Informazione

(english / français / italiano)

Distribution d’armes à l’opposition syrienne depuis les Balkans

1) BALKAN ARMS TRADE. A dossier by BIRN (LINKS) / Armi: Balcani, canale da 1.2 miliardi di euro verso il Medio Oriente
2) Balkans Arms Airline. Un trafic bien organisé entre Balkans et Moyen-Orient
3) Montenegro: boom dell'export di armi


Sui paesi ex-jugoslavi come retrovia strategico dello squartamento della Siria si vedano anche:
ARMI DA CROAZIA, BOSNIA E KOSOVO PER I TERRORISTI ANTI-SIRIANI (JUGOINFO del 2.3.2013)
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/7606
SUI TERRORISTI SIRIANI ADDESTRATI DALL'UCK IN KOSOVO:
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/7516
http://www.voltairenet.org/article176855.html
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/7354
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7350
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7339


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BALKAN ARMS TRADE
Making a Killing: The 1.2 Billion Euro Arms Pipeline to Middle East (Lawrence Marzouk, Ivan Angelovski and Miranda Patrucic, BIRN, 27 lug 2016)
An unprecedented flow of weapons from Central and Eastern Europe is flooding the battlefields of the Middle East...

Read the documents behind the investigation here:
1) Documents related to the legality of the arms trade 
http://birnsource.com/en/folder/222
2) Contracts and end-user certificates related to arms sales 
http://birnsource.com/en/folder/223
3) Flights carrying ammunition between Saudi Arabia and Turkey
http://birnsource.com/en/folder/225
4) Weapons flights between Central and Eastern Europe and the Middle East
http://birnsource.com/en/folder/226
5) US arms shipments from Balkan Back Sea ports to Turkey and Jordan
http://birnsource.com/en/folder/227
6) US Department of Defense buy-up of Balkan weapons and ammunition

Making a Killing (Birn Balkans, 27 lug 2016)
Central and Eastern European governments have directed an unprecedented flow of weapons and ammunition to four key backers of Syria’s armed opposition since the escalation of the bloody civil war in 2012.
A yearlong investigation by the Balkan Investigative Reporting Network (BIRN) and the Organized Crime and Corruption Reporting Project (OCCRP) reveal for the first time the emergence of an €1.2 billion arms pipeline fueling conflict in the Middle East, causing untold human suffering.  
It is a trade that is almost certainly illegal, experts say.

Arms Exports to Middle East: A Question of Legality (Lawrence Marzouk, Aubrey Belford and Joshua Futtersak, BIRN, 27 lug 2016)
Human rights and arms experts believe some of Central and Eastern Europe’s weapons trade with Saudi Arabia, the region’s principal supplier of weapons to Syria, is likely breaking international law...
http://www.balkaninsight.com/en/article/arms-exports-to-middle-east-a-question-of-legality-07-26-2016

Serbia PM Defends Lucrative Saudi Arms Sales (Jelena Cosic, BIRN, 2 ago 2016)
Serbia’s prime minister brushed aside criticism of his country’s controversial arms trade with Saudi Arabia, arguing that he “adores” weapons exports because they boost the state coffers...

Montenegro Opens Weapons Supply Line to Saudi Arabia (Dusica Tomovic, BIRN, 3 ago 2016)
An arms broker who sold almost 300 tonnes of aging Yugoslav-era weapons and ammunition to Saudi Arabia says “It’s no concern of mine” if the Gulf kingdom later diverts them to Syria...
http://www.balkaninsight.com/en/article/montenegro-opens-weapons-supply-line-to-saudi-arabia-08-02-2016


--- IN ITALIANO:


Armi: Balcani, canale da 1.2 miliardi di euro verso il Medio Oriente


Un team di giornalisti investigativi ha scoperto numerosi voli aerei impiegati per trasportare migliaia di tonnellate di armi e munizioni, utilizzate poi nei conflitti in Medio Oriente

(Originariamente pubblicato da OCCRP  , 27 luglio 2016, titolo originale “Making a Killing: The €1.2 Billion Arms Pipeline to Middle East  ”)

Mentre Belgrado dormiva, nella notte del 28 novembre 2015, gli enormi motori turbofan di un cargo bielorusso Ruby Star Ilyushin II-76 ruggivano in partenza. La sua stiva era carica di armi destinate a conflitti lontani.

Alzandosi dalla pista dell'aeroporto Nikola Tesla, il massiccio aereo perforava la nebbia serba per dirigersi verso Jeddah, in Arabia Saudita.

È stato uno degli almeno 68 voli - scoperti dal Balkan Investigative Reporting Network (BIRN) e dall’Organized Crime and Corruption Reporting Project (OCCRP) - che in soli 13 mesi hanno trasportato migliaia di tonnellate di armi e munizioni dall'Europa centro-orientale agli stati del Medio Oriente e alla Turchia, che, a loro volta, le inoltravano verso le brutali guerre civili in Siria e Yemen. I voli sono solo una piccola parte di quei 1,2 miliardi di euro di armi passati attraverso i Balcani dal 2012, quando parte della primavera araba si è trasformata in conflitti armati.

Nel frattempo, negli ultimi due anni, mentre migliaia di tonnellate di armi volavano verso sud, centinaia di migliaia di rifugiati scappavano verso nord, da conflitti che hanno ucciso più di 400.000 persone. Ma mentre l'Europa ha chiuso la rotta dei rifugiati, il corridoio da miliardi di euro di armi verso il Medio Oriente, spedite in aereo e nave, rimane aperto e altamente lucrativo.

Secondo gli esperti di armi e diritti umani si tratta di un commercio che è quasi certamente illegale.

"I fatti fanno pensare ad uno spostamento sistematico di armi verso gruppi armati accusati di gravi violazioni dei diritti umani. Se così fosse, i trasferimenti sono illegali secondo il 'Trattato delle Nazioni Unite sul Commercio di Armi' e il diritto internazionale, e quindi devono cessare immediatamente", ha dichiarato Patrick Wilcken, un ricercatore sul controllo di armi di Amnesty International, che ha esaminato le prove raccolte dai giornalisti.

Ma con centinaia di milioni di euro in gioco e fabbriche regionali di armi che lavorano a ritmi forzati, vi è un forte incentivo nel lasciare fiorire il business. Sono state concesse numerose licenze di esportazione di armi, che dovrebbero garantire la destinazione finale delle merci, nonostante svariate prove che le armi vengono inoltrate verso gruppi armati sia siriani che di altre nazionalità, accusati di abusi e diffuse atrocità in violazione dei diritti umani.

Robert Stephen Ford, ambasciatore degli Stati Uniti in Siria tra il 2011 e il 2014, ha dichiarato a BIRN e OCCRP che il commercio è coordinato dalla Central Intelligence Agency statunitense (CIA), dalla Turchia e dagli stati del Golfo, attraverso centri in Giordania e Turchia, anche se in pratica poi avviene spesso che il rifornimento di armi aggiri questa procedura.

BIRN e OCCRP hanno esaminato - nel corso di un anno di indagini - i dati di esportazione di armi forniti dai singoli paesi, i report delle Nazioni Unite, i registri di volo e i contratti di vendita, rivelando che migliaia di fucili d'assalto, granate da mortaio, lanciarazzi, armi anticarro e mitragliatrici pesanti si stanno riversando nella tormentata regione mediorientale e provengono da Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Montenegro, Romania, Serbia e Slovacchia.

Dall'escalation del conflitto siriano nel 2012, gli otto paesi sopra nominati hanno avallato l'invio di almeno € 1.2 miliardi di armi e munizioni all'Arabia Saudita, alla Giordania, agli Emirati Arabi Uniti (UAE) e alla Turchia. La cifra è probabilmente molto più alta. I dati sulle licenze di esportazione di armi per quattro degli otto paesi non erano disponibili infatti per il 2015, né per sette su otto paesi per il 2016. I quattro paesi destinatari sono importanti fornitori di armi alla Siria e allo Yemen, con poco o nessun pregresso di acquisto dall'Europa centro-orientale prima del 2012. E il ritmo dei trasferimenti non sta rallentando, con alcune delle più rilevanti commesse arrivate proprio nel 2015.

Armi e munizioni dell'Europa centro-orientale, identificate da più di 50 video e foto pubblicati sui social media, sono ora in uso dal filo-occidentale Free Syrian Army, ma sono anche nelle mani di combattenti di gruppi islamisti, come Ansar al-Sham, l'affiliata dell'al Qaeda Jabhat al-Nusra, lo Stato islamico dell'Iraq e il Levante (ISIS), le fazioni in lotta per il presidente siriano Bashar-al Assad e le forze sunnite in Yemen.

Le segnature su alcune delle armi che identificano la loro origine e data di produzione rivelano che quantità significative sono state prodotte recentemente, nel 2015.

Dei 1,2 miliardi di euro in armi e munizioni di cui è stata autorizzata l'esportazione, si sa che circa 500 milioni sono già stati consegnati, in base a informazioni commerciali prodotte dalle Nazioni Unite e sulla base di relazioni nazionali sulle esportazioni di armi.

La frequenza e il numero di voli cargo - BIRN e OCCRP ne ha identificati almeno 68 in poco più di un anno - rivelano un flusso costante di armi dagli aeroporti dell'Europa centro-orientale alle basi militari e aeroporti nel Medio Oriente.

L'aereo più comunemente usato - Ilyushin II-76 - può trasportare fino a 50 tonnellate di carico, circa 16.000 fucili AK-47 Kalashnikov o tre milioni di proiettili. Altri modelli, tra cui il Boeing 747, sono in grado di trasportare almeno il doppio di tale carico.

Ma armi e munizioni non arrivano solo in aereo. I giornalisti investigativi hanno individuato almeno tre spedizioni effettuate da militari americani da porti del Mar Nero, che si stima abbiano contribuito all'arrivo di 4.700 tonnellate di armi e munizioni nel Mar Rosso dal dicembre 2015 ad oggi.

Un membro svedese del Parlamento europeo ha definito questo commercio come vergognoso. “Forse – la Bulgaria, la Slovacchia e la Croazia - non si vergognano affatto, ma penso che dovrebbero", ha dichiarato Bodil Valero, che è stata anche rapporteur dell'ultimo rapporto sugli armamenti redatto dal PE. "I paesi che vendono armi all'Arabia Saudita o a stati della regione del Medio Oriente-Nord Africa non stanno facendo valutazioni sui rischi e, di conseguenza, sono in violazione del diritto comunitario e nazionale".

OCCRP e BIRN hanno parlato con i rappresentanti del governo in Croazia, Repubblica Ceca, Montenegro, Serbia e Slovacchia, e tutti hanno risposto allo stesso modo, dicendo che rispettano gli obblighi internazionali. Alcuni dicono che l'Arabia Saudita non è su alcuna lista nera di armi internazionali, e altri hanno detto che il loro paese non è responsabile se le armi sono state dirottate altrove.

Arabia Saudita, regina delle armi

L'inizio del corridoio di armi tra Europa centro-orientale e Medio Oriente è datato inverno 2012, quando decine di aerei cargo, carichi di armi e munizioni dell'epoca jugoslava acquistate dai sauditi, cominciarono a lasciare Zagabria diretti in Giordania. Subito dopo, emerse il primo filmato da cui risulta l’uso di armi croate sui campi di battaglia in Siria.

Secondo un rapporto del New York Times, del febbraio 2013, un alto funzionario croato offrì scorte di vecchie armi croate alla Siria, nel corso di una visita a Washington nell'estate del 2012. Zagabria è stata poi messa in contatto con i sauditi, che hanno finanziato gli acquisti, mentre la CIA ha fornito la logistica di un ponte aereo, la cui creazione cominciò alla fine di quell'anno.

Mentre il governo della Croazia ha sempre negato qualsiasi ruolo nella spedizione di armi alla Siria, l'ex-ambasciatore degli Stati Uniti in Siria, Ford, ha confermato a BIRN e OCCRP il racconto fatto al Times da una fonte anonima, su come l'affare è stato condotto. Ford ha detto che non era in grado però di parlarne più in profondità.

Questo è stato solo l'inizio di un flusso senza precedenti di armi provenienti dal sud-est Europa verso il Medio Oriente, visto che il corridoio è stato ampliato per includere le scorte eccedenti di altri sette paesi. Commercianti di armi locali hanno fornito armi e munizioni dei loro paesi d'origine, e hanno mediato la vendita di munizioni dall'Ucraina e dalla Bielorussia. Hanno anche tentato di garantire sistemi anticarro di fabbricazione sovietica acquistati dal Regno Unito.

Secondo l'analisi dei dati di esportazione forniti dai singoli paesi, prima della primavera araba nel 2011, il commercio di armi tra l'Europa orientale e l'Arabia Saudita, la Giordania, gli Emirati Arabi Uniti e la Turchia - quattro sostenitori principali della frammentata opposizione della Siria - era trascurabile o inesistente.

Ma ciò è cambiato nel 2012. Tra quell'anno e il 2016, otto paesi dell'Europa orientale hanno approvato almeno 806 milioni di euro in esportazioni di armi e munizioni verso l'Arabia Saudita, secondo i rapporti sull’esportazione di armi nazionali e comunitarie, nonché in base a fonti governative. A questi vanno aggiunti 155 milioni di euro verso la Giordania, 135 verso gli Emirati Arabi Uniti e 87 verso la Turchia, per un totale di 1,2 miliardi di euro.

Il Qatar, un altro fornitore chiave di equipaggiamenti per l'opposizione siriana, non compare nelle licenze di esportazione dell'Europa centro-orientale.

Jeremy Binnie, esperto di armi nel Medio Oriente per il settimanale Jane's Defense Weekly, una pubblicazione notoriamente considerata come la fonte più attendibile di informazioni sulla difesa e sicurezza, ha detto che la maggior parte delle esportazioni di armi provenienti dall'Europa orientale è probabilmente destinata alla Siria, e in misura minore, allo Yemen e alla Libia.

"Con poche eccezioni, i militari dell'Arabia Saudita, la Giordania e gli Emirati Arabi Uniti e la Turchia usano armi di fanteria e munizioni occidentali, piuttosto che di progettazione sovietica", ha detto Binnie. "Sembra di conseguenza probabile che le grandi spedizioni di tali materiali in corso di acquisizione da - o inviati a - questi paesi siano destinate ai loro alleati in Siria, Yemen e Libia".

BIRN e OCCRP hanno ottenuto documenti confidenziali del ministero della Difesa della Serbia e minute di una serie di incontri interministeriali avvenuti nel 2013. I documenti mostrano che il ministero ha sollevato preoccupazioni sul fatto che le consegne per l'Arabia Saudita sarebbero state destinate alla Siria, sottolineando che i sauditi non usano scorte dell'Europa centro-orientale e solitamente forniscono armi all'opposizione siriana. Il ministero ha allora revocato la licenza di esportazione per l'Arabia Saudita, per poi cambiare idea più di un anno dopo, approvando così nuove spedizioni di armi e citando l'interesse nazionale.

