si tratterebbe addirittura del “più brillante pensatore bosgnacco del XX secolo”, che avrebbe offerto una sintesi fra tradizione, spiritualità islamica e giustizia sociale, contrastando sia il comunismo, sia il fascismo. Con argomenti simili si sono espresse influenti voci dell’accademia sarajevese, come quella di Šaćir Filandra, preside della Facoltà di Scienze Politiche, che ha esaltato il suo “sguardo filosofico sui fondamenti del mondo contemporaneo”.
Infine è arrivato il consenso politico. L'SDA, il partito nazionalista al potere nella Federazione di BiH e nel Cantone di Sarajevo, ha subito appoggiato la proposta di intitolare la scuola a Busuladžić. Una scelta che non sorprende: il caso è stato utilizzato a scopi elettorali (si era nel pieno della campagna per il voto amministrativo). Inoltre, il padre fondatore del partito, Alija Izetbegović, negli anni ‘40 militava nel movimento dei Giovani Musulmani, contiguo a El-Hidaje. Va però precisato che l’iniziativa è partita dal basso, ovvero da una petizione di cittadini di Dobroševi (sobborgo nel nord-ovest di Sarajevo, dove si trova la scuola) poi seguita dal parere favorevole di consiglio di quartiere, dell’amministrazione e persino dal consiglio dei genitori dell’istituto scolastico.
Più che diretta dai vertici, la vicenda sembra svilupparsi in un contesto politico-culturale conservatore in cui è comune ritenere che l’identità bosgnacca soffra di un deficit di memoria. In questi ambienti, si adducono cause profonde risalenti al periodo jugoslavo e rimaste irrisolte dopo la guerra degli anni Novanta: debolezza delle istituzioni, complesso di inferiorità rispetto alle “altre” narrative nazionali presenti in Bosnia Erzegovina (quella serba e quella croata), immutata subalternità al discorso antifascista classico. Secondo questa visione, le riabilitazioni degli intellettuali bosgnacchi anticomunisti del passato compenserebbero questi presunti torti della memoria.
Gli scomparsi della čaršija
Alla riabilitazione di Busuladžić si sono opposti diversi intellettuali progressisti e tutti i partiti civici non-nazionalisti, che lo ricordano come un “propagatore del fascismo”, indicando l’odio etnico e di genere presente nei suoi scritti. “Qui la gente ha lottato contro gli ebrei e le loro speculazioni, frodi, prevaricazioni. Essi sono scomparsi dalla čaršija [il centro storico di Sarajevo, ndA] ma lì è rimasto il loro spirito giudeo di macchinazione, speculazione, occultamento e accumulazione delle merci, contrabbando e usura”, scriveva Busuladžić nel 1944. Nell’articolo “Il culto della nudità” (Kult golotinje) del 1943, l’autore si scagliava invece contro l’emancipazione femminile, associandola alla depravazione e alla decadenza economica. Il declino delle antiche Atene e Roma sarebbe iniziato quando la donna “ha iniziato a lasciare la casa” e abbandonato la maternità, “essenza dell’esistenza femminile”.
Il compiacimento per gli “scomparsi dalla čaršija” e la sottomissione della donna, per giunta riletti nel contesto di una città e un paese che hanno recentemente conosciuto altre pulizie etniche, ha gelato il sangue a molti. Come hanno osservato diversi commentatori, la confusa sovrapposizione tra il Busuladžić intellettuale islamista e il Busuladžić vittima individuale di un processo sommario, rende invisibili le migliaia di vittime innocenti della Seconda guerra mondiale in Bosnia Erzegovina, nonché le iniziative di solidarietà e coraggio civile che vi ebbero luogo.
Inoltre, è mancato non solo un dibattito pubblico, ma anche un confronto scientifico più esteso riguardo una figura che rimane semisconosciuta ai più, con le conseguenti manipolazioni politiche. “La prima domanda che ci si dovrebbe porre è: quali opere fanno di Mustafa Busuladžić ‘uno dei più grandi intellettuali bosgnacchi tra le due guerre mondiali?’ Per quanto mi riguarda, la risposta non è molto chiara. Penso che al centro della questione ci sia una determinata ideologia, quella dei Giovani Musulmani, e della sua rivitalizzazione nella società bosniaca, che de jure è avvenuta dal 1990, e de facto si ripropone dopo ogni tornata elettorale”, spiega a OBC Transeuropa Edin Omerčić, ricercatore presso l’Istituto di Storia dell’Università di Sarajevo.
La revisione della memoria appare uno strumento della politica per riempire i propri vuoti. Tarik Haverić, politologo impegnato da tempo nella critica ai revisionismi, e che si è dedicato proprio a un’analisi critica degli scritti di Busuladžić, ha commentato: “La destra clero-nazionalista che è al potere nei diversi livelli del paese (naturalmente non solo musulmana!) non ha nient’altro da offrire”, e dunque “legittima il proprio potere sulle sofferenze passate”. Si tratta di un processo consolidato. Nella parte croata di Mostar, vi sono diverse vie intitolate a ministri e alti ufficiali ustaša, mentre nella Republika Srpska lo “screening nazionalista” della toponomastica può dirsi completato. La scuola è un passaggio ulteriore nell’occupazione dello spazio pubblico. “Tutte le élite nazionaliste dell’ex-Jugoslavia trattano la scuola come fabbrica del loro modello di identità. L’ideologizzazione del sistema scolastico si presenta non solo a livello simbolico, con la ridenominazione, ma anche a livello sostanziale, con la politicizzazione della conoscenza attraverso le cosiddette ‘materie nazionali’”, spiega il filosofo Enver Kazaz.
A Mustafa Busuladžić, dopo la guerra degli anni '90, è già stata intitolata una via a Sarajevo. Nell'era jugoslava, quella stessa via (all'epoca un tratto più lungo) era intitolata a Fuad Midžić, partigiano musulmano e comunista. Midžić, fuggito dal lager ustaša di Jasenovac, fu ucciso a Sarajevo il 6 aprile 1945, il giorno in cui la città si liberò dal nazifascismo. Negli anni '80, Ulica Fuada Midžića diventò uno dei “simboli della Sarajevo jugoslava” perché citata in una canzone dei leggendari Zabranjeno Pušenje, emblemi dello ju-rock e della scena culturale alternativa. I componenti del gruppo vivevano proprio in quella via. Chissà se un giorno qualcuno dei ragazzi diplomati alla scuola Mustafa Busuladžić ascolterà quella canzone e si chiederà chi era Fuad Midžić, e dove era la sua via.