Informazione

Riceviamo e diffondiamo questo articolo, apparso sul numero del 25
aprile 2003 del quotidiano giuridico on line
"Diritto e Giustizia". (Ringraziamo l'avv. MRB per la segnalazione)

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Dal Kosovo all'Iraq, il tramonto dell'Onu

di Roberto Oliveri del Castillo *


Cessati i combattimenti in Iraq, dopo 28 giorni di guerra, si registra
il dato della caduta del regime di Saddam Hussein con unanime
sollievo. Passa in secondo piano, così, il costo del conflitto, e che
a prescindere dal numero di morti civili innocenti, la popolazione
civile è stremata: mancano ospedali, cibo, medicine, acqua, luce,
ovvero delle condizioni di vita più elementari.
Ma se l'uomo della strada è incline a dimenticare, per il flusso
mediatico cui è quotidianamente sottoposto, le notizie di ieri a causa
delle notizie di oggi e quelle di oggi per far posto a quelle di
domani, all'uomo di buon senso e in particolare al giurista spetta
qualche considerazione critica sull'intervento militare
angloamericano.
Un intervento, quello in Iraq, che ha mutato giustificazione giuridica
nel corso dei giorni: prima la violazione di risoluzioni dell'Onu da
parte di Saddam, poi la presenza di armi di distruzione di massa, poi
il carattere non democratico del regime, poi un po' di tutto.
Durante un convegno organizzato il 17 aprile scorso all'Università di
Bari da Magistratura democratica, con il prof. Vincenzo Starace, sono
state analizzate tutte queste argomentazioni con il risultato di
apparire per quelle che sono: tentativi di giustificare un illecito
sotto il profilo giuridico e morale innanzi alla collettività globale.
Solo per fare un esempio, la famigerata risoluzione n. 1441 del
Consiglio di Sicurezza dell'Onu del novembre 2002, afferma che ci
saranno "gravi conseguenze" in caso di non collaborazione del regime
con gli ispettori delegati ai controlli, mentre di norma la formula
utilizzata dal Consiglio per autorizzare la forza si basa sul concetto
di "uso di tutti i mezzi necessari per".
Tuttavia, non va dimenticato che l'intervento in Iraq costituisce -
anche per l'Italia, che ha condiviso l'intervento - l'ennesima
violazione dell'ordinamento internazionale e dell'Onu, dimenticando
che anche in occasione dell'attacco all'Afghanistan e, prima ancora,
nel marzo 1999, dell'intervento Nato contro la Jugoslavia durante la
crisi del Kosovo, non vi era alcuna autorizzazione del Consiglio di
Sicurezza all'intervento armato, né precedente, né postuma.
Va rimarcato, poi, che tra le tante vulgate che si sono aggirate in
questi anni in tema di legittimità di interventi armati nei confronti
di stati sovrani, quella più equivoca (forse perché interamente
gestita in Italia da un governo di sinistra, durante una grave guerra
civile interna alla Jugoslavia e combattuta in blocco dalla Nato) è
proprio quella dell'intervento cd. "umanitario" in Kosovo, che pare
avere ancora una certa vivacità intellettuale, se è vero (cfr. S.
Zappalà, "Il Kossovo, l'Iraq e le violazioni della Carta delle Nazioni
Unite", in D&G n. 14 del 12 aprile 2003) che questo intervento è
considerato in linea con i principi dell'ONU e affetto solo "da vizi
di forma", oltre che reso inevitabile dalla situazione venutasi a
creare.
Al di là del fatto che nel campo giuridico ogni violazione di forma si
riflette sulla sostanza dei diritti, e che pertanto un intervento
armato non difensivo e non autorizzato dal Consiglio di Sicurezza
dell'Onu ai sensi dell'art. 51 della Carta, è sempre illegittimo, la
guerra era realmente l'ultima risorsa, o la crisi poteva avere uno
sbocco diplomatico?
Qualche dubbio è legittimo.
Per capire la genesi di quell'intervento, è necessario tornare alla
situazione di cinque anni fa, quando in Kosovo, dopo anni di scontri
fattisi sempre più cruenti tra le forze serbe e l'Uçk, l'esercito
indipendentista kosovaro, e dopo l'intervento di una missione
internazionale Osce (chissà mai perché a guida americana nonostante il
carattere europeo dell'organizzazione) che sembra ristabilire una
calma apparente, si giunge all'escalation del gennaio 1999, quando -
durante le trattative di pace di Rabouillet - vengono rinvenuti a
Racak 45 cadaveri di etnia albanese, il che avvia i negoziati verso
l'ultimatum finale.
La presunta strage è sempre stata ammantata di mistero, perché in
realtà Racak era tornata sotto controllo Uçk da oltre 24 ore quando si
diffusero le informazioni sul ritrovamento alla stampa occidentale, e
furono gli albanesi a condurre la stampa occidentale sul posto.
Nel mondo dell'informazione continua, nulla è più manipolabile
dell'informazione stessa.
Come che sia, il vero oggetto di analisi dovrebbero essere i negoziati
di Rambouillet, il contenuto delle proposte del cd. gruppo di
contatto (Usa, Francia, Inghilterra, Germania, Italia e Russia),
l'ultimatum alla Serbia e la risoluzione serba all'indomani del ritiro
della missione Osce.
Partendo da quest'ultimo punto, la risoluzione dell'Assemblea
nazionale serba condannava il ritiro degli osservatori Osce, e
prendeva in considerazione l'ipotesi di una "presenza internazionale"
che vigilasse sugli accordi che si sarebbero conclusi a Rambouillet
relativamente all'"autonomia del Kosovo che garantisse uguali diritti
a tutti i cittadini e a tutte le comunità etniche nel rispetto della
sovranità e dell'integrità territoriale della Repubblica di Serbia e
della Repubblica federale di Jugoslavia" (cfr. Marc Weller,
International documents & analysis, vol I, The crisis in Kosovo
1989-1999, Cambridge University Press, 1999).
Questa proposta, avanzata ai negoziatori il 23 febbraio 1999, non fu
mai presa in considerazione.
Ciò che fece naufragare l'accordo, dopo che la Serbia aveva accettato
le principali proposte politiche, furono le disposizioni introdotte
mediante "allegati" all'ultimo momento e durante i negoziati di
Parigi nel marzo 1999, secondo le quali sarebbe stata la Nato a
vigilare sugli accordi con un "diritto di passaggio libero senza
restrizioni e un accesso illimitato in tutta la repubblica federale di
Jugoslavia, compresi il suo spazio aereo e le sue acque
terrritoriali". Inoltre le autorità avrebbero dovuto eseguire gli
ordini della Nato "su una base prioritaria e con tutti i mezzi
appropriati" (cfr. Noam Chomsky, In Kosovo, un'altra soluzione era
possibile, su Le monde diplomatique, 9 marzo 2000) .
Di fronte a richieste dell'ultimo momento che comportavano di fatto
l'occupazione dell'intero territorio jugoslavo da parte di una forza
estranea all'Onu e all'Osce, i serbi non potevano che rifiutare, cosa
che avvenne il 18 marzo 1999.
Dopo una settimana iniziavano i bombardamenti della Nato, che
colpivano non solo istallazioni ed obiettivi militari, ma anche
strutture civili, ospedali, fabbriche, ambasciate.
All'esito, il 9 giugno, la Jugoslavia accettava una presenza
internazionale che contenesse forze Nato nel solo Kosovo.
In sostanza, dopo 78 giorni di bombardamento si è raggiunto un
risultato già ampiamente alla portata dei negoziatori - in quanto
sostanzialmente accettato dalla Jugoslavia prima dell'intervento Nato
- ovvero un'occupazione militare di forze Nato e russe nel solo
Kosovo.
Bisognerebbe chiedersi, come autorevoli analisti internazionali:
l'ultimatum last minute della Nato "Era un cavallo di Troia? Mirava a
salvare la pace, o a sabotarla?" (cfr. Robert Frisk, The Independent,
Londra, 26 novembre 1999)
Al di la' delle inutili devastazioni e delle innumerevoli morti
evitabili, il conflitto ha aggiunto due risultati, tra loro connessi,
che - insistendo sui negoziati trasparenti e senza diktat inspiegabili
(secondo buon senso, ma spiegabili in una logica di potenza) - non si
sarebbero verificati: 1) l'accelerazione da parte serba del redde
rationem etnico in Kosovo; 2) la contro-pulizia etnica albanese
all'indomani del conflitto, tant'è che a fronte dei 200.000 serbi di
Kosovo oggi ne restano meno di 60.000, con buona pace di un Kosovo
multietnico e pacificato.
In definitiva, l'opzione militare è stata decisa dalla Nato dopo aver
"deciso di rigettare le opzioni diplomatiche, che non erano affatto
esaurite" (cfr. Noam Chomsky, op. cit.), come riconosciuto
tardivamente da autorevoli mezzi di informazione occidentali secondo i
quali "sarebbe stato possibile avviare un vero ciclo di negoziati - e
non il disastroso diktat americano presentato a Milosevic alla
conferenza di Rambouillet - e inviare un consistente numero di
osservatori esterni capaci di proteggere sia i civili albanesi che i
civili serbi" (cfr. editoriale del Boston Globe del 9 dicembre 1999,
citato da Noam Chomsky, op. cit.).
Questo sull'inevitabilità del conflitto.
Sul punto della sostanziale rispondenza dell'intervento ai principi
della Carta dell'Onu, va segnalato che l'articolo 2 paragrafo 4 della
Carta fa espresso divieto agli stati membri di usare la forza per la
risoluzione di controversie internazionali nonché al fine di incidere
sull'integrità territoriale o l'indipendenza politica di altro Stato,
mentre le finalità dell'Onu (articolo 1 par. 1, 2 e 3) si evidenziano
per lo sviluppo delle relazioni amichevoli, la risoluzione pacifica
delle controversie, la cooperazione internazionale anche per i
problemi di tipo umanitario.
Altrettanto infondata è l'argomentazione umanitaria fondata su
presunto "stato di necessità".
Appare veramente paradossale, infatti, che per salvaguardare i diritti
umani di una parte della popolazione di uno stato si sottoponga
l'altra parte, in ipotesi non responsabile per l'atteggiamento
persecutorio di un governo, alle vessazioni proprie di una guerra da
parte di paesi terzi che nella fattispecie non hanno alcun interesse
essenziale, per quanto "civili e sensibili ai problemi umanitari" in
quanto per interessi essenziali devono intendersi quelli connessi alla
propria sopravvivenza, integrità territoriale ed indipendenza politica
(cfr. Giuseppe Palmisano, Not in my name - Guerra e diritto, Editori
Riuniti, 2003).
E poi, tali valutazioni non devono comunque essere prese da un
organismo, il Consiglio di Sicurezza, a ciò deputato dall'ordinamento
giuridico internazionale?
Diversamente opinando, in futuro chiunque potrebbe ritenersi investito
di una missione umanitaria e scatenare una guerra giustificandola a
difesa di un popolo oppresso. Ieri in Kosovo è intervenuta la Nato a
protezione degli albanesi, oggi in Iraq gli Stati Uniti ed un gruppo
di paesi satelliti a protezione degli stessi iracheni e dei curdi,
domani i paesi arabi potrebbero ritenere meritevole dello stesso
trattamento Israele per come agisce nei territori (occupati) a danno
dei palestinesi da oltre trent'anni, in contrasto con innumerevoli
risoluzioni Onu.
La realtà è un'altra.
In questi anni stiamo assistendo ad una pericolosa eclissi dei diritti
sul piano delle legislazioni interne in tutto l'occidente, dal lavoro,
alla cittadinanza, alla giustizia, con compressione dei poteri di
garanzia e controllo, e dove finanche la Costituzione Italiana diventa
un fastidioso retaggio del passato da rivedere.
A tale situazione fa eco, sul versante internazionale, un altrettanto
grave ridimensionamento dell'Onu, con guerre che vengono scatenate per
tutelare diritti e diritti che vengono schiacciati (si pensi ai
"dannati" senza nome di Guantanamo, non prigionieri di guerra, non
imputati, non cittadini) in nome della sicurezza e della guerra al
terrorismo globale, in una spirale perversa e senza fine, in cui anche
la tortura diventa lecita dopo secoli di bando.
Francis Fukujama nel 1992 parlò, per il dopo guerra-fredda, di un
periodo di pace e prosperità nelle relazioni internazionali e di fine
della storia: Non immaginava, forse, che quel periodo cui si riferiva
sarebbe stato caratterizzato, più semplicemente, dalla fine del
diritto e dal tramonto dell'Onu.
A questi scenari ci si può e ci si deve opporre recuperando la memoria
del 25 aprile e, in generale, dello spirito riformatore che animò la
collettività internazionale dopo la tragedia del secondo conflitto
mondiale, troppo spesso dimenticati.

