Informazione


Jugoslavenski glas - Voce jugoslava

 

Od Triglava do Vardara... Dal monte Triglav al fiume Vardar...

Svakog drugog utorka, od 14,00 do 14,30, na Radio Città Aperta, i valu FM 88.9 za regiju Lazio, emisija:
JUGOSLAVENSKI GLAS
Moze se pratiti i preko Interneta: http://www.radiocittaperta.it/stream.htm 
Pisite nam na jugocoord@...  Citajte nas na www.cnj.it

 

Ogni due martedì dalle ore 14,00 alle 14,30, su Radio Città Aperta, FM 88.9 per il Lazio:
VOCE JUGOSLAVA
La trasmissione, che si può seguire via Internet - http://www.radiocittaperta.it/stream.htm -,
è bilingue (a seconda del tempo disponibile e della necessità).
Scriveteci all'indirizzo email: jugocoord@...  Leggeteci al nostro sito www.cnj.it.

 

                                Program       1.II. 2011     Programma 

- 1. februara 1918. u Boki Kotorskoj izbila pobuna mornara, koji su na brodove zuto crne carevine (austrougarske) istakli crvene zastave. Pobuna je skrsena, 800 mornara uhapseno. Pred prijeki vojni sud privedeno 40. Strijeljani su Ceh Frantisek Ras i Hrvati Antun Grabar, Jerko Sizgoric i Mate Baricevic.
- Situacija u Fiat Srbiji nakon masovnih otpustanja radnika. Razgovaramo telefonski sa Rajkom Veljovic
- Ostale obavjesti

 

- Il 1. febbraio 1918 scoppia la rivolta dei marinai nelle Bocche di Cattaro, contro l'Impero austroungarico. I marinai al posto della bandiera imperiale innalzano la bandiera rossa. In 800 sono arrestati. 40 sono processati. 
Vengono fucilati il ceco Frantisek Ras ed i croati Antun Grabar, Jerko Sizgoric e Mate Baricevic.
Il monumento al marinaio della rivolta, posto a Pola nel parco davanti l' Arena, è stato abbattuto per 2 volte: la prima 
volta nel 1991 sotto Tudjman, e per anni non si è saputo dove era stato gettato. L'anno scorso, dopo mesi di incertezza, è
 stato di nuovo rimesso al suo posto.

- A che punto è... la "Puntoalla Fiat-Serbia di Kragujevac. E gli altri investimenti italiani in Serbia.

Ne parliamo telefonicamente con Rajka Veljovic.
- Altre notizie e comunicazioni.

 

In studio Eleonora e Ivan


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JEDINSTVENA SINDIKALNA ORGANIZACIJA ZASTAVA


SAVEZ SINDIKATA SRBIJE - SINDIKAT METALACA SRBIJE

Adresa : Тrg Тopolivaca 4, 34000 Kragujevac
Тelefon/Faks : 034/335 367 & 335 762 - lokal : 22 69
Elektronska pošta : jsozastava@...

SINDACATO ZASTAVA RESISTE


Cari amici,

Stimate associazioni,


Con la decisione del governo serbo marchio ZASTAVA non esiste piu dal 5. gennaio 2011. Fabbrica ZASTAVA e andata nella storia.

Rimangono altri reparti dell’ex Gruppo ZASTAVA (in totale 15 fabbriche ZASTAVA) che rimangono unite nelle attivita sindacali con riferimento al Sindacato ZASTAVA (la struttura con la quale avete rapporti diretti). Questa struttura continuera a svolgere tutte le attivita precedenti pur essendo ridotto lo staff sindacale per le persone che erano lavoratori della Fabbrica Auto (Radoslav Delic – segretario generale, Dragan Corbic – informatico dell’ Ufficio adozioni e relazioni estere e Rajka Veljovic).

Per quanto riguarda segretario generale, le elezioni sindacali saranno il 18.marzo ed e gia concordato all’ Assemblea sindacale che segretario generale sara Rajko Blagojevic (ex vicesegretario). Per quanto riguarda l’Ufficio relazioni estere e adozioni a distanza tutte le attivita finora svolte saranno continuate fino a quando le associazioni italiane ci saranno vicine.

Nella Fabbrica Auto Serbia e nelle fabbriche ZASTAVA dell’ex Gruppo 85% sono le iscrizioni al nostro sindacato ma cio nonostante il sindacato si trova nella situazione economica molto difficile come pure tutti i lavoratori, innanzitutto quelli licenziati.

Per tutto cio vi invitiamo di non far cessare la vostra solidarieta tra i lavoratori e di contribuire alla lotta comune nella difesa dei diritti acquisiti nel passato.

Ed infine, vi ringraziamo per la solidarieta finora espressa e della quale purtroppo abbiamo bisogno ancora.



Vicesegretario

Rajko Blagojevic



Kosovo criminale

1) Kosovo Criminale: il regalo degli USA all’Europa (Diana Johnstone)
2) Kosovo: crimini orribili nascosti dall'Occidente (Avante)

Altri articoli segnalati:

Kosovo: il Rapporto Marty è stato censurato da Israele?
Kosovo: l'Ufficio della Del Ponte distrusse i documenti sui crimini contro i serbi
http://sitoaurora.altervista.org/Eurasia/Balkanija75.htm


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Kosovo Criminale: il regalo degli USA all’Europa


Diana Johnstone, 10 gennaio 2011

(Traduzione di Alessandro Lattanzio)

I media degli USA hanno dato maggiore attenzione alle vaghe accuse di incontri sessuali di Julian Assange con due loquaci donne svedesi, che a un rapporto ufficiale che accusa il Primo Ministro del Kosovo Hashim Thaci di gestire una impresa criminale che, tra i vari crimini contestati, l’aver ucciso dei prigionieri per venderne gli organi vitali sul mercato mondiale.
La relazione del liberale svizzero Dick Marty fu richiesta due anni fa dall’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE). Da non confondere con l’Unione europea, il Consiglio d’Europa è stato fondato nel 1949 per promuovere i diritti umani, lo stato di diritto e la democrazia, ed ha 47 stati membri (rispetto ai 27 dell’UE).
Mentre gli esperti giuridici statunitensi tentano febbrilmente di giocare le accuse che possono utilizzare per richiedere l’estradizione di Assange negli Stati Uniti, per essere debitamente punito aver sconcertato l’impero, il portavoce del Dipartimento di Stato americano Philip Crowley ha piamente reagito alle accuse del Consiglio d’Europa, dichiarando che gli Stati Uniti continueranno a lavorare con Thaci in quanto, “qualsiasi persona in qualsiasi parte del mondo, è innocente fino a prova contraria”.
Tutti, cioè, ad eccezione, tra gli altri, di Bradley Manning che è in isolamento, anche se non è stato trovato colpevole di nulla. Tutti i prigionieri di Guantanamo sono stati considerati colpevoli, punto. Gli Stati Uniti stanno quotidianamente applicando la pena di morte a uomini, donne e bambini in Afghanistan e Pakistan, che sono innocenti fino alla morte.
Gli imbarazzati sostenitori dell’auto-proclamato piccolo stato di Thaci respingono le accuse, dicendo che il rapporto Marty non prova la colpa di Thaci. Naturalmente non è così. Non può. Si tratta di una relazione, non di un processo. Il rapporto è stato ordinato dalla PACE proprio perché le autorità giudiziarie hanno ignorato le prove dei gravi crimini. Nel suo libro di memorie del 2008 ‘La caccia. Io e i criminali di guerra’, l’ex procuratrice presso il Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia (ICTY) dell’Aja, Carla del Ponte, ha denunciato che le è stato impedito di svolgere un’indagine approfondita sui rapporti sull’estrazione di organi da serbi e altri prigionieri, effettuata dall’”Esercito di liberazione del Kosovo (UCK)” in Albania. Infatti, le voci e le relazioni di tali atrocità, diffuse nei mesi successivi l’occupazione del Kosovo da parte delle forze di occupazione NATO, sono state diligentemente ignorate da tutte le autorità giudiziarie interessate.
La relazione di Marty afferma di aver scoperto prove corroboranti, comprese le deposizioni di testimoni la cui vita sarebbe in pericolo, se i loro nomi venissero rivelati. La conclusione della relazione non è e non potrebbe essere un verdetto, ma una domanda alle autorità competenti di intraprendere un procedimento giudiziario in grado di vagliare tutte le prove ed emettere un verdetto.


Scetticismo sulle atrocità

E’ sempre prudente essere scettici riguardo storie di atrocità circolanti in tempo di guerra. La storia mostra molti esempi di racconti di atrocità totalmente inventate, che servono a fomentare l’odio del nemico in tempo di guerra, come la larga diffusione, durante la prima guerra mondiale, di rapporti di tedeschi che “tagliano le mani ai bambini belgi”. Giornalisti e politici occidentali hanno abbandonato ogni scetticismo prudente riguardo la diffusione di truculenti racconti di atrocità serbe, usate per giustificare i bombardamenti NATO sulla Serbia nel 1999. Personalmente, il mio scetticismo si estende a tutte queste storie, a prescindere dall’identità dei presunti colpevoli, e ho evitato per anni di scrivere le storie albanesi di trapianto di organi, proprio per questo motivo. Non ho mai considerato Carla del Ponte una fonte affidabile, ma piuttosto una donna ingenua e arrogante che era stata scelta dagli sponsor statunitense del TPIY, perché pensavano di poterla manipolare. Non c’è dubbio per chi gli sponsor del Tribunale stavano lavorando, dato che è stata impostata da e per gli Stati Uniti e la NATO, al fine di giustificare la loro scelta di campo nelle guerre civili jugoslave, che avrebbero imposto una battuta d’arresto prima che potesse allontanarsi dal  percorso assegnatoli, prima di ficcare il naso neii crimini commessi dagli albanesi protetti dagli USA. Ma questo non prova che i presunti reati siano stati effettivamente commessi.
Tuttavia, il rapporto Marty va al di là delle vaghe voci facendo accuse specifiche nei confronti del “Gruppo di Drenica” dell’UCK, guidato da Hashim Thaci. Nonostante il rifiuto delle autorità albanesi a cooperare, vi è un’ampia dimostrazione che il KLA abbia gestito una catena di “case sicure” in territorio albanese, durante e dopo la guerra della NATO contro la Serbia del 1999, utilizzandole per trattenere, interrogare, torturare e, talvolta, uccidere i prigionieri. Una di queste case sicure, appartenente ad una famiglia individuata dall’iniziale “K”, è stata citata da Carla del Ponte e dai media, come “la casa gialla” (sebbene dipinta di bianco). Per citare il Rapporto Marty (paragrafo 147):
Ci sono sostanziali elementi di prova che un piccolo numero di prigionieri fatti dall’UCK, tra cui alcuni serbi rapiti, trovarono la morte a Rripe, in corrispondenza o in prossimità della casa dei K.. Abbiamo appreso di queste morti non solo attraverso le testimonianze di ex soldati dell’UCK che hanno dichiarato di aver partecipato alla detenzione e trasporto dei prigionieri, mentre erano in vita, ma anche attraverso le testimonianze di persone che hanno assistito indipendentemente alla sepoltura, disseppellimento, spostamento e risepoltura cadaveri dei prigionieri’(…)”
Un numero imprecisato, ma apparentemente piccolo, di prigionieri è stato trasferiti su furgoni e autocarri in un sito che operava nei pressi dell’aeroporto internazionale di Tirana, dal quale gli organi potevano essere recapitati rapidamente ai destinatari.
Gli autisti di questi furgoni e camion – molti dei quali sarebbero testimoni cruciali degli abusi descritti – hanno visto e sentito i prigionieri soffrire molto durante i trasporti, in particolare a causa della mancanza di una corretta alimentazione aerea del loro scompartimento nel veicolo, o a causa del tormento psicologico del destino che si suppone li aspettava“. (paragrafo 155).
I prigionieri descritti nella relazione come “vittime della criminalità organizzata” includevano “persone che abbiamo scoperto esser state prese in Albania centrale per essere assassinate immediatamente prima di avere i loro reni rimossi in una clinica di fortuna.” (paragrafo 156).
Questi prigionieri “indubbiamente subirono la prova più terribile, sotto la custodia dei loro rapitori dell’UCK. Secondo le testimonianze originarie, i prigionieri ‘filtrati’ in questo sottoinsieme, venivano inizialmente mantenuti vivi, alimentati bene e con il permesso di dormire, trattati con relativa moderazione da parte delle guardie dell’UCK e dagli aguzzini, che altrimenti li picchiavano indiscriminatamente” (paragrafo 157).
Le testimonianze su cui abbiamo basato le nostre scoperte, parlano in maniera credibile e coerente di una metodologia con la quale sono stati uccisi tutti i prigionieri, di solito con un colpo di pistola alla testa, prima di essere operati per rimuovere uno o più dei loro organi. Abbiamo appreso che questo era principalmente un traffico di ‘reni dai cadaveri’, cioè i reni estratti postumi, non si trattava di un insieme di procedure chirurgiche avanzate che richiedono studi clinici controllati e, per esempio, un ampio uso di anestetici” (paragrafo 162).


