Informazione


Iniziativa civica per il litorale sloveno

1) La foto sbagliata del Giorno del Ricordo
2) I deficit di memoria degli italiani
3) Lettera a Napolitano (2009)


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da Il Piccolo di mercoledì 2 marzo 2011

La foto sbagliata del Giorno del Ricordo

Una foto di soldati italiani che fucilano civili sloveni, probabilmente per rappresaglia dopo avere subito un attacco, sul manifesto del Giorno del ricordo in memoria delle vittime delle foibe e dell'esodo? Impossibile. Eppure, sulla locandina della celebrazione del Giorno del ricordo organizzata dal Comune di Bastia Umbra (provincia di Perugia) in collaborazione con l'Unione degli istriani, con la partecipazione di Nino Benvenuti, è stata pubblicata una foto che testimonia esattamente il contrario di quello che si vuole celebrare: non un gesto di violenza partigiana, un civile che viene gettato in foiba o una famiglia costretta a lasciare la propria casa, bensì nientemeno che un plotone d'esecuzione italiano che sta fucilando cinque civili.
Il clamoroso errore - se di errore si è trattato - è stato scoperto e denunciato dall'Iniziativa civica per il Litorale, che ha definito «perverso, offensivo, ingobile e disgustoso questo tentativo di manipolare la storia». L'Iniziativa ha inviato una dura lettera di protesta all'Unione degli istriani e al Comune di Bastia Umbria, chiedendo un intervento deciso anche da parte dello Stato sloveno. «Presentare la fucilazione di ostaggi sloveni come se i fucilati fossero italiani è assolutamente immorale» ha dichiarato Marjan Bevk, uno degli esponenti dell'Iniziativa civica per il Litorale. Sul soggetto della foto, infatti, non sembrano esserci dubbi: lo scatto risale al 31 luglio 1942 e rappresenta la fucilazione di cinque abitanti del villaggio di Dane (oggi nel comune di Loska Dolina, alcune decine di chilometri a Sudest di Lubiana) durante un'offensiva italiana. Lo conferma il Museo di storia contemporanea di Lubiana. Nei libri di storia ci sono anche i nomi di quelle vittime: Franc Znidarsic, Janez Kranjc, Franc Skerbec, Feliks Znidarsic e Edvard Skerbec. «È un tipico esempio di come gli italiani manipolano la storia. In questo sono maestri» ha tuonato Bozo Novak, dell'Iniziativa civile per il Litorale, nell'intervista rilasciata a Tv Slovenia, che ha dato ampio risalto all'episodio.
Che la cosa non doveva assolutamente accadere, è convinto comunque anche il presidente dell'Unione degli istriani Massimiliano Lacota. L'Unione, ha precisato Lacota, non ha scelto la foto, l'ha fatto il Comune di Bastia Umbra e lo sbaglio è stato scoperto quando i manifesti erano già stampati. «C'è un errore che va riconosciuto. È pazzesco - così Lacota ai microfoni della Tv slovena - che nel Giorno del ricordo, per quel tipo di manifestazione, cui ha preso parte anche Nino Benvenuti, campione di boxe di Isola d'Istria, sia stata scelta quella foto, che è un contesto completamente diverso, se non opposto». La frittata, ad ogni modo, è stata fatta.

* Il manifesto "incriminato" si può scaricare alla pagina: http://media.primorski.eu/media/attach/2011/02/ricordo.pdf *


=== 2 ===

http://www.nn-media.eu/index.php?option=com_content&view=article&id=76:iniziativa-per-il-litorale-sloveno-i-deficit-di-memoria-degli-qitalianiq&catid=25:il-progetto&Itemid=53

I deficit di memoria degli italiani

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, parlando il 10 febbraio del 2007 e del 2008 in occasione della “Giornata della memoria” in merito agli avvenimenti storici di 60 anni fa,  citò per due volte di seguito i termini “espansionismo slavo”, “barbarie” dei vicini slavi e “marcia dell’odio”, nonché “odio crudele” da imputarsi ai “piani di annessione che ebbero il sopravvento nel Trattato di pace del 1947 e che assunsero dei tratti minacciosi di pulizia etnica.”

Il messaggio del presidente Napolitano è dunque palese: il discredito del Trattato di pace e con esso il delineamento dei confini come veniva dettato dal Trattato che ha visto parteciparvi e sottoscrivervi 20 paesi alleati. Il Trattato di pace non alimentava ‘mire di annessione’ degli alleati jugoslavi, bensì rappresentava una conseguenza di ‘bilancio etnico’ accuratamente premeditato e non si trattava di ‘pulizia etnica’, della quale parla il presidente Napolitano. La provocazione è alquanto greve, per cui non possiamo riconoscere che ‘non ha senso occuparsene’.
Il discorso ostile del presidente Napolitano ha provocato delle reazioni da parte di tutte le organizzazioni patriottiche. E’ nostro dovere, per giunta, avvisare i cittadini in merito ad alcuni eventi storici traendo esclusivamente spunto da fonti italiane.

Così fu annunciato a Pola da Benito Mussolini il 22 febbraio del 1920  prima della sua ascensione al potere:

“Di fronte ad una razza inferiore e barbara come quella slava, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. Non temiamo più le vittime... I confini dell'Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani”.

Già nel settembre dello stesso anno disse durante un suo comizio a Pola:

“Per la creazione del nostro sogno mediterraneo, è necessario che l'Adriatico, che è il nostro golfo, sia in mano nostra; di fronte alla inferiorità della razza barbarica quale è quella slava".

Non trovate che queste parole parlino di ‘barbarie’ e ‘razzismo’? Ma in questo caso di quale?

Il conte Galeazzo Ciano di Cortelazzo, genero di Benito Mussolini, nonché Ministro italiano per gli affari esteri durante la guerra, scrive nel suo diario, in data 5 gennaio del 1942, di aver accolto il segretario del Partito nazionale fascista del Friuli Venezia Giulia Aldo Vidussoni. Egli riporta:

“Mi furono confidate le sue intenzioni cruente contro gli Sloveni. Intende ammazzare tutti. Gli dissi che ce n’erano un milione. ‘Non importa’, rispose risoluto ‘bisogna agire come i nostri predecessori in Eritrea, sopprimendo tutti.”

Il 31 luglio del 1941 Mussolini, ora nelle vesti del Duce, annesse con l’aggressione il sud della Drava banovina. Queste furono le sue parole in occasione dell’incontro con i comandanti militari, tenutosi a Gorizia, riferendosi alla zona occupata in Slovenia:

“Questo paese è degenerato. Si dovrà eliminare il suo frutto velenoso per mezzo del fuoco e della spada... Agiremo come Giulio Cesare con la Gallia ribelle: bruciando i paesi in rivolta, ammazzando tutti gli uomini oppure mandandoli nell’esercito, portando lontano da casa e riducendo alla schiavitù donne, vecchi e bambini ...”.

Chi in questo periodo aveva poi inscenato ‘marcie di odio e ira feroce”? Nel registro di quest’incontro conservato in archivio vi si legge un ulteriore comando del Duce: ‘Non sono contrario all’emigrazione di massa del popolo... Questi popoli si ricorderanno che la legge di Roma è inflessibile. Ordino l’applicazione di questa legge...” Si tratta o no di “pulizia etnica” o “bonifica etnica”come allora veniva denominata?

Il comandante del XI corpo dell’Armata Mario Robotti riferì ai suoi subordinati il seguente comando di Mussolini, risalente al 12 agosto 1942: “Le autorità superiori non sono contrarie alla deportazione dell’intero popolo sloveno insediandovi Italiani..., in altre parole: unificazione dei confini nazionali e politici...”.

Non vi sembra che queste parole parlino palesemente di “espansionismo” ma non di quello sloveno?

Robotti continuò a riportare il comando di Mussolini:

“Totale evacuazione quindi... Ignorate la sofferenza del popolo... Si capisce che la deportazione non esclude l’uccisione di tutti i colpevoli o dei sospettati di attività comunista...”.

“Bisogna ricostruire a qualunque prezzo la supremazia italiana ed il suo prestigio, a costo dell’estinzione di tutti gli Sloveni e della distruzione della Slovenia...”.

Per questo motivo non stupisce il comando del generale Robotti trascritto a mano dal capo di Stato Maggiore Annibale Gallo il 4 agosto 1942: “Si ammazza troppo poco!”

Troppo poco! Una dettagliata ricerca scientifica ha tuttora rilevato che le autorità italiane d’occupazione vi uccisero 1.569 Slovene e Sloveni. I nomi ed i cognomi degli ostaggi uccisi, dei condannati e dei paesani deportati accidentalmente sono archiviati nell’Istituto sloveno di storia contemporanea.

Inoltre la detta ricerca scientifica slovena ha identificato i nomi ed i cognomi degli abitanti dispersi della provincia di Trieste e Gorizia nel periodo del dopoguerra. Il presidente Napolitano ne è sicuramente a conoscenza.

La relazione della Commissione mista storico-culturale italo-slovena fondata nel 1993 dai ministri Andreatta e Peterle, dopo sette anni di ricerca minuziosa scientifico-ricercativa, rileva che le autorità italiane, incluso il presidente della Repubblica d’Italia, continuano ad ignorare tutto ciò. I fatti storici anteriori al 9 maggio 1945 sono caduti nel dimenticatoio. Il rammarico e le condanne degne di rivendicazione dopo questa data sono state esaltate e drammatizzate come se non fossero legate agli avvenimenti avvenuti 20 anni fa e durante la guerra.

Citiamo solo tre constatazioni tratte dalla relazione sloveno-italiana:

“Il regime d’occupazione era fondato sulla violenza che veniva espressa quotidianamente attraverso divieti, confini, deportazioni e internamenti..., processi davanti a Tribunali militari, sequestri e distruzione di beni patrimoniali, case e paesi. Ci furono migliaia di morti: caduti nella lotta, condannati a morte, ostaggi e civili. Circa 30.000 persone sono state deportate nei campi di concentramento, la maggior parte erano civili, donne e bambini. Molti perirono dalla sofferenza”.

“Nel periodo posteriore all’8 settembre 1943 i seguaci delle forze armate italiane e dell’amministrazione civile italiana hanno potuto tranquillamente abbandonare il territorio sloveno, sostenuti addirittura dall’aiuto della gente locale.”

“...Gli abitanti del Friuli Venezia Giulia che simpatizzavano per l’Italia vissero l’occupazione jugoslava come il momento più cupo della loro storia, anche perché nelle province di Trieste, Gorizia e Capodistria essa veniva accompagnata da un’ondata di violenza che si manifestava in arresti di migliaia di persone, in gran parte Italiani, ma anche Sloveni, i quali si opponevano al piano jugoslavo politico comunista. A poco a poco alcuni arrestati venivano liberati: ci furono centinaia di condanne eseguite frettolosamente le cui vittime furono in gran parte scaraventate nelle cavità carsiche dette foibe, e inoltre un numero ingente di soldati e civili che vi soccombettero oppure vi furono uccisi durante la deportazione... “

Si tratta di tristi atti vendicativi che il nostro paese e tutti noi profondamente deploriamo e condanniamo. Ciononostante allo stesso tempo ci chiediamo chi per primo ha dato inizio all’oppressione e alle calunnie, scatenando la violenza contro gli Sloveni e particolarmente gli abitanti del Litorale sloveno.

L’abbiamo ribadito e annotato più volte e lo ripetiamo continuamente.

Tuttavia dalla parte italiana nessuno fino a oggi vi dimostrò segni di rammarico, condannando gli avvenimenti che furono alla base di quest’atto di vendetta.

Inoltre lo stato italiano sta tuttora tacitamente difendendo “i suoi eroi – i criminali di guerra” della II guerra mondiale. Si ignorano tutti gli avvenimenti notori, raccolti in documenti aggravanti nei quali vengono citati oltre 850 criminali di guerra che operavano sul territorio dell’ex Jugoslavia. In qualità di vicini degli Italiani non ci sembra che la venerazione del fascismo, dell’espansionismo, del razzismo, la sottovalutazione della razza e la superiorità per le azioni commesse rappresentino un modo per conoscere la storia del proprio paese!

Numerose prove storiche testimoniano che i soldati italiani ed i fascisti, soprattutto alti e pubblici ufficiali, erano tutt’altro che brava gente. Anche alcune autorità italiane e mass media hanno cominciato ad interessarsi da poco per mettere in luce questa parte della storia italiana, tuttavia già dall’inizio era palese che la detta questione degli avvenimenti passati non potrà essere risolta a causa dell’influsso politico e l’oppressione di gruppi politici reazionari.

Ciononostante questi avvenimenti non possono essere occultati alla giustizia, ne consegue che la responsabilità degli ufficiali italiani per i crimini commessi sui civili in Slovenia sussiste tuttora!

Quando lottiamo per il riconoscimento della colpa e il rammarico per il male commesso alla nostra gente nel periodo tra gli anni 1920 e 1943 da parte dei cittadini della Repubbblica d’Italia, sosteniamo che non è nostra intenzione citare in giudizio dei criminali anziani o deceduti, ma basterebbe che la Repubblica d’Italia chieda le sue scuse per tutto il male e i crimini commessi dai suoi militari e dai fascisti sul territorio del Litorale sloveno e della Repubblica di Slovenia.

Non vogliamo seguire un modello che è stato applicato dalla giurisprudenza italiana come nel caso della condanna degli ufficiali tedeschi nazisti che sono stati citati a giudizi in venerabile età. Mentre i criminali italiani venivano completamente dimenticati.

Perciò ci appelliamo al governo della Repubblica di Slovenia:

di chiedere espressamente all’Italia il riconoscimento definitivo che i soldati italiani, i sottoufficiali, gli ufficiali e i fascisti erano tutt’altro che brava gente e che nel periodo dal 1920 al 1943 essi commisero atti crudeli non solo nelle zone limitrofe, bensì anche in altri continenti. Chiediamo inoltre il suo pubblico rammarico e pentimento per i crimini commessi sul territorio del Litorale sloveno e della Repubblica di Slovenia.

Sosteniamo che la nuova Europa non può essere costituita sulle recidive del suo passato più cupo, rivangando lo spirito di odio, reiterando condanne unilaterali e l’espansione di qualsiasi odio e la divisione dei popoli.

Con l’evidenziamento di questo problema decennale non si è ancora giunti alla fine della lista del conflitto tra i due popoli confinanti.

Gli avvenimenti più recenti riguardanti la riduzione dei mezzi finanziari da parte del governo italiano, necessari per il funzionamento delle istituzioni dei nostri compatrioti in Italia, dimostra ancora l’inaudita mancanza di rispetto dei trattati internazionali quali il Trattato di Londra e di Osimo e la Legge sulla tutela della minoranza, approvata nel Parlamento italiano. Quindi lo stato non ottempera gli obblighi nei confronti dei suoi cittadini di etnia diversa. In questo caso a essere minacciati sono l’esistenza e il funzionamento delle organizzazioni dei nostri compatrioti nell’ambito della scuola e dei teatri, la stampa indisturbata del quotidiano sloveno Primorski dnevnik, l’uso della lingua madre in determinati campi e le scritte bilingui. In poche parole lo Stato italiano se ne infischia letteralmente a tutto quanto sottoscrisse in passato in presenza di autorità rilevanti. Tale comportamento può risultare deleterio per i nostri compatrioti, perciò non possiamo attendere che le cose capitino da sole. Reputiamo che la Slovenia sia alquanto risoluta nel presentare le sue richieste al fine di internazionalizzare la questione al più presto, non aspettando la reazione dell’Italia alla quale tutto ciò non interessa affatto.

Di questi avvenimenti ne ha già parlato il presidente della Repubblica della Slovenia, Danilo Türk, che ha inoltre avvertito ai fenomeni negativi di tali atti. Sosteniamo che i deputati europei sosterranno sicuramente le nostre richieste legittime per la risoluzione di questo problema.

Forse non è eccessivo puntualizzare l’impatto della decisione della Repubblica d’Italia sui nostri compatrioti.

La pressione della recessione generale e della crisi economica comporterà un taglio ingente delle uscite finanziarie dell’Italia. Il governo ha innanzitutto deciso che provvederà a ridurre i mezzi destinati all’educazione. E’ nota l’approvazione della riforma nel Parlamento italiano, la quale è stata applicata anche ai nostri compatrioti. Tutto ciò significa un taglio significativo dei mezzi finanziari che rappresenta quasi un colpo di grazia per i nostri compatrioti nel FVG. A rischio i posti di lavoro di numerosi maestri, professori, altro personale scolastico e numerose sezioni con il programma con lingua d’insegnamento slovena. Inoltre ci sarà un taglio notevole dei mezzi finanziari ed è prevista addirittura la chiusura di scuole elementari e medie sia slovene che bilingui. Tutto ciò avverrà nelle zone di provincia dove gli abitanti sono prevalentemente di etnia slovena. Non ci rendiamo conto come tutto ciò potrà incidere fatalmente sulla nostra comunità.

Non possiamo abbandonarci alla passività, permettendo che i nostri vicini commettano tali azioni, bensì dobbiamo rientrare in azione offrendo un aiuto ai nostri compatrioti.

Abbiamo il dovere di renderci conto di uno dei valori più nobili di ogni popolo e cioè la reazione istintiva nella lotta per la sopravvivenza della nostra cultura e della lingua madre slovena, sostenendo così i nostri compatrioti in Italia con azioni concrete, appellandoci ad autorità rilevanti slovene. Dobbiamo avvertire tutti i cittadini sloveni ed europei del pericolo minaccioso della riforma Gelmini. In questo caso siamo sostenuti unanimemente da prestigiosi intellettuali ed accademici sloveni che ci hanno sostenuti nella lotta per la tutela delle scuole slovene e dei programmi didattici in  lingua slovena.

Tutti insieme ci rendiamo perfettamente conto che se al popolo viene meno l’uso della lingua e con esso la sua cultura, il fatto viene assimilato silenziosamente e ne consegue che esso muore per sempre. In questo modo potrebbero scomparire la lingua e la cultura slovena dalla penisola linguistica occidentale. Non possiamo permetterlo!

Come Iniziativa civile vogliamo stare in guardia di fronte agli avvenimenti in altri paesi confinanti quali l’Austria, l’Ungheria e altri paesi limitrofi dove vi sono insediate comunità slovene. Il nostro aiuto ai nostri compatrioti sarà sicuramente il benvenuto, per questo motivo dobbiamo mostrare e dimostrare che nel pretendere le loro legittime richieste e volontà di giustizia, essi non sono soli.

CIVILNA INICIATIVA ZA PRIMORSKO
INIZIATIVA CIVILE PER IL LITORALE SLOVENO

Goriska cesta 17, 5270 AJDOVSCINA  tel – fax.: 05 / 366 10 71


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Lettera a Napolitano (2009)

Egregio
Presidente della Repubblica
On. Giorgio NAPOLITANO

 La Repubblica di Slovenia, ed in particolare la regione del Litorale Sloveno (Primorska), stato libero e democratico, membro dell’Unione Europea sta nuovamente subendo incresciose pressioni e minacce da parte di ambienti neofascisti italiani, che gradualmente si esprimono con continue provocazioni sia verbali che fisiche. Nell’Iniziativa per il Litorale Sloveno (Civilna iniziativa za Primorsko) ci siamo opposti a questa condotta ed attizzamento di controversie tra i popoli della Slovenia ed Italia. Ci siamo opposti alle falsificazioni dei fatti storici in quanto il terrore fascista contro gli Sloveni iniziò già nel 1915 ed in particolare subito dopo il 1. Conflitto mondiale, quando l’Italia occupò con l’ingiusto Trattato di Rapallo tutta la parte occidentale della Slovenia, cioè il Litorale Sloveno (Primorska). Nel 1941 occupò metà della Slovenia, circondando Lubiana con un reticolato, trasformando la città in un lager.

Per questo motivo abbiamo deciso di informarla di questi fatti in qualità di rappresentante di uno stato vincitore nel 2. Conflitto mondiale e con ciò nostro alleato in esso.

Gli ambienti neofascisti della provincia di Trieste si aggregano nell’Unione degli Istriani con sede a Trieste. Trieste è sin dal 1945 un centro di neofascisti e punto nevralgico per l’attizzamento di odio conto gli Sloveni. Per loro, noi siamo “sciavi” (schiavi), quindi un popolo indegno nei confronti degli Italiani. L’Unione degli Istriani ha tutto il sostegno sia morale che finanziario del Comune di Trieste e del Governo della Repubblica d’Italia. Bisogna anche sapere che in Italia ci sono un milione e mezzo di neofascisti organizzati, almeno così viene riferito dalla stampa italiana. 

In tempi recenti, questi circoli politici eseguono manifestazioni provocatorie sul territorio sloveno a causa di fascisti giustiziati nel dopoguerra nel maggio e giugno del 1945 a Trieste e dintorni. In Slovenia, dove il conflitto mondiale finì appena il 15 maggio e non il 9 maggio del 1945, con la resa del generale d’armata tedesco Lehr, accaddero numerose esecuzioni di appartenenti alle formazioni militari nemiche (Tedeschi, Italiani, Croati- Ustascia, Serbi-Cetnici, Tartari, Ungheresi ed altri che componevano l’esercito tedesco) e dei loro collaborazionisti, ovvero i traditori del popolo sloveno. Appena recentemente si sta scoprendo in Slovenia le necropoli di queste esecuzioni. La Slovenia desidera adeguatamente segnare queste necropoli e garantire con questo rispettoso atto di pietà nei confronti dei morti, appartenenti alle formazioni militari nemiche, e consentire ad eventuali congiunti la visita di questi cimiteri. Le commissioni non hanno ancora indagato tutte le necropoli mentre i neofascisti, riuniti nell’Unione degli Istriani, vogliono prepotentemente visitare molte voragini carsiche con la scusa che in esse sono sepolti i corpi degli Italiani. Finché le eventuali necropoli non saranno indagate e finché non sarà inequivocabilmente dimostrato che nelle voragini carsiche giacciono i corpi degli Italiani, gli abitanti ed i connazionali, riuniti nell’Iniziativa civile per il Litorale Sloveno (Civilna iniciativa “ZA PRIMORSKO”), non permetteranno ad essi queste visite. Per risolvere la situazione che si è venuta a creare, proponiamo quanto segue:

1. Desideriamo concordare le commemorazioni congiunte presso i monumenti comunemente concordati, che testimoniano gli orrori del fascismo sul territorio della Slovenia e presso i monumenti, che testimoniano gli eventi successi dopo la fine del 2. Conflitto mondiale, dopo la liberazione di Trieste.
2. Diramare pubblicamente il testo della Relazione della Commissione storico-culturale italo - slovena di Stato, che ha concluso la discussione della storia tra i due popoli dal 1880 al 1956 (La Slovenia ha diramato la relazione mentre l’Italia non la vuole).
3. La sistemazione del parco commemorativo ai condannati del 2. Processo di Trieste del tribunale speciale fascista, a Opicina presso Trieste.

