Informazione


A proposito di "martiri delle foibe"

1) Dall'ANPI di Viterbo:
- Sulla pubblicazione dell’elenco dei viterbesi “infoibati”
- Estratto dal Resoconto del Congresso del Comitato provinciale

2) GIORNO DEL RICORDO 2011: A PROPOSITO DI “MARTIRI DELLE FOIBE” (C. Cernigoi)

3) Menzogne di regime (F. Guastarazze)

Sulla disinformazione strategica a proposito delle "foibe" e la campagna revanscista e neoirredentista in atto in Italia da alcuni anni rimandiamo anche a tutta la documentazione raccolta alla nostra pagina dedicata: https://www.cnj.it/documentazione/paginafoibe.htm . Lì si trovano anche molti riferimenti e testi riguardanti le questioni ("infoibati" viterbesi, Norma Cossetto, ecc.) affrontate di seguito.


=== 1 ===

Oggetto: su Conferenza stampa foibe

Data: 05 febbraio 2011 20.51.46 GMT+01.00


Sulla pubblicazione dell’elenco dei viterbesi “infoibati”

Nel 2001, l’Amministrazione comunale di Viterbo aveva intestato un cippo in largo Martiri delle foibe istriane a Carlo Celestini “sacrificato nelle foibe”. Due anni fa abbiamo redatto un comunicato stampa per dimostrare che, in base a documentazione inconfutabile, le circostanze dell’infoibamento non risultassero affatto. Il Comune di Viterbo non ha mai risposto. 
Durante le celebrazione del Giorno del ricordo 2010, però, il consigliere comunale di maggioranza Maurizio Federici aveva parlato di “dodici martiri, nati a Viterbo e provincia, che da alcune ricerche storiche risultano deceduti a seguito di deportazione, fucilazione o infoibamento”. Così avevamo inoltrato all’assessore una lettera per sapere circa i nomi di questi dodici, senza ottenere risposta. 
  Stamattina, con una conferenza stampa tenuta da Federici assieme ad altri esponenti del locale centrodestra, sono stati pubblicati questi nomi che, frattanto, sono diventati diciotto (http://tusciaweb.it/notizie/2011/febbraio/5_23foibe.htm ). Faremo al più presto ricerche a riguardo, in quanto la storiografia, come tutte le scienze, comporta rigore, serietà e scrupolosità che possono venir meno in un semplice scambio di battute.
Tralasciando ora il fatto che nella conferenza stampa, almeno da quanto riportano i giornali, non si sia fatto cenno delle politiche antislave del fascismo, né del martirio cui sono state sottoposte le popolazioni balcaniche occupate dai fascisti (deportazioni e fucilazioni di massa, distruzioni di interi villaggi etc.), veniamo ai dati forniti nell’elenco dei nomi. Nessuno di questi elencati - va da sé tutti soldati - risulta inoppugnabilmente infoibato e, “probabilmente infoibato” non necessariamente significa effettivamente infoibato. Per alcuni si dice esplicitamente che le cause della morte sono ancora in fase di accertamento, per altri si parla di fucilazione o decesso a seguito di internamento, mentre per qualche caso è notizia certa il solo avvenuto decesso, anche a distanza di anni dalla fine del conflitto! In sostanza, è sufficiente la sola circostanza di essere venuti a mancare nei Balcani per essere definiti “infoibati con la sola colpa di essere italiani”. Un infoibamento ormai esteso a tutte le possibili cause di morte. Senza contare che nei Balcani, dopo l’8 settembre 1943, i soldati italiani, a migliaia, sono stati fucilati, deportati nei campi di sterminio o sono deceduti nei campi di prigionia per mano dei nazifascisti. 
Proprio in merito a Celestini, la scheda, sospettosamente breve, riporta soltanto: “CELESTINI Carlo, di Crescenziano, nato a Viterbo nel 1922, scomparso, infoibato nel 1945 a Dyakovo”. Il Comune, in tutta evidenza, non intende rendere pubblica la documentazione su cui si basò l’intestazione del cippo, né motivare a riguardo. In compenso, Federici, parlando delle celebrazione del 10 febbraio, annuncia: “Deporremo un mazzo di fiori al monumento dedicato a Carlo Celestini, un martire delle foibe”. Come dire: alla faccia vostra! 
Fermo restando il rispetto e la pietà che si debbono a tutti i morti, siamo sempre più palesemente dinanzi ad un uso, quantomeno, scorretto delle fonti, privo anche dei più basilari criteri storiografici, sacrificati nel nome di opinioni e convinzioni personali, con l’obiettivo politico di diffamare la lotta partigiana.

Silvio Antonini
Segretario e Portabandiera
Anpi Cp Viterbo 
 


Estratto dal Resoconto del Congresso del Comitato provinciale Anpi di Viterbo: 

Sabato 29 gennaio 2011, presso la sede dell’associazione Viterbo con amore, via Cavour, 97, si è riunito il Congresso del Comitato provinciale (Cp) Anpi di Viterbo, in vista del 15° Congresso nazionale, che si terrà a Torino il 24-27 marzo. Hanno partecipato all’evento oltre trenta persone tra cui molti giovani e giovanissimi che mai si erano avvicinati all’Associazione. (...)
In merito al Giorno del ricordo, il documento del Cn denuncia il fatto che la ricorrenza si sia trasformata in celebrazione “dell’orgoglio fascista”. Come Cp Viterbo affermiamo che l’istituzione di questa ricorrenza sia già di per sé strumentale, poiché finalizzata a denigrare l‘Antifascismo, la lotta partigiana e le popolazioni slave: siamo l’unico paese europeo ad aver fatto assurgere ad evento luttuoso un trattato di pace dopo una guerra che aveva visto l’Italia come aggressore di popoli vicini e, per giunta, sconfitta. Ormai è palese come l’ “operazione foibe” non si basi affatto su criteri storiografici, anche quelli più basilari (abbiamo trattato più volte l’argomento, sia a livello locale sia nazionale), ma su faziosità ideologiche e etniche, un tempo appannaggio dell’estrema destra, divenute istituzionali per ragioni politiche. In base a ciò, chiediamo che il 10 febbraio diventi la Giornata dell’amicizia tra il popolo italiano e quelli balcanici, contro la xenofobia e le guerre.  (...)
Sulle questioni locali: il Cp intende fare una proposta circa la toponomastica del Comune di Viterbo, nello specifico sul largo Martiri delle foibe istriane e sul cippo che vi ricorda Carlo Celestini, viterbese “sacrificato nelle foibe”. Due anni fa siamo intervenuti pubblicamente denunciando il fatto che dalla documentazione dell’Archivio di Stato non risulta affatto che questi sia stato infoibato, chiedendo spiegazioni all’Amministrazione comunale, per un’intestazione fortemente sospetta di arbitrarietà, pure grossolana. Non abbiamo ottenuto risposta alcuna. È altresì inaccettabile, in termini di cifre e verità storica, quanto scritto sulla targa posta nel largo in questione, che riporta di “migliaia di italiani sacrificati con la sola colpa di essere italiani”. Chiediamo, quindi, che quel largo cambi intestazione per essere dedicato ai Viterbesi vittime del fascismo, a partire da quelli assassinati negli anni Venti (Antonio Prosperoni, Tommaso Pesci e Antonio Tavani) su cui si dispone di abbondante quanto inconfutabile documentazione. In questo largo, un cippo potrebbe ricordare proprio Tommaso Pesci, contadino ucciso, senza motivo, con un colpo dritto in faccia sparato da un fascista orvietano, mentre era inerme sull’uscio di casa, in via Lucchi, il 10 luglio 1921 (inaugurazione del gagliardetto fascista). Nel 90° anniversario dei fatti, Viterbo renderebbe omaggio a un suo cittadino, i cui familiari non ottennero giustizia.
Il Congresso ha rappresentato un’occasione per il ridefinire l’assetto del Consiglio direttivo. È riconfermato l’incarico di Presidente a Renato Busich. Con la morte di Rosa Mecarolo, era rimasto vacante l’incarico della Presidenza onoraria, ora affidato a Nello Marignoli, Partigiano viterbese combattente in Jugoslavia, iscritto Anpi dal 1947. Marignoli, assente per motivi di salute, ha ringraziato della nomina per telefono. È stato eletto consigliere Francesco Antonaroli che, ormai da anni attivo per l’Anpi, ha dato prova di serietà e impegno costante. L’iscritto Carlo Boccolini è stato, invece, eletto nel collegio revisori conti. 
Per il resto, è confermato l’organico emerso dal Congresso straordinario del 2009.

Il Direttivo del Comitato provinciale Anpi Viterbo


=== 2 ===


GIORNO DEL RICORDO 2011: A PROPOSITO DI “MARTIRI DELLE FOIBE”

Dopo tanti anni da quando ho iniziato a fare ricerca storica sulle foibe (cioè dal 1995), dopo tutta la documentazione che ho analizzato e tutte le cose che ho pubblicato (e che nessuno storico serio, finora, ha smentito), quando sento ancora parlare di diecimila “infoibati”, di migliaia di “martiri delle foibe”, non so se mi sento più arrabbiata o più demoralizzata. Perché, mi domando, una ricerca storica seria deve venire snobbata, ignorata, vilipesa, mentre si prosegue a parlare a sproposito di certi argomenti, solo per mantenere viva la propaganda anticomunista ed antijugoslava, sostanzialmente per rivalutare il fascismo?
Un esempio per stigmatizzare la situazione di disinformazione storica nella quale ci troviamo. A novembre, su segnalazione del Comitato antifascista e per la memoria storica di Parma, che ha elevato una protesta riguardo all’intitolazione in quella città di una via ai cosiddetti “martiri delle foibe” (termine che per la sua genericità e vaghezza di definizione necessiterebbe di un’analisi di svariate pagine, ma su cui tornerò più avanti), sono andata a vedere il forum di Alicenonlosa (http://www.alicenonlosa.it/aliceforum/) e di fronte a tanta (peraltro spocchiosa e saccente) ignoranza relativamente ai fatti storici di cui si pretende di parlare, mi sono davvero cadute le braccia.
Leggere di “almeno diecimila” infoibati, di “compagni del CLN” gettati nelle foibe, di paragoni tra Tito e Pol Pot, così come insulti al presidente Pertini, e citazioni fuori tema su Goli Otok (che fu campo di prigionia, orribile fin che si vuole, ma destinato ad oppositori interni e non c’entra per niente con le “foibe”), il tutto per rispondere all’equilibrata e documentata presa di posizione del Comitato antifascista e per la memoria storica mi ha fatto riflettere sul senso che ha cercare di fare ricerca storica circostanziata se poi quello che continua ad essere diffuso sono stereotipi di falsità e propaganda.
Uno dei vari anonimi polemisti, quello che cita i “compagni del CLN” infoibati, dopo avere parlato di “diecimila” vittime, fa i seguenti nomi: Norma Cossetto, i sacerdoti don Bonifacio e don Tarticchio, le tre sorelle Radecchi, i tre componenti della famiglia Adam. Nove persone. Punto. Dove don Tarticchio, Norma Cossetto e le tre sorelle Radecchi furono uccisi nel settembre 1943 in tre distinte località dell’Istria nel corso del conflitto; don Bonifacio scomparve nel 1946 e non si sa che fine abbia fatto, ma visto che è scomparso nel nulla, dice la propaganda, ovviamente è stato “infoibato”; la famiglia Adam, di Fiume, che faceva parte del CLN filo italiano che nell’estate del 1945, quando Fiume era passata sotto sovranità jugoslava operava per riannettere la città all’Italia, in barba a tutti gli accordi tra Alleati, fu arrestata appunto per questa attività eversiva, e non vi è prova che qualcuno dei tre sia stato “infoibato”.
Ed i “compagni” del CLN di cui parla l’Anonimo (diamogli una dignità di nome proprio con un’iniziale maiuscola) chi sarebbero? Non certo coloro (una ventina) che furono arrestati durante l’amministrazione jugoslava di Trieste perché organizzavano attentati dinamitardi contro l’autorità esistente, che amministrava Trieste in quanto potenza alleata; né i tre membri del CLN arrestati per essersi appropriati dei fondi della Marina militare della RSI pur di non lasciarli in mano agli jugoslavi, due dei quali furono rilasciati un paio di anni dopo, mentre il terzo, già malato al momento dell’arresto, morì in prigionia un anno dopo.
Si possono poi considerare “martiri” i membri dell’Ispettorato Speciale di PS che furono arrestati e condannati a morte dal tribunale di Lubiana, perché colpevoli di essersi macchiati di azioni criminali, come Alessio Mignacca, che picchiò una donna arrestata fino a farla abortire, ed uccise almeno tre persone che cercavano di sfuggire all’arresto, sparando contro di loro?
Si potrebbe continuare a lungo con questi esempi, ma il discorso da fare è, a mio parere, un altro, e ritorno sulla questione della definizione “martiri delle foibe”. Innanzitutto la maggior parte di coloro che vengono così indicati non furono veramente uccisi e poi gettati in una foiba: in parte si tratta di prigionieri di guerra morti durante la detenzione (così come accadde in altri campi di detenzione gestiti dagli Alleati, ad esempio in Africa), in parte di arrestati perché accusati di crimini di guerra o di violenze contro i prigionieri (vedi il caso di Mignacca sopra citato, ma anche quello di Vincenzo Serrentino, giudice del Tribunale speciale per la Dalmazia, che mandò a morte moltissimi innocenti) e condannati a morte dopo un processo. Coloro che finirono nelle foibe furono per lo più vittime di regolamenti di conti o di vendette personali, così come Norma Cossetto, così come don Tarticchio, sul quale gravava il sospetto che fosse un informatore dell’Ovra.
Intitolare strade a generici “martiri delle foibe” significa non rendere giustizia a nessuno, tantomeno alle vittime innocenti, serve solo ad eternare la polemica sulla “ferocia slava” che voleva operare una pulizia etnica contro gli italiani nella Venezia Giulia (teoria nazionalfascista che nessuno storico degno di questo nome ha mai avallato). 
L’analisi di cui sopra è stata inviata, sempre a novembre 2010, al Comitato antifascista e per la memoria storica di Parma, quale contributo di solidarietà al loro lavoro di informazione per la conoscenza della storia. Non so se l’intervento è stato pubblicato da qualche testata parmense, ma ritengo ora, a ridosso del Giorno del ricordo del 10 febbraio, di diffonderlo più ampiamente, in vista di quanto verrà detto e scritto sull’argomento.

Claudia Cernigoi 
gennaio 2011


=== 3 ===

Menzogne di regime


Fra pochi minuti (o forse è già in onda) Rai Uno trasmetterà un bello specialone sulle foibe [*]. Chissà come saranno contenti i destri che avranno modo di sbandierare l'odio comunista antitaliano.

Oggi la figura centrale della puntata sarà Norma Cossetto una giovane studentessa italiana uccisa, violentata e infoibata dai partigiani titini.

O almemo così dicono...

Chi era davvero Norma Cossetto? Era figlia di Giuseppe Cossetto dirgente del Partito Nazionale Fascista, membro della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, podesta di Visinaga e commissario del Fascio. Insomma una fascista ben inserito. Norma non era da meno: all'Università di Padova si era iscritta ai Gruppi Univesitari Fascisti, insomma in tutto e per tutto una fascista.

Quando gli storici parlano dell'odio antitaliano scatenato dai titini dopo l'8 settembre 1942 omettono di ricordare che la Jugoslavia veniva da anni di dominazione fascista, dallo stupro etnico della sue terre, dall'oppressione e dalla guerra.

Gli infoibati che ci furono in quel periodo non veniva uccisi in quanto italiani, ma in quanto "fascisti". Non a casao andarono a riempire le foibe carabieri, finanzieri e polizioti in genere, preti collaborazionisti e tutti coloro che avevano collaborato con il regime fascista. E naturalemente i fascisti come Norma e suo padre.

Fin qui quindi non ci sarebbe nulla di strano: sarebbe un veneto tremendo e doloroso ma giustificato dalla complessa fase bellica.

Molto più infamante e l'accusa dello stupro e della sevizie. Si dice che Norma fu violentata per più giorni e che prima di ucciderla e di gettarla nella foiba le abbiamo pugnalato i seni e conficcato un pezzo di legno nella vagina.

Però...c'è sempre un però...

Se leggete con attenzione la pagina che Wikipedia le dedica (http://it.wikipedia.org/wiki/Norma_Cossetto) noterete che questa versione fa acqua da tutte le parti.

Si dice che Norma venne violentata: di fatto non c'è nessuna testimonianza certa che avvalori questa ipotesi se non quella di una "signora di Antignana" rimasta anonima che abitando vicino alla scuola del paese trasformata in base partigiana avrebbe sentito le urla e l'agonia di Norma. Una signora rimasta per altro sempre anonima.

Le sevizie: quando Norma venne recuperata aveva "aveva ambedue i seni pugnalati ed altre parti del corpo sfregiate".  Qualche versione aggiunge che avesse un pezzo di legno conficcato nella vagina.

Ma ecco cosa dice la sorella Licia Cossetto del 10 dicembre 1943 giorno del ritrovamento:

"Ancora adesso la notte ho gli incubi, al ricordo di come l'abbiamo trovata: mani legate dietro alla schiena, tutto aperto sul seno il golfino di lana tirolese comperatoci da papà la volta che ci aveva portate sulle Dolomiti, tutti i vestiti tirati sopra all'addome.... Solo il viso mi sembrava abbastanza sereno. Ho cercato di guardare se aveva dei colpi di arma da fuoco, ma non aveva niente; sono convinta che l'abbiano gettata giù ancora viva". Nessun segno sul corpo.

Frediano Sessi ribadisce: "Frediano Sessi, Foibe rosse. Vita di Norma Cossetto uccisa in Istria nel '43, Gli specchi di Marsilio, 2007, pag 128: "un volo nel vuoto di oltre centotrentacinque metri, che tutti furono costretti a compiere da vivi. Sui loro corpi, in seguito, non si trovò traccia di fori di pallottole o di ferite da taglio mortali." 

A dare retta a queste versioni quindi Norma fu gettata viva nelle foibe ma non fu nè violentata nè tanto meno seviziata. Ma Arrigo Petacco scrive "L'esodo, Edizioni Mondadori, 1999, pag 61:"prima di precipitarla nella voragine, i giustizieri vollero ancora approfittare di lei. E dopo avere infierito su quel povero corpo ormaiinanimato, le recisero i seni e le conficcarono un legno nei genitali".

Dunque Norma era mortao viva al momento che fu gettata nella foiba? E perchè Pettacco ritorna sulle storia delle sevizie se Licia Cossetto e Frediano Sessi dicono che non c'erano segni?

A quanto pare anche la storia di Norma gettata viva nella foiba fa acqua.

Insomma, troppe incongruenze, troppe contraddizioni. L'unica cosa certa è che Norma venne giustiziata in quanto fascista dai partigiani.

Nulla di più e nulla di meno.

Inutile fare di lei una santa.


Francesco Guastarazze

[*] E' possibile vedere online lo Speciale Tg1 trasmesso da RaiUno domenica 6 febbraio, condotto da Monica Maggioni e dedicato al Giorno del ricordo, a questo link:
(parte sinistra della pagina che si apre).


(italiano / deutsch / english)

Da: peter_betscher @ freenet.de

Oggetto: A Vienna!

Data: 02 febbraio 2011 22.31.07 GMT+01.00


Carissimi,

l'11 marzo 2011 cade per la quinta volta l'anniversario della morte di Slobodan Milosevic. 
Per chiarire le circostanze della sua morte è stata avviata esclusivamente una "indagine interna" del Tribunale dell'Aia (ICTY), che nel cosiddetto "Rapporto Parker" scagiona l'ICTY ed attribuisce allo stesso presidente Milosevic la colpa della sua morte.
A Slobodan Milosevic non è stata solamente negata l'assistenza sanitaria adeguata che egli aveva ripetutamente reclamato, ma nemmeno le cause della sua morte sono state investigate in maniera trasparente e imparziale. Il confronto legale richiesto dalla vedova Mira Markovic e dall'ICDSM (*) per la chiarificazione delle circostanze della morte viene fortemente ostacolato attraverso ritardi e comportamenti incompetenti.

Su tutto questo, in occasione del quinto anniversario della morte, non possiamo tacere! Si tratta di individuare finalmente i responsabili per la morte del presidente Milosevic! Chiediamo la chiusura del Tribunale illegale e reclamiamo una consequenziale difesa del diritto internazionale!

In questo senso noi facciamo appello a partecipare a una azione internazionale di protesta a Vienna!

Venerdi 11 marzo 2011 verrà dapprima consegnata, al mattino, una nota di protesta alla rappresentanza delle Nazioni Unite a Vienna.
Di seguito, dalle ore 16:30 alle ore 19:00, sulla Stephansplatz nel centro di Vienna si terrà il presidio "Serbia: guerra della NATO e giustizia dei vincitori - difendere il diritto internazionale!" Oratori di vari paesi si alterneranno al microfono. Christopher Black, in qualità di avvocato della vedova, riferirà sullo scandalo riguardante la chiarificazione delle circostanze della morte di Slobodan Milosevic. Oltre al caso Milosevic si esporrà il comportamento criminoso  dei Tribunali voluti dalla NATO. Familiari e avvocati di altri imputati dell'ICTY sono invitati ad intervenire. Si parlerà anche della disastrosa situazione politica e sociale della Serbia post-Milosevic, dominata da UE e USA.

Il sabato 12 marzo 2011 tutti sono invitati ad una conferenza, che avrà inizio attorno alle ore 18:00, a proposito degli stessi temi. Il luogo e la lista dei relatori verranno comunicati in seguito.

Segnaliamo che per le nostre attività non è più utilizzato il Conto intestato al Verein für kulturelle Selbstbestimmung presso la banca Sparkasse Starkenburg, poiché di nuovo abbiamo potuto aprire un Conto dedicato. Le nuove coordinate per la Germania e i paesi UE sono le seguenti:

Vereinigung für Internationale Solidarität (VIS) e.V. 
banca: Sparkasse KölnBonn
numero conto: 1929920104
numero banca: 370 501 98
causale: Aufklärung 

Per i sottoscrittori dai paesi della UE:
BIC (SWIFT): COLSDE33
IBAN: DE74 3705 0198 1929 9201 04 

Facciamo affidamento sulle sottoscrizioni. Solamente così può proseguire il lavoro giuridico sulle circostanze della morte di Slobodan Milosevic. Anche per imprimere alla iniziativa di Vienna la forza necessaria, abbiamo bisogno di sostegno. Si dovranno sostenere costi per l'organizzazione e per il viaggio dei relatori internazionali. Peraltro a Vienna si deve trattare anche di altri casi del Tribunale dell'Aia. In particolare, i famigliari degli accusati non possono permettersi di sostenere le spese di viaggio per Vienna. Eppure riteniamo sia importante che si possa dare ascolto anche alla loro voce.

Ogni versamento è un contributo alla difesa del diritto internazionale!

Come sempre, la diffusione di questo annuncio è benvenuta!

Saluti fraterni,

Peter Betscher 
Unione per la Solidarietà Internazionale (VIS e.V.)

Cathrin Schütz
Comitato Internazionale Slobodan Milosevic – Sovranità nazionale e giustizia sociale

---

(*) Comitato Internazionale per la Difesa di Slobodan Milosevic

Altre informazioni utili:

volantino / flyer:

altri relatori annunciati a Vienna: 
Klaus Hartmann (Germania), Vladimir Krsljanin (Serbia)

contatti:
Vladimir Krsljanin (auroraplan @ gmail.com +381 62 423 915 - english, srpski)
and Cathrin Schuetz (cschuetz1 @ aol.com +49 1788 656 159 - english, deutsch)

siti internet del Comitato Internazionale Slobodan Milosevic: 

informazioni sull'assassinio di Milosevic nella galera dell'Aia:

archivio Milosevic:


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INTERNATIONAL COMMITTEE "SLOBODAN MILOSEVIC"
****************************************************************************
National Sovereignty and Social Justice               www.icdsm.info
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                Sofia * New York * Moscow * Belgrade
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Co-Chairmen: Velko Valkanov, Ramsey Clark, Sergei Baburin
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F i r s t   A n n o u n c e m e n t

PEOPLE AGAINST THE US/UK/NATO TRIBUNALS
5th ANNIVERSARY OF MURDER OF PRESIDENT MILOSEVIC

Vienna, 11 March 2011
Delivery of a protest note to UN; Press conference; Rally at
Stefansplatz; Panel discussion (12 March)


Dear ICDSM members and supporters, friends,

to commemorate the tragic and scandalous death of President Slobodan
Milosevic 5 years ago, we invite you to participate in the
international protest in Vienna on March 11, 2011.

President of Serbia and Yugoslavia Slobodan Milosevic died in his cell
before the end of the trial, after the tribunal declined the Russian
state guarantees and prevented President Milosevic to get necessary
medical treatment in Moscow. President of Republika Srpska Radovan
Karadzic is on trial now. Leader of Serbian patriotic opposition
Vojislav Seselj is eight years in detention in endless proceedings
with no outcome. President of Republika Srpska Krajina Milan Martic is
convicted on 35 years, serving his sentence in Estonia. They are all,
together with other 90 processed Serbs, subject of political, judicial
and medical manipulation in a body, formally linked to UN, but being
in fact an uncontrolled tool of imperialist aggression and crime. The
Hague tribunal took 16 Serbian lives already. At the same time, this
tribunal ignores or whitewashes crimes of NATO and the most horrible
terrorist acts, war crimes and drugs, arms and human organs
trafficking by the NATO proxies. People of Serbia and peoples of the
world should rise against imperial ad hoc tribunals and their
derivatives – “special courts" in Sarajevo, Zagreb and Belgrade.

A protest rally will take place in the center of Vienna in the
afternoon. Several speakers will appear, including Christopher Black
(Canada), Klaus Hartmann (Germany) and Vladimir Krsljanin (Serbia).
The list of speakers has not been concluded yet. A delegation will
deliver a protest note to the United Nations Vienna Office in the
morning of March 11. Our demands will also be presented at a press
conference.

On 12 March, we plan a ICDSM meeting around noon and the last of
public events – a panel discussion in the evening. It will focus not
only on President Milosevic, but shall include the Karadzic and Seselj
cases, the Kosovo decision of the ICJ, the Kosovo Albanian narco-mafia
issue and the role of the UCK and the present situation in former
Yugoslavia.

We invite all ICDSM members, all freedom and justice loving people and
their organizations, all Serbs, including families of the Hague
victims to support us and to join us in the dignified and peaceful
protest in Vienna on 11 March. We also call upon organization of
similar actions and delivery of protest letters to UN offices
worldwide. The precise time schedule of our Vienna events will be
communicated to you in our Second Announcement. To those coming from
other countries, we advice to plan staying in Vienna from 10-13 March.
Please inform us about your plans in advance.

On behalf of ICDSM Secretariat: 
Vladimir Krsljanin (auroraplan @ gmail.com +381 62 423 915)
and Cathrin Schuetz (cschuetz1 @ aol.com +49 1788 656 159)


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Da: peter_betscher @ freenet.de

Oggetto: Auf nach Wien!

Data: 02 febbraio 2011 22.31.07 GMT+01.00


Liebe Leute,

am 11. März 2011 jährt sich der Todestag von Slobodan Milosevic zum 
fünften Mal.
Zur Klärung seiner Todesumstände wurde lediglich ein 
„interner Untersuchungsausschuss“ des Haager Tribunals (ICTY) 
eingesetzt, der im sogenannten „Parker-Report“ das ICTY entlastet 
und Präsident Milosevic die Schuld an seinem Tod zuschreibt. 
Slobodan Milosevic wurde nicht nur die adäquate medizinische 
Versorgung verwehrt, die er wiederholt beantragte, sondern auch die 
Ursache seines Todes wurde nicht transparent und unparteiisch 
untersucht. Die von der Witwe Mira Markovic und dem ICDSM angestrebte 
juristische Auseinandersetzung zur Aufklärung der Todesumstände wird 
durch Verzögerungen und Unzuständigkeiten erheblich behindert. 

Dazu dürfen wir angesichts des 5.Todestags nicht schweigen! Es gilt, 
die Verantwortlichen für den Tod von Präsident Milosevic endlich 
ausfindig zu machen! Wir fordern die Schließung des illegalen Tribunals 
und treten ein für die konsequente Verteidigung des Völkerrechts! 

In diesem Sinne rufen wir dazu auf, an einer internationalen 
Protestaktion in Wien teilzunehmen!

Am Freitag, den 11. März 2011 wird zunächst am Vormittag der 
Vertretung  der Vereinten Nationen in Wien eine Protestnote überreicht. 
Anschließend findet von 16.30 Uhr bis 19.00 Uhr auf dem Stephansplatz 
in der Wiener Innenstadt die Kundgebung „Serbien: NATO-Krieg und 
Siegerjustiz – das Völkerrecht verteidigen!“ statt. Internationale 
Redner werden auftreten. Christopher Black wird als Anwalt der Witwe 
vom Skandal um die Aufklärung der Todesstände von Slobodan Milosevic 
berichten. Über den Milosevic-Fall hinaus wird das verbrecherische 
Handeln der NATO-gesteuerten Tribunale dargelegt. Angehörige und 
Rechtsanwälte anderer vor dem ICTY Angeklagter sind eingeladen, einen 
Redebeitrag zu halten. Auch die desaströse politische und soziale Lage 
im von der EU und den USA  dominierten Serbien nach Milosevic wird
thematisiert werden.

Am Samstag, den 12. März 2011 laden wir dann um voraussichtlich 18:00 
zu einer Vortragsveranstaltung zum gleichen Themenkomplex ein. 
Den Ort und die Rednerliste werden wir noch bekannt geben. 

Bitte beachtet, dass wir nicht mehr das Konto beim Verein für 
kulturelle Selbstbestimmung bei der Sparkasse Starkenburg benutzen, 
da wir wieder ein eigenes Konto eröffnen konnten. Die neuen 
Kontoangaben für Deutschland und EU-Länder lauten: 

Vereinigung für Internationale
Solidarität (VIS) e.V. 
Sparkasse KölnBonn
Kto: 1929920104
BLZ: 370 501 98
Kennwort: Aufklärung 

Für Spender aus EU-Mitgliedsländern:
BIC (SWIFT): COLSDE33
IBAN: DE74 3705 0198 1929 9201 04 

Auf Spenden sind wir angewiesen. Nur so kann die juristische 
Aufklärung der Todesumstände von Slobodan Milosevic weitergehen. 
Auch um der Aktion in Wien die notwendige Schlagkraft zu verleihen 
sind wir auf Unterstützung angewiesen. Es werden Kosten für die 
Organisation und Reisekosten für internationale Redner anfallen. 
Darüber hinaus soll in Wien auch über andere Fälle am Haager 
Tribunal berichtet werden. Vor allem Angehörige von Angeklagten 
können sich die Reisekosten nach Wien nicht leisten. Wir finden es 
jedoch wichtig, dass auch ihnen endlich Gehör verschafft wird.

Jede Spende ist ein Beitrag zur
Verteidigung des Völkerrechts!

Weiterverbreitung wie immer erwünscht!

Mit solidarischen Grüßen

Peter Betscher 
Vereinigung für Internationale
Solidariät (VIS) e.V.

