Informazione
Perché è saltato l’equilibrio di potere di Gheddafi? Chi sono “quelli di Bengasi”? Questa è una vera guerra del petrolio, rivelatrice della competizione globale e piena di incognite (di Sergio Cararo)
http://domenicolosurdo.blogspot.com/2011/03/una-nuova-operazione-coloniale-contro.html
Gli attacchi francesi alla Libia non sono un’operazione francese, ma un elemento dell’operazione Odyssey Dawn posta sotto l’autorità dell’US AfriCom (di Thierry Meyssan)
No all’intervento militare contro la Libia
No alla concessione delle basi italiane per la guerra
Appello per una manifestazione nazionale
Rete nazionale "Disarmiamoli!"
Le bombe della cosiddetta “coalizione dei volonterosi” colpiscono da giorni la Libia, le città, i porti e le infrastrutture di un paese sino a poche settimane fa alleato sicuro e fedele di chi oggi lo sta bombardando. Gran parte degli aerei partono dal nostro paese, trasformando per l’ennesima volta l’Italia in una grande portaerei di guerra.
La “No Fly Zone” è stato un vergognoso paravento per legittimare una aggressione funzionale alle mire colonialiste francesi, inglesi e statunitensi sulle immense risorse petrolifere e di gas della Libia.
Il placet dell’ONU per quella che rischia di trasformarsi in una nuova occupazione militare è passato attraverso l’uso delle solite “armi di distrazione di massa”. Sono state inventate di sana pianta notizie allarmanti e orribili per legittimare poi l’intervento “umanitario” a favore delle popolazioni civili libiche, che ora però muoiono sia nella guerra civile che sotto le bombe statunitensi, francesi, inglesi.. e italiane.
Il gruppo di paesi che guidano l’attuale avventura militare, sono andati alla guerra senza alcun accordo sul ruolo della NATO e con contrasti all’interno tra i vari governi. I
n Italia il governo Berlusconi si è salvato da una crisi politica ben più grave di quelle giuridico/sessuali degli ultimi tempi grazie al sostegno del PD alla guerra, alimentando così una foga interventista vergognosa, coadiuvata dal Presidente della Repubblica attraverso un sapiente uso delle celebrazioni sul 150° dell’Unità d’Italia, funzionali a creare nel paese il clima nazionalista utile per veicolare l’ennesima “missione di guerra”.
Ancora una volta al carro degli interventisti “umanitari”si è immediatamente legata la cordata di coloro che gridarono impropriamente “forza ONU” alcuni anni fa mentre l'Iraq e l'Afghanistan erano stati invasi e bombardati.
Ma contro il bellicismo bipartisan e i velenosi appelli di sostegno alla nuova missione “di guerra umanitaria”, hanno risposto miagliai di attivisti No War scesi subito in piazza a Roma, Bologna, Pisa, Napoli, Milano, Torino, Vicenza, Firenze, Trapani, ed in tante altre città del paese con manifestazioni spontanee, volantinaggi, assemblee e riunioni.
Nei prossimi giorni altre iniziative sono in programma ai quattro angoli del paese, in una mobilitazione che trova di nuovo nella parola d’ordine “contro la guerra senza se e senza ma” un forte comune denominatore.
Il movimento contro la guerra italiano ha però una responsabilità particolare di fronte all’aggressione in atto contro la Libia. L’intera operazione aeronavale è diretta dal Comando delle forze navali Usa in Europa, situato a Napoli, dove si trovano anche il quartier generale delle forze navali del Comando Africa e quello della Forza congiunta alleata. Tutti e tre i comandi sono nelle mani dello stesso ammiraglio statunitense Sam J. Locklear III, ossia del Pentagono.
Occorre allora indicare in questo luogo l’obiettivo comune di questa fase di mobilitazione, in un crescendo che ci porti tutti insieme a Napoli, dove è il cervello di questa nuova e vergognosa guerra con una Manifestazione Nazionale nelle prossime settimane che riunifichi il movimento contro la guerra italiano e indichi chiaramente le responsabilità e i luoghi decisivi di questa guerra.
La Rete nazionale “Disarmiamoli!!”
3381028120 - 3384014989 |
Dopo il via libera della risoluzione ONU sulla “No-Fly Zone”, Francia, Gran Bretagna e USA hanno cominciato i bombardamenti sul suolo dello Stato libico provocando le prime morti e distruzioni. Questa nuova sporca guerra, condotta dalle potenze imperialiste sotto il falso ombrello ONU di una missione di protezione civile, viola ancora una volta ogni norma di legalità e civiltà internazionale. Una ristretta élite di paesi - con a capo gli Stati Uniti del nobel per la pace Barack Obama! - pretende di governare il mondo con la forza delle armi e decide chi fa parte della comunità internazionale e chi ne è escluso, chi è civile e chi è barbaro, chi è sovrano e chi può essere oggetto di ingerenza in qualsiasi momento.
I governi delle principali potenze capitalistiche europee si sono dimostrati subito pronti ad intervenire, cercando ognuno un proprio ruolo nell'architettura imperialistica globale disegnata dagli USA. Essi sosterranno e finanzieranno la guerra con le risorse delle proprie classi lavoratrici e al prezzo del sangue di migliaia di vite umane della stessa popolazione libica. La guerra costerà dunque carissima a tutti: difficilmente fermerà la crisi globale in atto ma sarà una manna per gli interessi geopolitici di un pugno di paesi neo-colonialisti e per le imprese capitalistiche dell’apparato militare-industriale.
In Italia il governo Berlusconi concede le basi sul nostro suolo e partecipa all’intervento militare diretto, aspirando a proporsi, pur con qualche improvvisazione, come avamposto imperialista nel Mediterraneo e come piattaforma per le dinamiche imperialistiche più complessive. E tutto questo con la vergognosa sollecitazione del Presidente della Repubblica, di tutta l’opposizione (PD in primis) e persino con il beneplacito di parte dell’intellighenzia “pacifista” della sinistra (SEL).
E' difficile capire cosa stia avvenendo in tutto il Maghreb. E' un fatto che rivolte popolari per il pane ed il lavoro siano in corso da almeno due anni e siano fortemente legate alla crisi del capitalismo su scala planetaria nonché alle ricette liberiste che i regimi e governi locali hanno accettato provocando enormi disparità sociali. Altrettanto chiaro è che i fermenti e le contraddizioni delle società nordafricane - fermenti e contraddizioni che attraversano la società civile, le istituzioni e persino le forze armate - sono guardate con molto interesse dall'Occidente. In alcuni casi, come in Tunisia ed Egitto, queste ribellioni popolari hanno provocato una sollevazione di massa che ha costretto i governi a cadere, lasciando il campo ad una situazione politica che è ancora incerta ma che non sembra mettere in discussione l'ordine imperialista nel Mediterraneo. In Libia hanno invece provocato una guerra civile all’interno del sistema sociale tribale, dell'establishment e dell'esercito, un conflitto nel quale il collegamento con le centrali imperialiste si è reso evidente nel momento in cui i "ribelli" hanno richiesto esplicitamente l'intervento militare occidentale.
E' chiaro, in generale, che le potenze imperialiste cercano di approfittare dell’instabilità geopolitica o di sollecitarla per rimettere sotto il proprio controllo neo-coloniale le ricchezze naturali e la manodopera di questi paesi, magari instaurando “manu miltari” dei protettorati della NATO.
La lotta di liberazione nazionale della Libia si è compiuta 40 anni fa. Questo non ha certamente risolto tutti i problemi di quel paese. E però l'autodeterminazione del popolo libico - che come quella di ogni popolo è un processo complesso e non privo di contraddizioni interne - per essere autenticamente tale dovrebbe svilupparsi in piena autonomia e al di fuori di ogni ingerenza esterna. Non è questo ciò che sta avvenendo oggi. Riportare la Libia oggi, e altri paesi domani, sotto il controllo imperialista sarebbe uno smacco sia per l’autodecisione e la sovranità delle nazioni, sia per le legittime lotte sociali. La Libia ha già conosciuto le efferratezze e le rapine del colonialismo di Italia, Francia e USA: evitiamo questo nuovo bagno di sangue e questo ennesimo tradimento della Costituzione.
Mobilitiamoci contro la guerra imperialista
Ritirare gli aerei e le navi italiane dal fronte libico
Chiudere le basi USA-NATO in Italia
Basta guerre e spese militari
i soldi per l'emergenza lavoro e per l’emergenza casa
COMUNISTI UNITI
www.comunistiuniti.it
info@...
I presunti pretesti umanitari sono del tutto falsi! Stanno gettando della polvere negli occhi dei popoli! Il loro vero obiettivo è rappresentato dagli idrocarburi della Libia.
Noi, partiti comunisti e operai, condanniamo l'intervento militare imperialista. E' il popolo stesso della Libia che deve determinare il proprio futuro, senza interventi imperialisti stranieri.
Chiamiamo i popoli a reagire e a esigere l'arresto immediato dei bombardamenti e dell'intervento imperialista!
E' ormai evidente come per gli Stati Uniti,la Francia e le altre potenze europee, la posta in gioco in Libia non siano affatto i diritti del popolo libico quanto gli abbondanti giacimenti e rifornimenti di petrolio e di gas. Un obiettivo, questo, ritenuto strategico di fronte all’acutizzazione della crisi economica internazionale e dalla inevitabile escalation dei prezzi energetici nei prossimi giorni.
Federazione Bologna
LIBIA. NOI NON CI ARRUOLIAMO!
CESSARE IMMEDIATAMENTE IL FUOCO
L’attacco delle forze europee e statunitensi alla Libia non avviene per mettere in campo un intervento umanitario ma è in tutta evidenza legato alle enormi risorse energetiche di cui quel paese dispone. Il mancato analogo intervento in altre situazioni simili – il massacro dei Palestinesi a Gaza da parte degli Israeliani che ha prodotto migliaia di morti mentre le potenze occidentali stavano a guardare e i media internazionali si occupavano d’altro, il silenzio totale su quanto sta accadendo in Bahrein e Yemen - non consente di equivocare sulle reali intenzioni degli attaccanti.
Mentre la tragedia giapponese rende impervia e comunque improbabile la prosecuzione dell’avventura nucleare per i Paesi occidentali avanzati, la necessità di assicurarsi le provviste di gas e di petrolio diventa importantissima e spinge le nazioni più industrializzate, e quindi maggiormente bisognose di fonti di energia, a farsi sceriffi interessati nella guerra civile libica. E’ evidente che l’intervento militare ha buon gioco ad accreditarsi come umanitario, viste le caratteristiche del rais libico Gheddafi che, dopo aver avuto una qualche funzione antimperialista nell’area, non ha però saputo minimamente procedere sul terreno della democrazia e della equa distribuzione delle immense ricchezze del suo Paese.
L’intervento in corso non solo consentirà ai paesi occidentali di garantirsi probabilmente gli approvvigionamenti di risorse energetiche per i prossimi anni instaurando in Libia un vero e proprio protettorato occidentale, ma potrà anche essere di pesante monito alle popolazioni dei Paesi limitrofi in lotta per liberarsi dai tiranni locali come l’Egitto e la Tunisia.
I lavoratori italiani non hanno nulla da guadagnare dalla guerra, che sicuramente consentirà al Governo, dentro una crisi economica che i lavoratori stanno pagando duramente, di dirottare ulteriori risorse sul fronte degli armamenti giustificando così ulteriori tagli al welfare.
L’USB esprime quindi una grande preoccupazione per quanto sta avvenendo in queste ore in Libia ed invita tutte le proprie strutture a farsi promotrici di iniziative a sostegno della pace e dell’immediato cessate il fuoco.
20/03/2011
La situazione in Libia vista dagli esperti serbi
20.03.2011, 19:51
Dalla Libia continuano ad arrivare notizie preoccupanti. Le autorità del Paese hanno cominciato a distribuire armi tra la popolazione per far fronte all’intervento militare straniero. Muammar Gheddafi invita la popolazione ad una lunga guerra, a combattere contro le forze della coalizione occidentale per ogni palmo di terra natale. Secondo le notizie che sta diffondendo la Televisione libica, sono stati sottoposti ad attacchi aerei anche siti civili. Hanno già perduto la vita circa cinquanta persone, circa 150 ne sono rimaste ferite.
I serbi che avevano già gustato l’aggressione militare della NATO, più degli europei hanno il diritto di dare valutazione di ciò che sta accadendo in Libia. Ecco che cosa dice, in particolare, il politologo Giorge Vukadinovic:
Penso che l’Ue ha fatto un passo irragionevole scatenando un conflitto militare contro la Libia – conflitto che non potrà controllare e il cui esito è imprevedibile. Le sue conseguenze possono essere molto gravi per l’Europa – sul versante sia politico che economico. Il miraggio di politica europea comune può spezzarsi se non si è già spezzato durante il voto al Consiglio di Sicurezza dell’l’ONU quando si è astenuta la Germania.
Sulla stessa scia anche il noto politologo serbo Gostemir Popovic.
Con decisione unilaterale dell’America le forze aeronautiche della NATO hanno cominciato a bombardare il territorio della Libia. Vittime dell’aggressione, in ogni caso, saranno abitanti civili della Libia. Occorre far cessare tutte le azioni militari contro la Libia. Anzi occorre rinviare a giudizio tutti i loro ispiratori.
Cari amici, ci è molto interessante sapere che cosa pensate voi degli avvenimenti in atto nel mondo. Lasciate i vostri commenti sul nostro web sito: www.ruvr.ru
Manlio Dinucci
Lo scenario è quello che abbiamo già vissuto quando, il 24 marzo 1999, gli aerei decollati dal territorio italiano, messo a disposizione delle forze Usa/Nato dal governo D’Alema (centro-sinistra), sganciarono le prime bombe sulla Serbia iniziando la «guerra umanitaria», cui parteciparono poco dopo anche i cacciabombardieri italiani. Ora l’obiettivo della nuova «guerra umanitaria» è la Libia.
Per farsi perdonare a Washington il trattato di amicizia italo-libico che impegnava le due parti a «non ricorrere alla minaccia o all’impiego della forza», il governo Berlusconi (centro-destra) ha messo ha disposizione non solo tutte le basi, ma forze aeree e navali per l’attacco. Come ha spiegato l'ex capo di stato maggiore dell'aeronautica Leonardo Tricarico, per imporre la no-fly zone sulla Libia occorre neutralizzare le difese antiaeree nemiche. «Noi questa capacità ce l'abbiamo ed è costituita dai caccia Tornado Ecr: l'abbiamo fatto in Kosovo e dopo tre giorni non volava più un aereo serbo».
Questo già considerevole schieramento costituisce solo una piccola parte della forza complessiva usata nella guerra contro la Libia. Quella aerea è composta dai caccia francesi Rafale, i primi ad attaccare partendo dalla base di Saint Dizier, dai Tornado britannici spostati a sud a breve distanza dalla Libia, dagli F-16 statunitensi di Aviano, dove stanno arrivando altri cacciabombardieri, dagli F-16 belgi e norvegesi ridislocati anche’essi a sud, cui si aggiungono Cf-18 canadesi.
La forza navale è altrettanto imponente. Essa comprende, tra le molte navi da guerra schierate di fronte alla Libia, la nave Usa da assalto anfibio Kearsarge, la più grande del mondo, con a bordo aerei ed elicotteri da attacco e mezzi da sbarco, in grado di trasportare 4mila marines e carrarmati. E’ affiancata dalla portaelicotteri francese Mistral, unità da assalto anfibio con elicotteri da attacco, carrarmati pesanti e 500 commandos. Il fatto che il presidente Obama abbia dichiarato che gli Stati uniti non invieranno truppe terrestri in Libia è facilmente spiegabile: come avvenne nella guerra contro la Jugoslavia, lo sbarco di truppe viene preceduto da pesanti bombardamenti aerei e navali.
L’intera operazione aeronavale è diretta dal Comando delle forze navali Usa in Europa, a Napoli, dove si trovano anche il quartier generale delle forze navali del Comando Africa e quello della Forza congiunta alleata. Tutti e tre i comandi sono nelle mani dello stesso ammiraglio statunitense Sam J. Locklear III, ossia del Pentagono.
Perché questo imponente impiego di forze, spropositato in rapporto alle capacità militari del regime di Gheddafi? Perché evidentemente non si tratta solo di una operazione militare ma di una corsa all’oro nero libico, che i partecipanti intendono spartirsi in misura proporzionale al loro impegno nella «guerra umanitaria».
(il manifesto, 20 marzo 2011)
Uranio impoverito nei Tomahawk sulla Libia
Written by Redazione Contropianohttp://www.fisicamente.net/GUERRA/index-273.htm
http://web.peacelink.it/tematiche/disarmo/u238/documenti/uranio_impoverito.html
http://mondodiverso.blogspot.com/2004_09_01_archive.html
Il Messaggero, 20-03-2011
Centinaia di militari inglesi in azione da febbraio al fianco dei ribelli
LONDRA - Da fine febbraio centinaia di militari britannici del Sas, lo Special Air Service, sarebbero in azione al fianco dei gruppi ribelli in Libia. Lo rivela il Sunday Mirror, scrivendo che da tre settimane due unità sono impegnate in Libia a preparare l'operazione.
Si tratterebbe di gruppi soprannominati Smash per la loro capacità distruttiva. Il mandato è quello di dar la caccia ai sistemi di lancio di missili terra-aria di Gheddafi (i Sam 5 di fabbricazione russa) in grado di colpire a 400 chilometri di distanza. Affiancati da personale sanitario, ingegneri e segnalatori, gli Smash hanno creato posizioni sul terreno in modo da venire in aiuto in caso in cui jet della coalizione venissero abbattuti.
La loro presenza è stata indirettamente confermata dal domenicale Observer: una delle preoccupazione dei piloti dei Tornado - scrive il giornale - sarebbe quella di non colpire i commilitoni delle forze speciali, operative a Bengasi per aiutare a “illuminare” i bersagli e offrire intelligence sul terreno.
Vent'anni fa la Prima Guerra del Golfo diede allo Special Air Service la possibilità di tornare alle missioni nel deserto, che nel 1941 ne avevano determinato la nascita. La caccia ai missili Scud iracheni fruttò nuova fama e il riconoscimento del generale Norman Schwarzkopf.
Non è la prima volta che le unità d'elite entrano in azione in Libia: a fine febbraio gli uomini del Sas hanno tratto in salvo dipendenti del petrolio bloccati a sud di Bengasi. Più di recente, il Sas è stato al centro di una clamorosa gaffe quando un team diplomatico britannico, assieme al commando mandato per proteggerlo, è finito in stato di arresto presso una base militare controllata dai rivoltosi. I diplomatici erano stati inviati in Libia per stabilire contatti con l'opposizione ma il loro fermo e successiva liberazione aveva smascherato la loro presenza che doveva restare segreta con grave imbarazzo di Hague e del Foreign Office.
Libia: Il neo colonialismo vola sulle ali della “No Fly zone”
Battiamoci per fermare la nuova aggressione USA / NATO nel cuore del Mediterraneo.
Comunicato della Rete nazionale Disarmiamoli!
La volata in questa nuova escalation di guerra l’ha tirata il Presidente francese Nicolàs Sarkozy, il quale lo scorso 10 marzo - dopo l’incontro con il Consiglio Nazionale Transitorio libico, insediatosi a Bengasi e subito riconosciuto come unico rappresentante del popolo libico - chiedeva bombardamenti mirati sulla Libia.
L’approvazione della risoluzione ONU per l’instaurazione della “No Fly Zone” sui cieli di Libia, che ha vistonel Consiglio di Sicurezza 10 voti a favore e 5 astenuti (Russia, Cina, Brasile, India e Germania) trasforma quello che nei primi giorni sembrava un azzardo di Sarkozy in una ingerenza militare che si dispiegherà nelle prossime ore.