Siamo fermamente convinti, che ogni Stato debba riconoscere le ingiustizie provocate sia al proprio popolo che ad altri popoli e fare il possibile per la riparazione di esse. La popolazione in Slovenia, ed in particolare sul Litorale Sloveno (Primorska) è particolarmente sensibile ai torti subiti. Il fascismo ha perpetrato su di essa una politica genocida per 26 lunghi anni, continuando in Abissinia, Libia, Grecia, Albania e in Jugoslavia.

Noi Sloveni non siamo contrari all’espressione del ricordo e della pietà verso i defunti, in particolare ai parenti e congiunti, siamo però contrari alla strumentale politicizzazione degli eventi postbellici e qualsiasi provocazione politica in tal senso.

Egregio Signor Presidente, per questo motivo abbiamo deciso nell’Iniziativa civile, che indipendentemente dalle provocazioni fin qui eseguite dall’Unione degli Istriani, proponiamo un colloquio e un accordo di organizzazione di visite dei parenti e congiunti ai cimiteri dove giacciono gli Italiani. In tal senso stiamo loro inviando una lettera, che qui alleghiamo per una Sua informazione. Desideriamo che Lei venga informato direttamente tramite nostro con il testo originale e non tramite le manchevolezze dei media. 

Desideriamo inoltre comunicarle, che di questo abbiamo informato il Presidente della Russia, il Presidente degli Stati Uniti d’America, il Presidente del Governo del Regno Unito, il Presidente della Francia come nostri alleati e vincitori del 2. Conflitto mondiale ed inoltre la Sig.ra Angela Merkel, il cancelliere della Germania, lo Stato che ha chiesto scusa alla Slovenia per gli orrori commessi contro il nostro popolo durante il 2. Conflitto mondiale.

Distinti e cordiali saluti!

Civilna iniciativa »ZA PRIMORSKO«

Ajdovscina 23.03.2009




BERTINOTTI AL QUADRATO


Comunicato stampa dell’Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba in risposta alle affermazioni di Nichi Vendola

In alcuni quotidiani del 28 febbraio 2011 sono stati pubblicati stralci dell’intervento di Nichi Vendola alla Convention (sic!) di SEL al Palatenda di Roma. In uno di questi passaggi sono riportate le seguenti parole: “Io che ho amato il volto del Che dico che libertà e democrazia sono temi che devono valere anche per Cuba, se non ora, quando?”. 
Dispiace constatare, una volta ancora, che un politico di professione, per di più di sinistra, dimostri una così scarsa conoscenza riguardo a questi due concetti, quando si parla di Cuba. 
Il popolo cubano ha conquistato la propria libertà il 1° gennaio 1959, dopo una lotta di trent’anni contro il colonialismo spagnolo, poi di altri sessant’anni contro i governi o i dittatori imposti dagli Stati Uniti. 
Il sistema democratico cubano ha il suo fondamento nella Costituzione della Repubblica di Cuba, approvata il 15 febbraio 1976 attraverso un referendum - con voto libero, uguale, diretto e segreto - dal 97.7 % dei voti della popolazione cubana. Lo scrutinio ha riportato questo risultato: su 5.602.973 elettori, 5.473.534 hanno votato “sì” e 54.070 “no”. 
Dalla Costituzione deriva la Legge Elettorale che stabilisce che ogni cittadino cubano può essere eletto Delegato a un’Assemblea Municipale o a un’Assemblea Provinciale purché abbia compiuto 16 anni. Per essere eletto Deputato all’Assemblea Nazionale (Parlamento) occorre che abbia compiuto 18 anni. 
Il Partito Comunista di Cuba non partecipa alle elezioni e non propone candidati. 
La democrazia cubana è un sistema che garantisce ai propri cittadini non solo la possibilità di eleggere e di essere eletti, ma anche un ruolo attivo nella proposizione, nella scelta e nel controllo dell'operato dei propri rappresentanti istituzionali. 
Ogni carica istituzionale, a qualsiasi livello, decade al termine di un mandato stabilito da una Costituzione approvata direttamente dal popolo cubano. Attraverso il processo elettorale i cittadini cubani possono decidere di confermare o di sostituire i propri rappresentanti. 
L’aspetto economico non incide minimamente sul risultato delle elezioni, in quanto ogni candidato non deve spendere neppure un centesimo per la propria propaganda elettorale. Inoltre, chi viene eletto non ha nessun tornaconto economico dato che continua a percepire lo stesso stipendio, come se si trovasse al suo posto di lavoro. 
La presenza di un cospicuo numero di donne elette al Parlamento – il 43 % nelle elezioni di gennaio 2008 – costituisce un indice di emancipazione e di uguaglianza nella società cubana, percentuale che pone Cuba ai primissimi posti nel mondo tra i paesi con maggiore presenza femminile nel Parlamento. 
La partecipazione in massa dell’elettorato a tutte le elezioni dal 1976 fino a oggi – una trentina tra Nazionali, Provinciali e Municipali - sempre di gran lunga oltre il 95 % degli aventi diritto al voto pur non essendo obbligatorio andare a votare, dimostra che la trasparenza, la legalità e l’attaccamento del popolo a questo sistema sono inequivocabili. 
I risultati delle ultime elezioni del 20 gennaio 2008 comprovano la solidità della Rivoluzione: le schede depositate nelle urne sono state 8.231.365 pari al 96.9 % degli aventi diritto al voto. Di queste, le schede ritenute valide sono state il 95.3 %, quelle bianche il 3.7 % e quelle annullate solamente l'1 %. 
Il signor Vendola ha tutto il diritto di non gradire il sistema vigente a Cuba, ma lasci almeno al popolo cubano il diritto di stabilire se la propria sia una società libera e democratica. 

Segreteria Nazionale 
Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba 


(srpskohrvatski / deutsch.

Sulle iniziative indette a Vienna nel V Anniversario dell'assassinio di Milosevic si veda:
IN THE FIFTH ANNIVERSARY OF MILOSEVIC' ASSASSINATION


Wien 11-12/3: Gegen Siegerjustiz, Völkerrecht verteidigen


1) Protestkundgebung: Freitag, 11. März 2011, 16:30-19:00 Uhr Stephansplatz, Wien
+ Podiumsdiskussion: Samstag, 12. März 2011, 18:00 – 21:00 Uhr, OKAZ Wien

2) Weitere Infos

3) Слободан Милошевић - Борац за мир и слободу


=== 1 ===

Am 11. März 2006 ist Slobodan Milošević unter bis heute ungeklärten Umständen in der ‚Obhut‘ des „Internationalen Tribunals für das ehemalige Jugoslawien“ ums Leben gekommen. Wir nehmen diesen Jahrestag zum Anlaß, die umgehende Abschaffung des ‚Tribunals und die Freilassung aller seiner Gefangenen zu fordern!


Protestkundgebung
NATO-Aggression und Siegerjustiz durch Sondertribunale: Das Völkerrecht verteidigen!
Freitag, 11. März 2011, 16:30-19:00 Uhr Stephansplatz, Wien


Das ‚Tribunal‘ ist illegal, weil es unter Verstoß gegen die UN-Charta geschaffen wurde. Es ist keine Institution des Rechts, sondern ein Instrument der NATO-Kriegspartei: zur Legitimation der Zerschlagung Jugoslawiens und des NATO-Bombenkrieges 1999. Zur Legitimation und Absicherung ihres 2001 herbeigeführten ‚Regime Change‘. Zur permanenten politischen Erpressung und Verewigung der Besetzung des Balkan.

Ad-hoc-Tribunale sind als Sondergerichte ein Widerspruch zum Grundsatz der Rechtsgleichheit und dienen der Zerstörung des Völkerrechts. Dies gilt ebenso für das Sondertribunal zu Ruanda und das in jüngerer Zeit geschaffene Sondertribunal zum Libanon, die dem freien Zugang des Westens zu den Rohstoffen im Kongo bzw. dem Schutz der israelischen Apartheid-Politik dienen.

Um die NATO-Version des Jugoslawienkriegs zu bestätigen, operiert das ‚Tribunal‘ mit falschen Zeugen, erpressten Aussagen und verletzt selbst die grundlegendsten Rechte der Angeklagten. Bis heute sind 16 Serben im Gewahrsam des ‚Tribunals‘ gestorben. Eine unabhängige Untersuchung der Todesumstände von Slobodan Milošević wird bis heute verweigert. Wikileaks enthüllte, daß der Gefängnisdirektor Details über Miloševićs Gesundheitszustand direkt an die US-Regierung geliefert hat. In den letzten Wochen wurde durch den Schweizer Europarats-Abgeordneten Dick Marty bekannt, daß die anti-serbische Aktivität des Tribunals‘ so weit ging, daß es sogar Beweise für den Organraub an Serben durch Kosovo-Albaner vernichtet hat.
Angeklagte, die die Anklagen‘ wie Milošević und aktuell Radovan Karadzić widerlegen, werden weiterhin durch die Medien mundtot gemacht. Der serbische Oppositionspolitiker Vojislav Šešelj ist seit acht Jahren in Haft, aber sein Prozeß‘ hat noch nicht einmal Halbzeit. Milan Martić, Ex-Präsident der Serbischen Republik Krajina, sitzt eine Strafe von 35 Jahren in einem Gefängnis im pathologisch anti-slawischen Estland ab, dessen Sprache er nicht spricht, und dessen Entfernung zu Serbien Besuch von Familie und Freunden fast unmöglich machen. Die Liste der Skandale ließe sich noch lange fortsetzen.
NATO-Aggression und Siegerjustiz durch Sondertribunale: Das Völkerrecht verteidigen!
Protestkundgebung: Freitag, 11. März 2011, 16:30-19:00 Uhr Stephansplatz, Wien
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Podiumsdiskussion: Samstag, 12. März 2011, 18:00 – 21:00 Uhr, Österreichisch-Arabisches Kulturzentrum Wien (OKAZ),
Gusshausstraße 14/3, Wien
U.a. mit: Christopher Black (Kanada), von Mira Marković mit der Aufklärung der Todesumstände von Slobodan Milošević beauftragt; Goran Petronijević (SRB) Anwalt von Radovan Karadzić; Prof. Aldo Bernardini (I) über die Illegalität der ad-hoc-Tribunale; Cathrin Schütz (D) für Miloševićs Verteidigungsteam; Klaus Hartmann (D), Vorsitzender Deutscher Freidenker-Verband, über die Zerstörung des Völkerrechts durch die ad-hoc-Tribunale für Jugoslawien, Ruanda und Libanon; Vladimir Kršljanin (SRB), über die aktuelle soziale und politische Lage im ehemaligen Jugoslawien; June Kelly (IRL), über Dragoslav Milanović (inhaftierter Ex-RTS-Chef, der für NATO-Bomben auf RTS verantwortlich gemacht wird); über die Situation des in Estland inhaftierten Tribunal-Opfers Milan Martić wird dessen enge Vertraute Christina Grbić (NL) sprechen. Angefragt sind weitere Angehörige und Anwälte von Angeklagten in Den Haag. 
ViSdP: Internationales Komitee ‚Slobodan Milošević‘ - Nationale Souveränität – Soziale Gerechtigkeit, c/o Klaus Hartmann, Schillstraße 7, D-63067 Offenbach am Main

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Da: peter_betscher

Oggetto: Auf nach Wien - das Völkerrecht verteidigen!

Data: 20 febbraio 2011 21.41.26 GMT+01.00


Liebe Leute,

 

wir freuen uns, Euch nun nähere Informationen über die Protestaktionen zum 5. Todestag von Slobodan Milosevic am 11. und 12. März 2011 in Wien mitteilen zu können. (...)

 

Die meisten Angehörigen und einige Anwälte von Angeklagten können sich die Reisekosten und die Unterbringung in Wien nicht leisten. Daher die Frage, wer uns helfen kann, in Wien private Unterbringung stellen kann oder jemanden kennt, den man diesbezüglich ansprechen könnte? Für Hinweise und auch Reisekostenspenden sind wir sehr dankbar!

 

Fast vollkommen unbemerkt von der Öffentlichkeit wurden zwei weitere Skandale um das „Tribunal“ bekannt:

 

Wie Wikileaks entlarvte, hat der Gefängnisdirektor des Tribunalgefägnisses in Scheveningen, Timothy McFadden, Informationen aus abgehörten Telefongesprächen von Slobodan Milosevic, private Äußerungen und Angaben über dessen Gesundheitszustand an die US-Regierung weitergegeben. Näheres im Interview mit Christopher Black aus der jungen Welt vom 11.02.2011 im Anhang [ http://it.groups.yahoo.com/group/icdsm-italia/message/281 ].

 

Außerdem hat der Abgeordnete des Europarates Dick Marty das ICTY direkt beschuldigt, Beweise für die Vertstrickung der UCK in den kriminellen Organhandel vernichtet zu haben.

 

Weiterverbreitung wie immer erwünscht!

 

Auf nach Wien – das Völkerrecht verteidigen!

 

Mit solidarischen Grüßen

 

Peter Betscher 
Vereinigung für Internationale
Solidariät (VIS) e.V.
www.free-slobo.de

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Da: peter_betscher

Oggetto: Auf nach Wien - das Völkerrecht verteidigen!

Data: 01 marzo 2011 22.52.40 GMT+01.00


Liebe Leute,

im Anhang [ https://www.cnj.it/MILOS/ICDSM/AufnachWien.pdf ] findet Ihr den Aufruf für die Veranstaltungen zum Thema "NATO-Aggression und Siegerjustiz: das Völkerrecht verteidigen!" in Wien. Die Protestkundgebung am Freitag, den 11.März 2011 findet ab 16:30 Uhr auf dem Stephansplatz statt. Die Podiumsdiskussion beginnt am Samstag, den 12. März 2011 um 18:00 Uhr im Österreichisch-ArabischenKulturzentrum (OKAZ) in der Gusshausstrasse 14/3 in Wien (erreichbar mit U1,U2, U4 – Station Karlsplatz). Der Aufruf enthält die Rednerliste mit Stand vom 1. März 2011. Da wir weitere Referentenanfragen laufen haben, werden wir sie nochmals aktualisiert senden.
Wir bitten euch herzlich um Weiterverbreitung des Aufrufs über das Internet.
 
Für alle, die nach Wien reisen:
Transparente und Plakate sind in Wien sehr willkommen.
Für alle, die bereits am Vortag ankommen, haben wir einen Treffpunkt am 10. März 2011 eingerichtet. Zwischen 17:00 und 19:00 Uhr treffen wir uns im Lokal der Kommunistischen Initiative (KI): Wien 16. Bezirk, Rankgasse2/5. Der Eingang befindet sich an der Ecke Rankgasse/ Huttengasse (Erreichbar mit der U-Bahn Linie 3, Endstation Ottakring, Hinterer Ausgang, rechts, Richtung S-Bahn/ Autobus 48A.) 
Für schnell Entschlossene gibt es noch einige private Unterkünfte.

ALSO LOS: AUF NACH WIEN!
WIR FORDERN DIE SOFORTIGE SCHLIESSUNG DER SONDERTRIBUNALE!

Wer nicht nach Wien kommen kann, hat die Möglichkeit, an der Mahnwache für Slobodan Milosevic am 7. März 2011 um 18:00 Uhr in Berlin am Alexanderplatz (vor dem Kaufhauseingang) der Mütter gegen den Krieg Berlin-Brandenburg teilzunehmen. Transparente und Plakate sind auch dafür erwünscht. 

Mit solidarischen Grüßen 

Peter Betscher 
Vereinigung für Internationale
Solidariät (VIS) e.V.
www.free-slobo.de

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Spenden erbeten an:
Vereinigung für Internationale
Solidarität (VIS) e.V.
Sparkasse KölnBonn
Kto: 1929920104 
BLZ: 370 501 98
Kennwort: Aufklärung 

Für Spender aus EU-Mitgliedsländern:
BIC(SWIFT): COLSDE33
IBAN: DE743705019819299201 04 


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Слободан Милошевић - Борац за мир и слободу

26. 02. 2011,


Драгомир Вучићевић:

Поводом пете годишњице срмти Слободана Милошевића у Хашком затвору.


Није реч о „теорији завере“ већ о реалној америчкој политици према Србији!


На дан 11. марта навршава се пет година од када је Слободан Милошевић, бивши председник Србије,  Југославије и Социјалистичке партије Србије, силом испоручен Хашком трибуналу. Тим актом је, с једне стране,  грубо прекршен  Устав СР Југославије, који је изричито забрањивао испоручивање наших грађана и, с друге стране,  гаранције које су  Слободану Милошевићу дали у, писаној форми, тадашњи највиши државни званичници Југославије и Србије о томе да ће му (како је наведено у документу): ’’... због основане сумње да је починио кривично дело...'',  бити суђено у земљи, а не, дакле,пред неким судом  у иностранству.  Настављајући своју херојску борбу и у  тамници Хашког трибунала, у којој је провео непуних пет година, Слободан Милошевић је исписао најчасније и најхрабрије странице историје Србије и српског народа. Одбијајући неосноване  оптужбе, ни једног тренутка није бранио себе, већ је бранио и одбранио Србију и српски народ,  коме је приписана колективна кривица за сва зла почињена током грађанских ратова у Хрватској и БиХ, као и током терористичко-сепаратистичке побуне на Косову и Метохији. Његови тлачитељи то нису могли опростити.  Тактика исцрпљивања тонама материјала које је требало да проучи и ускраћивањем адекватног лечења, лишен је људског права на здравље и живот. Одговорни за његову отмицу док је био под судском надлежношћу у Србији и за смрт у Хашком трибуналу, остаће трајно предмет  осуде  српског народа и свих слободоумних људи у Европи и свету. Отмица у Београду, предаја и смрт Слободана Милошевића у Хагу, трајно ће сведочити о карактеру, унутрашњем бићу једне власти и једног система међународних односа, који се ките атрибутима демократије и владавине права. 
Из богатог државничког опуса Слободана Милошевића подсетићемо, овом приликом, на његово активно и упорно ангажовање за постизање мирољубивог, демократског и праведног решења југословенске кризе. Он се, у почетку, залагао за очување демократске Југославије, као реформисане федерације равноправних република и народа. Када је постало јасно да се не може очувати ранија заједничка држава, Слободан Милошевић је активно настојао да се СФР Југославија раздружи праведно, мирно, без ратова и насиља, инсистирајући на спречавању избијања ратних сукоба.  Као припадник профресионалне дипломатске службе, аутор ових редова је имао част и задовољство да тих деведесетих година прошлог века  буде сведок, а, повремено, и његов сарадник у многим значајним активностима на том плану.