Scetticismo sulla “liberazione

Il rapporto Marty ricorda, inoltre, ciò che è noto comunemente in Europa, vale a dire che Hashim Thaci e il suo “Gruppo di Drenica” sono notori criminali. Mentre il Kosovo “liberato” affonda sempre più nella povertà, hanno accumulato fortune in vari tipi di commerci illegale, in particolare la riduzione in schiavitù delle donne per la prostituzione e il controllo dei narcotici illegali in tutta Europa.
In particolare, in rapporti confidenziali che coprono più di un decennio, le agenzie dedicate alla lotta contro il contrabbando di droga, in almeno cinque paesi, hanno definito Hashim Thaci e gli altri membri del suo “Gruppo di Drenica”, esercitanti il controllo violento del traffico di sostanze stupefacenti, di eroina e altro” (paragrafo 66).
Allo stesso modo, gli analisti d’intelligence che  lavorano per la NATO, come pure quelli in servizio in almeno quattro governi stranieri indipendenti, hanno tratto risultati interessanti dalla loro raccolta di informazioni relative al periodo immediatamente successivo al conflitto nel 1999. Thaci è stato comunemente identificato e citato, nei rapporti di servizi segreti, come il più pericoloso dei ‘boss criminali’ dell’UCK” (paragrafo 67).
La sinistra, che aveva abboccato all’esca, lenza e piombo della propaganda per la “guerra per salvare i kosovari dal genocidio“, che giustificava l’assalto, i  bombardamenti e l’invasione della NATO, nel 1999, aveva accettato prontamente l’identificazione del “Kosovo Liberation Army” in un movimento di liberazione nazionale che meritava il suo sostegno. Non fa parte della leggenda romantica i rivoluzionari che rapinano le banche per la loro causa? La sinistra assume che tali attività criminali siano semplicemente un mezzo per il fine dell’indipendenza politica. Ma cosa succede se l’indipendenza politica è in realtà il mezzo per proteggere le attività criminali?
L’assassinio di poliziotti, la specialità dell’UCK prima di essere avere in dote il Kosovo dalla NATO, è un’attività ambigua. L’obiettivo è dell’”oppressione politica“, come sostiene, o semplicemente l’applicazione della legge?
Che cosa hanno fatto Thaci e compagnia con la loro “liberazione”? Prima di tutto, hanno permesso ai loro sponsor statunitensi di costruire una grande base militare, Camp Bondsteel, sul territorio del Kosovo, senza chiedere permesso a nessuno. Poi, dietro una cortina di chiacchiere sulla costruzione della democrazia, hanno terrorizzato le minoranze etniche, eliminato i loro rivali politici, favorito la criminalità e la corruzione dilagante, applicato brogli elettorali e si sono ostentatamente arricchiti grazie alle attività criminali che costituiscono l’economia reale.
Il Rapporto Marty ricorda cosa è successo quando il presidente jugoslavo, Slobodan Milosevic, sotto la minaccia NATO di spazzare via il suo paese, ha deciso di ritirarsi dal Kosovo e permettere a una forza delle Nazioni Unite, denominata KFOR (subito acquisita dalla NATO) di occupare il Kosovo.
“In primo luogo, il ritiro delle forze di sicurezza serbe dal Kosovo aveva ceduto nelle mani di diversi gruppi scissionisti dell’UCK, incluso il “Gruppo di Drenica” di Thaci, l’efficace controllo, senza restrizioni, di uno ampio spazio territoriale in cui effettuare le varie forme di contrabbando e di traffici” (paragrafo 84).
KFOR e UNMIK sono stati incapaci di attuare la legge in Kosovo, controllare i movimenti delle persone o di controllare le frontiere dopo i bombardamenti della NATO nel 1999. Le fazioni e frange dell’UCK avevano il controllo di aree distinte del Kosovo (villaggi, tratti di strada, a volte anche singoli edifici) e sono stati in grado di attuare imprese criminali organizzate quasi a volontà, anche nello smaltimento dei trofei della loro vittoria percepita sui serbi” (paragrafo 85).
In secondo luogo, l’acquisizione di Thaci di un maggior livello di autorità politica (Thaci dopo aver nominato se stesso Primo Ministro del governo provvisorio del Kosovo) aveva apparentemente incoraggiato il “Gruppo di Drenica” a cancellare tutti i loro più aggressivi rivali, presunti traditori e persone sospettate di essere “collaboratrici” dei serbi” (paragrafo 86).
In breve, la NATO ha esautorato la polizia già esistente, consegnando la provincia del Kosovo a dei gangster violenti. Ma questo non è stato un caso. Hashim Thaci non era solo un gangster che ha approfittato della situazione. E’ stato accolto a braccia aperte dalla segretario di Stato USA Madeleine Albright e dal suo braccio destro, James Rubin, per il suo lavoro.


“Vi ho visto nei film…”

Fino al febbraio 1999, la sola rivendicazione di Hashim Thaci alla fama si trovava negli archivi della polizia serba, dove era ricercato per vari crimini violenti. Poi, all’improvviso, nel castello francese di Rambouillet fu chiamato, spintoo sotto i riflettori del mondo dai suoi gestori statunitensi. Fu uno dei colpi di scena più bizzarri di tutta la saga tragicomica del Kosovo.
La signora Albright era impaziente di usare il conflitto etnico in Kosovo per dare una dimostrazione della potenza militare degli Stati Uniti bombardando i serbi, al fine di riaffermare il predominio degli Stati Uniti sull’Europa tramite la NATO. Ma i leader europei di alcuni paesi della NATO pensavano che fosse politicamente necessario dare almeno un pretesto per cercare una soluzione negoziata al problema del Kosovo, prima dei bombardamenti. E così una falsa “trattativa” venne allestita presso Rambouillet, progettato dagli Stati Uniti per spingere i serbi a dire di no a un ultimatum impossibile, al fine di sostenere che l’Occidente  umanitario non aveva altra scelta che bombardare.
Per questo, avevano bisogno di un albanese del Kosovo, che avrebbe giocato al loro gioco.
Belgrado aveva inviato una folta delegazione multietnica a Rambouillet, pronta a proporre una soluzione dando ampia autonomia al Kosovo. Dall’altra parte c’era una delegazione puramente di etnia albanese del Kosovo, tra cui molti intellettuali di spicco locali con esperienza in tali negoziati, compreso il leader riconosciuto a livello internazionale del movimento separatista albanese in Kosovo, Ibrahim Rugova che, si riteneva, avrebbe guidato la delegazione “kosovara“.
Ma per la sorpresa generale degli osservatori, gli intellettuali erano stati messi da parte, e la leadership della delegazione era stata rilevata da un giovane, Hashim Thaci, conosciuto negli ambienti della polizia come “il serpente“.
Gli statunitensi promossero la scelta di Thaci per ovvie ragioni. Mentre i vecchi albanesi del Kosovo  rischiavano effettivamente di negoziare con i serbi, e quindi raggiungere un accordo che avrebbe impedito la guerra, Thaci doveva tutto agli Stati Uniti, e avrebbe fatto come gli era stato detto. Inoltre, mettere un “ricercato” criminale al vertice della delegazione, fu un affronto ai serbi contribuendo a fare naufragare i negoziati. E, infine, l’immagine di Thaci faceva appello all’idea degli statunitensi di cosa sia un “combattente per la libertà“, dovrebbe apparire.
Il più stretto collaboratore di Albright, James Rubin, ha agito come un talent scout, supervisionando la buona immagine di Thaci, dicendogli che era così bello che doveva stare a Hollywood. Infatti, Thaci non ha l’aspetto di un gangster di Hollywood, stile Edward G. Robinson, ma di un eroe pulito con una vaga somiglianza con l’attore Robert Stack. Joe Biden s’è lamentato che Madeleine Albright era “innamorata” di Thaci. L’immagine è tutto, dopo tutto, soprattutto, quando gli Stati Uniti stanno gettando la loro superproduzione del Pentagono, per “salvare i kosovari“, al fine di ridisegnare i Balcani, con il loro stato satellite  “indipendente“.
Il pretesto per la guerra del 1999 era quello di “salvare i kosovari” (il nome assunto dalla popolazione albanese della provincia serba, per dare l’impressione che si trattava di un paese e che ne erano i legittimi abitanti) dalla minaccia immaginaria di “genocidio”. La posizione ufficiale degli Stati Uniti era quella di rispettare l’integrità territoriale della Jugoslavia. Ma era sempre evidente che dietro le quinte, gli Stati Uniti avevano fatto un accordo con Thaci per dargli il Kosovo, come piano per la distruzione della Jugoslavia e la paralisi della Serbia. Il caos che seguì il ritiro delle forze di sicurezza jugoslave, permise alle bande dell’UCK di prendere il sopravvento e agli Stati Uniti di costruire Camp Bondsteel.
Acclamato da una virulenta lobby  albanese negli Stati Uniti, Washington ha sfidato il diritto internazionale, ha violato i propri impegni (l’accordo di porre fine alla guerra del 1999 richiedeva alla Serbia di inviare la polizia nel Kosovo, ma non le fu mai permesso), e ignorato obiezioni sordina da parte degli alleati europei di sponsorizzare la trasformazione della provincia serba in un povero di etnia albanese “stato indipendente“. Dall’indipendenza unilateralmente dichiarata nel febbraio 2008, lo staterello fallito è stato riconosciuta solo da 72 su 192 membri delle Nazioni Unite, tra cui 22 dei 27 Stati membri dell’Unione europea.


EULEX contro Fedeltà di Clan

Pochi mesi dopo, l’Unione europea aveva istituito uno “Stato di diritto dell’Unione europea in Kosovo” (EULEX), destinato ad assumere l’autorità giudiziaria nella provincia dalla Missione delle Nazioni Unite in Kosovo (UNMIK), che aveva apparentemente esercitato tali funzioni dopo che la NATO aveva cacciato i serbi. La creazione stessa dell’EULEX era la prova che il riconoscimento UE dell’indipendenza del Kosovo era ingiustificata e disonesta.  E’ stata una ammissione che il Kosovo, dopo essere stato consegnato alle bande dell’UCK (alcuni in guerra l’uno contro l’altro), non è stata in grado di fornire neanche una parvenza di legge e ordine, e quindi, in alcun modo preparato ad essere “uno stato indipendente“.
Naturalmente l’occidente non potrà mai ammetterlo, ma è stata la denuncia della minoranza serba, negli anni ‘80, che non potevano contare sulla protezione da parte dei tribunali o della polizia, allora gestiti dal partito comunista a maggioranza etnica albanese, che ha portato alla limitazione dell’autonomia del Kosovo da parte del governo serbo, mossa ritratta in Occidente come una persecuzione gratuita motivata da odio razziale di proporzioni hitleriane.
Le difficoltà nell’ottenere giustizia in Kosovo sono essenzialmente le stesse, ora come allora, – con la differenza che la polizia serba capiva la lingua albanese, mentre gli internazionali dell’UNMIK e dell’EULEX, sono quasi totalmente dipendenti dai locali interpreti albanesi, la cui veridicità non possono controllare.
Il Rapporto Marty descrive le difficoltà nelle indagini sulla criminalità in Kosovo:
La struttura della società kosovara albanese, ancora molto orientata al clan, e l’assenza di una vera società civile, hanno reso estremamente difficile stabilire i contatti con le fonti locali. La situazione è aggravata dalla paura, spesso fino al punto dell’autentico terrore, che abbiamo osservato in alcuni dei nostri informatori, immediatamente dopo la definizione del soggetto della nostra ricerca.
“Il senso radicato di fedeltà al proprio clan, e il concetto di onore … rendono i testimoni albanesi ancor più irraggiungibili, per noi. Dopo aver visto due importanti azioni penali intraprese dall’ICTY, che hanno causato la morte di tanti testimoni, e in ultima analisi, la mancata attuazione di justice16, un relatore dell’Assemblea parlamentare con misere risorse, è assai improbabile che muterà le probabilità di tali testimoni di parlarci direttamente.
“Numerose persone che hanno lavorato per molti anni in Kosovo, e che sono diventate tra i commentatori più autorevoli in materia di giustizia nella regione, ci hanno consigliato che le reti criminali organizzate di albanesi (‘la mafia albanese’) in Albania, nei territori limitrofi, compresi Kosovo e ‘l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia’ e nella diaspora, erano probabilmente più difficili da penetrare di Cosa Nostra, e anche gli operatori di basso livello, piuttosto si prendevano una pena detentiva di decenni, o una condanna per oltraggio, che abbandonare il loro clan
.”
Un secondo rapporto, presentato questo mese al Consiglio d’Europa dal relatore Jean-Charles Gardetto, sulla protezione dei testimoni nei processi per crimini di guerra nell’ex Jugoslavia, osserva che non esiste nessuna legge di protezione dei testimoni in Kosovo e, più seriamente, non c’è modo di proteggere i testimoni che possono testimoniare contro i compaesani di etnia albanese.
Nei casi più gravi, i testimoni sono in grado di testimoniare solo in modo anonimo. Tuttavia, ha precisato il relatore, queste misure sono inutili fintanto che il testimone è fisicamente in Kosovo, dove tutti conoscono tutti. La maggior parte dei testimoni sono subito riconosciuti dalla difesa quando consegnano la loro testimonianza, nonostante tutte le misure di anonimato.”
“Ci sono molte limitazioni al regime di protezione attualmente disponibili, anche perché il Kosovo ha una popolazione di meno di due milioni in una comunità molto affiatata. I testimoni sono spesso percepiti come traditori della loro comunità quando  testimoniano, inibendo i possibili testimoni a farsi avanti. Inoltre, molte persone non credono che abbiano il dovere morale o legale di deporre come testimoni nelle cause penali.
Inoltre, quando un testimone vuole farsi avanti, vi è una reale minaccia di ritorsioni. Questi non è necessariamente messo in pericolo diretto, perdendo il posto di lavoro per esempio, ma ci sono anche esempi di testimoni chiave assassinati. Il processo di Ramush Haradinaj, l’ex leader dell’UCK, illustra bene questo caso. Il signor Haradinaj è stato incriminato dal Tribunale dell’Aja per i crimini commessi durante la guerra in Kosovo, ma è stato successivamente assolto. Nella sua sentenza, il Tribunale ha evidenziato le difficoltà che essa aveva avuto nella raccolta delle prove dai 100 testimoni dell’accusa. A trentaquattro di loro sono state concesse misure di protezione e 18 dovevano essere rilasciati con atti di citazione. Un certo numero di testimoni che stavano andando a testimoniare al processo è stato assassinato. Tra queste, Sadik e Vesel Muriqi, entrambi i quali erano stati assoggettati ad un programma di protezione dall’ICTY.”


