Informazione
http://www.solidarite-internationale-pcf.fr/article-bataillon-azov-une-milice-neo-nazie-des-brigades-internationales-fascistes-finances-par-l-oli-124559517.html
TRAD.: Battaglione Azov: una milizia neo-nazista, delle brigate internazionali fasciste finanziate dall'oligarca israelo-ucraino I. Kolomoisky (PM | solidarite-internationale-pcf.over-blog.net - 17/09/2014)
http://www.resistenze.org/sito/te/po/uc/poucei21-015017.htm
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=311174112409182&set=a.266399576886636.1073741835.100005497879241&type=1
VADIM TROYAN. CAPO DELLA POLIZIA DI KIEV
Questo distinto e rassicurante signore si chiama Vadim Troyan, ha una lunga storia di militanza in varie organizzazioni neonaziste ed è noto alle cronache giudiziarie del suo paese per essere stato più volte in carcere imputato di omicidio, aggressione finalizzata all'odio razziale, furto e stupro.
Liberato durante i tumulti scoppiati in seguito alla cosiddetta "rivolta di EuroMajdan" è subito entrato a far parte del famigerato NaziBattaglione Azov, responsabile di ogni genere di atrocità e ferocia sulla popolazione civile. Grazie a questo meraviglioso curriculum il governo golpista e nazifascista ucraino, sostenuto dagli USA, dall'Unione Europea dal PD e da SEL, lo ha recentemente nominato CAPO DELLA POLIZIA della Regione di Kiev.
Vadim Troyan, deputy commander of the neo-nazi Azov Regiment and active member of the neo-nazi paramilitary organisation Patriot of Ukraine (the paramilitary wing of the SNA) has been appointed by Ukraine Minister of Interior Avakov as the head of the Kiev police. Avakov's adviser Anton Gerashchenko described the appointment as "truly revolutionary" and added that the "Idea is to appoint to senior positions of the police volunteers who came to it by their heart and soul in action!" (read neo-nazis). He added that he would be working closely with Andrey Biletsky, Azov Regiment commander and now elected member of parliament. (PICS of Vadim Troyan and two recent Patriots of Ukraine marches).
http://contropiano.org/internazionale/item/28111-tra-i-neonazisti-della-rada-ucraina-l-astro-nascente-andrej-biletskij
http://truth-out.org/speakout/item/28392-are-there-nazis-in-ukraine-a-visit-to-lviv
http://mai68.org/spip/spip.php?article6895
Les symboles SS revisités en Ukraine par les mercenaires de l'impérialisme occidental nazi (vidéo 42'') :
http://mai68.org/spip/spip.php?article7887
Ukraine - Comme Daech, les nazis de Kiev égorgent leurs victimes ! normal ils sont formés eux aussi par la CIA (vidéo 1'46) :
http://mai68.org/spip/spip.php?article8036
http://contropiano.org/internazionale/item/29790-ucraina-300-paracadutisti-usa-addestreranno-i-neonazisti-di-kiev
«Io, italiano che combatto come “foreign fighter” per l’Ucraina» (di Ilaria Morani, 12/2/2015)
Francesco F. [Fontana, notoriamente vicino a Casapound] è tornato da poco in Piemonte dalla famiglia. Ma nell’ultimo anno è stato a combattere contro i separatisti nell’Est: «Non amo la guerra, lo faccio per ideologia»...
http://www.corriere.it/esteri/15_febbraio_12/io-italiano-che-combatto-come-foreign-fighter-per-ucraina-93bcdefa-b2b0-11e4-9344-3454b8ac44ea.shtml
(fonte: LNR Today, 25.5.2015 - https://www.facebook.com/lnr.today/photos/a.1590764317856008.1073741826.1590747407857699/1594863534112753/?type=1&fref=nf )
Venerdi 22 maggio, è stato violato il database del battaglione punitivo "Azov", ai comandi di Kiev, da parte di volontari dell`InterBrigata del Sud Est.
Il documento contiene 47 pagine, intitolato: "Lista del personale del reggimento di pattuglia della polizia speciale "Azov" nella regione di Kiev, che desidera continuare il servizio sotto contratto con la Guardia Nazionale dell'Ucraina presso l`unità militare 3057 nella città di Mariupol."
Il file fornisce informazioni su 644 membri del battaglione.
Gli autori del documento riportano generalità, posizione, rango, data di nascita, numero di passaporto, e numero identificativo.
L`elenco risulta consultabile cliccando sul seguente link: http://lnr.today/AzovFull.pdf
Il Congresso Usa ha accettato emendamenti che proibiscono agli USA di addestrare combattenti del battaglione ucraino “Azov”... "E' occorso più di un anno perché il Congresso veda che questa divisione è fitta di veri nazisti che vanno in giro con emblemi delle SS e si comportano da boia sul territorio occupato"...
http://it.sputniknews.com/mondo/20150612/547939.html
Rep. John Conyers of Michigan, a veteran of the civil rights movement and longtime member of the Congressional Black Caucus, has introduced amendments to the 2015 Defense Appropriations Act to block the training of Ukraine’s fascist Azov Battalion and prevent the transfer of shoulder-fired anti-aircraft missiles, known by the acronym MANPADS, to Ukraine and Iraq. The amendments passed the House of Representatives on June 11...
Il regime ucraino, nato dalla spallata di piazza - Maidan - trasformatosi in golpe violento, fatica sempre di più a controllare i suoi cani...
http://contropiano.org/internazionale/item/31554-ucraina-la-rivolta-dei-battaglioni-neonazisti
oppure http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=121198&typeb=0&ucraina-la-rivolta-dei-battaglioni-neonazisti
Il noto fascista italiano Francesco Saverio Fontana, che ha affiancato i macellai di Pravy Sektor ed è tornato in Italia nell'impunità più completa, a Londra, insieme ad altri fascisti, cerca di impedire un presidio di solidarietà con le Repubbliche Popolari del Donbass. #donbass #donetsk #lugansk#pravysektor #naf #ukraine #russia #novorossija]
UK: *EXCLUSIVE* Far-right group disrupt Novorossiya protest outside Ukrainian embassy (Ruptly TV, 2 ago 2015)
Half a dozen people associated with the far-right Ukrainian grouping, the 'Misanthropic Division' disrupted a pro-Novorossiya protest outside the Ukrainian embassy in London, Sunday. A Misanthropic Division member, who called himself Francesca, said "the purpose of our counter-demonstration was to disrupt the pro-Novorossiya scum demonstration."
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=vQJpyK5zRxA
Meet the European Fighters Who Have Gone to War in Ukraine (August 25, 2015 - by Christopher Allen)
... While the [Azov] regiment was originally founded as a far-right paramilitary group by Andriy Biletsky, a current member of the Ukrainian parliament and founder of the Social National Assembly and Patriot of Ukraine groups (both also far-right), it has changed over time as this rag-tag paramilitary organization became a fully mechanized regiment closely affiliated with the Ukrainian government...
vice.com/read/european-british-fighters-in-ukraine-920
Come la UE e la NATO prendono parte alle operazioni di guerra nel Donbass (Sputnik, 23.08.2015)
... La cosa più importante che emerge è la constatazione effettiva della presenza di soldati e di uomini dei servizi segreti dei Paesi europei nelle unità paramilitari di volontari ucraini...
http://it.sputniknews.com/mondo/20150823/1015703.html
"Se hanno intenzione di demolire il monumento, che ci provino" ha annunciato il comandante del battaglione e membro del Parlamento Ucraino Andrey Beletsky, dopo aver schierato i propri uomini a sorvegliare giorno e notte la statua.
Durante l'occupazione di Mariupol sono state documentate innumerevoli violazioni dei diritti umani, torture ed esecuzioni che si sono riversate maggiormente sugli attivisti di sinistra, molti dei quali costretti alla fuga e che ora ingrossano le fila dei volontari novorussi.