Као Председник Србије није могао, нити је хтео да српски народ у Хрватској и Босни и Херцеговини, где је, због налета национализма, био најугроженији, препусти прогону и уништавању, већ  га је подржавао и помагао да се одупре насиљу и одржи на својим вековним огњиштима. Сматрао је, међутим, да је највећа помоћ том народу, као и свим другим народима тадашње Југославије,  управо залагање за окончање ратних сукоба и мирољубиво решавање кризе.   У свим контактима са представницима међународне заједнице и у свим јавним иступањима инсистирао је на томе да се сви аспекти југословенске кризе  решавају на миран, легалан и демократски начин, уз подједнако уважавање легитимних права и интереса свих конститутивних народа. 
Једна од оптужби против Слободана Милошевића односила се на, наводну,  његову тежњу за стварање некакве ''Велике Србије''. Радило се о оптужби која је служила као  параван да би се лакше спровели планови о разбијању Југославије и прикрила одговорност унутрашњих и спољних актера за то. Ни Слободан Милошевић, нити било који од српских лидера тог времена, није никада, ни било где заговарао стварање ''Велике Србије'', већ  се искључиво залагао за заштиту српског народа  у Хрватској и Босни и Херцеговини, где је био најугроженији.. 
Прва мировна иницијатива Европске Заједнице (назив  - Европска Унија је ушао у употребу 1. новембра 1993. Године), од 27. августа 1991. године, којом је предложено упућивање међународних посматрача у Хрватску и сазивање мировне конференције  о Југославији, добила је одмах пуну подршку Слободана Милошевића и Владе Србије. У његовом разговору са француским председником Франсоа Митераном у Паризу, 29. августа 1991. године, постигнута је пуна сагласност о томе да се југословенска криза решава на миран и демократски начин. Влада Србије је то потврдила званичним саопштењем од 30. августа исте године. Француска Влада, као и Влада Холандије, у својству председвајућег Европске Заједнице, су, у званичној изјави од 31. августа 1991. године, изразиле задовољство и поздравиле такав став Слободана Милошевића и Владе Србије. 
Учествујући на отварању Међународне конференције о Југославији у Хагу, 7. септембра 1991. године, Слободан Милошевић је, поред осталог, рекао: ''Југословенска криза је произведена једностраном сецесионистичком политиком Словеније,  а затим Хрватске, чиме је нарушен легални уставни поредак Југославије. Србија очекује од Мировне конференције да установи и афирмише принципе на основу којих би се криза у Југославији решавала  на миран, демократски и легалан начин''. Дао је пуну подршку Закључцима усвојеним на тој Конференцији. У њима је недвосмислено речено да неће бити признавања независности југословенских република пре успешног завршетка рада Конференције. Међутим, убрзо су ти принципи, преурањеним признавањем Словеније и Хрватске (13. јануара 1992. године), а касније и Босне и Херцеговине (6. априла 1992.), грубо прекршени од стране Европске Заједнице и других западних земаља, што је допринело продубљивању југословенске кризе и, посебно, избијању и распламсавању грађанских ратова у Хрватској и Босни и Херцеговини. Остаће упамћена посебна улога тадашње владе СР Немачке и посебно њеног министра за иностране послове H. D. Геншера, који је на писани апел Генералног секретара УН Савету ЕЗ да се не иде са преурањеним признавањем одцепљења Словеније и Хрватске, јер би то могло имати трагичне последице, осорно одговорио са конференције за штампу – „Немачка је то већ урадила“ (и, заиста, одлуку о признавању Словеније и Хрватске је донела 23. децембра 1991.).
Треба потсетити и на то да је Слободан Милошевић, чврсто опредељен за мирољубиво решавање кризе, такође, дао пуну подршку и мисији  Сајруса Венса, специјалног изасланика Генералног секретара Уједињених нација за Југославију и то од самог њеног почетка. То је потврдио и у разговору са Сајрусом Венсом, 31. децембра 1991. године у Београду, када је подржао мировни план УН, којим је предвиђено упућивање  ''Плавих шлемова'' у Хрватску и на њене границе са БиХ. Слободан Милошевић је подржао тај план и поред противљења руководства Српске Крајине у Хрватској.
Управо захваљујући залагању Слободана Милошевића, у Сарајеву је 17. и 18. марта 1992. године, одржана  седница Конференције о БиХ, која је отворила наду да ће мир победити. Тада су лидери три националне партије – Алија Изетбеговић (СДА), Радован Караџић (СДС) и Мате Бобан (ХДЗ), потписали Изјаву о принципима уставног уређења БиХ, а на основу раније предложеног  плана познатог португалског дипломате – Жозеа Кутиљера, посредника Европске Уније, који је снажно подржао и Слободан Милошевић. Тај план је претходно начелно прихваћен од лидера све три зараћене стране у БиХ на првој пленарној седници Конференције о БиХ, одржане  у Лисабону 21. и 22. фебруара 1992. године. Према том плану, Босна и Херцеговина  би остала у постојећим границама као јединствена и независна држава, али подељена на три конститутивна дела, сходно етничком саставу, док би Сарајево имало екстериторијални карактер. 
Кутиљеров план је требало да буде потписан на Конференцији у Лисабону, која је почела са радом 21. маја 1992. године. Међутим, Алија Изетбеговић је избегавао да, и поред претходно дате сагласности,  план потпише, тражећи повод да одбије план и напусти Конференцију. Та прилика му се указала када је у Сарајеву, 27. маја, у улици Васе Мишкин, дошло до снажне експлозије, у којој је погинуло 16 особа и 140 рањено, а одговорност за то приписана српској страни, без икаквих доказа. У ствари, Алија Изетбеговић је за такав поступак, поред осталог,  имао подршку САД које су  од почетка кризе у БиХ подржавале унитарну Босну, под доминацијом Муслимана. О томе говори и познати чланак ''Њујорк Тајмса'', од 23. августа 1992. године, у коме се изричито наводи да се тадашњи амбасадор САД у Београду, Ворен Цимерман, састао у Сарајеву са Алијом Изетбеговићем, одмах после његовог начелног прихватања Кутиљеровог плана. Алија Изетбеговић му је том приликом рекао да је план прихавтио под притиском ЕЗ, Срба и Хрвата. ''Рекао ми је, каже Цимерман (наводи лист), да му се такво решење не допада''. Одговорио сам му: ''Ако Вам се не допада, зашто га прихватате''. 
Поступак Алије Изетбеговића наишао је на велико разочарење Слободана Милошевића, Владе Србије и Владе Југославије. Одбијањем Кутиљеровог плана, он се определио за грађански рат који се постајао све интензивнији, са трагичним последицама за сва три народа у БиХ. 
Као хуманиста и предани борац за мир, Слободан Милошевић је енергично осуђивао све видове невиног страдања људи у БиХ и Хрватској, а, посебно, етничко чишћење. У разговору са лордом Карингтоном у Стразбуру, 25. јуна 1992. године, снажно се заложио за безусловни прекид  ратних сукоба у БиХ и за наставак Конференције, која је била у застоју. Том прилуиком је више пута поновио да ''... снажно осуђује бомбардовање Сарајева, које је изван сваке ниормалне логике''. Касније, на завршетку рада Конференције о Југославији у Лондону, 26.-27. августа 1992. године, у јавној изјави је рекао: „ Етничко чишћење ми у Србији сматрамо криминалним актом. Званично смо ставили до знања и врло јасно нагласили да тако нешто не сме да се дешава. Сви они који тако нешто раде морају да буду кривично одговорни“. 
Поред неуспеха са планом Кутиљера, Слободан Милошевић је наставио са својим напорима да Конференција о БиХ настави са радом. Од почетка је подржавао мировне напоре међународних посредника Сајруса Венса и Дејвида Овена и њихов план о успостављању мира у БиХ.  Тај план је, на мировним преговорима који су уследили, неколико пута мењан и дорађиван и када је изгледало да ће бити прихватљив за све стране у БиХ, он је био одбациван,   пре свега, због оријентације муслиманске стране  на наставак рата, у чему је имала и нескривену подршку САД.  
У настојању да се обнове мировни напори у  БиХ, Слободан Милошевић је подржао инисијативу премијера Грчке Константина Мицотакиса о томе да се преговори наставе у Атини 1. и 2. априла 1993. године. На Конференцији су учествовали лидери све три зараћене стране у БиХ, затим, председник СРЈ Добрица Ћосић, председник Србије Слободан Милошевић, председник Владе СРЈ Момир Булатовић  и копредседници Конференције Сајрус Венс и Дејвид Оврен, као и Венсов наследник Торвалд Столтенберг. После дугих и напорних преговора, и великог ангажовања Слободана Милошевића и других чланова југословенске делегације,  све три стране у БиХ су прихватиле нешто модификован ранији Венс – Овенов план, уз услов да га накнадно прихвати и Скупштина Републике Српске. Нажалост, неколико дана касније, Скупштина Републике Српске је, и поред личног присуства и  упорног залагања Слободана Милошевића, одбила да прихвати план. Тај чин је Влада Републике Србије, на иницијативу Слободана Милошевића, оценила као неодговоран акт. 
У даљем наставку мировних напора, дошло је и до неуспеха са Планом Контакт групе, од 6. јула 1994. године, који је, и поред снажне подршке Слободана Милошевића и Владе Србије,  одбацила Република Српска. У новонасталој ситуацији, а на иницијативу Слободана Милошевића, у Београду је, 29. августа 1995. године,  одржан састанак са представницима Републике Српске. На том састанку је  постигнута  сагласност о стратегији будућих преговора о БиХ, у циљу окончања грађамског рата и постизања мира. Договорено је формирање јединствене делегације на челу са Слободаном Милошевићем, која је овлашћена да у име Републике Српске преговара и потпише мировни план. То је коначно отворило пут за припрему и организовање преговора у Дејтону  (САД), од 1. до 20. новембра 1995. године, када је закључен свеобухватан Споразум о миру у Босни и Херцеговоини. Споразум је усаглашен у Дејтону, а свечано потписан у Паризу, 14. децембра 1995. године, од стране: председника СРЈ Слободана Милошевића, БиХ Алије Изетбеговића и Хрватске Фрање Туђмана, затим председника САД Била Клинтона, Француске Жака Ширака, прмијера Велике Британије Џона Мејџера, канцелара Немачке Хелмута Кола и премијера Русије Виктора Черномирдина. 
Кључни, ако не и одлучујући допринос  постизању Дејтонског споразума и окончању грађанског рата у БиХ, имао је управо председник Србије Слободан Милошевић, који је за то добио и многа јавна признања од угледних светских личности. Да наведемо само оцену копредседника  Конференције о Југославији, Толварда Столтенберга, који је, у изјави од 12. децембра 1995. године у Ослу, рекао ''... да је Слободан Милошевић одиграо кључну улогу у мировном процесу у бившој Југославији''. Србија је један од гараната Дејтонског споразума који обезбеђује равноправност три конститутивна народа и два ентитета – Републике Српске и Федерације БиХ. Уставно решење за БиХ, које почива на консенсусу, и стварање Републике Српске не би били могући без улоге и доприноса Слободана Милошевића.
Потписивањем Дејтонско-париског споразума о миру у БиХ и његовом ратификацијом од стране Савета безбедности УН, укинуте су санкције УН према СР Југославији, која је  је од 1996. до 1999. (агресија НАТО), имала највишу стопу привредног раста на Балкану (6-8%).
После закључивања Дејтонског споразума, Слободан Милошевић се активно залагао за пуну нормализацију односа са новоствореним државама на простору бивше Југославије, што је био један од приоритета Владе Србије, Савезне Владе СРЈ и  југословенске дипломатије. Приступ том изузетно важном питању био је дефинисан још у Уставној Декларацији СР Југославије, од 27. априла 1992. године. У њој је изражена спремност СР Југославије за пуно уважавање права и интереса новонасталих држава на простору некадашње СФР Југославије и подвучено да СР Југославија нема никаквих територијалних претензија ни према коме у свом окружењу. 
Први корак на том плану, Влада СРЈ је учинила одлуком о признавању Словеније, 13. августа 1992. године. Словенија се, међутим, некоректно понела према том гесту добре воље, па је на тај корак Владе СРЈ одговорила тек  13. октобра 1995. Када је у питању нормализација односа са Македонијом и Хрватском, лични допринос председника Милошевића био је евидентан. Његов састанак у Београду, 19. фебруара 1996. године, са Благојем Филиповићем, потпредседником македонског Парламента, искоришћен је за усаглашавање неких битних ставова о нормализацији југословенско – македонских односа, тако да је,  после успешних разговора на експертскомм нивоу, споразум свечано потписан у Београду, 8. априла 1996. Преговори са Хрватском су, из разумљивих разлога, били сложенији, али се  у тренутку одређеног застоја, у тај процес укључио и Слободан Милошевић. Он је прихватио иницијативу грчког премијера Костаса Симитиса за састанак са Фрањом Туђманом у Атини, 7. августа 1996. године. У току тих разговора договорени су основни принципи  нормализације југословенско – хрватских односа, што је омогућило да се Споразум убрзо усагласи од стране експерата и  свечано потпише у Београду, 26. августа 1996. године. 
Када је у питању БиХ, одлучујући корак на том плану је учињен закључивањем Дејтонскогт споразума. Након тога су предузети кораци и на плану формалне нормализације односа, уз лично ангажовање и Слободана Милошевића. Он је, заједно са Алијом Изетбеговићем и уз посредеовање француског председника Жака Ширака,  потписао у Паризу, 3. октобра 1996., Заједничку Изјаву о нормализацији односа између СРЈ и БиХ. После потписивања те Изјаве, покренути су експертски преговори, али до споразума о успостављању дипломатских односа није дошло, јер је босанска страна ретерирала у односу на неке значајне одредбе Париске Изјаве. У питању је била одредба о томе да ће се две стране ”... у билатералним и међународним односима уздржавати од политичких и правних аката који не доприносе развијању пријатељских односа и сарадње“. У тој одредби је садржана  сагласност и спремност обе стране да се истовремено повуку тужба Муслиманско-Хрватске федерације против СРЈ и противтужба СРЈ, које су раније поднете Међународном суду правде у Хагу. Али и поред одсуства формалног споразума, односи са БиХ су се нормално одвијали на принципима Париске Изјаве, док је са Републиком Српском, на бази Дејтонског споразума, закључен Споразум о паралелним специјалним односима. 
Један од приоритета југословенске дипломатије после закључивања Дејтонског споразума био је обнова мултилатералне сарадње на простору Југоисточне Европе, за шта се посебно залагао Слободан Милошевић, у чијем јачању је видео важан фактор за стабилизацију мировног процеса и укупних прилика на простору бивше Југославије. После спроведених припрема почетком 1996. године, установљена је пракса редовног одржавња састанака министара иностраних послова земаља Југоисточне Европе. Након два ткава сатанка (у Софији, јула 1996. и Солуну, јуна 1997.), одржан је самит земаља Југоисточне Европе 3. и 4. новембра 1997. године, на острву Криту (Грчка). Делегацију СР Југославије предводио је Слободан Милошевић, председник СРЈ. Говорећи на том скупу о односима на Балкану, Слободан Милошевић је, поред осталог, рекао: ''Развој регионалне сарадње видим у функцији очувања и заштите мира и превазилажења узрока који изазивају поделе и конфронтације...Перспективе за регионалну сарадњу су данас веома повољне...Угашено је ратно жариште у региону и створени темељи садашњег и будућег мира који представља предуслов не само регионалне, већ и европске стабилности и сарадње. СР Југославија је дала одлучујући допринос на том плану, активно ради на очувању  и јачању мировног процеса''. 
Посебан значај имао је сусрет разговор Слободана Милошевића и премијера Албаније Фатоса Наноа на Криту. Значај тог сусрета произилази из чињенице да је то био први сусрет на том нивоу после педесет година.  Иницијативу за билатерални сусрет дао је Слободан Милошевић, са жељом да се, после много година стагнације и отсуства сарадње између две земље, ти односи деблокирају и нормализују. Главни резултат тих разговора био је да се између две земље успоставе пуни дипломатски односи, приступи размени амбасадора и отворе сви путеви за међусобну сарадњу, посебно економску �

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GIACOMO SCOTTI PRESENTA "A TE MIA DOLORES" (audio MP3)

Alla pagina:
http://www.radiondadurto.org/2011/01/26/le-vicende-del-confine-orientale-italiano-tra-mito-e-uso-politico-della-storia/

dopo le registrazioni di una interessante conferenza di Sandi Volk,
si accede anche alle registrazioni della iniziativa di presentazione del libro A TE MIA DOLORES tenuta a Brescia il 13 gennaio 2011, con Giacomo Scotti (https://www.cnj.it/INIZIATIVE/iniziative.htm#brescia130111 ):

prima parte: http://www.radiondadurto.org/wp-content/uploads/audio/intervento-scotti-1.mp3
seconda parte e discussione: http://www.radiondadurto.org/wp-content/uploads/audio/intervento-scotti-2.mp3

BIANCA BRACCI TORSI PRESENTA " A TE MIA DOLORES" (video)

Alla pagina:

Le Letture resistenti di marx21: "A te, mia Dolores. Nella tempesta della guerra col fucile e lo stetoscopio"

Bianca Bracci Torsi, della Direzione nazionale del PRC, ci parla del libro "A te, mia Dolores. Nella tempesta della guerra con il fucile e lo stetoscopio" di Saša Božovic (a cura di Giacomo Scotti, ed. ODRADEK): un diario-racconto dall'aprile 1941 all'estate 1945 di una donna che ha avuto il coraggio di diventare una partigiana, combattendo al fianco dei comunisti jugoslavi, dalle piazze di Belgrado alle montagne del Montenegro, della Lika, della Bosnia e dell'Erzegovina. 

(anche sulla home page di http://www.marx21.it/ )


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Il libro si riceve contrassegno richiedendolo direttamente a CNJ-onlus. C'è la possibilità di riduzioni sul prezzo di copertina a seconda del quantitativo richiesto: per accordi rivolgersi al nostro indirizzo email jugocoord @ tiscali.it . 

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Saša Božović

A TE, MIA DOLORES
Nella tempesta della guerra col fucile e lo stetoscopio

Traduzione, adattamento e note di Giacomo Scotti

Roma: Odradek, 2010
ISBN 978-88-96487-07-5

La Resistenza jugoslava fu il più deciso e concentrato movimento di liberazione nazionale in Europa. Dallo sfacelo della frantumazione della prima Jugoslavia il paese fu salvato da una lotta epica di uomini e donne, combattenti della Resistenza contro Fascismo e Nazismo, che ricostruirono il paese, lo riunificarono, intrapresero l’opera di affratellamento dei suoi popoli. Questo libro, forse unico nella letteratura europea, scritto da una protagonista d’eccezione quale fu la dottoressa Saša Božović testimonia tutto ciò attraverso il suo diario-racconto che va dall’aprile 1941 all’estate 1945 e che ci porta dalle piazze di Belgrado alle aspre montagne del Montenegro e della Bosnia. Non si raccontano le battaglie, queste sono sullo sfondo, in primo piano la lotta quotidiana di chi si occupava dei feriti e della popolazione. Dedicato alla figlia, nata nell'ospedale del carcere di Tirana nel novembre 1941 e morta nel marzo del 1943, A te, mia Dolores nel 1980 ottenne l’ambito premio nazionale “4. jul”, e fu proclamato dalla Biblioteca nazionale della Serbia il libro più letto dell’anno. Dall'opera memorialistico-letteraria di Saša Božović è stato tratto un film, realizzato nel 1980 per la regia di Arsa Milošević, e un testo teatrale. (dall'ultima di copertina)


La scheda del libro è anche sul sito della casa editrice: http://www.odradek.it/Schedelibri/Bozovic.html



ALL TOGETHER AS SERVANTS?


Xinhua News Agency - February 24, 2011

Common Yugoslav army "reunited" in Afghanistan  

BELGRADE: After having torn apart their common former homeland during the bloody wars of secession during the 1990s, the armies of the former republics of Yugoslavia -- at least most of them -- are being united again as part of an international peacekeeping unit, reported Radio Sarajevo on Thursday.
Meeting in the Montenegrin capital of Podgorica, military experts from the U.S.-Adriatic Charter discussed the prospect of soldiers from Croatia, Macedonia, Montenegro, Bosnia and Herzegovina and Slovenia, along with Albania, forming a joint unit of NATO's International Security Assistance Force (ISAF) in Afghanistan. The unit's tentative name is "Balkan," which was reportedly first proposed by the U.S. military.
During previous meetings among the ministries of defense and foreign affairs of these countries, the option of sending a joint regional team of trainers and advisors for the training of the Afghan army had been approved.
Deputy Chief of General Staff of the Croatian Armed Forces, Rear Admiral Zdenko Simicic, said the initiative is based on regional cooperation among Western Balkan member states.
"We expect the training school for Afghan military police to be in full operational use in two years," said Simicic.

(Source: 
http://news.xinhuanet.com/english2010/world/2011-02/25/c_13748589.htm
through the Stop NATO e-mail list: http://groups.yahoo.com/group/stopnato/messages )





Romania, Iraq, Kosovo... Libia: nelle fosse comuni si seppellisce la verità

Marco Santopadre, Radio Città Aperta


25-02-2011/12:22 --- Di che paese si parla nelle citazioni tratte da due importanti quotidiani italiani?
“...Ieri sono arrivate altre conferme delle manifestazioni che sabato e domenica hanno sconvolto le città di * e * che sarebbero state represse nel sangue dalla polizia con l'appoggio dell'esercito”  (Corriere della sera **/**/****) e ancora “...Fonti dell'opposizione interna parlano di scontri violentissimi e di 300 morti...” (La Repubblica). 
Semplice, risponderete voi. Della Libia! Negli ultimi giorni notizie di stragi, di bombardamenti aerei sui manifestanti e sui civili inermi, di possibile uso delle armi chimiche contro la popolazione che si oppone al regime di Gheddafi, di stragi di medici e di feriti negli ospedali, di colonne di migliaia di profughi in fuga dai combattimenti e dagli eccidi bombardano le opinioni pubbliche occidentali e, quindi, anche italiana. 
Torniamo alle citazioni di cui sopra: non si riferiscono a quanto sta accadendo in Libia, bensì a quanto stava – secondo i media internazionali – accadendo a Timisoara e ad Arad ai tempi delle rivolte contro Ceaucescu, nel 1989. L’episodio che più impatto ebbe sull’opinione pubblica italiana e occidentale fu il ‘massacro di Timisoara’ del Natale del 1989. Per giorni si parlò di un vero e proprio eccidio costato la migliaia di civili inermi, passati per le armi dalle truci milizie del regime nella città romena, e le immagini di ‘migliaia’ di cadaveri sepolti in una ‘fossa comune’ fecero più volte il giro del mondo diventando il simbolo di quanto accadeva in uno dei paesi dell’Europa orientale che si stava liberando dall’odiato comunismo di stampo sovietico. Ad un certo punto comparve anche un filmato che mostrava i primi corpi riesumati con evidenti tracce di “torture spaventose”; i cadaveri avevano in comune un taglio malamente ricucito che andava dal collo all'inguine...
Il presunto eccidio del Natale del 1989 a Timisoara, ‘incontrovertibilmente vero’ in quanto raccontato dalle tv e dai giornali di tutto il mondo con ‘testimonianze particolareggiate’ ed immagini a profusione, in poche settimane venne smascherato e divenne una delle bufale più inquietanti nella storia del giornalismo. I cadaveri ritratti erano solo 13 ed erano morti di morte naturale. I segni delle torture erano in realtà conseguenza delle autopsie praticate da un medico legale. Niente stragi, niente fosse comuni. Il 24 gennaio del 1990 una tv tedesca e la France Press denunciarono la messa in scena: “Tre medici di Timisoara hanno affermato che i corpi di persone decedute in modo naturale sono stati prelevati dall'istituto medico legale e dall'ospedale per essere esposti alle telecamere come vittime della Securitate”.
Ma l’industria internazionale delle bufale non si diede per vinta, avendo sperimentato la facilità con cui qualche agenzia di stampa e qualche fotoreporter possono di punto in bianco, in assenza di prove e di conferme incrociate, creare un caso e mobilitare le opinioni pubbliche. E quindi fornire ai governi e agli Stati Maggiori di Washington e dell’Unione Europea il là per potersi imbarcare in bombardamenti umanitari, invasioni preventive, occupazioni democratiche. Paradossalmente la censura, la verve propagandistica parca di notizie e il dilettantismo tipici dei media del paese preso di mira dalla ‘disinformatia’ contribuiscono a concedere credibilità alle esagerazioni e alle invenzioni prodotte con maestria professionale dall’industria internazionale della menzogna.
Scrive Federico Povoleri in un pezzo dedicato ai meccanismi della disinformazione:“Le cose da considerare in questa storia sono allo stesso tempo importanti e quasi incredibili: 1) La capacità di raggiungere in pieno un obiettivo di disinformazione a livello internazionale 2) L'accettazione acritica da parte dell'opinione pubblica di notizie che mancavano di fonti certe e attendibili 3) L'incredibile capacità di penetrazione della notizia che crebbe a dismisura attraverso leggende e false notizie di supporto 4) La dimostrazione di quanto un'informazione manipolata possa trasformare o addirittura costruire la realtà.”
Il modello, sperimentato con successo in Romania, venne infatti utilizzato di nuovo, ed in grande stile, per altri quadranti del globo dove la sete di petrolio e di territori da conquistare imponevano sanzioni prima e interventi militari poi. 
Vi ricordate le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, con i giornali che svelavano una compravendita di materiale radioattivo con un piccolo e sconosciuto paese africano mai avvenuta? Giornalisti affermati affermavano che nel Kuwait occupato i soldati iracheni al servizio di Saddam Hussein uccidevano i neonati nelle incubatrici…
Prima ancora la fabbriche delle menzogne aveva funzionato egregiamente per giustificare i bombardamenti sulla Serbia e l’invasione della provincia del Kosovo. Si cominciarono a descrivere con dovizia di particolari le esecuzioni sommarie, le colonne di profughi bombardati dai caccia (questo avveniva davvero, solo che i caccia erano quelli della NATO decollati dalle basi militari italiane...), gli stupri di massa contro le donne kosovare, i villaggi distrutti. Siccome le opinioni pubbliche si dimostravano ancora troppo tiepide nei confronti di un intervento militare di terra, si cominciò a parlare di milioni di profughi in pericolo di vita, di eccidi indiscriminati, di pulizia etnica. A invasione conclusa le squadre forensi della FBI e della Polizia spagnola, inviate in Kosovo a caccia delle fosse comuni dove sarebbero stati sepolti decine di migliaia di civili kosovari, non ne trovarono, ma si imbatterono nei campi di prigionia e nelle sale della tortura allestite dai ‘liberatori’ dell’UCK, riconvertitisi nel frattempo nei nuovi padroni della provincia sottratta a Belgrado. (Vi consigliamo la lettura dell’articolo ‘La bufala delle fosse comuni in Kosovo. Assordante silenzio degli invasori ‘umanitari’ del Kosovo’ di John Pilger).
A quanto pare le smentite e le prove della manipolazione delle opinioni pubbliche da parte dell’industria della guerra non sono servite a molto. Oggi, di fronte a ciò che accade a Tripoli, il meccanismo all’opera è sempre lo stesso e le opinioni pubbliche - soprattutto quelle più sensibili alle tematiche umanitarie e orientate a ‘sinistra’ - sembrano accettare le varie ‘informazioni’ riportate dai media senza porsi particolari domande sulla loro veridicità. Che la maggior parte di queste siano precedute dal ‘sembra che…’, ‘si dice che...’, testimoni che vogliono rimanere anonimi affermano che…’ poco importa. Il meccanismo emotivo prende il sopravvento e rende alle cancellerie occidentali molto facile giustificare operazioni militari presentate come finalizzate a proteggere le popolazioni mentre in realtà mirano ad intervenire in territori dalle quali gli interessi dell’imperialismo erano stati esclusi od in parte limitati.
Paradossalmente sono spesso ingenue (o a volte prezzolate) Ong e associazioni di massa a pressare i governi affinché intervengano il prima possibile con sanzioni o interventi militari contro i regimi responsabili degli eccidi. 
Nel caso della Libia milizie armate fino ai denti e ben organizzate vengono descritte come ‘manifestanti inermi’; non ci sono colonne di centinaia di migliaia di profughi che tentano di fuggire verso i paesi confinanti eppure la notizia continua a rimbalzare sui media italiani ed esteri; le cifre dei morti – che evidentemente comprende anche quelli di parte governativa – crescono iperbolicamente senza che se ne abbia nessuna conferma, e per giustificare che le strade non sono lastricate di cadaveri come detto nei giorni scorsi da alcuni ‘testimoni oculari’ via facebook o via twitter alcuni quotidiani hanno affermato oggi che i mercenari avrebbero scaricato i morti nel deserto gettandoli dagli aerei… Ma le prime crepe nel meccanismo della produzione di massa delle bufale di guerra cominciano ad aprirsi. E non solo sui media alternativi o più critici nei confronti del meccanismo dominante.
Oggi Il Manifesto riporta questa notizia: “Su nostra sollecitazione si è avuta la smentita ufficiale della Corte Penale Internazionale che il signor Sayed Al Shanuka o El-Hadi Shallouf non figurano né come impiegati né come responsabili di organi della Corte Penale Internazionale. Si tratta di un gravissimo episodio di disinformazione poiché da tali individui era stata fatta arrivare tramite la Tv Al Arabiya la notizia di 10 mila morti e di 50 mila feriti”. La denuncia, incredibilmente, arriva da alcuni esponenti del Partito Radicale, in prima fila nel chiedere un intervento deciso dell’Europa contro Gheddafi… Possibile che nessuno a Rainews 24, che ha dato per due giorni in tutti i suoi notiziari questa cifra sulla vittime, si sia preoccupato di verificarne la veridicità? Possibilissimo…
Anche sui tanto sbandierati bombardamenti aerei sui civili nei quartieri di Tripoli e Bengasi, più volte smentiti dagli italiani arrivati in Italia dalla Libia in questi giorni e da numerosi testimoni - questa volta forniti di nome e cognome - qualche dubbio ce lo ha anche il corrispondente de La Repubblica. Inoltre sul quotidiano in edicola oggi scrive l’inviato a Tripoli Salvatore Nigro : “Un libico (...) guardando le foto delle fosse in cui sono state sepolte alcune delle vittime dice: “Non è una fossa comune, è uno dei cimiteri di Tripoli vicino al mare, si vedono anche le sepolture più vecchie sullo sfondo”. Ma ormai è chiaro: nella guerra contro Gheddafi ci sono delle notizie diffuse senza controllo, rilanciate e trasformate in fatti veri”...
Dicendo questo non vogliamo assolutamente negare la gravità di quello che sta accadendo a Tripoli: in Libia sono in atto cruenti combattimenti tra due fazioni delle classi dirigenti all’interno di un sistema tribale che la rivoluzione di Gheddafi, degradatasi da anni in dittatura personale e famigliare, non è riuscita a scalzare. Come accade spesso nelle zone di guerra i civili sono i primi a fare le spese della violenza. Il problema è non lavorare, come si dice in questi casi, per il ‘re di Prussia’, avallando un intervento militare e neocoloniale contro il popolo libico - mascherato da operazione umanitaria -che rappresenta esattamente il contrario rispetto a quelle aspirazioni alla libertà, alla democrazia e alla giustizia sociale che stanno animando le rivolte dei popoli e dei lavoratori in tutto il Maghreb e nella penisola arabica.