Cathrin Schütz
Internationales Komitee Slobodan Milosevic – 
Nationale Souveränität und Soziale Gerechtigkeit

www.free-slobo.de





Parma 10-12-13 febbraio 2011

iniziative sul "Giorno del Ricordo"


Giovedì 10 febbraio dalle 17
presidio in piazzale della Pace attorno al monumento al Partigiano

Sabato 12 febbraio pomeriggio dalle 16.30
al cinema 'Astra' (p.le Volta)
sesta edizione della manifestazione antifascista 'Foibe e fascismo'
- relazioni di Umberto Lorenzoni, partigiano e presidente dell'A.N.P.I. di Treviso, e Vladimir Kapuralin, resp. Relazioni Internaz. del SRP di Croazia
- filmato sul campo di concentramento fascista di Gonars (Udine)

Domenica 13 febbraio alle 11
presidio nel largo dedicato a Tito, simbolo della Resistenza jugoslava


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Lecce 10 febbraio 2011

ore 18, presso Società Operaia, C.so Vittorio Emanuele 56

Il Giorno del Ricordo per la Pace tra i popoli

introduzione: M. Nocera (segr. prov. ANPI)
A. Isoni: "Memoria e ricordo nell'esperienza costituzionale italiana"
M. Delle Rose: "Sull'uso politico della questione delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata"
F. Primiceri: "Il Vaticano e la dittatura ustascia in Croazia, 1941-1945"


scarica la locandinahttps://www.cnj.it/INIZIATIVE/volantini/lecce100211.pdf




Greater Albania: NATO's Dirty Work in the Balkans

1) NEWS:
- Balkans: 'Most Kosovo Albanians favour unification with Albania' 
- Report reignites Kosovo organ trafficking claim 
- NATO saw Kosovo's Thaci as "big fish" in crime
- Report identifies Hashim Thaci as 'big fish' in organised crime
- NATO troops ‘should have probed organ claims in Kosovo’
- “Shot-down pilot” Hashim Thaci
- Daily: Marty requests answers from EULEX 

2) Kosovo and Albania: Dirty Work in the Balkans: NATO’s KLA Frankenstein
By Tom Burghardt (Global Research / Antifascist Calling)


=== 1 ===

http://www.adnkronos.com/AKI/English/Politics/?id=3.1.1274057015

ADN Kronos International - January 18, 2011

Balkans: 'Most Kosovo Albanians favour unification with Albania' 

Belgrade: An an overwhelming majority of Kosovo Albanians - 81 percent - favour unification with neighbouring Albania, according to an international survey published on Thursday.
A total of 48.8 per cent of Albanians in Kosovo and 41.8 in Macedonia believe unification could take place soon. 
In Albania, support for unification has fallen to 62.8 pe cent from 68 percent last year.
The survey findings came less than three years after Kosovo's ethnic Albanian majority declared independence from Serbia. 
The survey, conducted by Gallup Balkan Monitor, also showed that 51.9 percent of ethnic Albanians in Macedonia favoured unification within a so-called “Greater Albania” that would also contain Kosovo and Albania. 
Ethnic Albanians make 25 percent of Macedonia’s two million population and enjoy considerable autonomy in the western part of the country, bordering Albania. 
Kosovo's approximately two million Albanians make up 90 percent of the population, which comprises just 100,000 remaining Serbs.
Majority Albanians declared independence in February 2008, with the support of western powers, on the condition that Kosovo can’t form a union with any other country.
Serbia opposes Kosovo independence and 71.2 percent of Serbs would rather forsake European Union membership than renounce Kosovo, according to the survey. 

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http://www.bbc.co.uk/news/world-europe-12269829

BBC News - January 24, 2011

Report reignites Kosovo organ trafficking claim 

By Mark Lowen


Silvana Marinkovic clasps the faded photograph of her husband, Goran; the contours of his face now barely visible. 
"He was 26 here," she says. "19 June 1999. The last time I saw him before he was taken."
For over a decade Ms Marinkovic has come twice weekly to a cramped office near the Kosovan capital Pristina.
There, she and other relatives of Kosovan Serbs who disappeared after the war discuss the hunt for their loved ones.
Almost 2,000 ethnic Serbs and Albanians are still missing from the conflict in Kosovo.
"He was kidnapped," she tells me. "It's so hard to think of it. I don't know where he was taken, but I still pray I'll find him alive."
The fate of some lay a few hours' drive away, according to the human rights watchdog, the Council of Europe.
Its rapporteur, the Swiss senator Dick Marty, published a report last month, alleging that members of the ethnic Albanian separatist group, the Kosovo Liberation Army (KLA), took prisoners to detention camps in Albania in the months following the war against the Serbs.

'Yellow house'

In a makeshift clinic in the town of Fushe-Kruje, near the Albanian capital, some are said to have been killed and their organs removed to be sold on the international market.
On Tuesday, the Parliamentary Assembly of the Council of Europe will debate the findings and vote on a resolution based on the draft report.
That could prompt calls for a fresh investigation.
Allegations of organ trafficking from the Kosovan war have been present for some years.
They previously centred on a building nicknamed the "yellow house" near the Albanian town of Burrel, where kidneys of captured Serbs were said to have been removed.
But after successive investigations ended without prosecutions, many believed the case would be dropped.
Now the Marty report has reawakened those claims, focusing for the first time on Fushe-Kruje.
The building mentioned in the report is described, though its exact location not disclosed.
I travelled to a crumbling house near the town that matches the description. 
Local media say it could be the building mentioned since Kosovan Albanian refugees lived here during the war.
Hidden up a stony track, the deserted shell is choked by thick brambles. The window frames are empty, doors removed and even the light fittings ripped out. Old shoes and empty bottles are strewn across the rotting floors.
There is nothing to suggest that it housed an operational organ clinic, but then it is totally derelict.
....
The Marty report claims that witnesses were silenced and paid off by members of the Drenica Group, a faction within the KLA, whose members allegedly carried out the organ trafficking, as well as heroin smuggling and assassinations.
Its leader is named as Hashim Thaci: then the KLA's political chief, now Kosovo's Prime Minister, described by intelligence sources as being "the most dangerous of the KLA's 'criminal bosses'". 
Mr Thaci was backed by western powers from the late 1990s, through Nato's bombing campaign to support the KLA and drive the Serbs out of Kosovo.
That support is heavily criticised in the report as fostering a one-sided view of the conflict, with Serbs seen as the aggressors and Kosovan Albanians as the victims. 
....
Just outside Pristina lies a gated cemetery to fallen members of the KLA, with each grave decorated by an Albanian flag.
Across Kosovo, the men are seen as heroes of the liberation struggle, martyrs for the Albanian cause.
But an uncomfortable light has now been shone of the other side of that fight and on what may have happened back in 1999 in the KLA's name.

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http://in.reuters.com/article/idINIndia-54376220110125

Reuters - January 24, 2011

NATO saw Kosovo's Thaci as "big fish" in crime

LONDON: Western powers backing Kosovo's government considered its prime minister one of the country's "biggest fish" in organised crime, Britain's Guardian newspaper reported on Tuesday, citing leaked NATO military cables.
The newspaper said the documents, produced by NATO's peace-keeping force in Kosovo, also described Xhavit Haliti, a senior ruling politician and a close ally of Hashim Thaci, as having links to the Albanian mafia.
The newspaper quoted a Kosovo government spokesman as dismissing the allegations in the leaked documents.
"These are allegations that have circulated for over a decade... They are based on hearsay and intentional false Serbian intelligence," the spokesman said.
In the military reports, produced "around 2004," Haliti is described as "the power behind Hashim Thaci" and "highly involved in prostitution, weapons and drugs smuggling."
The newspaper did not say how the secret military cables had been leaked. Its report did not elaborate in detail on accusations against Thaci contained in the cables.
Allegations of Thaci's involvement in organised crime were contained in a report published last month by Dick Marty, a Council of Europe rapporteur.
The report by Marty, a Swiss senator, alleged that Thaci ran an organised crime ring during and after the Kosovo Albanian guerrilla war for independence from Serbia in the late 1990s.
Marty said Thaci's group killed opponents and trafficked in drugs and organs taken from murdered Serbs. The Kosovo government rejected that report as baseless and "slanderous."

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http://www.guardian.co.uk/world/2011/jan/24/hashim-thaci-kosovo-organised-crime

The Guardian - January 24, 2011

Report identifies Hashim Thaci as 'big fish' in organised crime
Kosovo's prime minister accused of criminal connections in secret Nato documents leaked to the Guardian

Paul Lewis

Kosovo's prime minister, Hashim Thaçi, has been identified as one of the "biggest fish" in organised crime in his country, according to western military intelligence reports leaked to the Guardian.
The Nato documents, which are marked "Secret", indicate that the US and other western powers backing Kosovo's government have had extensive knowledge of its criminal connections for several years.
They also identify another senior ruling politician in Kosovo as having links to the Albanian mafia, stating that he exerts considerable control over Thaçi, a former guerrilla leader.
Marked "USA KFOR", they provide detailed information about organised criminal networks in Kosovo based on reports by western intelligence agencies and informants. The geographical spread of Kosovo's criminal gangs is set out, alongside details of alleged familial and business links.
The Council of Europe is tomorrow expected to formally demand an investigation into claims that Thaçi was the head of a "mafia-like" network responsible for smuggling weapons, drugs and human organs during and after the 1998-99 Kosovo war.
The organ trafficking allegations were contained in an official inquiry published last month by the human rights rapporteur Dick Marty.
His report accused Thaçi and several other senior figures who operated in the Kosovo Liberation Army (KLA) of links to organised crime, prompting a major diplomatic crisis when it was leaked to the Guardian last month.
The report also named Thaçi as having exerted "violent control" over the heroin trade, and appeared to confirm concerns that after the conflict with Serbia ended, his inner circle oversaw a gang that murdered Serb captives to sell their kidneys on the black market.
The Council's of Europe's parliamentary assembly in Strasbourg will debate Marty's findings and vote on a resolution calling for criminal investigations. The vote is widely expected to be passed.
Kosovo functioned as a UN protectorate from the end of the Kosovo war until 2008, when it formally declared independence from Serbia.
Thaçi, who was re-elected prime minister last month, has been strongly backed by Nato powers. His government has dismissed the Marty report as part of a Serbian and Russian conspiracy to destabilise the fledgling state.
However, the latest leaked documents were produced by KFOR, the Nato-led peacekeeping force responsible for security in Kosovo. It was KFOR military forces that intervened in the Kosovo war in 1999, helping to put an end to a campaign of ethnic cleansing by Slobodan Milosevic's Serbian forces.
Nato said in a statement tonight that it had instigated an "internal investigation" into the leaked documents, which are intelligence assessments produced around 2004, shortly before tensions with ethnic Serbs fuelled riots in Kosovo.
In the documents, Thaçi is identified as one of a triumvirate of "biggest fish" in organised criminal circles. So too is Xhavit Haliti, a former head of logistics for the KLA who is now a close ally of the prime minister and a senior parliamentarian in his ruling PDK party. Haliti is expected to be among Kosovo's official delegation to Strasbourg tomorrow and has played a leading role in seeking to undermine the Marty report in public.
However, the Nato intelligence reports suggest that behind his role as a prominent politician, Haliti is also a senior organised criminal who carries a Czech 9mm pistol and holds considerable sway over the prime minister.
Describing him as "the power behind Hashim Thaçi", one report states that Haliti has strong ties with the Albanian mafia and Kosovo's secret service, known as KShiK. It suggests that Haliti "more or less ran" a fund for the Kosovo war in the late 1990s, profiting from the fund personally before the money dried up. "As a result, Haliti turned to organised crime on a grand scale," the reports state.
They state that he is "highly involved in prostitution, weapons and drugs smuggling" and used a hotel in the capital, Pristina, as an operational base. Haliti also serves as a political and financial adviser to the prime minister but, according to the documents, is arguably "the real boss" in the relationship. Haliti uses a fake passport to travel abroad because he is black-listed in several countries, including the US, one report states.
Haliti is linked to the alleged intimidation of political opponents in Kosovo and two suspected murders dating back to the late 1990s, when KLA infighting is said to have resulted in numerous killings.
One was a political adversary who was found "dead by the Kosovo border", apparently following a dispute with Haliti. A description of the other suspected murder – of a young journalist in Tirana, the Albanian capital – also contains a reference to the prime minister by name, but does not ascribe blame.
Citing US and Nato intelligence, the entry states Haliti is "linked" the grisly murder, going on to state: "Ali Uka, a reporter in Tirana, who supported the independence movement but criticised it in print. Uka was brutally disfigured with a bottle and screwdriver in 1997. His roommate at the time was Hashim Thaçi."
Haliti is also named in the report by Marty, which is understood to have drawn on Nato intelligence assessments along with reports from the FBI and MI5.
Marty's report includes Haliti among a list of close allies of Thaçi said to have ordered – and in some cases personally overseen – "assassinations, detentions, beatings and interrogations" during and immediately after the war.
Haliti was unavailable for comment. However, in an interview with the media outlet Balkan Insight last week he dismissed the Marty report as "political" and designed to "discredit the KLA". "I was not surprised by the report. I have followed this issue for years and the content of the report is political," he said.
But he accepted that the Council of Europe was likely to pass a resolution triggering investigations by the EU-backed justice mission in the country, known as EULEX.
"I think it's a competent investigating body," he said, "It's a European investigation body. I think that there is no possibility that EULEX investigation unit to be affected by Kosovo or Albanian politics."
Responding to the allegations in the NATO intelligence reports tonight, a Kosovo government spokesman said: "These are allegations that have circulated for over a decade, most recently recycled in the Dick Marty report. They are based on hearsay and intentional false Serbian intelligence.
"Nevertheless, the prime minister has called for an investigation by EULEX and has repeatedly pledged his full cooperation to law enforcement authorities on these scandalous and slanderous allegations.
"The government of Kosovo continues to support the strengthening of the rule of law in Kosovo, and we look forward to the cooperation of our international partners in ensuring that criminality has no place in Kosovo's development."

Road to Strasbourg

It has taken more than two years for an inquiry into organ trafficking in Kosovo to reach the Palace of Europe, a grand building in Strasbourg that serves as the headquarters of the Council of Europe.
The formal inquiry into organ trafficking in Kosovo was prompted by revelations by the former chief war crimes prosecutor at The Hague, Carla Del Ponte, who said she had been prevented from properly investigating alleged atrocities committed by the Kosovo Liberation Army.
Her most shocking disclosure – unconfirmed reports the KLA killed captives for their organs – prompted the formal inquiry by human rights rapporteur Dick Marty.
His report, published last month, suggested there was evidence that KLA commanders smuggled captives across the border into Kosovo and harvested the organs of a "handful" of Serbs.
His findings, which will be subject to a parliamentary assembly vote tomorrow, went further, accusing Kosovo's prime minister and several other senior figures of involvement in organised crime over the last decade.

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http://www.euronews.net/2011/01/25/nato-troops-should-have-probed-organ-claims-in-kosovo

euronews - January 25, 2011

Council of Europe
NATO troops ‘should have probed organ claims in Kosovo’

A yellow painted house in northern Albania has become linked with gruesome allegations of atrocities during Kosovo’s struggle for independence in the mid 1990s. It is alleged to be where the organs of murdered Kosovan Serbs were harvested before being sold on.
That is just one of the many allegations made in memoirs by the former war crimes prosecutor at The Hague, Carla del Ponte. Her claims along with others are at the centre of a Council of Europe report pointing the finger of blame at Kosovo’s current prime minister, Hashim Thaci.
It is estimated almost 500 people disappeared in Kosovo after NATO troops arrived to keep the peace in the war torn province.
The report cites evidence that a network of bases was maintained by the Kosovan Liberation Army to keep scores of captives before killing them. It said NATO troops should have investigated.
Several people have been implicated in the racket including Yusuf Sonmez, dubbed the “Frankenstein Turk” by the media. He was arrested but then released due to lack of evidence.
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VIDEO: http://www.euronews.net/2011/01/25/nato-troops-should-have-probed-organ-claims-in-kosovo

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http://english.ruvr.ru/2011/02/01/42383713.html

RT - February 1, 2011

“Shot-down pilot” Hashim Thaci

Timur Blokhin 

The notorious report on human organ trafficking and other atrocities committed by Kosovo’s leadership, which was recently submitted to the PACE by Swiss Senator Dick Marty, is shocking not only as far as its content is concerned. The fact is that two or three years ago it was hard to imagine that information to that effect may ever be proclaimed at such a high level to ultimately result in a large-scale investigation. 
Now we witness the gradual destruction of the black-and-white stereotype saying that the malicious Serbs were burning Albanian corpses in the furnaces of a mining-and-processing factory in the course of the late 90s’ conflict, while Kosovo Albanians were fiercely fighting for liberty and justice. 
Member of the Russian delegation to the PACE Nikolay Shaklein, who attended the discussion of Dick Marty’s report in Strasbourg, says the document reveals an entirely new picture: 
“The facts stated in Dick Marty’s report provide good reason for a searching inquiry. There is no doubt of the Swiss senator’s proficiency and impartiality. Many are obviously displeased with the report - especially those who tried to justify Kosovo Albanians and are now compelled to admit that they were wrong. 
"It is difficult to guarantee the credibility of the investigation, but we nevertheless hope that the process will involve various international structures, including the International Criminal Tribunal for the Former Yugoslavia, and members of the Council of Europe will be impersonal and accurate when responding to requests of investigation agencies.”
In general, the image of Kosovo’s authorities suffered much damage, Nikolay Shaklein believes.
“The political aftermath of the report is tangible even today. I think this report will find its way into the minds of all those who will set their hands to assess the situation in the Balkans, as well as relations within the region. I believe experts worldwide will less frequently take a unilateral approach to the Balkan issue.”
The main “victim” of Dick Marty’s report is certainly Kosovo Prime Minister Hashim Thaci himself. Extensive evidence shows that the bottom is falling out for him right now. Let’s see what accompanied the PACE session.
US Ambassador to Pristina Christopher Dell said the new Kosovo government should not comprise those convicted or under prosecution. Although the discreet diplomat did not mention the name of the prime minister, the country’s Democratic Party hastened to assure everyone that their leader will retain his post. 
A coincidence or not, Hashim Thaci almost immediately lost one of his pre-election trump cards. The prime minster pledged a nearly 50 percent pay raise for separate categories of citizens at the expense of another loan from the International Monetary Fund. But, according to Kosovo’s Zeri newspaper, Washington, which did not seem to be overwhelmed with enthusiasm over this decision, will probably allocate no funds this time. Thus, instead of the promised wage increase, the voters may face a hole in the budget, given Kosovo’s total dependence on foreign investments.
Europe is ready to welcome Hashim Thaci in the capacity of a criminal defendant, but all will depend on how influential the Kosovo prime minister’s patrons are, director of the Contemporary Balkan Crisis Studying Center Yelena Guskova said.
“The US has to adjust to the situation. It is interested in the enclave’s worldwide recognition, as well as the Bondsteel military base’s steady position and the region’s ongoing weapon and drug trafficking. Washington is not going to hold onto Hashim Thaci and will most probably agree to some changes on the Kosovo political Olympus and in the structure, provided that most of the international institutions recognize the region’s independence.”

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http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2011&mm=02&dd=05&nav_id=72549

Politika - February 5, 2011

Daily: Marty requests answers from EULEX 

BELGRADE: Council of Europe Rapporteur Dick Marty has requested answers regarding preliminary investigation into organ trafficking from EULEX, daily Politika writes. 
“EULEX has a legal basis for the investigation, it is party based on the old and partly on new laws in Kosovo. A EULEX investigator was in Albania and he was told there that they would cooperate in the investigation,” daily’s source said. 
EULEX Spokeswoman Irina Gudeljević stressed that EULEX had already investigated the alleged crimes outside Kosovo. 
“An indictment has been confirmed for possible abuse of persons who were kept in KLA (Kosovo Liberation Army) facilities in northern Albania during conflict from 1998 until 1999 which was investigated and raised by EULEX prosecutors. Sabit Geci and Riza Alija are awaiting trial for alleged crimes committed in KLA facilities in Kukes and Cahan,” she told the daily. 
Ministry for Kosovo State Secretary Oliver Ivanović claims that EULEX cannot conduct the investigation in Albania and says that Geci and Alija are investigated for crimes that were committed in Kosovo.  


Kosovo and Albania: Dirty Work in the Balkans: NATO’s KLA Frankenstein

By Tom Burghardt

Global Research, January 30, 2011
Antfascist Calling - 2011-01-28

The U.S. and German-installed leadership of Kosovo finds itself under siege after the Council of Europe voted Tuesday to endorse a report charging senior members of the Kosovo Liberation Army (KLA) of controlling a brisk trade in human organs, sex slaves and narcotics.

Coming on the heels of a retrial later this year of KLA commander and former Prime Minister, Ramush Haradinaj, by the International Criminal Tribunal for the Former Yugoslavia (ICTY) in The Hague, an enormous can of worms is about to burst open.

Last month, Antifascist Calling reported that Hashim Thaçi, the current Prime Minister of the breakaway Serb province, and other members of the self-styled Drenica Group, were accused by Council of Europe investigators of running a virtual mafia state.

According to Swiss parliamentarian Dick Marty, the Council’s Special Rapporteur for Human Rights, Thaçi, Dr. Shaip Muja, and other leading members of the government directed–and profited from–an international criminal enterprise whose tentacles spread across Europe into Israel, Turkey and South Africa.

For his part, Thaçi has repudiated the allegations and has threatened to sue Marty for libel. Sali Berisha, Albania’s current Prime Minister and Thaçi’s close ally, dismissed the investigation as a “completely racist and defamatory report,” according to The New York Times.

That’s rather rich coming from a politician who held office during the systematic looting of Albania’s impoverished people during the “economic liberalization” of the 1990s.

At the time, Berisha’s Democratic Party government urged Albanians to invest in dodgy pyramid funds, massive Ponzi schemes that were little more than fronts for drug money laundering and arms trafficking.

More than a decade ago, Global Research analyst Michel Chossudovsky documented how the largest fund, “VEFA Holdings had been set up by the Guegue ‘families’ of Northern Albania with the support of Western banking interests,” even though the fund “was under investigation in Italy in 1997 for its ties to the Mafia which allegedly used VEFA to launder large amounts of dirty money.”

By 1997, two-thirds of the Albanian population who believed fairy tales of capitalist prosperity spun by their kleptocratic leaders and the IMF, lost some $1.2 billion to the well-connected fraudsters. When the full extent of the crisis reached critical mass, it sparked an armed revolt that was only suppressed after the UN Security Council deployed some 7,000 NATO troops that occupied the country; more than 2,000 people were killed.

Today the Berisha regime, like their junior partners in Pristina, face a new legitimacy crisis.

As the World Socialist Web Site reported, mass protests broke out in Tirana last week, with more than 20,000 demonstrators taking to the streets, after a nationally broadcast report showed a Deputy Prime Minister from Berisha’s party “in secretly taped talks, openly negotiating the level of bribes to back the construction of a new hydroelectric power station.”

As is the wont of gangster states everywhere, “police responded with extreme violence against the demonstrators; three people died and dozens were injured.”

While the charges against Thaçi and his confederates are shocking, evidence that these horrific crimes have been known for years, and suppressed, both by the United Nations Interim Administration in Kosovo (UNMIK) and by top American and German officials–the political mandarins pulling Balkan strings–lend weight to suspicions that a protective wall was built around their protégés; facts borne out by subsequent NATO investigations, also suppressed.

Leaked Military Intelligence Reports

On Monday, a series of NATO reports were leaked to The Guardian. Military intelligence officials, according to investigative journalist Paul Lewis, identified Kosovo Prime Minister Hashim Thaçi as one of the “‘biggest fish’ in organised crime in his country.”

Marked “Secret” by NATO spooks, Lewis disclosed that the 2004 reports also “indicate that the US and other western powers backing Kosovo’s government have had extensive knowledge of its criminal connections for several years.”

According to The Guardian, the files, tagged “‘USA KFOR’ … provide detailed information about organised criminal networks in Kosovo based on reports by western intelligence agencies and informants,” and also “identify another senior ruling politician in Kosovo as having links to the Albanian mafia, stating that he exerts considerable control over Thaçi, a former guerrilla leader.”

As noted above, with the Council of Europe demanding a formal investigation into charges that Thaçi’s criminal enterprise presided over a grisly traffic in human organs and exerted “violent control” over the heroin trade, it appears that the American and German-backed narco statelet is in for a very rough ride.

In the NATO reports, The Guardian revealed that Thaçi “is identified as one of a triumvirate of ‘biggest fish’ in organised criminal circles.”

“So too,” Lewis writes, “is Xhavit Haliti, a former head of logistics for the KLA who is now a close ally of the prime minister and a senior parliamentarian in his ruling PDK party.”

The reports suggest “that behind his role as a prominent politician, Haliti is also a senior organised criminal who carries a Czech 9mm pistol and holds considerable sway over the prime minister.”

Described as “‘the power behind Hashim Thaçi’, one report states that Haliti has strong ties with the Albanian mafia and Kosovo’s secret service, known as KShiK.”

The former KLA logistics specialist, according to The Guardian, suggest that Haliti “‘more or less ran’ a fund for the Kosovo war in the late 1990s, profiting from the fund personally before the money dried up. ‘As a result, Haliti turned to organised crime on a grand scale,’ the reports state’.”

Such information was long known in Western intelligence and political circles, especially amongst secret state agencies such as the American CIA, DEA and FBI, Germany’s Bundesnachrichtendienst, or BND, Britain’s MI6 and Italy’s military-intelligence service, SISMI, as Marty disclosed last month.

In 1994 for example, The New York Times reported that the Observatoire Géopolitique des Drogues released a report documenting that “Albanian groups in Macedonia and Kosovo Province in Serbia are trading heroin for large quantities of weapons for use in a brewing conflict in Kosovo.”

According to the Times, “Albanian traffickers were supplied with heroin and weapons by mafia-like groups in Georgia and Armenia. The Albanians then pay for the supplies by reselling the heroin in the West.”

A year later, Jane’s Intelligence Review reported that “if left unchecked … Albanian narco-terrorism could lead to a Colombian syndrome in the southern Balkans, or the emergence of a situation in which the Albanian mafia becomes powerful enough to control one or more states in the region.”

Following NATO’s 1999 bombing campaign that completed the sought-after break-up of Yugoslavia, that situation came to pass; Kosovo has since metastasized into a key link in the international narcotics supply chain.

NATO spooks averred that Haliti is “highly involved in prostitution, weapons and drugs smuggling” and that he serves as Thaçi’s chief “political and financial adviser,” and, according to the documents, he is arguably “the real boss” in the relationship.

Like Haradinaj, Haliti “is linked to the alleged intimidation of political opponents in Kosovo and two suspected murders dating back to the late 1990s, when KLA infighting is said to have resulted in numerous killings,” Lewis reports.

In 2008, Haradinaj and Idriz Balaj were acquitted by the U.S.-sponsored ICTY “victors tribunal” of charges of war crimes and crimes against humanity. Lahi Brahimaj, Haradinaj’s uncle, was sentenced to six years’ imprisonment for the torture of two people at KLA headquarters.

A retrial was ordered last summer after evidence emerged that Haradinaj, long-suspected of running a parallel organized crime ring to Thaçi’s that also trafficked arms, drugs and sexual slaves across Europe, a fact long-known–and similarly suppressed–by the mafia state’s closest allies, Germany and the United States, may have intimidated witnesses who had agreed to testify against his faction of the KLA leadership.

A former nightclub bouncer who morphed into a “freedom fighter” during the 1990s, Haradinaj has been accused by prosecutors of crimes committed between March and September 1998 in the Dukagjin area of western Kosovo.

According to The Guardian, “Haradinaj was a commander of the KLA in Dukagjin, Balaj was the commander of the Black Eagles unit within the KLA, and Brahimaj a KLA member stationed in the force’s headquarters in the town of Jablanica.”

The appeals court ruled that “in the context of the serious witness intimidation that formed the context of the trial, it was clear that the trial chamber seriously erred in failing to take adequate measures to secure the testimony of certain witnesses.”

The indictment charges that the KLA “persecuted and abducted civilians thought to be collaborating with Serbian forces in the Dukagjin area and that Haradinaj, Balaj, and Brahimaj were responsible for abduction, murder, torture and ethnic cleansing of Serbs, Roma and fellow Albanians through a joint criminal enterprise, including the murder of 39 people whose bodies were retrieved from a lake,” The Guardian disclosed.

But in a case that demonstrates the cosy relations amongst KLA leaders and their Western puppetmasters despite, or possibly because of their links to organized crime, German Foreign Policy revealed that “high ranking UN officials helped intimidate witnesses due to testify in The Hague against Haradinaj.”

This charge was echoed by Special Rapporteur Dick Marty. He told Center for Investigative Reporting journalists Michael Montgomery and Altin Raxhimi, who broke the Kosovo organ trafficking story two years ago, that his investigation “could be hindered by witness safety and other security concerns.”

“If, as a witness, you do not have complete assurance that your statements will be kept confidential, and that as a witness you are truly protected, clearly you won’t talk to these institutions,” Marty said.

Such problems are compounded when the leading lights overseeing Kosovo’s administration, Germany and the United States, have every reason to scuttle any credible investigation into the crimes of their clients, particularly when a serious probe would reveal their own complicity.

Eyes Wide Shut

The Haradinaj cover-up is just the tip of the proverbial iceberg.

According to German Foreign Policy, “the structures of organized crime in Kosovo, in which Haradinaj is said to play an important role, extend all the way to Germany. It is being reported that German government authorities prevented investigations of Kosovo Albanians residing in Germany.”

Investigative journalist Boris Kanzleiter told the left-leaning online magazine that the UN administration in Kosovo (UNMIK) and its newest iteration, the European Rule of Law Mission in Kosovo (EULEX) “maintains very close ties to Haradinaj.”

The former head of UNMIK, Sören Jessen-Petersen, referred to him as a “close partner and friend.” Kanzleiter said that “Jessen-Petersen’s successor, the German diplomat, Joachim Ruecker, also has a close relationship to him.”

Kanzleiter told the journal, “accusations were made that high-ranking UNMIK functionaries were directly involved in the intimidation of witnesses.”

These reports should be taken seriously, especially in light of allegations that even before Haradinaj’s first trial, a witness against the former Prime Minister was killed in what was then described as “an unsolved auto accident.”

“Back in 2002,” German Foreign Policy reported, “three witnesses and two investigating officials were assassinated in the context of the trial against Haradinaj’s clan.”

Similar to the modus operandi of Thaçi’s enterprise, the newsmagazine reported that the BND had concluded that Haradinaj’s “network of [drugs and arms] smugglers were operating ‘throughout the Balkans’, extending ‘into Greece, Italy, Switzerland and all the way to Germany’.”

Not that any of this mattered to Germany or the United States. German Foreign Policy also reported that despite overwhelming evidence of KLA links to the global drugs trade, political circles in Berlin vetoed official investigations into KLA narcotics trafficking.

In 2005 “the State Offices of Criminal Investigation of Bavaria and Lower Saxony tried to convince the Federal Office of Criminal Investigation to open a centralized investigation concerning the known [Kosovo-Albanian] clans and individuals in Germany” because “many criminal culprits from the entourage of the KLA have settled in Germany.”

The author noted “this demand was refused.” Indeed, “even though the Austrian Federal Office of Investigation and the Italian police strongly insisted that their German colleagues finally initiate these investigations, the rejection … according to a confidential source in the Austrian Federal Office of Criminal Investigation, came straight from the Interior Ministry in Berlin.”

As we have since learned, Haliti and other top KLA officials have also been linked to organized crime in Marty’s report. The human rights Rapporteur accused Haliti, like Haradinaj, of having ordered “assassinations, detentions, beatings and interrogations” of those who ran afoul of Thaçi’s underworld associates.