VIDEO: www.youtube.com/watch?v=vhqiemmEjYY
http://contropiano.org/news/internazionale-news/2016/03/19/kiev-anziani-antifascisti-mettono-fuga-neonazisti-della-azov-076809
In decine di università europee la proiezione di un documentario sul battaglione Azov, un'operazione simpatia per presentare i nazisti ucraini come patrioti europei
5 unità paramilitari al sevizio dell’Esercito di Kiev, al loro interno almeno 250 foreign fighters provenienti dall’Europa. Se non saranno uccisi, prima o poi torneranno
Pensando a un foreign fighter viene in mente un giovane di sesso maschile, di età compresa tra i 19 e i 29 anni, probabilmente di origine mediorientale e musulmano, nonché associato ai preoccupanti avvenimenti in Siria e Iraq. Sì è questa l’immagine che viene in mente alla maggior parte della gente, e questo non è necessariamente sbagliato ma di certo non è una definizione accurata.
Affronta la questione Lewis Barton* sull’Huffingtonpost.uk ponendo però una domanda: “sono i combattenti del fondamentalismo islamico gli unici foreign fighters di cui l’Europa dovrebbe preoccuparsi?” La risposta per Barton è un netto “no”, e mette in guardia sulla minaccia che questi “combattenti” rappresentano per l’Europa una volta che rientreranno nei propri paesi, un pericolo sottovalutato e trascurato. Il conflitto in Ucraina, per fare un esempio, sta fornendo un terreno su cui l’addestramento di stranieri membri di gruppi di estrema destra avviene senza alcuna opposizione.
Uno dei gruppi più temuti è quello del Reggimento Azov, meglio noto come Battaglione Azov (in ucraino Батальйон A3OB), vero e proprio reparto paramilitare fondato da Andriy Biletsky, con compiti sia militari che di polizia, inquadrato nella Guardia Nazionale Ucraina e creato proprio per contrastare la guerriglia dei separatisti filo-Russia del Donbass. Oltre a contare nelle sue fila di volontari provenienti da partiti e movimenti legati all’estrema destra ucraina, questo gruppo neo-nazista vanta non meno di 250 foreign fighter provenienti da Svezia, Finlandia, paesi Baltici, Francia, Spagna e Italia, ma anche russi e canadesi, tutti volontari di chiara ispirazione nazi-fascista. Biletsky, anche membro del partito neo-nazista “Assemblea Nazional Sociale/Patrioti dell’Ucraina, ha adottato, per lo stendardo del suo esercito di mercenari, il Wolfsangel, icona nazista in uso dalle SS nella seconda guerra mondiale, mentre dallo sfondo emerge lo Schwarze Sonne, il sole nero.
“Ancora più preoccupante – secondo Barton – è la presenza di questo gruppo sui social network, con potenti materiali ideologici di estrema destra, indirizzi e numeri di telefono per contatti, tutto in lingua inglese per facilitare il processo di reclutamento e renderlo più accessibile ai potenziali foreign fighter che desiderano aderire”.
La comparsa di foreign fighters che combattono in Europa orientale non è però un fenomeno nuovo. Durante il conflitto russo-ceceno, nel 1995, ne confluirono molti nella regione. Allora perché, secondo Barton, questa volta dovremmo preoccuparci?
Il pericolo rappresentato dal ritorno in patria di un mercenario dall’Ucraina è probabilmente diverso da quello di un foreign fighters che rientra dalla Siria, ma un individuo con vedute radicali che è stato ben addestrato potrebbe commettere o contribuire ad un attentato.
Attualmente, e solo per fare un nome, Barton scrive che del Battaglione Azov fa parte un cittadino svedese, Mikael Skillt (nella foto), un cecchino preparatissimo con sette anni di esperienza nell’esercito svedese. I ribelli filo-russi hanno messo sulla sua testa una taglia di 7000 dollari per il pericolo che Skillt rappresenta, un uomo che si descrive come un “nazionalista etnico per la supremazia bianca”, con posizioni di estrema destra e un potenziale da renderlo pericolosissimo.
Un altro gruppo, delle cinque unità paramilitari ( Azova, Dnepr-1, Dnepr-1, Donbass, Aidar)
al servizio dell’Esercito ucraino, è il Battaglione Aidar, segnalato per aver commesso crimini di guerra: i media riportano abusi, rapimenti, detenzioni illegali, torture e decapitazioni.
“La brutalità del conflitto – si preoccupa Barton – potrebbe anche avere delle conseguenze sulla salute mentale del foreign fighter”. C’è la possibilità che il Ptsd (disturbo post traumatico da stress) possa colpire il mercenario di ritorno al suo paese. Una persona addestrata a commettere atroci violenze potrebbe, in particolari circostanze, tornare a commetterne”.
Ma c’è anche un’altra seria e possibile conseguenza da prendere in considerazione, quella dell’impatto e dell’influenza che il mercenario di ritorno dall’Ucraina può avere su altri simpatizzanti dell’estrema destra, oltre all’aver acquisito una preparazione logistico-militare che potrebbe condividere.
“E’ comprensibile che il problema del rientro di foreign fighters islamici abbia la precedenza, gli attacchi di Parigi hanno preso il centro della scena” scrive Barton. Il traffico dall’Europa verso Siria e Iraq è di certo superiore al flusso verso l’Ucraina. Tuttavia è sufficiente un solo “combattente” di ritorno ad organizzare un attentato devastante. In tal senso Barton ricorda gli attentati commessi in Norvegia da Anders Breivik, solitario estremista di destra xenofobo e antislamista che nel 2011, in due azioni coordinate (ad Oslo e sull’Isola di Utoya) causò la morte di 77 persone.
Barton invita quindi ad immaginare quali azioni potrebbe mettere in atto un mercenario addestratissimo al combattimento, con accesso e collegamenti per procurasi armi. Possiamo solo sperare che si presti più attenzione ai mercenari europei di estrema destra in azione in Ucraina, anche se il conflitto non sembra essere una priorità dei media mainstream, o almeno non in questo senso. “Ma – conclude Barton – finché ci sono organizzazioni disposte a sollevare la questione e a cercare di contrastare la narrativa di estrema destra, qualche speranza c’è”.
* Lewis Barton attualmente lavora per il gruppo di studio londinese per il Dialogo Strategico. Impegnato in FREE, libera iniziativa paneuropea di lotta all’estremismo di destra in Europa. Ha una laurea in War and Security Studies conseguita presso l’Università britannica di Hull.
Lo stesso giorno, Zakharcenko, mentre ricordava come il 90% della popolazione maschile della Repubblica di Donetsk abbia preso parte ai combattimenti nelle file della milizia, si è impegnato per il disarmo delle formazioni armate non riconosciute e il loro inquadramento nelle forze ufficiali. Questo, mentre la polizia militare di Donetsk liquidava un gruppo criminale dedito a rapine, estorsioni, sequestri di persona. La misura sul disarmo viene adottata per motivi di ordine pubblico, ma il provvedimento prelude a una strutturazione meno «spontanea» delle forze armate, in vista della formazione di un esercito unico della Novorossija.