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LINK UTILI:
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Sulla storica amicizia tra la Jugoslavia e la Libia, e sul rischio di spartizione "etnica" della Libia ad uso e consumo imperialista, si veda ad es.:

Sul terrorismo psicologico scatenato contro l'opinione pubblica occidentale allo scopo di promuovere l'intervento militare NATO contro la Libia si veda anche ad es.:

Sulle manovre in atto per aggredire militarmente la Libia si veda ad es.:

Sulla disinformazione strategica come arma di guerra nel caso jugoslavo si vedano le centinaia di articoli raccolti nel nostro archivio:
nonché i documenti:






ITALIANI IN JUGOSLAVIA
Occupazione dei Balcani e razzismo "antislavo"
Seminario di storia contemporanea 

Sabato 26 febbraio 2011, Istituto Gambara, via Gambara 3, Brescia.

PROGRAMMA DEL SEMINARIO:

Ore 15.00 
Apertura dei lavori

Ore 15.15
STEFANO BARTOLINI
L'immagine dello Slavo nell'Italia fascista.
Dalla costruzione di un'identità nemica alle pratiche persecutorie e snazionalizzatrici.

Ricercatore presso l'Istituto Storico della Resistenza e della società contemporanea di Pistoia, vicepresidente Associazione Passaggi di Storia di Firenze, curatore unico dell' Archivio Storico CGIL di Pistoia, coordinatore della redazione della rivista
Quaderni di Farestoria. Tra le sue pubblicazioni Fascismo antislavo. Il tentativo di "bonifica etnica" al confine nord orientale. (I.S.R.pt, 2006)

Ore 15.50
DAVIDE CONTI 
La questione dei criminali di guerra italiani tra Guerra Fredda e continuità dello Stato.


Dottore di ricerca in storia contemporanea presso l'Università "La Sapienza" di Roma, ricercatore della Fondazione Basso sezione internazionale, docente e coordinatore dei corsi della Scuola di Giornalismo della Fondazione Basso. 
Tra le sue pubblicazioni L'occupazione italiana dei Balcani. Crimini di guerra e mito della "brava gente" (1940-1943) (Odradek, 2008)

Ore 16.30
COSTANTINO DI SANTE I soldati italiani in Jugoslavia: da occupanti a prigionieri (1941-1951).


Ricercatore presso l'Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione delle Marche e responsabile della 
Biblioteca Provinciale di storia contemporanea di Ascoli Piceno. Tra le sue pubblicazioni L'internamento civile 
nell'ascolano. Il campo di concentramento di Servigliano 1940-1944 (Ascoli Piceno, 1998).

Introduce e coordina Silvia Boffelli - Associazione Culturale Anteo


La partecipazione è gratuita. Il C.I.D.I., ente accreditato per la formazione del personale della scuola (DM del 5/7/2005, n. 1217), rilascerà l'attestato di frequenza a chi ne farà richiesta.

Ideazione e realizzazione a cura dell'Associazione Culturale Anteo. Storia, ricerca e formazione.

Per ulteriori approfondimenti e informazioni

http://www.associazioneanteo.org/eventi_italianijugoslavia.htm



Antonio Gramsci e l’Unità d’Italia (Cap. III)


www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 14-02-11 - n. 351

Pubblichiamo, su gentile concessione dell'autore:
Vincenzo De Robertis, A. Gramsci e l’Unità d’Italia
 
Vincenzo De Robertis
 
A. Gramsci e l’Unità d’Italia
 
 
Capitolo III
 
Nell’Europa della prima metà del secolo XIX crescita demografica ed industrializzazione sono le due forze-motrici di un processo di trasformazione economico-sociale, che si muove in linea contraria al processo politico della Restaurazione.
 
La rivoluzione industriale, avviata in Inghilterra, si estende a poco a poco sul Continente conquistando e trasformando l’attività produttiva di sempre più numerosi Paesi, mentre si verifica un incremento della produzione agricola in quei paesi in cui più radicale è stato il superamento degli ordinamenti feudali.
 
Grandi città nascono e si sviluppano in Europa, effetto dello spostamento di consistenti fette di popolazione dai centri rurali a quelli urbani (urbanizzazione), e, mentre si assiste al progressivo tramonto dei ceti legati alla rendita agraria, nei centri urbani emergono nuove classi sociali legate alle nuove forme di produzione: la borghesia ed il proletariato.
 
Nell’Italia della prima metà del secolo XIX in che termini si pone il rapporto città-campagna ?
 
Occorre, innanzitutto, specificare, con le parole di Gramsci, cosa si debba intendere in Italia per città e che cosa per campagna, dato che la storia della penisola ha scandito in maniera diversa, che in altri paesi europei, lo sviluppo della borghesia.
 
[…]I rapporti tra popolazione urbana e popolazione rurale non sono di un solo tipo schematico, specialmente in Italia. Occorre pertanto stabilire cosa si intende per «urbano» e per «rurale» nella civiltà moderna e quali combinazioni possono risultare dalla permanenza di forme antiquate e retrive nella composizione generale della popolazione, studiata dal punto di vista del suo maggiore o minore agglomerarsi. Talvolta si verifica il paradosso che un tipo rurale sia più progressivo di un tipo sedicente urbano.
 
Una città «industriale» è sempre più progressiva della campagna che ne dipende organicamente. Ma in Italia non tutte le città sono «industriali» e ancor più poche sono le città tipicamente industriali. Le «cento» città italiane sono città industriali, l’agglomeramento della popolazione in centri non rurali, che è quasi doppio di quello francese, dimostra che esiste in Italia una industrializzazione doppia che in Francia? In Italia l’urbanesimo non è solo, e neppure «specialmente», un fenomeno di sviluppo capitalistico e della grande industria.[1]
 
Rispetto a molti altri Paesi europei, che con le monarchie assolutistiche avevano già realizzato l’unificazione del mercato interno, l’Italia manifestava ora, agli inizi del XIX secolo, tutta la sua debolezza, per l’arretratezza economica che la caratterizzava.
 
L’attività industriale, che nel settore tessile (lana, cotone, lino e seta) aveva il suo punto di forza, si presentava in tutti gli Stati della penisola ancora in una posizione complessivamente subordinata rispetto all’agricoltura, che per numero di addetti e per importanza economica restava la principale risorsa delle collettività.
 
La stessa attività manifatturiera, peraltro ancora poco meccanizzata, non conosceva quella concentrazione in grossi centri urbani che, invece, già si era realizzata in Inghilterra e si andava affermando in Europa.
 
Essa, agli inizi del secolo XIX, veniva ancora svolta, prevalentemente, con un decentramento nelle campagne ed il commerciante-imprenditore, antesignano del futuro capitalista, si faceva carico, dopo averlo commissionato, di raccogliere il prodotto finito per venderlo poi sul mercato.
 
La borghesia, che aveva mostrato sin dal tempo dei Comuni la propria incapacità a legare le masse contadine ad un proprio progetto di sviluppo e progresso economico, soccombeva ancora agli inizi del XIX secolo di fronte alla forte presenza della rendita parassitaria.
 
E quello della presenza nefasta della rendita parassitaria nell’economia del Continente, ed in particolare in Italia, è uno dei temi della forte denuncia che Gramsci fa, anche nelle pagine dei Quaderni dedicate ad Americanismo e fordismo, evidenziando come la superiorità economica degli U.S.A. rispetto all’Europa derivi dal fatto:
 
[…]che non esistano classi numerose senza una funzione essenziale nel mondo produttivo, cioè classi assolutamente parassitarie. La «tradizione», la «civiltà» europea è invece proprio caratterizzata dall’esistenza di classi simili, create dalla «ricchezza» e «complessità» della storia passata che ha lasciato un mucchio di sedimentazioni passive attraverso i fenomeni di saturazione e fossilizzazione del personale statale e degli intellettuali, del clero e della proprietà terriera, del commercio di rapina e dell’esercito prima professionale poi di leva, ma professionale per l’ufficialità. Si può anzi dire che quanto più vetusta è la storia di un paese, e tanto più numerose e gravose sono queste sedimentazioni di masse fannullone e inutili, che vivono del «patrimonio» degli «avi», di questi pensionati della storia economica. Una statistica di questi elementi economicamente passivi (in senso sociale) è difficilissima, perché è impossibile trovare la «voce» che li possa definire ai fini di una ricerca diretta; indicazioni illuminanti si possono ricavare indirettamente, per esempio dall’esistenza di determinate forme di vita nazionale.
 
Il numero rilevante di grandi e medi (e anche piccoli) agglomerati di tipo urbano senza industria (senza fabbriche) è uno di questi indizi e dei più rilevanti.[2]
 
Nel contesto italiano non è, quindi, la dimensione ed il numero di abitanti l’indicatore sicuro della modernità in senso capitalistico di una città e delle sue caratteristiche produttive. Ne fa testo Napoli.
 
[…] Quella che fu per molto tempo la più grande città italiana e continua ad essere delle più grandi, Napoli, non è una città industriale: neppure Roma, l’attuale maggiore città italiana, è industriale. Tuttavia anche in queste città, di un tipo medioevale, esistono forti nuclei di popolazione del tipo urbano moderno; ma qual è la loro posizione relativa? Essi sono sommersi, premuti, schiacciati dall’altra parte, che non è di tipo moderno ed è la grandissima maggioranza.[3]
 
[…] Napoli è la città dove la maggior parte dei proprietari terrieri del Mezzogiorno (nobili e no) spendono la rendita agraria. Intorno a qualche decina di migliaia di queste famiglie di proprietari, di maggiore o minore importanza economica, con le loro corti di servi e di lacché immediati, si organizza la vita pratica di una parte imponente della città, con le sue industrie artigianesche, coi suoi mestieri ambulanti, con lo sminuzzamento inaudito dell’offerta immediata di merci e servizi agli sfaccendati che circolano nelle strade. Un’altra parte importante della città si organizza intorno al transito e al commercio all’ingrosso. L’industria «produttiva» nel senso che crea e accumula nuovi beni è relativamente piccola, nonostante che nelle statistiche ufficiali Napoli sia annoverata come la quarta città industriale dell’Italia, dopo Milano, Torino e Genova…
 
…Il fatto di Napoli si ripete in grande per Palermo e Roma e per tutta una serie numerosa (le famose «cento città») di città non solo dell’Italia meridionale e delle Isole, ma dell’Italia centrale e anche di quella settentrionale (Bologna, in buona parte, Parma, Ferrara ecc.). Si può ripetere per molta popolazione di tal genere di città il proverbio popolare: quando un cavallo caca, cento passeri fanno il loro desinare. [4]
 
Napoli rappresenta, quindi, l’espressione più ampia ed evidente di questo rapporto parassitario ed oppressivo della città sulla campagna, che secondo Gramsci condiziona anche i piccoli centri della provincia.
 
[…] Il fatto che non è stato ancora convenientemente studiato è questo: che la media e la piccola proprietà terriera non è in mano a contadini coltivatori, ma a borghesi della cittaduzza o del borgo, e che questa terra viene data a mezzadria primitiva (cioè in affitto con corrisponsione in natura e servizi) o in enfiteusi; esiste così un volume enorme (in rapporto al reddito lordo) di piccola e media borghesia di «pensionati» e «redditieri», che ha creato in certa letteratura economica degna di Candide la figura mostruosa del così detto «produttore di risparmio», cioè di uno strato di popolazione passiva economicamente che dal lavoro primitivo di un numero determinato di contadini trae non solo il proprio sostentamento, ma ancora riesce a risparmiare: modo di accumulazione di capitale dei più mostruosi e malsani, perché fondato sull’iniquo sfruttamento usurario dei contadini tenuti al margine della denutrizione e perché costa enormemente; poiché al poco capitale risparmiato corrisponde una spesa inaudita quale è quella necessaria per sostenere spesso un livello di vita elevato di tanta massa di parassiti assoluti. (Il fenomeno storico per cui si è formato nella penisola italiana, a ondate, dopo la caduta dei Comuni medioevali e la decadenza dello spirito d’iniziativa capitalistica della borghesia urbana, una tale situazione anormale, determinatrice di stagnazione storica, è chiamato dallo storico Niccolò Rodolico «ritorno alla terra» ed è stato assunto addirittura come indice di benefico progresso nazionale, tanto le frasi fatte possono ottundere il senso critico).[5]
 
Questo rapporto parassitario della città sulla campagna si accompagna ad un disprezzo ed odio contro il “villano”, contraccambiato da pari sentimenti della campagna verso la città.
 
[…] In questo tipo di città esiste, tra tutti i gruppi sociali, una unità ideologica urbana contro la campagna, unità alla quale non sfuggono neppure i nuclei più moderni per funzione civile, che pur vi esistono: c’è l’odio e il disprezzo contro il «villano», un fronte unico implicito contro le rivendicazioni della campagna, che, se realizzate, renderebbero impossibile l’esistenza di questo tipo di città. Reciprocamente esiste una avversione «generica» ma non perciò meno tenace e appassionata della campagna contro la città, contro tutta la città, tutti i gruppi che la costituiscono.
 
Questo rapporto generale, che in realtà è molto complesso e si manifesta in forme che apparentemente sembrano contraddittorie, ha avuto una importanza primordiale nello svolgersi delle lotte per il Risorgimento, quando esso era ancor più assoluto e operante che non sia oggi.[6]
 
Alla luce di quanto detto sopra, si possono cominciare a raccogliere i primi elementi per giungere ad una spiegazione del mancato sviluppo in Italia del cosiddetto giacobinismo storico e di quanto poco studiata fosse nella penisola l’esperienza della Rivoluzione francese, sin dai primi emulatori, quali furono i giacobini meridionali, ma soprattutto da quei soggetti politici, che saranno poi i protagonisti del Risorgimento.
 
[…] Il primo esempio clamoroso di queste apparenti contraddizioni è da studiare nell’episodio della Repubblica Partenopea del 1799: la città fu schiacciata dalla campagna organizzata nelle orde del cardinale Ruffo, perché la Repubblica, sia nella sua prima fase aristocratica, che nella seconda borghese, trascurò completamente la campagna da una parte, ma dall’altra, prospettando la possibilità di un rivolgimento giacobino per il quale la proprietà terriera, che spendeva la rendita agraria a Napoli, poteva essere spossessata, privando la grande massa popolare dei suoi cespiti di entrata e di vita, lasciò freddi se non avversi i popolani napoletani.[7]
 
(Non è per caso che i decreti contro i privilegi della feudalità furono emanati a Napoli, non durante la Rivoluzione, ma qualche anno più tardi da un francese, Giuseppe Buonaparte, anche se il loro scopo non fu quello di spezzettare il latifondo a vantaggio dei contadini “senza terra” ed il loro risultato fu solo quello di rafforzare la borghesia delle campagne).[8]
 
E’ in questo contesto, caratterizzato, sotto il profilo economico dall’arretratezza e dalla forte presenza di ampi settori di economia parassitaria, sotto il profilo politico dallo spezzettamento in tanti staterelli del territorio peninsulare, con la presenza a nord dell’Austria in funzione di gendarme armato contro ogni rivendicazione di libertà, unità ed indipendenza, che va inquadrata l’analisi delle forze motrici del processo risorgimentale, fatta da Gramsci.
 
[…] Dal rapporto città-campagna deve muovere l’esame delle forze motrici fondamentali della storia italiana e dei punti programmatici da cui occorre studiare e giudicare l’indirizzo del Partito d’Azione nel Risorgimento. Schematicamente si può avere questo quadro: 1) la forza urbana settentrionale; 2) la forza rurale meridionale; 3) la forza rurale settentrionale-centrale; 4-5) la forza rurale della Sicilia e della Sardegna.
 
Restando ferma la funzione di «locomotiva» della prima forza, occorre esaminare le diverse combinazioni «più utili» atte a costruire un «treno» che avanzi il più speditamente nella storia.[9]
 
Il problema che Gramsci affronta in queste pagine dei Quaderni è quello, detto in altri termini, del blocco storico-sociale che la borghesia del Nord doveva porre in essere attraverso una politica di alleanze per realizzare l’obbiettivo della costituzione dello Stato unitario, premessa politico-istituzionale al suo ulteriore sviluppo.
 
Il rapporto è sempre quello generale di città-campagna, che l’analisi gramsciana scompone fra la borghesia industriale (la città), da un lato, e, dall’altro, quattro sezioni delle forze rurali (la campagna) divise fra loro per problemi specifici, come quelli legati alla presenza di correnti indipendentiste in Sicilia e Sardegna
 
La prima forza, la borghesia industriale del Nord, ha due grosse sezioni al suo interno: quella piemontese e quella lombarda, a cui corrispondono anche, come si vedrà più avanti, espressioni politiche differenti, per un certo periodo in contesa fra loro per l’egemonia sull’intero processo;
 
[…] ma rimane fissato che, già «meccanicamente», se tale forza ha raggiunto un certo grado di unità e di combattività, essa esercita una funzione direttiva «indiretta» sulle altre. Nei diversi periodi del Risorgimento appare che il porsi di questa forza in una posizione di intransigenza e di lotta contro il dominio straniero, determina un’esaltazione delle forze progressive meridionali: da ciò il sincronismo relativo, ma non la simultaneità, nei movimenti del 20-21, del 31, del 48. Nel 59-60 questo «meccanismo» storico-politico agisce con tutto il rendimento possibile, poiché il Nord inizia la lotta, il Centro aderisce pacificamente o quasi e nel Sud lo Stato borbonico crolla sotto la spinta dei garibaldini, spinta relativamente debole.[10]
 
Se un certo grado di unità interna di questa classe consente “meccanicamente” di esercitare un ruolo di direzione (egemonia) sulle altre classi, nella prospettiva della costituzione dello Stato unitario, non sono altrettanto pacificamente risolti i problemi legati all’esercizio dell’egemonia sulle altre classi, una volta preso il potere.
 
Una delle prime questioni è la realizzazione dell’unità interna di classe della borghesia industriale, sia al Nord che al Sud.
 
[…] La prima forza doveva quindi porsi il problema di organizzare intorno a sé le forze urbane delle altre sezioni nazionali e specialmente del Sud. Questo problema era il più difficile, irto di contraddizioni e di motivi che scatenavano ondate di passioni… Ma la sua soluzione, appunto per questo, era uno dei punti cruciali dello sviluppo nazionale.[11]
 
E’ vero che identica, sia al Nord che al Sud, è la posizione della borghesia industriale nel processo produttivo e comune a tutte le sue sezioni territoriali è l’interesse per la costituzione di uno Stato unitario.
 