E' noto che le forze di sicurezza saudite sono equipaggiate da aziende occidentali e che usano quantità limitate di attrezzature dell'Europa centro-orientale. Questo include camion militari prodotti in Repubblica Ceca, e alcuni fucili d'assalto fatti in Romania. Ma anche le esportazioni di armi destinate ad essere utilizzate dalle forze saudite suscitano polemica, dato il loro coinvolgimento nel conflitto in Yemen.

L'Olanda è diventato il primo paese dell'Unione europea a fermare le esportazioni di armi verso l'Arabia Saudita, a seguito del numero di civili morti nella guerra dello Yemen, e il Parlamento europeo ha chiesto un embargo sulle armi da parte di tutta l'Ue.

La logistica del rifornimento: voli cargo e lanci aerei

Le armi provenienti dall'Europa centro-orientale sono consegnate agli stati del Medio Oriente tramite voli cargo e navi. Identificando gli aerei e le navi che consegnano le armi, i giornalisti sono stati in grado di monitorare il flusso di armi in tempo reale.

L'analisi dettagliata degli orari aeroportuali, la storia dei vettori cargo, i dati di tracciamento di volo, e le fonti di controllo del traffico aereo hanno contribuito a individuare 68 voli che portavano armi ai conflitti del Medio Oriente negli ultimi 13 mesi. Belgrado, Sofia e Bratislava spiccano come i principali hub per questo ponte aereo.

I più frequenti sono stati i voli operati da Belgrado, capitale della Serbia. Sono stati conteggiati voli che o era confermato trasportassero armi, o erano diretti verso basi militari in Arabia Saudita o negli Emirati Arabi Uniti, oppure erano effettuati da esportatori ufficiali d'armamenti.

Molti di questi voli hanno fatto una sosta aggiuntiva in Europa centrale e orientale - nel senso che hanno probabilmente raccolto più armi e munizioni - prima di volare verso la loro destinazione finale.

Le statistiche di volo dell'UE forniscono un'ulteriore prova della scala delle operazioni. Esse rivelano che gli aerei che volano dalla Bulgaria e dalla Slovacchia hanno consegnato 2.268 tonnellate di carico - pari a 44 voli con l'aereo più comunemente utilizzato - Ilyushin II-76 - a partire dall'estate del 2014 per le stesse basi militari in Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti individuate da BIRN e OCCRP.

Distribuzione delle armi

Armi acquistate per la Siria da sauditi, turchi, giordani e Emirati Arabi Uniti sono poi instradate, secondo Ford, l'ex ambasciatore USA in Siria, attraverso due centri di comando segreto – chiamati Centri di Operazioni Militari (Military Operation Centers (MOC) - in Giordania e in Turchia.

Questi centri - che vedono la presenza di ufficiali di sicurezza e militari provenienti dal Golfo, dalla Turchia, dalla Giordania e dagli Stati Uniti - coordinerebbero la distribuzione di armi ai gruppi di opposizione siriani controllati. Questo secondo le informazioni del Carter Center di Atlanta, un think tank che ha un'unità di monitoraggio del conflitto.

"Ciascuno dei paesi coinvolti per aiutare l'opposizione armata ha mantenuto un potere di decisione finale su quali gruppi in Siria avrebbero ricevuto assistenza", ha dichiarato Ford. Una serie di documenti trapelati, appartenenti ad un'azienda di trasporto merci, forniscono ulteriori indizi su come i militari sauditi forniscono armi ai ribelli siriani.

Secondo i documenti ottenuti da BIRN e OCCRP, la società moldava AeroTransCargo ha fatto sei voli nell'estate del 2015, portando almeno 250 tonnellate di munizioni suddivise tra basi militari in Arabia Saudita e l'aeroporto internazionale di Esenboga, ad Ankara, la capitale della Turchia, indicato come un punto di arrivo per armi e munizioni destinate ai ribelli siriani.

Pieter Wezeman, del Stockholm International Peace Research Institute, un'organizzazione leader nel monitoraggio di esportazioni di armi, ha detto che sospetta che i voli facciano parte dell'operazione logistica per il rifornimento di munizioni ai ribelli siriani.

Dalle MOCs, le armi vengono poi trasportate via terra sino al confine siriano, o lanciate con paracaduti da aerei militari.

Un comandante siriano di Aleppo, del Free Syrian Army, che ha chiesto di rimanere anonimo per proteggere la sua sicurezza, ha dichiarato a BIRN e OCCRP che le armi provenienti dall'Europa centro-orientale venivano distribuite in Siria. "Non ci interessa il paese d'origine, sappiamo solo che vengono dall'Europa orientale", ha detto.

I sauditi e i turchi hanno anche fornito armi direttamente a gruppi islamici che non sono appoggiati dagli Stati Uniti, e che hanno talvolta finito per combattere le fazioni sostenute dal MOC, ha aggiunto Ford.

I sauditi sono anche noti per aver lanciato materiale da aerei, incluso qualcosa che sembravano essere fucili d'assalto serbi, ai loro alleati in Yemen.

Ford ha dichiarato che mentre lui non era personalmente coinvolto nei negoziati con la Serbia, la Bulgaria e la Romania sul rifornimento di armi alla Siria, è probabile che la CIA abbia avuto un ruolo nella questione.

"Per le operazioni di questo tipo, sarebbe difficile per me immaginare che non ci fosse un certo coordinamento tra i servizi di intelligence, ma potrebbe essere stato rigorosamente limitato ai canali di intelligence", ha detto.

Gli Stati Uniti non hanno svolto solo un ruolo nella logistica del trasporto di armi sponsorizzato dal Golfo e provenienti dall'Europa dell'est verso i ribelli siriani. Attraverso il loro Dipartimento della Difesa e il Comando di Operazioni Speciali (SOCOM), hanno anche acquistato e consegnato grandi quantità di merci militari, provenienti dall'Europa orientale, all'opposizione siriana, come parte di un programma per il valore di 500 milioni di dollari americani che riguardava addestramento ed equipaggiamento.

Dal dicembre 2015, SOCOM ha commissionato tre navi da carico per trasportare 4.700 tonnellate di armi e munizioni dai porti di Costanza, in Romania, e Burgas, in Bulgaria, al Medio Oriente, probabilmente come parte del rifornimento segreto di armi alla Siria.

Le spedizioni includono mitragliatrici pesanti, lanciarazzi e armi anticarro - così come proiettili, mortai, granate, razzi ed esplosivi, secondo documenti relativi agli appalti concessi dal governo USA. L'origine delle armi spedite da SOCOM è sconosciuta ma il materiale elencato nei documenti di trasporto è disponibile nei magazzini di tutta l'Europa centro-orientale.

Non molto tempo dopo una delle consegne, gruppi curdi appoggiati da SOCOM hanno pubblicato un'immagine su Twitter e Facebook, che mostra un magazzino pieno di scatole di munizioni arrivate tramite una mediazione degli Stati Uniti nel nord della Siria. SOCOM non ha voluto confermare o negare che le spedizioni erano destinate alla Siria.

I dati di approvvigionamento degli Stati Uniti rivelano anche che SOCOM ha assicurato, tra  2014 e 2016, almeno 27 milioni di dollari in armi e munizioni provenienti dalla Bulgaria e 12 milioni di dollari in armi e munizioni provenienti dalla Serbia, destinate ad operazioni segrete ed ai ribelli siriani.

Un affare in crescita

Il ricercatore sul controllo delle armi, Wilcken, ha detto che l'Europa centro-orientale è ben posizionata per incassare l'enorme aumento della domanda di armi a seguito della primavera araba.

"La prossimità geografica e il controllo negligente dell'esportazione hanno messo alcuni stati balcanici in pole position per trarre profitto da questo commercio, in alcuni casi con l'assistenza segreta degli Stati Uniti", ha aggiunto. "L'Europa orientale sta riabilitando le industrie di armi della guerra fredda, che sono di nuovo in espansione e danno profitti".

Il premier serbo Vučić si vantava di recente che il suo paese potrebbe produrre cinque volte la quantità di armi che produce attualmente e ancora non soddisfare la domanda esistente. "Purtroppo in alcune parti del mondo, le persone sono in guerra più che mai, e tutto ciò che si produce, si riesce a venderlo", ha dichiarato.

Le aziende di armi in Bosnia Erzegovina e Serbia producono a piena capacità, con l'aggiunta di alcuni turni extra, e non stanno accettando attualmente nuove commesse.

Funzionari di alto livello dell'Arabia Saudita - più abituati a negoziare miliardi di dollari in ordini di jet da caccia con i giganti della difesa occidentali - sono stati costretti a trattare con una manciata di piccoli intermediari di armi che operano da poco in Europa orientale, ottenendo accesso ad armi come l'AK-47 e lanciarazzi.

Intermediari, come la serba CPR Impex e l'Eldon della Slovacchia, hanno svolto un ruolo fondamentale nel rifornimento di armi e munizioni per il Medio Oriente.

L'inventario di ogni consegna di solito è sconosciuto, a causa della segretezza che circonda gli affari d'armi, ma due certificati di destinazione finale e una licenza di esportazione, ottenuti da BIRN e OCCRP, rivelano la straordinaria portata del buy-in per i beneficiari siriani.

Ad esempio, il ministero della Difesa dell'Arabia Saudita ha espresso il proprio interesse ad acquistare dal fornitore di armi serbo CPR Impex un certo numero di armi, tra cui centinaia di vecchi carri armati T-55 e T-72, milioni di munizioni, sistemi missilistici multi-lancio e lanciarazzi. Le armi e munizioni elencate qui sono state prodotte nell'ex-Jugoslavia, in Bielorussia, Ucraina e Repubblica Ceca.

Una licenza di esportazione rilasciata a una società slovacca poco conosciuta chiamata Eldon, nel gennaio 2015, ha concesso all'azienda il diritto di trasportare migliaia di "lanciagranate portatili anticarro", mitragliatrici pesanti e quasi un milione di proiettili dall'Est Europa, per un valore complesso di quasi 32 milioni di euro, in Arabia Saudita.

L'analisi di BIRN e OCCRP dei social media mostra che le armi provenienti dagli stati dell'ex-Cecoslovacchia e l'ex-Jugoslavia, e la Serbia, la Croazia e la Bulgaria sono ora presenti sui campi di battaglia della Siria e Yemen.

Mentre gli esperti ritengono che i paesi sopramenzionati continuano a sottrarsi alle loro responsabilità, il corridoio di armi aggiunge sempre più benzina a un conflitto altamente infiammabile, aumentandone sempre più la drammaticità. "La proliferazione delle armi nella regione ha causato indicibili sofferenze umane; un gran numero di persone sono state sfollate e le parti in conflitto hanno commesso gravi violazioni dei diritti umani, tra cui rapimenti, esecuzioni, sparizioni forzate, torture e stupri ", ha dichiarato Wilcken.

Hanno contribuito al Report Atanas Tchobanov, Dusica Tomovic, Jelena Cosic, Jelena Svirčić, Lindita Cela, Pavla Holcova e RISE Moldova.



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(B2) De Belgrade ou Nis, de Bratislava ou d’Ostrava, de Sofia ou de Bourgas … ce sont pas moins de 68 vols cargos chargés d’armes qui sont venus ces derniers 13 mois approvisionner les conflits en Syrie et dans le Golfe révèle une enquête menée par plusieurs journalistes des Balkans. 50 de ces vols sont confirmés comme transportant des armes, 18 de ces vols le sont « probablement ». Et ces charters d’un nouveau genre ne semblent pas nouveaux. Depuis 2012, nos confrères des Balkans estiment que ce trafic, très organisé, atteint une valeur d’au moins 1,2 milliard d’euros.

Un trafic très organisé

En examinant plus attentivement les données d’exportation d’armes, les rapports de l’ONU, les dossiers de vol, et les contrats d’armes sur un an, ce sont ainsi des milliers de fusils d’assaut, des obus de mortier, des lance-roquettes, des armes anti-chars et de mitrailleuses lourdes qui sont partis des stocks et des usines de Bosnie-Herzégovine, Bulgarie, Croatie, République tchèque, Monténégro, Roumanie, Serbie et Slovaquie. Destination : la Syrie via la Jordanie, l’Arabie Saoudite, les Emirats arabes unis. Le Yémen et la Libye seraient également des destinations finales des armes, bien que dans une moindre mesure. Pour les transporter, l’avion le plus couramment utilisé est l’Ilyushin II-76. L’avantage : il transporte dans ses flancs jusqu’à 50 tonnes de fret, soit environ 16 000 fusils AK-47 Kalachnikov. 

Des achats bien organisés… via la CIA

Ces armes, achetées par les Saoudiens, les Turcs, les Jordaniens et les Emirats Arabes unis sont ensuite acheminés à travers deux installations secrètes de commande – appelée opération militaire Centres (MOC ) – en Jordanie et en Turquie. Ces unités coordonnent la distribution d’armes à des groupes d’opposition syriens sélectionnés par les Américains selon le think-tank d’Atlanta, le Centre Carter.  Selon Robert Stephen Ford, ambassadeur américain en Syrie entre 2011 et 2014,  la CIA a probablement joué un rôle d’intermédiaire entre les pays des Balkans (notamment Serbie, Bulgarie et Roumanie) et du Moyen-Orient pour la vente des armes.

Les Américains en première ligne

Les journalistes ne manquent pas de souligner que le Département de commandement des opérations spéciales de la Défense (SOCOM) des Etats-Unis a également acheté et livré de grandes quantités de matériel militaire en provenance d’Europe de l’Est pour l’opposition syrienne dans le cadre d’un programme de « train and equip », pour une valeur de 500 millions $. Ainsi, depuis décembre 2015, trois navires cargos ont transporté 4.700 tonnes d’armes et de munitions en provenance des ports de Constanza (en Roumanie) et Burgas (en Bulgarie) vers le Moyen-Orient. Probablement dans le cadre « d’une livraison clandestine d’armes en Syrie ». Les envois inclurait des mitrailleuses lourdes, des lance-roquettes et des armes anti-chars – ainsi que des munitions, des mortiers, des grenades, des roquettes et des explosifs. L’origine des armes livrées est, elle, inconnue. Les documents que les journalistes ont pu consulter ne donnant les informations qu’à partir de stocks localisés en Europe centrale et orientale.

NB : C’est principalement à travers les réseaux sociaux, notamment twitter et Facebook, que ces armes sont ensuite localisées à leur destination finale. Un groupe de soldats kurdes, soutenus par le SOCOM, ont ainsi publié de nombreuses photos montrant un entrepôt où s’empilent des boîtes de munitions, avec l’estampille made US. 

Un boom des ventes depuis 2012

C’est le conflit en Syrie qui est le principal facteur de cette augmentation selon les auteurs de l’enquête. Avant le printemps arabe en 2011 , le commerce des armes entre l’Europe de l’Est et l’Arabie Saoudite, la Jordanie, les Emirats Arabes Unis, Émirats Arabes Unis , et la Turquie – quatre principaux partisans de l’opposition syrienne – était négligeable, voire inexistant, selon l’analyse faite par les journalistes. Cela change en 2012. 

Les usines des Balkans tournent à plein tube

Et le rythme des transferts ne ralentit pas, avec quelques-unes des plus grandes transactions approuvées en 2015. Les usines de fabrication d’armes de Bosnie-Herzégovine et de Serbie tournent à « pleine capacité », avec des équipements supplémentaires et d’autres « ne prennent plus de nouvelles commandes ».