Il dilemma dell’Europa

Naturalmente, i complici europei nel mettere la banda Thaci alla guida del Kosovo, sono stati rapidi nel respingere il rapporto Marty. L’apologeta di Tony Blair ed ex ministro laburista Dennis MacShane, ha scritto sul The Independent (UK) che, “Non c’è un solo nome o un solo testimone, nelle accuse a Thaci di essere coinvolto nella raccolta di organi umani, da parte delle vittime assassinate.” Per chi non conosce le circostanze e la relazione, potrebbe sembrare un’obiezione. Ma Marty ha messo in chiaro che lui è in grado di fornire i nomi dei testimoni alle competenti autorità giudiziarie. Thaci ha riconosciuto che esistono, quando ha dichiarato che avrebbe pubblicato i nomi dei testimoni di Marty – una dichiarazione intesa come una minaccia di morte per coloro che hanno familiarità con la scena Pristina.
Uno degli europei di maggior spicco a sperare che il rapporto Marty sparisca, è l’umanitario mediatico francese Bernard Kouchner, fino a tempi recenti ministro degli Esteri di Sarkozy, che ufficialmente dirigeva il Kosovo, come  primo capo della UNMIK, dopo l’occupazione della NATO. Contrariamente alle proteste di ignoranza di Kouchner, il capo della polizia UNMIK nel 2000 e 2001, il capitano canadese Stu Kellock, ha definito “impossibile” che Kouchner non fosse a conoscenza della criminalità organizzata in Kosovo. La prima volta che un giornalista chiese a Kouchner delle accuse di trapianto l’organo, pochi mesi fa, Kouchner ha risposto con una forte risata da cavallo, prima di dire al giornalista di andare dallo psichiatra. Dopo la relazione di Marty, Kouchner si limitava a ripetere il suo “scetticismo“, e ha richiesto un’indagine… da EULEX.
Altri difensori della NATO hanno adottato la stessa linea. Una di queste inchieste ne chiama un’altra, e così via. Indagare le accuse contro l’UCK sta cominciando ad assomigliare al processo di pace in Medio Oriente.
Il Rapporto Marty si conclude con un chiaro invito a EULEX a “perseverare con il suo lavoro di indagine, senza tenere in alcun conto le cariche ricoperte da possibili sospetti o dall’origine delle vittime, facendo di tutto per far luce sulla scomparse criminali, sulle indicazioni di traffico di organi, corruzione e collusione, così spesso denunciate, tra gruppi criminali organizzati e circoli politici” e ad “adottare tutte le misure necessarie per garantire una protezione efficace ai testimoni e acquisirne la fiducia“.
Questo è un compito arduo, visto che l’EULEX in ultima analisi dipende dai governi dell’UE, profondamente coinvolti in Kosovo, e che hanno ignorato la criminalità albanese per oltre un decennio. Eppure, alcune delle personalità più implicate, come Kouchner, si stanno avvicinando alla fine della loro carriera, e ci sono molti europei che ritengono che le cose siano andate troppo oltre, e che il pozzo nero del Kosovo deve essere ripulito.
EULEX sta già indagando sul traffico di organi in Kosovo. Nel novembre 2008, un giovane turco che aveva appena avuto un rene rimosso, svenne all’aeroporto di Pristina, portando la polizia a effettuare un raid nella vicina clinica Medicus dove un 74enne israeliano era convalescente per il trapianto del rene del giovane. L’israeliano aveva presumibilmente pagato 90.000 euro per il trapianto illegale, mentre il giovane turco, come altri stranieri disperatamente poveri attirato a Pristina da false promesse, è stato defraudato dei soldi promessi.
Il processo è attualmente in corso a Pristina con sette imputati accusati di coinvolgimento nel traffico illegale di organi del racket Medicus, compresi i massimi membri albanesi della professione medica del Kosovo. Ancora in libertà sono il dottor Yusuf Sonmez, un noto trafficante di organi internazionale, e Moshe Harel, un israeliano di origine turca, accusati di aver organizzato il commercio internazionale illecito di organi umani. Israele è noto per essere il mercato privilegiato degli organi umani, a causa delle restrizioni religiose ebraiche che limitano fortemente il numero dei donatori israeliani.
La relazione di Marty osserva che le informazioni che ha ottenuto “sembrano rappresentare una più ampia, più complessa cospirazione criminale organizzata alla base dei trapianti illegali di organi umani, con la partecipazione di co-cospiratori in almeno tre diversi paesi stranieri, oltre al Kosovo, che dura oltre un decennio. In particolare, abbiamo trovato un certo numero di credibili indizi convergenti, che la componente del traffico d organi delle detenzioni post-conflitto, descritte nella nostra relazione, sia strettamente legata al caso contemporaneo della Clinica Medicus, anche attraverso importanti personalità kosovari albanesi e internazionali, che li caratterizza entrambi come co-cospiratori.”
Ma le indagini di EULEX sul caso Medicus, non significano automaticamente che le autorità giudiziarie europee in Kosovo porteranno avanti le indagini sull’ancora più criminale traffico di organi denunciato dal rapporto Marty. Un ostacolo è che i crimini imputati hanno avuto luogo sul territorio di Albania, e finora le autorità albanesi non sono state cooperativi, per non dire altro. Una seconda inibizione è la paura che il tentativo di perseguire importanti figure dell’UCK avrebbe portato a disordini. Infatti, il 9 gennaio, diverse centinaia di albanesi portando le bandiere albanesi (non la bandiera del Kosovo imposta dall’occidente), hanno dimostrato a Mitrovica contro la relazione Marty gridando “UCK, UCK“. Eppure, l’EULEX ha incriminato due ex comandanti dell’UCK per crimini di guerra commessi sul territorio albanese nel 1999, quando presumibilmente i prigionieri albanesi del Kosovo, furono torturati perché sospettati di “collaborare” con le legali autorità serbe o perché erano oppositori politici del KLA.
Un fatto politico sorprendente e significativo che emerge dal rapporto Marty è che:
La realtà è che le più significative attività operative intraprese dai membri del KLA – prima, durante e nel periodo immediatamente successivo al conflitto – ha avuto luogo sul territorio di Albania, dove le forze di sicurezza serbe non sono mai state schierate“. (Paragrafo 36).
Così, in misura molto grande, la provincia serba del Kosovo è stata oggetto di una invasione straniera attraverso la sua frontiera, da parte dei nazionalisti albanesi appassionati dalla creazione della “Grande Albania” aiutati, in questo sforzo, dalla lobby della diaspora e, decisamente, dai bombardamenti della NATO. Lungi dall’essere un “aggressore” nella sua stessa provincia storica, la Serbia è stata vittima di una grave invasione su due fronti.


Le marionette usa e getta degli USA

La NATO potrebbe non avrebbe condotto una guerra di terra contro le forze serbe, senza subire perdite. Così ha condotto una guerra aerea di 78 giorni, devastando le infrastrutture della Serbia. Per salvare il suo paese dalla distruzione minacciata, Milosevic ha ceduto. Facendo entrare le loro forza di terra, gli Stati Uniti scelsero l’UCK. L’UCK non poteva competere con le forze serbe di terra, ma fu aiutata dagli Stati Uniti e dalla peculiare guerra della NATO.
Gli Stati Uniti hanno fornito ai combattenti dell’UCK a terra. dispositivi GPS e telefoni satellitari, per consentire loro di individuare gli obiettivi serbi da bombardare (in modo molto inefficiente, con le bombe NATO che mancavano quasi tutti i loro obiettivi militari). L’UCK, in alcuni luoghi, aveva ordinato ai civili albanesi del Kosovo di fuggire attraverso il confine verso l’Albania o verso le parti di etnia albanese della Macedonia, dove i fotografi stavano aspettando per arricchire l’immaginario di un popolo perseguitato dalla “pulizia etnica” serba – un successo propagandistico enorme.
E soprattutto, prima dei bombardamenti della NATO, l’UCK ha perseguito una strategia di provocazione, uccidendo poliziotti e civili, tra cui albanesi disobbedienti, progettati per suscitare atti di repressione da poter essere usati come pretesto per un intervento della NATO. Thaci in seguito si era anche vantato del successo di questa strategia.
Thaci ha svolto il ruolo assegnatogli dall’impero. Eppure, considerando la storia dello smaltimento dei collaboratori degli USA, quando hanno esaurito la loro utilità (Ngo Dinh Diem, Noriega, Saddam Hussein …), ha motivi per essere inquieto. Il disagio di Thaci potrebbe essere acuito da un recente viaggio nella regione di William Walker, l’agente degli Stati Uniti che nel 1999 ha creato il pretesto principale per la campagna di bombardamenti NATO, gonfiando il numero delle vittime di una battaglia tra forze di polizia serbe e guerriglieri dell’UCK nel villaggio di Racak, in un massacro di civili, “un crimine contro l’umanità” perpetrato da “persone senza alcun valore per la vita umana“. Walker, la cui principale esperienza professionale fu in America Centrale, durante la lotta sanguinosa dell’amministrazione Reagan contro i movimenti rivoluzionari in Nicaragua e in El Salvador, era stato imposto dagli Stati Uniti come capo di una missione europea apparentemente col compito di monitorare un cessate il fuoco tra le forze serbe e l’UCK. Ma in realtà, lui e il suo vice britannico, usarono la missione per stabilire stretti contatti con l’UCK, in preparazione della guerra comune contro i serbi. Il regime dei gangster riconoscente gli ha dedicato una strada a Pristina;
Tra la ricezione di una decorazione del Kosovo e la cittadinanza onoraria in Albania, Walker ha preso posizioni politiche che potrebbe rendere Thaci e EULEX nervosi. Walker ha espresso sostegno per Albin Kurti, il giovane leader del movimento radicale nazionalista “autodeterminazione” (Vetëvendosje), che sta guadagnando il supporto dai governi dell’Unione europea al suo patrocinio in favore dell’indipendenza, nonché in favore di una “Albania naturale“, che significa una Grande Albania composta da Albania, Kosovo e parti della Serbia meridionale, gran parte della Macedonia, un pezzo di Montenegro e anche il nord della Grecia. Walker era in una missione di talent-scouting, in vista della sostituzione del sempre più in disgraziato Thaci? Se Kurti è il nuovo favorito, una sostituzione scelta dagli USA, potrebbe causare ancora più problemi nei travagliati Balcani.
L’Occidente, cioè, gli Stati Uniti, l’Unione Europea e la NATO, potrebbero di accordarsi su un approccio “in corso su entrambe le loro case”, concludendo che i serbi che hanno perseguitato e gli albanesi che hanno aiutato, sono tutti barbari, indegni del loro benevolo intervento. Quello che non si ammetterà mai è che hanno scelto, e in gran parte creato, la parte sbagliata in una guerra per la quale essi hanno la responsabilità criminale. E delle devastanti conseguenze continuano a farsi carico gli infelici abitanti della regione, qualunque sia la loro identità linguistica e culturale.


Diana Johnstone è autrice di Fools’ Crusade: Yugoslavia, NATO and Western Delusions.


=== 2 ===

http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=20105

Kosovo: crimini orribili nascosti dall'Occidente

su Avante del 23/01/2011

Traduzione di l'Ernesto online

il senatore svizzero Dick Marty denuncia il silenzio complice di USA e UE

L'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa si confronterà, il prossimo 25 gennaio, su una relazione che coinvolge direttamente il primo ministro del Kosovo, Hashim Thaci, nell'estrazione e nel traffico di organi umani.

Il documento di 28 pagine, già approvato in Commissione a metà di dicembre, conferma che i principali responsabili del cosiddetto Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK) si sono dedicati al traffico di organi estratti a prigionieri serbi tra il 1998 e il 2000.

“Questa attività criminale che si è svolta beneficiando del caos regnante nella regione e per iniziativa di alcuni capi delle milizie dell'UCK, legati al crimine organizzato, è proseguita, sebbene sotto altre forme, fino ai giorni nostri”.

Tra le figure di spicco del mafioso “Gruppo di Drenica”, diretto dall'attuale primo ministro del Kosovo, Hashim Thaci, la relazione include anche il chirurgo Shaip Muja, oggi consigliere nel governo di Thaci, e in passato membro dell'elite dei “coordinatori” dell'UCK.

Come sottolinea l'autore del documento, il senatore svizzero Dick Marty, l'inchiesta è stata motivata dalle rivelazioni “pubblicate in un libro dall'ex procuratore del Tribunale Penale Internazionale per l'ex Jugoslavia” (TPJ) Carla Del Ponte.

Nell'opera, pubblicata nel 2008, già si denunciava l'esistenza del traffico di organi e si identificava persino una “casa gialla” che serviva da clinica clandestina. Tuttavia, quelle dichiarazioni sono state minimizzate e, dopo otto anni di attività, Del Ponte è stata allontanata dal TPJ, per essere inviata come ambasciatrice della Svizzera in Argentina nel 2008. Chiaramente, la sua voce era diventata scomoda.

“Le nostre indagini”, afferma la relazione del Consiglio d'Europa, “hanno permesso non solo di confermare queste rivelazioni [di Carla Del Ponte] ma anche di precisarle e di tracciare un quadro oscuro e inquietante di ciò che è accaduto e in parte continua ad accadere nel Kosovo”.

Atrocità impunite

Il relatore Dick Marty ha identificato alcune persone e una serie di locali nel nord dell'Albania da mettere in relazione con l'attività della rete, in particolare “un centro di ricezione moderno per il crimine organizzato di traffico di organi”.

“Questa struttura è stata concepita come una clinica chirurgica improvvisata (…) dove i detenuti (…) erano sottoposti alle estrazioni di reni contro la loro volontà. In seguito gli organizzatori trasportavano gli organi umani dall'Albania all'estero vendendoli a cliniche private straniere”.

La relazione ci presenta la seguente descrizione: “Le modalità concrete di questo traffico erano relativamente semplici. I prigionieri venivano condotti fino a Fushe-Kruje (…) dove venivano chiusi nel “rifugio” (…). Dopo la conferma che i chirurghi incaricati dell'espianto si trovavano nei locali ed erano pronti ad operare, i prigionieri erano condotti fuori dal “rifugio” e costretti a subire l'esecuzione con una pallottola da un agente dell'UCK. I loro corpi erano poi trasportati rapidamente nella clinica dove aveva luogo l'operazione”.

L'ipocrisia occidentale

Il contenuto dell'inchiesta realizzata, come anche il suo autore ci tiene a sottolineare, non è una novità: “Ciò che abbiamo scoperto non è certo totalmente inedito: rapporti di importanti servizi di informazione e di polizia avevano già denunciato e illustrato in dettaglio questi stessi fatti da molto tempo. Ma non hanno avuto continuità, dal momento che le istanze dirigenti hanno privilegiato sempre la discrezione, il silenzio per presunte considerazioni di “opportunità politica”. Ma quali interessi potrebbero giustificare un tale comportamento che disdegna tutti i valori che sono costantemente invocati in pubblico?”.