Tuttavia, diverso è il peso specifico che questa classe esercita nella società civile settentrionale o meridionale:
 
[…] Le forze urbane sono socialmente omogenee, quindi devono trovarsi in una posizione di perfetta uguaglianza. Ciò era vero teoricamente, ma storicamente la quistione si poneva diversamente: le forze urbane del Nord erano nettamente alla testa della loro sezione nazionale, mentre per le forze urbane del Sud ciò non si verificava, per lo meno in egual misura.[12]
 
La questione, perciò, poteva avere diverse soluzioni:
 
Una era quella che la borghesia industriale meridionale rinunciasse a qualsiasi velleità di uguaglianza con quella settentrionale e si limitasse a riconoscerne la funzione egemone.
 
[…] Le forze urbane del Nord dovevano quindi ottenere da quelle del Sud che la loro funzione direttiva si limitasse ad assicurare la direzione del Nord verso il Sud nel rapporto generale di città-campagna, cioè la funzione direttiva delle forze urbane del Sud non poteva essere altro che un momento subordinato della più vasta funzione direttiva del Nord.[13]
 
L’altra ipotesi, partendo dalla perfetta uguaglianza fra le due sezioni, avrebbe potuto estendere quell’uguaglianza fino ai confini dell’indipendenza reciproca.
 
[…] La contraddizione più stridente nasceva da questo ordine di fatti: la forza urbana del Sud non poteva essere considerata come qualcosa a sé, indipendente da quella del Nord; porre la quistione così avrebbe significato affermare pregiudizialmente un insanabile dissidio «nazionale», dissidio tanto grave che neanche la soluzione federalistica avrebbe potuto comporre; si sarebbe affermata l’esistenza di nazioni diverse, tra le quali avrebbe potuto realizzarsi solo un’alleanza diplomatico-militare contro il comune nemico, l’Austria (l’unico elemento di comunità e solidarietà, insomma, sarebbe consistito solo nell’avere un «comune» nemico).[14]
 
Questa seconda ipotesi, però, non ebbe mai modo di affermarsi, anche se forti furono le opposizioni nel Sud al progetto dello Stato unitario, perché
 
[…] era la debole posizione delle forze urbane meridionali in rapporto alle forze rurali, rapporto sfavorevole che si manifestava talvolta in una vera e propria soggezione della città alla campagna. [15]
 
In queste condizioni di inferiorità,
 
…[i]l collegamento stretto tra forze urbane del Nord e del Sud, dando alle seconde la forza rappresentativa del prestigio delle prime, doveva aiutare quelle a rendersi autonome, ad acquistare coscienza della loro funzione storica dirigente in modo «concreto» e non puramente teorico e astratto, suggerendo le soluzioni da dare ai vasti problemi regionali. …
 
…[I]l compito più grave per risolvere la situazione spettava in ogni modo alle forze urbane del Nord che non solo dovevano convincere i loro «fratelli» del Sud, ma dovevano incominciare col convincere se stesse di questa complessità di sistema politico: praticamente quindi la quistione si poneva nell’esistenza di un forte centro di direzione politica, al quale necessariamente avrebbero dovuto collaborare forti e popolari individualità meridionali e delle isole. Il problema di creare una unità Nord-Sud era strettamente legato e in gran parte assorbito nel problema di creare una coesione e una solidarietà tra tutte le forze urbane nazionali.[16]
 
Se queste erano le problematiche connesse al rapporto di alleanza fra la forza urbana settentrionale e le forze produttive del meridione, altri problemi si ponevano nel rapporto con le forze rurali centro-settentrionali, contrassegnate, a differenza di quelle delle tre sezioni meridionali, da una più forte presenza della piccola proprietà contadina.
 
[…]In queste forze rurali occorreva distinguere due correnti: quella laica e quella clericale-austriacante. La forza clericale aveva il suo peso massimo nel Lombardo-Veneto, oltre che in Toscana e in una parte dello Stato pontificio; quella laica nel Piemonte, con interferenze più o meno vaste nel resto d’Italia, oltre che nelle legazioni, specialmente in Romagna, anche nelle altre sezioni, fino al Mezzogiorno e alle isole. Risolvendo bene questi rapporti immediati, le forze urbane settentrionali avrebbero dato un ritmo a tutte le quistioni simili su scala nazionale.[17]
 
Le forza politica che avrebbe dovuto rappresentare gli interessi della borghesia industriale settentrionale, il Partito d’Azione, non fu mai capace di farsi carico di tutte queste problematiche, per dare ad esse una soluzione in senso progressista.
 
[…]Su tutta questa serie di problemi complessi il Partito d’Azione fallì completamente: esso si limitò infatti a fare quistione di principio e di programma essenziale quella che era semplicemente quistione del terreno politico su cui tali problemi avrebbero potuto accentrarsi e trovare una soluzione legale: la questione della Costituente. Non si può dire che abbia fallito il partito moderato, che si proponeva l’espansione organica del Piemonte, voleva soldati per l’esercito piemontese e non insurrezioni o armate garibaldine troppo vaste. [18]
 
Ne derivò una caratteristica del processo unitario, che Gramsci più volte definì “rivoluzione passiva”, perchè spogliò le masse popolari, che all’epoca erano prevalentemente contadine, del diritto di partecipare alla sua realizzazione, tenendole, anzi, accuratamente lontane e pervenendo, così, alla realizzazione dello Stato unitario, obiettivo di per sé progressista e rivoluzionario (giudicato dai contemporanei come “miracolo”), senza intaccare i rapporti sociali delle campagne, che nel meridione significavano subordinazione della città alla campagna, dell’attività produttiva alla rendita parassitaria.
 

[1] A.Gramsci, Quaderni del carcere. Edizione critica a cura di V. Gerratana. Ed.Einaudi 1975 pagg.2035-6
[2] A.Gramsci, Op.cit.. pagg.2141-2
[3] A.Gramsci, Op.cit.. pag.2036
[4] A.Gramsci, Op.cit.. pagg.2142-3
[5] A.Gramsci, Op.cit.. pag.2143
[6] A.Gramsci, Op.cit.. pag.2036
[7] A.Gramsci, Op.cit.. pagg.2036-7
[8] Vedi P.Bevilacqua, Breve storia dell’Italia meridionale. Donzelli Editore. Roma 1996 pagg.3-9
[9] A.Gramsci, Op.cit.. pag.2042
[10] A.Gramsci, Op.cit.. pag.2042
[11] A.Gramsci, Op.cit.. pag.2043
[12] A.Gramsci, Op.cit.. pag.2043
[13] A.Gramsci, Op.cit.. pag.2043
[14] A.Gramsci, Op.cit.. pag.2043
[15] A.Gramsci, Op.cit.. pag.2043
[16] A.Gramsci, Op.cit.. pagg.2043-4
[17] A.Gramsci, Op.cit.. pag.2044
[18] A.Gramsci, Op.cit.. pag.2044

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www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 29-01-11 - n. 349

Pubblichiamo, su gentile concessione dell'autore:
Vincenzo De Robertis, A. Gramsci e l’Unità d’Italia
 
Vincenzo De Robertis
 
A. Gramsci e l’Unità d’Italia
 
Indice:
Capitolo III
Capitolo IV
Capitolo V
Capitolo VI
Capitolo VII
Capitolo VIII
Capitolo IX
 
Un ringraziamento particolare a chi mi ha aiutato in questo mio lavoro: al Prof. Marcello Montanari, che ha tollerato la mia impostazione, senza opporre contestazioni, ed all’amico e compagno Prof. Andrea Catone, che mi ha aiutato per le citazioni di Gramsci.
 
Introduzione
 
Questo libro nasce dall’opportunità di approfondire il pensiero di A.Gramsci sul tema della formazione dello Stato Unitario italiano e del processo che la generò, il Risorgimento, in occasione della ricorrenza del 150° anniversario dell’Unità d’Italia.
 
L’attualità del pensiero gramsciano sul tema è data, non solo dalle contestazioni che oggi da più parti vengono sollevate, “ a posteriori”, sul modo attraverso cui si svolse il processo storico risorgimentale (si pensi, ad esempio, al giudizio negativo della Lega Nord su Garibaldi, oppure all’attuale rinascita di un “partito” filo-borbonico), ma anche dalla necessità di recuperare, sul piano dell’analisi storica, il filo rosso che lega le ragioni di un distacco marcato fra le grandi masse popolari italiane e lo Stato italiano, da sempre percepito come Ente estraneo.
 
Il materiale esposto è il frutto della ricerca messa in atto in occasione della elaborazione della mia tesi di laurea, nella quale analizzavo alcuni aspetti del pensiero politico di A.Gramsci, che mi è sembrato opportuno riproporre in questo libro.
 
In particolare, vengono messi a fuoco i concetti di Rivoluzione passiva, di Blocco storico-sociale e di Egemonia, così come A.Gramsci li ha espressi nella sua riflessione sul periodo che abbraccia tutto il Risorgimento, i primi decenni di vita dello Stato Unitario italiano, fino alla Grande Guerra ed alla nascita del fascismo; un periodo storico di quasi settant’anni che comprende la fase della presa del potere politico e del suo consolidamento da parte della borghesia italiana.
 
L’analisi del rapporto “struttura-sovrastruttura”
 
….è l’origine dell’attenzione che Gramsci dà alla storia del Risorgimento e a tutta la storia italiana. Egli ricerca nella storia del Risorgimento, ricerca nelle analisi sui differenti momenti della storia italiana, ricerca nell’analisi della funzione che hanno avuto gli intellettuali nella storia del nostro Paese…. una definizione dei rapporti di classe della società italiana più esatta di quelle che abitualmente si sogliono dare. Continuamente attento all’azione reciproca tra la struttura dei rapporti produttivi e le sovrastrutture (politiche, militari, organizzative, ideologiche, ecc.), giunge ad individuare quello che egli chiama il “blocco storico, le forze che lo dirigono ed i contrasti interiori che ne determinano il movimento.[1]
 
Seguendo, quindi, l’evoluzione degli avvenimenti storici, si esporrà l’analisi gramsciana delle condizioni internazionali e nazionali che consentirono (solo nella seconda metà del XIX secolo e non prima) di realizzare e portare a termine il processo unitario: i nuovi equilibri europei, la crisi egemonica del Papato in Europa ed in Italia, l’influsso sugli avvenimenti italiani della Rivoluzione francese e degli eserciti napoleonici.
 
Si prenderà, quindi, in considerazione il blocco storico-sociale che si rese protagonista del processo unitario: l’aristocrazia agraria e gli industriali del Nord unitamente agli agrari del Sud; l’esclusione dei contadini, sia al Nord, ma soprattutto al Sud, dalla partecipazione al Risorgimento; la caratteristica di “rivoluzione passiva” assunta dal processo, cioè un cambiamento radicale, operato dall’alto, senza il coinvolgimento delle masse popolari.
 
L’analisi gramsciana dei partiti protagonisti del processo risorgimentale: moderati e democratici; egemonia dei moderati sui democratici; debolezza del giacobinismo storico in Italia; mancanza di un programma agrario da parte del Partito d’Azione; mancanza di una rappresentanza politica autonoma da parte dei contadini.
 
Le “tare originarie” del processo unitario: questione meridionale, debolezza strutturale di rappresentanza del neonato Stato unitario, unitamente a debolezza economica della borghesia industriale italiana (“capitalismo straccione”), condizionano le vicende politiche dei primi decenni dello Stato liberale; la Destra storica e la Sinistra storica al Governo; il trasformismo fino a Giolitti, la nascita del Partito Socialista e lo scoppio della Grande Guerra, offrono ampia testimonianza delle difficoltà incontrate dal blocco storico dominante nell’esercizio del rapporto di dominio sulla restante parte della popolazione, rapporto sempre in bilico fra autoritarismo e democrazia a causa della mancanza di un consenso diffuso.
 
Infine, la grande guerra del ’15-’18, l’esperienza maturata dalle masse operaie e contadine in quella grande carneficina, i partiti politici nel dopo-guerra, le elezioni a “suffragio universale” del 1919, il nuovo protagonismo che si manifesta nelle occupazioni delle fabbriche e delle terre, la Rivoluzione bolscevica in Russia e la paura del comunismo, la conseguente crisi di egemonia delle classi dominanti, la “situazione di equilibrio delle forze ad evoluzione catastrofica”, i fenomeni di cesarismo; tutto ciò completa il quadro storico di riferimento.
 
Le fonti utilizzate sono i Quaderni del carcere ed, in particolare, il quaderno XIX. Ma anche gli scritti politici dal 1919 al 1926, dove maggiormente vengono evidenziate le caratteristiche assunte dalla rivoluzione borghese nel nostro Paese ed i problemi politici e sociali, che essa ha portato con sé.
 
La necessità di approfondire il pensiero gramsciano, sia attraverso la riflessione forzatamente “pacata” e formalmente a-sistematica, da lui effettuata in carcere, che attraverso gli scritti più marcatamente politici, pubblicati sui periodici di partito negli anni precedenti il suo arresto, poggia sulla convinzione che un nesso profondamente ed organicamente unitario leghi i due periodi di attività del dirigente comunista, il cui impegno politico resta la chiave di volta per interpretarne correttamente il pensiero.
 
Come considerare, a tale proposito, la ricerca fatta in carcere, se non come la naturale prosecuzione di quella battaglia, quasi subito avviata da Gramsci nel PCd’I – partito internazionalista per nascita e “vocazione” (sezione della III internazionale) - per la sua “nazionalizzazione”, battaglia mirata, cioè, ad ancorare l’azione del Partito alle condizioni concrete italiane, così come storicamente determinatesi, e finalizzata al suo radicamento nel Paese, come premessa di qualsiasi processo di trasformazione rivoluzionaria; battaglia che vide nel III Congresso di quel Partito, svoltosi a Lione, una tappa fondamentale ?
 
Rileggendo le “Tesi di Lione”, soprattutto le tesi dalla n. 4 alla n.18bis, dove viene dipinto il quadro della situazione economico-sociale dell’Italia di quel periodo e tratteggiato a grandi linee il percorso storico attraverso cui si pervenne a quella situazione, oppure lo scritto “Alcuni aspetti della questione meridionale”, come non rintracciare i temi poi approfonditi in tante riflessioni contenute nei Quaderni del carcere?
 
A questa impostazione metodologica e a questo approccio unitario al pensiero gramsciano mi sono attenuto in questo lavoro, condividendo ciò che a riguardo è stato espresso, in maniera molto più chiara e brillante, da P. Togliatti nei suoi “Appunti” in previsione del convegno di studi gramsciani, svoltosi nel ’58, su iniziativa dell’Istituto Gramsci:
 
[...] Gramsci fu un teorico della politica, ma soprattutto un politico pratico, cioè un combattente. La sua concezione della politica rifugge sia dalla strumentalità, sia dall’astratto moralismo o dalla elaborazione dottrinale astratta. Fare della politica significa agire per trasformare il mondo. Nella politica, quindi, è contenuta tutta la filosofia reale di ognuno, nella politica sta la sostanza della storia e, per il singolo che è giunto alla coscienza critica della realtà e del compito che gli spetta per trasformarla, sta anche la sostanza della sua vita morale. Nella politica è da ricercarsi l’unità della vita di A. Gramsci: il punto di partenza e di arrivo. La ricerca, il lavoro, la lotta, il sacrificio sono momenti di questa unità. [...] [F]are oggetto di indagine non soltanto le posizioni da G. elaborate e sostenute nel dibattito filosofico e di dottrina, ma la sua attività pratica, come uomo politico, fondatore e dirigente del partito di avanguardia della classe operaia italiana […] questo [è] il solo modo giusto di avvicinarsi all’opera di Gramsci e penetrarne il significato.[2]
 
Bibliografia
 
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A.Gramsci, Scritti politici, a cura di P.Spriano. Editori Riuniti Roma 1967
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Da Gramsci a Berlinguer. La via italiana al socialismo attraverso i congressi del PCI . Edizioni del calendario. Marsilio Venezia 1985
AA.VV., Oltre Gramsci con Gramsci. Critica marxista n.2-3 Editori Riuniti Roma 1987
A.Asor Rosa, Intellettuali e classe operaia. La Nuova Italia Firenze 1973
P.Bevilacqua, Breve storia dell’Italia meridionale. Donzelli. Roma 1996
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P. Grifone, Il capitale finanziario in Italia. Einaudi Torino 1971
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R.Villari, Il sud nella storia d’Italia, antologia della questione meridionale - vol.II Laterza Bari 1974
N.Zitara, L’unità d’Italia: nascita di una colonia. Jaca Book Milano 1971.   
 
 


[1]P.Togliatti, Gramsci ed il leninismo, Ed. a cura dell’Associazione Culturale Marxista, Roma, 1987, pp. 32-33
[2] P. Togliatti, op. cit., p. 5



(italiano / english / srpskohrvatski)

LIBIA: INTEGRITA' STATUALE E PRECEDENTE JUGOSLAVO


Una parte del discorso di Gheddafi all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 23.9.2009, fu dedicata alla Jugoslavia e alla richiesta di indagine sulle guerre balcaniche. 

Quel paese pacifico, la Jugoslavia, era stato costruito con le proprie forze, mattone per mattone, dopo che Hitler l’aveva distrutto, per essere distrutto di nuovo con la stessa modalità hitleriana. La Federazione jugoslava, paese pacifico creato da un eroe della pace, Tito, fu costruita pietra su pietra, e dopo la morte di Tito, voi siete venuti nell’ex Jugoslavia e l’avete distrutta pezzo per pezzo per i vostri interessi individuali, imperialistici. Come potremmo sentirci sicuri, noialtri, di cosa ci succederà dopo quello che è successo alla pacifica Jugoslavia? L'Assemblea generale deve investigare su questo, deve vedere chi debba essere processato alla Corte Internazionale..."

in english:
<< A peaceful country like Yugoslavia which built itself brick by brick after it had been destroyed by Hitler has been destroyed once again by the second Hitler. This is illegal. Federal Yugoslavia was a peaceful country. It was built by Tito the champion of peace brick after brick and then after the death of Tito it was fragmented into pieces for personal, imperialist interests. We others how can we feel peaceful if the peaceful country of Yugoslavia which did not pose any threat to anyone was invaded. The general assembly has to investigate this. It has to see who to prosecute in the ICJ. >>
( http://www.btinternet.com/~davidbeaumont/msf/gadafi.htm )

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Il figlio di Gheddafi: "Se prevale la violenza sarà peggio che in Jugoslavia"


VIDEO / Gadafijev sin: "Nastavi li se nasilje, biće gore nego u Jugoslaviji"

S.B. - 21. 02. 2011. • 13:16

24SI - Saif al-Islam, sin libijskog čelnika Moamera Gadafija, izjavio je u 40-minutnom televizijskom obraćanju javnosti da libijski narod mora izabrati između izgradnje "nove Libije" i građanskog rata, dok su u noći sa nedjelje na ponedjeljak sukobi zahvatili Tripoli.
"Libija je na raskrsnici. Ili ćemo se danas dogovoriti o reformama ili će krv teći cijelom Libijom", rekao je Saif al-Islam u televizijskom govoru.
"Borićemo se do posljednje minute, do posljednjeg metka", izjavio je Gadafijev sin. "Nastavi li se nasilje, biće gore nego u Jugoslaviji", rekao je Al-Islam. (...)

(fena)

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Libia/ Attaccati 50 serbi, Belgrado avvia evacuazione

Dipendenti di una ditta inviano allarme via mail a radio B92

Belgrado, 21 feb. (TMNews) - La serbia avvia le operazioni di evacuazione dei propri cittadini in Libia - che sarebbero almeno un migliaio - dopo un attacco a un gruppo di serbi nella parte settentrionale del Paese nordafricano.

L'ambasciata serba a Tripoli "è entrata in contatto con i cittadini (serbi) che si trovano in un campo nei pressi della città di Raslanalf, aggrediti la notte scorsa da un piccolo gruppo di uomini armati. Nessuno nessuno è rimasto ferito, e la loro sicurezza, a questo momento non è compromessa", riferisce un comunicato il ministero degli Esteri serbo. Un gruppo di 50 connazionali dipendenti della ditta serba in Libia " Petrolcomet" ha inviato una mail con richiesta di aiuto all'emittente privata belgradese, B92, informando di essere stati attaccati da una ventina di uomini armati e dichiarandosi "in pericolo di vita" Il ministero degli Esteri di Belgrado "in collaborazione con la compagnia di bandiera JAT lavora (..)per l'evacuazione dei cittadini serbi che sono attualmente in Libia" aggiunge la nota. La Serbia vanta una storica collaborazione economica con la Libia, che risale ai tempi del Movimento dei Non allineati, di cui l'allora Jugoslavia e il Paese africano furono protagonisti. Attualmente l'ambasciata di Belgrado a Tripoli è stata contattata da circa 700 connazionali, ma il numero dei serbi stabili in Libia è "ben più alto", secondo quanto riporta l'agenzia locale, Beta.

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“Ma il colonnello ha sottovalutato i clan delle montagne”


Tonino Bucci*
Intervista ad Angelo Del Boca storico del colonialismo italiano

Tripoli a un passo dalla capitolazione. Fino a pochi giorni nessuno avrebbe scommesso sulla caduta di Gheddafi. La Libia – tanto per fare qualche numero – aveva un surplus di ricchezza tra i più alti in Africa. Nel 2009 le risorse disponibili per i capitoli di spesa ammontavano a 26 miliardi di euro. Il debito pubblico era fermo, ormai da anni, al quattro per cento del Pil. Un’utopia irraggiungibile per molti paesi occidentali. Perché allora questa rivolta? Lo chiediamo allo storico Angelo Del Boca, profondo conoscitore della Libia.
La rivolta libica ha sorpreso tutti. La Libia sembra un paese solidissimo. Cosa è accaduto?