Sul fronte opposto, quello dei battaglioni volontari ultranazionalisti e neonazisti ucraini, l’inglese Morning Star scriveva nei giorni scorsi che, «la peggior rinascita del fascismo in Europa avviene in Ucraina». Lo dimostrano le celebrazioni, ufficializzate dal governo, dell’anniversario del filo nazi Stepan Bandera. Lo testimonia soprattutto il fatto che oggi, «in nessun altro paese al mondo», come scrive il Morning Star, «persone che si dichiarano apertamente naziste controllano i servizi di sicurezza o occupano posizioni chiave nel Ministero degli interni o nel parlamento». È il caso del leader di Svoboda Tjagnibok e del suo pupillo Igor Miroshnishenko, classificato dal Centro Simon Wiesenthal al 5° posto tra i dieci peggiori antisemiti del mondo. È il caso del Ministro degli interni ed ex capo della Guardia nazionale Arsenij Avakov che, sostenendo il battaglione Azov, ha promosso il suo comandante Andrej Biletskij, capo della neonazista Patrioti d’Ucraina, al rango di tenente colonnello della polizia. È il caso del lancio del leader di Pravyj sektor Dmitrij Jarosh a consigliere del Capo si Stato maggiore. Ma cosa ne pensano gli ucraini? Secondo un sondaggio condotto dall’ucraino Korrespondent.net, alla domanda «Siete a favore dell’esistenza in Ucraina di battaglioni militari volontari?», il 10,6% ha risposto «Sì, sono eroi dell’Ucraina che combattono per il nostro paese»; il 22,5% «Sì, ma devono entrare ufficialmente a far parte del Ministero della difesa o di quello degli interni». Ma ben il 45% ha detto «No, sono eserciti degli oligarchi, non controllati dallo Stato» e il 21,9% «No, ai volontari si sono aggregati elementi criminali». E c’è ancora, anche in Italia, chi si entusiasma per l’alone leggendario che circonderebbe quei «volontari».
pubblicato il 26.06.15
Ecco la foto che lo dimostra.
Fabio Massimo Castaldo, Portavoce del Movimento 5 Stelle, sembra essere l'unico indignato, insieme ai suoi compagni, di alcune rappresentazioni che da qualche giorno "decorano" i corridoi del Parlamento europeo...
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http://contropiano.org/documenti/2016/06/26/sulla-parola-dordine-degli-stati-uniti-deuropa-080928
The historic Brexit vote marks a victory of the working people over the capitalist elites who have used the European Union as a means of extending their exploitation of them to the limits, and which now, along with its imperial rival and overlord, the United States, is arming and preparing for a world war with Russia...
Together with his French counterpart, the German foreign minister has announced the EU's transformation to become a "political union" and its resolute militarization for global military operations. In a joint position paper, Frank-Walter Steinmeier (SPD) and Jean-Marc Ayrault (PS) are calling for the EU's comprehensive military buildup, based on a division of labor, to enable future global military operations. Following the Brexit, the EU should, step-by-step, become an "independent" and "global" actor. All forces must be mobilized and all "of the EU's political instruments" must be consolidated into an "integrated" EU foreign and military policy. Steinmeier and Ayrault are therefore pushing for a "European Security Compact," which calls for maintaining "employable high-readiness forces" and establishing "standing maritime forces." The European Council should meet once a year as "European Security Council." Before this paper was made public, Germany's foreign minister and chancellor had made comments also promoting a German global policy and massive rearmament, possibly also with EU-support...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58954
ORIG.: DIE EUROPÄISCHE KRIEGSUNION (GFP 2016/06/28)
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59398
Il Partito Comunista di Irlanda esprime la sua solidarietà e accoglie con favore la decisione dell'elettorato britannico, con i lavoratori che hanno giocato un ruolo decisivo nel voto per lasciare l'Unione Europea... I lavoratori della Gran Bretagna hanno inviato il sonoro messaggio a Londra e Bruxelles che ne hanno abbastanza del bullismo, abbastanza dell'austerità permanente, abbastanza del fatto che gli interessi delle grandi imprese siano posti al di sopra di quelli del popolo. E' anche un significativo rifiuto delle economie da camicia di forza dell'UE. La strategia politica ed economica dell'UE è un affronto alla democrazia e alla capacità dei popoli di decidere democraticamente in merito alle priorità economiche e sociali dei loro paesi e della possibile direzione alternativa...
... BREXIT will doubtless deepen the concept of EU system based on the deprivation of authorities of national states and concentration of the authorities within the bureaucratic Brussels center which is without meaningful control. EU region has entered a long period of political instability and uncertainty. Fleeing of corporate capital from EU appears as inevitable process with all consequences for development, socio-economic aggravation and political turmoil. After illegal secession of Kosovo and Metohija in which, paradoxical, Great Britain together with USA played major role, separatism in Great Britain and the whole of Europe has got new encouragement...
Berlin is applying intense pressure in the aftermath of the Brexit, to reorganize the EU. Under the slogan, "flexible Union," initial steps are being taken to establish a "core Europe." This would mean an EU, led by a small, tight-knit core of countries, with the rest of the EU member countries being subordinated to second-class status. At the same time, the President of the European Parliament and Germany's Minister of the Economy (both SPD) are calling for the communitarization of the EU's foreign policy, reinforcement of its external borders, the enhancement of domestic repression and the creation of a "European FBI." The German chancellor has invited France's president and Italy's prime minister to Berlin on Monday to stipulate in advance, measures to be taken at the EU-summit on Tuesday. German media commentators are speaking in terms of the EU's "new directorate" under Berlin's leadership. At the same time, Berlin is intensifying pressure on London. The chair of the Bundestag's EU Commission predicts a new Scottish referendum on secession and calls for Scotland's rapid integration into the EU. German politicians in the European Parliament are exerting pressure for rapidly implementing the Brexit and reorganizing the EU. Chancellor Merkel has reiterated her veiled threat that "reconciliation and peace" in Europe are "anything but self-evident," should European countries choose to no longer be integrated in the EU...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58953)
ORIG.: FLEXIBLE UNION MIT EUROPÄISCHEM FBI (GFP 27.06.2016)
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59397
... Dall'eurocomunismo in poi l'accettazione dell'orizzonte comune europeo ha modificato una visione internazionalista nell'accettazione dell'Europa unita e delle sue istituzioni, dei suoi meccanismi, come terreno di azione nella ricerca della modifica riformista della politica europea. Un errore storico enorme...
http://www.senzatregua.it/la-lotta-del-nostro-tempo/
oppure http://www.resistenze.org/sito/os/ep/osepgf24-018110.htm
The British people's vote yesterday to take their country out of the EU is shaking up the EU, and Berlin's plans to use the EU for its own hegemonic policies. With a 72 percent turnout, 52 percent of the British voters opted to wave good-bye to the EU. This vote has a major impact on Berlin, not only because Europe's second largest economy - after Germany's - and a prominent military power will be leaving the EU and therefore no longer be available for German hegemonic policies imposed via the EU. It also can lead to a domino effect. Calls for referendums are being raised in other EU member countries. In several member countries, the EU's growing unpopularity is reinforcing centrifugal forces. The Swedish foreign minister has explicitly warned of a "spill-over effect" that could lead to a Swedish EU exit. In the German media, demands are being raised to simply ignore the referendum and let the British parliament vote in favor of remaining in the EU. Berlin has already begun reinforcing its national positions - independent of the EU...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58952
ORIG.: DER ERSTE AUSTRITT (GFP 2016/06/24)
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59396
Dagli Usa a Berlino. Cambia la leadership del capitalismo multinazionale?
La leadership del capitalismo del dopo Trump potrebbe parlare tedesco. Sono in molti oggi a scrutare dietro e intorno la visita di congedo di Barak Obama in Germania. La visita avviene, tra l'altro, nei giorni in cui la cancelliera Merkel ha fatto sapere di volersi ricandidare al governo. Osservatori acuti come Danilo Taino sul Corriere della Sera non nascondono affatto l'impressione che con la visita di Obama "il mantello di difensore della libertà e dei valori occidentali passerà alla leader tedesca". Insomma un cambiamento epocale non indifferente, per l'Europa sicuramente ma anche per le relazioni internazionali nel loro complesso.
"Trump costringe l'Unione Europea a guardarsi nello specchio", commenta Adriana Cerretelli sul Sole 24 Ore. Un'assunzione di responsabilità nella leadership dell'occidente che pone la Germania al centro, ma trascina con sè l'intera Unione Europea.
A conferma di questo possibile passaggio di testimone dagli Usa "trumpizzati" alla Germania dominus sull'Unione Europea, c'è la notizia di una sorta di supervertice a Berlino in occasione della visita di Obama. Sono infatti stati invitati Hollande, Renzi, Rajoi, e anche Theresa May, per la Gran Bretagna del dopo Brexit. Insomma le principali potenze europee converranno nella capitale tedesca e non certo per una commovente cena di commiato con Obama.