Plus d’1,2 milliard de commandes

Depuis 2012, huit pays d’Europe orientale auraient ainsi exporté plus de 829 millions d’euros d’armes et munitions vers l’Arabie saoudite, 155 millions vers la Jordanie, 135 millions vers les Emirats arabes unis et 87 vers la Turquie. Seul le Qatar, pourtant fournisseur clé d’équipement militaire à l’opposition syrienne, n’est pas dans les licences d’exportations en provenance d’Europe centrale et orientale.

Le chiffre est probablement beaucoup plus élevé estiment les auteurs de l’enquête. « Les données sur les licences d’exportation d’armes pour quatre pays sur huit ne sont pas disponibles pour 2015 et sept des huit pays pour 2016. » 

(transcrit par Nicolas Gros-Verheyde & Leonor Hubaut)

(1) Enquête réalisée par le Balkan Investigative Reporting Network – BIRN Kosovo et BIRN HUB – une équipe de journalistes de toute l’Europe centrale et orientale qui a pour ambition de « promouvoir la primauté du droit, la responsabilité et la transparence dans les Balkans et la Moldavie ». Un projet soutenu par l’Agence autrichienne de développement (ADA).


Nicolas Gros-Verheyde

Rédacteur en chef de B2 - Bruxelles2. Correspondant UE/OTAN à Bruxelles pour Ouest-France, Sud-Ouest et Lettre de l'expansion. Auditeur de la 65e session de l'IHEDN (Institut des Hautes Etudes de la Défense nationale). © B2. Merci de citer "B2" ou "Bruxelles2" en cas de reprise

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Montenegro: boom dell'export di armi

13 luglio 2016

In un rapporto del ministero dell'Economia del Montenegro viene riportato che il paese ha esportato armi nel corso del 2015 per 11.3 milioni di euro, con un aumento del 100% rispetto all'anno precedente.
Il sito di informazioni web BIRN ha visionato il rapporto che contiene informazioni sulle singole licenze di esportazione, sui beni venduti e sul loro valore.
Sono 23 i paesi ai quali il Montenegro ha venduto armamenti e tra questi vi è la Polonia, la Serbia, la Bulgaria e l'Ucraina. “Il paese a cui sono stati venduti più armamenti è il Bangladesh, per un controvalore di 3.03 milioni di euro”, si legge nella relazione.
Sono 39 le aziende registrate in Montenegro e che possono occuparsi di import-export di beni che implicano un controllo dello stato.
Il principale esportatore di armamenti in Montenegro è l'Industria della difesa del Montenegro (MDI). Azienda in passato pubblica è stata acquistata nel 2015 dalla CPR Impex con sede a Belgrado e dalla israeliana ATL Atlantic Technology Ltd per 680.000 euro.
Nel 2009 e poi nel 2012 MDI è stata accusata di aver esportato illegalmente armi in Libia e Siria. L'azienda ha negato però ogni addebito. Dopo queste accuse il Montenegro ha reso più severa la propria legislazione in merito al commercio di armamenti come parte del processo negoziale per l'ingresso nell'Ue.
Nel maggio 2015 l'ong MANS [ http://www.mans.co.me ] ha denunciato alla magistratura montenegrina il primo ministro Milo Đukanović per supposte malversazioni nella privatizzazione di MDI.

Link: BIRN – Montenegro Earns More Cash From Arms Sales (by Dusica Tomovic in Podgorica, 13.7.2016)
The latest report on the arms trade in Montenegro shows that the value of exports has risen significantly in recent years...
http://www.balkaninsight.com/en/article/montenegro-arms-exports-continue-to-surge-07-12-2016




Opposizione alla nuova guerra in Libia

1) I comunicati di gruppi e partiti antimilitaristi
– CNGNN: Comunicato sulla Libia
– Lista ComitatoNoNato e Rete No War: No all' intervento militare in Libia
– PCI: No ai bombardamenti in Libia. Mobilitiamoci per fermare la guerra!
– PRC: Libia, Ferrero: “No alla ripresa della guerra della Nato”
– RdC: Libia, Siria, Afghanistan, Yemen, Iraq, Ucraina... Fermare i mandanti di guerra e terrore
2) Libia 2011. B. Obama e H. Clinton si rivelano in due video (di Marinella Correggia)
3) Il linguaggio del potere e le guerre in Libia (di Fosco Giannini)


=== 1: I comunicati di gruppi e partiti antimilitaristi ===


COMUNICATO SULLA LIBIA

5 AGO 2016 — L’Italia è entrata in guerra in Libia, anche se finge di prendere tempo. Il Parlamento italiano non è in grado, collettivamente, di formulare nemmeno un’alternativa. Siamo al disastro politico.
Il CNGNN intende invece formulare la sua valutazione dei gravissimi e intollerabili atti di subordinazione/aggressione cui l’Italia partecipa e di cui condivide la piena responsabilità. 
Siamo di fronte a un nuovo episodio di colonialismo, aggiornato in funzione della strategia USA-Nato di demolizione degli stati nazionali per controllare i loro territori e le loro risorse. 
Liberare la Libia dalla presenza dell’ISIS è una scusa indecente. È stata la Nato a portare Al Qaeda e l’ISIS in Libia. 
L’effetto sarà la riapertura delle basi militari occidentali sul territorio libico. La “missione di assistenza alla Libia”, con l’avallo estero delle Nazioni Unite, consentirà la spartizione “legale” delle preziose risorse energetiche e idriche della Libia e di almeno 150 miliardi di dollari di fondi sovrani libici confiscati illegalmente nel 2011, all’atto dell’aggressione e dell’assassinio di un capo di stato legittimo. Questa rapina di quadruplicherà quando l’export libico tornerà ai livelli precedenti all'aggressione. 
Questo è l’unico significato di ciò che accade. L’ISIS si combatte smettendo di aiutarla, finanziarla, consentirle movimenti e azioni. Questo è in atto da tempo, con la connivenza dei servizi segreti di USA, Francia, Gran Bretagna, Arabia Saudita, Israele. Da questa coalizione di aggressori si è ormai sganciata perfino la Turchia. 
Ma L’Italia continua a farne parte attiva. I droni partono da Sigonella. Se ci saranno atti di terrorismo contro il nostro paese, vorrà dire che gli italiani sapranno a chi chiedere conto, politicamente e moralmente. Tutto quello che l’Italia decide non è in nostro nome: è contro di noi e contro i nostri figli. 

IL CNGNN (Comitato No Guerra No Nato)

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Inizio messaggio inoltrato:

Da: Comitato Nonato <comitatononato @gmail.com>
Oggetto: No all' intervento militare in Libia - Comunicato della lista ComitatoNoNato
Data: 7 agosto 2016 17:56:16 CEST

No all' intervento militare in Libia


Gli aderenti alla lista ComitatoNoNato@ googlegroups.com condannano nel modo più deciso la nuova avventura militare scatenata dagli USA in Libia con l'appoggio diretto del governo italiano e di altri governi occidentali aderenti alla NATO.

La ministra della Difesa italiana Pinotti ha assicurato che “l’ITALIA FARA’ LA SUA PARTE” e ha preannunciato la concessione delle basi italiane per le operazioni militari.

Questa operazione guerresca viola quindi nuovamente l'articolo 11 della costituzione italiana, già violato pesantemente con la precedente aggressione alla Libia del 2011 che ha distrutto il paese più ricco e sviluppato dell'Africa.

La nuova avventura bellica, scatenata con la motivazione ufficiale della lotta all'ISIS, è in realtà una nuova operazione neocoloniale che si propone tre obiettivi concreti: 

1) Una nuova spartizione delle ingenti risorse libiche: gas, petrolio, acqua sotterranea, e la definitiva rapina delle grandi risorse finanziarie libiche depositate nei fondi di investimento internazionali e già “sequestrate” nel 2011 dalle potenze occidentali;

2) Il rafforzamento del cosiddetto governo “unitario” della Libia guidato dal fantoccio Serraj, sostenuto dalle milizie islamiche di Misurata e dalla "Fratellanza Musulmana". Questo “governo”, imposto dall'esterno da un gruppo di potenze occidentali con la copertura della solita ambigua risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, non è stato mai approvato ed eletto dai Libici e non è riconosciuto dal Parlamento Libico e dal “governo” di Tobruk che controlla tutta la parte orientale della Libia e che ha condannato recisamente ogni intervento militare straniero, comunque motivato. 

3) La riapertura di basi militari straniere in Libia che furono chiuse dal governo Gheddafi dopo la proclamazione della repubblica in Libia.

Per eliminare l'ISIS/Daesh, non servono le bombe.  ISIS va estirpato alla radice, attraverso sanzioni severe contro i suoi mandanti. Il ricorso a bombe straniere su Sirte, invece, non farà altro che favorire il reclutamento di nuovi jihadisti e un conflitto senza fine, aumentando il caos già creato con la guerra di aggressione del 2011 e moltiplicando il pericolo di attentati anche in Italia.  

Gli italiani contrari alla guerra e a nuove avventure neocoloniali sono invitati a organizzare forme di protesta -- insieme a forme di controinformazione su questi gravi fatti -- per dire al governo Renzi: L'Italia si dissoci dai bombardamenti, NO all'uso di tutte le basi militari poste sul territorio italiane e dello spazio aereo italiano.

LISTA COMITATO NON NATO

Rete No War Roma

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No ai bombardamenti in Libia. Mobilitiamoci per fermare la guerra!

di Maurizio Musolino, Comitato Centrale  – Dip. Esteri PCI, 3.8.2016

In queste ore aerei Usa bombardano la Libia, causando nuovi morti e nuove distruzioni, innescando una pericolosa escalation nella disgregazione del paese nordafricano. Il PCI,condannando questa ennesima aggressione, denuncia come i bombardieri statunitensi dietro alla lotta contro Daesh nascondono la volontà di favorire uno dei tanti “signori della guerra”, che dalla caduta di Gheddafi si combattono per il controllo delle regioni libiche.
La Libia, come la Siria, infatti, sono oggi terreno di sfida e di competizione fra le potenze Occidentali per il controllo delle ingenti ricchezze energetiche del Paese. Non di guerra al terrorismo, quindi, ma bombe che altro non sono che lo strumento per affermare il colonialismo del XXI secolo.
Uno scenario che il  PCI considera pericoloso e che nei prossimi giorni potrà registrare il coinvolgimento diretto del nostro Paese, attraverso l’utilizzo delle basi e la partecipazione dei nostri aerei ai bombardamenti. Uno schiaffo alla storia, che ha visto nel secolo scorso l’Italia protagonista di una criminale e brutale guerra coloniale proprio verso la Libia.
E’ questa la conseguenza del nostro far parte della Nato, una alleanza che sempre di più si caratterizza per il suo carattere aggressivo e di strumento per le politiche imperialiste e liberiste.
Il PCI – impegnato in questa estate in una campagna nazionale contro la Nato- fa appello a tutte le forze democratiche, anti-imperialiste e internazionaliste, per fermare questa nuova guerra e chiama ad una mobilitazione diffusa per indurre il governo Renzi al rispetto della nostra Costituzione. Quella stessa Costituzione che saremo tutti chiamati a difendere nel referendum del prossimo autunno. Fermiamo la guerra!

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Libia, Ferrero: “No alla ripresa della guerra della Nato”

Pubblicato il 3 ago 2016

Paolo Ferrero - Diciamo forte e chiaro il nostro NO alla ripresa della guerra della NATO in Libia, guerra che ha già distrutto il paese e che non fa altro che alimentare il terrorismo internazionale. Al di là della propaganda di regime, di cui il governo italiano è pienamente partecipe, non sfugge a nessuno che la presenza dell’ISIS in Libia è il frutto diretto della guerra scatenata dalla NATO contro lo stato libico, così come gli obiettivi dell’intervento occidentale costituiscono chiaramente un enorme sopruso: una guerra per mettere le mani sul petrolio, una guerra per affossare il regime di Gheddafi, una guerra per smembrare lo stato libico in vari protettorati gestiti dalle compagnie petrolifere e dagli stati di riferimento delle stesse. Per questo diciamo di no al coinvolgimento dell’Italia in questa nuova guerra per il petrolio.

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Libia, Siria, Afghanistan, Yemen, Iraq, Ucraina….

di Rete dei Comunisti, 9.8.2016

Fermare i mandanti di guerra e terrore. Rilanciare le mobilitazioni di gennaio e marzo, per una nuova stagione di lotta contro l’aggressività USA / NATO / UE

 

La Commissione d'inchiesta istituita sette anni fa dal Parlamento britannico sulla partecipazione del Regno Unito all’intervento militare in Iraq del 2003 ha stabilito che l’allora primo ministro Tony Blair ha mentito sistematicamente per giustificare la partecipazione dell’esercito britannico a quel bagno di sangue.

Quali sono stati i risultati di quelle scelte? Oltre un milione di morti iracheni, stragi quotidiane che ancora oggi insanguinano un paese smembrato, British Petroleum ben piazzata a Bassora.

Da parte di Blair (osannato allora da Veltroni, D’Alema, Fassino) qualche scusa e niente più. Un altro criminale di guerra in libertà, superpagato per conferenze e convegni.

Quanto dovremo attendere per una Commissione che metta sul banco degli imputati i responsabili diretti del bagno di sangue in Libia? Per sapere i nomi basta scorrere le cronache dei primi mesi del 2011, quando il 19 marzo un altro leader inglese, David Cameron, insieme al francese Nicolas Sarkozy lanciarono i primi bombardamenti, seguiti da un riluttante Berlusconi, spinto al dovere dall’allora segretario del PD Bersani e dal Presidente della Repubblica Napolitano.

Storia recentissima, che dice tutto sulle responsabilità della situazione che stiamo vivendo oggi, in Medio Oriente e a livello continentale.

Dopo 25 anni di massacri, iniziati con la prima aggressione all’Iraq nel 1991, la guerra ha progressivamente iniziato ad affacciarsi nel cuore pulsante dell’Europa, con le stragi di Madrid, Londra, Parigi, Bruxelles, Nizza. Centinaia di morti innocenti. Una frazione infinitesima delle centinaia di migliaia di morti (complessivamente ben oltre un milione di vittime) costati ai paesi mediorientali e dell’Est europeo (ieri l’ex Jugoslavia, oggi l’Ucraina). 

Gli esecutori materiali dei recenti massacri in occidente emergono ed emergeranno in numeri sempre più copiosi dalle macerie e dall’orrore pianificato da tutti i Tony Blair succedutisi al comando dei vari paesi imperialisti, a partire dal più potente di essi, quegli Stati Uniti che oggi chiudono la parabola dell’interventismo bipartisan con il democratico Obama ad ordinare nuovi bombardamenti sulla Libia.

In un gioco delle parti sempre più evidente, perché corroborato da volumi di prove di ogni tipo, il terrore ipertecnologico sparso dagli eserciti occidentali si giustifica e alimenta attraverso il più plebeo terrore del Tir di Nizza. Obama sta all’ISIS come i Talebani stavano a Reagan.