Quanto siano affidabili i referenti scelti da Francia e Inghilterra in questa nuova avventura di guerra - il Consiglio Nazionale Transitorio libico - sarà motivo di verifica nei prossimi giorni.
I pochi dati che abbiamo a disposizione su quest’alleanza, nata sull’onda di uno scontro ben diverso dalle rivolte scoppiate in tutto il Maghreb, non sono rassicuranti.
Innanzitutto c’è molto da dubitare in una rappresentanza che cerca legittimazione da uno dei governi più compromessi con il passato e il presente colonialista europeo, chiedendo a gran voce l’instaurazione di una No Fly Zone con i conseguenti bombardamenti che ciò comporterà. Gli eventi di questi giorni dimostrano che il conflitto libico è ben diverso dalle rivolte scoppiate negli altri paesi arabi. In Libia siamo di fronte ad una guerra civile tra le grandi tribù che prima formavano il sistema di governo della Jamahiriya.
Altro segnale preoccupante per gli eserciti occidentali sono stati gli arresti verificatisi nelle scorse settimane di corpi scelti inglesi, catturati mentre tentavano di infiltrarsi tra gli oppositori di Gheddafi per “sostenere” la rivolta. Sostegno rispedito rudemente al mittente, da parte di chi combatte contro l’indifendibile Raìs di Tripoli, ma che evidentemente non vuole ingerenze dall’esterno.
Qual è allora la rappresentanza e quali gli obiettivi di questo Consiglio Nazionale Transitorio libico? Con ogni probabilità siamo di fronte ad un gruppo rappresentativo di alcune tra le tribù libiche in conflitto, disposte - per avere un ruolo nel futuro di quel paese - a divenire “cavalli di Troia” per la frammentazione della Libia in funzione degli interessi occidentali.
Le risorse energetiche libiche sono immense e gli attuali “primi della classe” (Francia, Inghilterra, USA) intendono spartirsele attraverso i ben noti strumenti di “pace” sperimentati in questi anni in Iraq, Jugoslavia, Afghanistan, Libano, Palestina.
Il movimento contro la guerra è vaccinato dalla propaganda filo – imperialista che prepara il terreno alle aggressioni neo colonialiste. I contenuti della campagna mediatica scatenata sui fatti di Libia sono un modello ben noto - e “bipartisan” – per legittimare di fronte all’opinione pubblica l’aggressione militare.
In Libia occorre fare appello per un cessate il fuoco immediato e l’avvio di una conciliazione tra le tribù in conflitto. Ciò potrà avvenire solo attraverso l’autorevolezza di una proposta fatta da soggetti neutri e disinteressati alle vicende interne libiche, non certo dai bombardieri della NATO e da un’alleanza in loco disposta a delegare a essi la soluzione della guerra civile.
Contro la nuova guerra nel Mediterraneo, contro i complici dell’intervento militare “umanitario” in Libia prepariamo la mobilitazione in tutte le città.
No all'uso delle basi militari in Italia per l'aggressione contro la Libia.
Organizziamo mobilitazioni in tutte le città.
La Rete nazionale Disarmiamoli!
www.disarmiamoli.org info@... 3381028120 - 3384014989
Oggetto: Libia. Mobilitiamoci contro la guerra della NATO!
Data: 19 marzo 2011 13.44.52 GMT+01.00
Libia. Mobilitiamoci contro la guerra della NATO!
A 12 anni dalla “guerra umanitaria” della NATO che dal 24 marzo 1999 bombardò la Serbia per tutta la primavera per riportarla, come dichiarò il generale Wesley Clark, indietro di mezzo secolo, le potenze imperialiste fanno altrettanto con la Libia, cento anni dopo l’invasione italiana. È questione di qualche giorno, se non di ore.
Sotto il pretesto di salvare le popolazioni civili, e con la pezza d’appoggio di una risoluzione del consiglio di sicurezza dell’Onu (10 a favore, 5 astenuti: Brasile, Cina, Russia, India, Germania) riscaldano i motori dei Tornado. In prima fila questa volta ci sono Francia, Inghilterra e gli USA, con la Clinton, pronta ad eguagliare e superare le imprese del coniuge che bombardò la Serbia, sostenuto dalla dama di ferro Madeleine Albright.
Come allora, nel 1999, anche ora si è messa in moto la macchina infernale delle menzogne mediatiche e della demonizzazione del “dittatore” di turno per giustificare l’aggressione militare a un paese ricco di petrolio e porta per l’Africa centrale (il continente dove già da tempo si è scatenata la contesa tra potenze per una sua ripartizione neocoloniale). Gli stessi che perorano l’urgenza improcrastinabile della guerra umanitaria contro la Libia, non hanno mai levato la voce neppure per deplorare la violenza di Israele che si è abbattuta nel dicembre 2008-gennaio 2009 sulla popolazione di Gaza, prigione a cielo aperto per i palestinesi, e che haa provocato migliaia di vittime; né si preoccupano per la violenza omicida dei governi del Bahrein o dello Yemen, dove l’Arabia Saudita (uno stato che porta il nome di una dinastia!) interviene con le sue truppe contro i manifestanti. Sono le stesse petromonarchie – dagli Emirati all’Arabia – legate a filo doppio con gli USA, che inviano armi e truppe agli insorti contro Gheddafi. I quali – quale che sia la loro coscienza soggettiva (tra essi troviamo ex ministri e alti funzionari della Jamahiriya) – sono lo strumento di cui si servono le forze imperialiste per mettere le mani sul paese, non solo per le sue importanti risorse energetiche, ma per la sua collocazione geografica strategica per il Mediterraneo e per l’Africa.
Nelle condizioni concrete della Libia l’imposizione di una “No fly zone” implica un bombardamento militare ad ampio raggio. Come concordano molti esperti, l’attuazione di una no fly zone sulla Libia dovrebbe cominciare con un attacco, “nel senso – spiega l’ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica Leonardo Tricarico – che occorre neutralizzare i mezzi antiaerei nemici, cioè distruggere radar e postazioni missilistiche. Noi questa capacità, cosiddetta SEAD, cioè ‘soppressione delle difese aeree nemiche’, ce l’abbiamo ed e’ costituita dai caccia Tornado: l’abbiamo fatto in Kosovo insieme ai tedeschi e dopo tre giorni non volava più un aereo serbo”.
L’Italia potrà mettere a disposizione questi assetti aerei, eventualmente insieme ai caccia F-16 ed Eurofighter, idonei per il pattugliamento e la sorveglianza, oltre agli aeroplani Av8, di cui e’ equipaggiata la portaerei Cavour. Viene data per scontata la messa a disposizione delle basi aeree, specie quelle del centro-sud, sia per il rischieramento degli aerei di altri Paesi, sia per l’assistenza logistica. Gli aerei-radar Awacs, ad esempio, potrebbero essere dislocati a Trapani, che e’ specificatamente attrezzata per questo tipo di velivoli, ma basi idonee ad ospitare caccia sono tutte: da Grazzanise a Gioia del Colle. Si potrebbe ricorrere, in caso di necessità, perfino a Lampedusa o Pantelleria. Vi e’ poi un’altra capacità fondamentale, ricorda ancora il generale Tricarico, “che ha a che fare con l’intelligence e di cui e’ dotata l’Italia: si tratta della costellazione di satelliti Cosmo-Skymed che e’ completamente operativa e che ha una performance superiore a qualsiasi altro sistema esistente. Grazie a questi satelliti si può avere una rappresentazione fotografica ricorrente con definizione molto alta, quanto di meglio ci sia oggi in circolazione”. Agli stessi fini possono essere impiegati anche gli aerei senza pilota (droni) ‘Predator’, che sono dotati di grande autonomia e che potrebbero essere pilotati dalla loro base di Amendola, in Puglia.
L’Italia - le regioni meridionali in particolare - è direttamente coinvolta. Il governo mette a disposizione uomini e mezzi, sistemi radar e basi militari. Il ministro della guerra Larussa, memore di “Tripoli bel suol d’amore ... Tripoli sarà italiana, sarà italiana al rombo del cannon!” offre la disponibilità di sette basi militari, "senza nessun limite restrittivo all'intervento" Si tratta di Amendola, Gioia del Colle, Sigonella, Aviano, Trapani, Decimomannu e Pantelleria: alcune, dice ancora La Russa, sono già state chieste da inglesi e americani. "Abbiamo forte capacità di neutralizzare radar di ipotetici avversari, e su questo potrebbe esserci una nostra iniziativa: possiamo intervenire in ogni modo" [“La repubblica”].
Salvo qualche defezione da una parte e dall’altra (Lega e IDV), tutto il parlamento, governo e opposizione “democratica”, indossa l’elmetto di guerra.
Bersani, segretario del PD, rincara la dose: dopo aver quasi bacchettato l’ONU per aver ritardato di qualche giorno la decisione, dichiara che lui e il suo partito sono “pronti a sostenere il ruolo attivo dell'Italia. Il governo conosce la nostra disponibilità, noi chiediamo soltanto che in queste ore non ci siano dichiarazioni estemporanee e contraddittorie. Bisogna parlare con gli altri Paesi disponibili e con la Nato. Nessuno faccia lo stratega, questa è una cosa seria" [ADN Kronos].
Non è da meno il presidente Napolitano, quello che dovrebbe difendere la Costituzione (art. 11: L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo). Nel suo intervento al Teatro Regio di Torino nell'ambito delle celebrazioni per il 150° dell'Unita' d'Italia – occasione solenne – ha detto: ''Nelle prossime ore l'Italia dovrà prendere decisioni difficili, impegnative sulla situazione che si e' venuta a creare in Libia. Ma se pensiamo a quello che e' stato il Risorgimento come grande movimento liberale e liberatore, non possiamo rimanere indifferenti alla sistematica repressione di fondamentali libertà e diritti umani in qualsiasi Paese. Non possiamo lasciare che vengano distrutte, calpestate, le speranze che si sono accese di un risorgimento anche nel mondo arabo, cosa decisiva per il futuro del mondo. ... Mi auguro che le decisioni da prendere, siano dunque circondate dal massimo consenso e dalla consapevolezza dei valori che l'Italia unita incarna e che dobbiamo salvaguardare ovunque'' [ANSA]. Anche nel 1911 era passato solo mezzo secolo...) il Risorgimento fu tirato in ballo per la guerra di Libia, insieme con la retorica pascoliana della “grande proletaria si è mossa”. Oggi si fa l’interventismo – o meglio, l’imperialismo – democratico e la “guerra umanitaria”...
Nessuno accenna all’unica proposta internazionale seria, quella del presidente venezuelano Chavez e dei paesi progressisti latino americani, per una mediazione tra le parti in conflitto. La pace non va bene alle potenze che in concorrenza tra loro vogliono riprendersi “il posto al sole”. Questa guerra interna alla Libia è stata alimentata dalle potenze che ora dicono di voler portare pace e democrazia: agli insorti di Bengasi arrivano armi ed equipaggiamento, e consiglieri militari delle potenze occidentali. Si alimenta la guerra interna per giustificare l’aggressione esterna. Vecchia storia...
Contro la partecipazione dell’Italia alla guerra di Libia si è espresso il presidente della Federazione della Sinistra Oliviero Diliberto, segretario del Pdci e Paolo Ferrero del PRC.
Cominciano a mobilitarsi in diverse città le reti militanti contro la guerra.
Occorre farlo anche in Puglia, dove potrebbero essere usate le basi di Gioia del Colle e di Amendola, sapendo che, come 12 anni fa per la Jugoslavia, anche oggi ci si dovrà battere contro il partito mediatico della guerra, per smascherare gli inganni e le ideologie di giustificazione di questa guerra neocolonialista.
Allego alcuni articoli tratti dal sito dell’ernesto, che chiariscono le ragioni molto poco umanitarie della guerra alle porte (Chossudovsky), alcuni meccanismi dell’inganno mediatico (Diana Johnstone (è’ anche utile “Mondo di guerra”, numero monotematico di “Athanor” a cura di Andrea Catone e Augusto Ponzio) e l’articolo di Manlio Dinucci sul manifesto di oggi 19 marzo (è molto utile il suo libro “Geostoria dell’Africa”, Zanichelli 2005, che chiarisce il ruolo vecchio e nuovo delle potenze coloniali.
http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=20729
http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=20721
http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=20730
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Dall’Iraq alla Libia, la guerra dei vent’anni
Manlio Dinucci
La risoluzione del Consiglio di sicurezza che, il 17 marzo 2011, autorizza a prendere «tutte le misure necessarie» contro la Libia ricorda quella che, il 29 novembre 1990, autorizzava l’uso di «tutti i mezzi necessari» contro l’Iraq. Vent’anni fa, approfittando della disgregazione dell’Urss e del suo blocco di alleanze, gli Stati uniti e le maggiori potenze europee della Nato spostavano il centro focale della loro strategia nel Golfo, attaccando nel 1991 l’Iraq, uno dei principali produttori petroliferi con riserve stimate tra le maggiori del mondo. Oggi nel mirino c’è la Libia, le cui riserve petrolifere sono le maggiori dell’Africa, il doppio di quelle statunitensi.
Vent’anni fa il nemico numero uno era Saddam Hussein, già alleato degli Usa nella guerra contro l’Iran (altro grosso produttore petrolifero) quando al potere c’era Khomeini, allora al primo posto nella lista dei nemici: quel Saddam Hussein caduto poi nella trappola, quando l’ambasciatrice Usa a Baghdad gli aveva fatto credere che Washington sarebbe rimasta neutrale nel conflitto Iraq-Kuwait. Oggi il nemico numero uno è il capo della Libia Muammar Gheddafi, con il quale la segretaria di stato Hillary Clinton dichiarava poco tempo fa di voler «approfondire e allargare la cooperazione».
Vent’anni fa, al momento in cui il Consiglio di sicurezza autorizzava la guerra contro l’Iraq, gli Stati uniti e i loro alleati avevano già schierata nel Golfo una imponente forza aeronavale (1.700 aerei e 114 navi da guerra), che sarebbe stata comunque usata anche senza il nullaosta dell’Onu. Lo stesso oggi: prima dell’autorizzazione del Consiglio di sicurezza a prendere «tutte le misure necessarie» contro la Libia, era già pronta una potente forza aeronavale Usa-Nato ed erano state attivate per l’attacco le basi in Italia. Il metodo è lo stesso: gettare prima la spada sul piatto della bilancia politica e usare quindi tutti i mezzi (compresi scambi di «favori») per impedire che un membro permanente del Consiglio di sicurezza usi il «diritto di veto»: nel 1990 l’Urss di Gorbaciov votò a favore e la Cina si astenne; oggi la Russia si è astenuta insieme alla Cina, ma il risultato è lo stesso.
Oggi, come nel 1990, l’intervento armato viene motivato con la «difesa dei diritti umani» e la «protezione dei civili». E si lodano nella risoluzione i governi arabi che partecipano a questo nobile sforzo: come la monarchia assoluta del Bahrain, che ha chiamato le truppe saudite per reprimere nel sangue la lotta del suo popolo per i più elementari diritti umani, e il regime yemenita che sta facendo strage dei civili che manifestano per la democrazia.
Oggi, come nella prima guerra del Golfo e nelle successive – quella contro la Jugoslavia nel 1999, l’Afghanistan nel 2001, l’Iraq nel 2003 – l’Italia continua a svolgere il suo ruolo di gregario agli ordini di Washington. Con la differenza che, mentre vent’anni fa c’era una sinistra ancora impegnata contro la guerra, oggi c’è un Bersani che, alla vigilia di un intervento armato con le stesse finalità, esclama «alla buon'ora».
(il manifesto, 19 marzo 2011)
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Le potenze imperialiste e la Libia
di Michel Chossudovsky*
su L'ERNESTO 6/2010 del 18/03/2011
Il caso Libia è fondamentalmente diverso da quello di Egitto e Tunisia. Non è un movimento di protesta non violento, l’insurrezione armata, è direttamente supportata da potenze straniere che intendono mettere le mani sul petrolio libico.
Prima e seconda parte di un’analisi sul “caso Libia”, che documenta, anche sulla scorta dei fondamentali articoli di Manlio Dinucci, le manovre USA-NATO per invadere la Libia, nonché le contraddizioni interimperialistiche nella lotta per la spartizione dell’Africa.
L'articolo è pubblicato nel numero in distribuzione di l'Ernesto rivista
I
Insurrezione e intervento militare:
accordo USA-NATO sul tentato colpo di Stato in Libia?1
Gli Stati Uniti e la NATO stanno sostenendo un’insurrezione armata in Libia orientale, al fine di giustificare un “intervento umanitario“. Questo non è un movimento di protesta non violento, come in Egitto e Tunisia. Le condizioni in Libia sono fondamentalmente diverse. L’insurrezione armata, in Libia orientale è direttamente supportata da potenze straniere. Gli insorti a Bengasi hanno subito issato la bandiera rossa, nera e verde con la mezzaluna e la stella: la bandiera della monarchia di re Idris, che simboleggiava il dominio delle ex potenze coloniali2.
I consiglieri militari e le forze speciali USA e NATO sono già sul terreno. L’operazione è stata pianificata per farla coincidere con il movimento di protesta nei paesi arabi vicini. L’opinione pubblica è stata indotta a credere che il movimento di protesta si sia diffuso spontaneamente dalla Tunisia e dall’Egitto verso la Libia. L’amministrazione Obama, in consultazione con i suoi alleati, supporta una ribellione armata, cioè un tentativo di colpo di Stato: “L’amministrazione Obama è pronta ad offrire qualsiasi tipo di assistenza a cittadini libici che cercano di cacciare Muammar Gheddafi”, ha detto la segretaria di Stato Hillary Clinton il 27 Febbraio. “Abbiamo raggiunto diversi libici che stanno tentando di organizzarsi in Oriente mentre la rivoluzione si sposta verso ovest [...] Penso che sia troppo presto per dire come andrà a finire, ma abbiamo intenzione di essere pronti e preparati ad offrire qualsiasi tipo di assistenza a chiunque la voglia dagli Stati Uniti”. Attualmente si sta formando un governo provvisorio nella parte orientale del paese, dove la ribellione è iniziata a metà febbraio.
Gli Stati Uniti, ha detto la Clinton, stanno per minacciare ulteriori misure contro il governo di Gheddafi, ma non ha detto dove o quando potrebbero essere annunciate. Gli USA dovrebbero “riconoscere un governo provvisorio, che stanno cercando di impostare...” [McCain].
Lieberman ha parlato in termini analoghi, sollecitando “un appoggio tangibile, una no-fly zone, il riconoscimento del governo rivoluzionario, del governo dei cittadini, da sostenere sia con l’assistenza umanitaria, sia - come io vorrei – fornendo loro le armi”3.
L’invasione pianificata
Un intervento militare è oggi preso in considerazione dalle forze USA e della NATO, nel quadro di un “mandato umanitario”.
Il portavoce del Pentagono, colonnello dei Marines Dave Lapan ha detto il 1° marzo che “gli Stati uniti stanno muovendo forze navali e aeree nella regione” per “preparare l'intera gamma di opzioni” nei confronti della Libia, aggiungendo poi che “è stato il presidente Obama a chiedere ai militari di preparare tali opzioni”, perché “la situazione in Libia sta peggiorando”4.
Il vero obiettivo dell’“Operazione Libia” non è quello di stabilire la democrazia, ma di prendere possesso delle riserve di petrolio della Libia, destabilizzare la National Oil Corporation (NOC) e, infine, privatizzare l’industria petrolifera del paese, vale a dire trasferire il controllo e la proprietà delle ricchezze petrolifere della Libia in mani straniere. La National Oil Corporation (NOC) è classificata tra le prime 25 compagnie petrolifere del mondo5.