* Magistrato del pubblico ministero

"Processo" Milosevic / Milosevic "trial"

Di seguito, nel messaggio inviatoci dal Comitato Internazionale per la
difesa di Slobodan Milosevic, sono riportati alcuni significativi
recenti stralci dal "processo" dell'Aia. Si tratta dei passaggi in cui
il "magistrato" May e la "pubblica accusa" Nice si accordano per la
revisione della trascrizione del dibattimento, dunque per la sua
censura, allo scopo di impedire la divulgazione di quegli interventi
di Milosevic considerati "ad uso esterno" e dunque irrilevanti o
inopportuni per gli Atti del "processo".

Questo episodio si aggiunge a molti molti altri, dei quali rimane
testimonianza tra le ormai migliaia di pagine di verbali del
"processo" nonostante il silenziatore imposto a tutti i massmedia
internazionali; episodi che dimostrano l'abominio giuridico ed il
carattere paralegale del "Tribunale" dell'Aia. Come ulteriore esempio
di tale abominio, invitiamo a leggere ad esempio la pagina 11467 degli
Atti, relativa al 10 ottobre 2002, ormai leggendaria poiche' in essa
per la prima volta nella storia un "magistrato" (Richard May) dichiara
che la Corte accetta il "sentito dire" come prova.

Piu' sotto riportiamo un ulteriore testo, dell'inizio di marzo, che e'
tra le pochissime sintesi del dibattimento messe in circolazione via
internet negli ultimi mesi.

Chi avesse la possibilita' di seguire questo vero e proprio insulto
alla civilta' giuridica, giorno per giorno, e' invitato a collegarsi
ai siti che trasmettono le sedute pubbliche in formato Realplayer:

LIVE ENGLISH VIDEO FEED
http://www.domovina.net/Icty/eng/room1.ram
LIVE SERBIAN VIDEO FEED
http://www.domovina.net/Icty/bcs/room1.ram
ENGLISH VIDEO ARCHIVE
http://hague.bard.edu/video.html
SERBIAN VIDEO ARCHIVE
http://tribunal.freeserbia.com

Sintesi e notizie dal processo si possono anche trovare al sito

http://www.slobodan-milosevic.org/

che e' ricco di documentazione altrimenti irreperibile.


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Newsletter of the International Committee to
Defend Slobodan Milosevic (ICDSM)

Subscribe to our free newsletter at
http://emperor.vwh.net/MailList/icdsm.php
Receive articles from ICDSM Website

Please forward this text or send the link to a friend.
http://www.icdsm.org/more/redact.htm

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Hague Tribunal Alters Transcripts of the
Milosevic 'Trial'!

By Andy Wilcoxson

[Posted 26 April 2003]

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Look at the two passages below.

In Passage #1, Prosecutor Jeffrey Nice
suggests redacting (censoring) the
transcript if President Milosevic makes
remarks "for external consumption."

In Passage #2 Slobodan Milosevic is
cross-examining a witness and asks a
question that Nice and Judge Richard May
don't like. Nice asks May to redact the
question from the transcript. The question
gets redacted. Then May consoles the
witness, promising to protect him from
"harrying" questions and order Mr.
Milosevic to limit his cross-examination to
"what is relevant and proper."

(As some people may be unaware, The Hague
uses an adversarial system. This involves,
precisely, sharp and often lengthy
cross-examinations, with lines of
questioning intended to "harry" the witness,
with the goal of catching him in
contradictions and lies. By intervening to
prevent Milosevic from pursuing lines of
questioning unpleasant to the witness, Judge
May reveals the truth: that this is a show
trial. But it is an awkward show trial,
because the victim won't cooperate. Hence
Mr. Nice's worry that Milosevic is speaking
for "external consumption." We have a bit of
a contradiction here: it's a show trial but
they're afraid to have Mr. Milosevic's words
shown.)

If you go to the relevant part of the video
you won't have to be an expert to see that
the tape has been crudely doctored.

Video at:
http://hague.bard.edu/video/icty_env.20030401.ram
Go to the 1 hour, 4 minute and 20 second
mark of segment 2.

[Passage #1 begins here]

On March 31, 2003 (Page 18257 of the
transcript starting on line #7)

Mr. Nice: I remind the Court that I never
respond to the various allegations that are
made by the accused. I'm not going to change
the policy now. If at any time the Chamber
thinks that these allegations may be simply
for external consumption, it's always
possible to redact the transcript. I'm not
going to enter into any kind of a debate
with the accused over that sort of
allegation.

[Passage #1 ends here]

***

[Passage #2 begins here]

On April 1, 2003 (Page 18300 of the
transcript starting on line #6)

Slobodan Milosevic: I see. We'll come to
that later. Now, tell me, please, is it true
that you went to the Radojka Lakic
elementary school?

Witness Alija Gusalic: Yes.

Slobodan Milosevic: [redacted]

Mr. May: That is totally irrelevant. That's
a most improper question.

Slobodan Milosevic: [Interpretation] Mr. May
--

Mr. May: No, it is not a proper question,
and the witness will not have to answer it.
Now, kindly confine yourself to what is
relevant and proper.

Mr. Nice: May that passage be redacted from
the transcript.

Mr. May: Yes. Now, go on to something else.

Witness Alija Gusalic: [Interpretation] You,
Mr. --

Mr. May: Mr. Gusalic.

Witness Alija Gusalic: Shame on you, Mr.
Milosevic.

Mr. May: Mr. Gusalic, I can understand that
you'll be annoyed, but try not to be. You
will be protected from questions of that
sort. You're not here to harry the witnesses
or bully them, Mr. Milosevic. Now you'll
confine yourself to proper questions.

Slobodan Milosevic: Mr. May, I think that
this is proof that Mr. Nice is abusing this
witness. He is obtaining statements from him
which are not truthful.

Mr. May: You can ask the witness proper
questions. Now, get -- move on to that.

[Passage #2 ends here]

-- Andy Wilcoxson

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Footnotes and Further Reading

===================================

[1] Using your computer, you may access the
trial proceedings in English or Serbian. You
may watch live or from archive. You will
need Realplayer. If you don't have it, go to
http://www.real.com/realone/dmm/video_trial/

Here are the hyperlinks and URLs to get you
to the videos.


LIVE ENGLISH VIDEO FEED
http://www.domovina.net/Icty/eng/room1.ram
LIVE SERBIAN VIDEO FEED
http://www.domovina.net/Icty/bcs/room1.ram
ENGLISH VIDEO ARCHIVE
http://hague.bard.edu/video.html
SERBIAN VIDEO ARCHIVE
http://tribunal.freeserbia.com

www.icdsm.org


===


http://www.slobodan-milosevic.org/news/martinovic031103.htm

Report from UN Tribunal - Milosevic vs. 1st Bosnia Witness
Jurist (via S-M.org) ^ | March 11, 2003 | Vera Martinovic

Posted on 03/12/2003 8:41 AM PST by vooch

For the last two days the Prosecution was busy with 3
new witnesses and few technical/legal debates in open
court. This all was just quantity and their case further
caved in.

First, they invited our Government representative to
discuss documents needed for this 'trial'. I saw a piece of
this argument, read reports of it in our press and heard
bits on TV, and I also read a JCI article on that.

It is always far more significant what JCI omits to report
than what it actually reports. In her last piece, titled
'Trial Chamber Declines to Order Serbia-Montenegro to
Produce Documents', Judith Armatta writes just about
everything but the crucial thing: that May & friends
refused to order a free physical access to the State
archives by the Prosecution.

The request from Nice was that the Prosecution wants
to 'examine the archives and find' what they need.

The Yugoslav representative at the session, the Foreign
Minister's Adviser Djeric, argued this would be a
'document fishing' and 'frisking another country'.

The exact words by May were: 'The Trial Chamber is
not convinced that the Prosecution should be allowed
such physical access.'

This is a step even the ICTY is reluctant to take, so
Yugoslavia has been only ordered to answer to a
'priority list' of the requested specific documents by the
Prosecution within two months time. Therefore, it has
been ordered to produce documents, thus exactly the
opposite of what the title of the article claims. You will
not learn this by reading Ms Armatta's 'informative'
piece.

As regards 3 witnesses, it was significant that the first
witness for Bosnia & Herzegovina segment appeared,
then there was another General/'insider' and finally
another Dubrovnik witness started to testify today and
will finish tomorrow.

Do you know that at the end of today's session May
read out a list of some 20 more Dubrovnik witnesses
and asked the Prosecution with exasperation in his
voice: "Do you really need that amount of witnesses?!
We have already heard plenty of witnesses regarding
Dubrovnik. Think about that."

The first Bosnia-witness was one Mrs Malesevic, a
Chairperson of the Bosnia & Herzegovina Prison Camp
Inmates Association. She described in gruesome detail
(or else, confirmed the descriptions provided by Nice) all
63 ways and means of maltreatment and abuse against
the prisoners in 520 Serbian prison camps.

The problem was she had not a single evidence to
substantiate that vivid sadistic imaginativeness: no
names nor dates were given, the locations were
dubious (e.g. she had mentioned a prison camp in a
fortress in Bijeljina, whereas no such place exists
there), and she herself knows nothing about all those
places, because she was imprisoned in a Croatian camp
for nine months!

She claimed all has been documented by the 'statements
from witnesses' but was unable to produce a single one,
arguing 'all has been still under investigation' (after 12
years?!).

The most ridiculous moments with this confused
woman were when Milosevic, well-informed as usual,
had put to her that her claims of 2,500 Muslims being
in that Croatian camp Kresevo where she had been
kept were equal to the total number of Muslims in
that municipality and that her own earlier statement
in Sarajevo on 20 April 1994 was that there were only
500 civilians there.

"It will now turn out that I'm defending the Croats
here', joked Milosevic.

The poor woman was finally reduced to such mumbled
answers of 'I can not remember the details' (and she
'remembered' all the genital-cutting, excrement & body
parts-eating and other events to which she was never
present and to which she could not name a single
witness).

In re-direct, Nice made her 'promise' to 'subsequently'
find and submit 'documents'.

When will it be, I wonder? What were they doing for the
last 12 years? So, the first Bosnian 'witness' finished in
disgrace and stupidity.

The 'insider' General Milosav Djordjevic was completely
useless: a long-time pensioner, who had been in a top
position of the Serbian Defence Ministry for only 1 year,
could not provide a single piece of information, apart
from his own personal opinion that Serbian police was
better equipped than the JNA.

The old army man resented Milosevic for not helping
the JNA more (and he's been on trial for exactly the
opposite, mind you!).