Una spirale infinita, che vede nella nuova aggressione alla Libia un altro tragico capitolo, foriero di attentati anche nel nostro paese, al momento non ancora toccato dalle schegge che dal grande bagno di sangue ogni tanto si conficcano nella carne viva di altri innocenti, in una stazione o in una piazza del centro di una metropoli o di una città d’arte. Sarebbe una manna dal cielo per il governo Renzi, destabilizzato da scelte politiche ferocemente antipopolari e da continui scandali, che potrebbe trovare nella retorica antiterrorista un aiuto fondamentale per vincere il prossimo referendum anti costituzionale, che tanto preoccupa la Troika europea e le classi dominanti di quel che resta dell’Unione Europea dopo la Brexit. 

La storia ha dato ripetutamente ragione al Movimento contro la guerra, che queste verità le ha gridate nelle piazze in tutti questi anni e, più recentemente, nelle mobilitazioni del 16 gennaio e del 12 marzo scorsi, che hanno agglutinato moltissime realtà pacifiste e no war in tutto il paese.

Occorre rilanciare la lotta contro la nuova aggressione alla Libia, evidenziando come questa guerra senza confini vede oggettivamente uniti i popoli delle due sponde del Mediterraneo, così come quelli dell’Est europeo.

Le guerre imperialiste originano da una crisi sistemica che non trova soluzione, perché il problema è il modello economico che non funziona e che va abbattuto.

Le vittime, a Sirte come a Parigi, ad Aleppo come a Londra, a Kabul come a Madrid, siamo noi.

Rilanciamo sin da subito la mobilitazione per dire NO alla nuova aggressione alla Libia, per bloccare l’uso delle basi militari USA/NATO nei bombardamenti sulla Libia.

No alla guerra imperialista – No alla partecipazione italiana al nuovo massacro in Libia – La responsabilità di possibili attentati in Italia ricadrà direttamente sul governo Renzi.

Rete dei Comunisti

www.retedeicomunisti.org



=== 2 ===


Libia 2011. B. Obama e H. Clinton si rivelano in due video

Sirte: gli aerei da guerra degli Stati uniti tornano per così dire sul cielo del delitto. Sono passati quasi cinque anni da quando i bombardieri Usa/Nato facevano da copertura aerea al feroce assedio guidato dai «ribelli di Misurata» e altre forze islamiste. Il pretesto per la guerra aerea della Nato contro la Jamahiriya, iniziata il 19 marzo 2011, era stato la «protezione dei civili libici». Di fatto, Nato, Usa, Francia, Regno unito e Italia fecero da forza aerea di gruppi criminali e jihadisti, responsabili di crimini contro l’umanità: ad esempio omicidi e deportazioni della popolazione nera della città di Tawergha e di diversi cittadini sub-sahariani. 

Pochi mesi fa, il presidente uscente e pluriNobel per la guerra Barack Obama ha dichiarato in un’intervista a Fox News che il più grande errore della sua carriera alla Casa bianca fu probabilmente «non aver pianificato il day after dell’intervento in Libia».

Nel 2014 Obama aveva ammesso che la missione in Libia «non aveva funzionato» (eufemismo) perché i vincitori non si erano impegnati nella fase successiva «per ricostruire una società che non aveva alcuna tradizione civile».

Astutamente Obama non ha rinnegato la missione in sé ma solo il mancato follow up.

In ogni caso non pagherà per i suoi errori che hanno prodotto crimini e devastazioni

Ma mentre le bombe cadono su Sirte,  forse per aumentare le chance di elezione della Clinton, può essere utile ripercorrere in due brevi video le idiozie e le sguaiatezze del duo, cinque anni fa.

Il 20 ottobre 2011 la segretaria di Stato Usa Hillary Clinton  si trova davanti alle telecamere della Cbs News quando viene a sapere del linciaggio a Muammar Gheddafi. La Iena ridens nonché Bloody Hillary esulta: «We came – We saw – He died, ah ah ah».  

In un altro video, di 12 minuti, il presidente Obama si rivolge a un meeting di alto livello delle Nazioni unite sulla Libia, il 21 settembre 2011. Rivelando un’incapacità criminale di comprendere gli eventi e un entusiasmo cieco da inviato di guerra intortato dalle bande armate. In quel momento è in corso l’assedio a Sirte da parte dell’insieme Nato-Qatar-bande armate locali, dopo sette mesi di bombe, distruzioni, morti, persecuzioni razziste. Ecco la trascrizione di buona parte del video.

Dal minuto 0.05 al minuto 0.12: «(…) ciascuno di noi ha il compito di sostenere il popolo della Libia mentre costruisce un futuro libero, democratico e prospero.»

Dal minuto 0.38 all’1.14: «Oggi il popolo libico sta scrivendo in nuovo capitolo nella vita del suo paese. Dopo quarant’anni di buio, i libici possono camminare per le strade, liberi dal tiranno. Possono far sentire le loro voci, in nuovi giornali, radio, televisioni, nelle piazze e sui blog Lanciano partiti politici e gruppi civili per plasmare il proprio destino e assicurare i diritti universali. E qui all’Onu la bandiera della nuova Libia sventola fra la comunità delle nazioni.»

Dal minuto 1.26 al 2.17: «il merito della liberazione è di uomini e donne libici, e bambini libici scesi nelle strade per protestare pacificamente, sfidando i carri armati e i cecchini. E sono stati i combattenti libici, spesso senza armi e inferiori in numero, a lottare città per città, quartiere per quartiere. E sono stati gli attivisti libici, underground, chattando, e nelle moschee, a tenere viva la rivoluzione  (…). E sono state le donne e le ragazze libiche a reggere le bandiere e a portare di nascosto armi al fronte (…) Sono stati libici da vari paesi del mondo, anche dal mio, ad accorrere là, rischiando brutalità e morte. Sangue libico è stato versato, e uomini e donne hanno dato il proprio sangue.»

Dal minuto 2.32 al 2.59: «La Libia mostra quello che la comunità internazionale può raggiungere se si agisce uniti e insieme. (…) ci sono momenti nei quali il mondo deve e può avere la volontà di evitare l’uccisione di innocenti su una scala tremenda.(…)»  

Dal minuto 3.12 al 4.00: «Stavolta noi, per mezzo delle Nazioni unite, abbiamo trovato il coraggio e la volontà collettivi per agire. Quando il vecchio regime ha lanciato una campagna del terrore (…) abbiamo agito come Nazioni unite e velocemente: ampie sanzioni, embargo sulle armi. Gli Stati uniti hanno guidato gli sforzi per far passare al Consiglio di sicurezza una risoluzione storica che autorizzava tutte le misure necessarie per proteggere il popolo libico. E quando i civili di Bengasi sono stati minacciati di massacro, abbiamo attuato questa autorizzazione. La nostra coalizione internazionale ha bloccato il regime, salvato vite e dato al popolo libico il tempo e lo spazio per vincere (…) sono stati i nostri alleati europei, in particolare Regno unito, Francia, Danimarca, Norvegia, a condurre la maggior parte degli interventi per proteggere i ribelli sul terreno. Paesi arabi hanno fatto parte della coalizione, come partner su un piede di uguaglianza.(…)»

Dal minuto 5.04 al 5.31: «Ecco come dovrebbe agire la comunità internazionale dovrebbe lavorare nel XXI secolo. (…) Ogni nazione qui rappresentata può essere orgogliosa per le vite innocenti che abbiamo salvato e per aver aiutato i libici a riottenere il loro paese»

Dal minuto 5.32 al 5.35: «E’ stata la cosa giusta da fare».

 

Marinella Correggia, 8 agosto 2016


=== 3 ===


IL LINGUAGGIO DEL POTERE E LE GUERRE IN LIBIA

di Fosco Giannini, Segreteria Nazionale PCI, responsabile dipartimento Esteri
10 agosto 2016

I comunisti, gli antimperialisti, i rivoluzionari conoscono la storia e la vita di Antonio Gramsci. Sanno che quando se andò dalla Sardegna per stabilirsi a Torino, Gramsci si iscrisse all’università, alla facoltà di glottologia, dove studiò profondamente linguistica dal 1911 al 1915, anno in cui dette il suo ultimo esame, senza poi potersi laureare, sia perché non era più coperto, materialmente, dalla borsa di studio concessagli dalla monarchia, sia perché – soprattutto – la sua vita era ormai dedicata tutta alla lotta politica. Naturalmente, in quei tre anni in cui Gramsci si dedicò anima e corpo alla glottologia, divenne , in facoltà, il numero uno, il migliore. Tant’è che il suo professore, Matteo Bartoli, una volta che Gramsci decise di ritirarsi dall’Università, disse del suo allievo: “ La glottologia ha perso l’angelo sterminatore dei neo-grammatici, ma la rivoluzione ha trovato il suo capo”.

Ma chi erano i neo grammatici, contro i quali Gramsci lottava sin dai tempi dell’Università e contro i quali avrebbe poi ripreso una battaglia culturale dal carcere, scrivendo sui Quaderni? In sintesi rozza: essi, nati come filone culturale in Germania, rappresentavano un’inclinazione idealistica e – insieme – dogmatica della nuova linguistica e, in essi, Gramsci vedeva i costruttori del nuovo linguaggio del potere, del linguaggio della cultura dominante. Alla visione del linguaggio tratteggiato dai neo grammatici, Gramsci opponeva una concezione di un linguaggio determinato dalla stessa storia degli uomini, della stessa storia della “classe” e dello scontro di classe. Gramsci concepiva chiaramente la battaglia culturale contro il linguaggio della classe dominante come parte essenziale della lotta generale tra capitale e lavoro per l’egemonia culturale. E individuando  nel linguaggio un terreno determinante dello scontro di classe, Gramsci anticipava genialmente l’analisi dello scontro in atto, oggi, tra il linguaggio del potere capitalistico e il linguaggio – per ora afasico, tacitato – del lavoro, della classe generale potenzialmente anticapitalistica.

Perché questa premessa? Perché mai come oggi, in questa stessa fase, in questi stessi giorni, il problema del potere del linguaggio della classe dominante che si fa – tout court – linguaggio  dominante, totalizzante, è problema, gramscianamente, centrale.

Il linguaggio dominante ottenebra, sino a rimuoverla, la realtà delle cose, inventando, conseguentemente, un’altra realtà. Questa pratica del potere si spinge in ogni dove, coprendo, come un mantello nero, la totalità delle cose. E i rivoluzionari dovrebbero, di conseguenza, sottoporre tutto a critica, non arrendendosi mai alla prima realtà rivelata dal linguaggio del potere. Ciò come principio rivoluzionario. Ma se ci fermassimo ad indagare attentamente il linguaggio del potere capitalistico per ciò che riguarda la guerra e l’Unione europea, noi potremmo immediatamente comprendere di trovarci di fronte non ad un linguaggio solamente deformato, ma di fronte ad un vero e proprio metalinguaggio, ad un potentissimo disegno semantico volto, per ciò che riguarda l’Unione europea, alla costruzione mitologica di una – peraltro assolutamente  inesistente – presenza storica sovranazionale e continentale e, per ciò che riguarda la guerra e il riarmo, ad un altro disegno semantico volto alla costruzione di una sbalorditiva mistificazione di massa che poggia su di un’ architettura sorretta da una fittissima trama di rimozioni e menzogne. L’insieme di tutto ciò, per restare al Gramsci iniziale, è la vittoria strategica ( lo diciamo in senso metaforico) dei neo grammatici. Che la “ la classe”, il proletariato, pagano con la subordinazione, l’inconsapevolezza e il silenzio.


Dopo Gramsci, e a partire anche da Gramsci, la linguistica contemporanea che tenta di opporsi al linguaggio del potere, ha individuato, all’interno della semantica del potere, una categoria centrale, un vero e proprio motore primario che da forma al linguaggio del capitale: la categoria della disoggetivazione, attraverso la quale – appunto –  la realtà raccontata non è più oggettiva.

Questo meccanismo segna di sé l’intera narrazione del sistema militare che si estende, oggi, in Italia: nel racconto degli USA, della NATO e dei governi italiani succubi di questo nefasto tandem, le bombe atomiche e tutti gli ordigni nucleari collocati nelle basi USA e NATO in Italia sono cancellati, rimossi: semplicemente non esistono, non esistendo, dunque, neanche nella coscienza di massa. Come cancellate dalla realtà, rimosse, sono, essenzialmente, tutte le stesse 140 basi USA e NATO nel nostro Paese; rimosse sono le immense spese militari e i pericoli di guerra e di subordinazione totale e generale dati dall’appartenenza dell’Italia al Patto Atlantico. Ma il linguaggio del potere, dove non riesce a rimuovere, mistifica, e le nostre guerre d’aggressione, ordinateci dagli USA e dalla NATO, diventano così  “missioni di pace”.

In questi giorni, gli USA sono tornati a bombardare la Libia. E specie nei confronti delle aggressioni imperialiste in Libia i livelli di mistificazione e menzogna del linguaggio del potere, del linguaggio imperialista, ha raggiunto livelli acrobatici, circensi, tanto rocamboleschi nella loro assurdità, quanto oscuri e inquietanti nella loro funzione di guerra.

Chi ricorda con quali motivazioni il fronte imperialista attaccò la Libia, a partire dal 19 marzo del 2011, per una guerra che si sarebbe rivelata una carneficina contro il popolo libico, un orrore degno di una nuova Norimberga, per gli USA e per la NATO ? La motivazione ufficiale per l’attacco – un’incredibile favola, rispetto alla realtà vera – fu la seguente: in Libia sono in atto manifestazioni popolari contro Gheddafi e l’occidente ha il dovere morale di appoggiare il popolo libico che lotta contro la dittatura gheddafiana. A pensarci, è incredibile che ciò sia accaduto, che questa argomentazione sia stata il collante di un intero mondo in armi contro la Libia, sia stato il pensiero – indotto – di centinaia di milioni di persone nel mondo che dovevano essere convinte della bontà dell’attacco militare. Ma fu proprio così: poiché erano in corso in Libia manifestazioni contro il governo, un fronte imperialista dalla vastità impressionante ( all’inizio una coalizione composta da USA, Francia, Belgio, Canada, Danimarca, Italia, Norvegia, Spagna, Regno Unito, una coalizione che si sarebbe tuttavia allargata sino al  Qatar e sarebbe stata composta, infine, da ben 19 paesi!)  mise il coltello tra i denti e assassinò la Libia. A pensarci bene sarebbe come se  un’organizzazione militare mondiale opposta alla NATO, poiché, oggi, vi sono manifestazioni popolari contro Obama negli USA e la polizia americana massacra i neri, dovesse bombardare Washington e New York…  Ad attaccare per primi, 19 marzo 2011, furono i francesi; qualche ora più tardi iniziarono ad alzarsi i missili da crociera  “Tomahawk” da navi militari statunitensi e britanniche sugli obiettivi strategici di tutta la Libia.


Ma vogliamo ricordare la realtà delle cose, magari con un po’ di pignoleria, ma sicuri che questa realtà ci impressionerà? Che contribuirà al ripristino della verità, così ferocemente cancellata dai “neo grammatici” dell’attuale imperialismo?

Vediamo, semplicemente,  le forze militari in campo nel marzo del 2011 contro la Libia di Gheddafi.