In 2009, German Foreign Policy reported yet another “new scandal” threatened to upset the apple cart. “A former agent of the Kosovo intelligence service explained that a close associate of Kosovo’s incumbent Prime Minister, Hashim Thaçi, had commissioned the assassinations of political opponents.”

“The newest mafia scandal involving Pristina’s secessionist regime was set in motion by the former secret agent Nazim Bllaca,” the magazine disclosed.

According to the publication, “Bllaca alleges that he had been in the employ of the secret service, SHIK, since the end of the war waged against Yugoslavia in 1999 by NATO and the troops of Kosovo’s terrorist UCK [KLA] militia.”

The former secret state agent claimed “he had personally committed 17 crimes in the course of his SHIK activities, including extortion, assassination, assaults, torture and serving as a contract killer.”

Marty told the Center for Investigative Reporting that “Bllaca’s experience did not bode well for other insiders who are considering cooperating with the authorities.” EULEX officials only placed Bllaca under protective custody a week after he went public with his allegations, in what could only be described as an open-ended invitation for an assassin’s bullet.

Despite such revelations, diplomatic cables unearthed by WikiLeaks show that the U.S. Embassy views their Frankenstein creations in an entirely favorable light.

A Cablegate file dated 02-17-10, “Kosovo Celebrates Second Anniversary with Successes and Challenges,” 10PRISTINA84, informs us that “two years have seen political stability that has allowed the country to create legitimate new institutions,” but that the narco state “must use its string of economic reforms and privatizations as a springboard to motivate private-sector growth.”

Such as auctioning-off the Trepca mining complex at fire-sale prices. As The New York Times reported back in 1998, the Trepca mines are “the most valuable piece of real estate in the Balkans, worth at least $5 billion.”

Summing up the reasons for NATO’s war, one mine director told Times’ reporter Chris Hedges: “The war in Kosovo is about the mines, nothing else. This is Serbia’s Kuwait–the heart of Kosovo. We export to France, Switzerland, Greece, Sweden, the Czech Republic, Russia and Belgium.

“We export to a firm in New York, but I would prefer not to name it. And in addition to all this Kosovo has 17 billion tons of coal reserves. Naturally, the Albanians want all this for themselves.”

Judging by the flood of heroin reaching European and North American “markets,” one can only conclude that if fleets of armored Mercedes and BMWs prowling Pristina streets are a growth metric then by all means, America and Germany’s “nation building” enterprise has been a real achievement!

In light of reports of widespread criminality that would make a Wall Street hedge fund manager blush, we’re told by the U.S. Embassy that the Thaçi government “must prioritize the rule of law and the fight against corruption.”

Laying it on thick, despite damning intelligence reports by their own secret services, the Embassy avers that “Kosovo’s independence has been a success story.” Indeed, “the international community and the Kosovars, themselves, can feel good about the positive steps that have occurred over the past two years.”

That is, if one closes one’s eyes when stepping over the corpses.


(Copyright Tom Burghardt, Antfascist Calling, 2011)




Walter Peruzzi e Gianluca Paciucci
SVASTICA VERDE. Il lato oscuro del Va’ pensiero leghista
Roma, Editori Riuniti 2011 (euro 15,00)

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E’ in libreria SVASTICA VERDE. Il lato oscuro del Va’ pensiero leghista, di Walter Peruzzi e Gianluca Paciucci, Roma 2011, Editori Riuniti, euro 15,00.

Di questo libro, costruito partendo dalle puntate de Il catto-razzismo, antologia sulla Lega Nord, postate nei mesi scorsi su questo sito, riporto l’introduzione e l’indice.


Introduzione


Insieme alla Lega è cresciuta, in questi anni, la letteratura sull’argomento: il dibattito si è arricchito di analisi e saggi, spesso pregevoli, sulle origini del movimento leghista, sulla sua storia e le sue svolte. Sui fattori di disagio o di crisi che il Carroccio ha sfruttato per affermarsi. Inoltre gli esponenti leghisti, che fino ai primi anni Novanta erano stati piuttosto snobbati da stampa e televisione, sono diventati ospiti fissi di molte trasmissioni ben disposte e accomodanti, che hanno contribuito a dipingere la Lega sotto una luce migliore.

Viene accreditata come radicamento e attenzione ai problemi del  territorio la furbesca capacità della Lega di cavalcare le paure e di far leva sugli istinti per impossessarsi del potere e arraffare tutte le poltrone disponibili.

Vengono elogiati gli amministratori leghisti per la loro concretezza, nonostante qualche espressione o qualche comportamento ruvido, per usare un eufemismo, fatti passare come sano e ritrovato spirito popolare.

Vengono declassati a innocue e risibili sparate folcloristiche linguaggi, gesti triviali, gesti e comportamenti violenti, che ricordano le camicie nere e i cappucci bianchi del Ku Klux Klan, o altre camicie verdi di estrema destra, come le Croci frecciate ungheresi e la Guardia di ferro rumena.

Inoltre, mentre ad alcuni rappresentanti politici di altri movimenti o partiti viene applicata una censura immediata, a Bossi e ai suoi viene lasciata piena libertà di parola, o meglio, d’insulto: essere politicamente scorretti è stigmatizzato per chi fischia o contesta il potere, mentre per il senatùr e gli altri esponenti leghisti la regola non vale.

Lo strumento più semplice e più diretto per contestare il quadretto idilliaco cui è ridotta  la Lega Nord ci è parsa un’antologia. Ecco quindi “la Lega raccontata dalla Lega”, attraverso una raccolta sistematica e ampia, anche se ovviamente incompleta, di opinioni e dichiarazioni dei dirigenti leghisti, degli articoli de La Padania e delle proposte legislative, di iniziative nazionali e locali tratte dalla nuda cronaca, aggiornate ai primi giorni del dicembre 2010. Qualche volta si tratta di riflessioni e di ricostruzioni giornalistiche particolarmente efficaci.

Il risultato ci pare eloquente. La Lega si spiega da sé e il quadro complessivo smentisce tutte le sue tranquillizzanti rappresentazioni. Un movimento apparentemente pacifico, mosso da un onesto desiderio di garantire ai cittadini legalità, sicurezza, decentramento, federalismo e snellimento della macchina burocratica, cala la maschera, mostrando, invece, i lineamenti inconfondibili e brutali di un movimento eversivo, razzista e tendenzialmente totalitario, che ha come unico obiettivo la conquista e la gestione dispotica del potere. La Lega mira a una doppia occupazione: quella dell’immaginario, mediante una forte produzione simbolica, per ora vincente anche a causa del venir meno delle altre grandi narrazioni, e quella del territorio, mediante una lenta penetrazione per via elettorale o mediante alleanze e intese con lobby e centri di potere politico, economico e bancario.

Il carattere eversivo del movimento leghista è scritto nel suo stesso nome, che recita ancora oggi “Lega Nord per l’Indipendenza della Padania”. Un obiettivo riconfermato da Bossi appena qualche mese fa, nel settembre 2010, a Pontida. Il sovvertimento dell’ordine costituzionale, secondo cui la Repubblica è «una e indivisibile», resta lo scopo di un partito i cui massimi esponenti hanno giurato come ministri sulla Costituzione. Forse sarebbe più corretto dire spergiurato. Maroni, per esempio, è stato reclutatore nel 1996 della Guardia padana e per molto tempo è stato indagato insieme ad altri per banda armata: un ministro degli Interni che dovrebbe garantire, invece, la legalità e la sicurezza dello Stato.

Al secessionismo, proclamato in nome della Padania e dei padani, di una nazione e di un’etnia inesistenti (1), si accompagna un conclamato razzismo contro chi non è padano: che si tratti di romani, meridionali, immigrati, disabili e gay poco importa. Tutti diversi, quindi nemici. Tutti «fuori dalla Padania», oppure dentro quando e per quanto servano come mano d’opera da sfruttare in nero. Per poi magari essere tolti dalle graduatorie, se insegnanti o magistrati meridionali, come la Lega sogna. Peggio ancora se rom o migranti: espulsi, sgomberati ed esclusi dal diritto alla scuola, alla casa o alla salute. Meglio respingerli in mare, negando loro diritto all’asilo e mandandoli a sicura morte in paesi come la Libia, che non rispettano i diritti umani (negati del resto anche in Italia ai migranti rinchiusi in zone di non diritto come i Cie).

Si tratta di un razzismo su base etnica, come quello nazista che si richiama alla razza ariana (2). Ad esso si accompagna un sessismo becero, analogo a quello del loro alleato e amico Berlusconi, che si serve delle battute o delle immagini più logore e dei più biechi luoghi comuni per ribadire l’assoluta supremazia del maschio, bianco s’intende. Tale razzismo si riflette in un’idea proprietaria del territorio e del potere, in base alla quale chi ha la maggioranza dispone delle istituzioni come vuole. Marchiando, per esempio, la scuola pubblica, le strade e i ponti con i simboli di partito. Seguendo il modello dei regimi totalitari. Svastica verde, appunto: da Adro a Buguggiate, da San Martino di Lupari a Castronno.

Che l’unico obiettivo del ceto politico leghista sia il potere, tanto odiato quanto invidiato e conteso a «Roma ladrona», è documentato anche dall’opportunismo senza princìpi che portò la Lega prima ad agitare in Parlamento il cappio, chiedendo l’intervento della magistratura contro i corrotti o invocando i rigori della legge contro «il mafioso di Arcore», poi a solidarizzare proprio con Berlusconi e a votare tutte le leggi ad personam necessarie per tenerlo fuori dalla galera insieme ai suoi parlamentari e sodali indagati per mafia o altri reati. È la stessa disinvoltura di cui la Lega dà prova servendosi strumentalmente della religione a fini di potere, passando dai matrimoni celtici e dal culto pagano del Dio Po alla campagna in favore del crocefisso e del  presepio. Oppure dall’intesa con monsignor Fisichella e le solitamente compiacenti gerarchie vaticane in «difesa della vita» e contro la pillola Ru486 agli insulti contro l’«imam» Tettamanzi, troppo «accogliente» verso i musulmani. Doppia morale, dunque, in uno stile a metà strada tra le furbizie ingenue di una maschera popolare(quella bergamasca di Gioppino, nata in funzione antinapoleonica, come ricorda la saggista francese Lynda Dematteo) e il più puro berlusconismo, di chi si sente sopra la legge e intoccabile perché investito di alte missioni. Doppio linguaggio anche: giustizialista se ci si trova all’opposizione, autoassolvente se si è al potere. Lampante il caso delle campagne a suo tempo condotte dalla Lega contro l’uso delle auto blu o per la soppressione delle Provincie: oggi sono utilizzate le une e difese le altre.

Naturalmente non sono mancati, nel corso dei decenni, manifestazioni di dissenso, seguite  dall’espulsione o dall’uscita dal movimento di esponenti anche significativi, ora contrari alle svolte moderate (come i primi e più radicali dirigenti autonomisti), ora alle accelerazioni secessioniste (l’ex presidente della Camera Irene Pivetti o l’ex sindaco di Milano Mario Formentini), ora contrari alla deriva affaristica e poltronista, come l’ex parlamentare ed ex assessore alla sanità della Regione Lombardia, Alessandro Cè. Un dissenso sulla linea del partito è stato espresso, l’ottobre scorso, anche dal vice sindaco di Abbiategrasso, Flavio Lovati, che ha criticato una politica sull’immigrazione ridotta a parlare «alla pancia», definendo «fascista» la marchiatura della scuola di Adro, denunciando anche come la Lega si fosse «appiattita» sul berlusconismo e fosse diventata sempre più «romana». Ma né fuoriuscite, né manifestazioni di dissenso, peraltro duramente represse come quella di Lovati, subito rimosso dal suo incarico, sono valse finora a cambiare il volto di un partito secessionista, anticostituzionale, razzista, affamato di potere e di poltrone, illegale ed eversivo; sotto processo da quattordici anni per banda armata, ma autoassoltosi, avendo cancellato tale reato (3). In compenso, però, ha inventato quello d’immigrazione clandestina.

Tuttavia la Lega non sarebbe arrivata a prendere con il 10 per cento dei voti su scala nazionale il 90 per cento delle decisioni di governo, a infettare le istituzioni e a diffondere il razzismo dal Nord al Sud del paese, se non fosse stata coccolata a turno dalla destra e dalla sinistra. Se non fosse stata, dunque, legittimata a essere perno della politica italiana. È lo stesso Bossi a dire che la Lega «porta voti». Ma anche i media hanno la loro parte di responsabilità, avendo concesso agli esponenti della Lega uno spazio spropositato nei vari talk-show, tutti tesi a inseguire le dichiarazioni sopra le righe, il turpiloquio, le risse verbali e non che la Lega assicura, portando audience. È una grave responsabilità condivisa da politici, conduttori televisivi, intellettuali, se esponenti di un partito che vìola i principi della nostra Costituzione, attraverso la minaccia della secessione e l’incitamento all’odio razziale, siedono in Parlamento e se possono esibire perfino nel nome il loro scopo eversivo: “l’Indipendenza della Padania”.

L’augurio è che queste pagine aiutino a far comprendere meglio cosa sia la Lega e perché rappresenti, al pari degli altri partiti di estrema destra in ascesa in Europa, una minaccia mortale per la convivenza civile, da contrastare anche sul piano giudiziario, in Italia e davanti la Corte europea di Strasburgo, ma soprattutto su quello politico e culturale.


(1) I termini “Padania” e “padani” dovrebbero essere sempre scritti fra virgolette per non confonderli con regioni o popoli realmente esistenti. Ma, data la loro ricorrenza, ciò avrebbe appesantito la lettura. Si è quindi deciso di scriverli senza virgolette limitandoci ad avvertire qui che sono, come il Paese dei balocchi o il gatto con gli stivali, nomi di fantasia.
(2) Sui legami diretti dei leghisti col nazional-socialismo si veda la postfazione di Annamaria Rivera.
(3) E’ stato fatto l’8 maggio scorso infilando in un decreto sul “Codice dell’Ordinamento Militare” una norma con cui si abolisce il dl 14/2/1948 n. 43 che puniva «chiunque promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni di carattere militare», con scopi politici e compiendo o minacciando violenze.

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Indice


9         Introduzione

19      La Lega inventa la Padania

Parla l’inventore della Padania, 23 – I valori padani, 30 – Un partito anticostituzionale, 33 – “Bruciare il Tricolore”, 34 – No all’inno nazionale, 35 – Armi contro “Roma ladrona”, 37 – Secessione (e le sue varianti) o morte, 40 – “Selezioneremo gli stranieri”, 49

47      “Föra di ball, terùni!”

La lombardità, 51 – Il Nord “si svena” per il Sud, 54 – Settentrionalizzare la scuola, 58 – L’esercito del Nord, 62 – Gli aiuti non puzzano, ma la spazzatura è diversa, 64 – Scene di ordinario antimeridionalismo, 68 – E i prepotenti giocano a fare le vittime, 74

77      Omofobia e sessismo

Il maschilismo originario, 80 – Nascita e morte del Los, 84 – La svolta antigay, 87 – Il linguaggio si inasprisce, 91

99      Razzismo e xenofobia

Sono inferiori, criminali e puzzano, 103 – Dichiarazioni di dirigenti leghisti, 107 – Treviso: il Vangelo secondo Gentilini, 111 – Verona: il modello Tosi, 119 – Le impronte della Lega, 121 – “Niente case agli extracomunitari”, 125 – “Sì ai bambini della Padania”, 131 – Ospiti, non cittadini, 134 – Gli sgomberi di rom e sinti, 138 – Effetto Sarkosy, 146 – Padania cristiana, mai musulmana, 147 – Sì a gelati e maiale, no al kebab, 155 – L’asilo negato, 157 – I respingimenti in mare, 165 – Berlusconi: da Dr Jekyll a Mr Hyde, 172 – Una catena interminabile di porcate, 174

187    Law & Order

Dalla Bossi-Fini al pacchetto Maroni, 190 – L’invasione, 199 – L’inferno dei Cie, 205 – La sanatoria truffa, 210 – Squadrismo che passione: le ronde, 217 – Non curare, ma denunciare, 225 – “Niente scuola per i figli dei clandestini”, 231 – No ai matrimoni degli irregolari, 235 – Caccia al clandestino. Taglie e spie, 237 – “Rimbalza il clandestino”, 242 – “Fucilare gli sciacalli”, 244 – Una digressione sull’ordine leghista, 246 – Quando la Lega getta il sasso e nasconde la mano, 250

257    Bossi e il “mafioso di Arcore”

Cosa si sono detti dal 1994 al 1998, 260 – La Fininvest è nata da Cosa nostra, 269 – Cosa hanno continuato a dirsi dal 1998 al 2000, 272 – Colpo di scena, 274 – E non ci lasceremo mai…, 274

277    Cattolicesimo in salsa celtica

Tra integralismo e arcaicità, 279 – Bossi, lo spaccone laico e anticlericale, 280 – Matrimoni celtici e pellegrinaggi cristiani, 284 – Padani contro il Concilio Vaticano II e contro i “perfidi giudei”, 287 – Guardiani dell’ortodossia, 290 – Bossi e gli altri di nuovo anticlericali. Ma per poco, 293 – Radici cristiane (o celtiche?) contro l’imam Tettamanzi, 298 – Con la benedizione del Vaticano, 299 – Per chiudere in bellezza birre, rutti e bestemmie, 302

307    Un movimento eversivo

Casellario giudiziario, 309 – Il processo alle Camicie verdi, 320 – Abuso di potere? Sì o forse no: il caso Ruby, 327

331    Lega poltrona, Lega ladrona

La Sacra famiglia, 335 – Né duri né puri: la tangente Enimont, 343 – Gli affari, con crac, in Croazia, 348 – Auto blu, 353 – Storie di ordinario malcostume, 357 – Bulimia di poltrone, 362 – Nascita e morte della Credinord, 366 – La truffa delle quote latte, 368 – Le banche? A noi!, 371 – ‘Ndrangheta padana, 374

383    Svastica verde

Le due facce della Lega, 387 – Amicizie pericolose, 397 – Le ascendenze delle Camicie verdi, 400 – Borghezio, il nazista identitario, 401 – Tosi, il nazista democristiano, 406 – Varese. Sangue, onore e Padania, 410 – Adro e non solo, 414

425    Postfazione

Le matrici neonaziste del leghismo di Annamaria Rivera




Memoria 2011 / 8

Lo sterminio, che continua, del popolo Rom

1) Lettera a Napolitano: nessuno ricorda lo sterminio dei Rom e dei Sinti (D. Pavlovic, 2009)
2) Roma 6 febbraio 2011: Rogo in campo rom, morti quattro fratellini (Repubblica / F. Casavola)
3) La persecuzione degli zingari da parte del Fascismo (G. Boursier, "Triangolo Rosso" n. 1/1998)


I LINK:

Dio era una zingaro (forse)
Pulizia etnica a Milano: raso al suolo l'insediamento di via Sesia a Rho (MI) 


Ricordiamo i pogrom scatenati in Italia nel 2008


Audio del documentario "Porrajmos. Parole in musica", con Santino Spinelli (http://www.alexian.it/), che i Magazzini Einstein hanno trasmesso il 27 gennaio su Rai 3 e su Rai Storia (registrazione a cura di Andrea Lawendel):


Una moderna canzone rom della Macedonia


La nostra pagina sulla questione Rom


=== 1 ===

Lettera a Napolitano: 
nessuno ricorda lo sterminio dei Rom e dei Sinti 
«Dalle baracche vedevamo gli ebrei 
 colonne incamminate diventare colonne verticali, di fumo. 
Erano lievi, andavano a gonfiare gli occhi del loro dio affacciato. 
Noi non fummo leggeri, la cenere degli zingari non riusciva ad alzarsi in cielo. 
Ci tratteneva in basso la musica suonata e stracantata intorno ai fuochi degli accampamenti.
Noi, zingari d'Europa, da nesun dio presi a sua testimonianza, 
bruciammo senza l'odore della santità, 
bruciammo tutti interi, 
chitarre con le corda di budella».

Illustrissimo signor Presidente, nel Giorno della Memoria le massime autorità dello Stato hanno ricordato la Shoah, lo sterminio del popolo ebraico. Ma anche il 27 gennaio di quest'anno per noi, Rom e Sinti d'Italia, nessun riconoscimento istituzionale per i nostri morti (più di un milione di cui, oltre 500.000 nei campi di concentramento nazisti). Come se non fosse successo, come se non fosse stato anche per loro, come per gli ebrei, la più grande vergogna della storia dell'uomo: lo sterminio su base razziale.
Una vergogna che riguarda anche l'Italia. Nella circolare del ministero degli Interni dell'11 settembre 1940 è scritto: «est indispensabile che tutti zingari nazionalità italiana certa aut presunta, siano controllati et rastrellati più breve tempo possibile et concentrati sotto rigorosa vigilanza in località meglio adatte ciascuna provincia».

Cominciarono retate e deportazioni negli oltre 50 campi di concentramento italiani, tra cui: Perdasdefogu in Sardegna, Bojano e il convento di San Bernardino ad Agnone, Gonars, provincia di Udine, Tossicìa, provincia di Teramo. E ancora: Viterbo, Montopoli Sabina, provincia di Rieti, Collefiorito provincia di Roma, le isole Tremiti, Ferramonti di Tarsia provincia di Cosenza, poi Gries a Bolzano, detta anche «l'anticamera di Auschwitz» dove sono morti oltre 20.000 Rom e Sinti.

Lo sterminio i rom lo chiamano Porrajmos: divoramento, distruzione. Un ricordo carico di paura e di dolore, ma anche qualcosa di più perché non ce lo riconoscono, perché ignorandolo è più facile aggirare la spinosa questione di tanti "piccoli porrajmos" quotidiani nella segregazione dei "campi nomadi", con le persone discriminate, aggredite con le bombe molotov,  buttate in strada in pieno inverno con i loro bambini, accusate, come succedeva nel ’38 di essere «delinquenti antropologici» ‑ tutti criminali. Ricordarlo vorrebbe dire fare in modo che non si ripeta mai neanche una minima parte di questi orrori.

Per questo ci rivolgiamo a Lei, signor Presidente, certi della Sua sensibilità e attenzione, per un gesto di riconoscimento. 

di Dijana Pavlovic
(2009 ma ancora attuale)


=== 2 ===

Roma: Rogo in campo rom, morti quattro fratellini. 6 febbraio 2011



... Quattro fratellini sono morti in un incendio di una baracca in un campo rom a Roma. Il rogo intorno alle 20:30 in un insediamento sulla via Appia Nuova, in prossimità del circolo golfistico dell'Acquasanta. Tre maschi  - Raul Mircea, il più piccolo di 4 anni, Fernando 5 e Sebastian 11 - e una bimba, Patrizia, di otto anni. È probabile che siano morti nel sonno. Il nucleo familiare che abitava nella baracca era composto da 7 persone. Tre adulti sono stati rintracciati due ore dopo la tragedia, in stato di shock. All'esterno della baracca c'erano i genitori, che non sono riusciti a intervenire contro le fiamme, forse sprigionatesi da un tizzone rimasto acceso nel braciere. Sul posto, polizia e carabinieri e ambulanze del 118. A quanto riferito da alcuni abitanti dell'insediamento, i bambini erano stati lasciati soli nella baracca. Una zia era andata a cercare dell'acqua, la madre era in un vicino fast food a comprare del cibo. Ora, davanti ai resti della baracca, piange disperata: "Voglio morire con loro". ...

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Chi non ha memoria non ha futuro

di Fabrizio Casavola
(di "Mahalla", http://www.sivola.net/dblog/)

6 febbraio 2011, 23:11

Stavolta sono quattro (almeno quattro, forse di più), sappiamo solo la loro età, neanche i loro nomi. Se mi guardo indietro, forse di nomi ne ricordo due o tre.

Se non c'è memoria, cosa fare per lenire il peso sulla coscienza? Affidarsi alla retorica? Prendersela con una parte politica? Dire che si vuole non succeda più?

Eppure, sappiamo che tutto può succedere ancora, e che non è una maggioranza politica o l'altra che può evitarlo. Quanto alla retorica, prima o poi puzza sempre di bugia.

Il fuoco, io non riesco a disgiungere i Rom e i Sinti dal fuoco, che è un amico e un compagno indispensabile. Ma che può tornare ad essere una furia distruttrice, che termina con un cumulo di cenere. Poi, a cenere fredda, ecco emergere una scarpa, un quaderno che il fuoco ho inspiegabilmente risparmiato, un pezzo di vetro che forse era un bicchiere...

Il dopo, assomiglia ai poveri resti di uno sgombero.

Tra sgomberi ed incendi, un piccolo popolo tenace lascia dietro di sé poche tracce, che si cancellano presto.

Questa umanità perduta non la troveremo nei libri, e la nostra anima non si salverà solo perché abbiamo scritto MAI PIU'. Ci ho ragionato, e l'unica strada che ho trovato è scomoda e poco praticabile: sporcarsi le scarpe e spingersi a guardare e conoscere DI PERSONA questa gente. Anche in silenzio, anche (soprattutto) limitandosi ad ascoltare. Poi potremo parlare.

Ma è una via scomoda, so che lo faranno in pochissimi.



Un anno fa: http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=3709


=== 3 ===

Fonte: http://www.romacivica.net/anpiroma/deportazione/deportazionezingari1.htm
e: http://www.didaweb.net/mediatori/articolo.php?id_vol=45

La persecuzione degli zingari da parte del Fascismo


Scarsissime le fonti, basate soprattutto sulle testimonianze orali. 
Le disposizioni del settembre 1940 relativamente all'internamento dei rom presenti in Italia. Più che lacunosa la documentazione sui campi di concentramento nel nostro paese. Le vittime del nazismo furono almeno mezzo milione


"Mia figlia Lalla è nata in Sardegna a Perdasdefogu il 7 gennaio 1943, perché eravamo lì in un campo di concentramento". Quella di Rosa Raidic (Lacio Drom n.2/3, 1984) è una delle rarissime voci di zingari testimoni della seconda guerra mondiale, una delle poche testimonianze che riguardano l'internamento in Italia, sotto la dittatura fascista, di un popolo sempre perseguitato e, anche per questo, ignorato e dimenticato dalla memoria e dalla storia delle dittature nazifasciste.

"Dello sterminio degli zingari si sa infatti molto poco, troppo poco. Nonostante sia ormai appurato che, come gli ebrei, furono vittime della persecuzione e dello sterminio razziali praticati dai nazisti in Germania e nei paesi dell'Europa occupata, normalmente si tralascia la loro vicenda o, nel migliore dei casi, se ne accenna in lavori che si occupano del Terzo Reich o del sistema concentrazionario in generale includendoli tra le vittime per poi tralasciare cause e conseguenze della loro persecuzione. Questo anche a causa del fatto che per molto tempo dopo la guerra lo sterminio del popolo zingaro non è stato riconosciuto come razziale ma lo si è considerato conseguenza (quasi ovvia) di quelle misure di prevenzione della criminalità che ovviamente si acuiscono in caso di guerra. Una tesi che trova fondamento nella definizione di "asociali" con la quale inizialmente gli zingari furono deportati, ma che non considera il fatto che, secondo le teorie nazionalsocialiste, gli zingari erano tali perché le caratteristiche loro attribuite dai nazisti erano nei loro geni, nel loro sangue, che li rendeva "irrecuperabili" condannandoli quindi allo sterminio, alla cosiddetta "soluzione finale".

Va comunque tenuto presente che, almeno per ciò che riguarda il nazismo (e grazie soprattutto all'impegno della studiosa ebrea Miriam Novitch che dedicò gran parte della sua vita a raccogliere documenti sullo sterminio del popolo Rom), esiste oggi una documentazione sufficiente a dimostrare che gli zingari sono stati tra le vittime dello sterminio razziale e che almeno 500.000 di loro sono morti nei Lager, dopo esser stati imprigionati, torturati e violentati come tutti gli altri prigionieri. Altri sono stati uccisi nelle esecuzioni di massa nei paesi dell'est, ma su questo i dati sono davvero scarsissimi.
Non si può invece parlare di ricerca per quel che riguarda l'Italia dove le conoscenze sulla persecuzione degli zingari durante il fascismo sono poche e contraddittorie e si basano quasi esclusivamente sulle testimonianze raccolte nel dopoguerra dai pochi studiosi (tra i quali spicca la figura di Mirella Karpati, del Centro studi zingari, che ha raccolto quasi tutta la documentazione orale oggi disponibile) che si sono occupati della deportazione degli zingari, senza mai ricevere la dovuta attenzione. I dati storici raccolti a oltre cinquant'anni dai fatti sono scarsi, tanto da non permettere ancora di stabilire con certezza come e quanto gli zingari siano stati perseguitati nell'Italia fascista e per quali ragioni.
Eppure la documentazione d'archivio ci fornisce testimonianze orali, ci restituiscono un quadro ancora contraddittorio ma di grande interesse. Coloro che si sono occupati dell'argomento hanno finora generalmente affermato che la politica discriminatoria fascista era indirizzata in particolare contro gli zingari stranieri presenti in territorio italiano e dovuta a ragioni di ordine pubblico. Secondo questa ipotesi fu essenzialmente l'occupazione della Jugoslavia e la conseguente fuga degli zingari da quel paese a costringere le autorità italiane a internare gli zingari. In un certo senso è persino ovvio che le misure di internamento e deportazione degli zingari siano aumentate e divenute più intransigenti con l'occupazione della Jugoslavia, anche solo perché è da quel territorio che molti zingari scapparono in Italia dopo l'occupazione nazifascista. E' quindi possibile ipotizzare che le misure di deportazione per gli zingari, italiani e non, si siano acutizzate sul finire del 1941, ma questo non esclude atteggiamenti discriminatori anche in precedenza e non necessariamente indirizzati contro gli zingari stranieri.
L'11 settembre 1940 vengono emanate le prime disposizioni per l'internamento degli zingari italiani: una circolare telegrafica del Ministero degli Interni, firmata dal capo della polizia Bocchini e indirizzata a tutte le prefetture fa esplicito riferimento all'internamento degli zingari italiani, dando per scontato il fatto che, in base ad altre direttive quelli stranieri debbano essere respinti e allontanati dal territorio del regno. Nella circolare è scritto che "sia perché essi commettono talvolta delitti gravi per natura intrinseca et modalità organizzazione et esecuzione, sia per possibilità che tra medesimi vi siano elementi capaci di esplicare attività antinazionale... est indispensabile che tutti zingari siano controllati". Si dispone quindi "che quelli nazionalità italiana certa aut presunta ancora in circolazione vengano rastrellati più breve tempo possibile et concentrati sotto rigorosa vigilanza in località meglio adatte ciascuna provincia...".
Come si vede si tratta di un ordine importante anche perché, nei documenti d'archivio, è seguito da una fitta corrispondenza che indica come i prefetti eseguano gli ordini procedendo al rastrellamento degli zingari nelle loro provincie: esistono lettere e telegrammi delle autorità di Campobasso, Udine, Ferrara, Ascoli Piceno, Aosta, Bolzano, Trieste e Verona, che, rispondendo agli ordini, indicano come, rapidamente, gli zingari diventino una preoccupazione urgente e importante in tutto il Regno. Poi, il 27 aprile 1941, il Ministero dell'Interno emana un'altra circolare avente ancora per oggetto 'l"Internamento degli zingari italiani".
Purtroppo, finora, l'esistenza dei campi di concentramento per zingari è documentata quasi esclusivamente dalle testimonianze orali. I ricordi degli zingari sono frammentari, spezzati dalla riservatezza della memoria e dalla mancanza di una tradizione scritta che caratterizza la loro cultura, ma raccontano l'esistenza di luoghi di detenzione come Perdasdefogu, in Sardegna, il convento di San Bernardino ad Agnone, in provincia di Campobasso, Tossicia, in provincia di Teramo.
Mitzi Herzemberg (Lacio Drom n. 1, 1987) ricorda che ad Agnone, dove gli zingari erano rinchiusi nel convento di San Bernardino, talvolta gli uomini venivano portati fuori a scavare buchi per le mine che servivano a ritardare l'avanzata alleata. Le guardie fasciste inferivano con punizioni durissime sui prigionieri: lui, che allora aveva quattordici anni, lavorava in cucina e cercava di passare un po' di cibo ai suoi familiari, venne portato fuori per essere fucilato con alcuni altri. Si salvò perché all'ultimo momento la sua pena fu commutata in bstonature e segregazione.
Antonio Hudorovic è stato prigioniero a Tossicia: "Una volta, - dice - quando eravamo a Tossicia, è venuto un ufficiale tedesco. Ci ha preso tutte le misure, anche della testa. Ha detto che era per darci un vestito e un cappello". Tossicia è l'unico campo di concentramento sul quale si hanno dati abbastanza certi. Le carte e gli atti degli archivi comunali - sui quali ha lavorato in particolare Anna Maria Masserini (Storia dei nomadi, GB od., 1990) - dicono che risulta funzionante dal 21 ottobre 1940 e che dall'estate del 1942 ci sono anche prigionieri zingari, in condizioni miserevoli descritte dal direttore del campo e dall'ufficiale sanitario come invivibili.
Testimonianze sparse ricordano altri luoghi di detenzione: Viterbo, Montopoli Sabina, Collefiorito, le isole Tremiti. E' anche documentata la presenza di zingari a Ferramonti di Tarsia, uno dei più grandi campi di concentramento italiani, esistito dal luglio 1940 al settembre 1943.
Come è noto, dopo l'8 settembre e con l'inizio dell'occupazione tedesca, molti campi dell'Italia centro-meridionale vennero smantellati, anche per l'arrivo degli alleati, ma questo non significò la fine della deportazione in Italia, nemmeno per gli zingari. Il rom abruzzese Arcangelo Morelli racconta di esser stato rinchiuso e torturato nel manicomio dell'Aquila, trasformato in quartier generale della Gestapo e sappiamo anche che a Gries di Bolzano, anticamera dei Lager nazisti, erano detenuti anche gli zingari.
Giuseppe Levakovich, in un libro che è la sua memoria, ripercorre molte delle vicende degli zingari negli anni delle dittature e della guerra, prima in Jugoslavia poi in Italia e ricorda, con amarezza, lastoria di sua moglie, Wilma, e di altre due giovani zingare, Muja e Mitska, internate a Ravensbrück e poi a Dachau.