Milosevic teased him mildly: "You claim that I took
more care about the Police than about the Army. Is it
any wonder that I took more care about what was my
job, instead of caring about what was not my job?"

And when Milosevic said: "You came here to testify
against me. Do you claim that I hated the Army?".

The old man explained meticulously: "I did not come
here to testify against you. The Federal Government
allowed me on 3 March to testify of what I know;
whether this would be against you or in favor of you, I
would not enter into that."

That was the end of it. Insiders' business is definitely a
wrong card for the Prosecution.

And yet another Dubrovnik witness?

This was a Director of the Institute for the Cultural
Monuments Protection in Dubrovnik, Mrs Baca. She
started with some maps of Dubrovnik, with 4-10 black
spots on them, representing buildings that had been hit.
Through her, the Prosecution introduced 4 more binders
of documents, proving that Dubrovnik actually is on the
UNESCO list of the world cultural heritage!

Here's something the Prosecution will be finally able to
prove. She is to continue tomorrow.

---

The above article is intellectual property of Vera Martinovic
Posted For Fair Use Only

http://www.b-i-infos.com/

B. I. Balkans-Infos est un mensuel de politique internationale
totalement indépendant de tout gouvernement, institution ou parti, qui
paraît depuis près de sept ans. Il n'est diffusé que sur abonnements.
Fondé à l'origine pour réagir aux mensonges des grands médias
concernant la Yougoslavie et les Balkans, il est devenu un organe de
référence dans une dénonciation d'ensemble de l'impérialisme
économique, du fanatisme religieux et de la désinformation.

B.I. Balkans - Infos N° 77 mai 2003


SOMMAIRE DU N° 77

Deux articles passionnants sur les coulisses de la guerre à l'Irak.

Le premier explique qu'un des buts de l'agression américaine - avec le
contrôle du pétrole - a été le sauvetage du dollar.

Le second dévoile le secret de la résistance inattendue de la France,
de l'Allemagne et de la Russie.

Des révélations sur les projets américains de protectorat militaire en
Irak et de pressions sur la Syrie.

Kosta Christitch analyse la situation en Serbie après l'assassinat du
Premier ministre Zoran Djindjic et Alain Jejcic traite des dangers de
l'état d'exception.

Un des ex-rédacteurs en chef de la chaîne nationale serbe, rescapé du
drame, fait un récit émouvant de la nuit où l'OTAN a bombardé
l'immeuble de la télévision à Belgrade, faisant plus d'une dizaine de
morts.

Jean-Michel Bérard dénonce la régionalisation envisagée de la
Roumanie, et le Dr Rajko Dolecek fait le procès de la vénalité des
politiciens.

Et de nombreux témoignages de nos lecteurs sur les évènements
d'actualité.

Le quatrième roman d'Ivanka Mikic, " Komarac ", remporte un succès
mérité à Belgrade. Le livre en serbe est disponible en France pour le
prix de 15 euros (envoi compris). Le commander au journal.


EDITORIAL N 77

LES NEOCONS

Je n'invente rien. C'est ain-si que les Américains appellent la clique
de Bush. The "Neocons". The "New Con-servatives". Les nouveaux
conservateurs. Un savoureux hasard linguistique fait que l'appellation
leur va à ravir en français.
Ces neocons sont l'incarnation de ce que l'Amérique peut produire de
plus sinistrement réactionnaire : un mélange d'ignorance, d'avidité et
de bigoterie.
Malheureusement pour l'hu-manité, ils sont aujourd'hui les maîtres du
monde.
Leurs méfaits sont connus. Ils ont déclenché quatre guerres,
progressivement de plus en plus seuls. Ils ont ravagé la Yougoslavie,
l'Af-ghanistan et l'Irak. Ils me-nacent aujourd'hui de se-mer leur
chaos impérial dans d'autres pays. Au mépris croissant de la légalité
internationale et de l'ONU.
Qui sont donc ces Attilas du XXIe siècle ? Une morphologie sommaire
pourrait distinguer quatre types principaux.

Le capitaliste rapace.

Il est le militant du mondialisme militarisé, du libéralisme sauvage
imposé par la force. Ses égéries sont les pétroliers, les
multinationales, les industriels de l'armement. A son image, la
plupart des hauts responsables du gouvernement Bush sont liés aux
grandes compagnies américaines, dont ils défendent cyniquement les
intérêts. Sa cause est la préservation du monopole commercial du
dollar, le contrôle des sour-ces d'énergie, la réduction à la
dépendance des économies nationales, la colonisation et le pillage des
Etats indépendants.

Le shérif dément.

Son monde manichéen est divisé en adjoints et en barbares. Sa loi est
la seule va-lable, en vertu du droit du plus fort. Sont agrées les
domestiques qui le servent les yeux fermés, sont combattus les égarés
qui ne pensent pas comme lui. A son image, les faucons du Bureau Ovale
et du Pentagone, les Rumsfeld, Cheney ou Rice, rêvent d'enfoncer leur
"démocratie" dans la gorge de tous les récalcitrants au moyen d'un
cocktail de chantages et de bom-bes, pour faire régner la "pax
americana" sur une planète à leurs genoux.

Le dévôt abruti.

Il passe son temps en prières et oblige tout le monde à prier avec
lui. Son Dieu, drapé dans la bannière étoilée, a défini "l'axe du mal"
conformément à l'étroite morale d'un quarteron de puritains exaltés.
Sa mission est la croisade, sa vocation l'extermination des
hérétiques. Pour lui, c'est-à-dire pour Bush, l'épée flamboyante de sa
secte religieuse doit embrocher les méchants pour offrir au Seigneur
le chachlik de la rédemption.

Le camelot zélé.

En fait, il y en deux, de mo-dèles de camelots zélés, dans le lobby de
Washington.
D'abord l'avocat de l'islam, qui s'est toujours trompé dans le choix
de ses protégés. Il a soutenu, financé et armé les fondamentalistes
antiserbes en Bosnie, les terroristes albanais au Kosovo, les
fanatiques anti-russes en Af-ghanistan. A chaque fois, la pire
régression confessionnelle contre la modernité pluraliste et laïque.
Aujourd'hui, il favorise les chiites en Irak, qui sont loin d'être les
moins durs des musulmans.

Puis il y a le porte parole de Sharon, c'est-à-dire du pendant juif de
l'intransigeance islamique. Pour ce second ca-melot, Israël et les
Etats-Unis sont deux oasis de démocratie qui ne peuvent se maintenir
dans le désert hostile de l'intégrisme anti-occidental que par leur
puissance militaire. A son image, les Wolfowitz, Per-le ou Feith,
pensent que la po-litique américaine doit avoir pour but principal
l'anéantissement des ennemis d'Israêl : ils sablent le champagne en
voyant les Palestiniens étranglés, Saddam Hussein terrassé et les
autres régimes arabes directement menacés.

Ce recensement des "influen-ces" washingtoniennes appelle une
précision. Le quatuor ci-dessus symbolise un groupe au pouvoir, pas
l'ensemble qu'il prétend représenter. On n'insistera jamais assez sur
ce point, car dissocier les deux est difficile. Le jeu du groupe au
pouvoir est de s'identifier à son ensemble pour valider sa politique,
comme le jeu de toute opposition est de se servir de cette identité
pour attaquer l'ensemble.

D'où les amalgames intolérables. Dénoncer Bush et ses néocons devient
de l'anti-américanisme primaire, com-me condamner Sharon et ses
sponsors d'outre-Atlantique devient de l'anti-sémitisme, ou rejeter la
shariah devient la haine des Arabes.
Accusations d'une rare stupidité, car trouver que les intérêts d'une
nation ou d'un peuple sont mal défendus par ses dirigeants est plutôt
prendre ces intérêts à c?ur.
De plus, la raison critique est un acquis majeur du progrès. On se
bétonne dans la sclérose mentale si on ne peut pas faire le procès de
l'impérialisme sans être anti-américain, celui de la répression
sharonienne sans être raciste et celui du fondamentalisme musulman
sans préparer le futur "choc des civilisations". Ce qui oblige à
cerner nettement ces procès : non à Bush, mais l'Amé-rique est un pays
qu'on continue à admirer, à imiter et même à aimer ; non à Sharon,
mais l'existence d'Israêl ne peut être remise en question et personne
ne méconnaît les atrocités du terrorisme palestinien ; non aux
nouvelles croisades, mais l'islam, dans sa forme dominante actuelle,
est une religion offensive, prosélytique et inacceptable.

Trois observations qui tempèrent certaines convictions manichéennes et
affermissent le réquisitoire contre les chefs qui, par leur
aveuglement, leur sectarisme, leur avidité ou leur violence,
trahissent les Américains, les juifs et les musulmans.

Cette mise au point étant faite, revenons à nos néocons. La
justification "idéologique" de leur politique est une notion qui est
probablement la plus catastrophique de tou-te la géostratégie moderne
: la notion du droit, ou du devoir d'ingérence.

Pourquoi cette notion est-elle une aberration ?

1) - Elle implique un jugement de valeur porté sur des nations ou des
régimes.
Au nom d'une "moralité" occidentale, dont le moins qu'on puisse dire
est qu'elle n'est pas toujours mise en pratique par les Etats qui la
prônent, et d'un système politique - à base de démocratie
parlementaire, de libéralisme économique et d'égalitarisme cito-yen -
qui n'est pas forcément adapté au niveau de développement de tous les
pays de la planète. Les critères de répartition des pays en "bons" et
"mauvais", déjà au départ, ne font pas l'unanimité.

2) - Qui va porter ce jugement ? Il faut un référent suprême qui
s'arroge - ou à qui on reconnaît - le droit de le faire. Un rôle qui
pourrait en partie - idéalement - être joué par les Nations Unies.
Mais malheureusement la realpolitik n'est pas une utopie. Nous vivons
dans un monde où le droit revient au plus fort. En fin de compte,
toute intervention ne peut être décidée - et réalisée - que par la
première puissance du monde, les Etats-Unis. La liste d'"Etats-voyous"
n'est pas établie par André Glucksmann ou Ber-nard-Henri Lévy, ni même
par Kofi Annan, elle est établie par les stratèges du Bu-reau ovale et
du Département d'Etat. C'est l'allumé du Te-xas et sa CIA qui décident
de qui peut continuer à exister.

3) - Cette liste, pour des raisons diplomatiques, stratégiques ou
militaires, entraîne des injustices qui ne peuvent que discréditer la
morale qu'elle prétend représenter. Tel pays doit être mis au pas tout
de suite, comme l'Irak, alors que tel autre paraît plus dangereux,
com-me la Corée du Nord ; telle nation est piétinée parce qu'elle est
indocile, comme la You-goslavie, alors que tel-le autre est cajolée
com-me pilier de l'OTAN, comme la Turquie ; tel chef d'Etat doit être
abattu parce qu'il rue dans les brancards, comme Milosevic ou Saddam
Hus-sein, alors que beaucoup d'autres, bien plus dictatoriaux, sont
épargnés parce qu'ils se montrent coopératifs.

4) - Plus grave encore, la notion d'ingérence conduit, par définition,
à la guerre, au mépris d'un des acquis les plus importants de la
civilisation : la différence entre la guerre offensive et la guerre
défensive. Un progrès de l'humanité a été d'honorer la résistance en
condamnant l'attaque. Or l'ingérence, quel qu'en soit le motif, est
toujours une agression. Un engrenage se met en route, qui mène
inéluctablement de la guerre d'intervention à la guerre de prévention,
c'est à dire à l'initiation des hostilités. On ne réagit plus, on
prend les devants. On ne se défend pas, on attaque. Or l'attaque est
le privilège du plus fort. Désormais, la vie et la mort des peuples
dépendent du bon plaisir de celui, même si c'est un débile mental, qui
peut déclencher l'apocalypse quand il le veut.