E' ormai evidente da anni come la competizione globale prima, e il picco di crisi del 2007 poi, abbiano accentuato le contraddizioni dentro le borghesie imperiali. Uniti come mai contro i lavoratori, i vari segmenti delle classi dominanti sono stati squassati e ridefiniti piuttosto bruscamente. Alcuni sono andati giù, perdendo posizioni e peso, perchè troppo legati a mercati interni depressi; altri invece hanno aumentato il loro peso proprio perchè più internazionalizzati, dunque perfettamente inseriti nella dimensione globale della competizione e degli apparati creati per gestirla.
Questo scontro è stato ben visibile nelle accelerazioni impresse dentro l'Unione Europea (di cui l'adozione l'euro è stato un fattore decisivo), che ha lasciato morti e feriti non solo tra i lavoratori e le classi popolari. E' evidente che una parte dei sentimenti antieuropeisti – come emerso con la Brexit – rappresentino anche questo tipo di contraddizioni.
Ma con l'elezione di Trump, lo scontro tra i segmenti del capitalismo più multinazionalizzati e quelli legati alla crescita o depressione dei mercati interni, si è fatta più detonante, soprattutto perchè ha avuto l'epicentro negli Stati Uniti, conferendogli così un riflesso internazionale di enormi proprozioni.
Lo stallo negli Usa indebolisce la leadership globale esercitata fino ad oggi e richiede che qualcun altro provi a prendere in mano questa fase di incertezza, di evidente transizione di fase storica.
Le ripercussioni erano già visibili neanche troppo sottotraccia nei mesi scorsi. All'indomani della Brexit britannica, l'Unione Europea aveva tolto il freno a mano e proceduto rapidamente nella definizione di un progetto comune in materia politico/militare. Su questo terreno occorre sottolineare che entro dicembre 2016 verrà definito il piano di attuazione dell'Eugs, ovvero la Strategia Globale dell'Unione Europea presentato a giugno da Lady Pesc, Federica Mogherini, in coordinamento con i quartieri generali di Bruxelles. Contestualmente si riunirà il coordinamento tra la Nato e il Seae ossia il Servizio Europea per l'Azione Esterna.
Inutile dire che su questa accelerazione nella definizione delle ambizioni e delle responsabilità globali dell'Unione Europea, un ruolo centrale lo avrà la Germania. Anche sul piano militare e strategico. Lo scorso 13 luglio è stato pubblicato il nuovo "Libro Bianco" della Bundeswehr (la Difesa tedesca). Questa edizione ha aggiunto alla politica mondiale tedesca ulteriori e più ambiziosi obiettivi rispetto a qualsiasi altro documento scritto in precedenza.
"L'orizzonte della politica di sicurezza tedesca è globale", è scritto esplicitamente nel documento, che annuncia al mondo: "Berlino, in considerazione della sua forza economica, politica e militare" intende contribuire a "plasmare attivamente il nuovo ordine mondiale". La Repubblica Federale è pronta non solo "a presentarsi nel dibattito internazionale come una forza decisiva e pragmatica", ma anche ad "assumere la leadership nella politica internazionale". Le ambizioni della politica di Berlino non si riferiscono solamente alle rotte commerciali globali su acqua, terra o in aria, ma anche "alla cibernetica, all'informazione e a allo spazio".
Un articolo scritto a quattro mani da due responsabili della Difesa tedesca, [commentato] su German Foreign Policy, ritiene che le ambizioni politiche espresse nel “Libro Bianco” sono ormai di carattere globale e in futuro dovranno essere messe in pratica e riempite di dettagli. Secondo i due dirigenti tedeschi anche l’UE si trova davanti ad una nuova fase di militarizzazione: sotto la guida tedesca, ormai apertamente proclamata, diversi capi di stato e lo stesso commissario europeo Juncker si sono pronunciati a favore della creazione di un esercito europeo.
Ormai dobbiamo dircelo con franchezza: non c'è ambizione di leadership globale senza gli strumenti per attuarla. L'aria che si respira in Europa e che spira da Berlino è questa. Prima se ne diventa consapevoli e meglio è. Ragione in più per cercare di mettersi di traverso al consolidamento del polo imperialista europeo e dei suoi apparati.
Rompere e uscire dall'Unione Europea non è un atto di egoismo nazionalista (come nei vaneggiamenti fascioleghisti), ma è un tentativo concreto di inceppare una macchina pericolosa per le popolazioni europee e per l'umanità.
16 novembre 2016
The German Bundeswehr's new "White Paper" is conceived as just a milestone in the ongoing development of German global policy and its instruments, according to an article published by Germany's leading foreign policy periodical. According to the article's two authors, who had been in charge of elaborating the "White Paper" for the German Defense Ministry, the White Paper's explicit claim to shape global policy and policy for outer space must be implemented and "brought to life" in the near future. While the German government is initiating new projects for upgrading military and "civil defense" measures, the EU is boosting its militarization: A growing number of government leaders of EU member states are supporting the creation of an EU army under openly proclaimed German leadership. According to a leading German daily, the balance sheet of recent German military involvements is "not exactly positive," but this should not discourage future military interventions. One should, however, not expect too much and harbor "illusions about rapid successes."...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58966
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59430
Verso la ‘difesa comune’. L’imperialismo europeo affila le unghie
Viviamo tempi di notevole accelerazione sul fronte degli equilibri internazionali, di cambiamenti repentini sull’onda di processi che hanno incubato per decenni, di decisioni più o meno irrevocabili. E’ il caso dell’integrazione dell’Unione Europea anche a livello militare, un progetto vecchio quanto la stessa Comunità Economica Europea e lungamente rimasto nei cassetti di qualche burocrate.
Sembra però che, dopo numerosi tentennamenti e rinvii ma anche qualche passo in avanti – perché negli ultimi anni, in realtà, molto è stato fatto in vista della creazione di una soggettività coordinata continentale anche sul fronte militare – l’acuirsi della competizione internazionale tra blocchi geopolitici e il declino della superpotenza statunitense stiano trasformando il fumoso progetto in una realtà concreta.
Difficile dire quali saranno i tempi di concretizzazione di quella che eufemisticamente i tecnocrati e gli euro burocrati chiamano ‘difesa comune’; ma a leggere quanto affermano e decidono i capofila dell’establishment dell’Unione Europea pare proprio che stavolta si stia facendo sul serio.
In effetti i passi concreti decisi dalle riunioni dei ministri degli Esteri e della Difesa tenutesi a Bratislava nel settembre scorso e direttamente a Bruxelles pochi giorni fa appaiono più che significativi. L’Unione Europea viaggia speditamente verso la costituzione di un suo esercito, di un suo meccanismo di gestione separato rispetto a quello dell’Alleanza Atlantica, di un comune quadro di intervento nelle crisi internazionali in difesa dei propri obiettivi egemonici e dei propri interessi.
Nel Consiglio Europeo degli Affari Esteri del 14 novembre scorso il consenso nei confronti delle proposte di Federica Mogherini e dei governi che recentemente hanno deciso di accelerare il passo sulla necessità di una indipendenza militare dagli Stati Uniti è stato ampio, anche più del previsto.
Fino ad ora alcuni governi dell’Europa Orientale avevano puntato i piedi contro lo sviluppo di una capacità militare europea, considerata perniciosa per la sovranità dei singoli governi sugli eserciti nazionali e in contrasto con il quasi totale controllo esercitato finora dagli Stati Uniti direttamente o attraverso la Nato. Ma la vittoria della Brexit nel referendum britannico di inizio estate ha sottratto a Londra – da sempre capofila del ‘no’ all’esercito europeo in nome della solidarietà transatlantica – il notevole potere di interdizione esercitato finora. La recente sconfitta di Hillary Clinton indebolisce inoltre la posizione e gli argomenti di quei paesi che vorrebbero continuare ad affidare il capitolo difesa ad una amministrazione statunitense in pectore che però lancia bordate contro la stessa Nato e minaccia di abbandonare a sé stessa l’ingrata e tirchia Unione Europea.