Belgio: sei caccia multiruolo F-16 Falcon . Bulgaria: la grande fregata Drazki.  Canada: il Canadian Forces Air Command , con sette cacciabombardieri CF-18, due aerocisterne CC-150 Polaris, due C-130J da trasporto, due CC-177 e due pattugliatori marittimi CP-140 Aurora. In totale sono circa 490 i militari canadesi coinvolti nell’operazione, compresi quelli imbarcati sulle fregate Charlottetown e Vancouver.  Danimarca: l’aeronautica militare danese partecipa con sei caccia F-16 e un C-130J-30 Super HerculesEmirati Arabi Uniti: sei F-16 Falcon e sei Mirage 2000 che fanno base a Decimomannu, Sardegna, e TrapaniSiciliaFrancia: L’Armée de l’air, che effettuerà il 35% dei bombardamenti, dispiega 19 Rafale, 18 tra Mirage 2000D e Mirage 2000-5F, 6 MirageF1, 6 Super Étendard, 2 E-2C Hawkeye, 2 
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(italiano / english / srpskohrvatski)

Serbia and China
Some texts by Zivadin Jovanović, president of the Belgrade Forum for a World of Equals

1) Lo Sviluppo della Cina è ispirazione per il mondo intero / WIN WIN Cooperation Symbol of China
2) China and Serbia Expanding Cooperation / Geopolitica dei Balcani: Cina e Serbia espandono la cooperazione strategica ed economica 


Vedi anche / see also:

ASIA BELONGS TO PEOPLES OF ASIA. The Shanghai Forum 2016, View from Serbia (July 2016)

На међународној конференцији о иницијативи „Појас и пут“, одржаној 23. и 24. фебруара 2016. у Шенжену, Кина

ADDRESS of Zivadin Jovanovic at the Think Tank International conference
http://www.beoforum.rs/en/press-conferences-belgrade-forum-for-the-world-of-equals/456-address-of-zivadin-jovanovic-at-the-think-tank-international-conference.html
Говор Председника Беофорума господина Живадина Јовановића на конференцији у Кини
http://www.beoforum.rs/komentari-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/778-zivadin-jovanovic-kina-2016.html

Shenzhen Declaration (Silk Road Think Tank Association – Feb 23rd, 2016 Shenzhen, China)
http://www.beoforum.rs/en/press-conferences-belgrade-forum-for-the-world-of-equals/455-shenzhen-declaration-.html
Шенжен Декларација - Тинк Танк међународна асоцијација Пута свиле
http://www.beoforum.rs/komentari-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/779-zensen-deklaracija.html

КИНЕСКИ НОВИ ПУТ СВИЛЕ 21. ВЕКА
http://www.beoforum.rs/komentari-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/777-kineski-novi-put-svile.html
SILK ROAD OF 21st CENTURY


=== 1 ===

<< Siamo grati alla Cina che non votò a favore delle sanzioni contro la Serbia nel Maggio 1992, per il fatto che condannò fortemente l’aggressione alla Serbia nel 1999, e per il fatto che rifiutò l’illegale, unilaterale secessione della provincia Serba del Kosovo e Metohija... >>


Intervista a Zivadin Jovanovic, Presidente del Forum di Belgrado per un Mondo di Eguali, ex ministro degli esteri della Repubblica Federale Jugoslava

 

D: Lei è grande amico della Cina, paese che visita spesso. Cosa la impressiona più di tutto il resto?
R: Per decenni sono stato coinvolto nello sviluppo della cooperazione e delle relazioni tra Jugoslavia e Cina. Oggi le nostre relazioni hanno carattere strategico. La recente visita del Presidente cinese Xi Djinping alla Serbia è di importanza storica, e crea le basi per la cooperazione del XXI secolo.
Sono personalmente impressionato di come la Cina si sia trasformata da Paese sottosviluppato e chiuso a Paese aperto e prosperoso con risultati straordinari in campo economico, scientifico e tecnologico. Lo sviluppo cinese diventa fonte di ottimismo in un mondo che deve affrontare nuove sfide e nuovi problemi.

D: Prima della nascita della Repubblica Popolare Cinese, era un paese sottosviluppato. Ma ora la Cina occupa un posto centrale sulla scena mondiale. Secondo lei, qual è la ragione principale per tale risultato? Qual è il ruolo del partito comunista in questo processo?
R: Il Partito Comunista ha giocato un ruolo cruciale in tutte le fasi dello sviluppo cinese. Il Partito è sempre stato fermamente unito con la propria gente difendendo la libertà dai padroni stranieri e dagli occupanti fascisti, salvaguardando la sovranità e l’integrità territoriale della Patria, tracciando la strategia per lo sviluppo economico, sociale e culturale. Grazie al Partito, i bisogni degli uomini e delle donne, sono sempre al centro delle decisioni politiche. Credo che quest’unità tra popolo, partito e Stato sia la base dei grandi risultati raggiunti in Cina in tutti i campi.

D: Facendo un confronto con altri partiti comunisti, qual è il segreto del Partito Comunista Cinese nell’aver raggiunto un così grande successo?
R: Se c’è qualche segreto, questo è il senso di unità, responsabilità, apertura e approccio innovativo al futuro. I successi del Partito sono basati sulla profonda comprensione dei bisogni e delle capacità delle persone; dei cambiamenti e delle nuove sfide a livello mondiale; terzo una visione di lungo termine e pianificazione. Il Partito Comunista è molto aperto nello studio delle esperienze di altri parti e sistemi sociali, mentre con risolutezza costruisce il proprio sistema socialista, basato sulle concrete condizioni, bisogni e sul proprie radici culturali. La politica che seguono ha grande valore.

D: La Cina sta esplorando un nuovo cammino nello sviluppo di se stessa. Qual è il contributo che la Cina ha dato nello sviluppo mondiale?
R: Il contributo della Cina allo sviluppo della pace e dello sviluppo è enorme. Come membro permanente del Consiglio di Sicurezza e come membro influente di altre organizzazioni internazionali, si è sempre battuta per la pace, la giustizia e pari opportunità per lo sviluppo di tutte le nazioni.
Siamo grati alla Cina che non votò a favore delle sanzioni contro la Serbia nel Maggio 1992, per il fatto che condannò fortemente l’aggressione alla Serbia nel 1999, e per il fatto che rifiutò l’illegale, unilaterale secessione della provincia Serba del Kosovo e Metohija.
Coesistenza pacifica, rispetto del ruolo delle Nazioni Unite e dei principi base del Diritto Internazionale, come forma di rispetto della sovranità e integrità territoriale di tutti i paesi nel mondo, siano grandi o piccoli, sviluppati o meno, forti o deboli, sono questi i principi cardine della politica estera cinese, grazie alla quale ha conquistato la simpatia e il rispetto di altri paesi, soprattutto in Asia, Africa e Sud America. L’approccio Cinese ai problemi economici si basa su una visione di insieme che tende a trovare soluzioni che diano reciproco vantaggio, e che cerchino di superare la crisi mondiale che dura da anni.
L’iniziativa “One Belt, one Road” introdotta dal presidente Xi Djinping nel 2013 è stata già profondamente appoggiata e supportata come nuovo approccio allo sviluppo globale, agli interessi comuni, alla connettività delle infrastrutture, produzione culturale e relazioni umane in generale.
La Cina è fondatrice, o co-fondatrice, dell’Organizzazione di Shangai, del Brics, della Banca Asiatica per le infrastrutture, della New Development Bank, G-20 e altri forum internazionali. Questo dimostra l’impegno della Cina nella creazione di un mondo multipolare libero da ogni dominio. Se è chiaro per tutti che l’Asia è al centro dello sviluppo del XXI secolo, è altrettanto chiaro che la Cina è la nazione leader dell’Asia. La collaborazione strategica tra Cina e Russia è simbolo di speranza per un mondo di pace, stabilità e prosperità.

D: La disputa tra Cina e Filippine è complicata e delicata. Il collegio arbitrale istituito ad hoc è composto da 5 persone, 4 dei quali sono occidentali. Possono giudicare in maniera adeguata il caso?
R: E’ difficile immaginare come un tribunale ad hoc possa risolvere questa complicata disputa bilaterale, specialmente se solo una parte è disposta a farlo. Guardando la composizione del tribunale, cui ha fatto riferimento, si nota, come minimo, la faziosità del collegio. Pertanto sono davvero scettico verso tale metodo.

D: La controversia è sulla sovranità. Il Tribunale ha sufficiente autorità per risolvere la disputa?
R: Secondo me, come tribunale è deficitario delle qualifiche adatte per decidere la disputa. Non ha sufficiente autorità per prendere tali decisioni circa tali questioni di sovranità, né per costringere le parti a prendervi parte.

D: A quale risultato può portare l’arbitrato nella soluzione della disputa?
R: Stando a vedere la storia, l’essenza della disputa, penso che l’arbitrato non sia il modo corretto per risolvere la questione. E’ piuttosto una maniera per postergare la questione non per risolverla. Questo però è contro l’interesse di entrambe le parti.  Il punto è, chi trae beneficio da questo tribunale?

D: Secondo lei qual è la soluzione migliore?
R: Un negoziato tenuto dalle parti direttamente interessate nel reciproco interesse, senza interferenze dall’esterno. Questo risolverebbe un problema delicato attraverso amichevoli relazioni di vicinato. E tutta la regione beneficerebbe dalla comprensione reciproca, libertà di navigazione e crescente cooperazione.                         
Dal quotidiano cinese Zhenminzhibao

Traduzione di Pacifico S.


--- ORIG.: 

<< ... We are grateful to China that she has not voted in favor of UN sanctions against Serbia (FRY) in May 1992, that China strongly condemned NATO military aggression against Serbia (FRY) in 1999 and that China refused to recognize unlawful, unilateral secession of Serbian southern Province of Kosovo and Metohija... >>


WIN WIN COOPERATION SYMBOL OF CHINA

Zivadin Jovanovic, president of the Belgrade Forum for a World of Equals, former Federal Minister for Foreign Affairs of Yugoslavia

Topic One: 95 years of CCP

1.    You are friend of China and often visit China. What impressed you most in China? 
Reply: Yes indeed. For decades I have been involved in development of cooperation and friendship between Serbia (Yugoslavia) and China. Today our relations have strategic character. Recent state visit of the President of PR of China Xi Djinping to Serbia is of historic importance as it has created basis for our cooperation in 21st century. 
I am impressed by unprecedented transformation of China from underdeveloped and closed country into the most prosperous and open society with the highest economic, scientific and technological achievements in the world.  Chinese overall development has become inspiration and well of optimism for contemporary world faced with many challenges and problems.

2.    Before the foundation of PRC, China was backward in the world. But now China has been in the center of the world stage. In your opinion, what's the basic reason for such achievement? What role has CCP played in the progress?
Reply: CCP played decisive role in all stages of Chinese new history and development. CCP has always stayed firmly united with own people defending freedom from foreign masters and fascist occupiers, safeguarding sovereignty and territorial integrity of the country, tracing strategy for overall economic, social and cultural development. Thanks to the CCP, everyday needs of a man and woman, as human beings, have always been in the center of political decision making process. So, I believe, that this unity of the Party, People and the State is the basis for the great achievements of China in all fields. 

3.    Compared with other communist parties, what's the secret of CCP to make such great success?
Reply: If there are any secrets then they are CCP`s own unity and responsibility, openness and innovative approach to the future. Historic achievements of CCP have been based on profound understanding, firstly, of the needs and potentials of the people, secondly, of world trends and challenges and thirdly, of the importance of long-term vision and planning. Openness has many aspects but, CCP`s openness to study experiences of other parties and other social systems, while firmly building own, socialist system of Chinese colors, based on concrete own conditions, needs and culture – is unique, the most valuable policy. 

4.    China is exploring a new path in developing itself. What contribution has China made towards the world in the development?
Reply: China`s contribution to peace and development in the world is enormous. As the Permanent member of UN Security Council and very influential member of many other international organizations, be it universal or regional, China has always strived for peace, justice and equal chances for development of all nations.  
We are grateful to China that she has not voted in favor of UN sanctions against Serbia (FRY) in May 1992, that China strongly condemned NATO military aggression against Serbia (FRY) in 1999 and that China refused to recognize unlawful, unilateral secession of Serbian southern Province of Kosovo and Metohija.   
Peaceful coexistence,  respect of UN role and basic principles of the International Law, such as respect of sovereignty and territorial integrity of all countries of the world, small or big ones, developed or underdeveloped, militarily strong or weak - have always been guiding criteria of  China`s foreign policy. China has won admiration for solidarity and enormous contribution to the development of developing countries, especially those of Asia, Africa and South America. Concept of worldwide win win cooperation is symbol of Chinese approach to solving major economic problems and getting out of prolonged world economic crises.  
Multidimensional, global Initiative One Belt One Road introduced by president Xi Djinping in 2013 has already been widely supported as completely new concept to the global development based on shared interests, connectivity in infrastructure, production culture and human relations in general. 
China is founder or co-founder of Shanghai Cooperation Organization, BRICS, Asian Bank for Infrastructure, New Development Bank, G-20 (presently presided by China) and other international forums. All these illustrate the growing global influence of China toward creation of multi-polar world free of any domination. If there is consensus that Asia is the center of the World development in 21st Century, it is clear, too, that China is the center and leader of Asia. Strategic partnership between China and Russia is the hope for world peace, stability and prosperity.  

Topic Two:  The South China Sea Arbitration (if you have ready articles on this topic please send to me.)

1.    The dispute between China and the Philippines is complicated and sensitive. The ad hoc arbitral tribunal is made up of 5 people, in which 4 are from the west. Can they understand and judge the case properly? 
Reply: It is really difficult to imagine how the ad hoc tribunal could resolve this complicated bilateral dispute, especially if only one side opts for such method and the other side has different approach. Supposed composition of the tribunal, that you are referring to, in my opinion, is rather indicative of biased, prejudicing approach, to say the least. Therefore, I am very skeptical towards this method.

2.    The dispute is about the sovereignty. Does the tribunal have enough legal authority to solve the dispute?
Reply: In my opinion, such a tribunal lacks legal ground and qualification to be deciding on this problem. It does not have necessary authority to make decision about question of the sovereignty, nor could it oblige any party to participate.

3.    What will the result of arbitration bring to the situation of the dispute? 
Reply: Having regard to the facts, history and the essence of dispute, I think this arbitration is not the way to solve the problem. It is rather the method to postpone any solution if not to further complicate the whole situation. This certainly cannot be in the interest of either side. The question remains who could benefit from trying to impose such a tribunal? 