5) - Ce pouvoir démesuré cherche à se justifier par la nécessité de
combattre le terrorisme. Mais la guerre en elle-même est une horreur.
Surtout celle qui se fixe ouvertement comme objectif de frapper la
population civile de stupeur en la privant d'eau, d'électricité, de
transports, de nourriture et d'abris. Cette guerre-là, qui prétend
combattre le terrorisme, n'est qu'un terrorisme elle-même. La seule
différence, c'est qu'au lieu d'être un terrorisme de désespoir et de
misère, elle est un terrorisme de puissance et de gros budget.

6) - La notion d'ingérence pose un problème éthique. Dans le mesure où
il ne menace pas le monde de conquêtes continentales, comme Hitler,
quel hom-me, si autoritaire ou cruel qu'il soit, mérite qu'on sacrifie
des milliers de victimes à son expulsion ? Quel homme, si dictatorial
qu'on l'accuse d'être, vaut qu'on écrase son peuple pour s'en
débarrasser ? Comment ces soit-disant humanistes peuvent-ils se
permettre d'affirmer froidement, du haut de leur arrogance : "il vaut
mieux mourir bombardé ou affamé que vivre dans la servitude" ? De quel
droit décident-ils de ce qui est bon ou mauvais pour les peuples,
ressuscitant ainsi l'ancien colonialisme des con-quistadors, qui
massacraient les indigènes en prétendant faire le salut des sauvages
malgré eux ?

Voilà l'aberration qui sert de bible aux néocons. Elle aboutit à une
formule qui est un sommet de confusion mentale, une perversion
ahurissante à la fois de la morale et du langage, la formule : "Il
faut faire la guerre pour faire la paix". Et à une conception
originale dont les policiers et magistrats apprécieront la subtilité,
celle de "l'attaque préventive par auto-dé-fense". Les agressions sont
pardonnées d'avance, elles ne sont plus des délits, mais des
précautions. Si on tire le premier en massacrant tout le monde autour
de soi, c'est seulement pour se protéger. Les partisans de ce délire
sont plus que des imbéciles qui se trompent, ils sont des criminels,
responsables de plus de morts que les dictateurs qu'ils prétendent
combattre.

Ils ne cessent de se tromper de bataille. Ce n'est pas Milose-vic ou
Saddam Hussein qui menaçaient la paix. Ce sont les néocons de
Washington qui sont des dangers pour l'humanité.

Louis DALMAS.


B I
Rédaction / Administration
CAP 8 BP 391 75869 PARIS cedex 18
lodalmas@...
Tel : 01 42 54 25 01
Fax : 01 42 23 07 30

(italiano / english)

E' stata decretata ieri la fine dello "stato di emergenza" in Serbia.

Nelle scorse settimane, sotto la copertura dello "stato di emergenza"
e' stato instaurato un clima di caccia alle streghe ed inagibilita'
politica in tutto il paese, del quale riferiremo ancora con maggiore
dettaglio in successive comunicazioni su questa lista JUGOINFO. Come
strascichi dello "stato di emergenza" rimangono tuttora non solo molte
persone ancora in "custodia cautelare" con motivazioni chiaramente
politiche - ad esempio il presidente del comitato "Sloboda" di
solidarieta' a Slobodan Milosevic, Bjelica - ma anche pesanti
restrizioni alla liberta' di stampa, nonche' la epurazione attuata
all'interno della magistratura e dell'esercito. Persino i rapporti tra
gli ex-alleati della DOS sono diventati pessimi: in particolare
Vojslav Kostunica ed il suo partito sono al centro di una feroce
campagna di criminalizzazione politica.
Tutto questo e' stato spiegato in una conferenza stampa tenutasi ieri
a Belgrado, da parte della associazione "Sloboda", nel corso della
quale e' stata anche data lettura della lettera di Milosevic che
riproduciamo di seguito. [A cura di AM per il CNJ]


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Subject: Milosevic Letter and SLOBODA Appeal
Date: Thu, 24 Apr 2003 22:32:27 +0200
From: "Vladimir Krsljanin" <slobodavk@...>

===

ALL'OPINIONE PUBBLICA JUGOSLAVA ED INTERNAZIONALE

La lotta che conduco qui e' per la verita' e per la liberta'. Questo
lo sa tutto il pianeta.
Questo tribunale illegale dimostra giorno per giorno di essere un
fallimento. E questo nella sua fase centrale. Una fase in cui vediamo
la loro falsa pubblica accusa e testimoni falsi. Siamo gia' al secondo
anno. Hanno paura anche solamente ad immaginarsi come andra' l'altra
fase [nella seconda meta' del "processo" tutto il tempo dovra' essere
dedicato all'autodifesa di Milosevic, ndT], quando io parlero' e
quando parleranno i testimoni che chiamero' io.
Contro di me hanno applicato tutti i mezzi di pressione possibili:
politici, mediatici, psicologici e fisici. SENZA SUCCESSO.
Adesso hanno dato inizio ad una persecuzione brutale attraverso bugie
infami [si riferisce alla campagna scatenata nel tentativo di imputare
alla famiglia Milosevic l'omicidio Djindjic e gli altri episodi di
sangue avvenuti in Serbia dal 2000 in poi, ndT]. Questa persecuzione
e' anche fisica ed e' accompagnata da una campagna dei media.
E tutto il pubblico vede che i responsabili dei crimini, quelli
arrestati, sono proprio gli stessi che l'attuale regime aveva tanto
lodato per il "contributo" dato in occasione del colpo di Stato del 5
ottobre. Sono proprio gli stessi che, con i volti coperti, sono
entrati nel cortile della mia residenza, quegli stessi che mi hanno
arrestato e rapito per i loro propri interessi.
Hanno scatenato una persecuzione brutale su mia moglie e su mio figlio
solo per causa mia. Perche' non possono fermarmi. Perche' saro' il
vincitore morale in tutti i casi.
Perche' la verita' e' dalla parte mia.
A causa di questa persecuzione sono gia' tre anni che non vedo mio
figlio, e da un po' di tempo non posso vedere nemmeno mia moglie. Il
loro vero obiettivo e' quello di tagliare tutti i miei contatti.
Diritto [quello a mantenere contatti, ndT] che qui non viene ne' puo'
essere negato a nessuno. Ed e' proprio per questo che intendono
negarmelo in questa maniera disonesta.
Io chiedo che cessi la persecuzione ai danni di mia moglie e di mio
figlio poiche' essa ha una motivazione esclusivamente politica, contro
la mia battaglia ed allo scopo di assolvere i crimini commessi contro
la Jugoslavia e contro i suoi cittadini.

L'Aia, 23 aprile 2003

Slobodan Milosevic

===

TO THE YUGOSLAV AND INTERNATIONAL PUBLIC

My struggle here is about the truth and freedom. The whole planet
knows that.
This illegal court undergoes its everyday fiasco. And it happens in
their own half-time. In the half time when their false prosecution and
false witnesses appear. It lasts the second year already. They are
afraid even to think how my half time will look like, when I will
speak and when my witnesses will speak.
Against me they have applied all the means of the political, media,
psychological and physical pressure. WITH NO SUCCESS.
Now they have started the brutal persecution using the vicious lies.
That persecution is also physical and is followed by a media campaign.
And the whole public sees that the perpetrators of the crimes whom
they have arrested are the very same ones who were praised by the
actual regime for they're "contribution" to the October 5th coup. The
very same ones who were, with covered faces, jumping into yard of my
residence, the ones who arrested and kidnapped me for their account.
They have launched a brutal persecution of my wife and my son only
because of me. Because they can't brake me. Because I am a moral
winner in any case.
Because the truth is on my side.
Due to that persecution I haven't seen my son for three years already
and since recently I can't see my wife. It is their real goal to block
all my contacts. For that right nobody here is not, nor can be
deprived. That's exactly why they decided to deprive me in such a
dishonest way.
I demand stop of the persecution of my wife and of my son since it is
purely politically motivated against my struggle and in favor of
justification of the crime against Yugoslavia and its citizens.

The Hague, April 23rd, 2003

Slobodan Milosevic

---

This letter has been presented to the public at today's press
conference of SLOBODA in Belgrade.
At the conference, our two comrades, recently released from detention
- member of SLOBODA Uros Suvakovic and former Yugoslav minister of
information Goran Matic appeared and explained in detail their prison
experience (26 days in solitary confinement, with no walk, in total
incommunicado) and shown written decisions on their detention, stating
that they were detained "since the suspicion that they might, if
remain free, threaten the security of other citizens and the security
of the Republic".
As a guest of the press conference, Dr John Laughland, on behalf of
the British Helsinki Human Rights Group, counted preliminary
conclusions of their delegation after the visit to Serbia and contacts
with all sides of the political spectrum here: State of emergency was
unnecessary, its provisions (some of which are continued to be applied
on the basis of the changes in legislation even after the State of
Emergency was formally lifted) violate the basic human and citizens
rights and standards of democracy and rule of law, its obvious
political misuses produce the greatest concern.
Vladimir Krsljanin, foreign relations assistant to President Milosevic
and member of SLOBODA underlined the case of the SLOBODA Chairman
Bogoljub Bjelica. Mr. Bjelica appeared to be a symbol of political
persecution in Serbia today and first victim of the "new legislation".
His detention has been prolonged for another 15 days on the "grounds"
the he might posses "the information of importance for investigation"
- unprecedented in civilized world form of mistreatment of "potential
witnesses".
Krsljanin repeated the estimate about the criminal responsibility of
the Hague prosecution and of its sponsors for the present state in
Serbia. He announced that SLOBODA will use all legal and political
means in the struggle to stop the persecution of President Milosevic,
his family and associates, to free Bogoljub Bjelica and to return
freedom, law, democracy and dignity to Serbia.

SLOBODA CALLS UPON ALL FORCES AND INDIVIDUALS WHO CARE ABOUT FREEDOM
AND DEMOCRACY TO CONTRIBUTE URGENTLY IN MOST CONCRETE WAYS TO REACH
THESE GOALS!

PER GLI AMANTI DELLA LETTERATURA

Molte migliaia di libri in lingua serbocroata, sottratti dalla
biblioteca di Gnjilane in Kosovo-Metohija, sono stati ritrovati ieri
per caso nei cassonetti dell'immondizia della citta'.
Segnaliamo la notizia per tutti coloro i quali hanno a cuore la
cultura e la letteratura, anche se magari usano commuoversi di meno
per i monumenti di epoca bizantina rasi al suolo o per i morti
ammazzati nel corso della attuale epurazione etnica.


http://www.b92.net/english/news/index.php?lang=english&version=standard&my_categories_class='News'&nav_category=&nav_id=22538&order=priority&style=headlines

B92
April 24, 2003

Serbian language books thrown out of Kosovo
Beta

GNJILANE -- Thursday - Several thousand works of
literature have been thrown out of the Gnjilane city
library in the province of Kosovo.
The books, all printed in the Serbian language, were
thrown into rubbish bins before being taken to the
city dump by local refuse collectors.
Serb sources from Kosovo Pomoravlje informed agency
Beta, before reporting the incident to the local
Gnjilane police department.
Sources said that the works include some rare and
valuable Serbian history and literature books.