La Libia è tra le più grandi economie petrolifere del mondo, con circa il 3,5% delle riserve mondiali di petrolio, più del doppio di quelle degli Stati Uniti. L’invasione pianificata della Libia è già in corso nell’ambito della più ampia “battaglia per il petrolio”. Quasi l’80% delle riserve di petrolio della Libia si trova nel bacino del Golfo della Sirte, nella Libia orientale.
Le ipotesi strategiche dietro l’“Operazione Libia” ricordano i precedenti impegni militari USA-NATO in Jugoslavia e in Iraq.
In Jugoslavia, le forze USA-NATO innescarono una guerra civile. L’obiettivo era quello di creare divisioni politiche ed etniche, che alla fine hanno portato alla dissoluzione di un intero paese. Questo obiettivo è stato raggiunto attraverso il finanziamento occulto e la formazione di eserciti armati paramilitari, prima in Bosnia (l’esercito bosniaco musulmano, 1991-95) e poi in Kosovo (Kosovo Liberation Army: UCK, 1998-1999). Sia in Kosovo che in Bosnia la disinformazione dei media (comprese menzogne e invenzioni) è stata utilizzata a sostegno delle affermazioni di Stati Uniti ed Unione Europea, secondo cui il governo di Belgrado avrebbe commesso atrocità, ragion per cui era giustificato un intervento militare per motivi umanitari.
Ironia della sorte, l’“Operazione Jugoslavia” è ora sulla bocca dei responsabili della politica estera USA: il senatore Lieberman ha “paragonato la situazione in Libia agli eventi nei Balcani negli anni ‘90, affermando che gli USA “intervennero per fermare un genocidio contro i bosniaci. E la prima cosa che abbiamo fatto è stata quella di fornire loro le armi per difendersi. Questo è ciò che penso si debba fare in Libia”6.
Lo scenario strategico sarebbe quello di sostenere la formazione e il riconoscimento di un governo ad interim nella provincia secessionista, al fine di spaccare il paese. Questa opzione è già in corso. L’invasione della Libia è già cominciata.
“Centinaia di consiglieri militari statunitensi, francesi e britannici sono arrivati in Cirenaica, la provincia orientale separatista della Libia [...]. I consiglieri, tra cui ufficiali dei servizi segreti, sono sbarcati da navi da guerra e da motovedette lanciamissili, nelle città costiere di Bengasi e Tobruk”7.
Le forze speciali statunitensi e alleate sono sul terreno, in Libia orientale, fornendo sostegno segreto ai ribelli. Ciò è stato riconosciuto quando dei commando inglesi delle forze speciali (SAS) sono stati arrestati nella regione di Bengasi. Agivano come consiglieri militari delle forze di opposizione: “La missione segreta di otto commando delle forze speciali britanniche per mettere dei diplomatici britannici in contatto con i capi dell’opposizione al Colonnello Muammar Gheddafi in Libia si è conclusa con un’umiliazione, dopo che sono stati detenuti dalle forze ribelli nella parte orientale della Libia, scrive oggi il Sunday Times. Gli uomini, armati, ma in abiti civili, hanno sostenuto che erano lì per vedere se gli oppositori avessero bisogno di aiuto, e per offrirlo loro”8.
Le forze SAS sono state arrestate mentre scortavano una “rappresentanza diplomatica” britannica, che era entrata illegalmente nel paese (senza dubbio da una nave da guerra britannica) per discussioni con i leader della ribellione. Il Foreign Office britannico ha riconosciuto che “una piccola squadra di diplomatici britannici era stata inviata nella Libia orientale per avviare contatti con l’opposizione in rivolta”9.
Ironia della sorte, non solo i rapporti confermano l’intervento militare occidentale (tra cui vi sono alcune centinaia di forze speciali), ma riconoscono anche che i ribelli erano fermamente contrari alla presenza illegale di truppe straniere sul suolo libico: “L’intervento delle SAS ha fatto arrabbiare degli esponenti dell’opposizione libica, che hanno ordinato ai soldati di rinchiuderli in una base militare. Gli oppositori di Gheddafi temono che egli possa usare le prove dell’interferenza militare occidentale per avere il sostegno patriottico al suo regime”10.
Il “diplomatico” britannico catturato insieme con sette soldati delle forze speciali, era un membro dell’intelligence inglese, un agente dell’MI6 in “missione segreta”11.
Come confermano le dichiarazioni della NATO e degli Stati Uniti, sono state fornite armi alle forze di opposizione. Ci sono indicazioni, anche se finora nessuna prova evidente, che sono state consegnate armi agli insorti prima del furioso assalto dei ribelli. Con ogni probabilità, i consiglieri militari e dell’intelligence USA-NATO erano presenti sul terreno anche prima dell’insurrezione. Questo è stato il modello applicato in Kosovo: le forze speciali sostennero e addestrarono l’Esercito di liberazione del Kosovo (UCK) nei mesi precedenti la campagna di bombardamenti e l’invasione della Jugoslavia del 1999.
Mentre si svolgono gli eventi, tuttavia, le forze del governo libiche hanno ripreso il controllo delle posizioni dei ribelli: “La grande forza offensiva pro-Gheddafi lanciata [il 4 Marzo] per strappare ai ribelli il controllo delle più importanti città e dei centri petroliferi della Libia, ha portato [il 5 marzo] alla riconquista della città chiave di Zawiya e della maggior parte delle città petrolifere del Golfo della Sirte. A Washington e a Londra, i discorsi per un intervento militare a fianco dell’opposizione libica, sono stati tacitati dalla consapevolezza che l’intelligence su entrambi i lati del conflitto libico è troppo imprecisa per servire come base del processo decisionale”12.
Il movimento di opposizione è fortemente diviso sulla questione di un intervento straniero. La divisione è tra il movimento popolare, da un lato, e i “leader” della insurrezione armata supportati dagli Stati Uniti, che sono favorevoli a un intervento militare straniero su “basi umanitarie“. La maggioranza della popolazione libica, sia i sostenitori che gli oppositori del regime, sono fermamente contrari a qualsiasi forma di intervento esterno.
Disinformazione dei Media
I grandi obiettivi strategici che sono alla base della proposta di invadere la Libia non sono menzionati dai media. A seguito della campagna ingannevole dei media, in cui le notizie sono state letteralmente fabbricate senza riferire su quanto stava realmente accadendo sul terreno, un vasto settore dell’opinione pubblica internazionale ha sostenuto inflessibilmente un intervento straniero per motivi umanitari.
L’invasione è sul tavolo del Pentagono. È previsto che verrà effettuata indipendentemente dalle richieste del popolo della Libia, tra cui gli oppositori del regime che hanno espresso la loro avversione all’intervento militare straniero in deroga alla sovranità della nazione.
Schieramento delle forze aeronavali
Se questo intervento militare fosse realizzato, sfocerebbe in una guerra totale, una guerra lampo, che implicherebbe il bombardamento di obiettivi militari e civili. A questo proposito, il generale James Mattis, comandante del Comando Centrale Usa, (USCENTCOM), ha lasciato intendere che la creazione di una “no fly zone” includerebbe de facto una campagna di bombardamento, puntando tra l’altro al sistema di difesa aereo della Libia: “Sarebbe un’operazione militare – non sarebbe giusto dire alla gente che si tratta di non far volare degli aeroplani [...] Si dovrebbe eliminare la difesa aerea per istituire una no-fly zone, quindi non facciamoci illusioni”13.
Un massiccio schieramento navale di USA e alleati è stato dispiegato lungo le coste libiche. Il Pentagono sta muovendo le sue navi da guerra nel Mediterraneo. La portaerei USS Enterprise aveva attraversato il Canale di Suez pochi giorni dopo l’insurrezione14.
Le navi da assalto anfibie statunitensi, USS Ponce e USS Kearsarge, sono state schierate nel Mediterraneo. 400 marine statunitensi sono stati inviati sull’isola greca di Creta “prima del loro impiego sulle navi da guerra al largo della Libia”15.
Nel frattempo, Germania, Francia, Gran Bretagna, Canada e Italia sono in procinto di schierare navi da guerra lungo la coste libiche. La Germania ha dispiegato tre navi da guerra con il pretesto di assistere l’evacuazione dei profughi al confine tra Libia e Tunisia. “La Francia ha deciso di inviare la Mistral, la sua portaelicotteri che, secondo il Ministero della Difesa, contribuirà alla evacuazione di migliaia di egiziani”16.
Il Canada ha inviato (2 marzo) la Fregata HMCS Charlottetown. Nel frattempo, la 17.ma US Air Force, denominata US Air Force Africa, dalla base Air Force di Ramstein in Germania assiste l’evacuazione dei rifugiati. Le strutture dell’aviazione USA-NATO in Gran Bretagna, Italia, Francia e Medio Oriente sono in standby.
II
L’“Operazione Libia” e la battaglia per il petrolio. Ridisegnare la mappa dell’Africa17
Le implicazioni geopolitiche ed economiche di un intervento militare USA-NATO contro la Libia sono di vasta portata. La Libia è tra le più grandi economie petrolifere del mondo, con circa il 3,5% delle riserve mondiali di petrolio, più del doppio di quelle degli Stati Uniti.
L’“Operazione Libia” fa parte della più ampia agenda militare in Medio Oriente e Asia centrale, che consiste nel mettere sotto il controllo e la proprietà delle corporation oltre il sessanta per cento delle riserve mondiali di petrolio e gas naturale, compresi gli oleodotti e gasdotti. “I paesi musulmani tra cui Arabia Saudita, Iraq, Iran, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Yemen, Libia, Egitto, Nigeria, Algeria, Kazakhstan, Azerbaijan, Malaysia, Indonesia, Brunei, possiedono tra il 66,2 e 75,9% delle riserve petrolifere totali, a seconda della fonte e della metodologia della stima”18.
Con 46,5 miliardi di barili di riserve accertate (10 volte quelle dell’Egitto), la Libia è la più grande economia petrolifera del continente africano, seguita da Nigeria e Algeria, mentre le riserve accertate di petrolio degli Stati Uniti sono dell’ordine dei 20,6 miliardi di barili (dicembre 2008) secondo la Energy Information Administration19.
Il petrolio è il “trofeo” delle guerre USA-NATO
Un’invasione della Libia servirebbe gli interessi delle imprese stesse, come l’invasione e l’occupazione dell’Iraq del 2003. L’obiettivo di fondo è quello di prendere possesso delle riserve di petrolio della Libia, destabilizzare la National Oil Corporation (NOC) e, infine, privatizzare l’industria petrolifera del paese, vale a dire trasferire il controllo e la proprietà delle ricchezze petrolifere della Libia in mani straniere. La National Oil Corporation (NOC) è classificata tra le prime 25 compagnie petrolifere del mondo20.
L’invasione pianificata della Libia che è d’altronde già in corso, è parte della più ampia “battaglia per il petrolio”. Quasi l’80% delle riserve di petrolio della Libia si trovano nel bacino del Golfo dalla Sirte, nella Libia orientale. La Libia è una leva dell’economia: “La guerra fa bene agli affari“. Il petrolio è il trofeo delle guerre USA-NATO.
Wall Street, i giganti petroliferi anglo-statunitensi, i produttori di armi USA-UE, sarebbero i beneficiari occulti di una campagna militare condotta da USA e NATO contro la Libia. Il petrolio libico è una manna per i giganti petroliferi anglo-statunitensi. Mentre il valore di mercato del petrolio greggio è attualmente ben al di sopra dei 100 dollari al barile, il costo del petrolio libico è estremamente basso, un dollaro al barile (secondo una stima). Un esperto del mercato petrolifero ha commentato, un po’ cripticamente: “A 110 dollari sul mercato mondiale, la semplice matematica dà alla Libia un margine di profitto di 109 dollari”21.
Gli interessi petroliferi stranieri in Libia
Le compagnie petrolifere straniere che operavano prima dell’insurrezione in Libia erano la francese Total, l’italiana ENI, la China National Petroleum Corp. (CNPC), la British Petroleum, il consorzio petrolifero spagnolo REPSOL, ExxonMobil, Chevron, Occidental Petroleum, Hess, Conoco Phillips.
Va osservato che la Cina gioca un ruolo centrale nel settore petrolifero libico. La CNPC impiegava in Libia, prima del loro rimpatrio, 30.000 lavoratori cinesi. La British Petroleum (BP), invece, aveva 40 dipendenti britannici che sono stati rimpatriati. L’11% delle esportazioni di petrolio libico viene incanalato verso la Cina. Non ci sono dati sulla dimensione e l’importanza della produzione e delle attività di esplorazione della CNPC, ma vi sono elementi che indicano la loro rilevanza. Più in generale, la presenza della Cina nel Nord Africa è considerata da Washington un’intrusione. Dal punto di vista geopolitico, quella della Cina è un’usurpazione. La campagna militare contro la Libia è tesa ad escludere la Cina dal Nord Africa.
Altrettanto importante è il ruolo dell’Italia. L’ENI, il consorzio petrolifero italiano, estrae 244 mila barili di gas e petrolio, che rappresentano quasi il 25% delle esportazioni totali della Libia22.
Tra le aziende statunitensi in Libia, Chevron e Occidental Petroleum (Oxy) hanno deciso, appena 6 mesi fa (ottobre 2010), di non rinnovare le loro licenze di esplorazione di petrolio e gas in Libia23. Al contrario, nel novembre del 2010, la compagnia petrolifera della Germania, RW DIA E aveva firmato un accordo pluriennale di vasta portata con la libica National Oil Corporation (NOC), che implicava la condivisione delle esplorazioni e della produzione24.
La posta finanziaria in gioco e il “bottino di guerra”, sono estremamente alti. L’operazione militare intende smantellare le istituzioni finanziarie della Libia, nonché confiscare i miliardi di dollari di attività finanziarie libiche depositati nelle banche occidentali.
Va sottolineato che le capacità militari della Libia, compreso il sistema di difesa aerea, sono deboli.
Ridisegnare la mappa dell’Africa
La Libia ha le maggiori riserve di petrolio in Africa. L’obiettivo dell’ingerenza USA-NATO è strategico: consiste nel vero e proprio furto, rubare la ricchezza petrolifera della nazione, sotto le mentite spoglie di un intervento umanitario.
Questa operazione militare tende a stabilire l’egemonia statunitense nel Nord Africa, una regione storicamente dominata dalla Francia e, in misura minore, dall’Italia e dalla Spagna.
Per quanto riguarda la Tunisia, il Marocco e l’Algeria, il disegno di Washington è quello di indebolire i legami politici di questi paesi con la Francia e spingere all’instaurazione di nuovi regimi politici che abbiano un rapporto stretto con gli Stati Uniti. Questo indebolimento della Francia è parte di un disegno imperiale degli Stati Uniti. È un processo storico che risale alle guerre in Indocina.
L’intervento USA-NATO, diretto alla creazione di un regime fantoccio filoUSA, mira anche ad escludere la Cina dalla regione e a mettere fuori gioco la cinese National Petroleum Corp (CNPC). I giganti del petrolio anglo-statunitensi, tra cui British Petroleum, che hanno firmato un contratto di esplorazione nel 2007 con il governo di Gheddafi, sono tra i potenziali “beneficiari” dell’operazione militare che USA e NATO si propongono di effettuare.
Più in generale, la posta in gioco è ridisegnare la mappa dell’Africa, un processo di rispartizione neo-coloniale, la demolizione delle demarcazioni della Conferenza di Berlino del 1884, la conquista dell’Africa da parte degli Stati Uniti in alleanza con la Gran Bretagna, in un’operazione condotta da USA e NATO.
Libia: porta strategica sahariana sull’Africa centrale
La Libia confina con molti paesi che sono nella sfera di influenza francese, tra cui Algeria, Tunisia, Niger e Ciad.
Il Ciad è potenzialmente una ricca economia petrolifera. ExxonMobil e Chevron hanno interessi nel sud del Ciad, tra cui un progetto di gasdotto. Il Ciad meridionale è una porta sulla regione sudanese del Darfur.
La Cina ha interessi petroliferi in Ciad e Sudan. La China National Petroleum Corp (CNPC) ha firmato un accordo pluriennale con il governo del Ciad nel 2007.
Il Niger è strategico per gli Stati Uniti a causa delle sue ingenti riserve di uranio. Attualmente, la Francia domina il settore dell’uranio in Niger attraverso il gruppo francese nucleare Areva, precedentemente conosciuto come Cogema. La Cina ha anche una partecipazione nel settore industriale dell’uranio del Niger.
Più in generale, il confine meridionale della Libia è strategico per gli Stati Uniti, nel loro tentativo di estendere la propria sfera di influenza nell’Africa francofona, un vasto territorio che si estende dal Nord Africa all’Africa centrale e occidentale. Storicamente questa regione era parte della Francia e dell’impero coloniale del Belgio, i cui confini sono stati stabiliti alla Conferenza di Berlino del 1884.
Gli Stati Uniti svolsero un ruolo passivo nella Conferenza di Berlino del 1884. Questa nuova spartizione del continente africano nel XXI secolo, basata sul controllo di petrolio, gas naturale e minerali strategici (cobalto, uranio, cromo, manganese, platino e uranio) è ampiamente favorevole agli interessi dominanti delle corporation anglo-statunitensi.
L’interferenza degli Stati Uniti in Nord Africa ridefinisce la geopolitica di un’intera regione. Ciò mina la presenza della Cina e mette in ombra l’influenza dell’Unione europea.
Questa nuova spartizione dell’Africa non solo indebolisce il ruolo delle ex potenze coloniali (tra cui Francia e Italia) nel Nord Africa, ma è anche parte di un più ampio processo di emarginazione e indebolimento della Francia (e del Belgio) su gran parte del continente africano.
Regimi fantoccio filoUSA sono stati installati in diversi paesi africani che storicamente erano nella sfera d’influenza della Francia (e del Belgio), compresa le Repubbliche del Congo e del Ruanda. Diversi paesi dell’Africa occidentale (tra cui la Costa d’Avorio) sono candidati a diventare stati filostatunitensi.
L’Unione europea è fortemente dipendente dal flusso di petrolio libico, l’85% del quale viene venduto ai paesi europei. Nel caso di una guerra con la Libia, le forniture di petrolio all’Europa occidentale potrebbero essere interrotte, interessando in gran parte Italia, Francia e Germania, che sono fortemente dipendenti dal petrolio libico. Il 30% del petrolio italiano e il 10% del suo gas sono importati dalla Libia. Il gas libico passa attraverso la pipeline Greenstream nel Mediterraneo.
Le implicazioni di queste interruzioni sono di vasta portata. Hanno anche un’influenza diretta sul rapporto tra Stati Uniti e Unione europea.
Considerazioni conclusive
I media principali, attraverso la disinformazione di massa, sono complici nel giustificare un programma militare che, se attuato, avrebbe conseguenze devastanti non solo per il popolo libico: l’impatto sociale ed economico sarebbe sentito in tutto il mondo.
Ci sono attualmente tre distinti teatri di guerra nella più ampia regione del Medio Oriente e dell’Asia Centrale: Palestina, Afghanistan, Iraq. Nel caso di un attacco contro la Libia, un quarto teatro di guerra si aprirebbe in Nord Africa, con il rischio di una escalation militare.