4.    In your opinion, what is the best way to solve such dispute?
Reply: It is quite clear that the negotiation of directly involved parties is the best way to solve the problem in their mutual interest, without interference of any factors from outside.  This would remove a sensitive problem in good neighborly relations and open wide space for their win win cooperation. No doubt that the whole region would benefit from mutual understanding, freedom of navigation and growing cooperation.
                                                      

ZIVADIN JOVANOVIC                                                        
Born in 1938, in Oparic, central Serbia. I graduated at Law Faculty, Belgrade University in 1961. Working in Yugoslav diplomacy for 40 years including duties in Canada, Keniya, Angola. 
Assistant Federal minister (1994-1998). Federal minister of Foreign Affairs of FR of Yugoslavia 1998-2000.
Vice-President of the Socialist Party of Serbia (1997-2002), elected member of Yugoslav and Serbian Parliaments.
Founder and President of Foundation Diaspora for Motherland  (1999 -), Foundation for scholarship for talents (1999 -), Think Tank association Belgrade Forum for a World of Equals (2000), New Silk Road think Tank Connectivity Research Center (2016).
Official visits to China: 1996 and 1999. Several working visits to China, including SRTA founding Conference in Shenzhen, in February 2016 and Shanghai Forum in May, 2016.
Languages: Serbian, English, French, Russian, Portugues.
Books: Bridges (2003), Abolishing the State (2003), Kosovo`s Mirror (2006) and others.
Married, two daughters.
                 

BELGRADE FORUM FOR A WORLD OF EQUALS
The Belgrade Forum for a World of Equals founded in 2000. Is an independent, non-profit Research Association researching and struggling for peace, sovereign equality of states, nations and individuals; for the truth in international relations; for respecting of the International Law and role of UN; for cooperation on equal footing; for multi-polar world relations; against abuse of human rights for interference in internal affairs; against any form of domination and discrimination; against international terrorism but also against abuse of the antiterrorist struggle for expansion of geopolitical interests; antiterrorist struggle must be coordinated under auspices of UN; for freedom in choosing own path of internal and foreign policy; against export of democracy and so called color revolutions; against of militarism and interventionism of NATO; against revival of fascist and Nazi ideology and systematic revision of history, especially, history of the First and Second World Wars.
Belgrade Forum is a member of the World Peace Council (Athens). Cooperates with many independent associations and think tanks in Serbia, Europe and the world. Actively participates in the activities of SRTA (Silk Road Think Tank Association) as a founding member. Cooperates with Chinese Center for Contemporary World Studies (CCCWS), Shanghai Forum and other think tank associations.
Every year, 22-24 of March, Belgrade Forum holds regular international forums devoted to peace, cooperation and security issues.
Belgrade Forum is initiator of founding of Silk Road Contectivty Research Center (COREC)


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China and Serbia Expanding Cooperation

Zivadin Jovanovic, Belgrade Forum for a World of Equals


Serbia and China cultivate a long tradition of friendship and mutual trust enjoying mutually beneficial cooperation. Presently, when certain European, American and other countries compete to win Chinese cooperation, Serbia is already endowed with the capacity and the basis to enhance cooperation with the second strongest economic power in the world and to upgrade mutual relations to the strategic level. In fact, that is exactly what Serbia is doing. The forthcoming visit of Chinese President Xi Jinping and expected signing of General agreement on strategic relationship will certainly accelerate this cooperation in all fields.
China and Serbia perceive each other as stable, reliable partners in long run. Serbia, although relatively small economy, commands considerable capacity for future development, especially in the fields of infrastructure, energy and food production. In addition, Serbia occupies favorable geopolitical position being at the same time South European, Central European and Danube country. As cross-roads between various regions and even continents, Serbia is the door and bridge to other destinations for economic cooperation with Europe. It was not mere coincidence that in December of 2014 capital of Serbia Belgrade was the venue of “China + 16” Group Summit, comprising Central and Southeast European countries jointly participating in the implementation of the “Road and Belt” mega-project, better known as the 21st Century New Silk Road. So far, China has allocated $ 13 billion for the projects in these countries, out of which 1.5 billion is earmarked for Serbia.
Chinese companies have already constructed the “Mihailo Pupin” Bridge over the Danube River, in Belgrade, plus 21 km of access highway. Plans for the construction of the second bridge over the Danube near Vinča, along the European Corridor X, and a bridge over the Sava River, near the Town of Obrenovac are in advanced stage. Chinese Hessteel Co., the second largest steelmaker in the world, has recently bought the Smederevo Steel Plant that employs 5,050 workers, and owns a port on the Danube and a Tinplate Factory in the City of Šabac (on the River Sava). A further agreement was reached with Chinese partners to construct the Thermo Power Plant “Kosotolac B”. This project, includes also construction of another port on the Danube and an 18 km-long railroad section for the transport of necessary equipment.
Therefore, in economic terms, Chinese companies have already settled on the Danube, thus increasing the significance of this strategic inland water European Corridor VII. 
The Tripartite Partnership of Serbia, Hungary and China has initiated construction of the high-speed railway connecting Belgrade and Budapest. This project is just a part of the of strategic railroads on European Corridor X, running from the Mediterranean Ports of Piraeus and Thessalonica, in Greece, through Macedonia, Serbia and Hungary, to the countries in the Central and the North Europe – all the way to the Northern and Baltic Seas. Taking in consideration plans of Chinese engagement in the modernization of transport lines connecting Belgrade and the Port of Bar (Adriatic, Montenegro), then Chinese companies` interest in privatization of a number of Serbian companies, then the full potential and the perspective of economic cooperation between the two countries become much clearer.

It seems that the importance of the rapid rise in economic cooperation with China goes beyond the point of its substantial input to GDP growth and employment, although both of them make very significant parameters. Provided that the current trend continues -- and there is no reason to expect otherwise -- it could gradually affect the layout of Serbia’s economic interests at the international level, focusing them into a more balanced position. 
Over the recent years, the EU has been busy dealing with itself, suffering from serious crisis of the system, nationalism and particularism on rise, technological and economic stagnation, Eurozone crisis, capital outflow, migrants, “Brexit” and other “exits”, and Transatlantic “encouragments” to increase its military expenditure (truncated G7 Summit in Hannover). The USA has been busy intimidating its allies by using, once “dangers” from Russian, other time, from China. Russia is faced with decline of oil prices, with the need to modernize economic structure, to alleviate consequences of US sanctions implemented by “European partners”, forcing her to spend more on defense. The world witnesses a dramatic widening of the divide between the masses of poor and the handful of extremely rich, with poverty, unemployment and misery dominating the globe.
China extends her friendly hand to offer partnership, networking, innovation, and mutual benefit towards all four sides of the world.
Every now and then, one wonders – why should the West feel it necessary to publicly lament over apparent “slowdown of Chinese economic growth” falling from former 9% to present ‘mere’ 7.5%! Who, really, is doing better in time of prolonged global economic crisis?

--- TRAD.:


Geopolitica dei Balcani: Cina e Serbia espandono la cooperazione strategica ed economica


Zivadin Jovanovic, Global Research, 26 maggio 2016

Serbia e Cina coltivano una lunga amicizia e fiducia reciproca basata sulla cooperazione reciprocamente vantaggiosa. Attualmente, quando certi Paesi europei, americani e altri competono per la cooperazione cinese, la Serbia ha già capacità e base per rafforzare la cooperazione con la seconda potenza economica nel mondo e migliorare le mutue relazioni a livello strategico. In realtà, questo è esattamente ciò che la Serbia fa. L’imminente visita del Presidente cinese Xi Jinping e l’attesa firma di un accordo generale sulla relazione strategica certamente accelererà la cooperazione in tutti i campi.

Cina e Serbia si percepiscono stabili e soldi partner affidabili. La Serbia, anche se dall’economia relativamente piccola, ha notevole capacità di sviluppo futuro, in particolare nelle infrastrutture, energia e produzione alimentare. Inoltre, la Serbia occupa una posizione geopolitica favorevole essendo allo stesso tempo nel Sud Europa, Europa centrale e Paese danubiano, crocevia di diverse regioni e persino continenti; la Serbia è porta e ponte per altre destinazioni della cooperazione economica con l’Europa. Non è una semplice coincidenza che nel dicembre del 2014 Belgrado abbia ospitato il vertice del gruppo “Cina + 16” comprendente i Paesi dell’Europa centrale e del sud-est che partecipano congiuntamente all’attuazione del mega-progetto “Via e Cintura”, meglio noto come Nuova Via della Seta del 21° secolo. Finora la Cina ha stanziato 13 miliardi di dollari per progetti in questi Paesi, di cui 1,5 miliardi per la Serbia. Le imprese cinesi hanno già costruito il ponte “Mihailo Pupin” sul fiume Danubio, a Belgrado, oltre a 21 km di autostrada d’ingresso. I piani per la costruzione del secondo ponte sul Danubio, nei pressi di Vinca, lungo il X Corridoio europeo, e per un ponte sul fiume Sava, vicino ad Obrenovac, sono in fase avanzata. La Chinese Hessteel Co., secondo maggiore produttore di acciaio al mondo, ha recentemente acquistato l’acciaieria Smederevo che impiega 5050 lavoratori ed ha un porto sul Danubio e una fabbrica di stagno a Shabac (sul fiume Sava). È stato raggiunto un ulteriore accordo con i partner cinesi per costruire la centrale termoelettrica “Kosotolac-B”. Questo progetto prevede anche la costruzione di un altro porto sul Danubio e una sezione di 18 km di ferrovia per trasportare le attrezzature necessarie. Pertanto, in termini economici, le aziende cinesi si sono già insediate nel Danubio aumentando così il peso di queste acque interne presso lo strategico VII Corridoio europeo.
Il partenariato tripartito Serbia, Ungheria e Cina ha avviato la costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità che collega Belgrado e Budapest. Il progetto è solo una parte delle ferrovie strategiche del X Corridoio dai porti mediterranei di Pireo e Salonicco, in Grecia, a Macedonia, Serbia, Ungheria e Paesi dell’Europa centrale e del nord fino al Mar Baltico. Prendendo in considerazione i piani d’impegno cinese nella modernizzazione delle linee dei trasporti che collegano Belgrado e il porto di Bar (Adriatico, Montenegro), l’interesse delle compagnie cinesi nella privatizzazione di numerose aziende serbe, e quindi potenzialità e prospettive della cooperazione economica tra i due Paesi, diventa molto più chiara. Sembra che l’importanza del rapido aumento della cooperazione economica con la Cina vada oltre il sostanziale input della crescita del PIL e dell’occupazione, anche se sono parametri molto significativi. A condizione che l’attuale tendenza continui, e non c’è motivo di aspettarsi altrimenti, influenzerebbe seriamente i piani degli interessi economici della Serbia a livello internazionale, orientandoli su una posizione più equilibrata. Negli ultimi anni l’Unione europea era occupata a trattare con se stessa, soffrendo grave crisi di sistema, avanzata di nazionalismo e particolarismo, stagnazione tecnologica ed economica, crisi dell’eurozona, deflusso di capitali, migranti, “Brexit” ed altre “uscite”, ed “incoraggiamenti” transatlantici per aumentare la spesa militare (troncati al vertice G7 di Hannover). Gli Stati Uniti si preoccupano d’intimidire gli alleati utilizzando una volta il “pericolo” russo, un’altra volta cinese. La Russia affronta il declino dei prezzi del petrolio, con la necessità di modernizzare la struttura economica e alleviare le conseguenze delle sanzioni degli Stati Uniti attuate dai “partner europei”, costringendola a spendere di più per la difesa. Il mondo testimonia l’allargamento drammatico della divisione tra masse di poveri e una manciata di estremamente ricchi, con povertà, disoccupazione e miseria che dominano il mondo. La Cina tende una mano amichevole offrendo collaborazione, connessione, innovazione e mutuo vantaggio in tutti i quattro angoli del mondo. Ogni tanto, ci si chiede perché l’occidente senta la necessità di lamentarsi pubblicamente sul “rallentamento della crescita economica cinese” che apparentemente cade dal 9% all’attuale ‘mero’ 7,5%! Chi in realtà fa meglio in tale prolungata crisi economica globale?

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora




Distruzione e saccheggio della Libia

In ordine cronologico inverso:
1) Libia, la grande spartizione (di Manlio Dinucci, 3.8.2016)
2) Libia: come distruggere una nazione (di Patrick Howlett-Martin, 31.5.2016)
3) Libia: bandiere italiane bruciate Tobruk e Derna (ANSA, 30 aprile 2016)
4) La nuova spinta per l’intervento militare in Libia: chi controllerà la Banca Centrale libica? (di Horace G. Campbell, 28.4.2016)
5) La ricolonizzazione della Libia (di Manlio Dinucci, 8 marzo 2015)
6) Aysha Gheddafi, nuova leader della Resistenza popolare contro NATO e ISIS (di Enrico Vigna)


=== 1 ===

Libia, la grande spartizione  

Petrolio, immense riserve d’acqua, miliardi di fondi sovrani. Il bottino sotto le bombe
 
Manlio Dinucci
  

«L'Italia valuta positivamente le operazioni aeree avviate oggi dagli Stati uniti su alcuni obiettivi di Daesh a Sirte. Esse avvengono su richiesta del Governo di Unità Nazionale, a sostegno delle forze fedeli al Governo, nel comune obiettivo di contribuire a ristabilire la pace e la sicurezza in Libia»: questo il comunicato diffuso della Farnesina il 1° agosto.  

Alla «pace e sicurezza in Libia» ci stanno pensando a Washington, Parigi, Londra e Roma gli stessi che, dopo aver destabilizzato e frantumato con la guerra lo Stato libico, vanno a raccogliere i cocci con la «missione di assistenza internazionale alla Libia». L’idea che hanno traspare attraverso autorevoli voci. Paolo Scaroni, che a capo dell’Eni ha manovrato in Libia tra fazioni e mercenari ed è oggi vicepresidente della Banca Rothschild, ha dichiarato al Corriere della Sera che «occorre finirla con la finzione della Libia», «paese inventato» dal colonialismo italiano. Si deve «favorire la nascita di un governo in Tripolitania, che faccia appello a forze straniere che lo aiutino a stare in piedi», spingendo Cirenaica e Fezzan a creare propri governi regionali, eventualmente con l’obiettivo di federarsi nel lungo periodo. Intanto «ognuno gestirebbe le sue fonti energetiche», presenti in Tripolitania e Cirenaica. 

È la vecchia politica del colonialismo ottocentesco, aggiornata in funzione neocoloniale dalla strategia Usa/Nato, che ha demolito interi Stati nazionali (Jugoslavia, Libia) e frazionato altri (Iraq, Siria), per controllare i loro territori e le loro risorse. La Libia possiede quasi il 40% del petrolio africano, prezioso per l’alta qualità e il basso costo di estrazione, e grosse riserve di gas naturale, dal cui sfruttamento le multinazionali statunitensi ed europee possono ricavare oggi profitti di gran lunga superiori a quelli che ottenevano prima dallo Stato libico. Per di più, eliminando lo Stato nazionale e trattando separatamente con gruppi al potere in Tripolitania e Cirenaica, possono ottenere la privatizzazione delle riserve energetiche statali e quindi il loro diretto controllo.  

Oltre che dell’oro nero, le multinazionali statunitensi ed europee vogliono impadronirsi dell’oro bianco: l’immensa riserva di acqua fossile della falda nubiana, che si estende sotto Libia, Egitto, Sudan e Ciad. Quali possibilità essa offra lo aveva dimostrato lo Stato libico, costruendo acquedotti che trasportavano acqua potabile e per l’irrigazione, milioni di metri cubi al giorno estratti da 1300 pozzi nel deserto, per 1600 km  fino alle città costiere, rendendo fertili terre desertiche. 