Gioia del Colle (BA)

Sabato 26 aprile - ore 18.00 -

Sala "De Deo" (di fronte al teatro Rossini)

nell'ambito delle iniziative promosse dal Comune di Gioia del Colle e
dal comitato permanente per la pace in commemorazione Don Tonino Bello

- "Medici di Guerra, inviati di Pace" - relazione di Vincenzo
Caruso (Emergency)

- Proiezione del film-documentario di Michel Collon e Vanessa
Stjilkovic "I dannati del Kosovo", presentato da Andrea
Catone (associazione "Most za Beograd")




Most za Beograd - Un ponte per Belgrado in terra di Bari

Associazione culturale di solidarietà con la popolazione jugoslava

via Abbrescia 97, 70121 BARI - CF:93242490725- tel. 0805562663

e-mail: most.za.beograd@...
conto corrente postale n. 13087754

--- In Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli., Radio Città Aperta ha scritto:

25 APRILE

La resistenza continua ... contro la guerra infinita

A Roma corteo con partenza da

Porta S. Paolo alle ore 10.00


La guerra e l'occupazione angloamericana dell'Irak hanno posto al
popolo iracheno e ai popoli arabi il problema della resistenza


A quanti aspirano al rispetto reciproco e alla condivisione umanistica
e cooperativa di questa terra, si pone il dovere della resistenza
contro la guerra


Manteniamo viva la memoria della resistenza ricordando che la nostra
libertà ce la siamo conquistata da soli e non ce l'hanno portata gli
americani.

Non solo gli americani, ma anche i sovietici, gli inglesi, i francesi
e tanti altri hanno contribuito a liberare l'Europa dal nazifascismo


Il governo Berlusconi sta tentando di far passare una legge che
equipara i fascisti di Salò ai partigiani. Questa provocazione è un
insulto alla memoria dei caduti della Resistenza e alla stessa
Repubblica.


Il 25 aprile tutti in piazza

La resistenza continua ... contro la guerra infinita

Appuntamento alle ore 10.00 a Porta S. Paolo

Per una manifestazione unitaria

--- Fine messaggio inoltrato ---

IL MANIFESTO DEI RESISTENTI

by I RESISTENTI
Wednesday April 23, 2003 at 12:19 PM (Fonte: Indymedia)



La nostra storia non è cominciata adesso. Le Resistenze
come alternativa possibile. Un Manifesto comune per tutti i Resistenti


Noi Resistenti abbiamo cominciato presto a guardare in faccia
il nostro vero nemico. Eravamo già attivi nella resistenza spagnola
che mise in fuga i mamelucchi di Murat e fece impazzire i generali di
Napoleone. Ci riconoscerete dipinti da Goya ne "La fucilazione alla
montagna del Principe Pio" e nella urla di gioia che accompagnarono la
fuga dei francesi nel 1813. Nasce da qui l'onda lunga che ha portato
alla Repubblica del '36 e alla resistenza antifranchista fino ai
nostri giorni.
Ci siamo aperti la strada con le armi in pugno insieme a
Garibaldi, mentre cadeva la Repubblica romana ed Antonio Brunetti -
Ciceruacchio per il suo popolo - insieme al figlio Lorenzo cadeva
sotto il plotone di esecuzione. Ma, come fece Gasparazzo contadino
indomito, non ci siamo fidati dei garibaldini di Nino Bixio che in
Sicilia fucilarono la nostra gente a Bronte, ed insieme a Gasparazzo
ci siamo dati alla macchia rendendo per anni la vita difficile ai
piemontesi, ai nuovi padroni e ai proprietari terrieri.
A metà dell'ottocento ebbero tanto paura delle nostre
barricate che il prefetto Haussman dovette rifare Parigi da capo a
piedi. Sventrarono i vicoli e costruirono i grandi boulevard come
"strade di una caserma opportunamente ampliata" perché i padroni
temevano di incontrare in strade troppo strette i Resistenti come
Charles Delescluze o Flourens. Venti anni dopo le barricate
infiammarono di nuovo la Parigi della Comune e noi Resistenti fummo
conosciuti come "Communards". I soldati del gen. Lacombe furono
mandati contro di noi a Montmartre, ma si rifiutarono di sparare sul
popolo ed alla fine rivolsero i fucili contro il generale stesso, sono
formidabili Resistenti coloro che sanno comprendere chi è il vero
nemico.
Ci scatenarono contro altri soldati e i cannoni messi a
disposizione dai prussiani, ci fucilarono a migliaia o ci deportarono
alla Cayenna. Eppure, come disse l'uomo di Treviri - la testa migliore
degli ultimi due secoli - "dopo la Pentecoste del 1871 non ci può
essere né pace né tregua tra gli operai francesi e gli appropriatori
del prodotto del loro lavoro". Capite adesso perchè lo sciopero dei
lavoratori in Francia andò così bene anche nel 1995?
Ma noi Resistenti non siamo e non eravamo solo sulle barricate
e nelle officine delle grandi metropoli. Nascevamo e crescevamo anche
nelle nuove colonie di quello che diventerà l'imperialismo moderno.
Eravamo nel deserto algerino e sui Monti dell'Atlante con Abd el Kader
che tenne alla larga i turchi e umiliò per anni i legionari del
generale francese Bugeaud.
Eravamo nascosti nel pubblico e ci tormentavamo le mani,
impotenti in quella occasione, quando gli invasori italiani,
nell'ottobre del 1912, fucilarono a Tripoli l'arabo Husein. Ci vollero
tre scariche della fucileria del plotone d'esecuzione per vederlo
cadere a terra. Husein e i suoi Resistenti avevano fatto impazzire i
militari italiani nelle uadi o sulle strade carovaniere. Per rabbia e
per rappresaglia gli italiani fucilarono centinaia di persone e ne
deportarono 3.053 nelle isole Tremiti, a Ustica, a Favignana, a Ponza
e a Gaeta.
"Non ci inganna che si dica un'epoca di progresso. Quel che
dicono è invero la peggiore delle menzogne" tuonavano i versi del
poeta arabo Macruf ar Rusufi " Non li vedi tra l'Egitto e la Tunisia
violare con stragi e massacri il sacro suolo dell'Islam? E non sia
addossata la colpa ai soli italiani ma tutto l'occidente sia
considerato colpevole".
Nelle colonie pensavano di aver vinto, legando i sepoys alle
bocche dei cannoni e facendo fuoco come fecero gli inglesi in India o
fucilando e impiccandoci a decine come fecero gli italiani in Libia.
Ma gli arabi hanno un cuore indomito e venti anni dopo il Leone del
deserto, Omar Al Muktar tornò a seminare il panico tra i soldati e le
camicie nere che occupavano la Libia. Il generale fascista Graziani,
quello che aveva massacrato con i gas gli etiopi, fece impiccare Omar
Al Muktar. Ma il suo fantasma inquieta così tanto gli eredi di
Graziani da impedire che in Italia si possa vedere il film che parla
della sua storia. Fanno paura anche da morti i Resistenti!!!
Mentre il capitalismo si annunciava con i mercanti, noi
Resistenti eravamo già dovunque e da tempo. Avevamo viaggiato sulle
loro navi con le catene ai piedi e ai polsi. A cominciare la
resistenza furono proprio gli schiavi neri deportati in Brasile che
fondarono la loro repubblica a Quilombo e resistettero fino al 1697
contro i colonialisti portoghesi. Cento anni dopo, i nipoti di quegli
schiavi, diventati creoli o rimasti neri come i loro antenati, si
ribellarono a Bahia, la disinibita città degli incanti e del candomblé
cantata dalle pagine di Jorge Amado. Ma eravamo anche più a Nord,
eravamo nella selva e sulle Ande con la resistenza di Tupac Amaru. Gli
spagnoli lo hanno squartato con i cavalli per smembrarne il corpo ma
duecento anni dopo il suo nome ha fatto tremare i governanti corrotti
di Lima e Montevideo chiamando alla lotta nella selva e nelle città.
Eravamo a cavalcare al fianco di Artigas nelle grandi pianure
della Banda Oriental ed eravamo al fianco del creolo Simon Bolivàr tra
selve e paludi per gridare a schiavi, creoli, indigeni e popoli che
volevamo una sola nazione, "la Nuestra America. E potevate vederci
insieme a José, Antonio e Felipe, senza scarpe e senza saper leggere
quando a Morelos Emiliano Zapata lesse il programma che scosse le
montagne e mise i brividi ai latifondisti. Tante volte abbiamo
resistito, accerchiati dai rurales e dai federales, tante volte li
abbiamo umiliati trasformando le sconfitte in vittorie. E ci avete
visto anche sessanta anni dopo. Eravamo di nuovo là, nel Guerrero, a
Oaxaca, nei Loxichas a fare scudo a Lucio Gutierrez, vendicando con la
coerenza tra parole e fatti gli studenti massacrati a Città del
Messico o il lento genocidio di indios e campesinos. E venti anni più
tardi eravamo tra quelli che dopo il massacro di Aguas Blancas
giurarono di fargliela pagare agli assassini.
Eravamo in Bolivia con l'acqua fino alla cintura al guado del
Yeso quando l'imboscata dei militari uccise sette di noi tra cui
Tamara Burke "Tania". Diciotto giorni dopo nel canalone di "El Yuro"
veniva ferito e poi assassinato Ernesto Guevara detto "Il Che" insieme
al Chino e a Willy. Quando due anni fa ci siamo rivoltati a Cochabamba
contro la privatizzazione dell'acqua, avevano la sua immagine sulle
nostre bandiere, la stessa immagine e le stesse bandiere che
sventolano sulle terre occupate del Brasile dei Sem Terra, nelle zone
liberate dalla FARC in Colombia tra i piqueteros in Argentina. I
militari, gli jacuncos o quei perros degli "aucisti", sentono un
brivido lungo la schiena quando invece di indios e campesinos
impauriti si trovano di fronte i Resistenti.
Ci avrete visto anche più a Nord, ma non ci avete
riconosciuto. Eravamo sulle sponde del Rosebud ed avevamo il viso
pitturato con i colori di guerra quando insieme al capo Gall abbiamo
difeso i teepee degli Hunkpapa e dei Santee dai soldati in giacca blu
del colonnello Reno. Li abbiamo battuti e messi in fuga nel giugno del
1876 permettendo così alle altre tribù di sconfiggere il generale
Custer a Little Big Horn. Nelle riserve o nella cella di Leonard
Peltier ancora si racconta della nostra resistenza.
Ed eravamo ben presenti tra i siderugici dello sciopero di
Homestead quando furono messi in fuga gli agenti assoldati
dall'agenzia Pinkerton e i padroni dell'acciaio scoprirono che gli
immigrati, diventati operai, sapevano unirsi e tenere duro.
E quasi settanta anni dopo i poliziotti bianchi impallidirono
quando i nostri fratelli neri opposero resistenza nel ghetto di Wyatt
o misero a soqquadro il tribunale di Soledad e le celle di Attica e S.
Quintino. George, Dramgo e Jonathan Jackson sono stati un incubo per
l'America dei Wasp, bianchi, anglosassoni e protestanti, di
conseguenza....razzisti. Mumia Abu Jamal é ancora vivo perchè i
Resistenti non mollano tanto facilmente, hanno la pelle dura e sanno
guardare ben oltre le sbarre della loro cella.
Ma le pagine più belle della nostra storia di Resistenti le
abbiamo scritte nel cuore dell'Europa messa a ferro e fuoco dal
nazifascismo. Le abbiamo scritte tra le macerie della fabbrica di
Trattori a Stalingrado. "I nazisti, non potendo prenderci vivi
volevano ridurci in cenere" ha scritto Aleksej Ockin il più giovane di
noi. Insieme a lui ed a noi c'erano Stepan Kukhta e il vecchio
Pivoravov veterano cinquantenne. Li abbiamo tenuti in scacco per mesi
e mesi e alla fine li abbiamo battuti. La nostra resistenza diede
coraggio a tutti gli altri e accese il fuoco che portò le nostre
bandiere a sventolare fin sopra il tetto del Reichstag di Berlino.
Eravamo invincibili, eravamo gli eredi di Kamo, che fece impazzire la
polizia zarista e fornì quanto serviva alla rivoluzione dell'Ottobre.
"Il mio insostituibile Kamo" diceva Ulianov preparando il primo
assalto al cielo.
Ma eravamo anche a Varsavia, nascosti dopo aver esaurito le
munizioni nelle fogne e nelle cantine del ghetto. Eravamo anche lì,
insieme a Emmanuel Ringelbaum e a Mordechai Anielewicz che si suicidò
per non arrendersi ai nazisti che stavano rastrellando il ghetto in
rivolta. Resistenti per sopravvivere alla deportazione e ai campi di
concentramento ma anche per riscattare la vergogna dei
collaborazionisti dello Judenrat.
Ma eravamo anche nel cuore della Jugoslavia quando sulla
Neretva abbiamo umiliato le armate dei nazisti, dei fascisti e degli
ustascia croati mandate ad annientarci. Ivo Lola Ribar hanno dovuto
ucciderlo e così Joakim Rakovac, ma i Resistenti jugoslavi
dimostrarono ai nemici e agli amici che sapevano farcela da soli.
Per anni serbi, croati, sloveni, bosniaci hanno saputo
combattere fianco a fianco, per anni abbiamo sfidato la storia tenendo
insieme un paese che volevano lacerato. Eravamo pronti anche alla fine
del secolo scorso a resistere contro i contingenti inviati dalla NATO
ma i dirigenti scelsero altre strade, scelsero la strada che porta in
occidente, la stessa che ha mandato in frantumi il nostro paese.
"Banditi" così ci chiamavano in Italia i nazisti e i fascisti
ma la gente era con noi Resistenti. Erano con noi i ferrovieri e gli
operai di Milano, Genova e Torino, erano con noi i popolani della
periferia romana e i contadini emiliani o dell'Oltrepò pavese. C'è una
canzone che narra di come ancora oggi i fascisti temano il fantasma
del partigiano Dante Di Nanni che gira fischiettando per Milano.
"Cammina frut" scriveva Amerigo che fu Resistente sul fronte difficile
della frontiera con l'Est. E piano piano eravamo ovunque: Maquis in
Francia, partigiani nella pianura belga e olandese o sulle montagne
greche.
Tanti di noi si erano "fatti le ossa" nella guerra di Spagna,
affrontando le armate franchiste, i legionari fascisti e i
bombardamenti tedeschi. Con l'immagine delle rovine di Guernica negli
occhi, abbiamo resistito oltre ogni limite, lasciati soli dalle
democrazie europee che temevano il nazifascismo ma temevano ancora di
più la rivoluzione popolare e l'onda lunga dell'ottobre sovietico.
Quando finì la guerra non eravamo tutti convinti che fosse finita
veramente. In Emilia-Romagna - come dice Vitaliano che fu partigiano e
vietcong- non consentimmo ai fascisti di cavaresela a buon mercato e
in Grecia resistemmo con le armi in pugno contro gli inglesi e gli
americani che ci volevano, noi che avevamo combattuto contro i
tedeschi e gli italiani, servi di un nuovo padrone. I Resistenti di
Euskadi non considerano ancora chiusa la partita con gli eredi del
franchismo in Spagna. Vi meravigliate ancora perchè in Italia, in
Spagna e in Grecia ci sono ancora i movimenti di lotta più forti e
decisi d'Europa?
Ma noi Resistenti ci siamo diffusi in tutto il mondo. Eravamo
Umkomto We Sizwe, la Lancia della Nazione che i negri sudafricani
hanno impugnato per decenni contro il regime razzista, siamo stati i
Mau Mau e i fratelli di Lumumba, abbiamo saputo essere poeti come
Amilcare Cabral, colpendo, subendo e vincendo il dominio coloniale
degli inglesi, dei portoghesi e dei belgi. Ce l'hanno fatta pagare
lasciandoci un continente devastato dalle epidemie, dalla fame, dai
saccheggi delle nostre risorse, ma nelle terre dell'Africa siamo
arrivati dopo, ci prenderemo tutto il tempo che ci serve e poi ci
riprenderemo tutto ciò che é nostro, a cominciare dalla dignità.
E poi avete cominciati a vederci ovunque, noi Resistenti.
L'arrivo della televisione ci ha mostrato come "barbudos" a Cuba, con
la kefija dei feddayn in Palestina e in Libano, piccoli e veloci
contro i giganteschi marines, il loro napalm e i loro B 52 nelle
giungle del Vietnam. L'immagine del piccolo Truong che scorta
prigioniero un marines grande come una montagna ha tormentato i sonni
degli uomini della Casa Bianca per decenni. I Resistenti non hanno mai
molte cose a loro disposizione, ma per noi, come dice Truong Son "il
poco diviene molto, la debolezza si trasforma in forza e un vantaggio
si moltiplica per dieci".
Per cancellare questa immagine sono quindici anni che gli
americani scatenano guerre contro avversari immensamente più deboli e
vincono guerre facili.
Ad Al Karameh, nel 1965, eravamo molti di meno e peggio armati
dei soldati israeliani ma li abbiamo sconfitti perchè noi Resistenti
siamo fortemente motivati e loro non lo erano. Non lo erano neanche
gli eserciti arabi messi in piedi da governi indecisi e spesso
corrotti che riuscirono perdere due guerre in sette anni.
A Beirut, ad esempio, nonostante le cannonate della corazzata
americana New Jersey abbiamo resistito e abbiamo cacciato via prima
gli israeliani e poi gli americani, i francesi e gli italiani e poi lo
hanno fatto quelli di noi che erano a Mogadiscio. In Nicaragua eravamo
giovanissimi e stavamo mangiando carne di scimmia quando abbattemmo un
elicottero e prendemmo prigioniero il consigliere della CIA Hasenfus
rivelando al mondo l'aggressione statunitense contro un piccolo e
coraggioso paese.
E poi sono arrivate le nuove generazioni di Resistenti, come
quelli che hanno cacciato dal Libano del sud gli israeliani o che
hanno animato la prima e la seconda Intifada. Le loro pietre pesano
come macigni sull'occupazione israeliana e sulla cattiva coscienza
dell'occidente. C'erano dei giovani e giovanissimi Resistenti nelle
giornate di Napoli e di Genova, uno di essi, Carlo Giuliani, è caduto
ma il suo volto da ragazzo si è moltiplicato su quelli di migliaia di
ragazzi come lui, nuovi Resistenti che hanno bisogno di sapere, di
conoscere, di mettere fine agli inganni e alle rimozioni che li
circondano, che sfidano i potenti con la determinazione di Rachel
Corrie.
Infine, ed è straordinario, sono sorti dei Resistenti anche in
Iraq. Hanno sorpreso molti, soprattutto i loro nemici. Il vecchio
Pietro ha riscattato in dieci righe la sua vita di tentennamenti
scrivendo che la "Resistenza contro l'invasione è la prima condizione
per la pace". I Resistenti sono ormai dovunque, sono diffusi in questo
mondo reso più piccolo dalla globalizzazione e più insicuro
dall'imperialismo e dalla guerra. E' arrivato il momento di unirli, di
dargli una identità comune e condivisa, di riconoscerli e farli
riconoscere a chi - da Bogotà a Manila, da Nablus a Salonicco, da
Seattle a Durban - si è rimesso in marcia per rendere possibile un
altro mondo. Fin quando ha agito la legalità formale delle democrazie
è stato possibile disobbedire, ma alla guerra e all'imperialismo
occorre resistere, improvvisare e disobbedire non basta più, oltre ai
corpi serve la testa e una visione aggiornata della nostra storia.
Alla democrazia fondata sulle bombe noi opponiamo il regno della
libertà, all'idea di libertà fondata sull'homo economicus noi
proponiamo all'umanità il passo avanti della liberazione. Per noi, il
poco sta diventando molto, la debolezza si sta trasformando in forza,
un vantaggio si sta moltiplicando per dieci. L'epoca delle Resistenze
è cominciata.
Aprile 2003, terzo anno della guerra infinita
I Resistenti