E quindi nonostante la contrarietà dei rappresentanti britannici – con un piede dentro ed un piede fuori in attesa di capire se e quando il voto popolare sulla Brexit verrà concretizzato – e i mugugni di quelli di alcuni paesi dell’Europa Orientale, i 56 ministri degli Esteri e della Difesa dei paesi membri dell’Ue hanno dato il proprio via libera alla “Global Strategy on Foreign and Security Policy”, il progetto presentato a giugno dall’Alto Rappresentante Federica Mogherini.
Si tratta, dicevamo, di passi importanti, anche se i promotori dell’accelerazione sul fronte della creazione dell’esercito e di un complesso militare-industriale europei si sono sforzati di evitare l’uso di categorie ed etichette che possano eccessivamente allarmare i governi e i settori critici.
Al di là delle denominazioni soft e degli eufemismi abilmente impiegati, il piano prevede l’implementazione di una politica militare europea unica e integrata, mirante a fronteggiare crisi esterne, ad assistere eventuali partner nello sviluppo delle loro capacità di difesa, a “proteggere” l’Unione Europea. Come si vede la proiezione esterna e le ambizioni egemoniche dell’operazione sono più che evidenti, a smentire l’utilizzo dell’assai più rassicurante termine “difesa europea”.
Il documento licenziato a Bruxelles infatti elenca una lunga serie di tipologie di interventi militari all’esterno dei confini dell’Unione: dalle operazioni in situazioni definite ad alto rischio in territori circostanti l’Unione Europea, a quelle di ‘stabilizzazione’ a quelle di ‘reazione rapida’, a quelle di sorveglianza e pattugliamento dei confini e dei mari, alle missioni di addestramento di forze militari di altri paesi ecc. Inoltre nel novero delle operazioni che l’Ue si incarica di intraprendere all’esterno dei propri confini vengono incluse quelle svolte da un certo numero di “corpi civili”, ovviamente sempre sotto il controllo dei meccanismi di gestione unitaria del comparto militare (del resto già ampiamente rodati nella gestione dell’interventismo militare europeo nei Balcani negli ultimi decenni).
Il documento evita accuratamente di parlare di ‘esercito europeo’, ma pone comunque l’accento sulla necessità di implementare e utilizzare i cosiddetti “battlegroups”, delle unità di intervento rapido formati da contingenti militari provenienti da vari paesi del continente che rispondano ad un’unica catena di comando svincolata dai singoli paesi. Infatti il piano prevede la formazione di una struttura di coordinamento europeo, un vero e proprio Quartier Generale basato a Bruxelles, incaricato di gestire un numero di missioni, operazioni ed incombenze che si annuncia in rapida crescita. L’organismo, composto di due catene di comando che agiranno di comune intesa – una pienamente militare e l’altra civile – dovrà rispondere direttamente al Comitato Politico e di Sicurezza dell’Unione Europea; non si tratta ancora dello Stato Maggiore Unificato Europeo che Francia, Germania, Italia, Spagna ed altri paesi invocano da tempo, ma poco ci manca.
Il piano europeo afferma che la Nato resta l’organismo incaricato di assicurare la difesa collettiva di tutto gli stati membri, ma che sul fronte della difesa dei cittadini da eventuali minacce esterne – terrorismo, attacchi informatici ed altro – e su quello della protezione dei confini contro l’immigrazione irregolare, la palla passa a organismi comunitari ad hoc. Di qui la conferma della creazione di un’agenzia comune per il controllo delle frontiere e dei flussi migratori e di una Guardia di Frontiera e Costiera continentali.
Per bypassare le resistenze di alcuni paesi e accelerare l’integrazione militare continentale, il piano approvato il 14 novembre, anche in questo caso su iniziativa dei paesi più importanti, prevede l’utilizzo della “Cooperazione strutturata permanente” (Pesco) prevista dal Trattato di Lisbona. Per evitare di attendere che tutti i paesi aderenti all’Ue siano e pronti ad intraprendere lo storico passo, ci si affida ad una cooperazione maggiore tra i paesi immediatamente disponibili nel campo della ricerca militare e tecnologica, dello sviluppo, della produzione e dell’ammodernamento di piattaforme e sistemi militari necessari a consentire all’esercito europeo di svolgere i compiti fissati dal documento approvato. Si sancisce di fatto anche in campo militare – così come già avvenuto in passato sul fronte della moneta unica – la strutturazione di un’Europa a due velocità, con la creazione di due diversi livelli di integrazione. Ovviamente prevedendo che i paesi ‘più lenti’ e ‘meno convinti’ prima o poi dovranno necessariamente adeguarsi al grado di integrazione maggiore i cui tempi e modi verranno dettati dai paesi del “nucleo duro” dell’Unione, cioè Francia e Germania. Un capitolo, questo, che ovviamente riguarda anche gli investimenti nell’industria militare e nel complesso militare-industriale europeo, senza il quale è difficile pensare che il progetto di un esercito continentale indipendente nei confronti di Washington e della Nato possa avere una qualche chance. A coordinare il tutto dovrebbero essere organismi come l’Agenzia di Difesa Europea e il Comitato Militare Europeo, con l’attribuzione anche alla Commissione Europea nella sua interezza e ai singoli commissari di un maggiore potere di indirizzo ed intervento in campo militare oltre che nell’orientamento della spesa e degli investimenti nel settore ‘difesa’. Inoltre il piano licenziato a Bruxelles dal Consiglio Europeo sancisce anche l’inserimento di un capitolo, nel bilancio settennale dell’Ue, dedicato alla spesa militare e alla ricerca tecnologica, oltre che la possibilità per la Banca Europea degli Investimenti di finanziare il complesso militare-industriale europeo.
Come si vede si è ampiamente superato il piano della speculazione politica e dei buoni propositi. Le ambizioni imperialiste ed egemoniche che la borghesia transnazionale europea da tempo coltiva richiedono la rapida realizzazione di strumenti e di meccanismi in grado di difenderle ed imporle nei confronti degli avversari ma anche degli alleati di un tempo, ormai di fatto dei competitori su uno scacchiere globale in cui gli attori dello scontro sono sempre più numerosi e determinati.
Qualche giorno fa, proprio a commento e a sostegno dell’importante passaggio realizzato a Bruxelles, la Ministra della Difesa italiana, Roberta Pinotti, aveva affermato che è ormai “giunto il tempo che l’Europa assuma maggiori responsabilità comuni e una propria capacità nel settore della Difesa”, indipendentemente da quello che farà il futuro presidente degli Stati Uniti Donald Trump. L'Ue dovrebbe "spendere di più e soprattutto spendere meglio. Negli ultimi 10 anni sono stati fatti dei tagli notevoli, senza precedenti, al bilancio della difesa: si sono tagliati a volte anche gli stessi assetti" ha aggiunto la Ministra Pinotti, aggiungendo che "i paesi che hanno ridimensionato (la loro spesa per la difesa, ndr), lo hanno fatto in una prospettiva esclusivamente nazionale". "In Italia, comunque – si è vantata la Ministra della Guerra del governo Renzi -, non si sta più tagliando: c'è una stabilizzazione e anche una ripresa della consapevolezza dell'importanza di investire nella difesa. Ciò detto, riuscire a integrare le nostre risorse nelle eccellenze necessarie per il futuro, che sono molto costose, credo che ci permetterebbe di spendere molto meglio e in modo molto più efficace", ha concluso il ministro.
Alle esplicite dichiarazioni dell’esponente del governo italiano fanno seguite quelle, ancora più nette e di valore strategico, contenute in un intervento del dirigente liberale belga ed europeo Guy Verhofstadt, pubblicato questa mattina sul quotidiano di Confindustria. Senza peli sulla lingua e nonostante alcuni giustificazionismi di ordine ideologico, il rappresentante dell’establishment europeo dichiara apertamente quali devono essere gli obiettivi di una politica militare comune europea che invita a rilanciare con urgenza, rivendicando esplicitamente le pretese egemoniche di Bruxelles su quello che viene considerato il proprio ‘cortile di casa’ – dal Medio Oriente all’Ucraina – in contrapposizione tanto alla Russia quanto agli Stati Uniti. Quella del liberale belga è una dichiarazione programmatica delle ambizioni e delle mire imperialiste dell’Unione Europea che ha ben poco da invidiare a quelle declamate dai neocon statunitensi nei decenni scorsi.