L'indignazione di Dick Marty, presidente della Commissione delle Questioni Giuridiche e dei Diritti dell'Uomo dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa, emerge soprattutto dal fatto, ugualmente rilevato nella sua relazione, che “l'insieme della comunità internazionale nel Kosovo – dai governi degli Stati Uniti e di altre potenze occidentali alleate fino alle autorità giudiziarie che esercitano la loro attività sotto la tutela dell'Unione Europea – senza ombra di dubbio sono in possesso delle stesse informazioni tenebrose sull'estensione dei crimini commessi dal “Gruppo di Drenica”, ma nessuno pare disposto a reagire di fronte a una tale situazione e a perseguire i responsabili”.

D'altro canto, dopo due anni di indagine, il relatore svizzero sembra avere oggi una visione della guerra che ha smembrato la Jugoslavia ben diversa da quella che abitualmente viene veicolata dagli organi di comunicazione dominante:

“L'emozione suscitata dai crimini orribili commessi dalle forze serbe aveva provocato, tra le altre conseguenze, un clima che possiamo constatare anche nell'atteggiamento di certe istanze internazionali, secondo il quale gli uni erano necessariamente considerati come carnefici e gli altri come vittime, e pertanto innocenti. La realtà è più sfumata e complessa”.



Incontro dei Partiti Comunisti e Operai nei Balcani 2011 - Dichiarazione congiunta


www.resistenze.org - pensiero resistente - movimento comunista internazionale - 24-01-11 - n. 348

Traduzione dall'inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
  
Incontro dei Partiti Comunisti e Operai nei Balcani 2011 - Dichiarazione congiunta
Sviluppo nella regione dei Balcani e del Mediterraneo orientale e i compiti dei Comunisti
  
Salonicco, 22 gennaio 2011
 
 
Il 22 gennaio a Salonicco, su iniziativa del KKE, si è svolto un Incontro di 10 Partiti Comunisti e Operai provenienti da 8 paesi balcanici: Albania, Bulgaria, Grecia, Croazia, Repubblica di Macedonia, Romania, Serbia e Turchia.
 
Questo incontro ha contribuito allo scambio di opinioni sulla situazione che si è sviluppata nei Balcani e nel Mediterraneo orientale, nel quadro della crisi economica capitalistica internazionale, dell'intensificazione delle aggressioni imperialiste e delle contraddizioni interimperialiste.
 
I Partiti Comunisti e Operai dei Balcani ritengono che la causa reale della crisi si trova nell'acuirsi della contraddizione fondamentale del capitalismo: quella tra il carattere sociale della produzione e l'appropriazione privata dei suoi risultati. Anche i problemi sociali nel loro complesso si stanno aggravando: l'indigenza è cresciuta e l'impoverimento, assoluto e relativo, colpisce una larga percentuale della popolazione nei paesi balcanici.
 
La scoperta di nuove fonti energetiche nel Mediterraneo orientale e nei Balcani e l'intensità del loro sfruttamento da parte del capitale, non solo non porteranno pace e stabilità alla regione, come sostenuto dagli imperialisti e dai loro governi, ma, al contrario, favoriranno nuove più aspre rivalità. Allo stesso tempo, i popoli pagheranno molto di più l'elettricità, la benzina, il gas naturale, perché i ricchi giacimenti di energia della nostra regione non sono proprietà del popolo, ma sono depredati dai monopoli e dai gruppi affaristici nazionali ed esteri.
 
In queste condizioni i Partiti Comunisti e Operai dei Balcani plaudono alle lotte che sono state ingaggiate in Grecia, Romania e altrove, perché sia la plutocrazia e non il popolo a pagare per la crisi del capitalismo. Acclamano anche le lotte contro l'imperialismo, per la difesa della classe operaia e dei diritti e le conquiste popolari, contro il nazionalismo e il razzismo, per i diritti degli immigrati che hanno avuto di recente luogo della nostra regione. I Partiti Comunisti e Operai devono porsi in prima linea nell'organizzazione di tutte queste lotte.
 
I partecipanti a questo Incontro hanno anche dichiarato la loro disponibilità a confrontarsi e lottare contro la propaganda su vasta scala e alle intimidazioni della NATO e dell'UE volti alla piena adesione e completa integrazione dei paesi balcanici ai piani imperialisti, sulla base del cosiddetto "Nuovo Concetto Strategico della NATO" recentemente approvato a Lisbona.
 
L'illusoria propaganda per l'ingresso nella NATO e nell'Unione europea è svolta sia da queste organizzazioni che dalle classi borghesi dei paesi aspiranti all'adesione, dalle ONG e dalle forze opportuniste, come il cosiddetto Partito della Sinistra europea.
 
L'adesione dei paesi dei Balcani nell'UE e nella NATO, l'allargamento di queste due organizzazioni imperialiste ai Balcani, non solo non porterà benefici ai popoli, né pace o prosperità, ma l'esatto contrario. Inoltre, i popoli dei paesi dei Balcani e di altri paesi europei già membri hanno maturato sufficienti esperienze negative per testimoniare come l'integrazione nella NATO e nell'UE porta la classe operaia e il popolo all'impoverimento, garantendo nel contempo privilegi e una redditività ancora maggiore al grande capitale.
 
Il sogno dell'adesione alla UE e alla NATO, promosso dalle classi borghesi, non può cancellare il ricordo e la nostalgia dei popoli balcanici per il socialismo che conoscevano. In effetti hanno sperimentato la prova innegabile che nonostante le carenze, i problemi e i bisogni popolari possono essere risolti con un'altra forma di potere statale, senza lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, il socialismo.
 
Nell'Incontro è stato espresso il desiderio comune di rafforzare e moltiplicare le attività congiunte e il coordinamento dei nostri partiti e di promuovere una più ampia attività antimperialista, nella seguente direzione:
 
- Solidarietà con la lotta di classe, sviluppo delle lotte per i diritti dei lavoratori, dei giovani e delle donne condotte nei Balcani;
 
- Rafforzamento e ampliamento dei movimenti per la pace, anti-NATO e antimperialisti nei Balcani.
 
- Rafforzamento della condanna popolare contro l'equiparazione del comunismo con il fascismo, promossa in spregio della verità storica dalla UE e dalle classi borghesi in funzione anticomunista.
 
- Sviluppo della solidarietà con i popoli in lotta, come quello palestinese, per la liberazione dei 5 rivoluzionari cubani dalle carceri statunitensi e per l'abolizione del blocco economico di Cuba.
 
Perché la lotta popolare contro la presenza militare imperialista nei Balcani ne esca rafforzata, contro il cosiddetto scudo antimissile, contro le basi e gli eserciti stranieri, contro la partecipazione delle forze militari dei paesi dei Balcani in missioni UE e NATO in altri paesi. Perché i nostri paesi si liberino dai piani imperialisti e dalle loro organizzazioni.
 
Chiediamo:
 
Che i nostri paesi non siano coinvolti nelle nuove guerre imperialiste in Medio Oriente, in Africa, nel Caucaso e nelle minacce pronunciate contro i popoli che lottano mettendo in discussione "l'ordine mondiale imperialista".
 
Partiti partecipanti:
 
Communist Party of Albania
Communist Party of Bulgaria
Party of Bulgarian Communists
Communist Party of Greece
Socialist Workers’ Party of Croatia
Communist Party of Macedonia (FYROM)
Communist Party of Romania
New Communist Party of Yugoslavia
Communist Party of Turkey
Labour Party (EMEP), Turkey

 


Risoluzione sul Kossovo
 
All'Incontro di Salonicco il 22 gennaio 2011, i seguenti Partiti Comunisti e Operai assumono la presente posizione:
 
- Contro la modifica violenta dei confini in Europa.
- Contro l'unilaterale dichiarazione di "indipendenza" del Kossovo, risultato della criminale aggressione della NATO contro Serbia e Montenegro.
 
- Che il Kossovo è parte integrante della Serbia.
- Che tutte le forze di occupazione lascino il Kossovo. Che tutti i perseguitati serbi sia consentito di far ritorno alle loro case.
- Che albanesi, serbi e il resto della popolazione possano vivere insieme nell'uguaglianza, fratellanza e libertà.
 
Communist Party of Bulgaria
Party of Bulgarian Communists
Communist Party of Greece
Socialist Workers Party of Croatia
Communist Party of Macedonia (FYROM)
Communist Party of Romania
New Communist Party of Yugoslavia
Communist Party of Turkey
 

Risoluzione sulla mobilitazione popolare in Tunisia
 
Noi Partiti Comunisti e Operai, incontrati a Salonicco il 22/1/2011, esprimiamo la nostra solidarietà con le forze popolari della Tunisia, che lottano per rovesciare il potere del regime reazionario e lo sfruttamento dei gruppi di affari transnazionali.
 
Communist Party of Albania
Communist Party of Bulgaria
Party of Bulgarian Communists
Communist Party of Greece
Socialist Workers Party of Croatia
Communist Party of Macedonia (FYROM)
Communist Party of Romania
New Communist Party of Yugoslavia
Communist Party of Turkey
Labour Party (EMEP) Turkey
 


Memoria 2011 / 4

(sulla strage di Kragujevac e sul classico della letteratura ad essa dedicato da D. Maksimovic si veda anche la nostra pagina:


Città fucilata


Presentazione del poema di Anna Santoliquido (Edizione Parco delle Rimembranze, 2010) dedicato alle 7.000 vittime dell’eccidio di Kragujevac. Appuntamento nell'ambio della Giornata della Memoria
29 gennaio 2011
BARI
Edizione bilingue italiano-serbo con traduzione di Dragan Mraović e illustrazioni del pittore Zoran Ignjatović e dello scultore Dragan Djordjević. Il poema è stato musicato dal compositore polacco Piotr A. Komorowski.
Intervengono: 
- Gaetano Bucci, critico letterario
- Mariano Bubbico, psicologo
- Nicola De Matteo, consigliere della Provincia di Bari
Lettura di versi a cura di Janet Mry Wing e Raffaella Pallamolla. Sarà trasmesso il filmato della manifestazione “La grande lezione scolastica di Šumarice” trasmesso in diretta da TV Serbia il 21 ottobre 2010, con la regia di Živorad Žika Ajdačić



Altre iniziative segnalate

1) TESTA PER DENTE anche a Bagnolo Cremasco (OGGI 28/1) e in Val Brembana (6/2)
2) I rapporti italo-sloveni 1880-1956 (San Vendemiano TV, 5/2)
3) Colle Val d'Elsa (SI), 10 febbraio 2011:
"Erano solo bambini" (mostra sul sistema concentrazionario di Jasenovac) e "L'occupazione italiana nei Balcani" (tavola rotonda)


=== 1 ===

La mostra TESTA PER DENTE 
https://www.cnj.it/INIZIATIVE/TESTA_PER_DENTE/testaperdente.htm

è esposta dal 28 gennaio 2011

a Bagnolo Cremasco (CR)
presso lo SPAZIO POPOLARE LA FORGIA - Via Mazzini, 24
spaziopopolarelaforgia@... http://www.autistici.org/laforgia/

venerdi 28 gennaio 2011 ore 21:30
INAUGURAZIONE
con Andrea Martocchia (segretario CNJ-onlus)

SCARICA LA LOCANDINAhttps://www.cnj.it/INIZIATIVE/TESTA_PER_DENTE/testaperdente_bagnolocremasco280111.pdf


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Dopo troppi anni di viscido revisionismo storico siamo a presentarvi, in occasione della Giornata della Memoria (27 gennaio) e del Giorno del Ricordo (10 febbraio) una interessante iniziativa che racchiude in se i significati storici di queste ricorrenze, organizzata da arcinvalle e Tavola della Pace Circolo Peppino Impastato.

 

Domenica 6 febbraio 2011

con inizio alle ore 9, presso lo Spazio Eventi dell’Ostello dei Tasso, in via Orbrembo 20 a CAMERATA CORNELLO (BG)

abbiamo il piacere di presentare:


# il libro “The Tower of Silence” (Storie di un campo di prigionia – Bergamo 1941/45) con la presenza degli autori Giorgio Marcandelli, Alberto Scanzi e Francesco Sonzogni in contemporanea alla Mostra “Il Campo del Silenzio” Campo di Concentramento P.G. N. 62 di Grumello al Piano - Bergamo;

# alle ore 11 “Testa per Dente” - Mostra Didattico-Culturale-Documentaria sui crimini fascisti in Jugoslavia 1941/45, presentata da Andrea Martocchia del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia.

 

Entriamo quindi a piene mani nel merito delle due ricorrenze citate, aggiungendo altra verità storica con documenti e filmati che ancora troppo pochi conoscono, abbagliati dalla propaganda riformista in atto.

 

T’invitiamo a partecipare a questa giornata storica e a pubblicizzarla il più possibile con E-mail, Facebook… ma soprattutto stampando e diffondendo l’allegato in una sorta di propaganda militante, da rinverdire, per tornare ad essere promotori, nell’attuale deserto civile, di culturamemoria e giustizia.

 

Ti aspettiamo… 

arcinvalle e Tavola della Pace Valle Brembana  

 

PS. – L’Ostello di Tasso è a disposizione per chi volesse pranzare dopo le presentazioni.





=== 2 ===
 
CIRCOLO CULTURALE ANPI 
“GIOVANNI SACCON E GIOVANNI FURLAN” 
San Vendemiano

ASSOCIAZIONE DEI COMBATTENTI
PER I VALORI DELLA LOTTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE SLOVENA
Nova Gorica

organizzano
in occasione del “giorno del ricordo”


Sabato 5 FEBBRAIO 2011
ore 15.00

presso il Centro Sociale “Fabbri”
SAN VENDEMIANO (TV)

incontro:

I rapporti italo-sloveni (1880-1956)
Relazione della commissione mista storico-culturale italo-slovena


interverranno:

Dott. Branko Marusic – Storico sloveno (componente della commissione mista)

Prof. Fulvio Salimbeni – docente di storia contemporanea all’Università di Udine
(componente della commissione mista)

Nel corso dell’incontro verrà presentata l’iniziativa, a cura del Circolo ANPI di San Vendemiano, di distribuzione all’interno degli istituti scolastici del Coneglianese, del testo della relazione della commissione mista storico-culturale italo-slovena.