LA LIBERAZIONE DI TRIESTE


Testimonianza di Milka Cok (Ljuba) di Longera

«Il primo bunker venne costruito nell'estate del '44 sotto
casa nostra, che si trovava proprio dietro quello che adesso
è l'asilo di Longera, una vecchia osteria dove allora si erano
insediati i tedeschi. La gente entrava davanti ed usciva dietro,
sulla campagna, era in una posizione ideale per quel tipo di
movimenti.
Poi ci accorgemmo di essere spiati, ed un altro bunker venne
costruito più su, dove ora c'è il monumento. Consisteva in una
piccolissima stanza, dove potevano stare da 4 a 6 persone, ed un
piccolissimo cunicolo che portava sul monte. Il bunker serviva
come base per partigiani che stavano lì nascosti di giorno e che
uscivano la notte per compiere le loro missioni.

Allora avevo sedici anni, facevo parte dello S.K.O.J. [1]; noi
ragazzi avevamo ognuno una zona della città dove andavamo di
notte a scrivere con vernice e pennello; la mattina, invece di
andare a scuola, nascondevamo tra i libri, nelle borse, i volantini
che venivano da Gropada [2] e li portavamo in città. Poi
accompagnavamo in Carso i giovani che volevano unirsi ai partigiani:
davamo loro degli attrezzi agricoli e li portavamo attraverso Monte
Spaccato, dove lavoravano quelli della Todt [il servizio obbligatorio
istituito dai nazisti, n.d.a.] a fare fortificazioni, dicendo a
questi che i ragazzi andavano a lavorare in campagna. Passavamo
oltre, dopo un poco abbandonavamo gli arnesi ed i giovani andavano
fino a Gropada, da dove poi si sarebbero uniti ai partigiani.

Il giorno del rastrellamento e del massacro (21.3.1945, n.d.a.)
venne su a Longera la "banda Collotti" con Collotti in persona.
La gente sospetta e schedata venne prelevata e condotta al centro
del dopolavoro che si trovava in fondo al paese. C'ero anch'io con
la mia famiglia, avevo due fratelli partigiani, eravamo "sospetti".
Verso le 11 sentimmo i primi spari, mitraglie, bombe a mano. Capii
subito che si trattava del bunker: qualcuno aveva fatto la spia. Mi
disse poi proprio uno della "banda Collotti" che c'era in paese
uno spione che andava di notte ad origliare sotto le finestre dei
compaesani.

Quelli della "banda Collotti" portarono tre compagni incatenati,
tra cui anche il padre di Danilo, che aveva il figlio nel bunker.
Volevano che lo aprisse, ma lui si rifiutò e lo uccisero. Danilo mi
raccontò poi che loro, nel bunker, avevano deciso, se fossero stati
attaccati, di attaccare a loro volta e di non lasciarsi prendere
vivi dai fascisti. Durante l'attacco al bunker morirono Pavel, che
era il comandante, Stojan e Radivoj [3]. Gli altri tre si salvarono
nascondendosi dietro la nostra casa e si rifugiarono a Gropada.

Al dopolavoro chiamarono fuori la mia famiglia e ci portarono tutti
fino al bunker, dov'erano stati messi in fila i quattro morti, anche
il papà di Danilo. Volevano che dicessi i nomi dei morti, ma mi
rifiutai, allora mi fecero andare tra i corpi e mi minacciarono di
uccidermi. Credetti davvero che sarei morta, ma spararono solo una
raffica che non mi colpì e svenni. Mi riportarono poi a casa e di
nuovo al bunker e poi ancora di nuovo al dopolavoro. Lì vidi anche
i loro feriti (della P.S., n.d.a.), che vennero portati via subito.

Al pomeriggio mi chiamò Collotti in persona; io non volevo andare
perché avevo visto Slavko (uno dei costruttori del bunker) che era
stato torturato ed era ancora fuori di sé, diceva che non aveva
potuto sopportare le torture, era irriconoscibile.