Giovanna Boursier

(da Triangolo Rosso,  n. 1/98 - gennaio 1998.

Della stessa autrice: La persecuzione degli zingari nell'Italia fascista, in «Studi Storici» n.37, ottobre-dicembre 1996)




(Stasera, 7/2/2011, a Belgrado alle ore 19,30, a Kolarceva zaduzbina, presentazione del libro di Giacomo Scotti OPERAZIONE TEMPESTA - https://www.cnj.it/documentazione/bibliografia.htm#scotti_optemp - tradotto in lingua serbocroata)

DANAS  u Kolarčevoj zadužbini (Beograd) govoriće autor knjige Đakomo Skoti, Savo Štrbac iz organizacije „Veritas”, dr Dušan Janjić i prevodilac knjige Predrag Delibašić


Sačuvano sećanje na prećutane zločine


Knjiga poznatog istarskog pisca i novinara Đakoma Skotija o operaciji „Oluja”, posle 15 godina prevedena sa italijasnkog na srpski jezik


Danas će u Kolarčevoj zadužbini biti predstavljena knjiga Đakoma Skotija „Hrvatska operacija Oluja”, čiji je podnaslov „’Oslobađanje’ Krajine i etničko čišćenje Srba”.

Objavljena 1996. godine na italijanskom jeziku, u Rimu, Skotijeva knjiga, iako ubrzo prevedena na srpski jezik, pojavljuje se u odličnom prevodu Predraga Delibašića tek posle 15 godina, zaslugom izdavača, beogradske izdavačke kuće „Otkrovenje” i Srpskog narodnog vijeća iz Zagreba.

Đakomo Skoti, autor knjige, poznati je novinar, pesnik, pripovedač, basnopisac, esejista, istoričar i književni prevodilac, koji od 1947. godine živi u Istri, u Puli i Rijeci, a od 1982. i u matičnoj domovini Italiji. Skotijeva dela, više od 160 knjiga pisanih na italijanskom i srpskohrvatskom (hrvatskom), prevedena su na 12 jezika, a on sam mnogo je prevodio na italijanski sa srpskohrvatskog (srpskog i hrvatskog), slovenačkog i makedonskog jezika.

Operaciju „Oluja” i ono što je sledilo potom, Skoti je opisao u formi dnevničkih zapisa nastalih između 4. avgusta 1995. i 9. februara 1996. godine, a u kojima je, kao suptilni posmatrač i pisac izraženog nerva za detalj, kombinovao navode iz javnosti malo poznatih izveštaja međunarodnih organizacija na terenima Republike Srpske Krajine, svedočanstva stradalnika, počinilaca zločina i političkih stratega tih zločina, kao i izvode iz medija, da bi nazigled kroz suvoparno nizanje činjenica ispisao istinsku, dramatičnu i tragičnu fresku zapanjujućeg zločina koji se odigravao pred licem sveta, za koji je taj isti svet dok je trajao egzodus Srba iz Krajine pokazivao interesovanje, da bi ono ubrzo prestalo, pošto „Krajina nije više vest”.

Operacija „Oluja”, započeta u 5 sati ujutro 4. avgusta, formalno je okončana u 18 sati 7. avgusta 1995. godine. Hrvatska je u njoj angažovala više od 150.000 vojnika, koji su za nešto više od 80 sati zaposeli teritoriju Republike Srpske Krajine, proterali sa nje 300.000 Srba, prema prethodno urađenom planu, oslonjenom na zločin i teror, pohare, pljačku, paljevine i sistematsko uništavanje imovine izbeglih Srba.

Vrlo brzo posle tog besprimernog egzodusa, ono što se dogodilo sa izbeglicama i samom Krajinom („oslobođenom ili ponovo okupiranom od strane Hrvata”, piše Skoti), nije više „toliko interesovalo zapadne novinske redakcije i radio-televizijske studije”.

„Stranice koje slede popunjavaju ovu prazninu”, napisaće Skoti u uvodu svoje knjige, u kojoj je „predstavljen dosije o onome o čemu su malo pisale ili o čemu su ćutale zapadne novine, o onome što se dešavalo posle 8. avgusta na 10.000 i više kvadratnih kilometara Krajine, koji čine 22 odsto teritorije Hrvatske, teritorije koju je opustošila operacija ’Oluja’ i druge ’nepogode’ što su se okomile na te krajeve iz kojih je iskorenjen jedan narod koji je tamo živeo pet vekova.”

Skoti je pisao svoj dnevnik „da bi sačuvao sećanje na zločine koji su prećutani ili za koje se nije znalo”, dok su „pod ugašenim refletorima besnele palikuće, pljačkaši, ubice”, motivisan potrebom da pribavi dokumente koji omogućuju da „vesti budu manje neodređene i apstraktne”, a „činjenice konkretnije” i „motivi razumljiviji”.

„Tako neki ljudi sutra neće moći da se prave da ne znaju, da ne poznaju istinu i neće moći da kažu kako se ne osećaju krivima zbog toga što nisu znali”, napisao je Đakomo Skoti, a njegova knjiga na izvanredno uverljiv način pokazuje kako je veliko pregnuće ovog pisca imalo svoj duboki, dalekosežni smisao, koji se potvrđuje i danas, petnaest godina pošto je knjiga objavljena u izvornom izdanju.

Suočen s poraznim detaljima koji su u njoj izneti, čitalac zaista zanemi, znajući da se operacija „Oluja” i danas u Hrvatskoj slavi i uznosi na pijedestal odlučujuće „pobede” u ratu za sticanje hrvatske nezavisnosti.

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Promocija

Na današnjoj promociji u Kolarčevoj zadužbini govoriće autor knjige Đakomo Skoti, Savo Štrbac iz organizacije „Veritas”, dr Dušan Janjić i prevodilac knjige Predrag Delibašić.

Sl. Kljakić
objavljeno: 07.02.2011




Memoria 2011 / 9

Memoria a Trieste

Recenti articoli dal periodico triestino La Nuova Alabarda - http://www.nuovaalabarda.org/ :
1) ALESSIO MIGNACCA
2) TORTURE A TREBICIANO, DICEMBRE 1942
3) L’AVVOCATO GIANNINI

Sull' "Ispettorato Speciale di PS per la Venezia Giulia", in cui operava la famigerata “banda Collotti", torniamo a raccomandare la lettura dei seguenti articoli:

Sul recente sopralluogo di ex detenuti e torturati a Via Cologna:

Memoria, Trieste Via Cologna 6: ritorno all'inferno (dicembre 2010)
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-memoria%3A_trieste_via_cologna_6%2C_ritorno_all%27inferno..php
Il sopralluogo nella sede di detenzione e tortura dell'Ispettorato Speciale di PS di via Cologna a Trieste (2 dicembre 2010)
http://www.nuovaalabarda.org/foto-gallery/galleria19_pagina1.php )

Più in generale sull'Ispettorato Speciale di PS per la Venezia Giulia di Trieste:

Note sull'Ispettorato Speciale di PS (Banda Collotti) (ottobre 2006)
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-note_sull%27ispettorato_speciale_di_ps_%28banda_collotti%29.php
oppure http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5259
L'Ispettore De Marco E La Pubblica Sicurezza Sul Confine Orientale (maggio 2006)
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-l%27ispettore_de_marco_e_la_pubblica_sicurezza_sul_confine_orientale.php
oppure http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5259
Giornata della Memoria: il rastrellamento di Borst (gennaio 2009)
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-giornata_della_memoria_2009%3A_il_rastrellamento_di_bor%9At..php
oppure: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6291
La Storia Di Lojze Bratuž e Ljubka Šorli (gennaio 2009)
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-giornata_della_memoria_2009%3A_la_storia_di_lojze_bratu%9E_e_ljubka_%8Aorli..php
Metodi Repressivi dell'Ispettorato Speciale di PS (gennaio 2009)
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-giornata_della_memoria_2009%3A_metodi_repressivi_dell%27ispettorato_speciale_di_ps..php
L'ordine pubblico nella Venezia Giulia tra il 1942 ed il 1943 (gennaio 2009)
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-giornata_della_memoria_2009%3A_l%27ordine_pubblico_nella_venezia_giulia_tra_il_1942_ed_il_1943.php
L'Ispettorato Speciale di PS di Trieste Nella Sede di via Cologna (ottobre 2010)
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-l%27ispettorato_speciale_di_ps_di_trieste_nella_sede_di_via_cologna..php

Galleria fotografica: 
"Villa Triste" e la Banda Collotti
http://www.nuovaalabarda.org/foto-gallery/galleria6_pagina1.php


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GIORNATA DELLA MEMORIA E GIORNO DEL RICORDO 2011: ALESSIO MIGNACCA.

Seguendo il dibattito sui “crimini” dei partigiani, sugli arresti effettuati dalle autorità jugoslave nel maggio 1945 a Trieste, sugli “infoibamenti” e sulle cerimonie ufficiali che commemorano gli “infoibati” come “martiri” ed “uccisi solo perché italiani” o “perché si opponevano al disegno politico jugoslavo”, non si può fare a meno di pensare a tutti i membri dell’Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza per la Venezia Giulia, che vengono inseriti tra questi “martiri” perché sembra che siano stati fucilati a Lubiana. Tra essi l’agente dell’Ispettorato Alessio Mignacca del quale, dopo avere visto di quali azioni si era reso responsabile, certamente non giustifichiamo (parlando di storia non si dovrebbe fare del moralismo), però comprendiamo come possa essere stato condannato a morte da un Tribunale. 
Vediamo dunque il curriculum di Alessio Mignacca, così come appare dagli atti del processo contro Giuseppe Gueli, dirigente dell’Ispettorato ed altri funzionari della struttura (Carteggio processuale Gueli, in Archivio Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione di Trieste, n. 914).
Iniziamo dalla vicenda di Umberta Giacomini (nata Francescani), che quando fu arrestata il 9/3/44 era incinta di quattro mesi. Il 15 marzo venne “interrogata” da Collotti, che la picchiò selvaggiamente assieme agli agenti Brugnerotto, Sica e Mignacca. Nel dibattimento svoltosi nel 1947 la donna “precisò che mentre Mignacca la colpì con un calcio e gli altri con verghe, il Brugnerotto la colpì solo (sic) con schiaffi”. A causa di questo abortì ed ebbe una forte emorragia, perciò fu trasportata all’ospedale. Successivamente Mignacca e Ribaudo vennero per riportarla all’Ispettorato, ma date le sue condizioni fisiche (non riusciva neanche a tenersi in piedi), come testimoniò lei stessa “soprassedettero dal tradurmi dal Collotti ed il Ribaudo mi disse pensate che abbiamo avuto pietà di voi perché eravate madre…”. 
Leggiamo ora una nota della Questura di Trieste datata 26/3/44.
“Alle ore 15 circa di oggi 26/3/44 l’ispettorato speciale di PS telefonava a questo ufficio informando che un agente della squadra del vice-commissario dott. Collotti, portatosi in via Giulia 176 per procedere ad una perquisizione domiciliare aveva ucciso un individuo che era stato fermato, durante un tentativo di fuga. Mi sono recato sul posto assieme al magistrato di servizio dott. Santonastaso ed abbiamo constatato che il cadavere giaceva in un cortile adiacente all’abitazione di via Giulia 176/1 dove era stata operata la perquisizione dalla squadra Collotti.
Il morto è stato identificato per mezzo di una carta di identità in suo possesso in Potocnik Francesco n. Fiume 1914. Il suddetto, all’atto della perquisizione si era dato alla fuga, rompendo il vetro di una finestra e buttandosi nel cortile sottostante, da dove rapidamente aveva cercato di dileguarsi. Sennonché era stato raggiunto da quattro colpi di pistola sparatigli dall’agente di PS Mignacca Alessio >.
A questa nota della Questura seguì una denuncia del procuratore di Stato aggiunto.
“Richiesta di autorizzazione a procedere contro l’agente di PS Mignacca Alessio. Perquisizione nell’abitazione di certa Vites in Cobau Luigia (v. Giulia 176) fermati la Cobau, Giuseppe Bevilacqua, Francesco Potocnik. Il Potocnik, rotto un vetro della finestra saltava dal I piano nel cortile interno e cercava di fuggire. Fatto segno a vari colpi di pistola da parte dell’agente Mignacca e raggiunto da un proiettile cadeva ucciso”.
Non sappiamo se la denuncia ebbe seguito. Un paio di settimane dopo (11/4/44) il Procuratore di Stato aggiunto scrisse all’Ispettorato Speciale di PS in questi termini.
“Oggetto: Caprini Roberto. Il nominato Caprini ha lamentato di essere stato fatto segno a percosse ed altre violenze alla persona che gli produssero ecchimosi varie, da parte di alcuni agenti di codesto ufficio i quali lo raccolsero dopo che egli si fu gettato dalla finestra nel corso del suo tentativo di fuga. Si prega di voler riferire…”. Ecco la risposta dell’Ispettore Generale di Polizia Giuseppe Gueli, dirigente l’Ispettorato (20/4/44).
“In relazione alla Vs. lettera dell’11 corrente si comunica che le affermazioni del Caprini sono prive di qualsiasi fondamento di verità. Il Caprini venne accompagnato a questo Ispettorato per essere interrogato circa una lettera dattilografata dal titolo “Lettera aperta del conte Sforza ex ministro degli Esteri al Re d’Italia”, trovata in possesso a certo Musitelli Mario che a sua volta confessò di averla avuta dal Caprini.
Nell’attesa appunto di essere interrogato su tale circostanza il Caprini tentava di darsi alla fuga saltando da una finestra al primo piano nel sottostante giardino ove veniva raccolto dalla guardia di PS Mignacca Alessio e dai pari grado Romano Gaetano, Sica Giuseppe e da altri prontamente accorsi che hanno provveduto a farlo ricoverare all’ospedale”.

gennaio 2011


=== 2 ===


GIORNATA DELLA MEMORIA 2011: TORTURE A TREBICIANO, DICEMBRE 1942.

In una lettera inviata dal Capo della Polizia di Roma al Prefetto di Trieste in data 13/8/43 risulta che furono concessi alcuni premi a favore di militari dei Carabinieri “per la viva parte presa nello svolgimento della operazione di polizia che culminò con la cattura di numerosi ribelli e con la scoperta di una organizzazione comunista a fondo irredentista sloveno”. I militari che ricevettero questi premi (corrisposti dal Ministero dell’Interno) furono i marescialli Luigi Viro, Pietro Satta e Gaetano Losito; il brigadiere Arturo Vinci ed i carabinieri Alessandro Vedelago e Guido Girotti (risulta anche come Girotto, n.d.r.). L’operazione viene descritta in un’allegata relazione di servizio della Legione Carabinieri di Trieste, indirizzata alla Direzione Generale della PS a Roma, nella quale si chiedono “ricompense” per i carabinieri che avevano partecipato all’azione.
Secondo la relazione, nel paese di Trebiciano sul Carso triestino “fin dal mese di giugno 1942 si stava organizzando l’arruolamento di giovani partigiani”. Tra gli esponenti del movimento venivano identificati Ermanno Malalan e suo padre Giovanni, “il quale, subito fermato, dopo alcuni giorni di abili e laboriosi interrogatori, finì col fornire dei semplici indizi” che portarono all’identificazione di altri due “ribelli”, Antonio Sibelia e Giuseppe Udovich, quest’ultimo definito “pericoloso comunista” che si sarebbe “suicidato” il 15/1/43 “nel momento in cui stava per essere arrestato da alcuni agenti della locale Regia Questura”. 
Apriamo una breve parentesi per inquadrare Anton Šibelja “Stjenka”, operaio metallurgico originario di Tomaževica, membro del Partito comunista, che viene così descritto da Rudi Ursini-Ursič: “aveva, fin dagli inizi di luglio ‘41, subito dopo l’aggressione all’URSS, costituito sul Carso triestino un gruppo di sabotatori della ferrovia e dei piloni dell’alta tensione (…) guerrigliero nato, di stampo messicano inizio secolo” (in “Attraverso Trieste”, op. cit. p. 177). Invece Giuseppe Udovič, nome di battaglia “Nino”, era nato a Trieste nel rione di San Giovanni il 18/3/10; partigiano EPLJ, segretario cittadino del Fronte di Liberazione di Trieste, secondo i dati raccolti dall’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, rimase ucciso il 14/1/43 in uno scontro a fuoco con i carabinieri.
Proseguendo nella lettura del rapporto sopra citato, vediamo che l’attività del gruppo sarebbe stata finalizzata a “costituire nella zona di Trieste e dintorni cellule tendenti a sviluppare tra l’elemento slavo l’odio contro l’Italia ed il Regime; di svolgere propaganda comunista (…); ingaggiare elementi partigiani ed istigare i nostri soldati alla rivolta ed alla diserzione; raccogliere armi, munizioni, viveri ed indumenti per il rifornimento delle bande”, ed ebbe come “primo risultato” il fatto che un gruppo di dieci giovani di Trebiciano si allontanarono dalle proprie case il 6/12/42 per unirsi ai partigiani. La sera del 12 dicembre 1942 questi dieci giovani sarebbero incappati nella pattuglia formata dal carabiniere ausiliario Guido Girotto e dal fante Dino Denti; dopo un conflitto a fuoco, uno dei “ribelli”, Giuseppe Calzi, ferito da una bomba a mano lanciata da Girotto, veniva arrestato. “Dall’interrogatorio del ribelle, deceduto dopo poche ore” (sempre secondo i dati raccolti dall’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione Calzi, già Kalc prima di avere il nome “ridotto in forma italiana dal fascismo”, classe 1925, sarebbe deceduto il 13/12/42 all’Ospedale Civile di Trieste per ferite procurate da forze militari italiane), prosegue la relazione, “si ebbero vaghi indizi” e le indagini “rese oltremodo difficili a causa dell’omertà della popolazione della zona (quasi tutta di origine e sentimenti slavi e solidale con le bande dei ribelli”, grazie a “molteplici appiattamenti, pedinamenti e perquisizioni domiciliari a Trieste e periferia” alla fine portarono all’arresto di “tre altri ribelli armati di pistola e bombe a mano (…) furono inoltre arrestate altre 25 persone, tra le quali tre studentesse ed una scrittrice e maestra di canto”. Complessivamente, leggiamo, furono 47 le persone denunciate al Tribunale Speciale per la difesa dello Stato per i reati di associazione sovversiva contro l’integrità dello Stato, assistenza ai partecipi delle bande armate e costituzione di bande armate.
L’operazione fu condotta dai Carabinieri della Compagnia Interna capitani Carmelo Capozza e Mario Romeo, dal sottotenente Federico De Feo (comandante la tenenza di via Hermet) che “ con slancio, fervore e spirito di sacrificio si prodigò in varie perquisizioni ed interrogatori”. I Carabinieri “si avvalsero inoltre dell’opera del nucleo corazzato antiribelli legionale al comando del tenente Morgera Vincenzo”; dei marescialli maggiori Luigi Viro (comandante della squadra investigativa antiribelli) e Pietro Satta (comandante la stazione dei Carabinieri di Opicina); del maresciallo d’alloggio Gaetano Losito. Nel documento ci sono anche altri nomi, ma sono cancellati con un tratto di penna. Diciamo qui che il tenente Morgera Vincenzo divenne, nel dopoguerra, un penalista piuttosto noto a Trieste e fu avvocato di parte civile, nell’immediato dopoguerra, di alcune vedove di “infoibati”.
Antonio Malalan, Caterina Ciuk e Cristina Ferluga furono tra gli arrestati di Trebiciano; incarcerati ai “Gesuiti” il 13/12/42, rimasero prigionieri per circa tre mesi e successivamente dichiararono (nel corso dell’istruttoria al processo contro i dirigenti dell’Ispettorato speciale di PS, celebrato nel 1947) di avere assistito a sevizie nei confronti di alcune donne e di avere sentito i loro racconti di violenze anche di tipo sessuale. Caterina Ciuk, ad esempio, riferì il racconto di una donna che nella deposizione venne identificata come “signorina Mariza Maslo”: “Altre cose immorali sono successe delle quali per vergogna non volle parlarmi”. Questa “Mariza Maslo” si può con molta probabilità identificare in Maria Maslo, sorella del comandante partigiano Karlo Maslo, che fu arrestata il 2/10/42 nel corso di un’operazione svoltasi nel “vallone boscoso ad est di Prelose S. Egidio, provincia di Fiume”, dal Nucleo Mobile di Polizia Centrale dell’Ispettorato Speciale di PS, con elementi del Nucleo Mobile di Polizia di Senosecchia, che, leggiamo in un rapporto del 13/1/43 firmato dal dirigente dell’Ispettorato, l’Ispettore generale Giuseppe Gueli, “al comando del V. Commissario Domenico Miano, veniva a contatto con un numero imprecisato di ribelli, comandato dal Maslo Carlo”. I “ribelli” riuscirono a fuggire tranne Maria Maslo “che indossava abiti maschili” e che “veniva raggiunta dal cane di polizia Frik in consegna all’agente di PS Casagrande Giovanni (…) che – addentandola ad una gamba – riusciva ad immobilizzarla (…)”. Nel rapporto leggiamo anche che la donna, interrogata, “dichiarò di essere venuta sul posto assieme al commissario politico della banda Maslo (…) per avere notizie dei fratelli Carlo e Cristina, che non vedeva più da mesi, di non essersi trovata assieme ad altri e di non avere mai svolto, fino a quel momento attività comunista”. Naturalmente gli uomini di Gueli non le credettero e “successivamente, a seguito di molti ed abili interrogatori si è riusciti a sapere dalla Maslo i nomi delle varie persone che le hanno fornito vitto e alloggio”. 
Vista la deposizione della signora Ciuk, possiamo ben capire come si svolsero realmente i “molti ed abili interrogatori”, così come gli “abili e laboriosi interrogatori” cui fu sottoposto Giovanni (Ivan) Malalan, ci vengono descritti dal figlio Lucijan, che aveva 11 anni quando fu arrestato, assieme ai suoi due fratelli ed al padre. Ecco il suo racconto.
“Il maresciallo Viro era quello che dirigeva le torture. Fece torturare noi ragazzi davanti ai nostri genitori ed i nostri genitori davanti a noi. La mattina del 13 (dicembre, n.d.a.) un giovane carabiniere entrò nella stanza dove ci avevano trattenuto per la notte nella stazione; faceva freddo e quindi accese una stufa perché provò compassione per noi. Dopo un poco entrò Viro e si mise a gridare contro di lui, perché sprecava del legno per dei ribelli, dei banditi, mentre i soldati al fronte morivano di freddo; andò a prendere un mastello d’acqua e lo rovesciò sulla stufa, per spegnere il fuoco. Quasi ci fece soffocare con quel vapore, e poi ci lasciò al freddo. Ci picchiavano senza pietà, bastoni, schiaffi, manganelli. Un mio fratello, quattordicenne, non voleva confessare di avere aiutato i partigiani, lo picchiarono riducendolo ad una maschera di sangue, poi lo lasciarono vicino al muro e fecero entrare altri ragazzini della sua età, che vedendolo ridotto in quelle condizioni, si spaventarono e raccontarono tutto: chi di avere portato del cibo, chi delle armi e così via.
Però in questo elenco manca un nome: c’era anche un altro brigadiere che si chiamava Calligaris, o qualcosa di simile: era una belva, fu lui ad appendere per il collo mio fratello”. 
Specifichiamo che i fratelli Malalan erano quattro: il maggiore, Herman (Ermanno) Roman, che aveva iniziato la lotta assieme al gruppo di Anton Šibelja, cadde il 25/9/43 a diciannove anni, combattendo con la Kosovelova brigada presso Komen; un altro fratello, Milan, quindicenne, dopo l’arresto del dicembre 1942, fu incarcerato a Forlì in attesa di giudizio dal Tribunale Speciale, e dopo l’8 settembre 1943 consegnato ai tedeschi e deportato in Germania. Lucijan e il fratello Livio, di un anno maggiore, dopo l’8 settembre 1943 fuggirono con il padre Ivan (che era già da tempo collegato col Movimento di liberazione sloveno) e la madre Cristina, e divennero così effettivi nell’Esercito di liberazione jugoslavo, assieme al quale rientrarono a Trieste nei primi giorni di maggio 1945.
Torniamo ai responsabili degli arresti. Del maresciallo Viro, che viene indicato da Cristina Ferluga come torturatore della partigiana Majda Dekleva (nome di battaglia “Vera”; nell’autunno del ’44 entrò a fare parte del Comitato della Zveza Slovenske Mladine, Unione della gioventù slovena), leggiamo nel rapporto che “durante gli interrogatori degli arrestati dimostrò sagacia, intuito ed abilità non comuni” (forse anche qualcos’altro di “non comune”, possiamo commentare). Viro, Satta e Losito furono proposti per un premio in denaro di 500 lire, Vinci di 300.
L’operazione tutta (gli arresti ed anche le torture cui furono sottoposti gli arrestati), fu quindi ufficialmente opera non di agenti di PS ma di carabinieri: questo particolare avrà la sua importanza quando, nel corso del processo Gueli, si discuterà anche di questi crimini. Infatti la Corte Straordinaria d’Assise decise che essendo le violenze denunciate da Caterina Malalan state commesse dai Carabinieri di Opicina, non se ne poteva attribuire la responsabilità all’Ispettorato.
A questo punto sorge spontanea questa osservazione: perché non furono assunti come prove i verbali che noi abbiamo reperito negli archivi e che all’epoca dovevano trovarsi ancora agli atti in Prefettura, e che attestavano che l’operazione in cui fu arrestata Maria Maslo e quella di Trebiciano erano state organizzate dall’Ispettorato Speciale?

gennaio 2011


Tra Ufficio Zone di Confine, Porzus, e Pasquinelli: l'avvocato Giannini di Trieste

MEMORIA: L’AVVOCATO GIANNINI DI TRIESTE.