Ho una mia tesi, diversa da quella sostenuta nei giornali. Se non si fosse mossa la Cirenaica difficilmente la sommossa sarebbe arrivata a Tripoli e non avrebbe causato la fine del regime. La Cirenaica è da sempre una regione non addomesticata agli ordini di Gheddafi perché è storicamente sotto l’influenza della Senussia. Non dimentichiamo che è la regione dove Omar al Mukhtar ha fatto la sua guerra contro gli italiani ed è stato ucciso. Per tradizione la Cirenaica non ha mai obbedito molto al regime di Gheddafi, tanto è vero che già nel ’96 il Colonnello dovette mandare addirittura l’esercito, la marina e l’aviazione per reprimere una sommossa. Non mi stupisce perciò quanto è accaduto a Bengasi. Mi sorprende, invece, che la rivolta si sia estesa anche alla Tripolitania, questo sì. In apparenza non c’erano motivi gravi perché si potesse prevedere una insurrezione del genere. E’ vero che c’è un trenta per cento di giovani che non hanno un lavoro, ma i prodotti di prima necessità sono calmierati e la gente vive abbastanza bene.
In Europa non abbiamo visto un libico andare per le strade a chiedere l’elemosina. Era un paese molto diverso da quelli confinanti. Credo che ci sia stato un input dall’esterno. Esistono alcuni gruppi di libici residenti all’estero, negli Stati Uniti, a Londra e a Ginevra, che hanno partecipato, dai blog e attraverso internet, all’organizzazione della sommossa. All’interno non conosciamo gli agitatori. Non ci sono personaggi noti o di spicco. Sappiamo però che le tribù delle montagne sopra Tripoli si sono associate alla rivolta. Tra loro ci sono i Warfalla e i Berberi. Le stesse tribù nel 1911 diedero filo da torcere agli italiani, sconfitti nella battaglia di Sciara Sciat. Il ruolo dei clan è stato determinante nel provocare di fatto la caduta di Gheddafi. Il Colonnello ha sottovalutato le tribù delle montagna. Lui pensava che con la sua teoria di una terza via, quella esposta nel suo Libro Verde, di avere smantellato la struttura tribale e di avere costruito uno Stato moderno. Si sbagliava. Ma, in fondo, lo aveva già confessato. Ricordo che in un’intervista che gli feci nel ’96, confessò che il Libro Verde era stato un fallimento. Credeva di avere amalgamato il paese e costruito una nazione. Quando ho pubblicato A un passo dalla forca, alcune copie sono entrate clandestinamente in Libia. Ho saputo poi che il ministero degli interni aveva bloccato il libro perché parlava bene della Senussia.
L’integrità nazionale e statale della Libia rischia davvero di disgregarsi?
Sì. Le tre regioni se ne potrebbero andare ciascuna per la propria strada. La Cirenaica, ad esempio, subisce ancora l’influsso della confraternita senussa e potrebbe darsi un proprio governo. Non credo che a guidare il paese possa essere il figlio di Gheddafi Saif al Islam, nonostante le sue dichiarazioni liberali. Se abbattono il padre, abbattono anche il figlio. I ribelli vogliono demolire un’intera epoca e dei Gheddafi non ne vogliono più sapere. A prendere il sopravvento potrebbe essere qualche capo dei clan della montagna.
C’è da tenere sott’occhio anche il ruolo dell’esercito, o no?

Non è un grande esercito, nulla di paragonabile ai 400mila uomini dell’esercito egiziano. E’ un esercito di ottantamila uomini e in Cirenaica si sono schierati con gli insorti. E, in parte, anche in Tripolitania.
La Libia di Gheddafi, non sottovalutiamolo, è anche un impero finanziario con partecipazioni in tante banche e società occidentali. Non è così?

Berlusconi ha concluso un Trattato con Gheddafi con molta superficialità, a occhi chiusi, ben sapendo delle violazioni dei diritti umani. I libici hanno investito in Italia, ci danno un terzo del petrolio e del gas, hanno relazioni con Finmeccanica e con altre ditte che stanno lavorando in Libia. Avremo delle sorprese.
*Liberazione
Pubblicato il 22 febbraio 2011 
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Altri link segnalati:

MILOSEVIC: LIBIA, PER ESTRADIZIONE DUE PESI E DUE MISURE (2001)

Artel: DA SU HTELI POSLUSATI GADAFIJA ... (2005)





Segnalazioni iniziative

1) Gorica/Gorizia 24/2: Metamorfosi etniche 
2) Montereale Valcellina (PN) 26/2: "Bog i Hrvati" (Iddio e i Croati)
3) Padova 26/2: kosovo AttoUno / ZASTAVA AnnoZerO


=== 1 ===

24 FEBBRAIO ore 17,30

Kulturni Dom - Gorizia 

presentazione in lingua slovena del libro di Piero Purini 

“Metamorfosi etniche. I cambiamenti di popolazione a Trieste, Gorizia, Fiume e in Istria. 1914-1975”

Interverrà Mirko Primozic dell’Anpi di Gorizia



=== 2 ===

Sabato 26 febbraio alle ore 16:45

Sala “Menocchio” in via Ciotti, 1 Montereale Valcellina (PN)


"Bog i Hrvati" (Iddio e i Croati)


Per la serie “genocidi dimenticati”, l’olocausto balcanico durante la Seconda Guerra Mondiale. Anteprima nazionale del documentario realizzato dal Ministero della Cultura Serba. Durata: 65’.
Ospiti della serata saranno:

- Vladan Relic: ex presidente della comunità Serbo Ortodossa di Trieste;
- Alessandra Kersevan: storica;

Alle ore 20:00, presso i locali del Circolo, seguirà una cena di finanziamento e presentazione della campagna referendaria contro la privatizzazione dell’acqua. Per l’occasione sarà presente Ferruccio Nilia del Comitato Referendario “2 sì per l’Acqua Bene Comune”.



=== 3 ===

PROGETTO BAOBAB
ex-Scuderie in Piazza Napoli - ex-Fornace Carotta
Padova - zona Sacra Famiglia
Sabato 26 febbraio – ore 18

Videoproiezioni
del fotoreporter Bruno Maran

kosovo AttoUno
Un reportage degli avvenimenti del febbraio 2008 nella provincia del Kosovo. L'autoproclamata indipendenza della provincia del Kosovo, culla delle più profonde radici storiche e religiose per i serbi, dove la maggioranza albanese è riuscita a staccarsi, dopo la guerra "umanitaria" del '99, con la sospetta connivenza di varie diplomazie occidentali.

ZASTAVA AnnoZerO
Il capitale viaggia in prima classe, il lavoro in quarta
Viaggio della globalizzazione
Testimonianza sulla realtà dopo i bombardamenti del ‘99, sullo smantellamento delle ”vecchie” linee, sulla situazione del lavoro nei “nuovi” reparti e per riaffermare che i lavoratori serbi non stanno togliendo lavoro agli operai italiani...
Kragujevac, città della Serbia centrale, importante centro industriale e pertanto pesantemente bombardata durante la guerra "umanitaria" del 1999.
Al centro vi è la fabbrica di automobili Zastava, tornata alle cronache per le vicende relative all'acquisizione da parte della Fiat, con le relative ripercussioni sul mondo operaio italiano a causa della prevista delocalizzazione di attività da parte del gruppo torinese in Serbia. La Zastava, fondata nel 1862, divenne, nel secondo dopoguerra, la più importante realtà industriale dei Balcani, vanto della Jugoslavia socialista. Il suo nome era Savodi Crvena Zastava. Fino allo sfascio della Jugoslavia produceva 220mila vetture l'anno, con più di 50mila lavoratori e 280 imprese dell’indotto dislocate in 130 città jugoslave. A Kragujevac erano occupati 32mila operai. Durante la guerra “umanitaria“ fu pesantemente bombardata con 36 missili Cruise, con pericolosi effetti, ancora presenti, sulla popolazione nonché sugli operai, specie tra quelli che rimossero le rovine. Dal 1° febbraio 2010, la Fiat, in accordo col governo serbo, ha preso il completo controllo della fabbrica, occupando circa mille operai con contratto a termine.



(italiano / deutsch / english)

ICTY prison director kept US Embassy informed on Milosevic

1) INTRODUZIONE. In base a rivelazioni Wikileaks, il direttore del carcere dell'Aia Tim McFadden riferiva all'ambasciata USA in Olanda i dettagli delle conversazioni telefoniche private di Milosevic e del suo stato di salute. Perché?
2) Gespräch mit Christopher Black: Gefängnisdirektor als Informant Washingtons (jW)
3) REACTIONS IN DEN HAAG (IWPR):
KARADZIC REQUESTS TRIAL SUSPENSION / SESELJ URGES ACTION OVER EX-DETENTION UNIT OFFICER
4) FLASHBACK: The Hague ICTY Tribunal killed Yugoslavia's President Slobodan Milosevic / L'11 marzo 2006 il tribunale de L'Aia ha ucciso il presidente della Jugoslavia Slobodan Milosevic

LINK: 
Wikileaks cable from Clifford Johnson of the US embassy in The Hague which details statements made by Timothy McFadden, the former commanding officer of the United Nations Detention Unit, UNDU

NEL QUINTO ANNIVERSARIO DELL'ASSASSINIO: DEMONSTRATION AND EVENTS IN VIENNA, 11-12/3/2011
siti internet del Comitato Internazionale Slobodan Milosevic: 
http://www.icdsm.infohttp://www.free-slobo.de/
archivio Milosevic:
https://www.cnj.it/MILOS/

sull'assassinio di Milosevic nella galera dell'Aia:
https://www.cnj.it/MILOS/morte.htm


=== 1 ===

In base a rivelazioni Wikileaks, il direttore del carcere dell'Aia Tim McFadden riferiva all'ambasciata USA in Olanda i dettagli delle conversazioni telefoniche private di Milosevic e del suo stato di salute. Perché?

Riportiamo di seguito (a) una intervista a Christopher Black, giurista canadese e avvocato di fiducia di Mira Markovic, vedova di Slobodan Milosevic. 
L'intervista, che è apparsa sul quotidiano berlinese Junge Welt, riguarda l'inchiesta a proposito delle circostanze della morte di Milosevic. Black commenta in particolare le recenti rivelazioni di Wikileaks (b), secondo cui il direttore del carcere Tim McFadden ascoltava le telefonate di Milosevic e ne comunicava i contenuti riservati all'ambasciata USA, cioè a Washington. 
Seppure in molte carceri l'ascolto delle telefonate, come dei colloqui, sia previsto e legale, i loro contenuti non andrebbero divulgati a terzi. Viceversa, spiega Black,

<< McFadden ha divulgato conversazioni tra Milosevic e sua moglie, in cui si toccavano questioni relative alla strategia di difesa ed a testimoni, discussioni interne al team della difesa, il punto di vista di Milosevic su queste questioni, la mancanza di mezzi finanziari per la difesa, le influenze politiche, eccetera. E [McFadden] ha trasmesso agli USA dettagli strettamente confidenziali sullo stato di salute di Milosevic. Peraltro io temo che McFadden si sia incontrato anche con rappresentanti dell'Accusa. (...) McFadden ed il governo USA in questo modo di sono immischiati in un processo in corso, violando il dovere di neutralità. (...)
[Le rivelazioni di Wikileaks] possono seriamente influenzare il corso dei processi all'ICTY [il "tribunale ad hoc" dell'Aia]. Ogni accusato si deve adesso chiedere se è sottoposto ad un processo imparziale, quando il governo USA viene informato di tutto ciò che egli fa o dice. Se l'ICTY è indipendente e super-partes, che ragione hanno gli USA per incontrarsi con McFadden e raccogliere tutte queste informazioni? Quali informazioni vanno all'Accusa? Forse la controparte conosce ogni passo successivo previsto? Radovan Karadzic perciò, subito dopo la comparsa di queste rivelazioni, ha richiesto la fine delle intercettazioni ai suoi danni. (c)
(...) Ci dobbiamo anche chiedere quale origine abbia questo rapporto tra McFadden e gli USA, e come si è sviluppato. L'intero quadro cambia a seguito di questi nuovi dati di fatto. >>

Queste rivelazioni - nel carosello delle tante di Wikileaks, che ad osservatori attenti appaiono comunque parziali, incomplete ed orientate solo a scopi geostrategici piuttosto precisi, cioè a mettere in imbarazzo alcuni alleati poco affidabili per gli USA - sono passate sostanzialmente sotto silenzio. In Italia ne ha riferito solamente un lancio AGI (che riportiamo di seguito), nel quale tuttavia tra i tanti sciocchi pettegolezzi sui rapporti di Milosevic con i famigliari (d) si omette di sollevare lo scandalo più grosso: e cioè il fatto stesso che l'ex direttore della galera dell'Aia era un informatore di Washington.

(a cura di Italo Slavo)

NOTE:
(a) Si veda di seguito, sezione *2*.
(c) Sulle reazioni nelle aule del "Tribunale ad hoc" dell'Aia, a proposito di queste rivelazioni Wikileaks, in particolare da parte degli "imputati" Karadzic e Seselj, si vedano i testi riportati nella sezione *3* di questo post.
(d) I pettegolezzi sulle abitudini di Milosevic in carcere e sui suoi rapporti telefonici con collaboratori e famigliari erano già stati fatti trapelare, proprio dal direttore della galera McFadden, allo scopo di deviare l'attenzione pubblica dai contenuti del "processo"-farsa per mezzo di << una pioggia ben dosata di rivelazioni minori intrise di sarcasmo >> - si veda: http://archiviostorico.corriere.it/2002/febbraio/09/Milosevic_cella_con_Sinatra_Hemingway_co_0_0202096992.shtml .

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Olanda: su Wikileaks documento che racconta la vita di Milosevic in carcere


Agi, 6 febbraio 2011

Un cablogramma diplomatico statunitense, svelato oggi dal sito Wikileaks, ha fornito uno spaccato unico sulla vita dell’ex presidente serbo, Slobodan Milosevic, nella prigione del Tribunale penale internazionale (Tpi) dell’Aia in cui è morto. Il documento descrive Milosevic come un appassionato lettore di thriller giudiziari di qualità mediocre, un ascoltatore delle canzoni di Frank Sinatra e un detenuto che non mancava di godere della sua ora d’aria nel cortile della prigione.
L’Ambasciata statunitense all’Aia ha inviato al Dipartimento di stato Usa la sua informativa nel novembre 2003, quando il processo a Milosevic entrava nel suo secondo anno. L’autore del documento aveva avuto un colloquio col capo dell’unità di detenzione del Tpi Tim McFadden. Quest’ultimo era in contatto quotidiano con Milosevic e aveva accesso al contenuto delle sue conversazioni con la sua famiglia e i suoi amici, oltre che al dossier medico dell’ex presidente serbo. Nei colloqui con i rappresentanti dell’ambasciata, McFadden ha spiegato che Milosevic chiamava ogni giorno la moglie, Mira Markovic, e descriveva la loro relazione come “straordinaria”.
Markovic è descritta come una donna dalla personalità fortissima. “Milosevic poteva manipolare tutta una nazione, ma finiva a mal partito quando deve gestire sua moglie che, al contrario, sembrava esercitare una forte ingfluenza su di lui”.
Milosevic aveva problemi cardiaci e d’ipertensione, problemi che l’hanno angustiato durante tutto il corso del processo in cui doveva rispondere per genocidia e crimini di guerra relativi ai conflitti balcanici degli anni 90. Si trattava di sintomi “seri e difficilmente controllabili con i farmaci”. McFadden, inoltre, descrive Milosevic come un “narcistista” che si credeva “circondato da matti” nel tribunale. Eppure era convinto di controllare l’andamento del processo. “Ha una grande fiducia nelle proprie capacità e pensa che riuscirà a vincere di fronte al tribunale, un atteggiamento che rafforza il suo stato di salute stabile attuale”. Tuttavia, nel documento, c’è la previsione che le sue condizioni cliniche sarebbero peggiorate. Previsione che s’è avverata tre anni dopo, quando - il 14 marzo 2006 - l’ex presidente è morto.


=== 2 ===


11.02.2011 / Ausland / Seite 2

»Details über Gesundheit weitergegeben«


Gefängnisdirektor als Informant Washingtons. US-Depesche über Haft von Slobodan Milosevic. Ein Gespräch mit Christopher Black


Interview: Cathrin Schütz

Der kanadische Jurist Christopher Black ist Anwalt von Mira Markovic zur Aufklärung der Todesumstände von Slobodan Milosevic und Verteidiger am Internationalen Strafgerichtshof für Ruanda


Slobodan Milosevic hat während seines Prozesses vor dem UN-Sondertribunal für das ehemalige Jugoslawien (ICTY) in Den Haag in seiner Zelle »billige Kriminalthriller« gelesen und CDs von Frank Sinatra gehört, heißt es in einer von Wikileaks veröffentlichten US-Depesche. Auch was der frühere jugoslawische Präsident in privaten Gesprächen gesagt haben soll, wird kolportiert. Die Informationen stammen vom Gefängnisdirektor Tim McFadden. Ging dessen Abhöraktion mit rechten Dingen zu?

Enthüllt wurden von Wikileaks hier gleich mehrere Skandale: Zum einen hat der Gefängnisdirektor Details über Milosevics Privatleben und seinen Gesundheitszustand weitergegeben. Damit hat er seine strikte Schweigepflicht gebrochen. Zum anderen hat er dabei, wie es scheint, als Informant der US-Regierung agiert. Die Inhalte seiner privaten Gespräche mit Milosevic wie der Telefonate zwischen diesem und seiner Frau sowie Bekannten und auch persönliche Gewohnheiten, Launen, Bemerkungen hat er nämlich den USA gemeldet.

Sind die Abhörmaßnahmen legal?

Sie sind in vielen Gefängnissen gängig. Allerdings nicht, wenn es um vertrauliche Gespräche geht, etwa mit Anwälten und Beratern. McFadden hat Gespräche zwischen Milosevic und seiner Frau weitergegeben, in denen es um Fragen der Verteidigungsstrategie und um Zeugen ging, um Debatten innerhalb des Beraterteams, Milosevics Sicht auf diese Fragen, den Mangel an finanziellen Mitteln zur Verteidigung, politische Einflüsse usw. Und er hat streng vertrauliche Details über Milosevics Gesundheit an die USA geliefert. Außerdem befürchte ich, daß sich McFadden auch mit Vertretern der Anklageseite getroffen hat. Diese hätte einen klaren Nutzen daraus ziehen können.

McFadden und die US-Regierung haben sich dadurch in einen laufenden Prozeß eingemischt und die Neutralitätspflicht verletzt. McFadden stattet seinen Bericht nicht Rußland ab oder anderen Mitgliedern des UN-Sicherheitsrats. Meine Vermutung, daß es sich beim Jugoslawien-Tribunal um eine reine Kreatur von NATO und USA handelt, die nicht im Sinne des Rechts agiert, sondern politische Entscheidungen ausführt, wird erneut untermauern.

Könnte diese Wikileaks-Enthüllung die laufenden Prozesse vor dem ICTY betreffen?

Sie kann diese ernsthaft beeinflussen. Jeder Angeklagte muß sich nun fragen, ob er einen fairen Prozeß haben kann, wenn die Regierung der USA über alles informiert wird, was er tut und sagt. Wenn das ICTY unabhängig und unparteiisch ist, welchen Grund haben dann die USA, sich mit McFadden zu treffen und all diese Informationen einzuholen? Welche Informationen gehen an die Anklage? Kennt die Gegenseite vielleicht jeden geplanten nächsten Schritt? Radovan Karadzic hat übrigens gleich nach Erscheinen der Enthüllung das Ende seiner Observation beantragt.

Als Anwalt von Milosevics Witwe Mira Markovic sind Sie mit der Aufklärung seiner Todesumstände betraut. Milosevic verstarb im März 2006 im Gefängnis, angeblich an einer natürlichen Ursache, unter der Obhut von McFadden. Beeinflußt die Enthüllung Ihre Arbeit?

Wir wußten nicht, daß die US-Regierung Milosevic bewachte – eine Regierung, die während der NATO-Aggression gegen Serbien im Frühjahr 1999 versuchte, Präsident Milosevic zu töten, indem sie unter Verletzung des Kriegsvölkerrechts sein Haus mit Cruise Missiles angriff, sein Land unter Verletzung des Völkerrechts bombardierte und die ihn über ihre Handlanger mittels falscher Anschuldigungen anklagen ließ. Diese Regierung hat Milosevic möglicherweise während all der Jahre in Den Haag beobachten lassen, wußte alles, was er sagte und tat. Unsere Untersuchungen der Todesumstände von Milosevic müssen diese Fakten berücksichtigen. Warum wurden die USA über den Gesundheitszustand und seine Behandlung so umfassend informiert? Welchen Einfluß hatten sie auf die Arbeit der Haftanstalt, auf die Anordnungen von McFadden? Haben sie ihm gesagt, was er tun soll? Was er Wärtern und Krankenschwestern anordnen soll? Welche Rolle spielten die USA vor allem in den Monaten vor seinem Tod? Und wir müssen auch fragen, woher die Beziehung zwischen McFadden und den USA stammt, wie sie sich entwickelt hat. Das ganze Bild ändert sich durch diese neuen Fakten.

Am 11. März findet in Wien anläßlich des 5. Todestages von Slobodan Milosevic eine internationale Protestveranstaltung statt, auf der u.a. Christopher Black und der Anwalt von Radovan Karadzic, Goran Petronijevic, reden werden. Weitere Informationen: www.free-slobo.de

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IWPR’S ICTY TRIBUNAL UPDATE No. 678, February 7, 2011

KARADZIC REQUESTS TRIAL SUSPENSION

Former Bosnian Serb president says he needs time to consider new material.

By Rachel Irwin

Radovan Karadzic this week requested that his trial at the Hague tribunal be suspended for three months due to a large volume of material the prosecution recently disclosed to him.

This material – about 32,000 pages - mainly concerns events in various Bosnian municipalities, which is the next component of the prosecution’s case. Currently, the trial is still focused on the sniping and shelling of Sarajevo, as it has been since last April.

Karadzic is requesting that the proceedings be suspended from February 15 until May 15, save for a few witnesses with dates already fixed.

He claims that since most of the new material is in the Serbian language, only a few members of his legal team have the ability to review it. According to the submission, the time off from trial preparation “will ensure that the accused is not required to start defending events in the municipalities until he has received all of the disclosure he was entitled to receive before the trial commenced” including additional material that is expected in early April.

The judges have previously granted Karadzic’s requests for a trial suspension on three occasions—for a month last November, one week last September and two weeks last August. Each of those times Karadzic had just received a trove of material from the prosecution.

The prosecution has not yet responded to Karadzic’s request, and the judges will not make a decision on the matter until that response is filed.

In other recent developments, Karadzic has also requested that his phone calls no longer be monitored by court officials, as is standard practice regarding all detainees.

He bases his January 28 request on a leaked Wikileaks cable from Clifford Johnson of the United States embassy in The Hague which details statements made by Timothy McFadden, the former commanding officer of the United Nations Detention Unit, UNDU.

In the cable – which Karadzic attached to his request – McFadden is said to have described in great detail phone calls between Milosevic and his wife Mirjana Markovic.

“Milosevic could manipulate a nation, [McFadden] said, but struggled to maintain his wife who, on the contrary, seemed to exert just such a pull on him,” the cable states.

The cables also describe Milosevic’s taste in music, including Frank Sinatra, and “pot boiler thrillers”, it read.

Karadzic claims that the way McFadden disclosed this information is “shocking and disturbing.

“It is unknown to what extent, if any, officials of the United Nations detention unit or registrar have discussed with third parties information obtained in whole or in part through the monitoring or recording of Dr Karadzic’s conversations,” he states.

Karadzic further requests that the registrar obtain a statement under oath from the current commander of the detention unit, and all commanders since July 2008, “setting forth all instances in which they discussed Dr Karadzic’s case with persons outside of the registry and in the information revealed in those discussions”.

The president of the tribunal, Judge Patrick Robinson, has yet to respond to Karadzic’s request.

At a press conference on January 26, chief of the registrar’s office Martin Petrov told journalists that “at this point, the tribunal is unable to confirm the authenticity of the report but the matter is being looked into.

“A preliminary analysis of the alleged cable indicates that many of the issues raised in it were already in the public domain.”

For example, he said that “details about the daily routine of ICTY detainees have been available to the public for years”.