L’opinione pubblica deve tener conto del programma nascosto dietro questo presunto impegno umanitario, annunciato dai capi di Stato e di governo dei paesi della NATO, come una “guerra giusta”. La teoria della guerra giusta, in entrambe le sue versioni, classica e contemporanea, sostiene la guerra come “operazione umanitaria“. Chiede un intervento militare per motivi etici e morali contro gli “stati canaglia” e i “terroristi islamici“. La demonizzazione del regime di Gheddafi serve da supporto alla teoria della guerra giusta.
I capi di Stato e di governo dei paesi della NATO sono gli architetti della guerra distruttiva in Iraq e in Afghanistan. In una logica totalmente distorta, si spacciano come voce della ragione, come rappresentanti della “comunità internazionale”.
La realtà è capovolta. Un intervento umanitario è lanciato da criminali di guerra in alta uniforme, che sono i guardiani della Teoria della Guerra Giusta. Abu Ghraib, Guantanamo,... Le vittime civili in Pakistan, in seguito agli attacchi dei droni USA su città e villaggi, ordinati dal presidente Obama, non sono notizie da prima pagina, né lo sono i due milioni di morti civili in Iraq. Non esiste la “Guerra Giusta”.
Bisognerebbe comprendere bene la storia dell’imperialismo degli Stati Uniti. La relazione del 2000 del Progetto del Nuovo Secolo Americano (Project of the New American Century: PNAC) intitolato “Rebuilding America’s Defense”, chiama all’attuazione di una lunga guerra, una guerra di conquista. Uno dei componenti principali di questa agenda militare è “combattere e vincere in modo decisivo in diversi teatri di guerra contemporaneamente”. L’Operazione Libia è parte di questo processo. Si tratta di un altro teatro nella logica del Pentagono dei “teatri di guerre simultanei”.
Il documento del PNAC rispecchia fedelmente l’evoluzione della dottrina militare degli Stati Uniti dal 2001. Gli Stati Uniti pianificano di essere coinvolti contemporaneamente in diversi teatri di guerra in diverse regioni del mondo. Mentre proteggere gli USA, vale a dire la “sicurezza nazionale” degli Stati Uniti d’America, è accolto come un obiettivo, il rapporto PNAC spiega perché questi diversi teatri di guerra sono necessari. La motivazione umanitaria non è menzionata.
Qual è lo scopo della roadmap militare degli USA?
La Libia è presa di mira in quanto è uno dei paesi al di fuori della sfera d’influenza degli USA, che non si conformano alle pretese degli Stati Uniti. La Libia è un paese che è stato selezionato come parte di una “road map” militare, fatta di “teatri multipli di guerre simultanei”. Nelle parole dell’ex comandante della NATO, Wesley Clark: “Nel Pentagono, nel novembre 2001, uno dei più alti ufficiali ebbe il tempo per una chiacchierata. Sì, eravamo ancora in pista per andare contro l’Iraq, ha detto. Ma c’era di più. Questo è stato oggetto di discussione nell’ambito della pianificazione di una campagna quinquennale, e vi rientra un totale di sette paesi, a partire dall’Iraq, poi Siria, Libano, Libia, Iran, Somalia e Sudan...”25.
* Insegna economia nell’Università di Ottawa, in Canada, è Direttore del Centre for Research on Globalization (CRG), attivo nel movimento canadese contro la guerra. Tra i suoi lavori: Globalizzazione della povertà e Nuovo Ordine Mondiale. EGA Edizioni Gruppo Abele, 2003.
NOTE
1 Pubblicato il 7 3 2011 su http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=23548 .
2 Cfr. Manlio Dinucci, “Libia. Quando la memoria storica è azzerata. Se sventolano in piazza le bandiere di re Idris”, il manifesto, 26.2.2011.
3 Bradley Klapper, “Clinton: US ready to aid to Libyan opposition”, Associated Press, 27.2.2011,http://news.yahoo.com/s/ap/20110228/ap_on_re_us/us_us_libya.
4 Manlio Dinucci, “Il Pentagono riposiziona tutte le forze navali”, il manifesto, 2.3.2011.
5 “The Energy Intelligence ranks NOC 25 among the world’s Top 100 companies”, Libyaonline.com,http://www.libyaonline.com/business/details.php?
6 Bradley Klapper, op. cit., corsivo di MC.
7 “US military advisers in Cyrenaica”, DEBKAfile, 25.2.2011,http://www.debka.com/article/20708/.
8 “Top UK commandos captured by rebel forces in Libya: Report”, Indian Express, 6.3.2011, http://www.indianexpress.com/news/top-uk-commandos-captured-by-rebel-forces-in-libya-report/758631, corsivo di M.C.
9 “UK diplomatic team leaves Libya”, in World – CBC News, 6.3.2011, http://www.cbc.ca/news/world/story/2011/03/06/libya-britain.html?
10 Reuters, 6.3.2011.
11 “Brit held with SAS in Libya was spy “, The Sun, 7.3.2011, http://www.thesun.co.uk/sol/homepage/news/3450244/Brit-held-with-SAS-in-Libya-was-spy.html
12 Debkafile, “Qaddafi pushes rebels back. Obama names Libya intel panel”, 5.3.2011, http://www.debka.com/article/20731/.
13 “US general warns no-fly zone could lead to all-out war in Libya”, Mail Online, 5.3.2011, http://globalresearch.ca/index.php?
14 Cfr. http://www.enterprise.navy.mil.
15 «“Operation Libya”: US Marines on Crete for Libyan deployment», Times of Malta, 3.3.2011, http://www.timesofmalta.com/.
16 “Towards the Coasts of Libya: US, French and British Warships Enter the Mediterranean”, Agenzia Giornalistica Italia, 3.3.2011.
17 http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=23605.
18 Cfr. M. Chossudovsky, «The "Demonization" of Muslims and the Battle for Oil», in Global Research, 4.1.2007, .http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=4347
19 Cfr. http://www.eia.doe.gov/oil_gas/natural_gas/data_publications/crude_oil_natural_gas_reserves/cr.html. Le più recenti stime pongono le riserve di petrolio della Libia a 60 miliardi di barili. Le sue riserve di gas a 1.500 miliardi di mc. La sua produzione è tra 1,3 e 1,7 milioni di barili al giorno, ben al di sotto della propria capacità produttiva. Il suo obiettivo a più lungo termine è di tre milioni di barili al giorno ed una produzione di gas di 2.600 milioni di piedi cubi al giorno, secondo i dati della National Oil Corporation (NOC). La (alternativa) BP Statistical Energy Survey (2008) poneva le riserve accertate di petrolio della Libia a 41,464 milioni di barili alla fine del 2007, che rappresenta il 3,34% delle riserve mondiali accertate (Mbendi, “Oil and Gas in Libya – Overview”,http://www.mbendi.com/indy/oilg/af/lb/p0005.htm).
20 “The Energy Intelligence ranks NOC 25 among the world’s Top 100 companies”, in Libyaonline.com,http://www.libyaonline.com/business/details.php?id=17260.
21 “Libya Oil, Libya Oil One Country’s $109 Profit on $110 Oil”, EnergyandCapital.com, 12.3.2008,http://www.energyandcapital.com/articles/libya-oil-price/640.
22 Sky News, “Foreign oil firms halt Libyan operations”, 23.2.2011, http://www.skynews.com.au/businessnews/article.aspx?id=580994.
23 Voice of Russia, “Why are Chevron and Oxy leaving Libya?”, 610.2010, http://english.ruvr.ru/2010/10/06/24417765.html.
24 AfricaNews “Libya: German oil firm signs prospecting deal”, 26.11.2010, http://www.africanews.com/site/list_message/32024.
25 Wesley Clark, Winning Modern Wars, PublicAffairs; 1 edition, October 2003, p.130
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Un altro intervento della NATO? Rifanno il colpo del Kosovo?*
di Diana Johnstone**
su www.globalresearch.ca del 16/03/2011
I cani della guerra stanno annusando qua e là, per ottenere maggiore spargimento di sangue. Gli USA portarono all’escalation il conflitto in Kosovo, al fine di “dover intervenire”, ed è ciò che potrebbe accadere oggi con la Libia.
Somiglianze inquietanti tra la “guerra umanitaria” per il Kosovo e l’attuale situazione libica: martellante campagna di menzogne mediatiche, demonizzazione del leader, ricorso al Tribunale Penale Internazionale, strumentalizzazione dei profughi, rifiuto dei negoziati...
Meno di 12 anni dopo che la NATO ha bombardato una Jugoslavia a pezzi e distaccato la provincia del Kosovo dalla Serbia, ci sono segni che l’alleanza militare si prepara ad un’altra piccola vittoriosa “guerra umanitaria”, questa volta contro la Libia. Le differenze sono, ovviamente, enormi. Ma diamo un’occhiata ad alcune somiglianze inquietanti.
Un leader demonizzato
Come “nuovo Hitler”, l’uomo che amate odiare e avete necessità di distruggere, Slobodan Milosevic, era un neofita nel 1999 rispetto a Muammar Gheddafi oggi. I media ebbero meno di un decennio per trasformare Milosevic in un mostro, mentre con Gheddafi, hanno avuto diversi decenni. E Gheddafi è più esotico, parla poco l’inglese e compare davanti al pubblico in abiti che potrebbero essere stati creati da John Galliano (recentemente smascherato come un altro mostro). Questo aspetto esotico suscita derisione e disprezzo verso le culture native su cui l’Occidente ha ottenuto le sue vittorie, con cui ha colonizzato l’Africa, con cui il Palazzo d’Estate a Pechino è stato devastato dai soldati occidentali, che combattevano per rendere il mondo sicuro per la dipendenza da oppio.
Il coro del “dobbiamo fare qualcosa”
Come con il Kosovo, la crisi in Libia è vista dai falchi come un’opportunità per affermare la propria potenza. L’ineffabile John Yoo, il consulente legale che ha allenato l’amministrazione Bush II sui benefici della tortura dei prigionieri, ha usato il Wall Street Journal per consigliare l’amministrazione Obama ad ignorare la Carta dell’ONU e a saltare nella mischia libica. “Mettendo da parte le regole arcaiche delle Nazioni Unite, gli Stati Uniti possono salvare vite umane, migliorare il benessere generale e al tempo stesso servire i propri interessi nazionali”, ha dichiarato J. Yoo. E un altro teorico dell’imperialismo umanitario, Geoffrey Robertson, ha detto a The Independent che, nonostante le apparenze, violare il diritto internazionale è legale.
Lo spettro dei “crimini contro l’umanità” e del “genocidio” è invocato per giustificare la guerra.
Come con il Kosovo, un conflitto interno tra governo e ribelli armati è presentato come una “crisi umanitaria” in cui solo una parte, il governo, viene considerata “criminale”. Questa criminalizzazione a priori è espressa, facendo appello a un organo giudiziario internazionale per indagare su presunti crimini che avrebbe commesso o starebbe sul punto di commettere. Nel suo editoriale, Geoffrey Robertson chiarisce cristallinamente come il Tribunale penale internazionale sia utilizzata per preparare il terreno a un possibile intervento militare. Ha spiegato come il TPI possa essere utilizzata dall’Occidente per aggirare il rischio di un veto da parte del Consiglio di Sicurezza sull’azione militare. “Nel caso della Libia, il Consiglio ha almeno un precedente importante, approvando all’unanimità un riferimento al Tribunale penale internazionale. [...] Allora, che cosa succede se gli accusati libici non-arrestati aggravano i loro crimini – ad esempio con l’impiccagione o la fucilazione a sangue freddo di loro avversari, potenziali testimoni, civili, giornalisti e prigionieri di guerra?” [Notare che finora non ci sono “imputati” né vi è evidenza alcuna di “crimini" che questi supposti imputati potrebbero "aggravare" in diversi modi immaginari. Ma Robertson è desideroso di trovare un modo affinché la NATO "accetti la sfida", se il Consiglio di Sicurezza decidesse di non fare nulla]. “Le imperfezioni del Consiglio di sicurezza richiedono il riconoscimento ad una alleanza come la NATO di un diritto limitato, senza mandato, ad usare la forza per prevenire la commissione di crimini contro l’umanità. Tale diritto sorge quando il Consiglio ha individuato una situazione come minaccia alla pace nel mondo (e quindi individua la Libia, deferendola, all’unanimità, al procuratore del Tribunale penale internazionale)”.
Quindi, deferire un paese davanti a un procuratore del TPI può essere un pretesto per fare la guerra contro questo paese! Per inciso, la giurisdizione del Tribunale penale internazionale è destinata ad applicarsi a stati che hanno ratificato il trattato che la istituisce, il che, a mio avviso, non è il caso della Libia – o degli Stati Uniti Stati. Una grande differenza, tuttavia, è che gli Stati Uniti sono stati in grado di convincere, intimidire o corrompere molti degli Stati firmatari ad accettare degli accordi nei quali mai, in nessuna circostanza, si deferiscono per un qualsiasi reato degli statunitensi davanti al Tribunale penale internazionale. È un privilegio negato a Gheddafi.
Robertson, membro del consiglio di giustizia delle Nazioni Unite, conclude che: «il dovere di fermare un massacro di innocenti, come meglio possiamo fare, se chiedono il nostro aiuto, ha “cristallizzato” il fatto che per la NATO utilizzare la forza non è solo “legittimo”, ma “legale”».
L’idiozia della sinistra
Dodici anni fa, la maggior parte della sinistra europea ha sostenuto “la guerra in Kosovo”, che ha messo la NATO sulla strada senza fine che segue ancora oggi in Afghanistan. Non avendo imparato nulla, molti sembrano pronti a ripetersi. Una coalizione di partiti che si autodefinisce Sinistra europea, ha pubblicato una dichiarazione che “condanna fermamente la repressione perpetrata dal regime criminale del colonnello Gheddafi” e invitano la UE a condannare “l’uso della forza e ad agire rapidamente per proteggere coloro che dimostrano pacificamente e combattono per la loro libertà”. Nella misura in cui l’opposizione a Gheddafi non è esattamente una “protesta pacifica”, ma ha in parte preso le armi, ciò significa condannare l’uso della forza da parte di alcuni e non di altri – ma è improbabile che i politici che hanno redatto questa dichiarazione si rendano conto di ciò che dicono.
I paraocchi della sinistra sono illustrati dalla dichiarazione di un documento trotskista secondo cui: “Di tutti i crimini di Gheddafi, senza dubbio il più grave e meno conosciuto è la sua complicità nella politica migratoria della UE...”. Per l’estrema sinistra, il più grande peccato di Gheddafi è quello di cooperare con l’Occidente, e anche l’Occidente deve essere condannato per aver cooperato con Gheddafi. Questa è una sinistra che finisce nella pura confusione; è come fare il tifo per la guerra.
I rifugiati
La massa di profughi in fuga dal Kosovo, quando la NATO ha iniziato la sua campagna di bombardamenti, è stata utilizzata per giustificare i bombardamenti, senza un’indagine indipendente sulle diverse cause di questo esodo temporaneo – una delle cause principali fu probabilmente il bombardamento stesso. Oggi, dai report dei media sul numero di profughi che lasciano la Libia da quando sono iniziate le agitazioni, il pubblico potrebbe avere l'impressione che essi stiano fuggendo dalla persecuzione di Gheddafi. Come spesso accade, i media si concentrano solo sull’immagine superficiale, senza cercare una spiegazione. Un po’ di riflessione può colmare il vuoto informativo. È molto improbabile che Gheddafi abbia respinto i lavoratori stranieri che il suo governo ha fatto giungere in Libia per lavorare ai grandi progetti infrastrutturali. Invece, è chiaro che alcuni dei ribelli ‘democratici’ hanno attaccato i lavoratori stranieri per pura xenofobia. L’apertura di Gheddafi agli africani neri in particolare, ha sconvolto un certo numero di Arabi. Ma non bisogna dire troppo su ciò, poiché ora sono i nostri "bravi ragazzi". È un po’ il modo in cui le aggressioni albanesi ai Rom in Kosovo, furono trascurate o giustificate dagli occupanti della NATO, con la motivazione che “i Rom avevano collaborato con i serbi”.
Osama bin Laden
Un’altra somiglianza tra l’ex Jugoslavia e la Libia, è che gli Stati Uniti (e i loro alleati della NATO) si ritrovano dalla stessa parte del loro vecchio amico dai tempi dei Mujahidin afghani, Osama bin Laden. Osama bin Laden è stato un discreto alleato del partito islamista di Alija Izetbegovic, durante la guerra civile in Bosnia, un fatto che è stato completamente trascurato dalle potenze della NATO. Naturalmente, i media occidentali hanno in gran parte respinto come il delirio di un pazzo la tesi corrente di Gheddafi, secondo cui egli sta combattendo contro bin Laden. Tuttavia, la lotta tra Gheddafi e bin Laden è molto reale ed è precedente agli attacchi dell’11 settembre 2001 alle Torri Gemelle e al Pentagono.
In effetti, Gheddafi è stato il primo a cercare di segnalare all’Interpol bin Laden, ma non ha ottenuto la collaborazione da parte degli Stati Uniti. Nel novembre 2007, l'agenzia di stampa francese AFP ha riferito che i leader del “Gruppo islamico combattente” in Libia avevano annunciato che aderivano ad al-Qaeda. Come i mujahidin che hanno combattuto in Bosnia, il gruppo islamista libico è stato creato nel 1995 da veterani della lotta - sponsorizzata dagli USA - contro i sovietici in Afghanistan, negli anni ‘80. Il loro obiettivo dichiarato era quello di rovesciare Gheddafi e di creare uno stato islamico radicale. La base dell’Islam radicale è sempre stata la parte orientale della Libia, dove è scoppiata la rivolta in corso. Poiché questa ribellione non ha niente delle manifestazioni di massa pacifiche che hanno rovesciato i dittatori in Tunisia ed Egitto, ma ha visibilmente una componente di militanti armati, si può ragionevolmente presumere che gli islamisti stiano prendendo parte alla ribellione.
Il rifiuto dei negoziati
Nel 1999, gli Stati Uniti erano disposti ad utilizzare la crisi in Kosovo per dare al nuovo ruolo “fuori area” della NATO il battesimo del fuoco. La farsa dei colloqui di pace di Rambouillet fu affondata dal segretario di Stato USA Madeleine Albright, che mise da parte i dirigenti albanesi del Kosovo più moderati a favore di Hashim Thaci, il giovane leader dell’”Esercito di Liberazione Kosovo” [UCK], una rete notoriamente legata ad attività criminali. C’era un po’ di tutto tra i ribelli albanesi del Kosovo, ma come spesso accade, gli Stati Uniti arrivarono e scelsero il peggio.
In Libia, la situazione potrebbe essere peggiore.
La mia impressione, anche in seguito alla mia visita a Tripoli quattro anni fa, è che nella ribellione attuale vi sia una ben maggiore varietà di componenti, con gravi potenziali contraddizioni interne. A differenza dell’Egitto, la Libia non è uno stato molto popoloso, con migliaia di anni di storia alle spalle, un forte senso dell’identità nazionale e una cultura politica consolidata. Mezzo secolo fa, era uno dei paesi più poveri del mondo, e non è ancora completamente uscita dalla struttura clanica. Gheddafi, con i suoi modi di fare eccentrici, è stato un fattore di modernizzazione, utilizzando i proventi del petrolio per elevare il tenore di vita a un livello tra i più alti del continente africano. L’opposizione viene, paradossalmente, sia da tradizionalisti islamici reazionari da un lato, che lo considerano un eretico per le sue vedute relativamente progressiste, sia, dall’altro, dai beneficiari della modernizzazione occidentalizzati, che sono ostacolati dall’immagine di Gheddafi e desiderano ancora più modernizzazione. E ci sono altre tensioni che possono portare alla guerra civile e, addirittura, alla frattura del paese lungo linee geografiche.