Agli odierni raid aerei Usa in Libia partecipano sia cacciabombardieri che decollano da portaerei nel Mediterraneo e probabilmente da basi in Giordania, sia droni Predator armati di missili Hellfire che decollano da Sigonella. Recitando la parte di Stato sovrano, il governo Renzi «autorizza caso per caso» la partenza di droni armati Usa da Sigonella, mentre il ministro degli esteri Gentiloni precisa che «l'utilizzo delle basi non richiede una specifica comunicazione al parlamento», assicurando che ciò «non è preludio a un intervento militare» in Libia. Quando in realtà l’intervento è già iniziato: forze speciali statunitensi, britanniche e francesi – confermano il Telegraph e Le Monde – operano da tempo segretamente in Libia per sostenere «il governo di unità nazionale del premier Sarraj». 

Sbarcando prima o poi ufficialmente in Libia con la motivazione di liberarla dalla presenza dell’Isis, gli Usa e le maggiori potenze europee possono anche riaprire le loro basi militari, chiuse da Gheddafi nel 1970, in una importante posizione geostrategica all’intersezione tra Mediterraneo, Africa e Medio Oriente. Infine, con la «missione di assistenza alla Libia», gli Usa e le maggiori potenze europee si spartiscono il bottino della più grande rapina del secolo: 150 miliardi di dollari di fondi sovrani libici confiscati nel 2011, che potrebbero quadruplicarsi se l’export energetico libico tornasse ai livelli precedenti. 

Parte dei fondi sovrani, all’epoca di Gheddafi, venne  investita per creare una moneta e organismi finanziari autonomi dell’Unione Africana. Usa e Francia – provano le mail di Hillary Clinton – decisero di bloccare «il piano di Gheddafi di creare una moneta africana», in alternativa al dollaro e al franco Cfa. Fu Hillary Clinton – documenta il New York Times – a convincere Obama a rompere gli indugi. «Il Presidente firmò un documento segreto, che autorizzava una operazione coperta in Libia e la fornitura di armi ai ribelli», compresi gruppi fino a poco prima classificati come terroristi, mentre il Dipartimento di stato diretto dalla Clinton li riconosceva come «legittimo governo della Libia». Contemporaneamente la Nato sotto comando Usa effettuava l’attacco aeronavale con decine di migliaia di bombe e missili, smantellando lo Stato libico, attaccato allo stesso tempo dall’interno con forze speciali anche del Qatar (grande amico dell’Italia). Il conseguente disastro sociale, che ha fatto più vittime della guerra stessa soprattutto tra i migranti, ha aperto la strada alla riconquista e spartizione della Libia. 
 
(il manifesto, 3 agosto 2016)


Sullo stesso argomento vedi La notizia su Pandora TV http://www.pandoratv.it/?p=7166



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ORIG.: Libya: How to Bring Down a Nation (by PATRICK HOWLETT-MARTIN, MAY 31, 2016)
http://www.counterpunch.org/2016/05/31/libya-how-to-bring-down-a-nation/


Libia: come distruggere una nazione

Pubblicato il 2 giu 2016

di Patrick Howlett-Martin
Più di 30.000 libici sono morti durante sette mesi di bombardamenti messi in atto da una forza essenzialmente tripartitica – Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti – che ha chiaramente favorito i ribelli. ‘La missione di maggior successo nella storia della NATO‘, secondo le parole imprudenti del Segretario generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen, un danese, a Tripoli nell’ottobre 2011.
Il desiderio del presidente francese Nicolas Sarkozy di sostenere un intervento militare con lo scopo presunto di proteggere la popolazione civile è in contrasto con l’ospitalità offerta al presidente della Libia, Muammar Gheddafi, quando visitò Parigi nel dicembre 2007 e firmò importanti accordi militari del valore di circa 4.5 miliardi € con accordi di cooperazione per lo sviluppo dell’energia nucleare per usi pacifici, I contratti che la Libia non sembrava più disposta a rispettare si concentravano su 14 jet multiruolo Dassault Rafale da combattimento e il loro armamento (lo stesso modello che la Francia ha venduto o sta cercando di vendere al generale Egiziano Abdel Fattah al-Sisi l’auto-proclamato maresciallo), 35 elicotteri Eurocopter, sei motovedette, un centinaio di veicoli blindati, e la revisione di 17 caccia Mirage F1 venduti da Dassault Aviation negli anni 1970.
 Le principali compagnie petrolifere (Occidental Petroleum, Oil Stato, Petro-Canada …) che operano in Libia hanno aiutato la Libia a pagare 1,5 miliardi di dollari di risarcimento che il regime libico aveva accettato di pagare alle famiglie delle vittime del volo Pan Am 103. A quel tempo, la compensazione era stata destinata ad essere una delle condizioni per la Libia per essere riaccettati nella comunità delle relazioni internazionali.
I principali fondi libici di investimento (LAFICO-Libyan Arab Foreign Investment Company; LIA-Libyan Investment Authority) erano azionisti di molte aziende italiane e britanniche (Fiat, UniCredit, Juventus, il Gruppo Pearson, proprietario del Financial Times e la London School of Economics, dove Gheddafi è stato insignito del titolo di ‘Brother Leader‘ nel corso di una videoconferenza nel dicembre 2010 ed a suo figlio Saif è stato assegnato un dottorato di ricerca nel 2008). La banca di investimenti di New York Goldman Sachs è stata denunciata nel 2014 da un fondo libico (Libyan Investment Authority), che aveva perso più di 1,2 miliardi di dollari tra gennaio e aprile 2008 dopo che l’azienda americana aveva preso una commissione di 350 milioni di dollari per investire i loro soldi in derivati altamente speculativi.
Muammar Gheddafi era stato ricevuto con tutti gli onori da parte delle grandi potenze alcuni mesi prima: oltre al ricevimento in grande stile a Parigi, dove è stato ospite per cinque giorni, nel 2007, fu ricevuto in Spagna nel dicembre 2007, a Mosca nel ottobre 2008, e a Roma nell’agosto 2010, due anni dopo aver accettato il dono dell’Italia di 5 miliardi di dollari come risarcimento per l’occupazione italiana della Libia 1913-1943. E degni dii nota sono anche i cinque viaggi a Tripoli in tre anni da ex primo ministro britannico Tony Blair, un consulente senior legato alla banca d’investimento JP Morgan Chase. L’ex presidente francese Nicolas Sarkozy è stato ricevuto a Tripoli nel luglio 2007, dove ha annunciato l’inizio di una collaborazione per l’installazione di una centrale nucleare in Libia. L’Unione europea era pronta a facilitare l’accesso al mercato Europeo per le esportazioni agricole della Libia. La Libia fu invitata dai capi della NATO di difesa per l’Assemblea dei comandanti marittimi »(MARCOMET) a Tolone il 25-28 maggio 2008.
Una politica che ricorda quella verso il leader iracheno, Saddam Hussein. Il leader iracheno è stato invitato a Parigi nel giugno 1972 e settembre 1975; un accordo è stato firmato nel giugno 1977 per la vendita a Baghdad di 32 aerei da combattimento Mirage F1. Una coincidenza che non ha giovato a nessuno dei due governi nel lungo periodo.
I leader militari arabi (veterani dell’Afghanistan e membri del Gruppo combattente islamico libico, con legami con Al-Qaeda) hanno contribuito rovesciare Gheddafi. Uno dei principali capi militari della ribellione, Abdelhakim Belhadj (pseudonimo Abu Abdullah al-Sadik), poi capo della sicurezza di Tripoli e oggi il principale leader del partito conservatore islamista al-Watan era stato arrestato a Bangkok nel 2004, torturato da agenti della CIA, e consegnato alla prigione di Abu Salim di Gheddafi. Ora è il principale leader dell’ISIS in Libia. Jaballah Matar è stato rapito dalla sua casa al Cairo dalla CIA nel 1990 e poi consegnato a funzionari libici. Alcuni documenti sequestrati dopo la morte di Gheddafi rivelano una stretta collaborazione tra i servizi segreti libici, americani (CIA), e Britannici (MI6).
Sotto Gheddafi, il terrorismo islamico era praticamente inesistente. Prima dei bombardamenti degli Stati Uniti nel 2011, la Libia aveva il più alto indice di sviluppo umano, la mortalità infantile più bassa e l’aspettativa di vita più alta di tutta l’Africa. Oggi la Libia è uno stato distrutto.
Nel gennaio 2012, tre mesi dopo la fine delle ostilità, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Navi Pillay, ha riferito l’uso diffuso di torture, esecuzioni sommarie e stupri nelle carceri libiche. Allo stesso tempo, l’organizzazione Medici Senza Frontiere ha deciso di ritirarsi dalle carceri di Misurata a causa della torture in corso ai detenuti.
L’intervento della NATO in Libia, che coinvolge la maggior parte dei paesi membri sotto un pretesto umanitario, fissa uno spiacevole precedente per gli sforzi per risolvere la crisi siriana: l’attacco da parte di aerei da guerra francesi e britannici sulla tribù Warfallah, che sono rimaste fedeli a Muammar Gheddafi, e sul convoglio che trasportava il leader libico e uno dei suoi figli, che conduce direttamente alla morte di Gheddafi in circostanze deplorevoli. Le immagini  video di Ali Algadi, e della giornalista Tracey Sheldon forniscono un resoconto grafico del leader libico trascinato da un tubo di scarico il 20 ottobre 2011 e ucciso poco dopo. Queste circostanze smentiscono la natura pseudo-umanitaria dell’intervento militare e infangano l’immagine della “Primavera Libica”.
La morte dell’ambasciatore americano in Libia, Christopher Stevens e di uno dei suoi collaboratori in un incendio appiccato al consolato degli Stati Uniti a Bengasi nel mese di settembre 2012 rivela l’ampiezza delle attività della CIA, nelle quali il Consolato fungeva da facciata. Il reclutamento della CIAnella sua base di Bengasi dei combattenti dalla città di Derna per il conflitto in Siria, feudo degli islamisti (Brigata Al-Battar), contro il presidente Bashar al-Assad, ha paralleli inevitabili con il reclutamento del 1979, ancora una volta dalla CIA, dei mujahidin contro l’Unione Sovietica in Afghanistan, con tutte le conseguenze che sono ben note, una in particolare: la nascita del jihadismo sunnita.
L’attentato con un’autobomba all’ambasciata francese a Tripoli nel mese di aprile 2013; la fuga di 1.200 detenuti del carcere di Bengasi; l’uccisione del avvocato dei diritti umani Abdel Salam al-Mismari nel mese di luglio; e l’attacco al Consolato svedese a Bengasi nell’ottobre 2013, tutto ciò evidenzia l’incapacità delle autorità di acquisire il controllo della situazione della sicurezza in Libia considerando come è stata invasa dalle milizie armate fino ai denti. Nel luglio 2013, il primo ministro libico Ali Zeidan ha minacciato di bombardare i porti libici nella regione di Bengasi che erano nelle mani delle milizie e che sono stati utilizzati per l’esportazione del petrolio ora sotto il loro controllo. Nel mese di ottobre, il Primo Ministro è stato rapito da 150 uomini armati nel centro di Tripoli ed è stato trattenuto per sei ore per protestare contro il rapimento sul suolo libico di Abu-Anas al-Libi in un’operazione aerea segreta americana. Al-Libi è stato accusato di essere uno dei leader di Al-Qaeda e poi è morto mentre era in custodia negli Stati Uniti.
Il 2015 è iniziato con la Libia priva di tutte le istituzioni. E’ governata da un gruppo eterogeneo di coalizioni in lotta per il potere, con sede a Tripoli (Libia Farj, che controlla la banca centrale), Bengasi (Consiglio della Shura, composto da Ansar al-Sharia, che sta affrontando le Forze armate libiche del rinnegato generale Khalifa Hiftar), in Tobruk-Bayda (ramo del Consiglio Nazionale di Transizione, che gode di riconoscimento diplomatico internazionale dopo le elezioni di Giugno 2013).
La situazione di salute e sicurezza della popolazione civile è quasi disastrosa. Quando ho visitato il paese nel 1994, era un modello per la salute pubblica e l’istruzione, e vantava il più alto reddito pro capite in Africa. E’ stato chiaramente il più avanzato di tutti i paesi arabi in termini di status giuridico delle donne e delle famiglie nella società libica (la metà degli studenti presso l’Università di Tripoli erano donne). L’aggressione contro la presentatrice Sarah Al-Massalati nel 2012, la poetessa Aicha Almagrabi a febbraio 2013, e l’attivista per i diritti delle donne Maddalena Ubaida, ora in esilio a Londra,  sono la testimonianza del triste status giuridico della Libia post-Gheddafi. La città di Bengasi è ora semi-distrutta; le scuole e le università sono per lo più chiuse.
E’ teatro di scontri fratricidi tra fazioni rivali finanziate e armate da una serie di apprendisti stregoni, Un generale che è stato di stanza negli Stati Uniti per 27 anni comanda una coalizione eterogenea con l’appoggio militare dell’Egitto, degli Emirati Arabi Uniti e dell’Arabia Saudita mentre i gruppi islamici che rivendicano fedeltà all’ISIS, ben radicati a Sirte e Derna, sono in grado di diffondere la loro influenza grazie alla crisi istituzionale. e, Qatar, Turchia e Sudan che dall’altro lato sostengono Farj Libia.
Gheddafi, leader della rivoluzione libica, la Jamahiriya, al potere nel periodo 1969-2011, ha dato un avvertimento all’Europa in un’intervista rilasciata al giornalista francese Laurent Valdiguié del Journal du Dimanche, alla vigilia dell’intervento della NATO, con parole che ora sembrano profetiche:
‘Se si cerca di destabilizzare [La Libia], ci sarà il caos, Bin Laden, le fazioni armate. Questo è ciò che accadrà. Avrete l’immigrazione, migliaia di persone invaderanno l’Europa dalla Libia. E non ci sarà più nessuno a fermarli. Bin Laden si baserà in Nord Africa [...]. Avrete Bin Laden a portata di mano. Questa catastrofe si estenderà dal Pakistan all’Afghanistan e percorrerà tutta la strada verso il Nord Africa’
 La Libia è diventata un fulcro per il traffico illegale, in particolare di emigranti africani in condizioni che ricordano quelle del commercio degli schiavi. Secondo L’iniziativa Globale contro la criminalità organizzata internazionale (Global Initiative Against Transnational Organized Crime), il mercato del contrabbando di rifugiati in Libia valeva 323 milioni di dollari nel 2014. Nei primi cinque mesi del 2015, più di 50.000 immigrati clandestini hanno raggiunto l’Italia dall’Africa sub-sahariana con la Libia; 1.791 di loro hanno perso la vita in mare.
Prima dell’inizio delle ostilità, 1,5 milioni di africani subsahariani lavoravano in Libia in posti di lavoro in generale umili (industria del petrolio, agricoltura, servizi, del settore pubblico). I giorni più scuri in mare devono ancora arrivare.