=== 3 ===

Comune di Colle Val d'Elsa - Presidenza del Consiglio Comunale

Associazione ANPI


a COLLE DI VAL D’ELSA (SI)

NELL'AMBITO DELLE INIZIATIVE IN OCCASIONE DEL GIORNO DELLA MEMORIA E DEL GIORNO DEL RICORDO

Giovedì 10 febbraio - Giorno del ricordo -


Palazzo Pretorio ore 18 

Inaugurazione della Mostra Erano solo bambini 

a cura dell'Istituto Storico della Resistenza Senese, alla presenza dei relatori dell’iniziativa delle ore 21,30 al Teatro dei Varii

La mostra si incentra sul sistema concentrazionario di Jasenovac, in Croazia, il terzo in Europa dopo Auschwitz e Birkenau. Vengono descritte le vittime, la tipologia delle persecuzioni, le identità dei persecutori e la specificità del lager dei bambini.


Teatro dei Varii ore 21.30 

Incontro Pubblico: L'occupazione italiana nei Balcani” 

Saluto dell’Amministrazione Comunale. 

Intervengono: 

Davide CONTI (ricercatore, fondazione Lelio Basso, Roma), Andrea MARTOCCHIA (Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia), Pietro PELI (ANPI Colle Val d'Elsa) – Sergio TANZINI (Presidente ANPI)  






20/01/2011


Martedì alla Camera il voto sull'ennesimo rifinanziamento alla missione militare in Afghanistan: 410 milioni di euro per il primo semestre 2011

Martedì 25 gennaio la Camera dei Deputativota il diciannovesimo rifinanziamentosemestrale della missione italiana di guerra in Afghanistan
Per i 181 giorni di campagna militare che vanno dal 1° gennaio al 30 giugno 2011, è prevista una spesa complessiva di oltre 410 milioni di euro, vale a dire più di 68 milioni al mese (2,26 milioni al giorno).

Un ulteriore incremento rispetto ai 393 milioni (65 al mese) del secondo semestre 2010, causato dall'invio al fronte di nuovi rinforzi che a giugno porteranno il nostro contingente a 4.350 uomini883 mezzi terrestri (tra blindati leggeri e pesanti, carri armati, camion e ruspe) e 34 velivoli (tra caccia-bombardieri, elicotteri da combattimento e da trasporto e droni).

Vediamo i dettagli di spesa. 380,77 milioni di euro per il mantenimento del contingente militare schierato in Afghanistan, 12,17 milioni per il personale militare della missione (125 uomini e 6 mezzi) che opera nelle basi americane negli Emirati Arabi Uniti, in Bahrein e in Florida (Usa), 2,1 milioni per il personale della Guardia di Finanza (Isaf, Eupol e Jmous) e 5 milioni per le operazioni d'intelligence degli 007 dell'Aise (l'ex Sismi).

Ancora: 6,37 milioni per le operazioni militari 'Cimic' a favore della popolazione locale (aiuti in cambio di intelligence), 1,5 milioni per il sostegno e l'addestramento alle forze armate afgane tramite il fondo fiduciario Nato e 2,19 milioni per ''interventi operativi di emergenza e di sicurezza per la tutela dei cittadini e degli interessi italiani'' in Afghanistan motivati da ''l'ulteriore considerevole deterioramento della situazione di sicurezza nel Paese e dalla segnalazione di una specifica minaccia di sequestri di persona''.

Fuori dalle spese militari e 'paramilitari', troviamo il sempre più striminzito finanziamento alle iniziative di cooperazione allo sviluppo: 16,5 milioni di euro (contro i 18,7 del secondo semestre 2010) che serviranno a pagare progetti di ricostruzione e di assistenza umanitaria e anche a organizzare una conferenza regionale della società civile per l'Afghanistan, in collaborazione con la rete di organizzazioni non governative 'Afghana.org' (associazione promossa da Arci, Lunaria e Lettera22).

In nove anni e mezzo (compreso quindi il rifinanziamento attualmente in esame), questa inutile campagna militare ha risucchiato dalle esangui casse dello Stato più di 3 miliardi di euro
Merita ripercorrere la progressione annuale del costo della missione bellica afgana: 70milioni di euro nel 2002, 68 nel 2003, 109 nel 2004, 204 nel 2005, 279 nel 2006, 336 nel 2007, 349 nel 2008, 540 nel 2009, 773 nel 2010 e (di questo passo) almeno 820 milioni nel 2011.


Enrico Piovesana



Memoria 2011 / 3

Segnaliamo tre importanti pubblicazioni della casa editrice Zambon sul nazismo e sulla Resistenza in Unione Sovietica, a partire dalla più recente: BABIJ JAR.
Per maggiori informazioni: zambon@... - www.zambon.net


--- NOVITA' ---

Anatolij Kuznetsov

BABIJ JAR
1941: l’occupazione nazista di Kiev

A cura della redazione italiana della Casa editrice Zambon
Introduzione di Adriana Chiaia

Pagg. 240 - Prezzo: 12.00 euro - isbn 978-88-7826-65-4

Nel quadro dell’occupazione nazista di Kiev, durata più di due anni, la testimonianza dell’autore, a quei tempi un ragazzo di dodici anni, descrive il massacro di decine di migliaia di ebrei, di combattenti dell’Armata Rossa, di comunisti, di cittadini ucraini e di altre nazionalità, catturati nei rastrellamenti o presi in ostaggio, i cui corpi venivano gettati nell’enorme burrone di Babij Jar, nei pressi della città.
L’autore offre inoltre uno straordinario e contraddittorio panorama di personaggi positivi e negativi: partigiani e collaborazionisti, resistenti e delatori, solidali e profittatori, generosi e gretti, uomini, donne e bambini, strappati alla quotidianità del passato e costretti ad arrabattarsi per sopravvivere alla guerra con la sua sequela di atrocità, bombardamenti, distruzioni, saccheggi, fame e miseria materiale e morale.
Il libro è stato arricchito dalla sezione “Lineamenti di storia” composta di due schede. La prima tratta del diritto all’autodecisione dei popoli nella concezione del Partito comunista (b) e nella prassi del potere sovietico. La seconda ripercorre le vicissitudini dell’Ucraina, dalla rivendicazione dell’autonomia al patto costitutivo dell’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche, inserendole nel loro contesto storico.
In appendice uno scritto di Il’ja Erenburg e stralci di un documento della Commissione governativa sulle distruzioni e le atrocità commesse dagli invasori tedeschi nella città di Kiev. (Processo di Norimberga).


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Kurt Gossweiler

LA (IR)RESISTIBILE ASCESA AL POTERE DI HITLER
Chi furono i burattinai?
Chi gli spianò la strada?

A cura e con introduzione di Adriana Chiaia

L’autore documenta l’apporto determinante dei magnati dell’industria, dei grandi proprietari fondiari e dei banchieri tedeschi (nonché dei loro colleghi di Wall Street), alla caduta della Repubblica di Weimar e all’ascesa al potere di Hitler. Nel lungo elenco dei finanziatori del Partito nazista fin dall’inizio spicca, tra gli altri, il nome di Fritz Thyssen. Gossweiler denuncia inoltre la complicità dei dirigenti del Partito socialdemocratico che non si opposero, se non a parole, alla violenza sempre crescente delle truppe d’assalto naziste, ma, al contrario, sabotarono sistematicamente la formazione di un fronte unito antifascista e indirizzarono i loro attacchi contro il Partito comunista, animatore delle più risolute lotte di massa contro il nazismo. I collegamenti con la realtà attuale vengono messi in luce sia nella prefazione all’edizione francese di Annie Lacroix-Riz che nel saggio introduttivo di Adriana Chiaia.
Questo libro è dedicato agli operai della ThyssenKrupp arsi vivi sull’altare del profitto nell’incendio divampato nella fabbrica di Torino la notte del 6 dicembre 2007.

Brossura - 336 pagine - ISBN 978-88-87826-53-1 - 15,00 €


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AA. VV.

IL PREZZO DELLA VITTORIA

Traduzione e introduzione di Adriana Chiaia

Un'antologia di racconti dei più noti scrittori sovietici sulla “grande guerra patriottica” nella quale l'Armata Rossa e i popoli dell'URSS, pagando un elevatissimo prezzo umano e materiale, respinsero l'aggressione della Germania nazista fino a spezzare la formidabile macchina militare di Hitler e ad issare la bandiera rossa sul Reichstag di Berlino.
Un libro contro le menzogne e le falsificazioni, destinato alle giovani generazioni che vogliono conoscere la verità storica di cui sono stati privati.

Brossura - 368 pagine - ISBN 88-87826-16-1 - 15,00 €



(slovenščina / italiano)

Iniziative in Friuli - Venezia Giulia

1) Trieste/Trst 28.1.: VIA COLOGNA 6, OD MUČILNICE DO DOMA SPOMINA / DA LUOGO DI TORTURA A CASA DELLA MEMORIA
2) Marano Lagunare (UD) 29-30.1.: I CAMPI DI CONCENTRAMENTO IN FRIULI: GONARS E VISCO 
3) Trieste/Trst 31.1.: I NOSTRI ESODI – NAŠA BEGUNSTVA


=== 1 ===

L’insegnamento di Storia dei partiti e dei movimenti politici
dell’Università di Trieste
in collaborazione con:
Coordinamento antifascista di Trieste
Cittadini liberi ed eguali
Associazione Edinost
 
INVITA LA CITTADINANZA ALL’INCONTRO-DIBATTITO:
 
VIA COLOGNA 6:
DA LUOGO DI TORTURA
A CASA DELLA MEMORIA
 
venerdì 28 gennaio, ore 17
presso la sede del Narodni Dom-Scuola per Traduttori e Interpreti
via Filzi 14 - Trieste
 
 
Per non dimenticare i fatti accaduti dal 1942 all’aprile 1945 a Trieste
in conseguenza dell’attività fascista e filo nazista dell’Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza,
noto anche come “banda Collotti” dal nome del commissario di PS Gaetano Collotti. La sua “squadra volante”, nel corso di rastrellamenti, arresti e interrogatori
torturò centinaia di persone.
 
Il progetto è di creare non solo un museo
ma un centro vivo di pace, documentazione e ricerca.
 
Intervengono:
prof. Claudio Venza, docente di Storia dei partiti e movimenti politici
 Claudia Cernigoi, giornalista e ricercatrice storica
 
Portano la propria testimonianza diretta gli ex detenuti
Bogdan Berdon
Paola Canziani “Sonia”
 
Fernanda Hrelia leggerà
alcune dichiarazioni di ex prigionieri
 
Interverrà lo scrittore Boris Pahor,
già “triangolo rosso” (prigioniero politico) nei lager nazisti
 
  
CONTATTI:
 
---
 
Predmet zgodovina strank in političnih gibanj
Univerze v Trstu
 
v sodelovanju s
Coordinamento antifascista
Cittadini liberi ed eguali
Društvom Edinost
 
VABI NA SREČANJE-RAZPRAVI
 
ULICA KOLONJA 6:
 OD MUČILNICE
DO DOMA SPOMINA
 
v petek, 28. januarja, ob 17. uri
v Narodnem domu-Šoli za tolmače in prevajalce
ulica Filzi 14 - Trst
 
Da ne grejo v pozabo dogodki, ki so se zvrstili od leta 1942 do aprila 1945 kot
dejavnost fašističnega in filonacističnega Posebnega inšpektorata javne varnosti,
znanega kot »Collottijeva tolpa« po imenu komisarja JV Gaetana Collottija,
poveljnika »letečega oddelka«. Med hajkami, aretacijami in zasliševanji je
njegov oddelek mučil stotine ujetnikov.
 
Obstaja načrt za postavitev ne samo muzeja,
temveč živega središča za mir, dokumentacijo in raziskave
 
spregovorila bosta:
prof. Claudio Venza, profesor zgodovine strank in političnih gibanj
Claudia Cernigoi, časnikarka in zgodovinska raziskovalka
 
 
O svojih doživetjih bosta pričala bivša zapornika
Bogdan Berdon
Paola Canziani »Sonja«
 
Igralka Fernanda Hrelja bo prebrala
nekatere izjave bivših zapornikov
 
posegel bo pisatelj Boris Pahor,
bivši »rdeči trikotnik« (politični zapornik) v nacističnih taboriščih
  
 
Stik:


=== 2 ===


SEZIONE ANPI CARLINO -MARANO LAGUNARE

Organizza a MARANO LAGUNARE

DOMENICA 30 GENNAIO 2011 
Sala Vecia Pescheria
ore 10.00


In occasione del 27 GENNAIO -GIORNO DELLA MEMORIA

INCONTRO PUBBLICO SU:

I CAMPI DI CONCENTRAMENTO IN FRIULI: GONARS E VISCO

Interverranno:
ALESSANDRA KERSEVAN Ricercatrice storica e scrittrice
FERRUCCIO TASSIN Ricercatore storico e scrittore
FURIO HONSELL Sindaco di Udine
Tutti i cittadini sono invitati a partecipare

SABATO 29 e DOMENICA 30 GENNAIO 
presso la Vecia Pescheria, 
sarà allestita una mostra sul “campo di concentramento di Gonars” 
Orari di visita:
ore 10.00-12.00 e 15.00-19.00 
Ingresso gratuito.



=== 3 ===

ANPI Associazione Nazionale Partigiani d'Italia -Trieste

VZPI Vsedržavno združenje partizanov Italije - Trst



Vi invita all'incontro sul tema: Vas vabi na srečanje na temo



I nostri esodi – Naša begunstva


Migrazioni di massa di italiani e sloveni del Litorale nel xx secolo

Množične selitve Italijanov in Slovencev s Primorske v xx. stoletju



Partecipano – Sodelujejo


Fino al 1945 – Do leta 1945


Franco Cecotti, Aleksej Kalc, Piero Purini



Dopo il 1945 – Po letu 1945


Jure Gombač, Raoul Pupo, Sandi Volk



Coordina Marta Verginella koordinatorka



Lunedì, 31 gennaio 2011 v ponedeljek, 31. januarja 2011

alle ore 16 ob 16. uri


Sala Tessitori, Piazza Oberdan 5 v dvorani Tessitori, Trg Oberdan, 5




Da: Alessandro Di Meo <alessandro.di.meo@...>
Data: 24 gennaio 2011 11.00.45 GMT+01.00
Oggetto: Invito

Carissimi amici,
giovedì , 27 gennaio  2011 ore 20,00
l' Ambasciata della Repubblica di Serbia in Italia

é  lieta di invitarvi alla presentazione del libro 
L’URLO DEL KOSOVO
di Alessandro di Meo

presso la Residenza dell’Ambasciatore
Via dei Monti Parioli, 22
00197 Roma
 
Letture tratte dal libro (produzione ass. “un Ponte per...” - edizioni Exorma 2010),
a cura dell'autore
accompagnamento musicale, chitarra e percussioni: 
maestro Michele Martino
 
seguirà proiezione del documentario L'Urlo del Kosovo, sulle conseguenze dei bombardamenti su Serbia e Kosovo dopo oltre 10 anni dall'aggressione della Nato alla Jugoslavia
 
* il ricavato delle vendite del libro andranno, oltre a coprire i costi di produzione, a finanziare l'iniziativa di sostegno a distanza per famiglie di serbi che vivono nei villaggi del Kosovo

(segue rinfresco)

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            visita: http://unsorrisoperognilacrima.blogspot.com/

                "Deve esserci, lo sento, in terra o in cielo un posto 
                       dove non soffriremo e tutto sarà giusto...