Fino ad ora, i cani della guerra stanno annusando qua e là, per ottenere maggiore spargimento di sangue di quello che si è attualmente verificato. Gli Stati Uniti hanno portato all’escalation il conflitto in Kosovo, al fine di “dover intervenire”, ed è ciò che potrebbe accadere oggi con la Libia, dove è ancor più grande l’ignoranza dell’Occidente su ciò che essi starebbero facendo.
La proposta di Chavez di una mediazione neutrale per evitare il disastro, è la via della saggezza. Ma in NATOland la nozione stessa di risoluzione dei problemi attraverso la mediazione pacifica, piuttosto che con la forza, sembra essersi volatilizzata.
8 marzo 2011
* Tratto dal sito http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=23590
** Diana Johnstone è autrice del libro Fools Crusade: Yugoslavia, NATO and Western Delusions, Monthly Review Press; 2003.
<< (...) Articolo 3
Non ricorso alla minaccia o all’impiego della forza
Le Parti si impegnano a non ricorrere alla minaccia o all’impiego
della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica
dell’altra Parte o a qualunque altra forma incompatibile con la Carta
delle Nazioni Unite,
(...) Articolo 4
Non ingerenza negli affari interni
1. Le Parti si astengono da qualunque forma di ingerenza diretta o
indiretta negli affari interni o esterni che rientrino nella
giurisdizione dell’altra Parte, attenendosi allo spirito di buon
vicinato.
2. Nel rispetto dei principî della legalità internazionale, l’Italia
non userà, ne permetterà l’uso dei propri territori in qualsiasi atto
ostile contro la Libia e la Libia non userà, né permetterà, l’uso dei
propri territori in qualsiasi atto ostile contro l’Italia. >>
(dal Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la
Repubblica Italiana e la Grande Giamahiria Araba Libica Popolare
Socialista, firmato a Bengasi il 30 agosto 2008:
http://it.wikisource.org/wiki/Trattato_Di_Amicizia,
_Partenariato_E_Cooperazione_Tra_La_Repubblica_Italiana_E_La_Grande_Giamahiria_Araba_Libica_Popolare_Socialista
)
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Confine orientale italiano, occupazione fascista dei Balcani e foibe
Manifestazione organizzata dal Partito della rifondazione comunista di Viterbo, in collaborazione con i comitati provinciali Anpi e Arci e associazione Fata Morgana
Sala Gatti, via Macel Gattesco, Viterbo
25 marzo - 3 aprile 2011
“Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini dell'Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani”
Benito Mussolini, Trieste, 1920
Inaugurazione della mostra:
“Testa per dente”, Crimini fascisti in Jugoslavia, 1941-1945
alla presenza dell'autore Paolo Consolaro (Pol Vice).
A seguire, musica dai Balcani con i Gadje Niglos
Sabato 26 e domenica 27 marzo, ore 16,00-17,30
Seminario di danze slave, a cura di Maria Vittoria Bosco
venerdì 1° aprile, ore 17,00
Crimini di guerra in Jugoslavia, per una storia fuori dal mito
Incontro con:
Davide Conti (Fondazione Lelio Basso - sezione internazionale, Roma)
Alessandra Kersevan (gruppo Resistenzastorica, Udine).
Per l’occasione, Conti presenta il suo ultimo libro Criminali di guerra italiani, Accuse, processi e impunità nel secondo dopoguerra (Roma, Odradek, 2011)
sabato 2 aprile, ore 17,00
Il carattere internazionalista della Resistenza nei Balcani e in Italia
Andrea Martocchia (Onlus Coordinamento nazionale per la Jugoslavia) presenta il suo libro I Partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana (Roma, Odradek, 2011)
Giuliano Calisti (Anpi Cp Viterbo), presenta il suo documentario Pokret (Avanti!), Partigiani italiani nella Resistenza jugoslava (1943-45), Interviste a Rosario Bentivegna, Zarko Besenghi, Avio Clementi, e allo storico Davide Conti (35’_dvd_Italia_2009)
Orario mostra: 17,00 - 20,00. Mattina riservato alle scuole, visita su prenotazione. Tel.: 338/7222658
La Libia, Gramsci e il “dogmatismo storico”
di Emiliano Alessandroni
su l'Ernesto Online del 14/03/2011
Il regime di Gheddafi costituisce un esempio di cesarismo progressivo o regressivo? Le forze politiche e sociali a cui è legato sul piano nazionale e internazionale sono progressive o regressive? Questo sarebbe il piano giusto su cui condurre le analisi
A proposito di Libia. Invece degli schemi semplicistici del “popolo buono” contro il “tiranno cattivo”, “democrazia” versus “dittatura” sarebbe molto più utile attualizzare la riflessione gramsciana su “cesarismo progressivo” e “cesarismo regressivo”.
Le posizioni sulla questione libica diffuse oggi in Italia e, più estensivamente, in Occidente, sembrano esprimere una forma di “dogmatismo storico” profondamente significativo sul quale vale la pena formulare alcune considerazioni. Si potrebbe entrare nel vivo della questione dibattuta affermando che non solo il popolo libico non è stato affamato dal proprio governo (il quale in alcuni decenni ha trasformato il proprio paese da uno dei più poveri del mondo qual era – in cui allora veramente si moriva di fame – ad uno dei più ricchi e moderni del continente africano, facendo uscire milioni di persone da una condizione di denutrizione e morte per inedia permanente), ma lo stesso popolo in rivolta lamenta non già la fame, quanto la mancanza di libertà positiva. Si potrebbe aggiungere che in realtà non esiste un popolo libico in rivolta, come in maniera assillante si continua a ripetere, bensì una parte della popolazione (per lo più proveniente dalla regione Cirenaica) che è antigovernativa ed un'altra ampia fetta di popolazione (per lo più proveniente dalla regione Tripolitania, e anch'essa composta di uomini, donne, vecchi e bambini), schierata orgogliosamente in difesa del proprio governo. Si potrebbe affermare che lo sventolamento delle bandiere del vecchio Re Idris (Cfr. Antonio Ferrari: E se in Libia la via di uscita fosse un re?, “Corriere della Sera” 1.3.2011) da parte dei rivoltosi, costituisce uno fra gli esempi che attestano la base retrograda dei convincimenti ideologico-politici di una cospicua componente degli oppositori. Si potrebbe parlare delle centinaia di consulenti militari USA, inglesi, e francesi, con la compresenza dei rispettivi servizi segreti, entrati in Cirenaica per fornire sostegno alla rivolta (Cfr. US military advisers in Cyrenaica, Debkafile 25.2.2011 e SkyTg24 25.2.2011). E si potrebbe andare avanti così per ore, adducendo esempi su esempi, ma ciò non risolverebbe quella che appare, a mio modo di vedere, come la questione fondamentale, ovvero il caso di “dogmatismo storico” di cui, come dicevo, mi sembra vittima gran parte dell'intellighenzia moralista occidentale, la quale, per seguire le consuetudini del proprio tempo, ha preferito chiudere i conti con il marxismo e le sue categorie concettuali, salvo poi sostituirle con termini postmoderni più alla moda e, così facendo, smarrire il senso della realtà e delle sue interconnessioni dialettiche. Tra questi termini fuorvianti vi sono quelli di “dittatore” o di “tiranno”. Sono termini che confondono gli avvenimenti anziché chiarirli come pretenderebbero di fare, giacché presuppongono l'esistenza di un'unica persona capace di governare per un lungo periodo un territorio, in odio e in svantaggio a tutti i suoi abitanti: ciò da un punto di vista storico è impossibile. Gramsci nei Quaderni del Carcere compie tutta una serie di studi su come nessuna formazione dirigenziale possa esistere senza una dose di consenso dalla sua parte, e senza essere legata a determinate forze sociali. Anche Berlusconi sarebbe ben poca cosa senza il sostegno dell'imprenditoria italiana, e persino il re Carlo Magno esprimeva il potere dei gruppi feudali. Gramsci non parla mai in carcere di “tiranni” o “dittatori”, ma di “cesarismi” o “bonapartismi”. Questi, spiega, non scaturiscono da capricci individuali di questo o quell'altro dittatore, ma da particolari condizioni oggettive: «si può dire che il cesarismo o bonapartismo esprime una situazione in cui le forze in lotta si equilibrano in modo catastrofico, cioè si equilibrano in modo che la continuazione della lotta non può concludersi che con la distruzione reciproca»; in questi casi «la soluzione» viene «affidata ad una grande personalità» (Quaderni del carcere, ed critica, Einaudi 1975, p. 1194), a «uomini provvidenziali o carismatici» (p. 1603); si verifica pertanto in questi casi una forte «influenza dell'elemento militare nella vita statale»; e tuttavia, ci tiene a precisare Gramsci, ciò non significa soltanto «influenza e peso dell'elemento tecnico-militare, ma influenza e peso dello strato sociale da cui l'elemento tecnico-militare (specialmente gli ufficiali subalterni) trae specialmente origine» (p. 1608); il cesarismo d'altronde «non ha sempre lo stesso significato storico. Ci può essere un cesarismo progressivo e un cesarismo regressivo, e il significato esatto di ogni forma di cesarismo, in ultima analisi, può essere ricostruito dalla storia concreta e non da uno schema sociologico. È progressivo il cesarismo quando il suo intervento aiuta la forza progressiva a trionfare, sia pure con certi compromessi limitativi della vittoria; è regressivo quando il suo intervento aiuta a trionfare la forza regressiva, anche in questo caso con certi compromessi e limitazioni, che però hanno un valore, una portata e un significato diversi che non nel caso precedente […] Si tratta di vedere se nella dialettica “rivoluzione-restaurazione” è l'elemento rivoluzione o quello restaurazione che prevale, poiché è certo che nel movimento storico non si torna mai indietro e non esistono restaurazioni “in toto”» (pp. 1194-1195).
Gramsci afferma in sostanza che vi sono tutta una serie di circostanze storiche nelle quali la scelta ricade oggettivamente non già tra una democrazia ed una dittatura, tra libertà e cesarismo, bensì tra un “cesarismo progressivo” ed un “cesarismo regressivo”. Tutto questo, in seguito alla damnatio memoriae del marxismo, la maggior parte degli intellettuali lo ignora completamente, preferendo barcamenarsi confusamente con gli schemi più semplici e folkloristici del “popolo buono” contro il “tiranno cattivo”. Ma basterebbe rifletterci un momento per comprendere come tale manicheismo non soltanto confonda le cose ma, essendo viziato ideologicamente, le confonde in favore di una parte storica ben determinata: chi ha rivestito nei media il ruolo di dittatore o di tiranno negli ultimi due decenni? A seconda della convenienza del momento, queste categorie sono state attribuite a Saddam Hussein, a Miloševic, ad Ahmadinejad, a Hugo Chavez, a Morales, ad Arafat, a Fidel Castro, a Hu Jintao, a Putin, a Hamas, ed ora a Gheddafi, in sostanza, crudeli tiranni e feroci dittatori diventano a mano a mano tutti quei capi di governi non allineati agli Stati Uniti o che guardano agli USA in maniera più o meno dichiaratamente ostile.
La cultura moralista che ha sostituito il materialismo storico e l'analisi dialettica con la teratologia e le narrazioni psicopatologiche, si rifiuta, o fa difficoltà a comprendere, quel che aveva invece ben compreso Gramsci: e cioè non soltanto che esistono dei “cesarismi progressivi”, ma che questi costituiscono spesso una necessità oggettiva la cui alternativa sarebbe un “cesarismo regressivo” con danni storici di durata epocale. Questa cultura, anziché restringere i propri orizzonti intellettivi, farebbe meglio a riprendere in mano tali categorie e ad applicarle anche alle vicende attuali; occorre domandarsi: posta “l'influenza dell'elemento militare sulla vita statale”, il regime di Gheddafi costituisce un esempio di “cesarismo progressivo” o di “cesarismo regressivo”? Vale a dire: le forze politiche e sociali che esso sostiene e a cui è legato sul piano nazionale e su quello internazionale sono forze progressive o forze regressive? Questo sarebbe il piano giusto sul quale bisognerebbe condurre le analisi: l'enfasi ribellistica indeterminata e le storielle sui tiranni psicopatici lasciamole ai bambini; fanno parte dell'armamentario retorico, dei nuovi Psychological Strategy Board, possono essere buone per fare politica, ma nove volte su dieci vengono giostrate dall'alto e non hanno nulla a che vedere con la verità effettuale.
* Jugoslavenski glas - Voce jugoslava * "Od Triglava do Vardara..." "Dal monte Triglav al fiume Vardar..."
Svakog drugog utorka, od 14,00 do 14,30, na Radio Città Aperta, i valu FM 88.9 za regiju Lazio, emisija: JUGOSLAVENSKI GLAS Moze se pratiti i preko Interneta: http://www.radiocittaperta.it/stream.htm Pisite nam na jugocoord@... Podrzite ovaj glas, kupovanjem nasih brosura, video kazeta i t.sl. Odazovite se. Ogni due martedì dalle ore 14,00 alle 14,30, su Radio Città Aperta, FM 88.9 per il Lazio: VOCE JUGOSLAVA Si può seguire, come del resto anche le altre trasmissioni della Radio, via Internet: http://www.radiocittaperta.it/stream.htm La trasmissione è bilingue (a seconda del tempo disponibile e della necessità). Scriveteci all'indirizzo email: jugocoord@... Sostenete questa voce libera e indipendente acquistando video cassette, libri, bollettini a nostra disposizione. Program 15.III.2011 Programma - Povodom 5. godisnjice Miloseviceve smrti. Manifestacija u Becu Razgovaramo telefonski sa Vladimirom Krsljaninom iz Narodnog Pokreta Srbije i clana Komiteta za obranu Milosevica (CDSM) - O Kosovu i "okolici".
- Il 5. anniversario della morte di Slobodan Milosevic. Manifestazione a Vienna. Ne parliamo telefonicamente con Vladimir Krsljanin del Movimento Popolare della Serbia (NPS) e membro del Comitato per la Difesa di S. Milosevic (CDSM) - Succede in... Kosovo e dintorni
Die im Rahmen der "Zielscheibe Serbien: Krieg, Kontrolle und Siegerjustiz durch die NATO, eine Auswahl unbequemer Bücher" vorgestellten Titel im einzelnen:
* Der Milosevic Prozeß: Autor: Germinal Civikov, Promedia Verlag (Wien)
* Die Zerstörung Jugoslawiens: Slobodan Milosevic antwortet seinen Anklägern, Hg: Klaus Hartmann, Zambon Verlag (Frankfurt am Main)
* Srebrenica. Der Kronzeuge. Autor: Germinal Civikov, Verlag: Promedia Verlag (Wien)
http://rickrozoff.wordpress.com/2011/03/08/point-of-no-return-u-s-and-nato-prepare-for-war-with-libya/ Stop NATO - March 8, 2011 Point Of No Return: U.S. And NATO Prepare For War With Libya Rick Rozoff March 7 was a pivotal moment in plans by Western powers to launch military operations against Libya. After meeting with Australian Prime Minister Julia Gillard in Washington, President Barack Obama stated "we've got NATO, as we speak, consulting in Brussels around a wide range of potential options, including potential military options, in response to the violence that continues to take place inside of Libya." In an interview she gave to The Australian newspaper immediately before her departure for the U.S., Gillard stated that she supported the "US placing more military forces on Australian soil if it believes this is necessary in the light of the growing might of China and India." Her government is also on record as backing military action in Libya. On the same day North Atlantic Treaty Organization Secretary General Anders Fogh Rasmussen held a press conference at the military bloc's headquarters in Brussels and while formally disavowing plans to intervene in the North African nation said that "as a defence Alliance and a security organisation, it is our job to conduct prudent planning for any eventuality.” He revealed his true intentions with further statements like: "We can see a strong wind of change blowing across the region – and it is blowing in the direction of freedom and democracy." "This is a humanitarian crisis on our door-step that concerns us all. The civilian population in Libya is the target of systematic attacks by the regime. So we must remain vigilant. The whole world is watching events in Libya and the wider Middle East. Many of our Allies have been evacuating their nationals and helping other people in need. We strongly condemn the use of force against the Libyan people. The violation of human rights and international humanitarian law is outrageous." Rasmussen also announced that the defense ministers of NATO's 28 member states, including American Secretary of Defense Robert Gates, will meet at NATO Headquarters on March 10-11 to "discuss the situation in Libya, and the longer term prospects for the region" and to "consider how NATO can do more to help partner countries in North Africa and the wider Middle East." [1] NATO partnership nations include Libya's neighbors to the east and west, Egypt and Tunisia, members of the Alliance's Mediterranean Dialogue. Almost simultaneously, the U.S. permanent representative to NATO, Netherlands-born Ivo Daalder, informed reporters that on the same day NATO military planners had completed an assessment for enforcing a no-fly zone over Libya in time for the defense chiefs meeting three days later and had decided to conduct around-the-clock air surveillance of the country using AWACS aircraft. The no-fly operation assessment had been presented to the ambassadors of NATO's 28 members, who planned to meet again on March 8 and 9 to deliberate on the issue. Daalder also stated that "In coming days, military assessments should be completed into a no-fly zone and how to enforce an arms embargo." [2] The U.S. envoy was the National Security Council director for European Affairs in charge of Bosnia policy in the mid-1990s in which capacity he assisted in overseeing the last days of NATO no-fly operations conducted over Bosnia, which is to say largely over the Republika Srpska (the Bosnian Serb Republic), from 1992-1995, Operation Sky Monitor and Operation Deny Flight. In 1995 Operation Deny Flight gave way to Operation Deliberate Force, directed against the Republika Srpska with 400 aircraft flying 3,515 missions against 338 targets. Daalder also supported the U.S. and British no-fly zone over Iraq in the 1990s and in 2006 co-authored an article for Foreign Affairs, journal of the Council on Foreign Relations, entitled "Global NATO" in which he applauded the military alliance's role in the Balkans, Afghanistan, Iraq and the Darfur region of western Sudan. [3] At the time the article appeared many in the U.S. were calling for a replication of the no-fly operations employed over Iraq, Bosnia and later Yugoslavia for Sudan. Daalder criticized his then-former chief President Bill Clinton in 1999 for not introducing ground troops into Kosovo in conjunction with the 78-air war the U.S. and NATO mercilessly prosecuted against the nation. Susan Rice, like Ivo Daalder a Senior Fellow at the Brookings Institution currently on leave, in her case as American ambassador to the United Nations, demanded in 2007 that the U.S. and NATO enforce a no-fly zone over the Darfur region of Sudan and "signal its readiness to strike Sudanese military and intelligence assets, including aircraft and airfields, if necessary." She also called for the deployment of NATO Response Force troops to western Sudan. Rice will vote on a no-fly resolution for Libya when it is introduced in the UN Security Council. [4] On March 6 Senator John Kerry, chairman of the Senate Foreign Relations Committee, told the television news program Meet the Nation "that Libya's air force could be disabled without the kind of expense and commitment required to maintain previous no-fly zones in Iraq and the Balkans," [5] and instead "One could crater the airports and the runways and leave them incapable of using them for a period of time." His position on grounding Libya's air force was echoed by two of the Senate's top Republicans, John McCain and Mitch McConnell. Kerry also called for turning an unspecified amount of the $30 billion in Libyan assets seized by the American government over to rebel groups in the country, adding, "I assume that a lot of weapons are going to find their way there from one means or another over the course of the next weeks." Former U.S. ambassador to the United Nation Bill Richards, too, advocated a plan to "covertly arm the rebels" (as did White House spokesman Jay Carney) and enforce a no-fly zone over Libya. George W. Bush administration national security advisor Stephen Hadley chimed in, telling CNN: "Obviously, if there is a way to get weapons into the hands of the rebels, if we can get anti-aircraft systems so that they can enforce a no-fly zone over their own territory, that would be helpful." Reports have circulated about Washington enlisting Saudi Arabia to airlift weapons to rebels in Benghazi. Pentagon spokesman Colonel David Lapan told Agence France-Presse that in regard to U.S. plans for Libya, "all options are being considered." USS Kearsarge The New York Times on March 6 listed what those options are. They include the deployment of the USS Kearsarge amphibious assault ship, on which the 26th Marine Expeditionary Unit is embarked and which took on board 400 more Marines in addition to the 1,200-2,000 it arrived with on the Greek island of Crete and with the USS Ponce amphibious warfare ship is now heading for the Libyan coast in a deployment ordered by Pentagon chief Gates. USS Kearsarge is equipped to carry V-22 Osprey vertical takeoff and landing aircraft and MH-53E Super Stallion helicopters, the largest and heaviest helicopters in the U.S. military arsenal. "The flotilla can be seen as a modern-day example of 'gunboat diplomacy,' intended to embolden rebels and shake the confidence of loyalist forces and mercenaries, perhaps even inspiring a palace