In questi giorni dedicati alla memoria (dei crimini del nazifascismo) e del ricordo (delle “foibe” e dell’esodo dall’Istria) cade anche un altro anniversario, quello dell’eccidio di Porzûs, quando un gruppo di partigiani “bianchi” della Divisione Osoppo fu ucciso da partigiani della Garibaldi, comandati da Mario Toffanin “Giacca”. La vicenda, tuttora controversa nonostante (o, forse, anche per) il complicato iter giuridico svoltosi nel dopoguerra, mostra ancora tanti punti oscuri ed è impossibile parlarne in queste poche righe (vi rimandiamo per questo a due studi, “Porzûs, Dialoghi sopra un processo da rifare, di A. Kersevan, Kappa Vu 1995 e “Porzûs: la Resistenza lacerata”, di D. Franceschini, IRSML FVG 1996): diciamo soltanto che alle malghe di Porzûs si trovava, assieme agli osovani comandati da Francesco De Gregori “Bolla”, una donna denunciata come spia da Radio Londra (Elda Turchetto, che fu tra gli uccisi), e che si era diffusa la notizia che l’Osoppo aveva avuto dei contatti con la Decima Mas in funzione anticomunista ed antijugoslava. 
Tralasciando le possibili interpretazioni della vicenda vorremmo invece in questa sede parlare del ruolo avuto dall’avvocato di parte civile al processo iniziato a Lucca nel 1951, il triestino Luigi Giannini.
L’avvocato Giannini, medaglia d’argento al valore militare (ma non siamo riusciti a trovare le motivazioni di questa onorificenza), padre di Enrico Giannini (militare della “Legnano” rientrato a Trieste nel maggio 1945 ed arrestato dalle autorità jugoslave, poi scomparso in prigionia), aveva assunto, nel 1947, la difesa di Maria Pasquinelli. Ricordiamo chi era Maria Pasquinelli, ex insegnante di mistica fascista, che si recò come crocerossina in Africa e lì sì travestì da uomo per combattere con l’esercito italiano (e per questo motivo fu espulsa dalla CRI); dopo l’8 settembre si era recata in Istria e in Dalmazia, dove aveva condotto delle ricerche sulle “foibe” per conto della Decima Mas e successivamente aveva fatto da collegamento tra la Decima e la Osoppo (abbiamo trovato in rete questo riferimento al lavoro di Pasquinelli, ma il link non è più disponibile: “tentò verso la fine del 44 e gli inizi del 45, su mandato del comandante Borghese, di trovare un accordo fra la X Mas e la Brigata partigiana Osoppo in funzione anti slava, per preservare le popolazioni civili giuliane e dalmate dalle stragi delle bande titine”). Coincidenza: Maria Pasquinelli aveva avuto una parte negli eventi che portarono alla tragedia di Porzûs, del cui processo si occupò in seguito lo stesso avvocato che assunse la sua difesa quando l’ex maestra, dopo la firma del Trattato di pace del 1947, andò a Pola ed uccise a bruciapelo l’ufficiale britannico Robin de Winton, padre di famiglia, motivando il suo gesto criminale con queste parole:
“Mi ribello, con il proposito fermo, di colpire a morte chi ha la sventura di rappresentarli, ai Quattro Grandi, i quali, alla conferenza di Parigi, in oltraggio ai sensi di giustizia, di umanità e saggezza politica, hanno deciso di strappare ancora una volta dal grembo materno le terre più sacre d\'Italia”.
L’avvocato Luigi Giannini, dunque, difese Maria Pasquinelli, ed esordì davanti alla Corte alleata con queste parole:
“Prima di ogni altra cosa, signor presidente, io mi considero un italiano che difende un’italiana”.
Subito dopo lo svolgimento del processo Pasquinelli troviamo il nome dell’avvocato Giannini in una relazione “riservata”, datata 10/6/47 ed indirizzata dall’Ufficio staccato di Venezia al Prefetto Micali, responsabile per la Venezia Giulia del neo costituito provvisorio Ufficio per le Zone di Confine. Questo Ufficio, ricordiamo, aveva come scopo la “difesa dell’italianità” sia nell’Alto Adige, sia nella Venezia Giulia. Prendiamo alcuni stralci da questa relazione (che si trova citata nella sentenza ordinanza del Giudice Istruttore Carlo Mastelloni di Venezia n. 387/87 AGI “Argo 16”, p. 1.791), che tratta della necessità di trovare una persona adatta a gestire la situazione triestina, dove “è necessario che tutti gli italiani siano cementati in un sol blocco da opporre a quello slavo-comunista, compatto ed unitario, e trarre così quella forza di resistenza tanto necessaria al sostegno ed alla difesa dell\'Italianità della Venezia Giulia”, dove per arrivare a questa coesione non sono considerati adatti i partiti (che “dividono anziché unire i cittadini”) ma piuttosto la Lega Nazionale, che però dovrebbe avere come coordinatore un “fiduciario del governo”, con i requisiti “della popolarità, della conoscenza perfetta della situazione politica, della non appartenenza ai partiti politici, dell’unanime stima e fiducia della popolazione”. Questa persona, che “dovrebbe rappresentare la longa manus del governo, avere ampi poteri, indirizzare la vita politica nella lotta a sostegno dell’italianità della Venezia Giulia”, viene identificato nella persona dell’avvocato “Luigi Giannini, antifascista, colonnello dell\'esercito italiano al seguito delle forze alleate, professionista di alto valore, di vasta preparazione politica, carattere energico, unanimamente stimato e particolarmente popolare quale difensore della Pasquinelli”.
Se poi l’avvocato Giannini abbia rappresentato la longa manus del Governo italiano nella Venezia Giulia (in un momento in cui, ricordiamo, la Venezia Giulia era amministrata da un Governo militare alleato) non siamo riusciti a ricostruire dai dati in nostro possesso, quindi teniamo in sospeso la questione e facciamo un salto in avanti, all’epoca dell’istruttoria per il processo Porzûs.
Riprendiamo in mano la sentenza ordinanza di cui sopra, riportando una breve valutazione del magistrato (p. 1.807) sul comportamento dell’Ufficio Zone di Confine relativamente allo svolgimento dell’istruttoria per i fatti di Porzûs.
< Si trattò dunque di una necessità politica coerente al clima proprio del periodo degli anni dal 1950 al 1952: occorreva ribadire che l’episodio, anche se avvenuto durante la lotta di Liberazione, era da ricondurre esclusivamente alle minacce comuniste di occupazione di parte del territorio nazionale, quanto mai attuali nella Venezia Giulia ove ancora non si era intravista alcuna possibile e soddisfacente soluzione della questione di Trieste.
Si trattò anche di un’ingerenza criptica che passò attraverso i rituali schemi della sovrapposizione dell’Esecutivo al potere Giudiziario, prono alle direttive ricevute (…) >.
Successivamente troviamo inserite nella sentenza alcune comunicazioni intercorse nel 1951 tra il prefetto Innocenti (capo dell’Ufficio Zone di Confine) e l’onorevole friulano Carron “scelto come il canale attraverso cui la Presidenza del Consiglio gestiva anche il lato pratico di alcuni aspetti non trascurabili del processo affidandogli le sovvenzioni finanziarie dirette ad integrare, per così dire, le spese sostenute per le trasferte dai testi e dalle parti lese ritenute insufficienti”. Questo il testo della Nota n° 200/432 del 20/1/51: 
< “Egregio Onorevole, (Carron) l’Avv. Giannini mi informa da Trieste che l’affare “Porzûs” ha subito una battuta d’arresto, che non prelude a nulla di buono per i nostri interessi. 
Egli mi ha soggiunto, inoltre, che Lei avrebbe dovuto presentare alla Giustizia un appunto in proposito: ma fino a ieri, secondo quanto mi ha confermato il Cons. Olivieri Sangiacomo – Capo Gabinetto della Giustizia – nulla sarebbe giunto a quel Ministero. 
Poiché la questione riveste un carattere di particolare urgenza, Le sarò assai grato se vorrà cortesemente farmi conoscere se e quali passi Ella abbia inteso compiere al riguardo…”.

Annesso al telex è stato rinvenuto un altrettanto eloquente manoscritto ove sono fissati alcuni concetti , da qualificarsi vere e proprie direttive, che prontamente riceveranno attuazione: con buona pace del principio di indipendenza della magistratura appena sancito nella carta Costituzionale: 
“Alla cassazione: pendenti ricorsi imputati (processo Porzûs…) intesi a ottenere:
1) revoca dei mandati di cattura in quanto i reati contestati sarebbero stati commessi per i fini politici considerati ai decreti,
2) il rinvio, la nuova istruttoria, la successiva eventuale unione dei giudizi sarebbe irrituale.
Convocare il P.G. di Venezia (quivi, però, è l’Avv. Gen. Tissà che si occupa del processo) e ordinargli che proceda subito contro coloro per cui abbiamo presentato denuncia.
Meglio se fosse incaricato di promuovere l’azione penale il procuratore di Udine (Franz), perché costoro si trovano sul luogo e conoscono i fatti” >.
Successivamente troviamo citato un 
< telex a firma del Prefetto INNOCENTI, che reca il “n° 200/2126/4.124” e datato “18 aprile 1950 ”, inviato all’Avvocato GIANNINI di Trieste rivela come il dirigente l’Ufficio Zone di Confine conoscesse in anticipo ciò che la Cassazione avrebbe deciso: l’assegnazione alla sede di Venezia della trattazione del processo di primo grado all’esito di un ricorso avviato dai difensori della Garibaldi per legittima suspicione in relazione al radicamento della causa a Udine.
Vi è un ulteriore manoscritto , attribuibile - vista la grafia - sicuramente all’avvocato GIANNINI , che evidenzia come il legale abbia chiesto un attivazione del Governo per un intervento presso il Ministero di Grazia e Giustizia i cui organi avrebbero dovuto convocare il Presidente della Corte di Appello ed eventualmente il Procuratore Generale per rappresentare ad essi “ciò che è giusto e necessario fare”:
Un ulteriore intervento finanziario della Presidenza, finalizzato al deposito nel processo di documenti comprovanti la responsabilità dei “Capi Garibaldini” nell’eccidio - documenti tenuti dall’Avv. GIANNINI di Trieste - viene richiesto da Don Aurelio DE LUCA (fondatore della Div. Osoppo) all’Ufficio Zone di Confine. In tal senso il Prefetto INNOCENTI, in data 17 gennaio 1951, stila un Appunto “per l’On. Sottosegretario di Stato” chiedendo l’autorizzazione per un ulteriore impegno finanziario della Presidenza del Consiglio a favore dell’Avvocato GIANNINI :
“Oggetto: processo Porzûs. (Richiesta di Don Aurelio De Luca)
In via riservata ma da fonte attendibilissima (procuratore Repubblica Udine) la Osoppo Friuli è stata avvertita che fra pochi giorni l’istruttoria per il processo Porzûs sarà chiusa.
Non essendosi presentati ancora i documenti definitivi comprovanti le responsabilità dei capi Garibaldini arrestati un mese fà questi verranno rilasciati a piede libero perchè assolti in istruttoria.
La documentazione comprovante la responsabilità degli stessi è nelle mani dell’Avv. Giannini di Trieste, il quale per altro non intende interessarsi ulteriormente del processo se non ha una assicurazione che verrà retribuito per l’opera prestata.
È necessario quindi che l’Avv. venga assicurato immediatamente che non mancheranno i mezzi per la ripresa del processo.
Si fa presente a V.E. che per tale questione la Presidenza ha già erogato la somma di L. 3.500.000, che tramite l’On. Carron sono già stati spesi nella prima fase del processo già svoltosi nel gennaio sc.a. a Brescia.
Per le immediate esigenze di cui sopra viene richiesto un contributo di almeno un milione e mezzo.
Roma, 17 gennaio 1951”.
In calce all’Appunto si rileva la decretazione dell’autorizzazione alla spesa da parte del Sottosegretario >. 

In sintesi, se abbiamo capito bene, l’avvocato Giannini sarebbe stato in possesso di documentazione tale da incriminare gli accusati dell’eccidio di Porzûs, ma per consegnarla agli inquirenti avrebbe chiesto “un contributo di almeno un milione e mezzo” di lire dell’epoca: contributo che gli fu prontamente versato dalla Presidenza del Consiglio, che finanziava l’Ufficio Zone di Confine (ricordiamo che il sottosegretario che si occupava di questo Ufficio era l’allora giovane Giulio Andreotti, all’inizio della sua carriera politica). 
A noi, persone di mentalità ristretta ed antiquata, un tale comportamento appare vagamente anomalo, dato che siamo del parere che un legale incaricato di seguire un’istruttoria dovrebbe, trovandosi in mano documentazione necessaria alle indagini, consegnarle senz’altro agli inquirenti, e non richiedere “contributi” economici.
Abbiamo comunque ritenuto utile rendere nota questa documentazione nei giorni in cui, nel corso delle cerimonie in ricordo dell’eccidio, abbiamo sentito chiedere che l’intera zona delle malghe venga dichiarata monumento nazionale e paragonare (dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Carlo Giovanardi, curiosamente la stessa carica che aveva ricoperto Andreotti all’epoca del processo) i “nostri militari impegnati in Afghanistan” ai partigiani della Osoppo, morti per “valori universali”.





Berlinska revolucija januara 1919.

Jasna Tkalec

3 februar 2011

U januaru 1919. oteti su, podvrgnuti torturi i mučki ubijeni osnivači Komunističke partije Njemačke i vođe pobune Saveza Spartakista Karl Liebknecht i Rosa Luxemburg. Izvršioci zločina bili su Freikörpsi i vojni streljački odredi, a okrutna ubojstva izvršena su po nalogu socijaldemokratske vlade s Friedrichom Ebertom na čelu. Tijelo Rose Luxebmurg bačeno je u kanal rijeke toliko iskasapljeno da ni kasnije, kada je nađeno, nikad nije točno utvrđeno da li se radi o autentičnim ostacima, čak ni kad su svečano sahranjeni i kad je žrtvama podignut spomenik. Ova mračna januarska katastrofa imala je tragične posljedice po historiju ne samo međunarodnog radničkog pokreta nego i po cijelu svjetsku historiju i na neki neizravan način ona je daleki uzrok teških dana koje i danas proživljavamo.

Lenjin i boljševici, kad su u jeku rata podigli Oktobarsku revoluciju, nisu ni jednog časa sumnjali da će se dići cijeli svjetski proletarijat i da će revolucija biti svjetska. Samo kao svjetska revolucija ona je imala nade u uspjeh. To su pokazivali mnogi znaci, jer je do pobuna došlo svugdje, od Kube i Španjolske i od Meksika do Austro-Ugarske. Svuda su se u bazi stvarali savjeti vojnika, radnika i seljaka i narod se odlučno bunio protiv krvave kasapnice Prvog svjetskog rata, bezdušnog izrabljivanja i mučnog života. U našim krajevima došlo je do ustanka mornara u Boki Kotorskoj, koji je ugušen u krvi strijeljanjem mornarskih vođa. Zemlja koja je bila najbliža Rusiji i s čijim su vođama ruski boljševici (pa i menjševici i socijalisti revolucionari) imali najprisnije veze, koja je bila industrijski razvijena i politički organizirana, a čija je radnička klasa bila teško pogođena ratnim gubicima, bila je Njemačka.

I zaista topovi s krstarice Aurora i pad Zimskog dvorca snažno su odjeknuli čitavom Njemačkom. Rat je naglo završen u novembru 1918. na zapadnom frontu, u Francuskoj, budući da je u Njemačkoj došlo do revolucije. Primirje je sklopljeno u željezničkom vagonu u Compiègnu, jer usprkos velikim gubicima Nijemci vojno nisu bili sasvim poraženi. To će izazvati osjećaj povrijeđenosti ponižavajuće teškim uvjetima Versailleskog mira, koji će zemlju baciti na koljena i kazniti je kao agresora, dok se masama u Njemačkoj činilo netočnim i jedno i drugo, a ujedno su doživjele kao veliku nepravdu oduzimanje prostranih pokrajina na istoku i na zapadu. Sve to bit će uzrokom druge, još veće i još krvavije katastrofe: izbijanjem II. svjetskog rata. No u novembru i decembru 1918 godine, nakon što je rat prekinut, a car poslan u umobolnicu, cijela se zemlja zatalasala pod crvenim revolucionarnim valom. Od sjevera do juga zemlje planule su bune. Prvo pobune mornara i vojnika u Kielu, pa u Berlinu i u Münchenu. Plamen je bio velik, ali kratkotrajan.

Njemačka je bila druga po redu zemlja u kojoj su revolucionarni mornari zavijorili zastavu sovjeta duž cijele zemlje i u kojoj je izvršni komitet berlinskih radnika i vojnika imenovao socijalističku vladu u zemlji. Na trenutak se učinilo da su se ruska Februarska i Oktobarska revolucija slile u jednu u toj zemlji, jer čim je imperator abdicirao, izgledalo je da je stvarna vlast u prijestolnici smjesta prešla u ruke najradikalnijih socijalista. Nažalost radilo se o iluziji, koju je izazvala trenutna, ali potpuna paraliza dotadašnje vojske i državnog aparata, dotučenih dotad najstrašnijim dvostrukim slomom kao i izbijanjem revolucije.

Historija nosi iznenadne bljeskove, kad revolucionarni plamen visoko sukne izazvavši skokove unaprijed, da bi potom pad bio još dublji. Ubrzo se prijašnji režim u republikanskom ruhu vratio na svoje staro mjesto i za njega socijalisti nisu više značili ozbiljnu opasnost, jer na izborima raspisanim smjesta nakon revolucije radikalno krilo socijalista nije dobilo većinu. Socijaldemokrati su dobili 38% glasova, dok su odcijepljeni revolucionarni socijalisti dobili svega 7,5% glasova. Još je manju prijetnju za njemačke kapitaliste predstavljala tek osnovana Komunistička partija, čiji su lideri smjesta ubijeni.

revolucija spala na jednu zemlju

Boljševička nada u svjetsku revoluciju i u pobjedu revolucionarnih snaga u Njemačkoj ostajala je žilava usprkos pogibiji Rose Luxemburg i Karla Liebknechta. Isto su takvo nepokolebljivo uvjerenje pokazali i njemački komunisti. U proljeće te nesretne 1919. godine bila je i u Bavarskoj proklamirana Sovjetska republika, koja je ugušena ubojstvom njenog vođe, nakon čega se pobunio München, središte kulture i umjetnosti zemlje s tradicionalno jakom opozicijom . Revolucionarno talasanje u Evropi time nije još bilo završeno i davalo je i dalje nade boljševicima: Nakon Njemačke podigla se Mađarska, u kojoj je revolucija trajala od mjeseca marta do jula 1919. godine, ali i ona je bila poražena i izazvala veliki emigrantski val.

Poraz revolucija u Evropi ostavio je Rusiju odnosno Sovjetski Savez izoliran i osamljen pa ga ni herojstvom izvojevana pobjeda u građanskom ratu ni poraz strane intervencije neće uspjeti spasiti od zastranjivanja. Nikad ni Marx ni itko drugi tko je pasionirano slijedio nauk Kapitala i Komunističkog Manifesta nije računao na pobjedu komune samo u jednoj zemlji i još tako užasno zaostaloj kao što je bila Rusija. Bila je to revolucija protiv Kapitala, kako ju je nazvao Antonio Gramsci, odnosno sve tragedije, svi neuspjesi i mrlje na crvenoj zastavi, sva sramoćenja revolucionarnog pokreta, koja su se dogodila u dvadesetom stoljeću prouzročio je neuspjeh svjetske revolucije, a njen prvi tragični poraz bilo je obezglavljivanje revolucionara u Njemačkoj, slom Spartakovaca i ubojstva revolucionarnih vođa Liebknechta i Luxemburg. Kažu da je i sam Lenjin toga bio itekako svjestan, a Trocki nikad nije prestao propovijedati i vidjeti pobjedu revolucije isključivo kao svjetski fenomen.

Makar i u jednoj jedinoj zemlji Oktobarska revolucija, prva pobjeda u historiji najbjednijih nad kapitalom, obilježila je cijelo XX. stoljeće oslobađanjem od životnih muka i robovskog rada ugnjetenih u vlastitoj zemlji te velikom nadom kojom je obasjala svijet i kroz cijeli vijek inspirirala porobljene. Zemlja sovjeta podnijela je lavovski dio u antifašističkoj borbi u II. svjetskom ratu, položivši za pobjedu nacifašizma dvadeset milijuna života svojih građana i omogućavala sve antiimperijalističke i antikolonijalne pokrete Trećeg svijeta uz udoban položaj radničke klase na Zapadu, jer se svjetski kapitalizam bojao bastiona radničke pobjede, koji je, usprkos svemu, predstavljao SSSR.

Ipak, razilaženja u shvaćanju revolucije i njenih institucija između boljševika i njemačkih lijevih socijalista ispoljila su se veoma rano – u poznatoj polemici između Lenjina i Luxemburg. Rosa Luxemburg bila je protiv diktature proletarijata u Lenjinovoj interpretaciji, protiv raspuštanja ustavotvorne skupštine i za striktno poštovanje prava zbora i dogovora kao i političkog organiziranja. Ona je bila za proširenje, a ne za sužavanje prava izborenih Francuskom revolucijom. Bez tih prava smatrala je da će radnička klasa biti sputana luđačkom košuljom i da je ukidanje demokracije i slobode parlamenta kobno i po samu radničku klasu. Ipak, čvrsto je stajala i ostajala na strani revolucije u burnim danima, koji su zahvatili Njemačku. Još i danas odjekuje i jednako je živ njen historijski poklič: "Revolucija ili barbarstvo!"

Nažalost, u Njemačkoj će konzervativne snage iznijeti pobjedu i 1919. i 1933. godine, a ta će pobjeda dovesti na svjetsku pozornicu barbarstvo. Dotad nezamisliva surovost te industrija rata i smrti krvlju će okupati svijet. Propast Spartakovaca bila je u neku ruku najava svih nadolazećih katastrofa dvadesetog stoljeća, njegovih ratova s neviđenim razaranjima, a indirektno i najava konačnog sloma Sovjetskog Saveza, kao i današnje svjetske tragedije ljevice. Da je pobijedila revolucija u Njemačkoj, historija dvadesetog stoljeća poprimila bi sasvim drugi tok.

Koncepcije za koje su se zalagali Spartakovci žive u radničkom pokretu i dan danas i predstavljaju ciljeve za koje se još uvijek vrijedi boriti. A ti su principi revolucionarna spontanost, demokracija koja polazi odozdo, iz baze, gdje se odluke donosi u savjetima. Revolucionarna tijela i organi imaju se povinovati demokratski donesenim odlukama baze, a ne rezolucijama partijskog aparata. Jednaka je i važnost proleterskog internacionalizma, koji lokalne manjine pretvara u ogromnu većinu. Oni koji nemaju, oni izrabljivani jučer kao i danas predstavljaju nesumnjivu većinu. Veliku važnost treba pridavati svijesti klase rada, jer bez nje nema pobjede u klasnoj borbi. Spartakovci su se također opredijelili protiv privatnog vlasništva nad sredstvima za proizvodnju, a smatrali su svojim glavnim zadatkom borbu za mir, protiv imperijalističkog rata, i gajili uvjerenje da opći štrajk svih radnika svijeta može dovesti do pobjede svjetske revolucije. Njihov je krajnji daleki cilj bilo ostvarenje komunističkog društva, a taj san završio je njihovom fizičkom likvidacijom i bacanjem njihovih posmrtnih ostataka u kanal. Tako je san o svjetskoj revoluciji završio jednog hladnog januarskog dana u Spreei, a nad svijet se nadvila buduća nesreća neslućenih razmjera.


Jorès i Luxemburg pozivali su na generalni štrajk protiv rata, što će ih oboje doći glave. Smrt Rose Luxemburg, osim sudbinskog gubitka za njemačku i poljsku revoluciju, značila je i gubitak izvanredne teoretičarke marksizma, koja je vrlo rano uvidjela golemu žilavost kapitalizma, što je ovaj crpi od imperijalizma, te nije predviđala, za razliku od Lenjina i boljševika, njegov skori i munjevit kraj. Ipak, argumentirano se i neštedimice obračunavala sa socijaldemokratskim revizionizmom Bernsteina, a uz naglašeno nepristajanje na privatno vlasništvo ima historijsku zaslugu što nikad nije posumnjala da je jedina alternativa socijalizmu barbarstvo. Kao poljska Židovka zazirala je od nacionalističkih pokreta pa je čak izrazila sumnju i u lenjinistički princip samoopredjeljenja naroda, dijelom jer je doživjela krvavi uspon poljskog nacionalizma, a dijelom jer je smatrala da treba u svakom slučaju dati prednost klasnoj borbi i internacionalizmu . Iza tragedije te rijetke žene ostala su pisma iz zatvora, djela Kapital i njegova akumulacija te Revolucija u Rusiji, polemika s Lenjinom i mnogobrojni napisi inspirativni i uvijek aktualni, pravi rudnik misli i stavova, a svojevrstan kuriozitet svakako predstavlja i činjenica što ju je dao ubiti njen vlastiti učenik, predsjednik socijaldemokratske vlade Ebert.Rosa Luxemburg, čije ime i danas inspirira komuniste, revolucionare i autentične ljevičare širom svijeta, rođena je u poljskom gradiću Zamošć 1871. kao peto dijete siromašne židovske porodice. Djevojčica se u školi isticala neobičnom umnošću i uspjela je, usprkos siromaštvu, studirati u Zürichu s cijelom plejadom ličnosti koje će odigrati važnu ulogu u radničkom pokretu, u revoluciji te u intelektualnim domašajima Evrope početkom dvadesetog stoljeća. Po završetku studija Luxemburg se bavila političkom agitacijom u Poljskoj, ali zbog progona mora pobjeći iz zemlje te je od 1907. do 1914. u Berlinu predavala političku ekonomiju. Kad je izbio rat čvrsto je stala na antiimperijalističke pozicije i organizirala niz pacifističkih manifestacija, zbog čega je uhapšena po nalogu cara Wilhelma II. Iako je osuđena na robiju, iz zatvora izlazi 1916. godine i s Karlom Liebknechtom nastavlja politički rad. Pacifistička djelatnost Rose Luxemburg, Karla Liebknechta, Clare Zetkin i Franza Mehringa predstavlja uz glas Jeana Jaurèsa u Francuskoj, kojeg su morali ubiti da bi počeli rat, jedine svijetle trenutke u općem pomračenju razuma cijelih nacija, što je dovelo do sveopćeg pokolja u interesu imperijalista i njihovih slugu.

Suosnivač Spartakovaca ubijen zajedno s Rosom, Karl Liebknecht, bio je sin osnivača Njemačke socijaldemokratske partije, Wilhelma Liebknechta iz Leipziga. Pošto je završio pravo i političku ekonomiju te doktorirao, otvorio je s bratom Theodorom advokatsku kancelariju u kojoj je branio osuđivane socijaliste. Kao član socijaldemokratske partije bio je predsjednik Socijalističke internacionale, a zbog djela Militarizam i antimilitarizam prvi put je uhapšen 1910. Potom postaje zastupnikReichstaga, a 1914. osnovao je s Franzom Mehringom, Klarom Zetkin, Paulom Levijem te Leom Jogichesom Savez Spartakovaca. Uskoro je uhapšen i upućen na front.

Oslobođen zbog bolesti, ponovo je uhapšen 1916. i osuđen za veleizdaju. Po izbijanju revolucionarnog pokreta u Berlinu 1918. pušten je iz zatvora i nastavio je revolucionarni rad. Ekspresionistički pisac Döblin posvetio je najljepše stranice svog djela liku narodnog vođe i Liebknechtovim riječima na pogrebu žrtava revolucije 1918. Spartakovci izdaju novine Crvena zastava, a u novembru 1918. Liebknecht proglašava Slobodnu Socijalističku Republiku s balkona Berlinskog dvorca, svega dva sata nakon što je Philipp Schleidemann proglasio Njemačku Republiku s balkona Reichstaga 31. decembra 1918. Prvog januara osnovana je Komunistička partija Njemačke. Dana 6. januara Spartakovci su u Berlinu podigli ustanak na čelu kojeg su bili Karl Liebknecht, Klara Zetkin, Rosa Luxemburg i Leo Jogiches. Ustanak nije uspio - vojska ga je okrutno ugušila, bilo je mnogo žrtava. Luxemburg i Liebknecht oteti su 13. januara, a ubijeni vjerojatno 15. te bačeni u kanal rijeke Spree.

Tog hladnog siječnja nisu samo prestala kucati dva revolucionarna srca njemačkog naroda. Uništena su i dva sjajna uma, koja su umjela razumjeti i predvidjeti historiju.



(english / italiano / deutsch)

Memoria 2011 / 7

Il Vaticano, la svastica e gli ustascia

1) OPERAZIONE ODESSA. Mi manda il Cupolone (G. De Luna, 2003)
Sulla fuga dei criminali nazisti e ustascia verso l'Argentina di Peron
2) Il Führer e il prelato, cattolici con la svastica (M. Patti, 2006)
Sull'apertura degli archivi del vescovo nazista Alois Hudal
3) Silence Implies Approval (G. Wilensky, 2011)
You’d think the Catholic Church would (...) repudiate the actions of the Ustasha and its leader Pavelić, but you’d be wrong.


--- LINKS: ---

Über die Netzwerke des Bundesnachrichtendienstes
von Klaus Eichner und Gotthold Schramm, Tageszeitung junge Welt

Teil I: Braunes Sammelbecken (03.02.2011 / Thema / Seite 10)
http://www.jungewelt.de/2011/02-03/015.php

Teil II und Schluß: »Im Dienste alter Kameraden« (04.02.2011 / Thema / Seite 10)

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“Far more than shameless.” A Survivor Talks About Croatia’s ‘Museum’ at Jasenovac

Interview with Smilja Tišma (Belgrade), President, Organization of Survivors
Interviewer and translator: Jovan Skendžic [5 February 2007]


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LA NOSTRA PAGINA DEDICATA A RATLINES E ODESSA
https://www.cnj.it/documentazione/ratlines2.htm

Ratlines. La guerra della Chiesa contro il comunismo: le reti di fuga dei criminali di guerra nazisti e ustascia nel secondo dopoguerra, con la copertura del Vaticano (sintesi dal libro di Mark Aarons e John Loftus)
https://www.cnj.it/documentazione/ratlines.htm

La nostra pagina sui crimini degli ustascia nella Croazia "indipendente" (1941-1945)

La nostra pagina sui crimini degli ustascia, al servizio della NATO nel corso della Guerra Fredda


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LA STAMPA, 3/11/2003
Sezione: Cultura Pag. 16

LA FUGA DEI CRIMINALI NAZISTI VERSO L'ARGENTINA DI PERÓN:
UNA METICOLOSA E DOCUMENTATA RICOSTRUZIONE DELLO STORICO UKI GOÑI 