                               (francesco guccini - cyrano)

Un ponte per... associazione di volontariato per la solidarietà internazionale
                        Piazza Vittorio Emanuele II, 132 - 00185 - Roma
    tel 06-44702906  e-mail: 
posta@... web: www.unponteper.it




Richard Holbrooke, imperialist diplomat and war criminal

1) Could a Serbian Heart Have Saved Dick Holbrooke? (Alexander Cockburn)
2) Holbrooke: imperialist diplomat, war criminal, or both? (Stephen Millies)


=== 1 ===


понедељак, 24. јануар 2011.

Richard Holbrooke died at age 69 on Dec. 13, thus spared the annoyance of seeing one of his best-known political creations accused of supervising the killing of captives in order to slice out their organs for transplant purposes and financial gain.
In the wake of Holbrooke's sudden death, his memory was swiftly burnished with testimonials to his masterly diplomacy as the creator of a new Balkans freed from the Serbian yoke, and as Kosovo's midwife. It was Holbrooke who stood shoulder to shoulder with Albanian secessionists in the summer of 1998 and prompted NATO's bombing of Serbia until these applications of high explosives to civilian targets caused Milosevic to order the withdrawal of security forces from Kosovo.
The "freedom fighters" of the Kosovo Liberation Army — Albanian gangsters, most notably Hashim Thaci, hand-picked by Holbrooke and Madeleine Albright (her closest aide, James Rubin, acted as talent scout) at the Rambouillet talks — took over. Since unilaterally declaring independence in February 2008, the failed statelet run by heroin traffickers and white slavers, host to the vast U.S. Camp Bondsteel, has been recognized by only 72 out of 192 U.N. members, including 22 of the European Union's 27 members.
In April 2008, Carla Del Ponte — former chief prosecutor before the International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia, and no friend of the Serbs — published a memoir on her time at the tribunal. In it, she charged that in 1999, there had been trafficking in human organs taken from Serb prisoners, reportedly carried out by top KLA commanders, and that her efforts to investigate had been blocked. Del Ponte's charges originated with information she got from Western investigative journalists working for a U.S.-based documentary producer, American RadioWorks.
Following Del Ponte's accusations, the Council of Europe assigned a liberal Swiss senator, Dick Marty, to investigate. The Marty report, two years in the making, was released Dec. 15, 2010. The report names Thaci, now Kosovo's prime minister, as having exercised "violent control" over the heroin trade in Kosovo during the past decade, and accuses him of overseeing an organized crime ring in the late '90s, committing assassinations, beatings, human organ trafficking and other major crimes.
The report is being reviewed by the EU's Rule of Law Mission in Kosovo, which is already probing a human body parts rip-and-ship facility — the Medicus Clinic in Pristina. Seven people have been charged with international organ trafficking, alleging poor people were hired from slums and promised payment of up to $20,000 for their kidneys. The organs were apparently sent to patients in Israel and Canada.
Marty is grimly detailed, supplying plenty of names, particularly concerning Thaci and his associates in the Drenica Group, "consistently named as 'key players' in intelligence reports on Kosovo's mafia-like structures of organized crime." Marty says he examined these reports by European intelligence agencies and the FBI "with consternation and a sense of moral outrage." He notes also the "fear, often to the point of genuine terror, which we have observed in some of our informants immediately upon broaching the subject of our inquiry."
Some Serb captives were taken into central Albania "to be murdered immediately before having their kidneys removed in a makeshift operating clinic.
... The captives ... were initially kept alive, fed well and allowed to sleep, and treated with relative restraint by KLA guards. ... When their blood was drawn by syringe for testing (a step that appears to have been akin to 'tissue typing,' or determining levels of organ transplantation compatibility), or when they were physically examined by men referred to as 'doctors,' the captives must have been put on notice that they were being treated as some form of medical commodities. ... When the transplant surgeons were confirmed to be in position and ready to operate, the captives were brought out of the 'safe house' individually, summarily executed by a KLA gunman, and their corpses transported swiftly to the operating clinic." The kidneys were then taken to nearby Tirana airport and shipped out to the paying customers.
Marty's report made big headlines in Britain and across Europe, not least because Kosovo had an election Dec. 12, won by Thaci's Democratic Party of Kosovo, with the results swiftly denounced as fraudulent. According to a Guardian source, at three polling stations in an area loyal to Thaci, more ballots were cast than people registered to vote. The British Daily Mail was particularly rough on Tony Blair, who traveled to Albania last year to pick up a Golden Medal of Freedom from Thaci, perhaps with the outlines of a kidney on the obverse.
The New York Times has carried a few modest stories about Marty; the Washington Post, almost nothing — this in marked contrast to the copious coverage of Belarus and Lukashenko, current Monster of the Moment, though no one has yet accused him of slicing open prisoners and making money off their kidneys or of being a white slaver and heroin trafficker. State Department spokesman Philip Crowley declared in the wake of Marty's charges that the United States will continue to work with Thaci, since "any individual anywhere in the world is innocent until proven otherwise."
After World War II, the U.S. government, in the Paperclip program, made haste to protect Nazi scientists like Sigmund Rascher who had killed and sliced up Jews, Russians and Poles in Dachau to make use of their organs. Georg Rickhey, imported as part of Werner von Braun's rocket team, had worked prisoners to death in the Dora camp and the Mittelwerk complex. Drew Pearson's columns ultimately earned Rickhey a secret war crimes trial, which the U.S. Army sabotaged by withholding records.
Then as now, the United States stands by its war criminals. Thaci has nothing to fear, as Holbrooke would no doubt have assured him. Thaci would doubtless have been ready to ship him a new Serbian heart as a thank you, relabeled "Kosovar" naturally.

Alexander Cockburn is co-editor with Jeffrey St. Clair of the muckraking newsletter CounterPunch. He is also co-author of the new book "Dime's Worth of Difference: Beyond the Lesser of Two Evils," available through www.counterpunch.com. To find out more about Alexander Cockburn and read features by other columnists and cartoonists, visit the Creators Syndicate Web page atwww.creators.com.


=== 2 ===

Holbrooke: imperialist diplomat, war criminal, or both?

By Stephen Millies 
Published Dec 23, 2010 11:05 PM


Fawning eulogies that appeared in the capitalist press after Richard Holbrooke died on Dec. 13 mention that his nickname was “the bulldozer.” This fit, for more than one reason. For nearly 50 years Holbrooke “bulldozed” poor people to death all over the earth. President Obama’s “special representative to Afghanistan and Pakistan” was a war criminal.

Holbrooke is best known for his role in the Balkans and the destruction of Yugoslavia, but he carried out similar anti-popular tasks earlier regarding Vietnam, East Timor and south Korea.

Holbrooke joined the State Department in 1962, as a 22 year old. He was in charge of “pacifying” a province in Vietnam’s Mekong Delta for the United States Agency for International Development. “Pacification” meant driving peasants out of their villages into concentration camps called “strategic hamlets.”

Death squads organized through the CIA’s Operation Phoenix hunted Vietnamese liberation fighters and killed entire families. Tens of thousands of local Vietnamese organizers were killed.

Holbrooke helped carry out these bloodbaths in Vietnam. He served as an aide at the U.S. Embassy in Saigon to Ambassadors Maxwell Taylor and Henry Cabot Lodge Jr. He was also part of the U.S. delegation to the Paris peace talks in 1968 and 1969.


Covering up genocide in East Timor


Following a meeting with President Gerald Ford and Secretary of State Henry Kissinger in December 1975, Indonesian dictator Suharto invaded newly independent East Timor. The occupiers eventually killed a third of the Timorese population. After Democrat Jimmy Carter was elected, Holbrooke was appointed assistant secretary of state for East Asian and Pacific affairs. In that job he justified U.S. delivery of A-10 Bronco airplanes to the Indonesian military that were then used to strafe people in Timor.

Holbrooke also supported the South Korean military in its killing of thousands of people during the Kwangju uprising in 1980. According to journalist Tim Shorrock, Holbrooke “took it upon himself to prevent the democratic Korean opposition from speaking out against military intervention, and then kept his mouth firmly shut when the Kwangju disaster struck.” (timshorrock.com)


Breaking up socialist Yugoslavia


Holbrooke is best known for his role as President Clinton’s point man in the project of destroying Yugoslavia, the last remaining socialist state in Eastern Europe.

Socialist Yugoslavia was a multinational country that was forged through a guerrilla resistance war against German imperialist occupation during World War II. Holbrooke was ringmaster at the 1995 negotiations at the Wright-Paterson Air Force Base in Dayton, Ohio, that ended the civil war in Bosnia-Herzegovina. As journalist Diana Johnstone mentioned in her Dec. 15 article in CounterPunch, the same agreement could have been reached in 1992 except for U.S. sabotage. An earlier agreement would have saved years of war and hundreds of thousands of deaths.

Holbrooke backed Croatia in its expulsion of over a quarter million Serbian people from their homes in Krajina in 1995.

Bill Clinton launched 78 days of bombing of Yugoslavia in 1999 after U.S. machinations failed to overthrow that country’s President Slobodan Milosevic. All the NATO countries joined in this class war. The war’s pretext was to “protect” Albanians in Serbia’s Kosovo province, but its result was to destroy Yugoslavia and bring the most reactionary forces to power in a U.S.-occupied Kosovo.

With the acquiescence of the U.S. and other NATO occupying forces, the “Kosovo Liberation Army” was allowed to persecute and kill Serbians, Roma, Jews and other minority people in Kosovo province and to oppress and exploit Albanian-origin workers too.

The Council of Europe has charged that KLA leader Hashim Thaci — now Kosovo’s prime minister — harvested body organs from Serbian prisoners of war and political opponents. The Pentagon’s largest military base in the region, Camp Bondsteel, is in Kosovo.

President Milosevic died under suspicious circumstances while being held in Scheveningen Prison in The Hague, Netherlands, in 2006. The International Criminal Tribunal on the Former Yugoslavia had failed in all its attempts to prove war crimes charges against Milosevic. Holbrooke said he found Milosevic’s death “a just end.” The truth is that Clinton, the other NATO leaders and yes, Richard Holbrooke, should have been on trial instead.



Articles copyright 1995-2010 Workers World. Verbatim copying and distribution of this entire article is permitted in any medium without royalty provided this notice is preserved. 

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Memoria 2011 / 2

Tra Auschwitz e Trieste

1) Diario di Auschwitz di Ondina Peteani (prima staffetta partigiana d'Italia)
2) L' "Ispettorato Speciale di PS per la Venezia Giulia", in cui operava la famigerata “banda Collotti": un appello e molti link, per conoscere i metodi del Fascismo a Trieste

--- 

segnalazione: FIACCOLATA / BAKLADA

mercoledì 26 gennaio 
ore 17.00 - 20.00
A TRIESTE 
da Piazzale Valmaura (stadio Pino Grezar) alla Risiera di San Sabba

<< Tržaški partizanski pevski zbor PINKO TOMAŽIČ vabi v sredo, 26.januarja 2010 na
"BAKLADO ZA SPOMIN, MIR IN SOŽITJE"
zbirališče ob 17.00 stadion Grezar, odhod sprevoda ob 17:30.
Zaključek v Rižarni, s kratkim nastopom TPPZ. Vse udeležence vabimo da prinesejo s seboj cvet, v poklon žrtvam Rižarne.

Il Coro Partigiano Triestino PINKO TOMAŽIČ invita i cittadini ad intervenire alla
"FIACCOLATA PER LA MEMORIA, LA PACE E LA CONVIVENZA"
che si svolgera' mercoledi' 26 gennaio 2010 con ritrovo alle ore 17.00 sul piazzale antistante lo stadio Grezar - partenza del corteo alle 17.30.
Conclusione in Risiera con una breve esibizione del CPT. Tutti i partecipanti sono invitati a portare un fiore da deporre in ricordo delle vittime della Risiera. >>



=== 1 ===
 
Diario di AUSCHWITZ di Ondina Peteani
 
- memoria depositata presso la Direzione nazionale di Milano dell' A.N.E.D. -
(Associazione Nazionale Ex Deportati nei Lager nazisti)
 
 
Ondina Peteani
 
prima
staffetta
partigiana
d'Italia
 
deportata
AUSCHWITZ
n° 81672
 
 
Diario di Ondina:
 
 
Si partì dunque il 31 maggio all'alba nei vagoni bestiame. Il convoglio era scortato da carabinieri e da tedeschi. Il comandante doveva aver ancora qualche parvenza di umanità, perché alla prima fermata d'oltre confine ci permise di tenere i vagoni con le porte in fessura; almeno si respirava un po'. Talvolta si arrivava persino a scambiare qualche parola con gli uomini (se la fermata era di notte, cosicché nessuno ci avrebbe visto e messo nei guai gli scortatori). In una stazione (credo Monaco) i vagoni con gli uomini vennero staccati (ed inviati d Dachau) e noi proseguimmo alla volta di Auschwitz. Al quinto giorno di viaggio, vennero a chiudere i vagoni ed a sigillarli: si stava arrivando nella zona dei Lager, controllata dalle SS. Se durante il viaggio eravamo state abbastanza allegre (specie noi più giovani) e chiacchierone, in quel momento diventammo serie e cominciammo a parlarci sottovoce: davanti a noi avevamo intravisto una desolata pianura sotto un cielo piatto, appestata da un odore che noi attribuimmo alla bruciatura di immondizie (!). Mentre il convoglio avanzava lentamente cominciammo a vedere i primi Lager, arrampicandoci fino agli alti finestrini del vagone. Durante il viaggio avevamo intravisto prigionieri al lavoro sulle ferrovie ed erano vestiti con la tipica «zebra» e vedendo nel campo vestiti variopinti, pensammo che ci avrebbero lasciati i nostri. Per giunta (era domenica pomeriggio) sentimmo un'orchestrina che suonava e la cosa ci rallegrò alquanto: «Ragazze, si potrà anche ballare». 