Petrov stressed “that the tribunal has clear confidentiality rules, which apply to all, including and especially to ICTY staff members. Alleged breaches of confidentiality are always investigated and appropriate action taken”.

Rachel Irwin is an IWPR reporter in The Hague.

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IWPR’S ICTY TRIBUNAL UPDATE No. 679, February 14, 2011

SESELJ URGES ACTION OVER EX-DETENTION UNIT OFFICER

Serb nationalist politician claims the former officer revealed Milosevic’s personal details prejudicing work of tribunal. 

By Rachel Irwin

Serbian nationalist politician Vojislav Seselj this week urged the Hague tribunal to take action against the former commanding officer of the United Nations detention unit in The Hague for allegedly disclosing personal details about ex-Serbian president Slobodan Milosevic to a United States diplomat.

Seselj’s remarks – in a report to tribunal president Judge Patrick Robinson – were related to a reportedly leaked diplomatic cable where Clifford Johnson, of the United States embassy in The Hague, allegedly detailed statements that former commanding officer Timothy McFadden is said to have made about Milosevic.

“Milosevic could manipulate a nation, [McFadden] said, but struggled to maintain his wife who, on the contrary, seemed to exert just such a pull on him,” the alleged cable stated about Milosevic’s daily phone conversations with his wife, Mirjana Markovic.


The said cable goes on to describe Milosevic’s “nearly photogenic memory”, his supposed narcissism, as well as his state of health and daily routine. In addition, the alleged cable mentions his taste in music and books, which included Frank Sinatra and “pot boiler thrillers”.

Seselj claims that “by sending the information to US agencies and state organs, [McFadden] caused serious prejudice to the reputation and the work of the [tribunal]”. He said that if Judge Robinson doesn’t take action “commensurate” with the allegations at hand, “the already poor international reputation of the [tribunal] will be ruined further”.

Seselj then listed numerous rules enacted at both the tribunal and the detention unit, known as the UNDU, and described how McFadden allegedly broke them.

The reported details about Milosevic’s relationship with his wife were “a scandalous disclosure about the private relationship between spouses”, he alleged, and went on to note that it is “normal for spouses to call each other every day”.

He concluded by urging Judge Robinson to take action on the matter, or “it will be clear that the [tribunal] is under the same jurisdiction as the Guantanamo camp/military court”.

Detained at the UNDU since 2003, Seselj is charged with nine counts of war crimes and crimes against humanity – including murder, torture and forcible transfer – for atrocities carried out in an effort to expel the non-Serb population from parts of Croatia and Bosnia between August 1991 and September 1993. He remains leader of the Serbian Radical Party, SRS, based in Belgrade.

Seselj’s trial has endured repeated delays since it officially began in November 2007, a full year after the original trial date was postponed due to the accused’s hunger strike. In addition, he was found guilty of contempt in July 2009 for revealing confidential details about protected witnesses in one of the books he authored. The accused is set to face yet another contempt trial on similar charges.

Fellow accused Radovan Karadzic has already used the alleged leaked cable as a basis for requesting that his phone calls no longer be monitored by court officials, as is standard for all detainees.

In a January 28 motion, Karadzic claimed that the way McFadden disclosed the information on Milosevic was “shocking and disturbing.

“It is unknown to what extent, if any, officials of the United Nations detention unit or registrar have discussed with third parties information obtained in whole or in part through the monitoring or recording of Dr Karadzic’s conversations,” he stated.

Karadzic further requested that the registrar obtain a statement under oath from the current commander of the detention unit, and all commanders since July 2008, “setting forth all instances in which they discussed Dr Karadzic’s case with persons outside of the registry and in the information revealed in those discussions”.

The president of the tribunal has yet to respond to Karadzic’s request.

At a press conference on January 26, chief of the registrar’s office Martin Petrov told journalists that “at this point, the tribunal is unable to confirm the authenticity of the report but the matter is being looked into.

“A preliminary analysis of the alleged cable indicates that many of the issues raised in it were already in the public domain”.

For example, he said that “details about the daily routine of [tribunal] detainees have been available to the public for years”.

Petrov stressed “that the tribunal has clear confidentiality rules, which apply to all, including and especially to staff members. Alleged breaches of confidentiality are always investigated and appropriate action taken”.

Rachel Irwin is an IWPR reporter in The Hague.


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The Hague ICTY Tribunal killed Yugoslavia's President Slobodan Milosevic


Global Research, March 10, 2009
Strategic Cultural Foundation

President Slobodan Milosevic. In memoriam

On 11 March 2006 the Hague Tribunal killed Yugoslavia's President Slobodan Milosevic


On 11 March 2006 the UN`s International Tribunal for the Former Yugoslavia (ICTY) reported that Slobodan Milosevic had been “found dead in his cell”. On 14 March the court stopped all trial procedures on the case. While reporting on the causes of Milosevic`s death, the Tribunal's Vice-President Kevin Parker said “Milosevic died a natural death as a result of a heart attack”. But there is evidence that Slobodan Milosevic was killed, and that the ICTY was responsible for the murder.

This is how it all happened. First, Milosevic was placed in prison, where his health deteriorated. Then he was refused to be treated in a heart surgery center and when his heart condition worsened, he did not receive urgent medical help. The Tribunal did so deliberately as they knew about his health problems.

One should just read the following medical reports to understand that Milosevic had not received necessary medical treatment. Dr. Aarts: “Atherosclerosis is typical for people of his age”. Dr. De Laat: “Over the past 6 months Milosevic suffered strong head noise and tension and a partial hearing and sight loss. Probably, poor hearing was caused by cardiovascular problems”. Dr.Spoelstra knew that Milosevic had been wearing earphones for five years but still suggested “just to regulate volume level for the earphones”. The ICTY prison doctor Paulus Falke: “I discussed the issue with an otolaryngologist from the Bronovo hospital. He told me Milosevic`s poor hearing was normal for people of his age”. Could all these reports be just a medical mistake? No.

Milosevic was diagnosed correctly, and all the rest doctors were aware of it. On 4 November 2005 Slobodan Milosevic said he wanted to be examined by doctors. There were three of them: Doctor of Medicine, Professor Shumilina M.(Russia), Professor Leclerc (France) and Professor Andric (Serbia). Doctor Shumilina said Milosevic had not received proper medical treatment and insisted on urgent thorough medical examination and treatment. She also warned there was a risk of serious brain problems. Cardiologist Leclerc was not given an opportunity to familiarize himself with the results of Milosevic` previous medical examinations. He said an ECG test he did to Milosevic was “extremely anomalous”. In their joint report, the international group of doctors warned the Tribunal that the patient's condition was very grave and he was at risks. They said Milosevic had to be examined more throughly to get a precise diagnosis. The doctors asked for a 6-week rest for Milosevic`s body and mind so that he could feel at least some kind of relief.

Shumilina`s opinion caused much annoyance. It was the first time when a group of independent doctors proved that Milosevic`s poor health condition had been caused by improper medical treatment. Shumilina was criticized and even accused of being involved in conspiracy with Milosevic. On 14 December 2005 she wrote a letter to the Tribunal to express her annoyance at the attempts made by some of doctors to play down the importance of her resolution on Milosevic`s health. Among other things, she wrote that not the age of 64 had caused Milosevic`s atherosclerosis but the lack of proper treatment for his arterial hypertension.

In December 2005 Leo Bokeria, Director of Moscow's Bakulev Heart Surgery Center, wrote to the ICTY President Fausto Pokar that Milosevic`s health had deteriorated due to wrong treatment. Bokeria said the aim was to “prevent cardiovascular catastrophe”, so the Tribunal`s President should hardly have any doubts about it. In December 2005 Slobodan Milosevic asked the court to let him be hospitalized in Moscow. Despite the fact that all the regulations were observed, Milosevic was refused.

The ICTY accused Milosevic of deliberately taking unprescribed drugs to worsen his health condition in order to leave for Moscow and there escape from court.

Timothy McFadden, the prison governor responsible for Milosevic, wrote a letter to the Tribunal on 19 December 2005, in which he said he had long doubted whether Milosevic was taking prescribed drugs. McFadden also reported that the ICTY prison doctor could no longer hold responsibility for Milosevic`s health, neither the Tribunal's secretary was going to do it. Obviously, conclusions made by McFadden were not based on the results of medical treatment. Actually, Milosevic`s blood tests showed “low levels of prescribed and unprescribed medicines”. And without having any solid evidence, McFadden described the blood tests as the result of Milosevic`s deliberate actions.

In his letter of January, 6, 2006 the ICTY prison doctor Paulus Falke repeats McFadden: “The tests showed that he had been taking prescribed medicines not as regularly as he should. Besides, he took drugs neither me nor other doctors have prescribed him”. Toxicologist Donald Uges added: “I have reasons to believe Milosevic had been taking unprescribed drugs. This is what could have caused his high blood pressure”.

Dr. Tou was the only one to name a few possible reasons for low concentration of prescribed drugs in Milosevic`s blood: weak gastrointestinal absorption, inaccurate use of prescribed medicines, interaction with other substances, lowered absorption of enzymes and quick metabolism for CYP2D6. All these conclusions were based on elementary medical tests. The question is how other doctors failed to be aware of this. Obviously, it could have been done only deliberately. However, before Dr. Tou`s report was published, Falke ruled out any other causes except non-use of prescribed drugs. Falke lacked competence to make conclusions like he did. He wanted the court to have a negative image of Milosevic.

On 12 January 2006 Slobodan Milosevic demanded a sample of his blood to be taken for analysis. The procedure took place after he had been taking the medicines prescribed by Falke. The test showed the same level of medicines as before. Thus Falke`s and McFadden's allegations were refuted. Falke insisted that Milosevic had been taking “unprescribed drugs”. But toxicologist Uges said only two medicines were spotted in Milosevic`s blood- Diazepam and Nordazepam. Appointed attorneys found out that Diazepam had been prescribed to Milosevic by Falke in the middle of October 2005. According to Dr. Tou, who did a repeated expertise, the metabolism of Nordazepam is possible only with participation of Diazepam. Dr. Uges added that “concentration of both medicines in blood was too low to have any pharmacological effect”. Even if these two medicines are found in a patient's blood for months, they will not do any harm and cause high blood pressure in any way. In view of this, all the reports presented at the Tribunal are nothing but a provocation.

The appointed attorneys noted: “It was mentioned in none of the reports that Diazepam had been repeatedly prescribed to Milosevic by Dr. Falke: a) during a whole period of his imprisonment; b) particularly, during three days in mid October 2005. On 7 March 2006, three days before Milosevic`s death, the judges were reported that Milosevic`s blood taken for analysis on 12 January contained unprescribed Rifampicin, which could neutralize the effects of the heart medicine Milosevic was required to take.

The report published after Milosevic`s death by the ICTY Vice-President Kevin Parker read: “Autopsists diagnosed a grave heart condition which caused death”. If investigators were objective, they would have been noted that grave heart condition was diagnosed long before by Shumilina and Bokeria. In any case, diagnosis should be made when a patient is alive but Milosevic was refused to undergo necessary medical examination. Unbiased investigation should have been focused on the reasons of a heart attack. However, nothing of the kind was discussed.

Instead of investigating the situation with rifampicin in Milosevic`s blood, Parker was busy justifying Dr. Falke. But he was doing it so clumsily that even members of the Tribunal were puzzled. The information about rifampicin appeared two months after the medicine had been spotted in blood. “Dr. Falke and his colleagues discussed a possibility to reveal the information without Milosevic`s permission”, Parker explained. But such explanation is absurd since nothing prevented Falke from disclosing all information. It was even more absurd to say that the information about rifampicin was hidden from Milosevic. Firstly, this explanation itself refutes all the previous (if Milosevic did not know about rifampicin, why should he be against this information be disclosed?). Secondly, in his report Parker lies when he says “Dr. Falke did not informed Milosevic on rifampicin in his blood in accordance with the Dutch regulations on anonymity in medicine”.

Three days before his death Slobodan Milosevic wrote in a letter to the Russian Foreign Ministry: “the fact that my blood contains rifampicin, an antibiotic that is normally used to treat leprosy and tuberculosis, proves that none of these doctors have the right to treat me... I defended by country from them and now they want me to keep silence for ever”. The fact that the court stopped all trial procedures without investigating the causes of Milosevic`s death makes us think that the ICTY either organized the murder or sheltered the criminals.

Today there is hardly anyone who believes that Milosevic`s killers may be found and tried. But I am confident that such mission should exist, no matter how impossible it is. Well, now those criminals enjoy power in the Hague and worldwide but it won't last for ever. Slobodan Milosevic proved resistance is possible. Men of such strength are rare nowadays. That is why their death is perceived as personal tragedy.

Never forget President Slobodan Milosevic!


© Copyright , Strategic Cultural Foundation, 2009 

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di seguito la traduzione fattaci pervenire da Alessandro Lattanzio
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Presidente Slobodan Milosevic. In memoriam

Alexander Mezayev 11.03.2009

L'11 marzo 2006 il tribunale de L'Aia ha ucciso il presidente della Jugoslavia Slobodan Milosevic
 
L'11 marzo 2006 il tribunale internazionale dell’ONU per l'ex Jugoslavia (ICTY) ha segnalato che Slobodan Milosevic “era stato trovato privo di vita nella sua cellula”. Il 14 marzo la corte ha sospeso tutte le indagini sul caso. Mentre segnalava le cause della morte di Milosevic, il vice presidente del Tribunale Kevin Parker ha detto che “Milosevic è morto per cause naturali in conseguenza di un attacco di cuore”. Ma vi è prova che Slobodan Milosevic è stato ucciso e che l’ICTY è responsabile dell'omicidio. Ecco cos’è veramente accaduto.
In primo luogo Milosevic è stato costretto in prigione, dove la sua salute s’è deteriorata. Allora gli è stato rifiutata la possibilità d’essere curato in un centro di cardiologia e quando lo stato del suo cuore ha peggiorato, non ha ricevuto un aiuto medico urgente. Il tribunale ha agito in tal modo deliberatamente, sapendo dei suoi problemi sanitari. Si dovrebbero leggere solo i seguenti rapporti medici per capire che Milosevic non ha ricevuto il trattamento medico necessario.
Dott. Aarts: “L'arteriosclerosi è tipica per gente della sua età”. Dott. De Laat: “In questi ultimi 6 mesi Milosevic ha sofferto un forte mal di testa, tensioni e una perdita parziale della vista e dell’udito. Probabilmente, il calo dell'udito è stato causato dai problemi cardiovascolari”. Il Dr.Spoelstra ha saputo che Milosevic stava portando i trasduttori auricolari da cinque anni ma ha suggerito solo “di regolare il livello del volume per i trasduttori auricolari”. Il dottore Paulus Falke della prigione dell’ICTY: “Ho discusso la cosa con un otorinolaringoiatra dell'ospedale di Bronovo. Mi ha detto che il calo d’udito di Milosevic era normale per persone della sua età”.
Potevano essere tutti questi rapporti solo un errore medico? No. Milosevic ha avuto la diagnosi corretta e, del resto, tutti i medici erano informati di ciò. Il 4 novembre 2005 Slobodan Milosevic ha detto che voleva essere esaminato dai medici. C’erano tre di loro: la professoressa Shumilina M. (Russia), il professor Leclerc (Francia) ed il professor Andric (Serbia). La dottoressa Shumilina ha detto che Milosevic non aveva ricevuto il trattamento medico adeguato e aveva insistito su un esame medico e su un trattamento completo urgente. Inoltre ha avvertito che c’era il rischio di problemi seri al cervello. Il cardiologo Leclerc non ha avuto l’occasione di familizzare con i precedenti risultati degli esami medici di Milosevic. Ha detto che ha eseguito un test ECG su Milosevic ed era stato “estremamente anomalo”.
Nel rapporto congiunto, il gruppo internazionale dei medici ha avvertito il tribunale che lo stato del paziente era molto serio ed era a rischio. Hanno detto che Milosevic doveva essere esaminato completamente per ottenere una diagnosi precisa. I medici hanno chiesto per sei settimane per esaminare il corpo e la mente di Milosevic, in modo che potessero compiere almeno un certo genere di rilievi. L'opinione della Shumilina ha causato molta irritazione. Era la prima volta che un gruppo di medici indipendenti ha dimostrato che lo stato sfavorevole della salute di Milosevic era stato causato da un trattamento medico improprio. Shumilina è stata criticata e perfino è stata accusato di coinvolgimento in una cospirazione con Milosevic.
Il 14 dicembre 2005 ha scritto una lettera al tribunale per esprimere la sua irritazione verso i tentativi fatti da alcuni medici per sminuire l'importanza del suo referto sulla salute di Milosevic. Tra l'altro, ha scritto che non è stata l'età di 64 anni ad aver causato l'arteriosclerosi di Milosevic, ma la mancanza di trattamento adeguato per la sua ipertensione arteriosa.
Nel dicembre 2005 Leo Bokeria, direttore del centro di cardiochirurgia Bakulev di Mosca, ha scritto al presidente Fausto Pokar dell’ICTY, dicendo che la salute di Milosevic era deteriorata a causa del trattamento errato. Bokeria ha detto che lo scopo era “impedire la catastrofe cardiovascolare”, così che il presidente del tribunale non dovrebbe avere alcun dubbio su ciò.
Nel dicembre 2005 Slobodan Milosevic ha chiesto alla corte di lasciarlo ospedalizzare a Mosca. Malgrado il fatto che tutte le norme fossero osservate, la richiesta è stata rifiutata.
L’ICTY ha accusato Milosevic di aver deliberatamente preso delle droghe non prescritte per peggiorare il suo stato di salute per andare a Mosca e, da lì, sottrarsi alla corte. Timothy McFadden, il direttore della prigione responsabile di Milosevic, ha scritto una lettera al tribunale il 19 dicembre 2005, in cui ha detto che da tempo dubitava del fatto che Milosevic stesse prendendo dei medicinali prescritti. McFadden inoltre ha segnalato che il medico della prigione dell’ICTY non aveva più la responsabilità dello stato di salute di Milosevic, e né la segreteria del Tribunale se ne curava.
Ovviamente, le conclusioni di McFadden non sono basate sui risultati del trattamento medico. Realmente, le analisi del sangue di Milosevic hanno mostrato “bassi livelli di medicine prescritte e non prescritte”. E senza avere alcuna prova solida, McFadden ha descritto le analisi del sangue come risultato delle azioni intenzionali di Milosevic. Nella sua lettera del 6 gennaio 2006 il dottore della prigione dell’ICTY Paulus Falke segue McFadden: “Gli esami hanno provato che stava prendendo regolarmente le medicine prescritte come doveva. Inoltre, ha preso a droghe che né io che nessun altro medico ha prescritto”.
Il Tossicologo Donald Uges ha aggiunto: “Penso che Milosevic stesse prendendo droghe non prescritte. Cose che potrebbero aver causato la sua ipertensione”. Il Dott. Tou è stato l’unico a parlare dei motivi possibili per la bassa concentrazione di medicinali prescritti nel sangue di Milosevic: l'assorbimento gastrointestinale debole, l'uso inesatto delle medicine prescritte, interazione con altre sostanze, hano abbassato l'assorbimento degli enzimi e del metabolismo rapido per CYP2D6. Tutte queste conclusioni sono basate su test medici elementari. La domanda è come altri medici non sono riusciti a rendersi conto di ciò, ovviamente, ciò può essere accaduto solo deliberatamente. Tuttavia prima che il rapporto del Dott. Tou fosse pubblicato, Falke ha escluso tutte le altre cause tranne l’uso di medicinali non prescritti. Falke manca della competenza per trarre le conclusioni che ha fatto. Ha voluto che la corte avesse un'immagine negativa di Milosevic.
Il 12 gennaio 2006 Slobodan Milosevic ha richiesto un campione del suo sangue per l'analisi. La procedura è avvenuta dopo, quando stava prendendo le medicine prescritte da Falke. L'esame ha provato lo stesso livello di medicine di prima. Così le accuse di McFadden'e Falke sono state confutate. Falke ha insistito che Milosevic stesse prendendo “droghe non prescritte”. Ma il tossicologo Uges ha detto che soltanto due medicine sono state tracciate nel sangue di Milosevic: Diazepam e Nordazepam. Gli avvocati nominati hanno scoperto che il Diazepam era stato prescritto a Milosevic da Falke verso la metà dell'ottobre 2005. Secondo il Dott. Tou, che ha fatto u

(Message over 64 KB, truncated)


Kosovo: Everybody knew what Thaci did 

1) The Culture of Impunity, NATO Style (Diana Johnstone)
2) NEWS:
- Marty: Everybody knew what Thaci did 
- Kosovo a mafia state – EuroMP
- Moscow insists on Kosovo trafficking probe
- Serbia wants UN inquiry into Kosovo leader's alleged organ trafficking 
- KFOR's Final Firefighting Exercise for Kosovo Security Force 
- US congratulates Kosovo on independence day
- Kosovo rebels told UN of organ harvests 
3) Pacolli for President - with Thaci's support


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The Culture of Impunity, NATO Style


Diana Johnstone 
  

(Counterpunch, February 14, 2011)