Collotti mi disse che sapeva tutto di me, di quello che avevo fatto,
del cibo che portavo nel bunker, di ciò che facevo a Borst e a
Gropada. Io negai di essere la figlia di Rodolfo Cok, lui fece
per picchiarmi ma si fece male da solo... allora mi fecero ruzzolare
giù per un piano di scale. La sera poi ci portarono in via Cologna.

Fu proprio il giorno delle Palme che mi portarono nella stanza
della tortura: mi legarono ad una sedia, mi torturarono con
l'elettricità, mi bruciarono con le sigarette, mi picchiarono, mi
tirarono su con una corda legata alle spalle torcendomi le braccia...
una ragazza ebbe le braccia spezzate, un compagno morì poco dopo.
Nonostante tutto non parlai e dopo dieci giorni ci portarono al
Coroneo dove ci passarono alle S.S.; là vennero anche mia madre ed
altri di Longera.
Sentivamo di notte i camion che venivano a prendere la gente per
portarla in Risiera, ma anche al Coroneo riuscivano a girare i fogli
partigiani e questo ci dava coraggio.

Erano gli ultimi giorni di guerra e ci dissero che ci avrebbero
portato in Germania. Ci condussero a piedi fino a Roiano: lì gli
uomini vennero caricati su un camion mentre noi aspettammo tutto
il giorno che venissero altri camion per portarci via, ma non venne
nessuno, perche a nord le strade erano già bloccate. Così
ci riportarono al Coroneo e dopo ci rimandarono a casa.

A Longera la nostra casa era distrutta: una notte che pioveva e
non potevamo dormire ci eravamo messi di guardia contro i tedeschi:
ma ad un certo punto vedemmo arrivare i partigiani, da tutte le
parti venivano fuori i partigiani e questa è stata una gioia così
grande che non la posso descrivere».



[1] Savez Komunisticne Omladine Jugoslavije (Lega della Gioventù
Comunista Jugoslava).

[2] Piccolo paese carsico tra Bazovica-Basovizza e Padrice-Padriciano.

[3] I caduti del bunker, i cui nomi sono ricordati nel cippo di
Longera, sono: Andrej Pertot, Pavel Petvar, Angel Masten ed Evald
Antoncic.


(Tratto da: Claudia Cernigoi, "Operazione foibe a Trieste. Come si
crea una mistificazione storica: dalla propaganda nazifascista
attraverso la guerra fredda fino al neoirredentismo". Edizioni Kappa
Vu, Udine 1997.)

JUGOSLOVENSKOJ I SVETSKOJ JAVNOSTI

Borba koju ovde vodim tice se istine i slobode. To zna cela
planeta.

Ovaj nelegalni sud dozivljava svakodnevni fijasko. I to u svom
sopstvenom poluvremenu. U poluvremenu u kojem nastupa njihova
lazna tuzba i njihovi lazni svedoci. To traje vec drugu
godinu. Oni ne smeju ni da misle kako ce izgledati moje poluvreme,
u kojem govorim ja, u kojem govore svedoci koje ja pozovem.

Protiv mene su upotrebili sva sredstva politickog, medijskog,
psiholoskog i fizickog pritiska. NEUSPESNO.

Sada su pristupili brutalnom progonu koristeci se bezocnim
lazima. Taj progon je i fizicki i pracen je medijskom kampanjom.

A cela javnost vidi da su pocinioci zlocina, koje su pohapsili,
upravo isti oni kojima je aktuelna vlast odavala priznanje za
"doprinos" pucu od 05. oktobra, koji su, sa carapama na glavama
preskakali ogradu rezidencije, koji su me uhapsili i kidnapovali
za njihov racun.

Brutalnom progonu moje supruge i sina pristupili su iskljucivo
zbog mene. Zato sto ne mogu da me slome.
Zato sto sam svakako moralni pobednik. Zato sto je istina na
mojoj strani.

Zbog tog progona, ja vec trecu godinu nisam video sina, a od
skora ni suprugu. To im i jeste cilj, da mi onemoguce svaki kontakt.
To pravo ovde nikome nije, niti moze biti, uskraceno. Zato su i
odlucili da ga meni uskrate na ovako necastan nacin.

Trazim da prestane progon moje supruge i sina jer je iskljucivo
politicki motivisan i u funkciji onemogucavanja borbe koju vodim i
pravdanja zlocina nad Jugoslavijom i njenim gradjanima.


Hag, 23. aprila 2003.

Slobodan Milosevic

NEL 2018 I SERBI SARANNO MINORANZA ETNICA ANCHE IN SERBIA



Da li su Srbi, izmedju dva popisa stanovnistva, etnicki
ocistili gradjane drugih nacionalnosti

Srbi u Srbiji manjina 2018.

Neki narodi bi se i bez ratova i migracija smanjivali, jer su jos
1991. bili staraècke nacije s malim natalitetom. Iako je rat napunio
Srbiju izbeglicama Srbima, srpsko stanovnistvo poraslo samo jedan
odsto

Hrvati, Madjari, Bugari, Vlasi, Bosnjaci... Gotovo da nema nacionalne
manjine u Srbiji koja se nije pozalila na popis 2002. Nacionalno telo,
tvrde predstavnici tih manjina, osipa se iz ovih ili onih razloga -
ali uvek zbog Srba i Milosevicevog rezima.
Istina je da je popis pokazao da je Hrvata u Srbiji manje nego 1991.
godine 25 odsto, a Madjara i Bugara 13 odsto. Upuæeni, meðutim,
tvrde da bi do toga doslo i da nije bilo ratova i migracija, jer su i
u popisu od pre 11 godina imali staracko stanovnistvo i negativan
prirodni prirastaj.
Ipak, bez obzira na statistiku, Jozef Kasa, lider Saveza vojvodjanskih
Madjara i potpredsednik srpske Vlade, kako sam kaze, spreman je da
pred Haskim tibunalom posvedoci da je za proteklih deset godina u
Srbiji bilo etnickog ciscenja.
I predstavnici vlaske i rumunske manjine, pozivajuci se na popis
stanovnistva iz 2001, oglasili su se tvrdeci da "postoje ozbiljne
sumnje da su popisivaci, uz pomoc grafitnih olovaka i naknadnog
prepravljanja podataka, bitno uticali da broj ljudi koji su se
izjasnili kao Rumuni -Vlasi bude daleko manji od stvarnog stanja na
terenu".

Bebe i nacija

Istovremeno, srpsko stanovni¹tvo u centralnoj Srbiji u poslednjoj
deceniji se uvecalo za samo jedan odsto. U Vojvodini, koja je etnicki
heterogena, ali u kojoj su Srbi i 1991. cinili 57 odsto stanovnistva,
danas je 200.000 pripadnika vise, te sada cine 65 odsto satnovnistva.
Goran Penev, iz Centra za demografska istrazivanja, uporedjujuci
stanje izmedju dva popisa kaze da je mnogo vise onih koji su umrli kao
Srbi, nego beba koje su rodile majke srpske nacionalnosti.
- Popis je pokazao da se i ukupno stanovnistvo centralne Srbije i
Vojvodine, ukljucujuci tu i Srbe i druge etnicke i nacionalne manjine,
smanjilo za 51.000 u odnosu na 1991, a da je to posledica imigracije,
doseljavanja, odseljavanja i negativnog prirodnog prirastaja, koji
imaju svi sem Roma, Albanaca i muslimana - kaze Penev.
Bez obzira na te cinjenice, dr Sandor Pal, predsednik Demokratske
zajednice vojvodjanskih Madjara, poslanik u Skupstini Srbije (DOS),
kaze da je bilo otvorenog, grubog i manje otvorenog, finog psiholo¹kog
pritiska. Zbog toga se deo Madjara, kaze Pal, iselio.
- I to oni najbolji, u najboljim godinama, s malom decom - sa
zaljenjem kaze Pal.
I Josip Gabric, potpredsednik Demokratskog saveza Hrvata Vojvodine,
kategorican je u tvrdnji da su Hrvati iz Vojvodine proterani, i to
35.000 do 40.000, i da je upravo to glavni razlog smanjenja ove
nacionalne manjine u Srbiji. Dragomir Dragic, predsednik Foruma za
kulturu Vlaha, pak, smatra da se, kad je ova manjina u pitanju, ne
moze govoriti o etnickom ciscenju u izvornom smislu, ali da je "Vlah
prihvatljiv samo u varijanti kao Srbin".
Vlasi su se, prema Penevu, uvecali za 25.000 pripadnika manjine u
odnosu na 1991, ¹to je oko 160 odsto, a to se nikako ne mze pripisati
prirodnom prirastaju, vec takozvanom etnickom transferu.
- Karakteristika poslednjeg popisa je sto se mnogo ljudi nije
izjasnilo o svojoj nacionalnosti. Takvih je sada deset puta vise nego
1991. - tada ih je bilo samo 10.000. U toj grupi mogu biti i
prestavnici vecinskog srpskog naroda, ali i nacionalnih manjina. I to
je ono sto mi demografi ne mozemo nikako da utvrdimo na osnovu popisa
- veruje Penev.

Etnicki transfer

Onih koji su se izjasnjavali kao Jugosloveni manje je cak 74 odsto,
ili 230.000. To se moze tumaciti kao etnicki tansfer. Pored stanovnika
koji su se zvali prema drzavi koja je nestala, i Crnogorci su se, sa
118.000 sveli na 69.000. Bugarska nacionalna manjina, nastanjena
uglavnom u dve opstine - Dimitrovgrad i Bosilegrad, takoðe ima nizak
prirodni prirastaj i veliku stopu smtrnosti. Pre 11 godina, u Srbiji
je bilo oko 26 hiljada Bugara, a sada ih je oko 6.000 manje.
U samom Dimitrovgradu, na primer, danas je od oko 13.500 zitelja, 49
odsto Bugara. I predstavnici ove manjine navode visestruka rasipanja
pripadnika nacije: ekonomsko, politicko. Sama atmosfera je bila takva,
kazu oni, da je bila potrebna i svojevrsna mimikrija kako bi se
prezivelo. I da se zbog toga mnogo Bugara izjasnjavalo kao
Jugosloveni, ili se uopste nisu izjasnjavali.
Ipak, Penev tvrdi da je metodologija popisa takva da se ne moze sa
sigurnoscu utvrditi ni stvaran broj vecinskog stanovnistva, a kamoli
nacionalnih manjina.
Na osnovu cega onda prvi ljudi manjina tvrde da je u Srbiji bilo
etnickog ciscenja?
- Taj izraz znaci da se jedno podrucje ocisti od jedne nacionalnosti,
sto se ovde nije desilo. Iako nekih etnickih grupa ima manje nego u
predhodnom popisu, to ne mo¾e da znaci etnicko ciscenje. Obja¹njenja
ima vise. Recimo, kod zivorodjene dece u obrazac se upisuje
nacionalnost majke, a to ne mora da znaci da ce kasnije biti i
nacionalnost deteta. Drugo, za decu do 14 godina roditelji se
izjasnjavaju o nacionalnosti. Trece, nije retko da se umrlima menja
nacionalnost. Odnosno, dogadja se da se prilikom evidentiranja umrlog
podatak cesto razlikuje od onog koje je pokojnik dao za zivota -
objasnjava Penev.
A ako Srbi, veruju upuceni, nastave da se ovim tempom osipaju, za 15
godina ce postai manjina u sopstvenoj zemlji. I danas su od stotinu
rodjene dece u Srbiji tek 36 Srbi, a ostali su druge vere i nacije.
Dr Pal pak, objasnjava da su oni Madjari koji nisu hteli da idu u rat
bili sikanirani, bacane su im bombe na kuce, otpustani su sa posla. U
sela gde su Madjari vecinsko stanovnistvo, kaze on, naseljavane su
izbeglice.
- Tako je promenjen etnicki sastav stanovnistva, a to se kosi sa svim
medjunarodnim konvencijma. Prave se kuce o drzavnom trosku, ali u njih
se nece vratiti Madjari koji su otisli. Cak mislim da su svi prepadi,
u neku ruku bili organizovani i smisljeni, samo da bi se nasi
sunarodnici strahom naterali da odu iz zemlje - veruje dr Pal.
Gabric, kao i predstavnici bugarske manjine, problem Hrvata u
Vojvodini vide i u tome sto su, opet zbog politicke prisile, morali da
se izjasnjavaju kao Jugosloveni, a da je, prema njegovoj evidenciji,
tako prikrivenih Hrvata bilo i vise od 380.000, na celoj teritoriji
danasnje Srbije i Crne Gore. Taj strah od izjasnjavanja o nacionalnoj
pripadnosti i danas postoji, pa je mnogo onih koji uop¹te nije hteo da
se popise.
A nacionalne manjine su, kao sto je poznato, veoma disciplinovano
politièko telo. One, koje za razliku od srpskih biraca, kad dobiju
jasnu poruku od svojih politickih lidera, ispunjavaju gradjansku
duznost. To je pokazala i situacija na nedavno ponovljenim izborima za
predsednika Srbije. Tada se ispostavilo da su nacionalne manjine u
vecoj meri glasale nego Srbi.
Neki zapadni teoreticari, kao Dalijel Gros, na primer, veruju da ce na
Balkanu "preziveti samo one drzave u kojima vecinski narod bude cinio
najmanje 90 odsto stanovnistva". Ovo upozorenje kao da je poslu¹ala
samo Hrvatska, jer je uspela da ocisti manjine, pa danas ima vise od
90 odsto hrvatskog stanovnistva. Ova ZSCG, kao i ostale zemlje u
okruzenju, nastoji da prezivi kao visenacionalna i tolerantna sredina.