Il nostro ottimismo crollò ben presto. Appena arrivate alla stazione ci fecero discendere ed in un primo tempo ci dissero di lasciare tutto nei vagoni, poi - visto che non eravamo ebree - ci permisero di riprenderci la nostra roba. 

Sapemmo successivamente che l'avrebbero catalogata e riposta, mentre per gli ebrei veniva subito requisito tutto. 

Poco prima era arrivato un treno di ebrei ungheresi e sulla panchina erano rimasti gli ultimi: i vecchi e i non autosufficienti. C'era lì un camion e questi venivano presi per le braccia e per le gambe e gettati sul camion tra grida di dolore e orribili tonfi. Quello che ci raggelò fu il vedere che questo tremendo compito era affidato a dei prigionieri. Ci inquadrarono in fila per cinque ed io mi sentivo un po' strana: avevo la sensazione che non ero io quella cui stavano accadendo quelle cose, mi pareva di viverle dall'esterno. E' una cosa difficile da comprendere e spiegare. 

Ci misero in fila per 5 e ci condussero attraverso un intricato dedalo di stradine. Ai lati c'erano montagnole di stampelle, di occhiali, di giocattoli ben divisi secondo il senso dell'ordine teutonico. Poi, arrivate in una baracca, ci ordinarono di spogliarci ed il nostro pudore di farlo davanti ai soldati fu ben presto vinto dalle violente bastonate che cominciarono a volare. Ci distribuirono dei vestiti provvisori. A me toccò un pastrano da uomo con una grande stella gialla e, mettendo le mani in tasca, trovai una pipa con un borsellino di tabacco. Mi sentii rabbrividire pur non conoscendo ancora la sorte del proprietario di quel cappotto. Fummo costrette a lasciare lì la nostra roba. Ci tolsero (a chi l'aveva) ogni monile, orologi, catenine ed anche le fedi nuziali delle maritate. 

Altro attraversamento di posti strani che ora, vuoi per la distanza nel tempo, vuoi per la sensazione di incubo che ci pervadeva, non sono in condizioni di descrivere. 

Ci introdussero in una baracca che sulla soglia aveva una vaschetta piena di liquido disinfettante o disinfestante, nella quale bisognava mettere i piedi prima di entrare. Ora mi suona così ironico quel procedimento, come quello di raderci tutti i peli e di rapare quelle che avevano qualche lendine di pidocchi, quando poi nel campo imperversavano il tifo, la dissenteria, le cimici e i pidocchi! Ci fecero fare la doccia calda ma brevissima tanto che molte di noi uscirono con i capelli ancora pieni di sapone e così rimasero tutto il giorno perché di acqua, fredda o calda che sia, neanche a parlarne. Poi, sempre nude, ci fecero attendere per delle ore, finalmente poi arrivarono i vestiti. Erano vecchie vesti usate passate all'autoclave senza lavarle, un paio di mutandoni a righine (almeno quelli erano nuovi!) e un capo di biancheria che era a volte una sottoveste, a volte una camicia da notte, a volte una maglia (anche queste vecchie e usate). Infine un paio di scarpe (sempre vecchie) o zoccoli. 

Poi in un'altra baracca per la «timbratura», cioè il tatuaggio del numero e la consegna dello stesso numero che dovevamo cucire sulla manica del vestito, assieme al triangolo, rosso per noi «politiche». Il tutto con brevissime spiegazioni date in lingua tedesca o polacca (quando la spiegazione non era solamente uno spintone), se non capivi, dovevi comunque arrangiarti. 

Durante le ore di attesa, alcune prigioniere che erano già da tempo nel lager, riuscirono a parlarci brevemente dalle finestre e a chiederci notizie della nostra città e della situazione in generale. Da loro apprendemmo, in quei rapidi colloqui, l'abc della sopravvivenza: imparare rapidamente il numero in lingua tedesca e polacca; obbedire rapidamente, per non essere violentemente pestate, agli ordini; non bere assolutamente l'acqua del campo perché non era potabile, cioè infetta; infine dell'esistenza dei crematori, del loro funzionamento, di cui era proibito parlarne: dovevamo fingere di non sapere niente. 

(...) Incominciammo la giornata lavorativa subito. Ci portarono in una parte del Lager dove c'era una strada agli inizi di costruzione. Alle più giovani e alte affidarono delle mazze per rompere la pietra, le altre dovevano spalare il terreno e portare le pietre da rompere. La kapò che ci prese in consegna era una tedesca e dal triangolo rosso capimmo che era una prigioniera politica. E da lei ci sentimmo sempre gridare forse degli insulti ma non bastonò mai nessuna di noi, cosa che fece invece una sua aiutante, con particolare accanimento, ma lei non interveniva mai in questi casi. Dico questo per far capire che chi voleva sopravvivere là dentro doveva indurirsi l'animo e non intervenire mai in favore dei prigionieri. Eppure Monika (così si chiamava) aveva mantenuto quel tanto di umanità per sfogarsi urlandoci parolacce (forse lo faceva per farsi sentire dagli altri kapò che era cattiva?) ma aveva cura che le prigioniere del suo «komando» ricevessero il «Zulage» cioè un supplemento settimanale di cibo per il lavoro pesante che consisteva in un pezzo di pane e salame al giovedì. 

A mezzogiorno distribuivano il pranzo che consisteva in una ciotola di zuppa e dopo mezz'ora si tornava al lavoro. Per i primi giorni, dovemmo sorbirla senza posate. Dopo sapemmo che bisognava «organizzarci». Ecco un termine usato molto là dentro: quello che non avevi dovevi «organizzarlo», che poteva dire comprarlo con il tuo pranzo o con un pezzo di pane, oppure, se riuscivi potevi anche rubarlo, perciò quando riuscivi ad averlo, te lo portavi addosso, ben legato anche a dormire. E legata alla cintura dovevi tenere la tua ciotola, altrimenti addio tè al mattino e zuppa a mezzogiorno! Nel Lager c'era di tutto, dovevi comprarlo: sapone, potevi avere un vestito migliore, pettine. Spazzolino da denti era troppo lussuoso. Potevi compare forbicine, aghi, fazzoletti ed un sacco di altre cose, ma allora saresti morta di fame, oppure bisognava cercare di rubare. 

Comunque tornando alla giornata in Lager, alle cinque di sera si finiva il lavoro e poi in fila alla baracca per l'ulteriore appello, quasi sempre più lungo del mattino. Era esasperante, affrante com'eravamo dal durissimo lavoro della giornata ed affamate, dover stare qualche ora ferme sull'attenti e guai a parlare, altrimenti schiaffoni e calci. Finalmente anche questo finiva e poi c'era la cena: un pane (quella specie di mattone tedesco) e circa 20 grammi di margarina o di salame. Il pane era diviso in quattro parti (più avanti il pane sarà per sei e verso la fine, per otto). 

Alla sera si riusciva ad avere qualche momento libero. Si andava nelle altre baracche a cercare qualche connazionale, si cercava di lavarsi un po' con quell'acqua color ruggine, dato che al mattino bisognava far presto per l'appello. La domenica pomeriggio era di riposo, se non venivano a beccarti per qualche lavoro extra che naturalmente non potevi rifiutare di fare. 

Ho avuto la sventura di conoscere il «Revier» o infermeria. Vi sono stata accompagnata perché febbricitante (avevo 40°). C'era una specie di accettazione e dentro c'era - fra le altre - una dottoressa polacca che parlava italiano. Mi chiese se conoscevo il motivo della febbre, se provenivo da zone malariche, se avevo diarrea ed alle mie risposte negative optò per una febbre di tipo reumatico (la più probabile, dato che Auschwitz era stata costruita in una zona paludosa e quando pioveva, non era un modo di dire lo sprofondare nel fango fino alle ginocchia). Per il momento non c'era posto, ma aspettai poco perché appena morta una ricoverata mi dissero di occupare quel letto (ovviamente senza cambiare materasso e di lenzuola neanche parlarne). Riuscii almeno a girare il materasso, mi diedero una polverina (un antipiretico?) e lì fui lasciata fino all'indomani. Quando vennero le infermiere per misurarmi la febbre approfittai di un loro momento di distrazione, per vedere e, visto che avevo 38°, scossi il termometro fino a 36°. Dissi che ero sfebbrata e che potevo tornare al lavoro. Ero terrorizzata all'idea di trascorrere ancora una notte in quell'allucinante girone infernale, tra urla e lamenti, che avevano poco di umano, ormai. E poi avevo paura di rimanere perché avevo sentito che spesso e volentieri lì dentro si effettuavano vari esperimenti. (...) Ben presto dovemmo abituarci a tutto e cercare solamente di sopravvivere. Da parte mia continuavo ad avere quella sensazione che non ero io a subire quella vita e mi continuavo a vedere dall'esterno. Difatti non soffrivo, né inorridivo di quello che mano a mano venivo a vedere e a sapere, l'orrore è venuto dopo, quando ormai ero a casa. 

Ricordo che un giorno fui prelevata per andare a trainare la botte che trasportava le fognature del «Revier». Bisognava andare a vuotarla sopra i letamai, sistemati lontano dal campo. Là vidi un gruppo di prigionieri che doveva spargere il letame sopra quello che avevamo portato. Dal numero sul vestito capii che erano ebrei italiani. Anche se ormai la loro età era indefinibile, si capiva ancora che erano giovani ed io, fingendo di raccattare il letame, mi avvicinai e chiesi stando bassa a quello che mi era più vicino se erano italiani e da quanto tempo erano là. Lui alzò la testa e guardò dalla mia parte, ma non me, il suo sguardo andò oltre e non mi rispose. Dio, quella faccia! Era ormai in fase terminale e dopo, quando ci allontanammo, mi voltai e vidi che li stavano bastonando e loro continuavano a muoversi come spinti da forza d'inerzia e non sentivano più neanche le bastonate. Non fui più destinata a quel lavoro, ma sono certa che se fossi tornata dopo pochi giorni, avrei trovato degli altri su quel letamaio. 

Poi le infami selezioni. Mettevano in fila quelle da esaminare ed il medico (non sempre era un dottore, a volte anche un semplice SS) con un cenno le ridistribuiva in due file ed era chiaro quale era la fila da eliminare! Le donne destinate a quelle file non si davano a smaniare o a disperarsi. Quasi tutte vi andavano come inebetite, in silenzio e quel silenzio era più tremendo di qualunque pianto. Gli aguzzini avevano raggiunto il loro scopo: era bestiame da macello, vi andava senza protestare. 

Talvolta alla sera c'era il «Lagersperrer» cioè l'ordine di ritiro nelle baracche. Lo facevano quando avevano da eliminare le occupanti di una intera baracca e noi non dovevamo vedere quelle donne attraversare il campo ed uscire dalla parte dei crematori. Alla notte avevi il riverbero sulle finestre delle enormi fiammate che si sprigionavano dai camini. Così fu eliminato un intero campo di zingari. In una notte furono uccisi centinaia di nomadi. Di questi si parla pochissimo e ciò mi indigna, c'è del razzismo nel fatto di ignorare che anche queste popolazioni sono state perseguitate e che fanno parte dell'olocausto. 

(...) Dopo poche settimane del nostro arrivo cominciò a farsi sentire in modo cronico la fame fino al punto che eri già disposta a prenderti qualche bastonatura per arrivare a ripulire i mastelli della zuppa. C'erano già i segni di indebolimento in quelle compagne che erano meno forti; cercavamo di sostenerci, infondendoci la certezza che ormai i tedeschi erano prossimi a cedere e che tutto sarebbe finito ben presto, ci esortavamo perciò a tener duro ancora per poco, altrimenti c'era il pericolo di ridursi a larve come ne vedevamo in giro: non avevano un etto di carne addosso, camminavano lentamente e parlavano con una vocina appena udibile, con le gambe rigate dai loro escrementi che ormai non potevano trattenere. 

Forse mi ripeterò, ma anche qui quando nell'autunno corse la voce che ci avrebbero trasferite in un altro campo, ne fui contenta: peggio di così era impossibile! Purtroppo non tutte partirono con noi e di loro non ebbi più notizie. 

Per il viaggio ci distribuirono i vestiti a zebra, ben puliti e caldi (c'era rischio che per strada qualcuno ci vedesse) che ci fecero regolarmente restituire all'arrivo a Rawensbruck. Da qualche indiscrezione sapemmo che stavano lentamente evacuando il campo di Auschwitz perché il fronte sovietico stava avanzando e questo ci rese anche ottimiste. Uscendo dalla stazione, mi voltai e vidi l'infame portone con la scritta «Arbeit mach frei». Bene, mi dissi, forse ora ce la faremo. 