Coverup of the Kosovo Mafia: The Culture of Impunity, NATO Style

On January 25, the Council of Europe overwhelmingly endorsed the Report it had commissioned from Swiss Senator Dick Marty on longstanding but officially ignored indications that Kosovo Albanian separatist fighters extracted and sold vital organs from prisoners around the end of the 1999 NATO bombing war that detached Kosovo from Serbia. Specifically implicated was the Drenica section of the “Kosovo Liberation Army” (KLA) led by post-bombing Kosovo’s first and current President, Hashim Thaci. The Council of Europe, whose main function is to defend human rights, called for a proper judicial investigation, notably by the European Union Rule of Law Mission in Kosovo (EULEX)
(For a thorough analysis of the Marty Report, see “Criminal Kosovo: America’s Gift to Europe”, by Diana Johnstone, CounterPunch newsletter, Vol. 18, no.1, January 1-15, 2011.)
The problem created by the Marty Report is the same as the one that gave rise to it. There is no clear judicial authority willing and able to undertake a criminal investigation of the organ trafficking charges. The charges first surfaced in the 2006 memoir of former Chief ICTY Prosecutor Carla del Ponte, who complained that she was not allowed to pursue investigation of evidence in Albania. It was because of this judicial void that the Council of Europe mandated Senator Marty to make his report, hoping to stimulate some sort of legal procedure. But the problem remains. Most of the alleged crimes took place on the territory of Albania, where the KLA operated bases and prisons, but the Albanian authorities have so far refused to cooperate with investigators. EULEX was sent to Kosovo to try to fill the judicial void left by secession. However, like all the international protectorate structures set up to construct “independent” Kosovo, EULEX is afraid of arousing the wrath of Kosovo Albanians and has great difficulty gaining their cooperation in criminal investigation.
Media coverage of the organ trafficking charges implicating Hashim Thaci has been far too muted to build pressure from public opinion on reluctant Western governments to take the issue to court. Human Rights Watch has called for an independent European prosecutor to pursue the case, but there has been no audible response from the governments concerned. Mr. Marty’s expressed fear that his report will remain a “dead letter” seems quite plausible.
Even as the Marty Report appears fated to join the Goldstone Report on Gaza in the limbo of good intentions, the counterattack was launched. Oddly, the London Review of Books chose to publish a five-page review of the Marty Report by someone with a strong vested interest in discrediting it: none other than Geoffrey Nice, who as assistant prosecutor at the International Criminal Tribunal for former Yugoslavia (ICTY) in The Hague, led the prosecution of Yugoslav president Slobodan Milosevic.  Nice’s only real achievement in the five-year-long trial was to outlive both the presiding judge and the defendant. The monstrous dimensions of the prosecution, aimed at blaming Milosevic for virtually all the woes of the complex civil wars that tore apart Yugoslavia in the 1990s, succeeded in sending Milosevic to his grave before he could present his defense, thus sparing the three judges the task of finding excuses to convict him, as they were hired to do.
The LRB review gave Sir Geoffrey (he was knighted in 2007 for his services) the opportunity to rehash the ICTY prosecution version of NATO’s Kosovo war (the “objective was to forestall a humanitarian catastrophe”) complete with the standard exaggerated figures (“at least 10,000 Kosovo Albanians killed”) and crucial omissions (Hashim Thaci “was chosen to go to Rambouillet in preferance to the Kosovan president, Ibrahim Rugova” – without saying by whom he was chosen, namely the U.S. State Department).
Nice’s main diversionary tactic was to center his attack on an unidentified “witness K144”. He titled his review “Who is K144?” and went on to answer the question by claiming that K144 was both the basis for the Marty Report accusations and non-existent creation of Serbian media propaganda.  A hasty reader might overlook the parenthetical element in the following sentence: “Stories in the Serbian press suggest that many of these allegations came from a witness known as K144, although del Ponte never refers to this source in her book (and nor does Marty, directly).” In reality, there is no “witness K144” mentioned in the Marty Report. Nice’s citations from the Serbian press do not correspond to the Marty Report.
The Nice article was immediately echoed and amplified by an article in The Wall Street Journal, which enjoys a larger and more American audience. Under the title “Smearing Hashim Thaci: Are the organ-harvesting allegations part of a media campaign against Kosovo?” (conclusion: yes) British journalist and Member of Parliament Denis MacShane gave a rave review of Nice’s review. “Most troublesome, according to Mr. Nice, is that Mr. Marty’s narrative implicitly depends on an anonymous witness, ‘K144’, who Belgrade says has provided evidence of these atrocities, but who most likely does not exist.”
Denis MacShane is a prize attack dog from the kennel of Tony Blair’s poodle imperialism. He is a member of the Henry Jackson Society, a gathering of warmongers whose model is the “Senator from Boeing”, Henry “Scoop” Jackson, who in the 1970s, with the aid of the Richard Perle, championed aggressive anti-Soviet policies under a supposedly liberal banner. MacShane’s claim to be “on the left” seems to rest almost exclusively on his championing of “the only democracy in the Middle East”, which allows him to make up for the shortage of communist threats with Islamic terrorism. His “European Institute for the Study of Contemporary Antisemitism” issued a 2009 report which undertook to define which kinds of criticism of Israel constitute anti-Semitism. These included describing the state of Israel as a racist endeavor and comparing contemporary Israeli policy to that of the Nazis. He is on the board of “Just Journalism” whose aim is to oversee UK media reports on Israel.
Mr. MacShane was Labour Minister for the Balkans and then for Europe, but was suspended from the Labour Party last October 14 pending investigation of expense account padding. He reportedly became the first British MP to be reported to the police by the Parliamentary Commissioner for Standards concerning his claims on taxpayer-funded office expenses. MacShane’s claims over seven years totaled about £125,000, including nearly £20,000 a year for an office located in his garage, eight laptop computers in three years and over a dozen bills for “research and translation” by an elusive “European Policy Institute” which turned out to mean, basically, his brother Edmund Matyjaszek (for his professional life, MacShane dropped his father’s Polish name for his mother’s Irish name surname). He has also been involved in numerous minor scandals involving distortion of facts. None of this seems to have harmed his self-confidence or his career, which includes regular essays for Newsweek. From his writings one can gather that the only Muslims he really trusts are the ones in former Yugoslavia.
Aside from the K144 diversion, the Nice-MacShane attack on the Marty Report zeroes in on two factors that to readers unfamiliar with the case may look like serious weakness. The report, they stress, gives no names of victims and no names of witnesses. The explanation for this is simple.  There are indeed lists of potential victims: missing Serbs and ethnic Albanians who are presumed dead after being taken prisoner by the KLA.  Without material evidence, it is nearly impossible to ascertain the precise fate of missing persons over ten years ago in a country, Albania, where local authorities have refused to cooperate and have had ample time to dispose of evidence.
As for the names of witnesses, Mr. Marty refuses to disclose them except to serious judicial authorities with a witness protection program.  This caution is absolutely necessary given the record of witness intimidation and even murder, notably in the case of Thaci’s rival in the KLA hierarchy, clan leader Ramush Haradinaj. Sir Geoffrey refers to this politely as “accusations of witness tampering”.
Geoffrey Nice concludes his review in the LRB by conceding that the allegations against Thaci need to be dealt with, simply because they make a bad impression. Mr. Nice compares Thaci to the West’s man in Montenegro, Milo Djukanovic, accused by Italian authorities of large-scale cigarette smuggling. “Montenegro, like Kosovo, can readily be trashed as a criminal state; and also like Kosovo, it seeks membership of the EU. Djukanovic has just announced that he will stand down and cease to hold political office. This, some say, is intended to ease Montenegro’s entry into organizations that are prepared to negotiate with the likes of Djukanovic or Thaci when their states are emerging from conflict but want afterwards to deal with someone less compromised. Thaci might well have to follow the same path as Djukanovic if the current rumors continue to circulate.”
Taking into account the habitual understatement employed by Geoffrey Nice concerning the wrongdoings of “our side”, this can be read as acknowledgement that both NATO protégés are crooks to some degree or other, who were useful in wresting their lands away from the Serbs, but now had best step back to make way for more presentable puppets. Being prosecuted for those wrongdoings, whatever they may be, is, however, out of the question.
Human rights campaigners in the self-righteous Western democracies are intransigent when it comes to ending what they call “the culture of impunity” so long as it involves, say, Africa. But their own impunity and that of their clients seems more secure than ever.

Diana Johnstoneis the author of Fools Crusade: Yugoslavia, NATO and Western Delusions. She can be reached at diana.josto@...


=== 2 ===

http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2011&mm=02&dd=12&nav_id=72677

B92 - February 12, 2011

Marty: Everybody knew what Thaci did 

LJUBLJANA: The killing of witnesses, the fact that everybody knew what Hashim Thaci was doing and the destruction of evidence is a scandal, Dick Marty told the Slovenian daily Delo. 

“Everybody kept quiet. That’s the real scandal, not my report in which I only wrote what many have known for a long time,” the Council of Europe (CoE) rapporteur was quoted as saying.

He added that Thaci’s name had often been mentioned in police reports, diplomatic cables, criminal studies and foreign intelligence agencies’ reports. 

“That means that the West knew all along very well what was happening in Kosovo, but no one took any action,” the CoE rapporteur told the Slovenian daily. 

Commenting on first UNMIK Chief Bernard Kouchner’s reaction to a reporter’s question about the human organ trafficking, Marty said: “A man who laughs at such a horrific topic says a lot about himself”. 

Marty also spoke about his visit to The Hague, adding that he had been utterly surprised by the fact that evidence from the Yellow House had been labeled as irrelevant and then destroyed. He explained that the Hague Tribunal had said it was a normal procedure but according to him, this is not the way evidence is handled anywhere in the world. 

Speaking about EULEX, the CoE rapporteur said that there were several highly professional people there but that conditions they worked in were horrible and unacceptable. 

“There is no secrecy. All translators are local, there are many local staff. That is why even the most confidential information has been systematically leaking,” he said, adding that if he were a lawyer of a witness in Kosovo he would never advise them to testify before EULEX, “primarily because they cannot protect the witnesses”. 
....
“The only solution is a special investigative unit outside Kosovo, with special authority and with a very serious witness protection program. Europe is never going to accept that. Because it knows that my witnesses would really talk and reveal that a large part of the European politicians knew all along what was going on in Kosovo. Do you really think that Brussels wants to hear something like this?” the CoE rapporteur concluded.  

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http://english.ruvr.ru/2011/02/14/44351856.html

Voice of Russia - February 14, 2011

Kosovo a mafia state – EuroMP

Euro-Parliament member and head of the United Nations counternarcotics agency Pino Arlacchi describes Kosovo as a mafia state built around transnational organized crime and the import of Afghan-produced heroin.
Speaking in Moscow Monday, he criticized the international officials in Kosovo and the nations that extended recognition to it for turning a blind eye to the problem.

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http://english.ruvr.ru/2011/02/17/44782073.html

Voice of Russia - February 17, 2011 

Moscow insists on Kosovo trafficking probe

Russia has called for a thorough investigation into suspected human organ trafficking in Kosovo. 
Speaking on Thursday, the Kremlin’s Ambassador to the United Nations Vitaly Churkin said international mechanisms needed to be called upon to carry out the probe. 
His call followed Wednesday’s presentation of a report by prominent Swiss human rights activist Dick Marty at the UN Security Council, in which he proved that Kosovo militants had extracted organs from Serb prisoners and sold them to “black market” dealers.   

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http://www.dw-world.de/dw/article/0,,14846344,00.html

Deutsche Welle - February 17, 2011

Serbia wants UN inquiry into Kosovo leader's alleged organ trafficking 

Author: Holly Fox (AFP, Reuters)

Serbia says the United Nations should look into allegations that Kosovo's prime minister was part of an organ trafficking network during the Kosovo War in the late 1990s. 
Speaking at the United Nations on Wednesday, Serbian Foreign Minister Vuk Jeremic called on the international body to look into allegations that the Kosovo's Prime Minister Hashim Thaci was behind the trafficking in organs from ethnic Serbs in 1999 and 2000. A report by Dick Marty of the Council of Europe human rights watchdog made the original accusation that senior commanders of the former ethnic Albanian Kosovo Liberation Army, including Thaci, were the masterminds of and organ trafficking network.
Jeremic described Marty's report as "deeply disturbing" and said that the European Union mission EULEX currently looking into the issue was not enough because the allegations involved locations outside of Europe such as Asia and Africa.
"The solution lies in establishing an ad hoc investigating mechanism created by - and accountable to - the Security Council," he said.
US envoy Rosemary DiCarlo said the EULEX investigation was sufficient. "We do not believe that an ad hoc UN mechanism is necessary or appropriate," she said. Britain and Germany also denied the need for UN involvement, while Jeremic received support from long-time ally Russia.

Three years of independence

Thursday marks the third anniversary of Kosovo's unilateral declaration of independence from Serbia. Despite Belgrade's fierce opposition, it has been recognized by 75 countries, including the US and all but five EU members. Russia continues to oppose its independence.
Thaci was elected in December in Kosovo's first elections since declaring independence and has rejected the accusations against him.
A NATO bombing campaign drove Serb forces out of Kosovo in 1999....The UN passed administration duties on to EULEX in December 2008....

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http://www.aco.nato.int/page424203219.aspx

North Atlantic Treaty Organization
Allied Command Operations
February 17, 2011

KFOR's Final Firefighting Exercise for Kosovo Security Force 

On Wednesday the 16th of February 2011, General Enrico Spagnoli, Commanding General for the formation of the Kosovo Security Force (KSF) attended the KSF final fire fighting exercise at KFOR HQ fire fighting station. 
General Enrico Spagnoli from KFOR welcomed Brigadier General Imri Ilazi and Colonel Skender Hoxha from KSF.
This fire fighting basic training course started on 31st of January 2011 with 13 candidates from the Civilian Protection Regiment of KSF. During the graduation ceremony the fire fighting certificates were presented to all the successful KSF candidates.

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http://www.google.com/hostednews/afp/article/ALeqM5i-Jgu3PRX8XIHQYDXZJU2p-vmJzQ?docId=CNG.68e525354daffd868eac000986513f10.191

Agence France-Press - February 17, 2011

US congratulates Kosovo on independence day

WASHINGTON: Secretary of State Hillary Clinton congratulated Kosovo Thursday on the third anniversary of its declaration of independence, saying the United States was committed to its future.
The United States "is committed to your future and we are honored to be your friends and your partners," Clinton said in the statement.
"You are charting a new future for your country and for the region."
She added that the anniversary "is a fitting occasion for Kosovo's elected leaders to reinforce their commitment to good governance and transparency -- both essential to fulfill Euro-Atlantic integration."
Clinton said that she had been "impressed with the promise of such a young country" during her visit to Kosovo in October, where she was met by cheering crowds waving US flags and carrying banners thanking Washington.
Clinton's husband, former US president Bill Clinton (1993-2001) ordered US forces to take part in the NATO bombing campaign that drove Serb troops out of Kosovo in 1999 and paved the way for the UN administration of the territory and finally the declaration of independence.
During the visit Hillary Clinton stopped at a bronze statue of her husband in downtown Pristina.
Kosovo unilaterally declared independence from Serbia in 2008....

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http://ap.stripes.com/dynamic/stories/E/EU_KOSOVO_ORGAN_HARVESTS?SITE=DCSAS&SECTION=HOME&TEMPLATE=DEFAULT

Associated Press - February 18, 2011

Kosovo rebels told UN of organ harvests 

By NEBI QENA 

PRISTINA, Kosovo: Ethnic Albanian rebels in Kosovo gave detailed testimony in 2003 on an alleged program to kill Serb captives, sell their organs, and bury hundreds of victims to hide evidence of civilian killings, according to a U.N. document obtained by The Associated Press.
The 30-page compilation of statements by at least eight people to U.N. investigators could provide momentum to claims that the world body failed to pay proper attention to war crimes by ethnic Albanian Kosovars in their 1990s war for independence.
U.N. authorities briefly investigated organ harvesting claims in 2004 but never launched a full-fledged probe, prompting Serb accusations of double standards in pursuing war crimes.
The document outlines an alleged scheme to take captives of the Kosovo Liberation Army rebels to Albania in the aftermath of the war so their kidneys, livers and other organs could be removed at a home that had been set up as a medical clinic.
U.N. officials were told the home was equipped with specialized equipment and medical personnel to carry out operations.
In a letter dated Dec. 12, 2003, Paul Coffey, the top justice official in Kosovo at the time, wrote to Jonathan Sutch, the official in charge of Yugoslav tribunal investigations in Kosovo, that the alleged crimes were reported to the U.N. in Kosovo by "multiple sources of unknown reliability."
Coffey said the information was "based on interviews with at least eight sources, the credibility of whom is untested, all ethnic Albanians from Kosovo or Montenegro who served in the Kosovo Liberation Army."
Details of the interviews were given more than seven years ago to the U.N.'s Netherlands-based tribunal that was then responsible for prosecuting war crimes in the former Yugoslavia; no one has been brought to trial.
The interviews were made available to the AP by an international official who asked not to be named because of the sensitivity of the case.
They appear to back allegations made by Council of Europe investigator Dick Marty, who said in a recent report on the case that Western governments ignored the accusations for fear of destabilizing Kosovo.
Marty's report in December named Kosovo's Prime Minister Hashim Thaci, the former head of the KLA, as the boss behind a network dealing in kidneys and other human organs as well as organized crime. Thaci has denied wrongdoing and has supported an international inquiry.
According to the documents, the sources told U.N. officials in 2003 that senior KLA officers and officials from the Albanian government were involved in the alleged crimes, which purportedly went on as late as the summer of 2000, almost a year after Kosovo came under U.N. and NATO control.
One source is quoted as telling investigators that the first two surgeries to harvest organs were done "to breach the market," and that traffickers later were able to make up to $45,000 per body.
"The largest shipment was when they did 5 Serbs together....He said they took a fortune that time," the source said according to the document. "Other shipments were usually from two or three Serbs."
The source told investigators that workers at the Rinas airport outside the Albanian capital of Tirana and at the airport in Istanbul, Turkey, where the organs were allegedly taken for sale, were bribed "to close their eyes."
The flight between the two cities takes about 1 hour 45 minutes; sources told the U.N. the house where the organs were allegedly harvested was a two-hour drive from the airport.
If packed in ice after removal, organs are viable for several hours after extraction - hearts and lungs for four-six hours, livers for 18-24 hours, kidneys for 24-48 hours.
Two sources claimed they took part in delivering body parts to Tirana's international airport, but "none of the sources witnessed the medical operations," U.N. officials noted in the document.
The organ trafficking claims, first made public in a 2008 book by former U.N. war crimes prosecutor Carla del Ponte, are resurfacing as Kosovo marks three years since declaring its sovereignty, with strong backing from the U.S. and most countries in the European Union.
Since then, Kosovo has met strong resistance from Serbia, which claims the territory as its spiritual homeland and seeks to undermine statehood. The alleged trade in kidneys of killed captives has given Serbia ammunition in its fight to counter Kosovo and its Western backers.
Serbian Foreign Minister Vuk Jeremic on Wednesday called on the U.N. Security Council to authorize an international investigation into the allegations and to deal with claims that some countries "would love to sweep this thing under the carpet."
The head of the U.N. mission in Kosovo, Lamberto Zannier, told the AP that the 2,000-strong EU mission - known as EULEX - now in charge of dealing with war crimes in Kosovo was given every war crimes file that the Yugoslavia tribunal and the U.N. possessed, including witness statements.
Both the U.N. and the EU have prosecuted war crimes committed in Kosovo by both Serbs and ethnic Albanians, but the interviews are the first recorded reference on alleged organ trading to emerge.
"I can confirm that we gave the material we had to EULEX....This was early in 2009" Zannier said by phone from New York, where he was reporting to the U.N. Security Council.
EULEX says it has launched a preliminary investigation into Marty's allegations, but would not immediately comment on the 2003 report. It was not immediately clear if it was following up on any of the information given by the eight sources to the U.N.
So far, both the U.N. and EULEX have maintained that their investigations into the alleged organ harvesting have failed to yield any evidence.
The statements taken by the U.N. give specific details of locations in Albania where the KLA allegedly kept detainees and buried victims, some of them also ethnic Albanians accused of collaborating with Serbs.
The sources, described as "low to midlevel ranking KLA members," said the Serbs were driven by trucks and vans to Albania where they were held in detention centers and some went through medical checks.
The trail was partly followed up in February 2004, when a team of U.N. and tribunal investigators visited a house in the village of Rripe where the sources said the organ harvesting took place.
The investigators, accompanied by a local Albanian prosecutor, recovered syringes; empty containers of Tranxene, a muscle relaxant; chloraphenical, an antibiotic; and a piece of gauze similar to material used for surgical scrubs.
Chemical agents sprayed on the floors and walls of the house revealed two sizable splatters of blood - one in the kitchen, another in a storage room. But forensics tests were never conducted on the stains, and U.N. officials at the time said they could not explain why not.
According to the sources in the U.N. document, most of the alleged Serb victims ranged in age from 25 to 50.
One source said he was instructed by KLA superiors not to beat the prisoners. He became suspicious when they were to deliver "a briefcase or a file with papers that would be given to the doctor when the captives were delivered" to the house in northern Albania.
"I thought about how this was the only house where I brought people, but never picked anyone up," one source testified. "It was around this time that I heard other guys talking about organs, kidneys, and trips from the house to the airport."
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Associated Press Medical Writer Maria Cheng contributed from London.


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http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2011&mm=02&dd=15&nav_id=72731

B92 - February 15, 2011

Thaci to make Pacolli president 

PRIŠTINA: Hashim Thaci's Democratic Party of Kosovo has decided to offer the post of president of Kosovo to Behgjet Pacolli. 
Pacolli is the leader of the New Kosovo Alliance.
This should allow a new government to be formed in Priština, in the wake of the December elections. 
According to this proposal, Thaci will be prime minister once again, while his party will also name the president of the assembly in Priština. 
The two Kosovo Albanian parties will in the coming days consider how to distribute portfolios, according to announcements. 
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The assembly is expected to meet for its first session on February 24.  

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http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2011&mm=02&dd=16&nav_id=72757

Beta News Agency - February 16, 2011

Russian media on Pacolli 

MOSCOW: Moscow media are reporting that Kosovo presidential candidate Behgjet Pacolli is known in Russia for a Kremlin reconstruction scandal. 
Moscow-based daily Kommersant writes that Pacolli was at the center of corruption affairs close to former Russian President Boris Yeltsin. 
The media write that the New Kosovo Alliance (AKR) leader was in Russia in the early 1990s when his Switzerland-based company Mabetex Group was carrying out projects in Yakutia. 
He allegedly met Yakutsk Mayor Pavel Borodin who became head of the Presidential Property Management Department in 1993. 
Pacolli’s firm was soon hired to reconstruct the Kremlin, Shuyskaya Chupa presidential residence, government headquarters, headquarters of the State Duma and the Federation Council and many more projects, the media write. 
Moscow-based daily Moscow Komsomolets reports that “scandalous Behgjet Pacolli, a Kremlin restorer, will head Kosovo”, while RBC TV states that Pacolli was hired to do a reconstruction of the Russian state buildings thanks to his friendship with Borodin. 
Kommersant writes that Pacolli became a central figure of the corruption scandal close to Yeltsin and that several officials were suspected of accepting bribes in exchange for the Kremlin reconstruction job. 
Mabetex offices in Lugano were searched in January of 1999 at Russia’s request and Pacolli was questioned by then Swiss State Prosecutor Carla Del Ponte. 
According to the daily, the Swiss authorities charged him with money laundering and giving bribes worth USD 4mn in June 2000. The proceedings in Russia were in dismissed in December 2000 and Switzerland closed the case in March 2002. 
Kommersant also writes that a personal conflict in the meantime grew between Pacolli and then Russian State Prosecutor Yuri Skuratov, who launched the investigation against Mabetex and was subsequently relieved of his duties. 
The daily added that if Pacolli became the president of Kosovo, he would enter "high politics" and therefore achieve his goal. The report says that he has been actively lobbying for Kosovo’s independence since 2005 and that it would be "much easier for him to continue lobbying if he became president". 
Voice of Russia Radio has assessed that Pacolli is “simply an angel” compared to Kosovo Albanian Prime Minister Hashim Thaci. 
“Such a president can talk to Brussels, to Washington, to Belgrade and even to unobliging Moscow if he is lucky,” the radio reported. 
Russian Academy of Science Center for Study of Current Balkan Crisis’ Anna Filimonova told the radio, however, that Pacolli had also lobbied for the Nabucco gas pipeline and Iran-Turkey-Greece-Albania-Kosovo pipeline. 
According to her, this is fundamentally contrary to the Russian interests in the Balkans, especially regarding the construction of the rival South Stream gas pipeline.