BRANKICA RISTIc

Glas Javnosti,
Sreda, 16. 4. 2003.


http://www.glas-javnosti.co.yu/danas/srpski/T03041501.shtml

*** Kosmet: privatizing the State-owned enterprises ***

About the privatizations and the robbery of refugees properties see
also:

Vecernje Novosti Daily: Billions given to Albanians as gift
(by Z. Aracki)
http://www.kosovo.com/erpkim16apr03.html#4

Vecernje Novine Daily: Ancestral homes not for sale
(by D. Damjanovic)
http://groups.yahoo.com/group/decani/message/74440


===


ERP KIM Newsletter 15-04-03b
http://www.kosovo.com/erpkim15apr03b.html


STOP TO ROBBERY OF SERBIAN PROPERTY
If an additional 20 billion in state-owned property is taken from it
by the Albanians, it turns out that Serbia has thrown billions down
the river. No one normal in the world would allow this and neither
will we, says Engineer Dragan Markovic, the long-term director of
"Elektro Kosmet"

Vecernje Novosti Daily, Belgrade
April 13, 2003

By Dragan Damjanovic

(photo: the power plant in Obilic)

PRISTINA - "Tenders cannot be published for about 400 socially
owned firms in Kosovo and Metohija until the expelled Serbs
and Montenegrins who used to work in them return. No one,
except the state, has the right to sell someone else's property as
their own; consequently, UNMIK, KFOR and the Kosovo Government must
stop the announced privatization of collectives in the Province." This
excerpt from a letter from the world association of syndicate workers
with over 130 million members was sent to the aforementioned Pristina
addresses. Blazo Milosavljevic, the chair of the Union of Syndicates
of Kosovo and Metohija, informed reporters in Kosovska Mitrovica of
the fact, adding that representatives of the world syndicate would
arrive in the Province next week.

UNMIK's decree on privatization legalizes the usurpation of Serbian
firms in the Province. According to Goran Bogdanovic, minister in the
Kosovo Government and member of the board of directors of the trust
agency, so far 16 firms have been commercialized, including "Progres"
in Prizren, "Sar" in Djeneral Jankovic, "Pivara" in Pec... where
approximately 5,000 are employed, and not one Serb or Montenegrin.

SERBIA "THREW AWAY" BILLIONS

In addition to the previously mentioned 400 socially owned firms and
75 corporations, Serbia contributed 60 percent of the total investment
in the Fund for Underdeveloped [Regions] and Kosmet [Kosovo and
Metohija]. Four years ago, these firms were turned over to UNMIK for
administration, says Engineer Dragan Markovic, the long-term director
of "Elektro Kosmet". At the same time, the state suffered damage
because of the Albanians during the bombing of almost 30 billion
dollars. If an additional 20 billion in state-owned property is taken
from it by the Albanians, it turns out that Serbia has thrown billions
down the river. No one normal in the world would allow this and
neither will we.

An increasing number of Kosmet businessmen, Serbs and Montenegrins, as
well as Bosniacs, Turks and Goranis, is convinced that the announced
privatization is the product of "Steiner's haste" due to promises
given to the Albanians, as well as deferment of accumulated problems.
This would serve to fulfill at least part of what was promised to the
Albanians, while the Serbs and Montenegrins, instead of talks on
returns, need to be further subjected to this suffering, too.

"If Mr. Steiner's message is that it is too early to decide on the
final status of Kosovo, while at the same time transferring some of
his authorities to provincial provisional institutions, then it is not
too early to begin defining what belongs to whom in this province,"
says Arif Sulja, a Gorani businessman from Prizren. Sulja, like other
businessmen, believes that it would come as no surprise if other
former republics of the Socialist Federal Republic of Yugoslavia as
for "their piece of the pie" upon launching tenders in the province.
Macedonia alone, for example, invested millions of German marks in the
construction of a TE Kosovo block for the use of the Skopje steel
plant.

YUGOSLAVIA ALSO INVESTED

(photo: Trepca smelting plant in Zvecan, near Kosovska Mitrovica)

Firms in the province were built by the former Yugoslavia;
consequently, it is impossible to calculate at this time how much of
the Yugoslav budget went into the Pristina till. Data indicates that
Serbia earmarked a fifth of its foreign debt for a budget from which
money was withdrawn for the construction of Kosmet firms.

"A lot was invested here. Instead of working in those firms, today
Albanians are working in commerce: smuggling drugs, weapons, white
slaves, various goods... Unemployment is close to 70 percent. The
giant "Trepca", which once employed 12,000 people, has stopped all
operations since it was taken over by KFOR on August 14, 2000. The
same thing happened with "Feronikal" and other big firms," stresses
Engineer Radomir Kilibarda, a respected businessman.

Stopping work at "Trepca" included stopping work at all 13 of its
mines, the lead and zinc smelting plant and the battery factory in
Kosovska Mitrovica.

"There are some indications that the English, who held Trepca prior to
World War II, are interested in continuing its operations," emphasizes
Engineer Branislav Kokeric, one of the former directors. He adds that
there are also rumors that it has also attracted the attention of some
businessman from Germany, so it's not hard to determine why the head
of the UNMIK administration is hurrying into privatization.

Even though something huge is brewing in Kosmet, say the Serb and
Montenegrin businessmen, it is nevertheless important that the
representatives of the world syndicate have understood that
state-owned property cannot belong to everyone, especially not those
who worked on destroying the state and today seek in that state, on
its territory and with its money to create their own state and fill
their own pockets.

NO JOBS

"Approximately 50,000 Serbs and Montenegrins formerly employed in
Kosmet lack basic means of sustenance today. These are primarily heads
of households where few people in the family are working," says Blazo
Milosavljevic, the chair of the Union of Syndicates of Kosmet. He adds
that some of the workers, thanks to the Serbian Government's
assistance, are receiving part of their wages as if they were working,
while many are considered to be temporarily laid off (na sistemu
cekanja).

PLAN

According to Goran Bogdanovic, in its plan UNMIK foresees the
privatization of all 400 state-owned firms in the province which once
employed 130,000 people. According to UNMIK, this change is to occur
through transformation, redistribution of the means of production and
reorganization.

Translation by S.L.


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+++SERBEN ZUM VERKAUF IHRER HÄUSER GEZWUNGEN
BELGRAD. In der serbischen Provinz Kosovo und Metochien wurden seit
der Besatzung durch die NATO mehr als 15 000 Immobilien serbischer
Vertriebener an die ethnischen Albaner verkauft. Die UN-Mission in der
serbischen Provinz bezeichnet diese Verkäufe als "freiwillig". Das
Leben und Eigentum serbischer Vertriebener wird weder von der
UN-Polizei noch von den NATO-Soldaten geschützt und so sind die
vertriebenen Serben gezwungen ihren Eigentum an die ethnischen Albaner
zu verkaufen.
Trotz dieser Verkäufe besitzen die Serben immer noch 62% an Grund und
Boden in Kosovo und Metochien. STIMME KOSOVOS+++
Balkan-Telegramm 5/3/2003 - www.amselfeld.com


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http://news.bbc.co.uk/1/hi/business/2836447.stm

BBC Business News
March 10, 2003

UN plans Kosovo asset sell-off
By Stefan Armbruster
BBC News Online business reporter


Of about 350 socially-owned enterprises (SOEs) - a
type of social ownership unique to the Communist-era
Yugoslavia - 50 will be sold and another 300 shut
down, Ms Hackaj said.


Kosovo's UN-run administration is preparing the first
privatisation of the protectorate's assets, but admits
that it does not know their worth.
The sales, which have been opposed by Serbia and local
trade unions, are described by the UN Interim
Administration Mission in Kosovo (UNMIK) as vital for
restarting the economy.

"We need to move the economy on, and the sales are
covered by (UN) resolution number 1244," UNMIK
spokeswoman Sarah Hackaj told BBC News Online.

Of about 350 socially-owned enterprises (SOEs) - a
type of social ownership unique to the Communist-era
Yugoslavia - 50 will be sold and another 300 shut
down, Ms Hackaj said.

She said the UN had no valuations for the assets,
which would be "left up to the market".

Kosovo is one of the poorest regions of Europe, the
majority of the working population is unemployed and
foreign donor support has dwindled in recent years.

Belgrade's opposition

Western analysts say the privatisation is vital for
attracting investment to reinvigorate the economy
after years of neglect by the former Yugoslav
government.

In June last year, Serbia asked the UN Security
Council to suspend the privatisation programme in
Kosovo because of lack of consultation with Belgrade.

Legally, Kosovo remains a part of Serbia.

Belgrade has said it does not oppose privatisations
but wants Serbian interests to be protected.

The Serbian Government is particularly concerned about
$1.4bn in international debts it has guaranteed but
are owed by Kosovo's businesses.

A special chamber of the Kosovo Supreme Court will
deal with any outstanding claims and ownership
disputes.

"They (Serbia) would have to go through the special
chamber," Ms Hackaj said.

Land rights

The sale of six companies, which were to have been
advertised this week, have been delayed because the UN
in New York has not passed special "land use"
regulations covering disputed or unclear titles.

"The regulation will allow people to use land, but if
there is no clear law which allow us to sell to
private businesses, then the whole process is
pointless," Ms Hackaj said.

"Once the regulation has been approved, it will be
full-steam ahead with the advertisements."

The six businesses are described as medium-size
businesses, with about 100 employees, in sectors
ranging from brickworks to refrigeration.

Kosovo became a UN protectorate in June 1999 after an
11 week bombing campaign by Nato led to a Serbian
withdrawal.

While the province remains part of the union of Serbia
and Montenegro, its majority-Albanian population is
seeking independence.

More companies are expected to be offered for sale
later this year.