Ovviamente Verhofstadt addebita a Trump la responsabilità di abbandonare l'Ue a sè stessa dal punto di vista militare obbligandola a compiere un passo – l'indipendenza militare – troppe volte rimandato. Ma ovviamente la verità è che Trump potrebbe essere il primo presidente degli Stati Uniti costretto a palesare una inimicizia tra due ex alleati, Usa e Ue, che nel tempo si sono allontanati in virtù proprio della tendenziale inconciliabilità dei rispettivi interessi e della competizione sulle stesse aree di influenza (i riferimenti al Ttip da una parte e alle offese di Victoria Nuland sono nell'intervento di Verhofstadt assai indicative).
Continuare a denunciare e a contrastare il solo imperialismo di Washington, come si ostinano a fare ancora alcune aree della sinistra radicale e non, a questo punto rischia di configurarsi come un oggettivo e irresponsabile sostegno nei confronti delle ambizioni sempre più concrete dell'imperialismo europeo.
Marco Santopadre
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Perché non è più rinviabile una Difesa comune
di Guy Verhofstadt (Il Sole 24 Ore del 18 novembre 2016)
Donald Trump è stato eletto presidente degli Stati Uniti, un evento che celebra il trionfo del nativismo sull’internazionalismo. Nel confronto tra società aperte e chiuse, le seconde escono palesemente vincitrici, mentre la democrazia liberale si appresta a diventare un movimento di resistenza.
Con Trump alla Casa Bianca, gli Usa diventeranno l’ossessione di se stessi. Ormai si può affermare con certezza che il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti tra gli Stati Uniti e l’Unione europea è destinato al fallimento. Ma la presidenza Trump avrà un impatto negativo sull’Europa per molti altri aspetti. In gioco adesso c’è l’integrità territoriale dell'Ue stessa.
Trump ha detto senza mezzi termini che le sue priorità in politica estera non includono la sicurezza europea. Egli, inoltre, non riconosce la necessità strategica della Nato e ha dimostrato qualche interesse per le relazioni transatlantiche solo alludendo a dei conti in sospeso. Una presidenza Trump determinerà un cambiamento geopolitico di portata epica: per la prima volta dal 1941, l’Europa non potrà contare sull’ombrello difensivo americano e si ritroverà da sola.
L’Europa si è fin troppo crogiolata in un’esistenza facile. Durante il secolo scorso, le relazioni transatlantiche hanno tacitamente obbedito a una dinamica perversa, in base alla quale quanto più gli Usa erano attivi, tanto più l’Europa sonnecchiava. Quando gli Americani sono intervenuti all’estero, come nel caso dell’Iraq, l’Europa ha risposto con pompose prediche sull’ingerenza imperialista. E quando gli americani non sono riusciti a intervenire, o l’hanno fatto in ritardo o in modo inefficace, come in Siria e Libia, gli europei hanno invocato più leadership americana.
Quell’epoca è ormai finita. Trump sa che l’Ue ha i fondi, la tecnologia e le competenze necessarie per essere una potenza globale al pari degli Usa, e non è un suo problema che le manchi la volontà politica di sfruttare appieno il proprio potenziale.
Per troppo tempo noi europei abbiamo dato per scontato che è più economico e sicuro lasciare che gli Stati Uniti ci tolgano le castagne dal fuoco, anche quando i problemi sono in casa nostra. Con l’elezione di Trump (e considerato il discutibile retaggio dell’America in politica estera), dobbiamo abbandonare questa convinzione.
L’Ue dovrebbe interpretare l’elezione di Trump come una chiamata a riprendere in mano le redini del proprio destino. Conflitti quali la sanguinosa guerra civile in Siria e l’annessione della Crimea o l’intervento nell’Ucraina orientale da parte della Russia hanno un impatto diretto sulla sicurezza, le economie e le società degli stati membri dell’Ue. Eppure, finora sono stati i russi e gli americani, anziché gli europei, a determinare il destino dell’Ucraina, così come quello di altre zone di confine europee. L’Ue, pertanto, ha abdicato al controllo ultimo della propria sicurezza, rapporti commerciali e flussi migratori.
Nel 2014 è stata intercettata e postata sul web un’eloquente conversazione tra il vicesegretario di Stato per gli affari europei ed eurasiatici Victoria Nuland e l’ex ambasciatore americano in Ucraina Geoffrey Pyatt. Parlando della risposta Usa in Ucraina – dopo che l’ex presidente ucraino Viktor Yanukovych era fuggito in Russia – Nuland dice, «L’Ue? Si fotta». Questo è un atteggiamento che l’Europa ha consentito, e se è già grave che un funzionario dell’amministrazione Obama abbia espresso un pensiero simile, si può solo immaginare cosa succederà con Trump, che potrebbe non prendersi neppure la briga di nominare un funzionario per gli affari europei ed eurasiatici.
Ecco perché l’Ue non può più rimandare la creazione di una propria Comunità europea di difesa e lo sviluppo di una propria strategia di sicurezza. Il primo intervento dovrebbe puntare a snellire ed espandere i rapporti bilaterali e regionali, non da ultimo con e tra i paesi baltici e scandinavi, nonché tra Belgio e Paesi Bassi, e Germania e Francia. Tutte queste relazioni eterogenee vanno riunite sotto un unico comando europeo, finanziato da fondi comuni e con un sistema di approvvigionamento condiviso d
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Pagati per scendere in piazza. Gli annunci sul web, "vi diamo 15 dollari all'ora per protestare contro Trump"
Seattle, 9 novembre 2016, 24 ore dopo l'elezione di Donald Trump. Leggiamo: "Combatti l'Agenda Trump! Assumiamo attivisti a tempo pieno. Washington Can! È la più radicata associazione politica no-profit del nostro stato. Da oltre 35 anni ci battiamo a livello locale e nazionale su tematiche quali le questioni razziali, il sociale, la sanità, i diritti degli immigrati, l'equità fiscale. Siamo alla ricerca di persone motivate, che sia per un part-time o a tempo pieno. Offriamo dei posti fissi e abbiamo diverse posizioni di lavoro. Offriamo assistenza medica, ferie pagate, giorni di malattia retribuiti, aspettativa. Viaggi. La paga media varia tra i 15 e i 20 dollari l'ora".
Come facilmente si intende, trattasi di un annuncio di lavoro, anche se non è chiaro di che tipo. Piuttosto chiara è l'associazione promotrice: Washington CAN! è l'acronimo di Washington Community Action Network, una piattaforma molto vicina alla sinistra borghese statunitense. Il messaggio conclude con i recapiti del caso: "Se sei disponibile full time chiama Sol, 206-805-668. Per il part time chiama Nathan, 206-805-6678".
Philadelphia, annuncio più breve ma dello stesso tenore. Data: 5 novembre 2016. Tre giorni prima dell'elezione di Donald Trump. Leggiamo di nuovo: "Stop Trump. Assumiamo subito! Chiama oggi e inizierai domani. Paghiamo dai 15 ai 18 dollari all'ora + bonus + straordinari e garantiamo fino a 77 ore alla settimana. Rimborso benzina, turni serali e di mattina. Non è richiesta alcuna esperienza pregressa, tempo pieno o part time, posizioni per lavorare il weeekend. No raccolta fondi! Nessuna commissione! Chiama 267-606-5147".