coup." [6] Gunboat diplomacy is the proper term, reminiscent as it is of the dispatching of four American warships to Tripoli in 1801 where they enforced a blockade of the harbor and where the USS Enterprise defeated the privateer ship Tripoli in a naval battle off what is now Libya's capital. USS Enterprise The current USS Enterprise, the world's first nuclear-powered aircraft carrier, is positioned in the Red Sea with a carrier strike group attached to it which includes the guided missile cruiser USS Leyte Gulf, guided-missile destroyers USS Bulkeley, USS Barry and USS Mason, and the fast combat support ship USNS Arctic. On February 16 Enterprise and Kearsarge, the Enterprise Carrier Strike Group and Expeditionary Strike Group 5, met up in the Red Sea leading to the Suez Canal which USS Kearsarge and USS Ponce passed through on March 1 to the Mediterranean Sea and the American naval base in Souda Bay, Crete. The New York Times laid out further options in addition to the stationing of American warships off the shores of Libya. They include several offered by planners on the Pentagon's Joint Chiefs of Staff and its field commands: Signal jamming "aircraft operating in international air space," thus disabling "Libyan government communications with its military units." "Administration officials said Sunday [March 6] that preparations for such an operation were under way." The aforementioned use of the Kearsarge and the Ponce amphibious assault ships, "Known as a Marine Air-Ground Task Force," which "provides a complete air, sea and land force that can project its power quickly and across hundreds of miles, either from flat-decked ships in the Mediterranean Sea or onto a small beachhead on land." "In this task force are Harrier jump-jet warplanes, which not only can bomb, strafe and engage in dogfights, but can also carry surveillance pods for monitoring military action on the ground in Libya; attack helicopters; transport aircraft - both cargo helicopters and the fast, long-range Osprey, whose rotors let it lift straight up, then tilt forward like propellers to ferry Marines...across the desert; landing craft that can cross the surf anywhere along Libyas' long coastline - and about 400 ground combat troops of the 1st Battalion, 2nd Marines." Other operations being planned are air-dropping weapons to insurgents in the country and "inserting small Special Operations teams...to assist the rebels, as was done in Afghanistan to topple the Taliban." Another option is to launch a "handful of strikes on valued government or military targets...as was done in the Gulf of Sidra raids in 1986," by the Ronald Reagan administration. "There are ample planes based in Europe and on the aircraft carrier Enterprise and its strike group, now in the Red Sea, for missions over Libya. "Pentagon officials said Sunday that those vessels were carefully sailing in the direction of the Suez Canal, gateway to the Mediterranean." USS Enterprise, should it join other U.S. and NATO nations' warships in the Mediterranean, will provide as many as 85 aircraft. The newspaper account also detailed these actions: "The destruction of Libyan air-defense radars and missile batteries would be required, perhaps using missiles launched from submarines or warships. A vast fleet of tankers would be needed to refuel warplanes. Search-and-rescue teams trained in land and sea operations would be on hand in case a plane went down. "The fleet of aircraft needed for such a mission would easily reach into the hundreds. Given the size of such a mission, it would be expected that American and NATO bases in Europe would be used, and that an American aircraft carrier would be positioned off Libya." [7] On March 1 the Wall Street Journal quoted an unnamed senior U.S. official recommending another expedient: "The best outcome for those Libyan leaders who are defecting will be [to put] two bullets into the heads of Gadhafi and his son." NATO's Aviano Air Base In Italy, across the Mediterranean from Libya, hosts 42 U.S. F-16 jet fighters. Aviano is the base from which U.S. F-15s and F-16s and NATO warplanes took off for the bombing of the Bosnian Serb Republic in 1995 and Yugoslavia in 1999. In the second case over 38,000 air missions were conducted. A Russian analyst recently wrote of the parallels between NATO's first full-scale war in 1999 and the impending campaign against Libya: "The old term used to describe such actions, 'gunboat diplomacy,' is no longer politically correct. Now 'liberal intervention' is preferred. But while the name may have changed, the methods have not. Libya appears to be maneuvered down the same path of action that culminated in the NATO bombing of Yugoslavia, which started on March 24, 1999, after a no-fly zone was announced. "The quest for UN approval is an essentially meaningless but nevertheless indispensable political ritual that always precedes violations of international law. The same thing happened before NATO's Operation Allied Force (Noble Anvil) in Yugoslavia." "The military preparations underway in the Mediterranean go beyond the simple redeployment of U.S. warships 'just in case.' These preparations always have a critical mass - the line beyond which war becomes unavoidable. "USS Kearsarge is one of the world's largest assault vessels of its kind. It has dozens of helicopters on board, missiles, landing craft, and over 2,000 Marines. The ship was used in the Yugoslavian operation in 1999 to deploy Marines, reconnaissance groups and special forces." [8] Associated Press reported on March 4 that "Some NATO countries are drawing up contingency plans modeled on the no-fly zones over the Balkans in the 1990s." The news agency cited a senior European Union official stating that "taking control of the airspace over Libya would more likely be modeled on Operation Deny Flight, a 1993-95 NATO mission in which its warplanes patrolled the skies over Bosnia as a civil war raged between government forces and Serb secessionists." "During Deny Flight's 33-month duration, NATO flew more than 100,000 sorties. Roughly half were carried out by fighters and attack jets, and the others by transports, reconnaissance planes and aerial tankers. Four Serbian fighter-bombers were shot down during the operation." "NATO planes mostly operated from air bases in Italy and from carriers in the Adriatic Sea and the Mediterranean. Many of those bases, and those in Spain, Crete and Cyprus, could be used for a potential air mission over Libya." [9] On the first of the month the European Union scheduled a crisis summit of its 27 heads of state requested by British Prime Minister David Cameron and French President Nicolas Sarkozy for March 11, which will be the second day of the NATO defense ministers' meeting also occurring in Brussels. Earlier in the same week the EU imposed its most stringent sanctions to date against Libya and adopted an embargo on arms and equipment to the nation. On March 5 the Daily Telegraph revealed that the Black Watch (3rd Battalion, Royal Regiment of Scotland) has been placed on heightened alert, "prepared to deploy to North Africa at 24 hours' notice." The 600-troop infantry unit returned from Afghanistan in late 2009 where it fought in Operation Panchai Palang (Panther's Claw) and before that participated in the first attack on Basra, Iraq in 2003. The British newspaper added: "Nato members yesterday agreed to draw up contingency plans for how their armed forces could intervene. Britain is also preparing to send diplomats and specialist advisers to the eastern city of Benghazi, where the disparate Libyan opposition is based." The advisers were Special Air Service (SAS) and Military Intelligence (MI6) operatives "carrying espionage equipment, reconnaissance equipment, multiple passports and weapons" who were captured by Libyan rebel forces in Benghazi at the time the above-cited report appeared. The Guardian reported that Britain was also deploying Typhoon multirole combat aircraft to its base at Akrotiri in Cyprus. On March 1 Canada's Prime Minister Stephen Harper announced in the House of Commons that he was ordering the frigate HMCS Charlottetown with 240 military personnel "to the waters off Libya to enhance its military presence in the region in response to the escalating unrest in the Northern African country." Defense Minister Peter MacKay said it would take six days for the warship to arrive. Canada also has C-17 Globemaster and two C-130J Hercules military transportation planes as well as a military reconnaissance team of 13 soldiers based in Malta, 300 kilometers north of Libya. The amassing of military assets - warships, warplanes, assault troops and special forces - near and in Libya means more than brinkmanship, demonstrates more than a show of strength, more than simply "sending a message." So does the enforcement of a no-fly zone over the country, which is not a substitute for but a prelude to war. Last week Defense Secretary Gates acknowledged that "A no-fly zone begins with an attack on Libya to destroy the air defenses." It in fact demands the grounding of a targeted nation's aircraft and the neutralization if not destruction of its surveillance systems and anti-aircraft batteries. A no-fly regime is succeeded by war as day is followed by night. In Bosnia from 1992-1995 it led to a bombing campaign and the deployment of 60,000 NATO troops. In Yugoslavia in 1999 it was the opening move in an air war which resulted in 50,000 U.S. and NATO troops occupying part of the country's territory. In Iraq from 1991-2003 it was the lead-up to an invasion and ongoing military occupation that will soon be eight-years-old. Britain and France, in close consultation with the U.S. and Germany (collectively the NATO Quad), are jointly writing a draft resolution for a no-fly zone over Libya to be presented to the Security Council. If the resolution is supported by nine or more of the fifteen nations on the Security Council and if permanent members China and Russia don't veto it, the stage will be set for a series of further military actions by the U.S. and NATO against Libya, which will be presented by the West as UN-sanctioned, in a manner alarmingly evocative of the process used to prepare the attack on Iraq in 2003. 1) NATO Defence Ministers will discuss situation in Libya and longer term prospects in Middle East North Atlantic Treaty Organization, March 7, 2011 2) Wall Street Journal, March 7, 2011 3) Ivo Daalder and James Goldgeier, Global Nato Foreign Affairs, September/October 2006 http://www.brookings.edu/views/articles/daalder/2006sept_oct.pdf 4) Susan E. Rice, The Genocide in Darfur: America Must Do More to Fulfill the Responsibility to Protect Brookings Institution, October 24, 2007 http://www.brookings.edu/papers/2007/1024darfur_rice_Opp08.aspx 5) Washington Post, March 6, 2011 6) New York Times, March 6, 2011 7) Ibid 8) Andrei Fedyashin, The Yugoslavian option for Libya Russian Information Agency Novosti, March 4, 2011 http://en.rian.ru/analysis/20110304/162866224.html 9) NATO weighing Libyan no-fly zone Associated Press, March 4, 2011 ==================================================================== Stop NATO e-mail list home page with archives and search engine: http://groups.yahoo.com/group/stopnato/messages Stop NATO website and articles: http://rickrozoff.wordpress.com To subscribe for individual e-mails or the daily digest, unsubscribe, and otherwise change subscription status: Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. 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COMITATO PER IL MONUMENTO AI CADUTI NELLA GUERRA DI LIBERAZIONE DI SERVOLA, S. ANNA E COLONCOVEZ
Trieste, 7.3.2011
Comunicato stampa
con preghiera di pubblicazione
In occasione del 10 anniversario dell'inaugurazione del Monumento ai caduti nella Guerra di Liberazione di Servola, S. Anna e Coloncovez l'Associazione Comitato per il Monumento ai caduti nella Guerra di Liberazione di Servola, S. Anna e Coloncovez organizza giovedì, 10 marzo 2011, alle ore 19, presso la sala della Biblioteca nazionale slovena e degli studi di via Filzi 14 (Facoltà di Lingue, ex Narodni dom) la presentazione dei DVD di interviste ad ex partigiani di Servola, S. Anna e Coloncovez “Ribelli resistenti – Odporni uporniki”. Dopo una introduzione canora del Coro femminile “Iva Grbec” diretto da Marjetka Popovski, prenderanno la parola il direttore della Biblioteca nazionale slovena e degli studi Milan Pahor, l'Assessore alle Politiche di Pace e Legalità (con il cui contributo sono stati realizzati i DVD) della provincia di Trieste Dennis Visioli ed il regista Alessio Zerial, autore dei DVD. Seguirà la proiezione di una presentazione dei DVD.
Domenica 13 marzo, alle ore 10:30, presso il Monumento ai caduti di via dell'Istria 192 si terrà una cerimonia per il decennale del monumento. Dopo un breve saluto dell'ex presidente dell'Associazione, avv. Andrej Berdon, seguiranno gli interventi degli oratori Alessandra Kersevan e Miroslav Košuta. Nel corso della cerimonia verrano deposti omaggi floreali in ricordo dei caduti, mentre il coro femminile Kombinat la accompagnerà con una serie di canzoni.
Cordiali saluti
per l'Associazione
il presidente
Sandi Volk
per contatti: 3495015941
Scritto da Gianluca Freda - Martedi 08 Marzo 2011 02:53
VIDEO: http://video.libero.it/app/play/index.html?id=e23dd830ca97fff97fa7e57bda300ba4&ssonc=1875141630
Ecco in che modo i media orchestrano, inventano, falsificano ed esagerano le immagini e le notizie che provengono dalla Libia. Prego di notare, nel filmato, la troupe di Al Jazeera che incita la folla di Bengasi a fare casino per poter offrire ai video-ovini occidentali il suo grido di guerra; nonchè l´atmosfera rilassata della città e la totale assenza delle spaventose stragi di civili di cui vanno cianciando le TV filo-USA per giustificare l´imminente intervento.
"Bengasi ci viene descritta come una città in preda alla guerra civile",dice la reporter di Russia Today, "ma in realtà sembra più una località balneare". Tuttavia è solo questione di tempo. Lasciate che i luridi avvoltoi dei media montino ancora un po´ la paranoia anti-Gheddafi e le stragi ci saranno. Altrochè se ci saranno.
Published Mar 8, 2011 9:08 PM
Following is the statement of Cuba's Minister of Foreign Affairs, Bruno Rodríguez Parrilla, to the U.N. Human Rights Council, Geneva, March 1. It was translated into English by Granma International.
di Manlio Dinucci
Intervista a Lucio Caracciolo a cura di Marco Santopadre
CounterPunch, March 7, 2011
Another NATO Intervention?
Libya: Is This Kosovo All Over Again?
By DIANA JOHNSTONE
Less than a dozen years after NATO bombed Yugoslavia into pieces, detaching the province of Kosovo from Serbia, there are signs that the military alliance is gearing up for another victorious little “humanitarian war”, this time against Libya. The differences are, of course, enormous. But let’s look at some of the disturbing similarities.
A demonized leader.
As “the new Hitler”, the man you love to hate and need to destroy, Slobodan Milosevic was a neophyte in 1999 compared to Muammar Qaddafi today. The media had less than a decade to turn Milosevic into a monster, whereas with Qaddafi, they’ve been at it for several decades. And Qaddafi is more exotic, speaking less English and coming before the public in outfits that could have been created by John Galliano (another recently outed monster). This exotic aspect arouses the ancestral mockery and contempt for lesser cultures with which the West was won, Africa was colonized and the Summer Palace in Beijing was ravaged by Western soldiers fighting to make the world safe for opium addiction.
The “we must do something” chorus.
As with Kosovo, the crisis in Libya is perceived by the hawks as an opportunity to assert power. The unspeakable John Yoo, the legal advisor who coached the Bush II administration in the advantages of torturing prisoners, has used the Wall Street Journal to advise the Obama administration to ignore the U.N Charter and leap into the Libyan fray. “By putting aside the U.N.'s antiquated rules, the United States can save lives, improve global welfare, and serve its own national interests at the same time,” Yoo proclaimed. And another leading theorist of humanitarian imperialism, Geoffrey Robertson, has told The Independent that, despite appearances, violating international law is lawful.
The specter of “crimes against humanity” and “genocide” is evoked to justify war.
As with Kosovo, an internal conflict between a government and armed rebels is being cast as a “humanitarian crisis” in which one side only, the government, is assumed to be “criminal”. This a priori criminalization is expressed by calling on an international judicial body to examine crimes which are assumed to have been committed, or to be about to be committed. In his Op Ed piece, Geoffrey Robertson made it crystal clear how the International Criminal Court is being used to set the stage for eventual military intervention. The ICC can be used by the West to get around the risk of a Security Council veto for military action, he explained.
“In the case of Libya , the council has at least set an important precedent by unanimously endorsing a reference to the International Criminal Court. […] So what happens if the unarrested Libyan indictees aggravate their crimes - eg by stringing up or shooting in cold blood their opponents, potential witnesses, civilians, journalists or prisoners of war?” [Note that so far there are no “indictees” and no proof of “crimes” that they supposedly may “aggravate” in various imaginary ways.) But Robertson is eager to find a way for NATO “to pick up the gauntlet” if the Security Council decides to do nothing.]
“The defects in the Security Council require the acknowledgement of a limited right, without its mandate, for an alliance like NATO to use force to stop the commission of crimes against humanity. That right arises once the council has identified a situation as a threat to world peace (and it has so identified Libya, by referring it unanimously to the ICC prosecutor).”Thus referring a country to the ICC prosecutor can be a pretext for waging war against that country! By the way, the ICC jurisdiction is supposed to apply to States that have ratified the treaty establishing it, which, as I understand, is not the case of Libya – or of the United States. A big difference, however, is that the United States has been able to persuade, bully or bribe countless signatory States to accept agreements that they will never under any circumstances try to refer any American offenders to the ICC. That is a privilege denied Qaddafi.
Robertson, a member of the UN justice council, concludes that: “The duty to stop the mass murder of innocents, as best we can if they request our help, has crystallized to make the use of force by Nato not merely ‘legitimate’ but lawful.”
Leftist idiocy.
Twelve years ago, most of the European left supported “the Kosovo war” that set NATO on the endless path it now pursues in Afghanistan. Having learned nothing, many seem ready for a repeat performance. A coalition of parties calling itself the European Left has issued a statement “strongly condemning the repression perpetrated by the criminal regime of Colonel Qaddafi” and urging the European Union “to condemn the use of force and to act promptly to protect the people that are peacefully demonstrating and struggling for their freedom.” Inasmuch as the opposition to Qaddafi is not merely “peacefully demonstrating”, but in part has taken up arms, this comes down to condemning the use of force by some and not by others – but it is unlikely that the politicians who drafted this statement even realize what they are saying.
The narrow vision of the left is illustrated by the statement in a Trotskyist paper that: “Of all the crimes of Qaddafi, the one that is without doubt the most grave and least known is his complicity with the EU migration policy…” For the far left, Qaddafi’s biggest sin is cooperating with the West, just as the West is to be condemned for cooperating with Qaddafi. This is a left that ends up, out of sheer confusion, as cheerleader for war.
Refugees.
The mass of refugees fleeing Kosovo as NATO began its bombing campaign was used to justify that bombing, without independent investigation into the varied causes of that temporary exodus – a main cause probably being the bombing itself. Today, from the way media report on the large number of refugees leaving Libya since the troubles began, the public could get the impression that they are fleeing persecution by Qaddafi. As is frequently the case, media focuses on the superficial image without seeking explanations. A bit of reflection may fill the information gap. It is hardly likely that Qaddafi is chasing away the foreign workers that his regime brought to Libya to carry out important infrastructure projects. Rather it is fairly clear that some of the “democratic” rebels have attacked the foreign workers out of pure xenophobia. Qaddafi’s openness to Africans in particular is resented by a certain number of Arabs. But not too much should be said about this, since they are now our “good guys”. This is a bit the way Albanian attacks on Roma in Kosovo were overlooked or excused by NATO occupiers on the grounds that “the Roma had collaborated with the Serbs”.