OPERAZIONE ODESSA
Mi manda il Cupolone

Giovanni De Luna

Lo chiamavano il «Mengele danese», Carl Vaernet era un medico delle SS che sosteneva di aver scoperto una «cura» per l'omosessualità; nel 1944 Himmler mise a disposizione delle sue folli ricerche la popolazione del «triangolo rosa», gli omosessuali internati a Buchenwald. I malcapitati furono castrati e gli fu impiantato un «glande sessuale artificiale», un tubo metallico che rilasciava testosterone nell'inguine. Secondo i racconti dei sopravvissuti, i medici delle SS a Buchenwald raccontavano barzellette raccapriccianti su quel tipo di esperimenti. Vaernet era un pazzo sadico; inserito nella lista dei criminali di guerra, alla fine del conflitto riuscì a scappare sano e salvo in Argentina. E come lui migliaia di aguzzini nazisti tedeschi, fascisti italiani, ustascia croati, rexisti belgi, collaborazionisti francesi ecc.; tutti se la cavarono grazie a una rete di complicità mostruosamente efficiente e all'aperta connivenza del governo di Juan Domingo Perón. Un romanzo (Dossier Odessa) di Frederick Forsyth, raccontava di un gruppo di membri delle SS che dopo la sconfitta si erano raccolti in un'organizzazione segreta (Odessa, acronimo di Organisation der Ehemaligen SS-Angehorigen) che aveva il duplice scopo di salvare i commilitoni dalle forche degli Alleati e creare un Quarto Reich che completasse l'opera di Hitler. Per quanto romanzesca fosse la trama «inventata» da Forsyth, il suo racconto si avvicinava in modo inquietante alla realtà. Odessa esisteva davvero. Solo era difficilissimo ricostruirne la storia: i fascicoli del suo archivio erano stati distrutti in gran parte nel 1955, nel marasma degli ultimi giorni del governo di Perón; quelli che rimasero furono definitivamente buttati via nel 1996. Ma le tracce della sua attività erano troppo evidenti per essere cancellate del tutto. Così ora, finalmente, grazie alla pazienza e all'abilità dello storico e giornalista argentino Uki Goñi (Operazione Odessa. La fuga dei gerarchi nazisti verso l'Argentina di Perón, Garzanti, pp. 480, e.24) e lunghe ricerche in Belgio, Svizzera, Londra, Stati Uniti, Argentina, disponiamo di una storia completa della più incredibile operazione di salvataggio di migliaia di criminali mai progettata e mai realizzata in tutto il Novecento.
Diciamolo subito. Se l'Argentina di Perón era la «terra promessa», l'asilo già generosamente predisposto ancor prima che la guerra finisse, il cuore e il cervello dell'intera operazione Odessa era a Roma (dove Perón soggiornò dal 1939 al 1941), nel cuore del Vaticano. In quel turbinoso dopoguerra italiano era veramente difficile distinguere tra vincitori e vinti. Nazisti e fascisti avevano perso la guerra; eppure mai ai vinti mancò il soccorso dei vincitori, il sostegno di quelle istituzioni che sarebbero dovute nascere all'insegna dell'antifascismo e della democrazia e che invece erano ricostruite nel segno della più rigorosa continuità con i vecchi apparati del regime fascista. Fu l'anticomunismo, furono le prime avvisaglie della «guerra fredda» a spingere i vincitori a salvare i vinti.
Il Vaticano fu il motore di questa scelta. Ma veramente monsignor Montini fu il protagonista di questo intervento che garantì l'incolumità a criminali come Erich Priebke, Josef Mengele, Adolf Eichmann ecc.? E veramente il Vaticano fu il crocevia di tutta una serie di iniziative che puntavano a rimettere in piedi il movimento ustascia di Ante Pavelic per organizzare una guerriglia anticomunista contro la Jugoslavia di Tito? Sì, veramente. Già nel 1947 i servizi segreti americani avevano stabilito che «una disamina dei registri di Ginevra inerenti tutti i passaporti concessi dalla Croce Rossa internazionale rivelerebbe fatti sorprendenti e incredibili». Oggi la disamina di quei registri è possibile e Goñi l'ha fatta. E le sue conclusioni sono nette: la Chiesa cattolica non fu solo un complice dell'«operazione Odessa» ma la sua protagonista indiscussa: oltre a monsignor Montini i suoi vertici furono i cardinali Eugène Tisserant e Antonio Caggiano (quest'ultimo, argentino, nel 1960 espresse pubblicamente - «bisogna perdonarlo» -, il suo rincrescimento per la cattura di Eichmann da parte degli israeliani), mentre la dimensione operativa fu curata da una pattuglia di alti prelati, il futuro cardinale genovese Siri, il vescovo austriaco Alois Hudal, parroco della chiesa di Santa Maria dell'Anima in via della Pace a Roma e guida spirituale della comunità tedesca in Italia, il sacerdote croato Krunoslav Draganovic, il vescovo argentino Augustín Barrère. 
I documenti citati da Goñi sono molti e molto convincenti, da una lettera del 31 agosto 1946 del vescovo Hudal a Perón che chiedeva di consentire l'ingresso in Argentina a «5 mila combattenti anticomunisti» (la richiesta numericamente più imponente emersa dagli archivi) all'intervento di Montini per esprimere all'ambasciatore argentino presso la Santa Sede l'interesse di Pio XII all'emigrazione «non solo di italiani» (giugno 1946). Non si tratta di iniziative estemporanee e certamente la loro rilevanza storiografica non può esaurirsi in una lettura puramente «spionistica».
Un versante della seconda guerra mondiale trascurato dagli storici è quello che vede gli Stati latini, cattolici e neutrali, europei e sudamericani, protagonisti di vicende diplomatiche segnate però da un particolare contesto culturale e ideologico: nella cattolicissima Argentina (la Vergine Maria fu nominata generale dell'esercito nel 1943, dopo il golpe dei militari) ci si cullò nell'illusione di poter formare insieme con la Spagna e il Vaticano una sorta di «triangolo della pace», per preservare «i valori spirituali della civiltà» fino a quando la guerra in Europa continuava. Un progetto più ambizioso puntava a unire, con la leadership del Vaticano, i paesi dell'Europa cattolica, Ungheria, Romania, Slovenia, Italia, Spagna, Portogallo e Francia di Vichy per integrarli nel «nuovo ordine europeo» voluto dai nazisti; in quel periodo (1942-1943), in Sud America governi filonazisti esistevano già in Argentina, Cile, Bolivia e Paraguay: il disegno era di conquistare a un'alleanza in chiave antiamericana anche il piccolo e democratico Uruguay e il grande e cattolico Brasile. Questi disegni naufragarono tutti sotto il peso delle rovinose sconfitte militari dell'Asse ma furono l'humus ideologica da cui nacque nel dopoguerra la rete di «Odessa».
La centrale italiana operò soprattutto per il salvataggio degli ustascia di Ante Pavelic. Alla fine della guerra ce n'erano migliaia, sparsi nei vari campi a Jesi, Fermo, Eboli, Salerno, Trani, Barletta, Riccione, Rimini ecc. Una poderosa ricerca ora avviata dal giovane storico Costantino Di Sante sta facendo luce su una delle pagine più oscure di quel periodo. Si trattava di criminali macchiatisi di delitti che avevano suscitato orrore perfino nei loro alleati nazisti (che biasimarono «gli istinti animaleschi» dei croati): fucilazioni di massa, bastonature a morte, decapitazioni, per conseguire il risultato di uno Stato (la Croazia) razzialmente puro e cattolico al 100%. Alla fine della guerra circa 700 mila persone erano morte nei campi di sterminio ustascia a Jasenovac e altrove: le vittime appartenevano soprattutto alla popolazione serba ortodossa ma nell'elenco figuravano anche moltissimi ebrei e zingari. Il principale teorico del regime croato, Ivo Gubernina, era un sacerdote cattolico romano che coniugava le nozioni di «purificazione» religiosa e «igiene razziale» con un appello affinché la Croazia «fosse ripulita da elementi estranei».
Gran parte di questi criminali si salvò passando da Roma verso l'Argentina: la via di fuga portava a San Girolamo, un monastero croato sito in via Tomacelli 132. Parlando del loro capo, Ante Pavelic, un rapporto dei servizi segreti americani concludeva: «Oggi, agli occhi del Vaticano, Pavelic è un cattolico militante, un uomo che ha sbagliato, ma che ha sbagliato lottando per il cattolicesimo. È per questo motivo che il Soggetto gode ora della protezione del Vaticano». Alla fine, tra il 1947 e il 1951, secondo i dati raccolti da Di Sante, furono 13 mila gli ustascia che riuscirono a salvarsi usando il canale italoargentino.

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Il Führer e il prelato, cattolici con la svastica

di Martino Patti

su Il Manifesto del 06/10/2006 - http://www.ilmanifesto.it

L'apertura degli archivi del vescovo filonazista Alois Hudal, rettore per decenni del Collegio pangermanico di Santa Maria dell'Anima a Roma ripropone la necessità di una analisi in profondità dei rapporti tra la gerarchia cattolica tedesca e l'ideologia hitleriana


Da tempo, ormai, il dibattito storiografico sui rapporti tra chiesa cattolica e Germania nazista sembra essersi impantanato sull'enigmatica figura di Pio XII. Ben sapendo che una porzione consistente delle carte resta ancora sotto chiave negli archivi vaticani (ognuno ha i suoi tempi, per carità) si continuano a costruire le ipotesi più fantasiose sui presunti silenzi del pontefice, sul suo presunto antisemitismo, sulle sue presunte responsabilità nelle vicende legate al secondo conflitto mondiale e all'Olocausto, quasi fosse questa la sola cosa essenziale. Certo il reality - vero o falso che sia - vende discretamente bene e a molti, in fondo, imbastire polemiche conviene.
Ma sul serio non c'è dell'altro? Sul serio, per comprendere in che modo - tanto per iniziare - il cattolicesimo tedesco reagì alla virulenta ondata hitleriana e alla demolizione definitiva della Repubblica, non possiamo prescindere dal povero Pacelli, e provare a ritagliare un numero esauriente di casi empirici, da cui dedurre - come richiederebbero le leggi più elementari della storiografia - situazioni, convergenze ricorrenti e eventualmente una prima interpretazione? «Guré, guré behet kalaja» recita un antico proverbio albanese: pietra su pietra, si fa il castello.

Un prelato arrivista

Gli spazi di lavoro, del resto, sono ampi e variegati. Talvolta, persino al di qua del Brennero: come ci dimostra il Collegio Pangermanico di Santa Maria dell'Anima in Roma, che con un doveroso gesto di coraggio (tardivo anch'esso, ma comunque ammirevole) inaugura oggi l'apertura agli studiosi degli archivi personali di monsignor Alois Hudal. Il passaggio è di notevole importanza, anche se forse sull'infame Netzwerk Odessa saranno poche le sorprese. I novantasei faldoni hudaliani, infatti, oltre a gettare luce sulla personalità (contorta e arrivista) dell'autorevole prelato austriaco, a confermare in maniera non più discutibile le tristi immagini affrescate da Ernst Klee nei suoi brillanti reportage (tradotti in italiano in Chiesa e nazismo, Einaudi 1993) e a suggerire nuove piste di ricerca, mettono bene in risalto l'ingombranza fastidiosa dell'enorme piattaforma mentale e culturale offerta da ampi settori del cattolicesimo di ambientazione germanica alla presunta «rivoluzione nazionale» ventilata dal Führer e dal suo movimento.
Le simpatie di monsignor Hudal per il nazismo non sono una novità per nessuno né si dimentica che, ancora nei primi anni '60, fu lo stesso rettore emerito del prestigioso istituto pontificio a ribadire con superbia, dall'esilio forzato di Grottaferrata, tra le righe dei Römische Tagebücher (i «Diari romani»), la sua tesi ributtante: sempre meglio Hitler che la paccottiglia giudeo-bolscevica, la democrazia socialdemocratica o per contro il capitalismo americano. E ai forni polacchi neanche un accenno, una allusione di pietà.
Trent'anni addietro, inoltre - al chiaro scopo di convincere le gerarchie ecclesiastiche e i cattolici più «illuminati», e tuttavia ancora timorosi, circa l'intrinseca bontà o recuperabilità in chiave cristiana del nazismo - Hudal aveva dato alle stampe il ponderoso trattato Die Grundlagen des Nationalsozialismus («I fondamenti spirituali del nazionalsocialismo», Lipsia-Vienna, 1936).

Condanne in contumacia

Nessuno sgomento, dunque, nel ritrovare, tra i forzieri rinascimentali dell'Anima, obbrobri clamorosi quali la dedica del volume al dittatore tedesco («Al Führer del Risorgimento tedesco. Al novello Sigfriedo della grandezza e della speranza della Germania - Adolf Hitler») o la copia del telegramma datato 15 luglio 1937, con cui Hudal, ormai vescovo titolare di Ela, esprimeva alla dirigenza del Reich le proprie cordiali congratulazioni per la buona riuscita dell'Anschluß. Di fronte a simili sbottate lo sdegno è sacrosanto. E tuttavia, condannare in contumacia i monsignori - com'è d'uso da almeno mezzo secolo - basta davvero a far progredire la ricerca? Evidentemente no. Quel che serve, semmai, è afferrare le radici nel profondo, stabilire legami verosimili tra il presente e il passato - e poi, è ovvio, agire e contestare se necessario. È una questione anche di strategia: per poterlo sconfiggere, prima bisogna conoscerlo, il nemico. Ma da questo punto di vista è desolante constatare quanto superficiale sia stato finora, in generale, l'approccio analitico al fenomeno del consenso cattolico nei confronti dei regimi autoritari fioriti in mezza Europa tra le due guerre mondiali. Che non si sia compreso come il sostegno di Hudal al nazismo, lungi dal rappresentare il singolare esito patologico di una qualche deviazione individuale, riassuma in miniatura una intera stagione teologico-intellettuale, e forse persino magistrale, precisamente questo è grave.
Ma cosa dicono le fonti? In realtà, le più recenti acquisizioni documentarie, e segnatamente gli scritti di monsignor Hudal, suggeriscono la netta impressione che, specie nei primi ventiquattro mesi di dittatura - sullo sfondo della modernità illuminista e liberale, della secolarizzazione, del Kulturkampf «d'infausta memoria» e della minacciosa rivoluzione d'Ottobre - sia scattata una sciagurata interferenza tra la profezia ideologica divulgata, e in parte poi inverata, dalla Nsdap (il partito nazista) e le correnti teologiche più avanzate dell'epoca. Nella congiuntura di sofferta transizione scaturita da Versailles, contrassegnata dalla depressione economica e dal radicalizzarsi del conflitto sociale, la lezione aristotelico-tomista e agostiniana (mediata tra Otto e Novecento da pensatori neoscolastici del calibro di Josef Kleutgen, di Martin Grabmann, di Erich Przywara) sembra infatti aver fornito ai genî più volenterosi - tra cui Hudal in prima fila - il presupposto logico necessario per tradurre in certe istanze restaurative della condizione di Ordine la riproposizione del primato, tutto medievale, del dato oggettivo su quello soggettivo, dello stato (civitas) e dell'auctoritas sul contrattualismo illuminista, dell'unità responsabile sugli egoismi frammentari e particolaristici. In tal modo, la collaborazione con il nuovo stato avrebbe potuto concretizzarsi (e si concretizzò, sovente) intorno a quattro poli fondamentali.

La coscienza tedesca

Prima di tutto l'impero, perché l'unico schema politico-istituzionale in grado di salvaguardare l'ordine cristiano della creazione, l'ordine buono vero e giusto del reale (natürliche Weltordnung), era quello in cui l'autorità derivava da Dio e non dall'uomo, cioè dalla repubblica democratica: come del resto esigeva la migliore tradizione nazional-germanica che, a prescindere dalla volgare retorica hitleriana, contemplava già per conto suo il Führerprinzip autoritario. Al riguardo, basti pensare al caso paradigmatico di Otto von Bismarck. In secondo luogo l'unità, perché del Kulturkampf, almeno una conseguenza non potrà mai esser posta in discussione dagli storici: aver approfondito l'infausta spaccatura ereditata da Lutero, frantumando ulteriormente la coscienza nazionale dei tedeschi e generando, nei cattolici, la sgradevole sensazione di essere, in fondo, una minorità ingiustamente perseguitata dallo Stato. Ma cosa sventolava il buon Ottone redivivo, sotto il naso dei tedeschi, se non proprio la solenne immagine programmatica della Volksgemeinschaft, della Volkswerdung ossia dell'agognata riunificazione di tutti i Volksgenossen (termine che non si traduce in italiano con «cittadini», ma piuttosto con «membri» cioè «fratelli nel sangue, nella lingua e nella terra condivisa») nella ritrovata comunità nazionale ed ecclesiale? Terzo punto, la totalità: sin dai tempi di Pio IX, il magistero ufficiale aveva adottato l'antica visione teologica, anche questa di chiara matrice patristica e aristotelico-tomista, secondo la quale, nei limiti della Creazione divina, la sfera politico-civile si vedrebbe destinata, secondo natura, ad armonizzarsi alla dimensione religiosa e sovrannaturale, pur restando entrambe ermeticamente separate. Ed ecco, se da un lato la politica religiosa del regime in via di normalizzazione a nient'altro mirava che alla spoliticizzazione coatta delle chiese in quanto associazioni tra le tante, dall'altro lato larghi settori del cattolicesimo tedesco non disdegnarono affatto la formula del «cristianesimo positivo», che avrebbe permesso loro di affossare, insieme agli altri partiti d'epoca liberale, il Zentrum scellerato, riducendo la chiesa al suo più genuino ufficio spirituale. Infine, il corporativismo organicista: con rara fermezza, nell'enciclica Quadragesimo anno, Pio XI aveva preso posizione contro «la lotta di classe fratricida fomentata dal bolscevismo marxista», invitando i cristiani a ristrutturare il corpo sociale in direzione sia della definitiva redemptio proletariorum sia, soprattutto, della berufsständische Volksordung. Questa espressione - legata per definizione ai concetti di natura (Natur), di ordine cosmico naturale (natürliche Ordnung) e di ordine stabilito da Dio (gottgewollte Ordnung) - non gode di una traduzione immediata in italiano ma è densa di significato perché sottende una forte valenza non solo metafisica, ma anche etica. Stando alla lettera, infatti, essa raffigura per un verso quell'Ordine ideale, quell'articolazione «ontologica» che il Volk (che non vuol dire «popolo» quanto piuttosto «nazione», anch'essa creata nel sangue dalla mano paterna di Dio) tenderebbe ad assumere in ragione dell'attuazione da parte di ogni suo membro delle proprie doti naturali (natürliche Fahigkeiten) ma per un altro verso, anche, quella realtà comunitaria (Gemeinschaft, non Gesellschaft) che, strutturandosi per ceti o corporazioni professionali (Berufstände, berufsständische Körperschaften), esclude o congela la possibilità stessa della mobilità sociale: giacché, in quella prospettiva, «professione» significa né più né meno «risposta a una vocazione naturale» (si pensi a Max Weber). Ma, quantomeno sul piano delle similitudini formali, non è possibile rilevare una certa contiguità tra questa visione ideale e l'impianto classista della riforma giuslavorista varata dai ministeri Schmitt-Mansfeld il 20 gennaio 1934 nel quadro più o meno emergenziale della nuova economia di guerra? Inoltre, se è vero che il dottor Angelico aveva sentenziato «Bonum commune melius est et divinius bono unius», non è altrettanto vero che Hitler e i suoi scherani inneggiavano nei discorsi ufficiali e negli scritti programmatici al primato del bene comune sull'interesse privato («Gemeinnutz vor Eigennutz!»)?
Sebbene sia ancora troppo presto per lanciarsi in categoriche asserzioni positive, alla luce di queste osservazioni si è comunque tentati di stabilire un paio di conclusioni. In primo luogo, dal punto di vista metodologico (come amava insegnare Edward Hallett Carr), colui che vuol spiegare la storia in tutta la sua complessità materiale deve non solo introdurre una gerarchia tra diverse cause in inter-relazione, ma anche rivivere interiormente ciò che avvenne nelle menti delle sue dramatis personae, ascoltando prima di giudicare. Ma nel nostro caso specifico questo può significare una cosa soltanto: abbandonare quell'ottica forzatamente laicizzante che da decenni ormai ci impedisce di discutere in maniera adeguata questioni le cui radici affondano anche in un humus palesemente storico-religioso e teologico.

Oltre le versioni ufficiali

In secondo luogo, premesso che in effetti sarebbe rischioso «anche solo supporre un atteggiamento univoco o unitario di tutta la Chiesa cattolica o di tutta la Curia romana nei confronti del nazionalsocialismo» (Hubert Wolf), e che certo vi è una differenza sostanziale tra la fase della Machtergreifung (30 gennaio 1933) e quella successiva - inaugurata il 30 giugno 1934 con la liquidazione del fronte conservativo: la cosidetta «notte dei lunghi coltelli» - viene da chiedersi se alla fine dei conti non sia ingenuo accettare la versione ufficiale dei fatti e credere che la «grande conciliazione» (Günter Lewy) dischiusa alle relazioni tra stato e chiesa cattolica in Germania dalla storica conferenza di Fulda (30 maggio-1 giugno 1933), con l'abolizione del divieto episcopale di adesione alla Nsdap ad esempio, sia stato il semplice risultato di una serie di circostanze accidentali e di eventi contingenti. Non è forse arrischiato ridurre il concordato, siglato con il Reich nel luglio '33, al provvidenziale strumento giuridico intessuto dall'astuta diplomazia pacelliana per attuare una improbabile opposizione al regime oppure per salvare il salvabile ed evitare il collasso letale - e niente più? Smettiamo di fare apologia, da una parte e dall'altra, e affrontiamo la realtà.
Molto probabilmente, nella misura in cui il nuovo Stato totale avesse conformato anche solo in via preliminare la propria politica interna a un modello rigido di tipo etico e organicista, lasciando intravedere la restaurazione, da operarsi anche manu militari, della Weltanschauung dell'Ordine naturale, il ripristino dell'Ordine della Creazione, la Chiesa avrebbe sostenuto senza troppo tergiversare e anzi con viva sollecitudine l'opera del Führer. E del resto, dato quel passato, dato quel presente, data quella mentalità, data quella sensibilità morale, non è verosimile pensare che, quantomeno a livello gerarchico e organizzativo, difficilmente sarebbe potuto accadere altrimenti?



=== 3 ===



Often, religious people cling to their religion because it provides them with solace and succor during times of despair or hardship. Many times religious people go to their priests, rabbis or imams for advice on matters related to morals and ethics. Given this background, anyone studying religion might conclude religion and its institutions are good things, and religion is a force for good in the world.

But, is that really so? Has religion in general been a force for good in the world? Has it made people more compassionate, more respectful of others, more tolerant of their beliefs? Has the advice given by the authorities of the various world religions been good and made people behave any better?

I would argue the opposite is true, and that any study of the effects of religion throughout human history would show for the most part a direct correlation between religiosity and intolerance, brutality, ignorance, discrimination, lack of compassion and immorality.

As one example out of many, we may look at the role religion played during what was likely the most horrific time in human history, the Second World War. At that time, we find man’s worst behavior toward man, at a level and scope unprecedented until that point. It will be interesting to see what role religion played during this cataclysmic event.

Unfortunately for religion, organized or otherwise, it doesn’t look very good. Clearly the Nazis went on their genocidal rampage motivated by secular reasons, but both the Germans and the vast numbers of helpers they easily recruited in the countries they occupied had all been brought up in the Christian tradition. What this meant is that when the Nazis began their anti-Jewish campaign they found that—like themselves—the population already felt deep antisemitism and already believed the Jews to be evil and enemies of everything that was good. Therefore the Nazis had very little to invent in their campaign against Jews and had no difficulty in persuading anyone to denounce, hunt down and murder their Jewish neighbors.

If the Nazis were not driven by religious zeal in the execution of the Holocaust, we must then ask the obvious question of what role religion played during that watershed event. Given that the perpetrators had been instructed by their Christian tradition to feel compassion and love for their neighbors, do we have any evidence the majority felt any moral qualms or refrained from murder when asked to kill Jews? Or did the perpetrators willingly and eagerly behave toward Jews in a way that was consistent with what they had been taught for almost two millennia, that is, with contempt and even hatred for them? The answer is also obvious.

For the sake of brevity, it will be interesting to focus on an aspect of the Holocaust that rarely gets the attention it deserves, and that is what happened in Croatia. In that country a puppet Nazi state was established in 1941, led by the terrorist group the Ustasha with its Poglavnik (leader) Ante Pavelić at its helm. From its inception until its demise in 1945 the Ustasha were responsible for the most barbaric acts of the war, making even the German SS pale in comparison. During the rule of the Ustasha regime, more than half a million innocent civilians were slaughtered, many of them using medieval methods: eyes were gouged out, limbs severed, intestines and other internal organs ripped from the bodies of the living. Some were slaughtered like beasts, their throats cut from ear to ear with special knives or saws. Others died from blows to their heads with sledgehammers. Many more were simply burned alive. Some Ustasha perpetrators wore necklaces made from the eyes or ears of their victims.

The actions of the Ustasha are important and relevant in this discussion because the Ustasha were ultra-Catholic and they killed in large part in an effort to rid Croatia of its non-Catholic elements, that is, the largely Orthodox Serbs, the Gypsies, and of course the Jews. Many of the perpetrators were actually Catholic priests. One of them was a Franciscan friar who continued to act as a member of his order as commandant of the notorious Croat concentration camp Jasenovac, where he committed the most heinous atrocities. Sometimes he even wore his Franciscan robes while perpetrating his crimes.

Did the perpetrators consult with their religious leaders before committing these crimes? Did their religious upbringing play any role in making them act the way they did? During the Croatian genocide the Vatican had compiled a list of Croatian priests who had participated in massacres of Orthodox Serbs and Jews with the intention of disciplining them after the war. They never did. Not only that, many perpetrators were protected and given passage to safe havens around the world by members of the Vatican who housed them in Vatican properties, clothed and fed them, and eventually helped them evade justice so they could regroup to fight Communism.

You’d think that during the war the Catholic Church would very publicly and loudly object to the genocide taking place in Croatia, given that the impetus behind the genocide was ultimately the propagation of Catholicism, but it didn’t. You’d think that the Catholic Church would attempt to stop the perpetrators, given that they were Catholics strongly loyal to the pope, but it didn’t. You’d think the Catholic Church would give advice and guidance to the Croatian Catholic faithful in an effort to rein them in, but it didn’t. You’d think the pope, Pius XII, would feel shame and embarrassment and distance himself from the Croat Catholics and their leader, but he didn’t.

Indeed, the leader of the Ustasha, Ante Pavelić was a mass murderer who revered Pope Pius XII, and was aware that Pius XII and his senior advisers thought highly of his militant Catholicism. In April 1941 Pavelić was received by the Pope, creating an uproar at the British Foreign Office who was dismayed that the Pope would even consider meeting with such a notorious mass murderer. They thus described the Pope as “the greatest moral coward of our age.” As the Foreign Office later told the British ambassador to the Holy See, the Pope’s reception of Pavelić “has done more to damage his reputation in this country than any other act since the war began.”

Maybe we should excuse the Pope and the Church for not acting during the war because of the fog of war, lack of communications, the desire to remain neutral, etcetera. But these are all hollow excuses. Moreover, even if we were willing to accept them, what could possibly explain the lack of acts of repudiation after the war for the genocide in Croatia?

In May 1945, after having learned of Hitler’s death, Cardinal Bertram of Breslau ordered that “a solemn requiem mass be held in commemoration of the Führer. . .” so that the Almighty’s son, Hitler, be admitted to paradise. A solemn requiem mass is celebrated only for a believing member of the Church and if it is in the public interest of the Church. Hitler was not a believing member of the Church and only a Church deeply steeped in their own anti-Jewish teachings and the grotesque twist to them that Hitler gave them could think that a solemn requiem for Hitler was a good, moral thing to do and that it was in the Church’s public interest. Did the Pope or the Catholic Church rebuke Cardinal Bertram, then or any time after that? No, it did not.

Given this background, we should not be too surprised to learn that just as the year 2010 was coming to a close a mass was celebrated in a Zagreb church honoring the 49th anniversary of the death of the Ustasha mass murderer Ante Pavelić. The mass was held by priests Vjekoslav Lasić and Stanislav Kos, who referred to Pavelić as a respectable man who made sacrifices for all of Croatia. You’d think the Catholic Church would take advantage of this opportunity to very loudly and publicly repudiate the actions of the Ustasha and its leader Pavelić, but you’d be wrong. What was the official reaction of the Catholic Church to this outrageous mass? So far their reaction is consistent with their reaction during the Holocaust: a deafening silence.


Gabriel Wilensky

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Author
Six Million Crucifixions:
How Christian Teachings About Jews Paved the Road to the Holocaust
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TP: Eichmann, der BND und die Expertenkommission
(italiano / srpskohrvatski / francais / english)

Memoria 2011 / 5

Nazi criminals employed by CIA

1) Newest revelations on nazi criminals who were employed by CIA:
* E gli Usa divennero il rifugio dei nazisti (E. Caretto 14.11.2010)
* Secret papers reveal Nazis given 'safe haven' in US (telegraph.co.uk 14.11.2010)
* CIA dala „utočište“ nacistima posle rata (Blic.rs 15.11.2010)
* Pred Kongresom izveštaj o saradnji nacista i CIA (Beta 11.12.2010)

2) Vukcevic: la Serbia chiederà agli USA l’estradizione di Peter Egner (2009) / La Serbie demande aux USA d’extrader le nazi Peter Egner (CdB 8 décembre 2010)

3) Flashback 2006: CIA NAZI FILES RELEASED / Documents Shed Light on CIA's Use of Ex-Nazis (NYT 6 June 2006)


LINKS:

LA NOSTRA PAGINA DEDICATA A RATLINES E ODESSA

Ratlines. La guerra della Chiesa contro il comunismo: le reti di fuga dei criminali di guerra nazisti e ustascia nel secondo dopoguerra, con la copertura del Vaticano (sintesi dal libro di Mark Aarons e John Loftus)

RATLINES: Il Vaticano nascose gli ustascia (rassegna di articoli)

L'alliance du Pentagone avec les nazis

DOSSIER: Le camp allemand du Parc des expositions de Belgrade, 1941-1944 (Vecernje Novosti)


=== 1 ===


Il Corriere della Sera

E gli Usa divennero il rifugio dei nazisti


Rivelazione del New York Times: dopo la guerra molti criminali di guerra furono impiegati da Cia e Nasa


WASHINGTON – Dopo la sconfitta del Terzo Reich gli Stati Uniti ospitarono più criminali di guerra nazisti di quanto si sospettasse e lo nascosero agli alleati. Ne fecero uso in particolare la Cia, lo spionaggio, e in secondo luogo la Nasa, l’ente spaziale. Lo svela un rapporto del Ministero della giustizia, più precisamente del suo Office of special investigation (Osi) istituito nel ’79, rapporto venuto in possesso del New York Times. Il rapporto, di cui il Ministero della giustizia aveva già consegnato una parte, pesantemente censurata, agli Archivi della sicurezza nazionale, consta di 600 pagine e racconta molte storie. Per esempio, quella di Josef Mengele, «l’angelo della morte», il medico che condusse atroci esperimenti sugli ebrei internati ad Auschwitz. Per anni l’Osi tenne in laboratorio frammenti della pelle del cranio e capelli di Mengele. Li diede al Brasile attorno al 1985, tramite essi fu possibile stabilire che il medico aveva trovato rifugio nel grande stato sudamericano e vi era morto nel ’79.

CASI CLAMOROSI - Ma I casi più clamorosi di cui parla il rapporto sono quelli di Otto Von Bolschwing e di Arthur Rudolph. Bolschwing era il braccio destro di Adolph Eichmann, uno dei massimi architetti dello sterminio degli ebrei, che venne poi catturato dal servizio segreto israeliano in Argentina e processato e condannato a morte in Israele. Bolschwing si stabilì negli Stati uniti nel ’54 e fu assunto dalla Cia, che preparò un dossier a suo discarico nell’eventualità che venisse scoperto. L’Osi, che aveva il compito di fare giustizia dei criminali di guerra nazisti, avviò la procedura di estradizione in Germania nell’81. Bolschwing morì quell’anno.

IL PADRE DEL «SATURNO» - Rudolph era l’ex direttore della Mittelwerk, la fabbrica del Terzo Reich responsabile della produzione dei razzi V2. Fu portato negli Stati uniti nel ’45 nel quadro dellaOperation paperclip, il programma di trasferimento negli Usa degli scienziati nazisti, per lavorare alla produzione di missili. Più tardi fu assunto dalla Nasa, che si era già affidata a un suo collega, Von Braun, per il programma spaziale. Anni dopo, la Nasa lo onorò come «il padre del missile Saturno» per le esplorazioni spaziali. L’Osi accertò che Rudolph aveva impiegato manodopera schiava e cercò di deportarlo. Come Bolschwing, lo scienziato morì prima che vi riuscisse.

L'ATTENTATO MISTERIOSO - Un terzo caso fu quello di Tscherim Soobzokov, un ex SS che prese la residenza nel New Jersey, e che per motivi mai precisati fu protetto dal Ministero della giustizia. I suoi trascorsi divennero pubblici nell’80 ma non fu processato nonostante le proteste delle comunità ebraiche. Soobzokov venne ucciso in un attentato – una bomba in casa – nell’85 e i suoi assassini non furono mai scoperti. L’Osi commise un grosso errore quando identificò in John Demjanjuk, un lettone, altro rifugiato nazista, il boia di Treblinka, detto Ivan il terribile. Demjanuk venne discolpato da vari connazionali, ma venne poi mandato in Germania a rispondere di altri crimini di guerra.

L'ORO NAZISTA - Secondo il New York Times, il rapporto e la condotta del Ministero della giustizia dovrebbero essere oggetto di una inchiesta. Il giornale afferma che nei documenti si trovano anche le prove che durante le seconda guerra mondiale la Svizzera comprò dai nazisti oro di ebrei vittime dell’Olocausto. Questa circostanza fu sempre tenuta nascosta, ma di essa sarebbe stato al corrente il Dipartimento di stato.

Ennio Caretto

14 novembre 2010 (ultima modifica: 15 novembre 2010)

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World War 2

Secret papers reveal Nazis given 'safe haven' in US

A secret United States government report has offered fresh evidence that the CIA granted Nazi war criminals a "safe haven" in the US after the Second World War.