Pittsburgh, sempre 5 novembre 2016. Medesimo annuncio, perfettamente identico a quello di Philadelphia. Cambia il numero di telefono da contattare: "Chiama il 412-417-7632". Il titolo è accattivante, si promettono 1.500 dollari a settimana (che corrispondono a oltre 5.500 euro al mese). Siamo al terzo, nel giro di una decina di giorni a cavallo con l'elezione del tycoon alla Casa Bianca. Cosa hanno in comune queste tre offerte? Primo: fermare Trump; secondo: la paga oraria (molto buona); terzo: il sito web dove sono pubblicate, vale a dire Craigslist, un database molto popolare negli Stati Uniti che ospita annunci dedicati al lavoro, eventi, acquisti, incontri.
Per mesi sono circolate voci in rete sulle manifestazioni di protesta pilotate contro Trump. Nei giorni scorsi è emerso il ruolo di MoveOn dietro la gran parte delle contestazioni sollevate a poche ore dal verdetto elettorale. Parliamo di un'altra piattaforma, che si definisce progressista e che ospita numerose petizioni sul modello di Change.org, fondata come risposta all'impeachment del presidente Bill Clinton, di area "democratica" e finanziata con decine di milioni di dollari da George Soros.
Non a caso proprio il miliardario filantropo e diversi paperoni liberal che hanno inondato con altri milioni di dollari la campagna elettorale di Hillary Clinton si riuniranno da qui a breve in una tre giorni a porte chiuse per valutare le strade con cui combattere Donald Trump. L'incontro è sponsorizzato dal club dei finanziatori Democracy Alliance e include la partecipazione di alcuni politici di spicco, da Nancy Pelosi alla senatrice Elizabeth Warren.
È impossibile affermare con certezza - come accusato anche dallo staff di Trump in queste ore - che da Portland all'Oregon, passando per Los Angeles, Denver, Minneapolis, Baltimora, Dallas e Oakland, in California, ogni singolo raduno sia stato messo in piedi come se fosse una grande fiction hollywoodiana. Ma il sospetto c'è, così com'è assai probabile che i tre annunci di cui sopra siano orientati a reclutare manifestanti per sovvertire l'ordine, democratico, degli eventi.
A tal proposito, di testimonianze ce ne sono state eccome. La più scioccante è stata quella di un uomo di nome Paul Horner, che ha confessato all'Associated Press di essere stato pagato ben 3.500 dollari per prendere parte a una contestazione anti-Trump in marzo, a Fountain Hills, Arizona.
Paul, 37 anni, ha spiegato di essere stato ingaggiato dopo aver risposto ad un annuncio su Craigslist. "Al momento del colloquio mi dissero che avevano bisogno di attori per un evento politico. Mi hanno fatto una breve intervista e ho ottenuto la parte. Non so chi fossero queste persone, la mia ipotesi è che facessero parte della campagna Clinton. Il gruppo si faceva chiamare "Le donne sono il futuro". Quando mi hanno assunto mi hanno detto che se qualcuno mi avesse fatto domande avrei dovuto iniziare a parlare di quanto sia bello e bravo Bernie Sanders".
Ma non è finita: "Quando sono arrivato alla manifestazione mi sono accorto di essere circondato da persone che avevo incontrato al colloquio. Ho parlato con alcuni di loro e ho capito che i latini li avevano pagati 500 dollari, 600 i musulmani, 750 gli afro-americani. Donne e bambini sono stati pagati la metà rispetto agli uomini, mentre i clandestini hanno preso 300 dollari. Penso di essere stato pagato più degli altri manifestanti perché ero bianco e avevo preso lezioni di lotta e boxe qualche anno prima".
Whistleblower Julian Assange has given one of his most incendiary interviews ever in a John Pilger Special, courtesy of Dartmouth Films, in which he summarizes what can be gleaned from the tens of thousands of Clinton emails released by WikiLeaks this year.
READ TRANSCRIPT: http://on.rt.com/7ty5
Un passo dell'intervista che Julian Assange ha concesso al giornalista australiano John Pilger: l'ISIS è stato pagato dai governi dell'Arabia Saudita e del Qatar, gli stessi che hanno sempre finanziato la Fondazione Clinton. L'intervista completa è qui: https://www.youtube.com/watch?v=_sbT3_9dJY4
La sconfitta della Clinton è anzitutto la sconfitta di Obama che, sceso in campo a suo fianco, vede bocciata la propria presidenza. Conquistata, nella campagna elettorale del 2008, con la promessa che avrebbe sostenuto non solo Wall Street ma anche «Main Street», ossia il cittadino medio. Da allora la middle class ha visto peggiorare la propria condizione, il tasso di povertà è aumentato, mentre i ricchi sono divenuti sempre più ricchi. Ora, presentandosi come paladino della middle class, conquista la presidenza Donald Trump, l’outsider miliardario.
Che cosa cambia nella politica estera degli Stati uniti con il cambio di guardia alla Casa Bianca? Certamente non il fondamentale obiettivo strategico di rimanere la potenza globale dominante. Posizione che vacilla sempre più. Gli Usa stanno perdendo terreno sul piano economico e anche politico rispetto alla Cina, alla Russia e ad altri «paesi emergenti». Per questo gettano la spada sul piatto della bilancia. Da qui la serie di guerre in cui Hillary Clinton ha svolto un ruolo da protagonista.
Come risulta dalla sua biografia autorizzata, fu lei che in veste di first lady convinse il consorte presidente a demolire la Jugoslavia con la guerra, iniziando la serie degli «interventi umanitari» contro «dittatori» accusati di «genocidio». Come risulta dalle sue mail, fu lei che in veste di segretaria di stato convinse il presidente Obama a demolire la Libia con la guerra e a iniziare la stessa operazione contro la Siria. Fu lei a promuovere la destabilizzazione interna del Venezuela e del Brasile e il «Pivot to Asia» statunitense in funzione anticinese. Ed è sempre stata lei, tramite anche la Fondazione Clinton, a preparare in Ucraina il terreno per il putsch di Piazza Maidan che ha dato il via alla escalation Usa/Nato contro la Russia.
Dato che tutto questo non ha impedito il relativo declino della potenza statunitense, spetta all’amministrazione Trump correggere il tiro mirando allo stesso obiettivo. Irrealistica è l’ipotesi che intenda abbandonare il sistema di alleanze incentrato sulla Nato sotto comando Usa: sicuramente però batterà i pugni sul tavolo per ottenere dagli alleati un maggiore impegno soprattutto in termini di spesa militare.
Trump potrebbe ricercare un accordo con la Russia, anche con l’intento di dividerla dalla Cina verso la quale annuncia misure economiche, accompagnate da un ulteriore rafforzamento della presenza militare Usa nella regione Asia-Pacifico.
Tali decisioni, che porteranno sicuramente ad altre guerre, non dipendono dal temperamento bellicoso di Donald Trump, ma dai centri di potere dove si trova il quadro di comando da cui dipende la stessa Casa Bianca. Sono i colossali gruppi finanziari che dominano l’economia (solo il valore azionario delle società quotate a Wall Street supera quello dell’intero reddito nazionale degli Stati uniti). Sono le multinazionali, le cui dimensioni economiche superano quelle di interi stati, che delocalizzano le produzioni nei paesi che offrono forza lavoro a basso costo, provocando all’interno chiusura di fabbriche e disoccupazione (da qui il peggioramento delle condizioni della middle class statunitense). Sono i giganti dell’industria bellica che guadagnano con le guerre.
È il capitalismo del 21° secolo, di cui gli Usa sono la massima espressione, che crea una crescente polarizzazione tra ricchezza e povertà. L’1% della popolazione mondiale possiede più del restante 99%.
Alla classe dei superricchi appartiene il neopresidente Trump, al quale il premier Renzi, in veste di Arlecchino servitore di due padroni, ha già giurato fedeltà dopo averla giurata al presidente Obama.
USA : Welcome to the Trump show
- 15 Nov 2016
The rise to power of the “real Donald Trump” has been met with fear and horror by most observers. Beyond his firebrand discourse against the elites and a campaign centered around awakening a national feeling with the slogan “Make America Great Again”, what will his policies mean for the 99% ? In order to separate truth from fiction in his programme, we have interviewed John Catalinotto, editor of the journal Workers World and keen observer of American politics.