 

NOTE:
 [1] “Il Capo della NATO Rasmussen ‘orgoglioso’ per la fine della missione in Libia’, BBC News, 31 ottobre 2011.
[2] Agenzia France Presse, 11 dicembre 2007.
[3] International Herald Tribune, 24 marzo 2011.
 [4] Jeremy Anderson, ‘Goldman per aver rivelato il reddito legato alla causa libica’, International New York Times, 25 novembre 2014.
 [5]The Telegraph, 23 marzo 2012.
 [6]O’Globo, il 26 luglio, 2007.
[7] Souad Mekhennet, Eric Schmitt, ‘ribelli libici cercano di gettarsi Al Qaeda alle spalle’, International Herald Tribune, 19 luglio 2011.
 [8]. Rod Nordland, ‘File di nota stretti legami della CIA con unità spia di Gheddafi’, International Herald Tribune, 5 settembre 2011.
 [9]International Herald Tribune, 28-29 gennaio 2012.
[10]Borzou Daragahi, ‘Invito a esplorare le morti dei civili libici’, Financial Times, 14 maggio 2012.
[11] Seymour Hersh, ‘Stati Uniti Sforzo contro il braccio jihadisti in Siria. Lo scandalo Dietro l’ente sotto copertura della CIA a Bengasi ‘, Global Research, Blog di Washington, 15 aprile 2014.
[12] Abdel Sharif Kouddous, ‘Relazione dal fronte: Libia discesa nel caos’, The Nation 25 febbraio 2015.
[13] Journal du Dimanche, 5 marzo 2011 (www.lejdd.fr)
[14] Fonte: Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e la Commissione europea.
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Traduzione di Edoardo Gistri
per aderire alla brigata traduttori inviare mail a traduttori@...


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Libia: bandiere italiane bruciate Tobruk e Derna 


Centinaia di libici hanno manifestato, sui cartelli era scritto "no all'intervento dell'Italia nei nostri affari interni"


Redazione ANSA
IL CAIRO
30 aprile 2016

Bandiere italiane date alle fiamme in Libia sono state segnalate da due media a Tobruk e a Derna, mentre su Twitter sono tornate a circolare immagini di un tricolore bruciato presumibilmente a Bengasi alcuni giorni fa.
Il caso di Tobruk viene riportato dal sito Alwasat precisando che "centinaia di libici" hanno manifestato ieri dopo la preghiera del venerdì al motto "nessuna tutela". Su cartelli era scritto "no all'intervento dell'Italia nei nostri affari interni", "l'Italia non si sogni di occupare il nostro paese". "I manifestanti hanno bruciato una bandiera italiana e issato striscioni sui quali era scritto 'il nostro esercito è il nostro salvatore', 'congratulazioni per le vittorie dell'esercito a Derna e Bengasi e per i suo progressi in direzione della città di Sirte", scrive il sito.

    "Bruciando una bandiera italiana, hanno condannato quello che definiscono un'interferenza italiana e dell'Onu in Libia", riferisce dal canto suo Libya Herald descrivendo l'episodio di Derna. Questo è avvenuto nell'ambito di una protesta peraltro indirizzata contro raid aerei dell'esercito libico guidato dal generale Khalifa Haftar osannato a Tobruk.

    Ad apparente conferma di un episodio segnalato mercoledì (ma non è escluso di tratti di un nuovo caso), un account Twitter ha diffuso quattro foto accompagnandole con la didascalia "la bandiera dell'Italia brucia a Bengasi quale rifiuto dell'ingerenza italiana e contro le dichiarazioni di Roberta Pinotti". Senza aggiungere altro circa il ministro della Difesa, il tweet mostra una bandiera mentre viene calpestata e bruciata.
    Sul campo bianco di un drappo, si legge la scritta rossa in arabo: "no all'intervento italiano".


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La nuova spinta per l’intervento militare in Libia: chi controllerà la Banca Centrale libica?

Pubblicato il 28 apr 2016

di  Horace G. Campbell
22 aprile  2016
Si sta spingendo fortemente affinché i paesi della NATO facciano in intervento dichiarato in Libia. In questo momento la giustificazione è di combattere lo Stato Islamico per impedire che il terrore si diffonda in Europa attraverso il Mediterraneo. Come avviene nei casi di distruzione delle società africane, i governi di Gran Bretagna e Francia sono in prima linea nella spinta al recente intervento. La Germania non vuole essere lasciata fuori e sta ora operando attivamente per l’intervento dell’ONU.
Prima di questa primavera, era stato difficile ottenere la copertura legale per un più grosso intervento militare da parte dell’Occidente, ma ora si ipotizza che ci sia un nuovo governo di ‘unità’ con il mandato per chiedere alle Nazioni Unite di intervenire militarmente. Ogni settimana c’è un nuovo incontro in Europa per spingere a un intervento senza consultazioni con l’Unione Africana. In gennaio, l’Unione Africana ha nominato l’ex Presidente della Tanzania, Jakaya Kikwete suo nuovo inviato speciale in Libia. Finora, tutti i rapporti e le discussioni su un nuovo intervento  sancito  dall’ONU, hanno escluso gli interessi dei popoli della Libia e dell’Africa. Le forze progressiste del mondo è necessario che siano vigili riguardo a questo tentativo di intensificare la militarizzazione del Nord Africa e che si oppongano ai governi che stanno usando il problema dell’ISIS per dare un’altra spinta al controllo delle risorse della Libia e dell’Africa.
I veri motivi per l’intervento in Libia
Le email dell’ex-Segretario di Stato e attuale candidata alla presidenza, Hillary Clinton, hanno rivelato al mondo le principali ragioni dell’intervento della NATO e della distruzione della Libia nel 2011. Siamo informati da uno scrittore che aveva esaminato queste email riguardanti il commercio tra Stati Uniti e Francia, circa gli obblighi di intervenire in Libia. In una email in data 2 aprile 2011, Sydney Blumenthal, allora assistente della Clinton, la informava ‘che fonti vicine a uno dei figli di Gheddafi riferivano che “il governo di Gheddafi ha 143 tonnellate di oro e un’analoga quantità di argento” e che   era stato trasferito dalla Banca Centrale Libica con sede a Tripoli più vicino al confine tra Niger e Chad.
“Questo oro era stato accumulato prima dell’attuale ribellione e si intendeva usarlo per stabilire una valuta pan-africana, basata  sul Dinaro Libico d’oro. Questo piano era designato a fornire ai paesi dell’Africa di lingua francese un’ alternativa al Franco francese (CFA).” La Blumenthal aggiungeva poi che “Secondo individui  informati,    questa quantità di oro e argento è valutata in più di 7 miliardi di dollari. I funzionari dell’intelligence francese hanno scoperto questo piano poco dopo l’inizio dell’attuale ribellione, e questo è stato uno dei fattori che ha influenzato la decisione del Presidente Nicolas Sarkozy di coinvolgere la Francia nell’attacco alla Libia.”
La email aggiungeva: “Secondo questi individui informati,  i piani di Sarkozy sono guidati dai seguenti argomenti:
1 Desiderio di guadagnare una porzione maggiore della produzione di petrolio della Libia
2 Aumentare l’influenza francese in Nord Africa
3 Migliorare la sua situazione politica in Francia
4 Fornire alle forze armate francesi un’occasione di riaffermare  la loro posizione nel mondo
5 Affrontare la preoccupazione dei suoi consiglieri per i piani a lungo termine di Gheddafi di soppiantare il potere dominante nell’Africa di lingua francese.” [i]
La Francia e la Germania non sono soltanto interessate alle vaste risorse di gas e petrolio nel sottosuolo libico, ma anche al vasto oceano di acqua situato sotto il Sistema acquifero di pietra arenaria della Nubia (Nubian Sandstone Aquifer System –NSAS). Dati i progressi della tecnologia solare,  gli stati europei vogliono avere il controllo sul Sahara per la futura trasformazione dell’energia solare per i consumatori europei. Sono le vaste risorse della Libia che sono ancora in gioco dato che c’è una nuova spinta perché  l’ONU intervenga in Libia. Come importante stato imperialista in Europa prima del 1945, la Gran Bretagna ha vasti interessi in Libia, ma le minacce dell’Unione Africana di sviluppare un Fondo Monetario Africano e una Valuta Comune sono  minacce dirette al futuro degli interessi economici francesi in Africa. Negli scorsi 40 anni, i tedeschi avevano dato  il compito di Gendarme dell’Europa alla Francia, ma, data la delicatezza  della crisi bancaria  e  finanziaria in Europa, i tedeschi non vogliono essere lasciati indietro. Quindi, nelle nuove pressioni per intervenire, i tedeschi sono  in gara   con la Francia e la settimana scorsa quando il Ministro degli esteri francese Jean-Marc Ayrault ha visitato Tripoli, era accompagnato dal Ministro degli esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier.  E’ stato un tentativo disperato di  trasmettere  legittimità a Fayyez Sarray, di recente insediatosi   come Primo Ministro della Libia e ai membri del Consiglio di Presidenza.
All’epoca dell’intervento della NATO nel 2011, la Germania era stata disinteressata alla distruzione, ma  dopo la crisi delle banche e quella finanziaria nell’Eurozona, i tedeschi non si possono permettere di essere lasciati fuori da qualsiasi possibile futuro saccheggio delle risorse africane. Per assicurarsi un posto in prima fila nei nuovi piani di intervento europei in Libia, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha nominato Martin Kobler, un diplomatico tedesco, come Rappresentante Speciale e capo della Missione di appoggio delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL). In precedenza Kobler era stato in servizio sulla scena del più grosso saccheggio  dell’Europa in Africa, nel Congo. In seguito alle pressioni degli europei, alcuni libici avevano messo insieme un Governo di Intesa Nazionale (GNA) che poteva essere designato come l’autorità legale per invitare le forze occidentali a combattere l’ISIS in Libia. Tuttavia, questo nuovo governo di Fayyez Sarraj non controlla le forze militari  abbastanza da garantire la richiesta di controllare il governo libico. Il programmato impiego di forze europee si suppone protegga questo Primo Ministro
e i membri della sua fazione che si chiama Consiglio di Presidenza. Nel frattempo, il Tesoro degli Stati Uniti sta pianificando di usare sanzioni contro quegli imprenditori militari che non si allineano con il nuovo Consiglio di Presidenza.
Fin dall’intervento della NATO in Libia nel 2011, i leader europei hanno cercato un nuovo mandato per un intervento e hanno usato il problema di migranti che affluiscono in Europa e anche l’aumento dell’ISIS in Libia per giustificare il loro intervento. Questa settimana la notizia dei 500 migranti affogati durante il tentativo di raggiungere l’Europa dalla Libia, è stato usato come altro motivo per spingere gli europei a intraprendere un’azione decisiva in Libia. Fin dal 2014 quando l’ISIS ‘apparve’ improvvisamente in Libia, ci sono state forze per le Operazioni Speciali provenienti dalla Francia, dalla Gran Bretagna e dall’Italia che operavano in Libia, ma allo scopo di ordinare un intervento  conclamato, ci doveva essere un governo ‘credibile’ a Tripoli.
Tre governi in Libia
Fin dall’assassinio di Gheddafi a opera della NATO nell’ottobre 2011, ci sono stati numerosi tentativi di mettere insieme in Libia un governo credibile. Il primo esperimento quando c’era il Consiglio Nazionale Transnazionale era andato in pezzi  quando le pressioni da parte delle 1700 organizzazioni di miliziani  che  litigano per il petrolio  e poi i massacri  avevano frantumato la facciata del  processo di ‘transizione’ che era stato messo in atto  dal Dipartimento di Stato.  J.Christopher Stevens, il diplomatico che era stato al centro di operazioni con gli altri imperialisti per reclutare il Gruppo Combattente Libico Islamico operò intensamente per dare una copertura legittima a questi jihadisti, mentre la CIA e Stevens mobilitavano la regione orientale della Dernia per farne un filtro per in inviare gli jihadisti a combattere in Siria dalla Libia. La cosiddetta ISIS in  Libia sta operando nell’ambito della stessa infrastruttura organizzata dagli Stati Uniti per destabilizzare il Nord Africa e l’Asia Occidentale.
Dietro i 1700 gruppi di miliziani in Libia dopo il 2012, c’erano differenti potenze straniere come Gran Bretagna, Francia, Qatar, gli Emirati Arabi Uniti, gli Stati Uniti, il Sudan, la Turchia e l’Egitto. Da queste varie milizie, erano emersi due gruppi rivali che rivendicavano di essere il governo. Uno di questi operava fuori dalla parte orientale della Libia sotto la guida nominale del Generale Khalifa Hifter che era ritornato dalla Virginia, negli Stati Uniti, per rivendicare la leadership della ribellione contro Gheddafi e che aveva installato la brigata Dignità a est. L’altro gruppo pretendente al potere  in Libia, era quello di coloro che avevano il controllo  di Tripoli e della Banca centrale con le riserve di oro e di dollari. Questo gruppo era dominato dai brigadisti di Misurata ed erano appoggiati dai Qatarioti. Nel 2014, prima delle voci sull’ISIS, il Generale Hifter aveva fatto forti  rimostranze agli Stati Uniti di dare a lui tutto l’appoggio, ma il governo di base a Tripoli che aveva il controllo del denaro fece una  richiesta alternativa a Jack Lew, il Segretario al Tesoro.
Due anni dopo che la CIA e la legazione statunitense furono  smascherati per aver    rifornito di armi gli jahadisti che dalla Siria andavano in  Libia, al mondo si parlò di una nuova ‘minaccia’ alla Libia sotto forma di ISIS.
Come al solito, questa nuova minaccia ‘terroristica’ era apparsa a Sirte, che era stato il luogo che aveva dato origine alle discussioni sulla nascita dell’Unione Africana nel 1999. Per rafforzare l’idea che l’ISIS in Libia era una grande  minaccia , nel febbraio e aprile del 2015 ci furono immagini impressionanti di decapitazioni di cristiani Copti per mano dell’ISIS a Sirte, in Libia. E’ stato dopo queste immagini che i militaristi intensificarono gli sforzi per ottenere che l’ONU appoggiasse un altro intervento in Libia.
Far salire ufficialmente a bordo gli Stati Uniti
La Gran Bretagna, gli Stati Uniti e la Francia avevano schierato forze per le Operazioni Speciali in Libia, ma allo scopo di ottenere un reale rilevanza  internazionale e di propaganda, le forze interventiste dovevano ottenere l’appoggio ufficiale dell’establishment militare e dell’intelligence degli Stati Uniti.
Delle sezioni dei capi di stato maggiore stavano aggressivamente facendo pressione affinché il presidente degli Stati Uniti desse esplicito appoggio all’impiego di altre risorse statunitensi in Libia. Inizialmente il presidente rimandò, sostenendo che gli Stati Uniti non potevano impiegare truppe e altra forze speciali in una situazione in cui non c’era alcun governo. E’ stato questo ritardo che spinse i francesi a impegnarsi duramente per organizzare gli elementi che si chiamano ora Governo di Intesa Nazionale. Dato che il Presidente dei capi di stato maggiore faceva pressioni per un maggiore impegno, il Presidente Barack Obama  rilasciò  un’intervista alla rivista The Atlantic, delineando i motivi per cui pensava che gli  europei erano partner militarmente inaffidabili. [ii]
Dovendo fronteggiare le pressioni da parte di

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