By Toby Harnden in Washington 5:45PM GMT 14 Nov 2010

The 600-page report, written in 2006 and which the US Justice Department has tried to keep secret ever since, describes what it calls Washington's "collaboration with persecutors".
Agents from the Justice Department's Nazi-hunting Office of Special Investigations (OSI) found that war criminals "were indeed knowingly granted entry" to the US, even though government officials were aware of their pasts, the report concluded.
"America, which prided itself on being a safe haven for the persecuted, became – in some small measure – a safe haven for persecutors as well."
The report, obtained by the New York Times, details cases of Nazis being helped by American intelligence officials.
In 1954, the CIA assisted Otto Von Bolschwing, an associate of Adolf Eichmann who had helped develop plans "to purge Germany of the Jews".
In a series of CIA memos, officials pondered what to do if Von Bolschwing was confronted about his past, debating whether to deny any Nazi affiliation or "explain it away on the basis of extenuating circumstances", according to the report.
The Justice Department sought to deport Von Bolschwing after it learned in 1981of his Nazi past but he died the same year.
Another case involved Arthur L. Rudolph, a Nazi scientist who ran the Mittelwerk munitions factory. He was brought to the US in 1945 for his rocket-making prowess as part of Operation Paperclip, an American initiative to recruit scientists who had worked in Nazi Germany.
The report highlights a 1949 note from a very senior Justice Department official urging immigration officers to let Rudolph back into the US after visiting Mexico because excluding him would be "to the detriment of the national interest".
Justice Department investigators later discovered that Rudolph was much more implicated in using Jewish slave labour at Mittelwerk than he or the CIA had admitted. Some intelligence officials objected when the Justice Department tried to deport him in 1983.
The report states that prosecutors filed a motion in 1980 that "misstated the facts" in insisting that CIA and FBI records revealed no information on the Nazi past of Tscherim Soobzokov, a former Waffen SS soldier.
Instead, the Justice Department "knew that Soobzokov had advised the CIA of his SS connection after he arrived in the United States", the report found.
The report details the government’s posthumous pursuit of Dr Josef Mengele, the German SS officer and physician known as the “Angel of Death”. A piece of Mengele’s scalp was kept in the drawer of an OSI director in the hope that it would establish whether he was still alive.
Investigators used diaries and letters supposedly written by Mengele and German dental records to follow his trail. After the development of DNA, the piece of scalp, which had been handed over to Brazil, helped to establish that Mengele had died in Brazil in 1979, without ever entering the US, the report stated.
The US government has resisted making the report public ever since it was written four years ago. Under the threat of legal action, it provided an expurgated version last month to the National Security Archive, a private research group. The New York Times then obtained a complete version.
The US Justice Department told the newspaper that the report, which was the product of six years of research, was never formally completed, did not represent official findings and claimed there were "numerous factual errors and omissions" though it declined to detail these.
Since the creation of the OSI in 1979, several hundred Nazis have been deported, stripped of their American citizenship or excluded from entering the United States. The OSI was merged with another unit this year.


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IZVEŠTAJ MINISTARSTVA PRAVDE SAD

CIA dala „utočište“ nacistima posle rata

CDC/IB  | 15. 11. 2010. - 00:05h | Foto: AFP  | Komentara: 38 

Tajna istorija ratnih operacija američke vlade nakon Drugog svetskog rata pokazuje da su američke tajne službe obezbedile „utočište“ u SAD za nemačke naciste i njihove saradnike, tvrdi „Njujork tajms“ na osnovu uvida u izveštaj Ministarstva pravde SAD, koji je četiri godine skrivan od očiju jasnosti.

U dokumentu se na 600 strana opisuju decenijski sukobi SAD sa drugim zemljama zbog toga što su primale i štitile naciste u zemlji i inostranstvu. Izveštaj pruža nove činjenice o više od 20 najozloglašenijih nacista u poslednje tri decenije. Govori se o pomoći koju je CIA 1954. godine pružala Otu fon Bolšvingu, saradniku Adolfa Ajhmana, koji je pomogao u pravljenju početnih planova „da se Nemačka očisti od Jevreja“, a kasnije je radio za CIA u SAD.

U nizu dokumenata, zvaničnici Centralne obaveštajne službe raspravljali su o tome šta treba činiti ukoliko Fon Bolšving bude suočen sa svojom prošlošću: da li da poriče bilo kakvu povezanost sa nacistima ili da „to objasni u svetlu olakšavajućih okolnosti“, navodi list.

Kada se saznalo za veze Fon Bolšvinga sa nacistima, ministarstvo pravde je 1981. godine zahtevalo njegovu deportaciju, ali je on preminuo u 72. godini, piše „Njujork tajms“.

U celom slučaju najviše kompromituje činjenica da je CIA bila povezana sa nacistima emigrantima. U izveštajima prethodnih vlada već su priznali da je CIA koristila naciste u obaveštajne svrhe posle rata. Međutim, pomenuti izveštaj ide dalje i otkriva dublju upletenost službe u slične operacije. U njemu se pominje i slučaj Artura Rudolfa, nacističkog naučnika koji je rukovodio fabrikom municije Mitelverk u Nemačkoj. Doveden je u SAD 1945. godine zbog svoje stručnosti u pravljenju raketa, operaciji „Spajalica“, što je bilo ime američkog programa koji je regrutovao naučnike iz nacističke Nemačke. NASA je čak odlikovala Rudolfa i proglasila ga tvorcem američke rakete „saturn pet“. Dokumentacija otkriva činjenice i nivo američke um ešanosti i obmanjivanja javnosti.

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Čuvali deo skalpa Mengelea u fioci
Izveštaj opisuje posthumnu potragu američke vlade za dr Jozefom Mengeleom, koga su u Aušvicu zvali “Anđeo smrti”. Deo njegovog skalpa držao je jedan zvaničnik ministarstva pravde u svojoj fioci. Takođe, opisano je ubistvo bivšeg esesovca u Nju Džerziju, a u jednom delu govori se o pogrešnoj identifikaciji stražara koncetracionog logora Treblinka poznatog kao Ivan Grozni.


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http://www.e-novine.com/svet/svet-vesti/43056-Pred-Kongresom-izvetaj-saradnji-nacista-CIA.html

Vašington

Pred Kongresom izveštaj o saradnji nacista i CIA

11.12.2010
Beta

U izveštaju istoričara dostavljenom u petak američkom Kongresu otkrivaju se detalji kako je američka obaveštajna služba (CIA) koristila i štitila neke agente nacističkog Gestapoa posle Drugog svetskog rata i kako je tražila glavnog izvršioca holokausta Adolfa Ajhmana.
Izveštaj pod nazivom "Hitlerova senka: nacistički ratni zločinci, američka obaveštajna služba i hladni rat" napisali su istoričari iz američke Nacionalne arhive. U izveštaju se nalaze oko 1.000 dokumenata - snimaka, pisanih izjava, ekspertiza i analiza o tajnim operacijama CIA i vojne obaveštajne službe.

"Podaci CIA su nam omogućili da steknemo bolju sliku o kretanju nacističkih ratnih zločinaca u posleratnom periodu. Podaci iz vojske su obimni i biće potrebno nekoliko godina da se sve to pročita", rekao je koautor studije Ričard Brajtman sa Univerziteta u Vašingtonu.

Portparol CIA Džordž Litl izjavio je da ta agencija nije u to vreme imala politiku ili program zaštite nacističkih ratnih zločinaca, niti je pomagala da oni izbegnu pravdu. Litl je rekao da je CIA decenijama sarađivala s ministarstvom pravde o tome, kao i sa odsekom za specijalne istrage.

U izveštaju se navodi detalji kako su Amerikanci koristili oficire Gestapoa, uključujući Rudolfa Mildnera, posle Drugog svetskog rata. Vojska je držala Mildnera i vodila računa da ne dođe u ruke istražitelja za ratne zločine, jer joj je bio potreban zbog svojih saznanja o komunistima.

"Namera vojske da koristi oficire Gestapoa protiv komunista mnogo je veća od onog što smo do sada mislili, iako nije bilo velikih slučajeva kao što je bio slučaj Klausa Barbija", rekao je Brajtman, aludirajući na ozloglašenog "Kasapina iz Liona", koji je radio za američke obaveštajce posle rata.

Mildner je kasnio pobegao u Argentinu, gde se sastao sa Ajhmanom, koji je iz Evrope pobegao u Južnu Ameriku. Izveštaj navodi detalje o Ajhmanovom kretanju pre nego što ga je 1960. godine otela izraelska obaveštajna služba.

"Oni (dokumenti) pokazuju da je Zapad znao o Ajamanovim zločinima i njegovom posleratnom kretanju. Niko iz američke obaveštajne agencije nije pomogao Ajhmanu da pobegne, već su mu jednostavno dozvolili da se bezbedno sakrije i ode u Argentinu", rekao je Brajtman.

U izveštaju se navode i detalji saradnje CIA i nacističkih saradnika za vreme hladnog rata. U pokušaju da razbiju Sovjetski Savez preko Ukrajine, agencija se obratila pronacističkim ukrajinskim nacionalistima, među kojima je bio Mikola Lebed, koji je vodio paravojnu organizaciju koja je tokom rata sprovodila politiku etničkog čišćenja. Lebed je otišao u Njujork 1948. godina, a njegova saradnja sa agencijom je "trajala koliko i ceo hladni rat", navodi se u izveštaju.

"CIA je navodila tada da Lebed nema veze s nacistima i da je on ukrajinski borac za slobodu", dodaje se u izveštaju i navodi da je Lebed imao kontakte s agencijom do smrti, 1998. godine.


=== 2 ===

Vukcevic: la Serbia chiederà agli USA l’estradizione di Peter Egner

Glassrbije.org 13. aprile 2009.

Il procuratore serbo per i crimini di guerra Vladimir Vukcevic, ha avvisato i rappresentanti della comunità ebraica a Belgrado che la Serbia chiederà l’estradizione agli Stati Uniti del criminale nazista Peter Egner, per il sospetto di aver eseguito il genocidio e i crimini di guerra contro la popolazione civile, in genere ebraica, a Belgrado durante la Seconda guerra mondiale. I rappresentanti della comunità ebraica sono stati informati che la Procura serba per i crimini di guerra ha consegnato, verso la fine dell’agosto 2008, la richiesta per l’inchiesta contro Egner, e che il giudice istruttore della Corte per i crimini di guerra nel settembre scorso ha approvato l’inchiesta. Egner è sospettato di aver partecipato verso la fine del 1941 alla deportazione di moltissimi civili a Janjice, che dopo sono stati fucilati, e che dalla fine del 1941 alla metà del 1942, come guardia, aveva assicurato il deporto di gruppi di ebrei nel campo di concentramento Staro sajmiste.

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La Serbie demande aux USA d’extrader le nazi Peter Egner


Mise en ligne : mercredi 8 décembre 2010
Les autorités serbes ont officiellement demandé aux Etats-Unis, le 26 novembre dernier, d’extrader Peter Egner, ancien membre de la Gestapo allemande en Serbie, naturalisé américain. L’homme est soupçonné de crimes de guerre et de génocide durant la Seconde Guerre mondiale.

(Avec AFP et Reuters) - Peter Egner, Allemand de souche né en Yougoslavie, est arrivé aux Etats-Unis en 1960 et a acquis la citoyenneté américaine en 1966.

Âgé de 88 ans, il réside actuellement à Seattle.

Selon l’acte d’accusation, il est mis en cause dans l’exécution de milliers de civils, en majorité des Juifs (parmi lesquels des femmes et des enfants), des Rroms et des opposants politiques, durant la Seconde Guerre mondiale.

Peter Egner aurait reconnu avoir été actif en tant que membre de la Gestapo, la police secrète du régime nazi, dans des camps de concentration à Belgrade entre 1941 et 1942.

La Serbie avait lancé un mandat d’arrêt international contre lui en avril dernier. La demande d’extradition le concernant a été déposée vendredi 26 novembre.

« La demande d’extradition a été différée de quelques mois pour des raisons techniques et à cause de la réforme de l’appareil judiciaire qui a un peu ralenti les choses », a dit Bruno Vekarić, procureur adjoint de Serbie pour les crimes de guerre.

Le département américain de la Justice a demandé en 2008 à un tribunal fédéral de radier Peter Egner de sa citoyenneté américaine sur la base d’éléments de preuve sur son rôle dans un Einsatzgruppe (une unité d’exécution mobile nazie) impliquée les massacres de de civils lors de l’occupation allemande de la Serbie.

Peter Egner ne pourra être extradé que s’il est déchu de sa citoyenneté américaine.

Retrouvez notre dossier :
« Le camp allemand du Parc des expositions de Belgrade, 1941–1944 


=== 3 ===

-------- Original-Nachricht --------
Datum: Fri, 9 Jun 2006 20:38:19 +0200
Von: Reinhard Helmers 
Betreff: CIA  and  NAZI  FILES

CIA NAZI FILES RELEASED

Some 27,000 pages of Central Intelligence Agency records regarding operational relationships between the CIA and former Nazis following World War II were disclosed yesterday at the National Archives.

The release was announced by the Interagency Working Group (IWG)on Nazi War Crimes, which was created by a 1998 law.  The IWG, which has previously overseen the declassification of eight million war crimes-related records, is chaired by former Information Security Oversight Office Director Steven Garfinkel.

The latest release almost failed to occur due to CIA recalcitrance.

"In 2002, the CIA declared that it was no longer going to follow the criteria observed since 1999 for all the participating agencies in the IWG declassification project [and that] henceforth it would produce files relating only to individuals whom we could prove had personally engaged in war crimes," recalled IWG memberRichard Ben-Veniste.

"For 18 months the IWG tried to persuade CIA that its unilateral redefinition of its obligation was erroneous and unacceptable," he said.

This obstacle was eventually overcome thanks to the intervention of the sponsors of the original legislation -- Senators Mike DeWine (R-OH) and Dianne Feinstein (D-CA) and Rep. Carolyn Maloney (D-NY) -- and the effective support of Porter Goss, who had just become the new CIA Director.

CIA spokesman Stanley Moskowitz said the Agency was now committed to full disclosure regarding the historical record of CIA's connections to Nazis.

He said that when the declassification process is completed at the end of this year, "we will have withheld nothing of substance."

(Mr. Moskowitz himself was once the object of unwanted disclosure when, to the dismay of Agency officials, he was publicly identified as the CIA station chief in Tel Aviv.  See "CIA StationChief in Israel Unmasked," Secrecy & Government Bulletin, Issue 75, November 1998.)

"The relevance of today's disclosures [on Nazi war crimes] to the issues this Nation faces today is striking," suggested IWG member Thomas H. Baer.

The question the documents raise, he said, is: "To what extent, and under what circumstances, can our Government rely upon intelligence supplied by mass murderers and those complicit in their crimes?"

Initial assessments of the new disclosures were prepared by four historians for the Interagency Working Group, each of which includes several of the newly declassified documents.  See:

"New Information on Cold War CIA Stay-Behind Operations in Germany and on the Adolf Eichmann Case" by Timothy Naftali, University of Virginia:


"Gustav Hilger: From Hitler's Foreign Office to CIA Consultant" by Robert Wolfe, former archivist at the U.S. National Archives:


"Tscherim Soobzokov" by Richard Breitman, AmericanUniversity:


"CIA Files Relating to Heinz Felfe, SS Officer and KGB Spy" by Norman J.W. Goda, Ohio University:


For more information on the Interagency Working Group on Nazi War Crimes see:



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Documents Shed Light on CIA's Use of Ex-Nazis

    By Scott Shane
    The New York Times

    Tuesday 06 June 2006


    Washington - The Central Intelligence Agency took no action after learning the pseudonym and whereabouts of the fugitive Holocaust overseer Adolf Eichmann in 1958, according to CIA documents that shed new light on the spy agency's use of former Nazis as informers after World War II.

    The CIA was told by West German intelligence that Eichmann was living in Argentina under the name "Clemens" - a slight variation on his actual alias, Klement - but kept the information from Israel because of German concerns about exposure of former Nazis in the Bonn government, according to Timothy Naftali, a historian who examined the documents. Two years later, Israeli agents abducted Eichmann in Argentina and took him to Israel, where he was tried and executed in 1962.

    The Eichmann papers are among 27,000 newly declassified pages released by the CIA to the National Archives under Congressional pressure to make public files about former officials of Hitler's regime later used as American agents. The material reinforces the view that most former Nazis gave American intelligence little of value and in some cases proved to be damaging double agents for the Soviet KGB, according to historians and members of the government panel that has worked to open the long-secret files.

    Elizabeth Holtzman, a former congresswoman from New York and member of the panel, the Interagency Working Group on records concerning Nazi and Japanese war crimes, said at a press briefing at the National Archives today that the documents show the CIA "failed to lift a finger" to hunt Eichmann and "forced us to confront not only the moral harm but the practical harm" of relying on intelligence from ex-Nazis.

    She said information from the former Nazis was often tainted both by their "personal agendas" and their vulnerability to blackmail. "Using bad people can have very bad consequences," Ms. Holtzman said. She and other group members suggested that the findings should be a cautionary tale for intelligence agencies today.

    As head of the Gestapo's Jewish affairs office during the war, Eichmann implemented the policy of extermination of European Jewry, promoting the use of gas chambers and having a hand in the murder of millions of Jews. Captured by the United States Army at the end of the war, he gave a false name and went unrecognized, hiding in Germany and Italy before fleeing to Argentina in 1950.

    Israeli agents hunting for Eichmann came to suspect in the 1950's that he was in Argentina but they did not know his alias. They temporarily abandoned their search at about the time, in March 1958, that West German intelligence told the CIA that Eichmann had been living in Argentina as "Clemens," said Mr. Naftali, who is now at the University of Virginia but will become director of the Richard M. Nixon Presidential Library in October.

    The United States government, preoccupied with the cold war, had no policy at the time of pursuing Nazi war criminals. The West German government was wary of exposing Eichmann because officials feared what he might reveal about such figures as Hans Globke, a former Nazi then serving as a key national security adviser to Chancellor Konrad Adenauer, Mr. Naftali said.

    In 1960, also at the request of West Germany, the CIA persuaded Life magazine, which had purchased Eichmann's memoir from his family, to delete a reference to Globke before publication, the documents show.

    Since Congress passed the Nazi War Crimes Disclosure Act in 1998, the Interagency Working Group has persuaded the government to declassify more than 8 million pages of documents. But the group ran into resistance starting in 2002 from the CIA, which sought to withhold operational files from the 1940's and 50's.

    After Congress extended the working group's term to 2007, and after the intervention of Senator Mike DeWine, Republican of Ohio; Senator Dianne Feinstein, Democrat of California; and Representative Carolyn B. Maloney, Democrat of New York, Porter J. Goss, who was the CIA director, ordered the release of the records with very few deletions.

    Stanley Moskowitz, a CIA official who assisted the working group for the last year, said the delicate question of releasing operational files has long been a "nettlesome problem" but that "the passage of time has shifted the balance" toward release. He said the new CIA director, Gen. Michael V. Hayden, has agreed to continue releasing the records.

    Norman J.W. Goda, an Ohio University historian who reviewed the CIA material, said it showed in greater detail than previously known how the KGB aggressively targeted former Nazi intelligence officers for recruitment after the war. In particular, he said, the documents fill in the story of the "catastrophic" Soviet penetration of the Gehlen Organization, the post-war West German intelligence service sponsored by the United States Army and then the CIA.

    Mr. Goda described the case of Heinz Felfe, a former SS officer who was bitter over the Allied firebombing of his native city, Dresden, and secretly worked for the KGB Felfe rose in the Gehlen Organization to oversee counterintelligence - placing a Soviet agent in charge of combating Soviet espionage in West Germany.

    The CIA shared much sensitive information with Felfe, who visited the agency in 1956 to lobby for West German involvement in CIA operations, Mr. Goda found. A newly released 1963 CIA damage assessment, written after Felfe was arrested as a Soviet agent in 1961, found that he had exposed "over 100 CIA staffers" and seen that many eavesdropping operations ended with "complete failure or a worthless product."

    The documents show that the CIA ignored "clear evidence of a war crimes record" in recruiting another former SS officer, Tscherim Soobzokov, said another historian at the briefing, Richard Breitman of American University. Because it valued Soobzokov for his language skills and ties to fellow ethnic Circassians living in the Soviet Caucasus region, the CIA deliberately hid his Nazi record from the Immigration and Naturalization Service after he moved to the United States in 1955, Mr. Breitman said.

    But Soobzokov would not ultimately escape his past. He died in 1985 of injuries suffered three weeks earlier when a pipe bomb exploded outside his house in Paterson, NJ. The murder case has never been solved.




Telepolis knews: USA: Unliebsame Recherchen unterbunden
(italiano / francais / english / deutsch)

Memoria 2011 / 6

Nazi-Kriegsverbrecher auf NATO-Dienst

1) Eichmann-Akte:
* Flashbacks
* Unscrupulous. << The files, made public in Washington, shed a light on the cooperation between the post war elite of West Germany and the surviving Nazi personnel, who were integrated into the new state structures or enjoyed their secret protection. The BND served as one of the centers for this cooperation. "Now we know that at least a dozen veterans of Eichmann's 'Jewish Affairs Section' (...) worked as secret agents for the CIA and the BND (...) in the aftermath of 1945" >> (GFP / Christopher Simpson 11.06.2006)
* Eichmann, der BND und die Expertenkommission (Gaby Weber 21.01.2011)

2) Eichmann, le spie Usa sapevano ma tacquero / Eichmann, Globke, Gehlen furono salvati dagli americani in nome della guerra fredda e della ricostruzione di una Germania occidentale fedelmente alleata agli Stati Uniti (il manifesto, 2006)

3) Klaus-Barbie-Akte:
* Nazi “Butcher of Lyon” was a German intelligence agent (wsws.org 22.1.2011)


LINKS:

Neue Legitimität
27.01.2011 - HAMBURG/MÜNCHEN/PARIS (Eigener Bericht) - Die wegen der NS-Vergangenheit ihres Namensgebers schwer belastete Alfred Toepfer Stiftung (Hamburg) tritt als Bewahrerin des Erbes der von den Nazis ermordeten Geschwister Scholl auf und kündigt eine Scholl-Gedenk-Ausstellung in den Hamburger Toepfer-Räumen an. Sie soll Ende Januar beginnen. Alfred Toepfers Betriebe lieferten an die SS-Verwaltung des Ghettos Lodz (Litzmannstadt) Löschkalk für die rückstandslose Beseitigung der Leichen von Juden. Die Geschwister Scholl starben etwa zur selben Zeit unter der Guillotine der NS-Führung, die von Toepfer hofiert wurde und mit der er persönlich bekannt war. Die Ausstellung in den Räumen eines prominenten NS-Täters wird von der Münchner Weiße Rose Stiftung e.V. ausdrücklich begrüßt. Auch deutsche Historiker nehmen an den Toepfer-Aktivitäten teil, so der Leiter der KZ-Gedenkstätte Neuengamme und der im Auftrag der Toepfer-Stiftung mehrfach tätige Hans Mommsen. Proteste kommen fast ausschließlich aus dem Ausland, wo seit Jahrzehnten darauf hingewiesen wird, dass die Stiftung einer eindeutigen Abkehr von der Politik ihres Namensgebers noch immer auszuweichen suche. Die millionenschwere Stiftung, deren Vorstandsvorsitzender ein früherer Bertelsmann-Projektleiter ist, lehnt eine Entschuldigung für die Taten Toepfers ab. Toepfer beschäftigte in der Nachkriegszeit mehrere hochrangige NS-Verbrecher, darunter der Beauftragte des Deutschen Reichs in Ungarn, Edmund Veesenmayer. Veesenmayer ist für die Deportation von 430.000 ungarischen Juden zur Ermordung nach Auschwitz persönlich verantwortlich...

LA NOSTRA PAGINA DEDICATA A RATLINES E ODESSA
https://www.cnj.it/documentazione/ratlines2.htm

Ratlines. La guerra della Chiesa contro il comunismo: le reti di fuga dei criminali di guerra nazisti e ustascia nel secondo dopoguerra, con la copertura del Vaticano (sintesi dal libro di Mark Aarons e John Loftus)
https://www.cnj.it/documentazione/ratlines.htm


=== 1 ===

FLASHBACKS:

Eichmann schwieg über Adenauers rechte Hand Hans Globke
Der Arm des BND reichte bis in Eichmanns Jerusalemer Todeszelle (Ulrich Sander 01.07.06)

Bundeskanzleramt sperrt Eichmann-Akte des BND
Die 50 Jahre zurückliegenden Geheimdienstoperationen bezüglich des Massenmörders Adolf Eichmann bleiben ein Staatsgeheimnis (Markus Kompa 23.09.2009)
http://www.heise.de/tp/r4/artikel/32/32886/1.html

Nazivergangenheit unter Verschluss
Berliner Kanzleramt verweigert Freigabe von Eichmann-Akten. Ehemalige Fluchthelfer im BND werden geschützt. Kritik von Bundesverwaltungsgericht (Harald Neuber 01.07.2010)
http://www.heise.de/tp/r4/artikel/32/32886/1.html

USA: Unliebsame Recherchen unterbunden
Deutsche Journalistin abgeschoben. Gaby Weber wollte unter anderem Akten über Nazi-Kriegsverbrecher recherchieren (Harald Neuber, 19.08.2010)
http://www.heise.de/tp/blogs/6/148232


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AUF DEUTSCH: Skrupellos
11.06.2006 - WASHINGTON/MÜNCHEN/BERLIN (Eigener Bericht) - (...) Die in Washington veröffentlichten Erkenntnisse beleuchten das Zusammenspiel zwischen den westdeutschen Nachkriegseliten und dem überlebenden NS-Personal, das in die neuen Staatsstrukturen eingemeindet wurde oder unter deren heimlichem Schutz stand. Eines der staatlichen Kooperationszentren war der Bundesnachrichtendienst (BND). "Wir wissen jetzt, dass wenigstens ein Dutzend Veteranen aus Eichmanns Judenreferat (...) nach 1945 als Geheimagenten für die CIA und den BND (...) arbeiteten", schreibt Prof. Christopher Simpson von der American University (Washington D.C.) in einem Beitrag für german-foreign-policy.com.
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/56393

EN FRANCAIS: Sans scrupules
11/06/2006 - WASHINGTON/MUNICH/BERLIN (Compte-rendu de la rédaction) - (...) Ces révélations publiées à Washington mettent en lumière la coopération entre les élites ouest-allemandes de l'après-guerre et les personnalités nazies survivantes qui ont été intégrées dans les structures du nouvel état ou qui se trouvaient sous sa protection secrète. Un de ces lieux de coopération était le BND. "On sait maintenant qu'au moins une dizaine de vétérans du 'bureau des juifs' d'Eichmann (...) travaillaient comme agents secrets pour la CIA et le BND après 1945" écrit le professeur Christopher Simpson de l'American University (située à Washington D.C.) dans un article pour german-foreign-policy.com.
http://www.german-foreign-policy.com/fr/fulltext/55885



Unscrupulous
 

2006/06/11 - 
WASHINGTON/MUNICH/BERLIN
 
(Own report) - The German government's connivance in the escape of the Nazi mass murderer, Adolf Eichmann, has caused little public indignation in Germany, nor has it become a theme for the media. As head of the of the Third Reich's Section IV D4 of the Central Security Office (handling Jewish affairs and evacuation), Eichmann was responsible for the deportations to the gas chambers. He fled Germany after 1945. According to recently declassified archive files, the German Federal Intelligence Service (BND) knew, at the latest, in 1958 that this mass murderer was living in South America under an assumed name. The German government did not initiate Eichmann's prosecution but rather informed the US Central Intelligence Agency (CIA) of his whereabouts. But the CIA also remained inactive, because it feared incriminating evidence, against prominent cabinet members of the West German government, could be brought to light, if a trial were opened against Eichmann. The files, made public in Washington, shed a light on the cooperation between the post war elite of West Germany and the surviving Nazi personnel, who were integrated into the new state structures or enjoyed their secret protection. The BND served as one of the centers for this cooperation. "Now we know that at least a dozen veterans of Eichmann's 'Jewish Affairs Section' (...) worked as secret agents for the CIA and the BND (...) in the aftermath of 1945", writes Professor Christopher Simpson of the American University (Washington D.C.) in an article for german-foreign-policy.com.
After a long legal battle with the US government, the files at the US-National Archives and Record Administration (NARA) were declassified, and are causing a sensation in the USA. The German press relegated these news items to their back pages or merely laconicly quoted press agency reports out of Washington. Exposure of the BND's inactivity in the pursuit of the mass murderer, Eichmann, comes at an unfavorable moment. The BND stands under suspicion of having engaged in numerous illegal activities [1] and is seen as being out of control.[2] With its more than 10.000 employees in Munich and Berlin, this secret service organization is one of the most powerful state apparatuses of Germany. It is seen as capable of steering subversive movements both abroad and at home.

Leadership Trio

As critics have repeatedly stated, the internal situation of the German secret services cannot be explained without knowledge of their early links to the surviving Nazi personnel. The BND's predecessor, the "Organization Gehlen", (named after its founder and long time director, Reinhard Gehlen), which was established under direct supervision of the US intelligence services, beginning in 1946, had already integrated personnel from the Nazi espionage structures. After its crossover to become the BND (April 1, 1956), Reinhard Gehlen became chief of BND operations. During World War II, he was head of the General Staff's Division "Fremde Heere Ost" (Foreign Forces - East), that was responsible for carrying out espionage against the Soviet Union. Gerhard Wessel, appointed by Gehlen in the summer of 1942 to the post of director of "Group I" of the "Fremde Heere Ost", and thus responsible for the daily reports on operations, became, in 1946, the director of the analysis department of the new secret service organization. In 1968, he succeeded his former boss, to become President of the BND. Hermann Baun, in charge of procurement in the "Organization Gehlen" since 1946, had already been in the espionage trade during the war, as head of the Central Office of Front Line Intelligence - I East. He boasted of supervising an extensive espionage network inside the USSR.

Old Job

As Gehlen frankly admitted in his memoirs, the respective US agencies had given him the explicit "go ahead" to establish the new secret service "using the existing potential" and to continue with "the old job toward the same objectives".[3] According to more recent estimates, approximately ten per cent of the 4,000 agents, working for Gehlen in the summer of 1949, had previously been members of the SS, the SD and the Gestapo, in addition to a large number of former Wehrmacht soldiers. Among "Organization Gehlen's" Nazi personnel, were several war criminals e.g. Wilhelm Krichbaum, a former SS Standartenfuehrer and Gestapo Southeast Border inspector. Krichbaum was in charge of a BND network of "sleeping agents", who, in the case of a Soviet attack, would remain behind the advancing Soviet lines and subsequently carry out sabotage behind the front. Former SS Obersturmfuehrer Hans Sommer became Gehlen's employee in 1950. Sommer was responsible for the demolition of seven synagogues in Paris and was promoted in Nice to SD chief.[4]

Eichmann's Aide-de-Camp

Among the Nazi criminals taken in by the organization Gehlen was also Adolf Eichmann's former Aide-de-Camp, Alois Brunner. In France; Brunner was found guilty of the mass murder of more than 120,000 European Jews and was sentenced to death in absentia. In the 1950s Brunner was the resident in Damascus for the German secret service.[5] Secret service operations in favor of Egyptian security forces, involving 100 German "advisors," fell within the range of his Middle East activities in the 1950s. Numerous Nazi functionaries were among the assistants from Germany, whose recruitment had been directed by Otto Skorzeny. As an SS expert for sabotage and covert actions inside states under Nazi occupation, Skorzeny was active in Germany's subjugation of Europe.[6]

Updated

One of the first western scholars, who had assembled reliable information on the postwar German Nazi secret service network, was the US historian Christopher Simpson. His book "Blowback" published in 1988 named the names of several dozen German war criminals and mass murderers, who had made successful postwar careers with the CIA and the BND.[7] According to Christopher Simpson, Wilfried Strik-Strikfeldt, was also in this circle. Strik-Strikfeldt was the ex-BND chief's liaison officer to Eastern European Nazi collaborators. He maintained these contacts in the post-war period and placed them at the disposal of revisionist exile organizations, planning terrorist attacks and maintaining contacts to the German "Expellees" scene. In this criminal environment, the German Reich's hegemonic concepts of Europe were updated - it is now garbed in an allegedly people-uniting European "Integration".[8]

Myth

As Christopher Simpson writes, in his article for german-foreign-policy.com, "brutality, stupidity and lawlessness" characterizes the commissioning into service of well-known Nazi criminals for the postwar political interests of the US and their German allies. To keep the Nazi race theoretician Hans Globke, in his position as undersecretary of state in the Federal Chancellor's Office, in Bonn, "the CIA initiated a campaign with the objective of suppressing information about Globke's affiliations with Eichmann." Globke had been helpful as West German liaison to NATO. This service was more important than Globkes responsibility for anti-Semitic persecution. "The recent scandal", which lays bare the passivity and aid furnished by both German and US prosecution authorities, puts into question a transparent post-war "myth", writes Christopher Simpson: Instead of "Freedom and Democracy" - unscrupulous cooperation between the BND, the CIA and globally wanted mass murderers, such as Adolf Eichmann.