Donald Trump will be the next president of the United States. How would you define him ?
Europeans could think of Donald Trump as a combination of the worst characteristics of Silvio Berlusconi and Marine Le Pen. He is personally rich, egotistic and arrogant. He’s taking an executive office to manage the biggest state budget and the most destructive military machine in the world. Plenty of other capitalist politicians, Republicans and Democrats, including Hillary Clinton, also support reactionary and pro-war politics, which are dangerous for the world. What’s different is that Donald Trump openly gives voice and a platform for anti-Muslim, anti-immigrant, racist and anti-women rhetoric and thus his victory promotes a mobilization of the most bigoted segments of U.S. society.
Comparing to the policies of the Obama administration, what could change for working class, afro american, latin american as well as for immigrant people?
In the United States, the working class consists of many people of Indigenous, African-American, Latin-American, east and west Asian and Pacific Island heritage, including many immigrants. The workers are men and women; they are LGBTQ. They are employed and unemployed. A large minority of workers are men of European heritage.
I would expect that Trump in the White House and the Republicans controlling both houses of Congress will mean an open attack on all workers, on their unions, on their social benefits. Something like what happened in Argentina when Macri replaced Cristina Kirchner. Something like what happened in the states of Wisconsin and also North Carolina when “Tea Party” Republicans became governors. It’s not that Clinton or even Obama promote workers’ rights, but they did not open a direct attack on these rights.
Obama deported 1-2 million undocumented workers. Trump says he will even more actively deport undocumented immigrants and his election has spread fear in the immigrant community. Trump has spoken out in support of aggressive police tactics, so we can expect Trump’s election to make the cops even more arrogant and aggressive in the Black communities. Trump vilifies Muslims and the worst racists are assaulting Muslims.
But his election has another side. Sophisticated politicians like Obama and even Clinton hide the utter decay of U.S. imperialism. Trump’s election exposes the rot. He is already recruiting his governing “team” from the cesspool of U.S. politics and media. It has aroused not only fear but rage. Tens of thousands of people have come into the streets, many who never demonstrated before in their lives. They now know they cannot remain neutral. They have been propelled to take a stand. Some feel personally under attack by a Trump presidency. Some feel solidarity with groups that are the direct targets and will join organizations that defend them. Whatever the initial spark, once they are in motion their lives can change. It is our job, as revolutionaries, to give direction to that change.
How was the mainstream media coverage of Trump’s campaign ? Is Trump the tree that hides the forest?
There are different wings of what I would call the corporate media. There is an establishment media: Wall Street Journal, New York Times, Washington Post, Los Angeles Times, the broadcast TV news and CNN and MSNBC. There is a large ultra-right wing media: Fox News, Murdoch’s newspapers, radio talk shows.
In the beginning of Trump’s campaign he got enormous free publicity from both wings of the corporate media. This was partly driven by Trump’s position as a bizarre billionaire celebrity. Covering him made profits for the media. Plus it injected a good dose of reactionary ideology into the campaign. It created a reactionary “populist” alternative to Bernie Sanders’ campaign.
Regarding what comes next, one thing for sure is that Trump is incapable of “bringing jobs back to the U.S.” by renegotiating or breaking trade pacts. The industrial jobs are gone less because of globalization than because of the inexorable technological advance of capitalist industry. The economic crisis will deepen. Capitalism is at a dead end. The left must find a way to defend the most oppressed sectors of the working class – more than that, it is these sectors that will provide leadership – and unite the whole class first against the reactionary Trump policies and then against the whole rotten capitalist system.
What can we expect from his foreign policy?
Actually the decline of U.S. imperialism pushes the government toward adventurous wars no matter who the president is. Obama campaigned to end wars, but has intervened in at least seven countries with military forces and many more through subversion. Hillary Clinton is a pro-Pentagon warmonger. Trump is more erratic, a loose cannon, even though he claims to be ready to negotiate with Russia. He also says he wants to break the deal with Iran and with Cuba. And impose tariffs on China. We must be ready to oppose all new wars.
So you believe he will just follow the same course?
Both Trump and Clinton, both the establishment Republicans and the establishment Democrats and even the Bernie Sanders wing serve the interests of U.S. imperialism. Imperialism is not a policy of a group of politicians. It is an economic system that means the domination of finance capital. The current failure of this system to generate profits by relatively peaceful measure means that whoever is at the helm of U.S. imperialism has enormous pressures driving them toward war.
Everyone who is aware of the events of the last decade knows that Hillary Clinton supported all the wars: against Afghanistan, Iraq, Libya, Syria, the subversion against Venezuela and other progressive nationalist governments in Latin America. If they follow closely, they know that even though Obama came into office with plans to end the U.S. interventions in Afghanistan and Iraq, the Pentagon pushed him to first increase troops in Afghanistan and that the U.S. has now begun to reintroduce troops into Iraq. In Syria a temporary agreement between the U.S. and Russia was almost immediately sabotaged by a military attack that had the support of elements of the U.S. state apparatus, certainly of the Pentagon.
Trump has never been involved in U.S. foreign policy decisions so he has no track record. What he said during the election campaign was aimed at what he believed would help his chances for elections. It may have little to no relation to what he actually does in office. Sometimes what he says in the beginning of one sentence is contradicted by what he says at the end of the sentence. He said the U.S. will recognize Jerusalem as capital of Israel, that he will break the deal with Iran and with Cuba. He also said he would follow a more open policy of negotiations with Russia. I doubt any serious government has confidence in his words of peace. We in the small pro-communist movement here certainly have no confidence he will wage a less aggressive policy. We need to build a movement here that can fight both U.S. imperialism abroad and his reactionary policies at home.
And how should this movement emerge?
There is a certain amount of confusion in the anti-imperialist movement in Europe about Trump’s role. One can understand the Schadenfreude about Clinton’s defeat. They all know how aggressive Clinton is. They may have given up on the U.S. working class. But we in the United States need to develop a movement against U.S. wars. We can only do it if the most oppressed sectors of the U.S. working class not only join in but lead this struggle. Those abroad who gloat over Trump’s victory alienate the immigrants, the Black population, the activist women, the LGBTQ people, the Muslims, all who fear a Trump presidency or better, are moved to rage against a president who is “not their president.”
The only positive thing that came out of this disgusting 18-month-long bourgeois election is that thousands of people have been demonstrating day after day since the election against the new president. Some may be for Hillary Clinton for some misguided reasons, but mainly those in the streets are against Trump and all he stands for. They are not in the streets because he says he’ll negotiate with Russia. Those here who want to fight imperialist war have to be in the streets with all these people. They are frightened, they are angry, they are going through a change, they are reexamining all their ideas. We have to be with them to try to win them to fight not only Trump’s racism, sexism and xenophobia but all imperialist war.
John Catalinotto has been active in anti-imperialist politics since the October Missile Crisis in 1962. Since 1982, he has been managing editor of Workers World, the last pro-communist newspaper still published weekly in print in the USA. He was a co-organizer of the Yugoslavia War Crimes Tribunal in New York in June 2000 and the Iraq War Crimes Tribunal in New York in 2004, both with the International Action Center, a U.S.-based organization founded by Human Rights activist Ramsey Clark. He has edited and contributed to two books, Metal of Dishonor about depleted uranium and Hidden Agenda: the U.S.-NATO Takeover of Yugoslavia. He has an upcoming book, Turn the Guns Around: Mutinies, Soldier Revolts and Revolutions.
Alex Anfruns is a lecturer, journalist and editor-in-chief of independent media outlet Investig’Action in Brussels. In 2007 he helped direct the documentary “Palestina, la verdad asediada. Voces por la paz” (available with catalan, spanish, english and arabic subtitles). Between 2009 and 2014 he made several trips to Egypt and the occupied Palestinian territories. He has edited the monthly Journal de Notre Amérique since 2015.
Source: Investig’Action
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