Osama bin Laden.
Another resemblance between former Yugoslavia and Libya is that the United States (and its NATO allies) once again end up on the same side as their old friend from Afghan Mujahidin days, Osama bin Laden. Osama bin Laden was a discreet ally of the Islamist party of Alija Izetbegovic during the Bosnia civil war, a fact that has been studiously overlooked by the NATO powers. Of course, Western media have largely dismissed Qaddafi’s current claim that he is fighting against bin Laden as the ravings of a madman. However, the combat between Qaddafi and bin Laden is very real and predates the September 11, 2001 attacks on the Twin Towers and the Pentagon. Indeed, Qaddafi was the first to try to alert Interpol to bin Laden, but got no cooperation from the United States. In November 2007, the French news agency AFP reported that the leaders of the “Fighting Islamic Group” in Libya announced they were joining Al Qaeda. Like the Mujahidin who fought in Bosnia, that Libyan Islamist Group was formed in 1995 by veterans of the U.S.-sponsored fight against the Soviets in Afghanistan in the 1980s. Their declared aim was to overthrow Qaddafi in order to establish a radical Islamist state. The base of radical Islam has always been in the Eastern part of Libya where the current revolt broke out. Since that revolt does not at all resemble the peaceful mass demonstrations that overthrew dictators in Tunisia and Egypt, but has a visible component of armed militants, it can reasonably be assumed that the Islamists are taking part in the rebellion.
Refusal of negotiations.
In 1999, the United States was eager to use the Kosovo crisis to give NATO’s new “out of area” mission its baptism of fire. The charade of peace talks at Rambouillet was scuttled by US Secretary of State Madeleine Albright, who sidelined more moderate Kosovo Albanian leaders in favor of Hashim Thaci, the young leader of the “Kosovo Liberation Army”, a network notoriously linked to criminal activities. The Albanian rebels in Kosovo were a mixed bag, but as frequently happens, the US reached in and drew the worst out of that bag.
In Libya, the situation could be even worse.
My own impression, partly as a result of visiting Tripoli four years ago, is that the current rebellion is a much more mixed bag, with serious potential internal contradictions. Unlike Egypt, Libya is not a populous historic state with thousands of years of history, a strong sense of national identity and a long political culture. Half a century ago, it was one of the poorest countries in the world, and still has not fully emerged from its clan structure. Qaddafi, in his own eccentric way, has been a modernizing factor, using oil revenues to raise the standard of living to one of the highest on the African continent. The opposition to him comes, paradoxically, both from reactionary traditional Islamists on the one hand, who consider him a heretic for his relatively progressive views, and Westernized beneficiaries of modernization on the other hand, who are embarrassed by the Qaddafi image and want still more modernization. And there are other tensions that may lead to civil war and even a breakup of the country along geographic lines.
So far, the dogs of war are sniffing around for more bloodshed than has actually occurred. Indeed, the US escalated the Kosovo conflict in order to “have to intervene”, and the same risks happening now with regard to Libya, where Western ignorance of what they would be doing is even greater.
The Chavez proposal for neutral mediation to avert catastrophe is the way of wisdom. But in NATOland, the very notion of solving problems by peaceful mediation rather than by force seems to have evaporated.
Diana Johnstone is the author of Fools Crusade: Yugoslavia, NATO and Western Delusions.She can be reached at diana.josto@...
La Libia e il ritorno dell'Imperialismo Umanitario
di Jean Bricmont*
su www.counterpunch.org del 09/03/2011
Traduzione di l'Ernesto online
Jean Bricmont è professore di fisica teorica all'Università di Louvain (Belgio) e figura eminente del movimento antimperialista europeo. Il suo libro sull'Imperialismo Umanitario è stato pubblicato da Monthly Review Press.
E' riapparsa la banda al completo: i partiti della Sinistra Europea (i partiti comunisti “moderati”), i “Verdi” di José Bové, ora alleati di Daniel Cohn Bendit, che ancora non ha trovato una sola guerra degli USA-NATO che non gli piaccia, vari gruppi trotskisti, e, naturalmente, Bernard-Henri Lévy e Bernard Kouchner, tutti a chiedere qualche forma di “intervento umanitario” o accusando la sinistra latinoamericana, le cui posizioni sono molto più sensate, di agire come “utili idioti” del “tiranno libico”.
Dodici anni dopo, è tutto esattamente uguale al Kosovo. Centinaia di migliaia di iracheni morti, la NATO in una posizione difficilissima in Afghanistan, e non si è imparato nulla! La guerra del Kosovo venne fatta per fermare un genocidio inesistente, la guerra dell'Afghanistan per proteggere le donne (andateci e verificate qual'è la loro situazione ora), e la guerra dell'Iraq per proteggere i curdi. Quando si capirà che a tutte le guerre vengono attribuite giustificazioni umanitarie? Persino Hitler “proteggeva minoranze” in Cecoslovacchia e Polonia.
D'altro lato, Robert Gates avverte che qualsiasi segretario di stato che suggerisca al presidente degli Stati Uniti di inviare truppe in Asia o in Africa “deve essere esaminato nella testa”. Anche l'ammiraglio Mullen consiglia prudenza. Il grande paradosso dei nostri tempi è che i quartier generali del movimento della pace stanno al Pentagono e al Dipartimento di Stato, mentre il partito interventista è rappresentato da una coalizione di neo-conservatori e liberali interventisti, compresi guerrieri umanitari della sinistra ed ecologisti, femministe e comunisti pentiti.
Così ora, tutti dobbiamo consumare meno per il riscaldamento globale del pianeta, ma le guerre della NATO sono riciclabili e l'imperialismo ha assunto uno sviluppo sostenibile.
E' naturale che gli Stati Uniti andranno o meno a una guerra per ragioni totalmente indipendenti dai consigli offerti dalla sinistra filo-guerra. Il petrolio non sarà probabilmente il fattore decisivo perché qualsiasi nuovo governo libico dovrà vendere petrolio e la Libia non esercita l'influenza necessaria per avere un peso importante sul prezzo del petrolio. E' chiaro che l'instabilità della Libia genera speculazione che di per sé stessa colpisce i prezzi, ma questa è un'altra cosa. I sionisti hanno probabilmente due idee non collimanti sulla Libia: odiano Gheddafi e gli piacerebbe rovesciarlo come Saddam, nel modo più umiliante, ma non sono sicuri sul fatto che gli possa piacere l'opposizione (e per il poco che sappiamo, non gli piacerà).
Il principale argomento invocato a favore della guerra è che le cose si compiranno rapidamente e facilmente, che verranno riabilitati la NATO e l'intervento umanitario, la cui immagine è stata macchiata in Iraq e Afghanistan. Una nuova Grenada o, almeno, un nuovo Kosovo, è esattamente ciò di cui si ha bisogno. Un'altra motivazione è che l'intervento è il miglior modo per controllare i ribelli, andando a “salvarli” nella loro marcia verso la vittoria. Ma è improbabile che funzioni: Karzai in Afghanistan, i nazionalisti kosovari, gli sciiti in Iraq e naturalmente Israele sono molto felici di ricevere l'aiuto statunitense, quando ne hanno bisogno, ma dopo continuano con i propri piani. Inoltre, un'occupazione militare completa della Libia dopo la sua “liberazione” sarà difficile da conservare, il che naturalmente rende l'occupazione meno attrattiva dal punto di vista degli USA.
D'altro canto, se le cose andassero male, sarà probabilmente l'inizio della fine dell'impero statunitense. Da qui la prudenza dei funzionari incaricati, il cui compito non è propriamente quello di scrivere articoli per “Le Monde” o di parlare contro dittatori di fronte alle camere.
E' difficile per un cittadino qualunque sapere cosa stia succedendo esattamente in Libia, perché i media occidentali si sono screditati completamente con la loro copertura dei fatti in Iraq, Afghanistan, Libano e Palestina, e le fonti alternative non sono sempre affidabili. Questo non ha toccato naturalmente la sinistra filo-guerra che è assolutamente convinta che le peggiori informazioni su Gheddafi siano veritiere, come dodici anni fa con Milosevic.
Il ruolo negativo del Tribunale Speciale Internazionale si è esplicitato un'altra volta, in questa occasione, come successe con il Tribunale Speciale Internazionale per la Jugoslavia, nel caso del Kosovo. Una delle ragioni per cui c'è stato uno spargimento di sangue relativamente limitato in Tunisia e in Egitto è che c'erano vie d'uscita possibili per Ben Ali e Mubarak. Ma la “giustizia internazionale” vuole assicurarsi che non ci sia via d'uscita possibile per Gheddafi, e neppure probabilmente per la gente vicina a lui, e con ciò lo incitano ad una guerra fino alla fine.
Se “un altro mondo è possibile”, come ripete la Sinistra Europea, allora, un altro Occidente dovrebbe essere possibile, e la Sinistra Europea dovrebbe cominciare a lavorare per quello. Le recenti riunioni dell'Alleanza Bolivariana possono servire da esempio: la sinistra in America Latina vuole la pace e si oppone all'intervento degli USA, perché sa di essere anch'essa nel mirino degli USA e che i suoi processi di trasformazione sociale richiedono, soprattutto, la pace e la sovranità nazionale. Per questo, viene suggerito di inviare una delegazione internazionale, possibilmente guidata da Jimmy Carter (che nessuno può chiamare marionetta di Gheddafi), per avviare un processo di negoziati tra il governo e i ribelli. La Spagna ha mostrato interesse all'idea, ma naturalmente Sarkozy l'ha respinta. Questa proposta potrebbe suonare utopica ma non lo sarebbe tanto se ottenesse il sostegno delle Nazioni Unite, che in questo modo assolverebbero alla loro missione – ma ciò è impossibile a causa dell'influenza degli USA e dell'Occidente. Però, non è così impossibile che ora, o in alcune crisi future, una coalizione non interventista di nazioni, comprese la Russia, la Cina i paesi dell'America Latina e forse altri, uniscano gli sforzi per costruire alternative affidabili contrapposte all'interventismo occidentale.
A differenza della sinistra dell'America Latina, la patetica versione europea ha perso il senso di ciò che significa fare politica. Non cerca di proporre soluzioni concrete ai problemi, ed è capace solo di assumere posizioni morali, in particolare nella denuncia di dittatori e della violazione dei diritti umani, assumendo un tono enfatico. La sinistra socialdemocratica segue la destra con qualche anno di ritardo e non ha idee proprie. La “sinistra radicale” si ingegna a denunciare i governi occidentali in tutti i modi possibili, ma allo stesso tempo chiede che questi stessi governi intervengano in giro per il mondo per difendere la democrazia. La sua mancanza di riflessione politica la rende particolarmente vulnerabile alle campagne di disinformazione e rischia di trasformarla in una sorta di sostenitore passivo delle guerre USA-NATO.
Questa sinistra non ha un programma coerente e non saprebbe che fare nel caso che qualche dio la portasse al potere. Invece di “appoggiare” Chavez e la Rivoluzione Bolivariana, uno slogan senza senso che alcuni adorano ripetere, si dovrebbe umilmente imparare da loro soprattutto cosa significa fare politica.
Jean.Bricmont@...
Contro l'interventismo militarista in Libia e i suoi apologeti.
Per l’autodeterminazione dei popoli magrebini.
Comunicato della Rete nazionale Disarmiamoli!
Valter Veltroni si straccia le vesti a favore di una mobilitazione contro il regime di Gheddafi, chiedendo a gran voce di scendere in piazza al fianco di non meglio precisati “patrioti libici”. Lo fa accusando coloro che si mobilitarono contro l’aggressione all’Iraq di tacere di fronte a ciò che succede in Libia in questi giorni.
Ricordiamo a mr. Veltroni che mentre lui sosteneva apertamente le guerre di aggressione contro l’Iraq, l’ex Jugoslavia e l’Afghanistan milioni di uomini e donne scendevano in piazza per chiedere la fine di massacri costati la vita - in venti anni di “missioni di pace” - a centinaia di migliaia di civili innocenti.
I numeri del movimento pacifista e contro la guerra si sono drasticamente ridotti in questi anni grazie anche alle politiche guerrafondaie del centro – sinistra, appoggiate durante l’ultimo governo Prodi financo dalla cosiddetta ex sinistra “radicale”. Non a caso oggi sia il primo (Veltroni) che le ultime cercano affannosamente un nuovo posizionamento politico dopo essere stati defenestrati dagli elettori.
Il movimento contro la guerra in questi giorni si è mobilitato al fianco delle comunità magrebine, scese in piazza per sostenere le salutari rivolte che stanno sconvolgendo il Maghreb e molti altri paesi africani.
La solidarietà nostra va ai popoli in lotta contro tutti i regimi messi in discussione dai moti popolari, senza cadere nei tranelli costruiti ad arte per giustificare nuove ingerenze o invasioni imperialiste, così come sta avvenendo in questi giorni nel caso libico.
In Libia, a differenza di tutti gli altri paesi, siamo di fronte ad una rottura interna al gruppo dirigente della “Jamahiriya”, il sistema tribale con il quale Muhammar Gheddafi governa da oltre quaranta anni quel paese. Sappiamo da fonti dirette di una spaccatura tra grandi tribù (composte di centinaia di migliaia di componenti ciascuna) che oggi si fronteggiano armi alla mano in una dolorosa guerra civile, che formalizza la fine ad un’esperienza nata come anticolonialista (il golpe di Gheddafi defenestrò un fantoccio della corona inglese, l’allora re Idris), ma da molto tempo corrottasi dall’interno, a causa di scelte neoliberiste e compromessi vergognosi con i governi occidentali.
Veltroni sceglie oggi di divenire la punta di diamante della “mobilitazione contro Gheddafi” mentre le navi militari italiane rientrano nei porti libici e le portaerei statunitensi presidiano minacciosamente le coste della Tripolitania e della Cirenaica. Evidentemente ha bisogno di accreditarsi di fronte a padrini in grado di risollevarlo dalla miriade di débâcle politiche che costellano la sua carriera. Padrini potenti, come ENI, Finmeccanica, FIAT, Unicredit , tutti in attesa di rientrare in Libia sul carro dei vincitori, per spartirsi un succulento “bottino di guerra” fatto di petrolio, gas, crediti esigibili, mano d’opera a basso costo.
Il movimento contro la guerra è vaccinato da tempo dalla propaganda filo – imperialista che prepara il terreno alle aggressioni neo colonialiste, e non sarà certo un Veltroni di turno a confondergli le idee.
Dal primo giorno siamo stati al fianco dei giovani maghrebini che lottano per libertà e diritti sociali. Saremo di nuovo in piazza se i venti di aggressione esterna, che spirano forte sui cieli di Libia, dovessero superare i livelli di guardia. Per l’autodeterminazione del popolo libico e di tutti i popoli in lotta in Nord Africa, non certo per assecondare la tristemente nota “pax occidentale”, alla quale in queste ore stanno alacremente lavorando le diplomazie euro/ statunitensi e i loro tirapiedi.
La Rete nazionale Disarmiamoli!
www.disarmiamoli.org info@... 3381028120 - 3384014989
Date: Tue, 8 Mar 2011 15:38:52 +0100
Subject: COMUNICATO LIBIA - proposta di adesione
From: albaredazione@...
PER L’AUTODETERMINAZIONE DEL POPOLO LIBICO,
SOSTENIAMO L’INIZIATIVA DI PACE DELL’ALBA-TCP!
Il conflitto in Libia è motivo di preoccupazione per i popoli del mondo. Alla perdita di vite umane e alla tragedia dei profughi si aggiungono infatti le minacce di intervento militare da parte della NATO che, come la storia del secolo scorso e degli ultimi dieci anni ha dimostrato, è mossa da interessi tutt’altro che umanitari. Le notizie contraddittorie o addirittura false diffuse dai media ufficiali – come è stato rivelato in più occasioni, anche da studiosi accreditati a livello internazionale – rendono di fatto impossibile comprendere quale sia la situazione reale nel Paese.
Appare chiaro che le multinazionali dell’informazione stanno preparando il consenso dell’opinione pubblica a un intervento militare in Libia. Quest’ultimo avrebbe l’obiettivo di ottenere il controllo delle risorse energetiche e idriche del Paese, oltre che di occupare una posizione decisiva nell’area strategica del Maghreb e del Mediterraneo orientale, ancora segnata dai crimini coloniali europei e attraversata di recente da movimenti di portata storica.
Nel contesto internazionale, l’Italia si distingue per le posizioni contraddittorie quanto reazionarie dei ministri preposti alla gestione dell’emergenza: da una parte il leghista Maroni, che invita gli USA a «darsi una calmata» (Fonte: ANSA – 6 marzo 2011), temendo gli esiti migratori di un’aggressione militare; dall’altra Frattini, che ricalca diligentemente le linee dettate dal Segretario di Stato USA Hillary Clinton e sollecita la presa di posizione della NATO, le cui basi militari in territorio italiano sono già pronte a ospitare le imminenti manovre belliche.
La sola vera iniziativa di pace avanzata negli ultimi giorni è quella del Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela Hugo Chávez Frías, appoggiata pubblicamente dal Consiglio Politico dell’ALBA-TCP (Alleanza Bolivariana dei Popoli per la nostra America – Trattato di Commercio dei Popoli) con un comunicato emesso il 4 marzo 2011 (vedi traduzione in calce).
La proposta (che si può leggere in castigliano al seguente indirizzo web: http://aporrea.org/venezuelaexterior/n176027.html) è quella di formare una «Commissione Umanitaria Internazionale per la Pace e l’integrità della Libia», che invii osservatori e operi per una mediazione fra le parti, al fine di evitare un attacco militare del Paese e nel quadro degli sforzi della comunità internazionale per aiutare il popolo libico.
La presa di posizione del governo bolivariano del Venezuela e dell’ALBA-TCP testimonia l’impegno per la risoluzione pacifica dei conflitti e l’autodeterminazione popolare, e conferma che i processi di integrazione in atto in America Latina sono un punto di riferimento per i popoli del mondo, verso la costruzione di un’alternativa necessaria alla guerra e all’oppressione su cui si fonda il capitalismo.
Accogliamo e rilanciamo l’appello dell’ALBA-TCP ai movimenti sociali e all’opinione pubblica internazionale, perchè si mobilitino contro i piani militaristi e interventisti in Libia.
Sosteniamo l’iniziativa di pace del Governo della Repubblica Bolivariana del Venezuela e dell’ALBA-TCP!
Appoggiamo le resistenze dei popoli in lotta!
Per la vita, la sovranità e l’autodeterminazione del popolo libico!
Napoli, 8 marzo 2011
La redazione di “ALBAinformazione”
Primi firmatari:
ANROS (enlace Italia)
RedPorTiAmerica, www.redportiamerica.com, www.redportiamerica.org
Circolo Bolivariano “José Carlos Mariátegui” - Napoli
Circolo Bolivariano “Antonio Gramsci” - Caracas
ALEC (Associazione Lavoratori Extracomunitari e Comunitari) - Salerno
DICHIARAZIONE del Consiglio Politico dell’ALBA-TCP
L'Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America condivide la preoccupazione mondiale per la situazione del conflitto il Libia e la conseguente perdita di vite umane, ed esprime il suo interesse a che il popolo fratello della Libia trovi una soluzione pacifica e sovrana al conflitto armato in corso, senza ingerenze straniere e nella garanzia dell’integrità territoriale del proprio paese.
Appoggia l'iniziativa di pace e unione del presidente Chávez, al fine di creare una Commissione Internazionale Umanitaria per la Pace e la Integrità della Libia, con l’obiettivo di evitare l'aggressione militare della NATO e come parte degli sforzi che la comunità internazionale deve fare per aiutare il popolo libico.