Please read also Christopher Simpson's article here
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/56392

[1] see also In Accordance With the LawLapse into BarbarismErpressbar and Größte Gefährdungen
[2] see also Außer Kontrolle
[3] Reinhard Gehlen: Der Dienst. Erinnerungen 1942-1971, Mainz-Wiesbaden 1971
[4] Peter F. Müller, Michael Mueller (unter Mitarbeit von Erich Schmidt-Eenboom): Gegen Freund und Feind. Der BND: Geheime Politik und schmutzige Geschäfte, Hamburg 2002
[5] Georg Hafner, Esther Schapira: Die Akte Alois Brunner, Frankfurt am Main 2000. See also The Results Were Deadly
[6] Peter F. Müller, Michael Mueller (unter Mitarbeit von Erich Schmidt-Eenboom): Gegen Freund und Feind. Der BND: Geheime Politik und schmutzige Geschäfte, Hamburg 2002
[7] Christopher Simpson: Blowback. The first full account of America's recruitment of Nazis and its disastrous effect on our domestic and foreign policy, New York (USA) 1988
[8] John Laughland: The Tainted Source. The Undemocratic Origins of the European Idea, London 1997

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Beitrag von Prof. Christopher Simpson
 

11.06.2006 - 
WASHINGTON
 
Christopher Simpson ist Professor an der American University in Washington (D.C.) und Autor einer umfassenden Studie über die Indienststellung deutscher Nazis für die Geheimdienste der Bundesrepublik und der USA. Simpson nimmt in einem Beitrag für diese Redaktion zu den jüngsten Enthüllungen über die staatlichen Beihilfen zur Flucht von Adolf Eichmann Stellung. Wir veröffentlichen den Text im englischen Original.

The recent news from Washington DC is that the CIA has been forced to release a 1958 document demonstrating that the Agency declined to investigate or capture Adolf Eichmann in order to protect Konrad Adenauer's Kanzleramt chief Hans Globke, who had worked with Eichmann during the Nazi years, as well as a number of lesser-known Nazi agents who had been enlisted by western intelligence agencies in the wake of World War II. The CIA has been forced to open these and other records, including new documentation about the Gehlen organization, by an eight-year-long legal and archival investigation under the Nazi War Crimes Disclosure Act.

The brutality, stupidity and lawlessness characteristic of post-World War II recruitment of Nazi criminals remains front page news at least in part because of the similarities between that era and our own. Today our propaganda continues to conjure up a world in which any violence perpetrated on the enemy is and must be authorized. Our new, total-war-with-a-human-face requires torture of others and a form of self-inflicted psychological war upon ourselves that grows all the more painful as its effectiveness wears off. Our latest conflict – like the others before it – is once again one in which the strong must rule because the stakes are supposedly the survival of 'civilization' itself.

The most recent round of scandal again chips away at the official myths upon the postwar alliance was built between the Federal Republic of Germany and the United States. Those myths, in their simplest form, have long been that the crimes of Nazi Germany were the responsibility of a quite small number of people, mainly psychopaths, found exclusively in the higher ranks of the NSDAP and the SS, plus a handful of concentration camp guards.

These myths have long been transparently untrue for any student, soldier, or news reporter who has examined the history of either country. But the myths have remarkable resilience, in part because they underpinned the power structures of both countries, especially during the Cold War years.

The document that has received the most attention in the media is rather routine: In March 1958, the CIA's bureau chief in Munich wrote to headquarters noting that the BND had provided a list of wanted Nazi criminals to the CIA. Number three on the list was Eichmann, who was reported to be in Jerusalem or, alternately, hiding in Buenos Aires, Argentina, under the name of 'Clemens.' The latter claim had been circulated for some years by the Simon Wiesenthal organization, though that was not acknowledged in the memo. Wiesenthal (and the BND and CIA) misspelled Eichmann's cover name of 'Klement,' but the report concerning Argentina otherwise eventually proved to be accurate. Neither the BND nor the CIA took action on the Eichmann information in the 1958 memo.

The reason for the failure to act became clear in the wake of Israel's kidnapping and eventual trial of Eichmann: Washington worried that Eichmann would publicly confirm the accounts of Nazi-era activities of Hans Globke, who was at that time the chief national security advisor to Konrad Adenauer as well as Germany's most senior contact with the CIA and with NATO. The East Germans had for years been hammering away at the theme that Globke had played a pivotal role in writing the Nuremburg race laws during the Nazi years, and had in that capacity cooperated with Eichmann in the Nazi Party's Jewish Affairs Office during opening years of Nazi attempts to exterminate Jews, Romani and many others. On this point the DDR had been quite right.

Perhaps the most interesting revelation of the new documentation is that once Eichmann was arrested, the CIA undertook a concerted campaign to suppress information concerning Eichmann's links to Globke. They intervened with the major weekly newsmagazine Life, for example, to suppress sections of Eichmann's memoirs (which had been purchased by Life) that mentioned Globke. This silence concerning Globke's association with Eichmann is also found throughout other major US media of the period.

We also know in retrospect that at least a dozen veterans of Eichmann's Jewish Affairs office alone, not to mention other SS and SD recruits, were recruited as clandestine agents after 1945 by the CIA, the BND and predecessor groups such as the Gehlen Org.

Turn now for a moment to the modern context of the recent round of disclosures. For the present US government, the Eichmann/Globke scandal is not in any sense a reason to strengthen democratic accountability of intelligence agencies. Quite the contrary.

In Bush world, the solution to the Eichmann/Globke scandal is not more democracy; it is, rather, keeping fewer records in the first place, and destroying those records before they get into the hands of the public, even 50 years later. The clumsy strongmen of the Bush administration are using this and other examples of intelligence abuses as further opportunity to radicalize intelligence and military bureaucracies in Washington. Through a series of administrative maneuvers, the administration is disassembling or sidestepping many of the laws that led to the disclosure of intelligence abuses. He is promoting new, rival covert operations agencies and intelligence analysis groups inside the Pentagon that he hopes will never become publicly known in the first place.

So, too, with the next generation's version of the Eichmann/Globke scandal. There is a genuine danger that not only will the relevant records be secret; they may not exist in the first place.

Christopher Simpson


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TELEPOLIS
 

Eichmann, der BND und die Expertenkommission


Gaby Weber 21.01.2011


Wie der Geheimdienst und das Bundeskanzleramt mit einem von der Autorin erwirkten Urteil zur Herausgabe von Akten umgehen


Man hatte ihn abkommandiert, zu seinem ersten "Fronteinsatz": Bodo Hechelhammer, Leiter der Forschungsgruppe Geschichte des Bundesnachrichtendienstes, promovierter Historiker mit Spezialgebiet Kreuzzüge (1). Das erste Mal, dass er in der Öffentlichkeit sein Gesicht zeigt, gestand er. Am vergangenen Montag saß er im Berliner Institut für Medien und Kommunikationspolitik (2) auf dem Podium und musste, da der eingeladene Kanzleramtschef Ronald Pofalla gekniffen hatte, den versammelten Journalisten und Historikern Rede und Antwort zum "Fall Adolf Eichmann und die Bundesregierung" stehen. Und natürlich ging es um die gerade gegründete BND-Historikerkommission - die Antwort der in die Defensive geratenen Bundesregierung unter dem Motto: die beste Methode, einen Skandal zu verdecken, ist die Gründung einer Expertenkommission. Denn nachdem Angela Merkel vergeblich das Thema aussitzen wollte, muss am Ende und nach heftigem Widerstand nun doch auch der BND seine braunen Wurzeln aufarbeiten.


Als "Experten" wurden vier Historiker handverlesen: Jost Dülffer (3) (Köln), Wolfgang Krieger (4) (Marburg), Klaus-Dietmar Henke (5) (Dresden) und Rolf-Dieter Müller (6) (Potsdam). Henke wollte darin gleich einen "Kulturwandel" im Kanzleramt sehen. Worin der genau besteht, ist bisher nicht klar. Auch der BND-Kenner Erich Schmidt-Eenboom, der über die Organisation Gehlen promoviert, sieht keine grundlegende Kursänderung sondern "eher eine Nebelkerze".

Nicht einer der angeblichen Experten hat sich durch Werke über die Zeit des Nationalsozialismus hervorgetan. "Müller vom Militärgeschichtlichen Forschungsamt der Bundeswehr hat als Gutachter bei der Rehabilitierung der sogenannten Kriegsverräter in mindestens zwei Fällen gelogen", behauptete Jan Korte (7) (MbB Die Linke), "und ausgerechnet so einer soll die Nazi-Vergangenheit des BND erhellen"? Hechelhammer, der Kreuzzugsexperte, schwieg dazu.

Im Prinzip, sagt der BND, sollen die vier Historiker alles sehen dürfen. Ob und wann dieses Material auch der Öffentlichkeit zugänglich gemacht werden wird? Ja, das sei noch unklar. Wahrscheinlich werden die zitierten Unterlagen irgendwann im Bundesarchiv landen, hieß es. Und die nicht-zitierten Dokumente und die Papiere, gegen deren Veröffentlichung der Dienst sein Veto einlegen kann? Hmmm. Und ob sich an der bisherigen Auskunftsunwilligkeit etwas ändert? "An der Praxis ändert sich an dem bisherigen Verfahren erst mal nichts durch die Kommission", so der Kreuzzügler, "es gibt weiter die Möglichkeit, zu Sachthemen und Personen, Akteneinsicht zu beantragen, und über die wird dann entsprechend entschieden. Positiv oder negativ".

Gegründet wurde der BND an einem Ersten April 1956, hervorgegangen aus der Organisation Gehlen, einer CIA-Gründung unter dem Kommando des Nazi-Generals Reinhard Gehlen. Er rekrutierte seine alten Kameraden für den Kalten Krieg, dort zählte nur der Antikommunismus. Ob jemand sein Handwerk bei der SS oder der Gestapo gelernt hatte, interessierte nicht. Auch nach dem Ende des Kalten Kriegs änderte sich in Pullach wenig. Während nordamerikanische Geheimdienste seit den siebziger Jahren - meist nach Gerichtsurteilen - ihre Unterlagen herausgeben müssen, wurde in der Bundesrepublik erst 2005 das Informationsfreiheitsgesetz verabschiedet, das die Geheimdienste ausdrücklich ausnimmt. Sie wähnten sich in der Sicherheit, daß ihnen niemals jemand in die Karten beziehungsweise ins Archiv gucken würde! Böse Zungen behaupten übrigens, das Archiv des BND sei ein Saustall, in dem nicht einmal die eigenen Leute etwas finden. Das Koblenzer Bundesarchiv stellt deshalb seit Jahren - um schlimmeres für die Zukunft zu vermeiden - eine eigene Beamtin ab.

Über Jahrzehnte gab Pullach überhaupt nichts preis, nicht einmal den Parlamentariern. Der Bundesrechnungshof darf bis heute operative Vorgänge nicht einsehen, etwa beurteilen, ob die Ausgaben in einem akzeptablen Verhältnis zu den Ergebnissen stehen. Der Geheimschutz verhindert eine Qualitätskontrolle, und das Ergebnis ist unvermeidbar: Erfolge hat der Dienst nicht vorzuweisen, die Ausgaben sind astronomisch. Kritiker werden als "Verschwörungstheoretiker" abgetan und das Material wird vorenthalten. Und das ging viele Jahre gut. Freiwillig gab man so gut wie nichts heraus: peinlich unbedeutende Wochen- und Tagesmeldungen, die im Bundesarchiv lagern, dann einige Aufklärungsergebnisse über die militärische und wirtschaftliche Situation in der DDR. Das, was kritische Geister wissen wollten, wird zurückgehalten - die Politik spielt ja mit, und die Öffentlichkeit hat sich dran gewöhnt.

Da war die Überraschung groß, als Ende April 2010 das Bundesverwaltungsgericht in Leipzig meiner Klage auf Herausgabe der BND-Akten zu Adolf Eichmann stattgab. Die Richter erklärten die Sperrerklärung des Bundeskanzleramtes für rechtswidrig. Nach 30 Jahren, so besagt es das Bundesarchivgesetz, seien amtliche Unterlagen grundsätzlich offen. Daß sie irgendwann einmal als "Geheim" gestempelt worden seien, reiche alleine nicht aus. Doch statt das Urteil zu respektieren und die Akten nunmehr komplett vorzulegen, schaltete das Bundeskanzleramt auf stur und präsentierte erneut eine Sperrerklärung. Sie benutzt dieselben, vom Gericht für rechtswidrig erklärten Argumenten, um diese Papiere aus den fünfziger Jahren bis 1961 weiterhin der Öffentlichkeit vorzuenthalten. Soviel zum Thema "Kulturwandel".

Die Klage auf Herausgabe der kompletten Akten ist anhängig, womit sich der BND-Historiker Hechelhammer am Montag für sein Schweigen entschuldigte.

(Noch) kein Verfahren ist anhängig wegen der verweigerten Auskunft zur Colonia Dignidad - jener deutschen Siedlung in Südchile, in der über Jahrzehnte gefoltert wurde und in der man Kinder sexuell missbrauchte. Der BND-Waffenhändler Gerhard Mertins von der Firma Merex AG leitete den "Freundeskreis der Colonia Dignidad" in Deutschland. Zu diesem Thema verweigert der BND komplett die Auskunft. Zunächst verschanzte er sich hinter der generellen Geheimhaltung, dann bat er um Aussetzung des Auskunftsverfahrens bis zur Entscheidung in Leipzip über die Eichmann-Akten, und jetzt hat Pullach dem Bundesarchiv statt Akten ein Dokument über eine "Notvernichtungshandlung" vorgelegt. Warum die Akten vernichtet worden seien? Schweigen von Hechelhammer. Das Bundeskanzleramt wird demnächst auf eine parlamentarische Anfrage antworten müssen, warum sie nicht nur den barmherzigen Mantel der Geheimhaltung über einen nationalsozialistischen Massenmörder legen will sondern auch über die deutschen Päderasten in Chile.

Auf ihre Partei und den Koalititonspartner kann sich Frau Merkel verlassen. Bei einer aktuellen Debatte im Bundestag zum Thema Eichmann meinte am Mittwoch der parlamentarische Geschäftsführer der CDU, Manfred Grund, "ein Nachrichtendienst wäre kein Nachrichtendienst, wenn er alle seine Unterlagen auf den Marktplätzen der Welt ausbreiten würde". Die Redner der FDP beschränkten sich darauf, über die Stasi-Vergangenheit der Linkspartei herzuziehen. Die SPD hüllte sich in schöne Worte und legte sich, wie immer, nicht fest. Bei wem es sich um den SS-Obersturmbannführer Adolf Eichmann eigentlich gehandelt hatte - darüber ging es im Bundestag ebensowenig wie um seine Opfer. Seit 65 Jahre entweicht aus den Schornsteinen der NS-Vernichtungsmaschinerie kein Rauch mehr, und die heutigen, sich "demokratisch" nennenden Politiker nehmen sich das Recht heraus, Akten über die Täter geheim zu halten und uns die Wahrheit zu verschweigen. Sie verkünden es und gehen zur Tagesordnung über. Das ist unerträglich.


Links

(1) http://www.thorbecke.de/kreuzzug-und-herrschaft-unter-friedrich-ii-p-852.html
(2) http://medienpolitik.eu/cms/index.php?idcatside=62
(3) http://histsem1.phil-fak.uni-koeln.de/duelffer0.html
(4) http://www.staff.uni-marburg.de/~kriegerw/publikationen.htm
(5) http://rcswww.urz.tu-dresden.de/~zge/Mitarbeiter/mitarbeiter%20henke.htm
(6) http://www.mgfa.de/html/institut_mitarbeiter_2005.php?do=display&ident=3997ed6485ff2
(7) http://www.jankorte.de/

Telepolis Artikel-URL: http://www.heise.de/tp/r4/artikel/34/34056/1.html


Copyright © Heise Zeitschriften Verlag



=== 2 ===

il manifesto, 08 Giugno 2006

Eichmann, le spie Usa sapevano ma tacquero

Dai documenti dei National Archives americani: nel '58 la Cia sapeva dove si nascondeva il criminale nazista ma non disse nulla agli israeliani

Em. Gio.*

Ci sono personaggi il cui passato continua a riaffiorare dai buchi neri della storia. Quello di Adolf Eichmann ad esempio. Ma anche quello di chi protesse, semplicemente tacendo, la sua fuga in Argentina dopo la caduta del Reich. Da una settimana aiNational Archives americani, qualcosa come 27mila pagine di documenti desecretati e relativi al lavoro dei servizi segreti sui dossier che riguardavano i crimini di guerra di nazisti e giapponesi, sono adesso a disposizione degli storici. E parecchie cose sono già saltate fuori. Ad esempio che la Cia sapeva che Eichmann, uno dei pianificatori della «soluzione finale», fuggito nelle Americhe dopo cinque anni di clandestinità nella campagne tedesche, viveva libero e felice in Argentina. Sapeva che l'uomo per il quale Hannah Harendt coniò l'espressione «la banalità delmale», viveva sotto il falso nome di Ricardo Klement a Buenos Aires, per dove era salpato, con la complicità di ecclesiastici di rango, agli inizi degli anni '50. Ma ignorò l'informazione. L'intelligence americana riteneva infatti che una cattura di Eichmann avrebbe potuto danneggiare il lavoro di altri dirigenti nazisti che erano considerati alleati importanti degli americani. Tra questiHans Globke, consigliere di Adenauer che dopo il nazismo si era rifatto un nome. La Cia fece il possibile perché il suo passato ingombrante (con non poche responsabilità nella persecuzione degli ebrei) non venisse a galla e quando gli israeliani catturarono Eichmann, la Cia fece pressioni suimedia americani perché non saltasse fuori il nome di Globke. La cosa era nota ma adesso un memo di Allen Dulles, direttore dell'intelligence spiega bene come, nel settembre del '60, la Cia ritenesse un successo il fatto che Life avesse omesso di menzionare Globke dopo che la prestigiosa rivista aveva acquistato le memorie di Eichmann ormai sotto processo in Israele. Dove fu condannato amorte e giustiziato nel '62 nel carcere Ramleh di Tel Aviv. La sua cattura era stata rocambolesca: nel 1957 un ebreo ceco di nome Lothar Hermann aveva scoperto che l'Obersturmbannfuhrer delle Ss, il «logista» dello sterminio, viveva nella capitale argentina. Ne informò unmagistrato tedesco che a sua volta lo fece sapere al Mossad. I servizi israeliani preparano le cose con cura durante tre anni e nel '60 lo rapirono e lo trasferirono segretamente in Israele, evitando le procedure regolari che avrebbero impedito la sua cattura visto che l'Argentina era stata scelta dai nazisti proprio perché non prevedeva l'estradizione. E' lecito supporre che in questa operazione non furono aiutati dai colleghi americani.  *Lettera22

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il manifesto, 20 Agosto 2006

I gerarchi nazisti al fronte occidentale

Archivi americani. Eichmann, Globke, Gehlen furono salvati dagli americani in nome della guerra fredda e della ricostruzione di una Germania occidentale fedelmente alleata agli Stati Uniti

Fabrizio Tonello

Nel mondo compiutamente orwelliano del Corriere della sera del 12 agosto solo pochi centimetri di piombo, in prima pagina, separavano l'editoralista alla moda che predicava il ritorno alla tortura dallo sprezzante critico di Günter Grass che irrideva alla pretesa di quest'ultimo di esercitare un qualunque magistero morale. In altre parole, chi a 17 anni ha fatto parte di un'unità militare SS senza mai aver compiuto alcun crimine, e nemmeno essere stato impegnato in combattimento, dovrebbe astenersi dal dare lezioni di etica pubblica ai governi, lezioni che ci dovrebbero essere impartite, invece, dai sostenitori della tortura i quali, né a 17 anni né in età più matura, hanno mai letto (o compreso) Cesare Beccaria.
C'è qualcosa di leggermente disgustoso, maleodorante, nell'orgia di ipocrisia seguita alle dichiarazioni di Günter Grass del 12 agosto. Ignoranti della storia, giornalisti senza pudore, scribacchini invidiosi e storici improvvisati si sono lanciati sulla ghiotta preda senza darsi la pena di verificare le informazioni, reperibili in qualsiasi buon manuale di storia della seconda guerra mondiale.
Cominciamo dal capire cos'era la divisione SS a cui è appartenuto lo scrittore tra il 10 novembre 1944 e l'8 maggio 1945, quando fu catturato dagli americani in Cecoslovacchia. La 10° Panzer-Division delle SS «Frundsberg» era una unità di costituzione recente, che dopo aver subito durissime perdite in Russia, venne trasferita in Normandia, in seguito allo sbarco delle truppe alleate il 6 giugno 1944. Dopo aspri combattimenti nella sacca di Falaise e altre operazioni difensive venne trasferita in Olanda, dove subì altre gravi perdite e solo il 18 novembre '44 arrivò ad Aquisgrana per un periodo di riposo e ricostituzione dei ranghi. La cartolina precetto arrivò a Grass in questa fase, quando gran parte della forza della divisione era costituita da giovanissimi soldati che avevano bisogno di addestramento. Infatti, lo scrittore afferma che non fu mai impegnato in combattimento. Nel gennaio '45 la «Frundsberg» fu trasferita nell'alto corso del Reno, destinata a forza di riserva, e il 10 febbraio fece ritorno sul Fronte Orientale, dove, dopo un durissimo mese di combattimenti venne costretta a ritirarsi al di là dell'Oder, presso Stettino. A metà aprile era nell'area di Dresda, dove il comandante Harmel, per il suo rifiuto di eseguire gli ordini di Hitler, venne destituito. I resti della «Frundsberg» si consegnarono agli americani, l'8 maggio '45.
Grass, dunque, non fu veramente volontario nelle SS (a 15 anni aveva chiesto di prestare servizio nella più romantica ed esotica delle unità militari, i sottomarini) e quando gli arrivò la convocazione non dovette sottoporsi ad alcun esame di fedeltà al nazismo: le Waffen SS, a partire dal '44, reclutavano tutto ciò che potevano, compresi i giovanissimi, per ricostituire i loro ranghi decimati. Lo stesso Joachim Fest, uno dei più aspri critici di Grass in Germania, sottolinea di essersi arruolato nell'esercito per «sfuggire alla coscrizione obbligatoria nelle SS». Grass non prestò servizio come guardia in un lager, non fece carriera nell'esercito, men che meno nel partito nazista. Il suo unico peccato fu quello di subire il fascino delle uniformi, come milioni dei suoi coetanei.
Esaminiamo, invece, il caso di tre tedeschi la cui sorte fu ben diversa dalla sua: altissimi funzionari del partito nazista, direttamente coinvolti nello sterminio, furono salvati dagli americani in nome della guerra fredda e della ricostruzione di una Germania occidentale fedele alleata agli Usa. Il primo è quello di Adolf Eichmann, uno degli architetti della «soluzione finale del problema ebraico», i cui documenti sono depositati nei National Archives Usa (numero di identificazione XE004471). I documenti dimostrano che la Cia aveva individuato Eichmann in Argentina almeno dal '58 ma si guardò dal fornire le informazioni sul criminale di guerra a Israele, che lo avrebbe rintracciato, portato a Gerusalemme, processato e condannato a morte nel 1962.
Perché la Cia protesse Eichmann? Sembra che lo abbia fatto per proteggere Hans Globke, il consigliere per la sicurezza nazionale del cancelliere tedesco Adenauer. E chi era Globke? Un nazista che aveva lavorato nel dipartimento Affari Ebraici e che era stato forse coinvolto nella stessa elaborazione delle leggi razziali. Lungi dall'assere processato, o escluso da incarichi pubblici, Globke era stato integrato in una posizione di altissima responsablità nel governo della Repubblica Federale. Günter Grass, del resto, ricorda nella sua intervista che il giudice che condannò alla fucilazione sommaria suo zio Franz, arrestato a Danzica, continuò la sua carriera nella magistratura tedesca dopo la guerra. E infine c'è il caso del general Reinhard Gehlen, il capo dei servizi segreti nazisti, che alla fine della guerra venne semplicemente assunto dagli americani per continuare ciò che sapeva fare meglio: lo spionaggio all'Est. Per decenni Gehlen lavorò indisturbato per i nuovi padroni e per la Germania Federale malgrado le sue responsabilità durante la II guerra mondiale. Le informazioni su di lui sono state tenute segrete per 50 anni e solo dal maggio 2004 sono diventate consultabili nei National Archives (Record Group 319, Entry 134A, Boxes 144A-147). Si trattava di tre onesti patrioti, tre persone costrette a collaborare per sfamare la famiglia? Questo è lo specioso argomento invocato da Fest nell'intervista a Repubblica. Al contrario, Eichmann, Globke e Gehlen avrebbero meritato di essere processati a Norimberga assieme a quelle altre centinaia di gerarchi nazisti di livello inferiore che sfuggirono alla cattura grazie al Vaticano e agli Stati Uniti, spesso partendo dal porto di Genova. Gli ammiratori dell'amministrazione Bush, gli scribi e i farisei che si stracciano le vesti al sentire la parola «SS» hanno mai sentito il detto biblico sulla pagliuzza nell'occhio dell'altro, da confrontare con la trave nel proprio?


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Nazi “Butcher of Lyon” was a German intelligence agent


By Dietmar Henning 
22 January 2011


Klaus Barbie, the Nazi war criminal infamously known as the “Butcher of Lyon”, was an agent of the German Federal Intelligence Service (BND) in the 1960s. This was revealed recently by the news magazine Der Spiegel.

Adopting the name Klaus Altmann at the time, Barbie operated under the code name “Eagle” (agent number V-43118) and provided the BND with at least 35 political reports in 1966. His payment for this—up to DM 500 (deutschmarks)—was transferred to him via a branch of the Chartered Bank of London in San Francisco. BND files praised the “quintessentially German attitude” of this “decisive enemy of communists”. At the turn of 1966-67, the BND terminated contact with its source, Barbie alias Altmann, paying him a final cash settlement of DM 1,000.

This last point was discovered by a history student at the University of Mainz, Peter Hammerschmidt. He is currently working on a degree thesis entitled “‘The Butcher of Lyon’ in the pay of the United States: Concerning the relations between Klaus Barbie and the American secret service”. In September, Hammerschmidt was able to view Barbie’s BND file as part of his scientific work and released his findings about Barbie’s BND past earlier this year.

As a captain in the SS (Hitler’s elite force) from 1940 to 1942, Klaus Barbie tortured and murdered people in the German occupied Netherlands and Belgium. During this time, he was “head of Jewish affairs in the main office of the Reich (empire) Security Department” in The Hague.

From November 1942, he was chief of the Gestapo (Nazi secret police) in Lyon in the area of southern France administered by the pro-fascist Vichy regime of General Petain. His horrifically cruel crimes committed there earned him the title “Butcher of Lyon”. His victims were workers, peasants and members of the resistance—including Jean Moulin, whose arms, legs and ribs were broken in the course of daily interrogations. Women were beaten unconscious, raped and sodomised. Thousands of men and women were tortured, sent to extermination camps or killed by Barbie. These included 41 Jewish children from Izieu, France, aged 3 to 13, whose deportations were arranged by Barbie on April 6, 1944. They died in the gas chambers at Auschwitz.

Towards the end of 1944, Barbie suddenly disappeared, going into hiding somewhere in Germany shortly before the end of war. Accused of numerous crimes, he was sentenced to death in absentia by the French authorities for the first time in 1947, and again in 1952 and 1954 following the discovery of further crimes.

However, the wanted war criminal was protected by both the intelligence service of the US army, its Counter Intelligence Corps (CIC), and the German authorities. Hammerschmidt claims that Barbie’s name appeared on the CIC’s payroll in April 1947, although it had been on the allies’ wanted list in the spring of 1946. This saved him from extradition to France and he was able to live in Germany undisturbed.

As an agent of the CIA from 1950, Barbie recruited members for the far-right League of German Youth (BDJ) that was later to be banned. The BDJ was the German vanguard organisation of the infamous Gladio NATO (North Atlantic Treaty Organisation) troops in Europe. This paramilitary organisation with close ties to extreme right-wing terrorists was set up to carry out sabotage and assassinations behind enemy lines in the event of an attack from the Soviet Union. Aided by the US in 1951, Barbie emigrated to Bolivia under the name of Klaus Altmann via the so-called “rat lines”.

Unlike many other war criminals in South America, Barbie did not simply disappear from the scene, but rose to the position of official adviser to Bolivia’s right-wing military dictatorships. Operating from the army’s headquarters, he passed on experience acquired in Lyon that was useful to members of the military secret service in their suppression of political opposition: “interrogation techniques”, “torture methods” and “anti-guerrilla tactics”. Under René Barrientos Ortuno’s military junta, Barbie rose to the post of military advisor for counterinsurgency in 1964-65, receiving a diplomatic passport in 1966.

At the same time, Barbie managed a sawmill under the name of Altmann. He became rich owing to the Vietnam War, when he sold vast quantities of cinchona plant—the raw material for the antimalarial analgesic quinine—to the German chemical company Böhringer in Mannheim.

He was simultaneously involved in the arms and drug trades. From the mid- to late 1960s, the Butcher of Lyon travelled to South American countries and to Spain and Portugal, supplying their respective dictatorships with weapons. After Colonel Hugo Banzer Suárez’s bloody CIA-backed coup in 1971, Barbie was promoted to a paid consultant to the interior ministry and counter-espionage division of the Bolivian army. In addition, he established his own paramilitary force, which he used to support the military coup by General Luis García Meza in 1980.

During the rule of President Hernán Siles Zuazo two-and-a-half years later, the Bolivian police arrested Barbie on January 19, 1983. In the same year, he was extradited to France and brought to court in Lyon. According to Hammerschmidt, who was also able to carry out research in the US National Archives (NARA) in Washington, a CIA document from December 1983 mentions that the prevailing French government of Francois Mitterrand—for domestic political reasons—had purchased Barbie’s sudden extradition from Bolivia with weapons: small arms, machine guns, antitank weapons and ammunition.

Barbie was accused of crimes against humanity and sentenced to life imprisonment on July 4, 1987. He died in prison in 1991.