Rifiuta categoricamente qualsiasi tipo di intervento di questo organismo o potenza straniera in Libia, così come tutte le intenzioni di approfittare opportunisticamente, attraverso i media, della tragica situazione creata per giustificare una guerra di conquista verso le risorse energetiche e idriche che sono patrimonio del popolo libico, e non possono essere utilizzate per soddisfare la voracità del sistema capitalista.
L'ALBA si appella all'opinione pubblica internazionale e ai movimenti sociali del mondo al fine di mobilitarsi in risposta ai piani di bellici ed interventisti in Libia.
Appoggiamo la Proposta del Presidente Chávez contro i piani di ingerenza della NATO e degli USA.
Caracas, 4 marzo 2011
[traduzione a cura di «ALBAinformazione»]
Nessuna complicità con l’interventismo delle potenze della NATO contro la Libia |
Comunicato della Rete dei Comunisti |
E’ ormai evidente come per gli Stati Uniti e per le potenze europee la posta in gioco in Libia non siano i diritti del popolo libico quanto gli abbondanti giacimenti e rifornimenti di petrolio e di gas. un obiettivo, ritenuto strategico di fronte all’acutizzazione della crisi economica internazionale. I tentennamenti e i contrasti tra le varie potenze sui tempi e i modi dell’intervento militare contro la Libia, rivelano la crescente competizione nell’accaparramento delle concessioni petrolifere e la consistenza del volume di affari esistente, soprattutto con l’Italia. L’intervento militare delle potenze della NATO in Libia – le cui avvisaglie sono già anticipate dall’utilizzo sul terreno di guerra di commandos e consiglieri militari occidentali - suonerebbe inoltre come monito e minaccia anche contro i movimenti popolari in Tunisia, Egitto, Algeria, i quali hanno avviato processi di cambiamento importanti ma i cui esiti rappresentano ancora una incognita per gli interessi delle multinazionali statunitensi ed europee e gli interessi geopolitici delle varie potenze. L’attuale forma di guerra civile in corso in Libia tra la fazione di Gheddafi e quella dei ribelli nell’Est del paese, vive una situazione di stallo militare che può risolversi solo in due modi: a) con un negoziato tra le due fazioni come proposto dal governo del Venezuela, un negoziato senza le ingerenze delle potenze imperialiste che cerchi le soluzioni possibili ed eviti la deflagrazione del paese su base tribale come accaduto in Somalia o in altri paesi africani; b) con l’intervento militare delle potenze della NATO a sostegno della fazione ribelle a Gheddafi (anche la No fly zone e l’embargo rappresentano questo già oggi) e quindi con uno scenario del tutto simile a quanto accaduto in Jugoslavia, in Afghanistan e in Iraq La sanguinosa menzogna dell’intervento “umanitario”, alimentata dalla manipolazione dell’informazione e della realtà sul campo, si è già rivelata negli anni scorsi in tutta la sua pretestuosità nelle aggressione belliche in Jugoslavia, in Iraq e in Afghanistan. Chi oggi è disposto a credere e a sostenere tale opzione (come fanno Veltroni, il giornale La Repubblica o il PD) è – di fatto - un complice dei crimini di guerra commessi dalle potenze della NATO in questi anni. Delle due soluzioni occorre che le forze progressiste, anticapitaliste e antimperialiste ne scelgano una. Se si hanno a cuore le sorti, i diritti, l’aspirazione alla democratizzazione del popolo libico occorre sostenere la cessazione dei combattimenti e il negoziato. Se si vuole trasformare la Libia in un protettorato militare degli Stati Uniti e/o dell’Unione Europea – magari attraverso una sanguinosa divisione del paese – ci si subordina alla logica dell’interventismo economico e militare mascherato da “fini umanitari”. Il futuro della Libia potrà anche fare a meno della leadership di Gheddafi e del suo inconseguente “anticolonialismo”, ma è inaccettabile che venga ipotecato non dalla decisione della popolazione quanto dagli interessi materiali e strategici degli Stati Uniti e dell’Unione Europea sulle risorse energetiche del paese e sulle aspirazioni democratiche della sua popolazione. Affermiamo fin ora che non intendiamo essere in alcun modo complici dell’aggressione militare “umanitaria” degli USA, delle potenze europee o dell’ONU contro la Libia. Respingiamo le campagne di allarmismo e di criminalizzazione degli immigrati che alimentano il razzismo Prepariamo la mobilitazione in tutte le città. contro le nuove minacce di guerra nel Mediterraneo e i complici dell’intervento militare “umanitario” in Libia La Rete dei Comunisti |
Josip Broz Tito -U Bosanskom Petrovcu na Prvoj zemaljskoj konferenciji AFŽ 6. decembra 1942. godine
(Izvor: http://www.facebook.com/pages/SFR-Jugoslavija-SFR-Yugoslavia/36436743833 )
Oggetto: [resistenza-continua] 8 Marzo 2011
Data: 08 marzo 2011 19.36.40 GMT+01.00
LE DONNE PARTIGIANE
Mentre la guerra di liberazione volge al suo epilogo vittorioso, la nostra cronaca sarebbe incompleta se tacessimo della funzione avuta da una brigata che non combatté eppure partecipò a tutti i combattimenti, fu presente sempre, ovunque operò senza rumorosi spari, ma la sua azione fu altrettanto efficace e necessaria che quella delle armi più perfezionate: si tratta delle partigiane infermiere, staffette, informatrici.
I primi corrieri e informatori partigiani furono le donne. Inizialmente portavano assieme agli aiuti in viveri e indumenti le notizie da casa e le informazioni sui movimenti del nemico. Ben presto questo lavoro spontaneo venne organizzato, ed ogni distaccamento si creò le proprie staffette, che si specializzarono nel fare la spola tra i centri abitati e i comandi delle unità partigiane.
Non di rado, dopo la battaglia, la staffetta restava sul posto nel paese occupato, per conoscere le mosse del nemico e far pervenire le informazioni ai comandi partigiani. Durante le marce di trasferimento erano all'avanguardia: quando l'unità partigiana arrivava in prossimità di un centro abitato, la staffetta per prima entrava in paese per sincerarsi se vi fossero forze nemiche e quante, se fosse possibile o meno alla colonna partigiana proseguire.
Numerose staffette caddero in combattimento o nell'adempimento delle loro pericolose missioni. Tra le altre: Giuseppina Canna a Premosello il 29 agosto del 1944, Erminia Casinghino a Varallo il 24 aprile del 1945, Ermelinda Cerruti a Feriolo di Baveno il 19 novembre 1944, Alda Genolle a Cavaglio d'Agogna il 4 aprile 1945, Rossana Re a Orio Mosso il 4 ottobre 1944, Cleonice Tommasetti a Fondotoce il 20 giugno 1944, Fiorina Gottico a Varallo Pombia il 26 aprile 1945, Veronica Ottone a Gravellona Toce il l° novembre 1944, Maria Mariotti il 16 maggio 1944 a Novara, Anna Rossetti il 22 febbraio 1945, Maria Luisa Minardi, Maria Ubezio.
Il comando garibaldino biellese si servì essenzialmente dell'opera di Lilliana Rossetti per il collegamento con il comando zona e col comando regionale; di Bianca Diodati, Vinca Berti, Anna Cinanni e Alba Ferrari per il collegamento con il Comando generale delle brigate «Garibaldi», che aveva sede a Milano; di Nella Zaninetti, Aurora Rossetti, Giovanna Vannucci, Teresina Comini, Rita Gallo, Nara Bertotti, Luisa Giacchini, Ughetta Bozzalla, Mercedes Falla, Bruna Giva, Maria Lastella, Eva Anselmetti, Bettina Zanotti, Ortensia Nicolò, Maddalena Curtis, Amata Casale, Silvia Berbero, Scintilla Robbioli, Maria Teresa Curnic, Alba Boschetto per i collegamenti con le diverse unità della V e della XII divisione, Lina Antonietti assicurava il collegamento con il CLN e le autorità cittadine. Va pure ricordata Caterina Negro, la vecchia «zia» dei partigiani, che malgrado la sua età avanzata non risparmiò energie per aiutare in ogni modo i patrioti che trovavano nella sua casa ospitale ristoro, collegamento e recapito. Alba Spina ed Ergenite Gili, tra le più attive e audaci, prestarono la loro opera prima nelle formazioni partigiane biellesi, e poi passarono a disposizione del comando militare regionale.
1) A. Marchesini Gobetti, Donne piemontesi nella lotta di liberazione, Torino.
2) Chiediamo venia al gran numero di quelle pur valorose e meritevoli i cui nomi ci sono sfuggiti.
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da Il Piccolo di mercoledì 2 marzo 2011La foto sbagliata del Giorno del Ricordo
Una foto di soldati italiani che fucilano civili sloveni, probabilmente per rappresaglia dopo avere subito un attacco, sul manifesto del Giorno del ricordo in memoria delle vittime delle foibe e dell'esodo? Impossibile. Eppure, sulla locandina della celebrazione del Giorno del ricordo organizzata dal Comune di Bastia Umbra (provincia di Perugia) in collaborazione con l'Unione degli istriani, con la partecipazione di Nino Benvenuti, è stata pubblicata una foto che testimonia esattamente il contrario di quello che si vuole celebrare: non un gesto di violenza partigiana, un civile che viene gettato in foiba o una famiglia costretta a lasciare la propria casa, bensì nientemeno che un plotone d'esecuzione italiano che sta fucilando cinque civili.
Il clamoroso errore - se di errore si è trattato - è stato scoperto e denunciato dall'Iniziativa civica per il Litorale, che ha definito «perverso, offensivo, ingobile e disgustoso questo tentativo di manipolare la storia». L'Iniziativa ha inviato una dura lettera di protesta all'Unione degli istriani e al Comune di Bastia Umbria, chiedendo un intervento deciso anche da parte dello Stato sloveno. «Presentare la fucilazione di ostaggi sloveni come se i fucilati fossero italiani è assolutamente immorale» ha dichiarato Marjan Bevk, uno degli esponenti dell'Iniziativa civica per il Litorale. Sul soggetto della foto, infatti, non sembrano esserci dubbi: lo scatto risale al 31 luglio 1942 e rappresenta la fucilazione di cinque abitanti del villaggio di Dane (oggi nel comune di Loska Dolina, alcune decine di chilometri a Sudest di Lubiana) durante un'offensiva italiana. Lo conferma il Museo di storia contemporanea di Lubiana. Nei libri di storia ci sono anche i nomi di quelle vittime: Franc Znidarsic, Janez Kranjc, Franc Skerbec, Feliks Znidarsic e Edvard Skerbec. «È un tipico esempio di come gli italiani manipolano la storia. In questo sono maestri» ha tuonato Bozo Novak, dell'Iniziativa civile per il Litorale, nell'intervista rilasciata a Tv Slovenia, che ha dato ampio risalto all'episodio.
Che la cosa non doveva assolutamente accadere, è convinto comunque anche il presidente dell'Unione degli istriani Massimiliano Lacota. L'Unione, ha precisato Lacota, non ha scelto la foto, l'ha fatto il Comune di Bastia Umbra e lo sbaglio è stato scoperto quando i manifesti erano già stampati. «C'è un errore che va riconosciuto. È pazzesco - così Lacota ai microfoni della Tv slovena - che nel Giorno del ricordo, per quel tipo di manifestazione, cui ha preso parte anche Nino Benvenuti, campione di boxe di Isola d'Istria, sia stata scelta quella foto, che è un contesto completamente diverso, se non opposto». La frittata, ad ogni modo, è stata fatta.* Il manifesto "incriminato" si può scaricare alla pagina: http://media.primorski.eu/media/attach/2011/02/ricordo.pdf *
Dal titolo del manifesto, GIORNO DEL RICORDO in memoria delle vittime delle Foibe e dell'esodo giuliano-dalmata, si potrebbe dedurre che si tratta di un'esecuzione da parte di partigiani slavi di civili italiani. In realtà il manifesto riproduce una foto scattata da un fotografo delle forze di occupazione italiane nella “Provincia di Lubiana,” creata dopo l'aggressione alla Jugoslavia il 6 aprile 1941, a seguito di un plotone di soldati italiani mentre stanno per fucilare 5 civili sloveni, il 31 luglio 1942 nel villaggio di Dane nella Loška dolina (non lontano da Postojna (Postumia)
La fotografia che così impropriamente viene utilizzata è conservata negli archivi del Museo di storia contemporanea di Ljubljana (Muzej novejše zgodovine). I nomi degli ostaggi sloveni sono: Franc Žnidaršič, Janez Kranjc, Franc Škerbec, Feliks Žnidaršič e Edvard Škerbec.
Comitato provinciale ANPI-VZPI Trieste-Trst
Il giorno 13/feb/2011, alle ore 23.10, Kappa Vu S.a.s. ha scritto:Gentile Rosella Aristei,Le scrivo in quanto lei è l'assessore alla cultura di Bastia Umbra, organizzatrice nel suo Comune dell'iniziativa del 9 febbraio 2011, in occasione della Giornata del Ricordo.Volevo farle sapere che la foto usata per il manifesto dell'iniziativa, che allego qui sotto, non riguarda affatto le foibe, intese come uccisione di italiani da parte di jugoslavi.La foto da voi usata riguarda invece lla fucilazione di cinque abitanti sloveni del villaggio sloveno di Dane, nel luglio del 1942, da parte di soldati italiani durante le operazioni antipartigiane ordinate dal gen. Mario Roatta. È abbastanza facile capirlo, perché si vede chiaramente che i fucilatori non sono partigiani jugoslavi, ma soldati italiani. La foto completa la può trovare in questo sitoassieme a molte altre foto che documentano le fucilazioni eseguite dall'esercito italiano durante l'occupazione/annessione della Slovenia fra il 6 aprile del 1941 e l'8 settembre del 1943.Ritengo che l'uso di questa fotografia in modo così incongruo possa essere solo frutto di un errore da parte dei suoi uffici, forse non esperti nella materia.Leggo che lei è dirigente scolastica e quindi è consapevole dell'importanza di una corretta documentazione soprattutto per le giovani generazioni.Ritengo quindi che poiché la foto è stata usata in occasione del Giorno del Ricordo, la correttezza in nome della memoria storica richieda che il suo assessorato faccia un comunicato pubblico di segnalazione e scuse per questo errore piuttosto grave dal punto di vista storiografico e della memoria storica.Rimango a disposizione per qualsiasi chiarimento e per fornire ogni informazione che le possa essere utile.Distinti saluti.Alessandra Kersevan
Slovenia protesta ufficialmente per foto Giorno del Ricordo
giovedì 03 marzo 2011
Diventa un caso diplomatico la foto del manifesto del Giorno del ricordo in memoria delle vittime delle foibe e dell'esodo. Il ministero Affari Esteri della Repubblica di Slovenia ha consegnato ieri una nota di protesta all'ambasciatore d'Italia a Lubiana Alessandro Pietromarchi per quello che viene definito un atto di «falsificazione della storia e manipolazione dei documenti storici».
Sulla locandina della manifestazione celebrativa della Giornata del ricordo, organizzata dal Comune di Bastia Umbra (provincia di Perugia) in collaborazione con l'Unione degli istriani, è stata usata infatti la foto di un gruppo di soldati italiani che il 31 luglio del 1942 hanno fucilato cinque patrioti sloveni nel villaggio di Dane (la conferma è giunta dal Museo di storia contemporanea di Lubiana), anche se il testo e il senso della cerimonia suggerivano esattamente il contrario, e quella foto doveva rappresentare le violenze subite dalla popolazione italiana nell'ex Jugoslavia nell'immediato dopoguerra.
La manipolazione della foto è un gesto moralmente condannabile, si legge nel comunicato del ministero Esteri. Per la diplomazia slovena, il fatto che la stessa foto, il 9 febbraio, sia stata pubblicata, sempre nel contesto sbagliato, anche sul sito del ministero degli Interni italiano, non contribuisce ai rapporti di buon vicinato, che devono invece essere basati sul riconoscimento dei fatti storici. L'«errore» nel manifesto della Giornata del ricordo è stato scoperto dall'Iniziativa civica per il Litorale, che nei giorni scorsi ha inviato una lettera al comune di Bastia Umbra e all'Unione degli istriani, definendo «perverso, offensivo, ignobile e disgustoso questo tentativo di manipolare la storia».
f.b. su Il Piccolo del 3 marzo 2011
La lettera è firmata dall'assessore alla cultura del Comune di Bastia Umbra Rosella Aristei.
(courtesy Sandor Tence - Primorski dnevnik)
La volontà dell'Assessorato alla Cultura del Comune di Bastia Umbra, recepita graficamente nel manifesto del "Giorno del ricordo" , è stata quella di aver voluto evidenziare , con una creazione grafica attraverso elementi identificativi e simbolici , la violenza nelle sue varie forme , tutte esecrabili, violenza che ha caratterizzato quel periodo storico e segnatamente le zone di confine italo- slovene.
Un altro obiettivo nel commemorare il Giorno del Ricordo , confermato anche dagli interventi di Nino Benvenuti, dalle parole di un rappresentante dell'Associazione Venezia Giulia e Dalmazia, dalla mostra realizzata con le masserizie del campo profughi di Padriciano, grazie alla disponibilità dell’”Unione degli Istriani”, è stato quello di aver voluto creare un momento di riflessione e non di divisione su una vicenda storica di dolore e di violenza consumata ai danni della comunità italiana con il forzato esodo dall'Istria e la conseguente e dolorosa emarginazione nei campi profughi italiani.
Per le giovani generazioni il messaggio, intensamente recepito, è stato quello “ del ricordo” per “ non dimenticare” e nello stesso tempo per “far crescere consapevolezza” sulla necessità di rifiutare ogni forma di violenza e di impegnarsi per evitare il ripetersi di simili tragici eventi.
Ci sorprende infine lo “scalpore” di Trieste e della Slovenia per la foto scelta, foto che è pubblicata da tempo su alcuni siti Internet dedicati alle Foibe. Tale foto non è stata né fornita né suggerita dall’ “Unione degli Istriani”, ma direttamente costruita dal grafico, anche nel rispetto e nello spirito della Legge istitutiva del “Giorno del Ricordo” che richiama la “ più complessa vicenda del confine orientale”
Con la speranza di aver esaurientemente risposto alla sua nota colgo l'occasione per formulare i miei auguri di buon lavoro.
Rosella Aristei
Assessore alla Cultura del Comune di Bastia Umbra
Lo sport dell'arrampicata sugli specchi è una tipica specialità italiana. Dato che la legge dell'istituzione del giorno del ricordo parla di "complesse vicende del confine orientale", se qualcuno vuole parlare, oltre che di "foibe" anche dei crimini di guerra italiani gli si dà addosso perché vuole stravolgere il senso della legge; in questo caso, invece di scusarsi per avere messo a sproposito una foto che non c'entrava con le "foibe" (come reagirebbe la comunità ebraica se in un manifesto che parla della Shoah invece di mettere una foto di bambini nei lager nazisti si mettesse una foto di bambini palestinesi tra le macerie delle loro case distrutte dallo stato di Israele?) l'assessore addirittura sembra essere orgogliosa di avere "allargato" il discorso alla condanna di ogni forma di violenza. D'accordo, metteremo le foto di Hiroshima quando parleremo di Auschwitz e le foto dei gas di Badoglio quando parleremo della fucilazione di Mussolini. Pubblicheremo le foto di piazza Fontana per commentare l'omicidio di Aldo Moro e le cariche del G8 di Genova commemorando la morte di Dalla Chiesa. Tanto, si tratta sempre di violenza. Claudia |