ONDINA PETEANI
 
Trieste 1989


=== 2 ===

Da Trieste abbiamo ricevuto il seguente appello a proposito della sede di Via Cologna del fu "Ispettorato Speciale di PS per la Venezia Giulia", in cui operava la famigerata “banda Collotti":

Finalmente, dopo 65 anni la Soprintendenza ha dichiarato il "covo" di rilevanza storico-politico tale da vincolarlo come destinazione. Vorremmo conservare quel lembo di Memoria in Centro di documentazione e studio sulla Restenza del confine orientale (ed un piccolo museo). Mancano però fondi. Ci potreste aiutare sensibilizzando l'opinione pubblica anche della Slovenia? Grazie
Claudio Cossu ( claudio.cossu@... ) 

Sul recente sopralluogo di ex detenuti e torturati a Via Cologna si veda:


Il sopralluogo nella sede di detenzione e tortura dell'Ispettorato Speciale di PS di via Cologna a Trieste (2 dicembre 2010)

Più in generale sull'Ispettorato Speciale di PS per la Venezia Giulia di Trieste si veda:

Note sull'Ispettorato Speciale di PS (Banda Collotti) (ottobre 2006)
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-note_sull%27ispettorato_speciale_di_ps_%28banda_collotti%29.php

L'Ispettore De Marco E La Pubblica Sicurezza Sul Confine Orientale (maggio 2006)
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-l%27ispettore_de_marco_e_la_pubblica_sicurezza_sul_confine_orientale.php


Metodi Repressivi dell'Ispettorato Speciale di PS (gennaio 2009)

L'ordine pubblico nella Venezia Giulia tra il 1942 ed il 1943 (gennaio 2009)

L'Ispettorato Speciale di PS di Trieste Nella Sede di via Cologna (ottobre 2010)

Galleria fotografica: 

"Villa Triste" e la Banda Collotti




Memoria 2011 / 1

Perché la Giornata della Memoria non funziona

1) 2010: Perché la giornata della Memoria non funziona (olokaustos.org)
2) 2007: Giorgio Napolitano e la memoria / La memoria "orba" delle classi dirigenti italiane
3) Un intenso dibattito intorno al giorno della Memoria (A. Ascoli)


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2010: Perché la giornata della Memoria non funziona

Dieci anni fa l’ormai famosa Legge del 20 luglio 2000 istituiva la Giornata della Memoria. Nel 2004 una seconda legge istituiva il Giorno del Ricordo per commemorare le vittime delle foibe. La vicina Slovenia - a titolo quasi di rappresaglia - nel 2005 istituiva la “Festa del ritorno del Litorale Sloveno alla madrepatria” di segno e intenti ovviamente opposti. Nelle scuole italiane così da una decina d’anni a colpi di Giornate si promuove la Memoria. Purtroppo però a fare un bilancio degli ultimi dieci anni la Memoria così tanto promossa sembra non avere dato i frutti che si speravano. Sembra anzi che si siano verificati imprevisti fenomeni.
In primo luogo la istituzionalizzazione della “Giornata della Memoria” ha generato sin dai primi anni la “corsa al testimone”. Ogni scuola che avesse intenzione di promuovere la sua manifestazione voleva avere in aula qualcuno che avesse vissuto la tragedia. Ovviamente per motivi di naturale biologia i testimoni anno dopo anno si sono fatti sempre più scarsi. 
In secondo luogo si è generato il fenomeno del “turismo della Memoria”. Personalmente trovo agghiacciante sentire parlare di “gita ad Auschwitz”. Basta digitare su Google la frase “gita ad Auschwitz” e spuntano fuori 14.000 riferimenti. Solitamente si ritrovano i resoconti di studenti, di gruppi, di persone che ripercorrono l’esperienza della “gita”. L’uso del termine “gita” è certamente - in chi lo usa - pieno di buone intenzione. Alcuni lo correggono pudicamente completandolo in “gita di istruzione”. Resta il fatto che non si può andare in “gita” ad Auschwitz perché Auschwitz non dovrebbe essere un luogo dove si va in gita. Certi concetti passano anche per l’uso del vocabolario e il vocabolario che si è imposto in questi ultimi anni è diventato sempre più banalizzante.
Un terzo fenomeno è stato la parcellizzazione della Memoria. Il dettato della Legge del 2000 voleva essere il più largo possibile ed invece si è rivelato terribilmente stretto. Tanto stretto da far uscire dalla vicenda ricordata schiere di vittime che evidentemente non meritano di rientrare nella Memoria. Così poiché pochi si sentono in dovere di ricordare anche i disabili, gli omosessuali, i soldati sovietici, gli oppositori politici e tutte le altre categorie di vittime. Questa Memoria “selettiva” ha provocato delle comprensibili reazioni. Durante la giornata della Memoria da qualche anno le associazioni che difendono la dignità delle vittime poco ricordate durante la Giornata della Memoria organizzano le proprie attività. Anche noi negli anni abbiamo organizzato mostre, partecipato a dibattiti nello sforzo di ricordare gli eventi in modo completo. Ma anche qui soltanto chi ha voce, possibilità di farsi sentire dai media riesce a imporre il proprio messaggio.
La spiacevole sensazione che la Memoria rimanga una questione di capacità di farsi sentire sembra essere decisamente reale.
Il quarto fenomeno è la capacità della Memoria istituzionale di cancellare alcuni parti fondamentali della storia. La Giornata della Memoria è diventata un atto liturgico nel quale ricordare la morte di milioni di individui. Morte provocata da un gruppo ben definito di nazisti le cui azioni non vengono spiegate se non con la rassicurante categoria della follia. In modo tale che quando il sole tramonta sul 27 gennaio tutti noi ci sentiamo rassicurati perché i folli sono stati sconfitti e noi - noi i buoni e sani - siamo fondamentalmente differenti, siamo migliori. Sembra paradossale ma la Giornata della Memoria sta provocando una orribile semplificazione storica grazie alla quale i nazisti tedeschi furono gli unici responsabili dell’orrore. Il resto va assolto con la fine della giornata di commemorazione. Diventa così stupefacente constatare come in nome della Memoria istituzionalizzata ci si dimentichi che senza il resto degli europei i nazisti non avrebbero potuto realizzare il loro progetto di sterminio. Grazie alla perversione delle parole di Hannah Arendt la “banalità del male” è diventata un prodotto estraneo alla vita dell’Europa. In realtà il male non fu né banale né confinato alla scrivania di Eichmann. Ci furono delatori, spie, collaboratori che in ogni nazione occupata o alleata denunciarono vicini di casa, ex amici, conoscenti. Ci furono organi di polizia che collaborarono nelle retate degli ebrei in ogni nazione, Italia compresa. Ma di queste responsabilità si parla molto poco o non se ne parla affatto. Il carnefice fotografato dall’iconografia istituzionale è un tedesco, ha la divisa da SS e agisce sempre come un corpo estraneo rispetto al luogo in cui opera. Si parla poco di italiani che accompagnano sino all’uscio di casa, sino al nascondiglio i carnefici diventando carnefici essi stessi. Sarebbe certamente imbarazzante scoprire che nella propria città magari il bisnonno del mio compagno di banco che viene in “gita” ad Auschwitz collaborò a far funzionare il forno crematorio con le sue denunce e la sua volonterosa collaborazione. Meglio che la Memoria tramandi la solita figura del nazista spietato. Un segnale di questa cancellazione è l’amore per i “Giusti”. Anche qui negli ultimi anni si è assistita ad una specie di corsa alla ricerca di chi mettendo in pericolo la propria vita salvò le vittime dal loro destino. A metà del 2009 i Giusti tra le Nazioni riconosciuti dallo Yad Vashem erano 22.765 di cui 468 italiani. Questo sparuto numero di persone ha il grande merito psicologico di aver salvato delle vittime allora e di salvare noi dalla cattiva coscienza. Forse proprio il fatto che siano in Italia soltanto 468 ci dovrebbe spingere a pensare a quanti “ingiusti” ci furono. A quanti “armadi della vergogna” idealmente esistono per contenere i nomi di tutti coloro che nella migliore delle ipotesi non fecero nulla e nella peggiore si attivarono per compiere il male. 
Così anche sotto questo aspetto la Giornata della Memoria sottintende una non dichiarata Giornata della Dimenticanza che placa ogni coscienza. E questo è tanto più vero in un Paese come il nostro dove il mito degli “italiani brava gente” è radicato e intoccabile. Insomma più - doverosamente - ricordiamo le vittime e celebriamo gli eroi del bene, più - colpevolmente - rimuoviamo sistematicamente l’idea di responsabilità e il ricordo dei responsabili. Il cattivo è sempre un altro, il cattivo per definizione non ha un volto e non lo avrà più.
Infine la Giornata della Memoria in questi dieci anni di attività ha generato e rinforzato lo slogan - ripetuto come un mantra - che si usa alla fine di ogni manifestazione: “mai più”. Poco importa come fare a far sì che la Storia non si ripeta, l’importante è retoricamente dirsi “mai più”, magari con espressione decisa e sentimento di profonda convinzione.
Ha ragione David Bidussa quando scrive: “In realtà la scommessa intorno al Giorno della memoria è stata persa da tempo. Se non irrimediabilmente, certo in misura rilevante. Quella scommessa riguardava e ancora riguarda – perché il problema è ancora aperto in tutti i suoi aspetti – la costruzione di una coscienza storica attrezzata.
E’ esattamente qui che nasce il problema.  Perché il confronto con la storia non ha generato una consapevolezza”. 
“Mai più” significa che la Memoria diventa elemento attivo del presente e guida per l’agire futuro. Se ci ustionassimo una mano sul fuoco faremmo bene a dire “mai più” e faremmo bene a non riavvicinare troppo la mano ad un altro fuoco. Faremmo bene ad avere coscienza di cosa è il fuoco. Ma se dicessimo solo “mai più” per poi rimettere la mano sul fuoco alla prima occasione saremmo soltanto degli stupidi che un giorno all’anno ricordano il dolore provato per continuare poi a viverlo il giorno dopo.
“Mai più” significa che la Giornata della Memoria non è una “gita”, non è il momento retorico, l’inaugurazione del Memoriale sul quale esercitare il rito del prossimo anno. “Mai più” significa agire in coerenza con la consapevolezza maturata. E se una consapevolezza fosse stata prodotta oggi la “gita” più vera sarebbe ad un campo di Rom nella nostra città, in qualche area dove lavoratori migranti vivono ammassati come bestie in attesa di raccogliere i pomodori, in qualche casa fatiscente dove italiani meno fortunati muoiono per crolli inevitabili, in qualche mensa che si sforza di alleviare la povertà, in qualche centro diurno per disabili costretto da fondi sempre più scarsi a lavorare sempre meno. Perché le vittime che oggi celebriamo con la Giornata della Memoria sono lì dove altre vittime continuano ad essere: nella sfera della nostra retorica.


=== 2 ===

Giorgio Napolitano e la memoria

Lettera pubblicata su il Manifesto del 27 gennaio 2007

Il discorso del Presidente della Repubblica, tenuto al Quirinale in occasione della Giornata della Memoria, ci sconcerta e rattrista, come italiani antifascisti, come ebrei e come persone che, al disopra di ogni fazione politica, ritengono una assoluta esigenza di giustizia assicurare al popolo Palestinese libertà ed indipendenza, al popolo israeliano pace e armonia con i suoi vicini e con gli stessi suoi cittadini non ebrei ma arabi, il 20% della popolazione dello stato ebraico. Ci sconcerta il fatto che l’illustre personaggio non sappia sottrarsi alla retorica celebrativa che pare disinformata della realtà dei fatti di oggi e vogliamo dirgli: Signor Presidente, siamo tutti ben convinti che lo sterminio perpetrato dai nazisti – non solo degli Ebrei, ma anche degli Zingari - sia il più atroce e irrazionale crimine razzista che un moderno Stato nazionale abbia organizzato ed attuato con atroce, burocratica precisione. Molti di noi, o delle nostre famiglie, hanno memoria diretta di quella tragedia. Proprio per questo non ammettiamo che Israele, diventato stato nazionale, usi nei riguardi dei Palestinesi di cui ha occupato la Terra manu militari metodi iniqui e oppressivi, peggiori dei ghetti e dei pogrom usati a suo tempo contro gli Ebrei in Europa. Ogni sorta di persecuzione, angheria e crudeltà è attuata nei Territori palestinesi contro gli abitanti locali, a cui Israele confisca la terra. Ed ogni sorta di discriminazione contro i palestinesi che pure sono cittadini di Israele è usata nello stato ebraico. Lei ne è certamente informato, Signor Presidente, e sembra che se ne renda conto, perché alla sua condanna dell’antisionismo, che Lei impropriamente identifica con l’antisemitismo, aggiunge l’espressione “…al di là dei governi che si alternano nella guida di Israele", evidentemente alludendo alle azioni di questi governi. Noi siamo convinti che sia ingiusto ed inaccettabile che lo sterminio degli ebrei, di cui europei sono stati gli autori e le vittime, sia fatta pagare ai palestinesi, privandoli di terra e libertà. Siamo rattristati, e sdegnati, che il sionismo abbia usato e usi tuttora dei peggiori metodi di sopraffazione del nazionalismo razzista, invece di stabilire rapporti di amicizia con il popolo palestinese, che viveva da sempre in quella terra. Si sarebbe potuto mostrare che la cultura internazionalista ed universalista degli ebrei contribuiva a cambiare il mondo in senso ugualitario, antirazzista, libero e democratico.
Oggi le sue parole, Signor Presidente, rischiano di portare acqua al mulino di chi, affamando i palestinesi, in particolare nella Striscia di Gaza, e costruendo il Muro in Cisgiordania, lavora a una nuova pulizia etnica, sempre in nome della 'sicurezza di Israele'. Ci aspettavamo che Lei, Signor Presidente, rappresentando la nostra Repubblica nata dalla Resistenza contro il nazifascismo oppressore, affermasse il principio di non discriminare per 'razza' e religione senza sottigliezze diplomatiche, che dimostrano la sudditanza italiana ai potenti del mondo e la colpevole incuria verso le terribili condizioni in cui vive, oggi, il popolo palestinese occupato.

Paola Canarutto, Giorgio Forti, Miryam Marino, Ornella Terracini – Rete-ECO (Rete degli Ebrei contro l'Occupazione) 
Nicoletta Crocella e Mario Palmieri – Associazione Stelle Cadenti

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La memoria "orba" delle classi dirigenti italiane

Editoriale di Radio Città Aperta del 26 gennaio 2007

Di nuovo la retorica impazza. Si avvicina il "Giorno della memoria" e ministri, giornalisti, politici si affollano in iniziative di circostanza che ricordano l'immane massacro avvenuto durante la seconda guerra mondiale. L'iniziativa dovrebbe servire, negli intenti dei promotori, a rammentare alle giovani generazioni lo sterminio di milioni di vite in nome di un'assurda teoria razzista perseguita dai dirigenti nazisti. Chi non ha memoria non ha futuro, si ama recitare. Ricordare per non ripetere.
Sacrosante verità. Peccato che siano proprio i promotori di questa giornata a rimuovere e manipolare la storia.

Ha ragione Moni Ovadia quando afferma: "E' urgente vivificare il senso ultimo della Shoà nella battaglia contro ogni forma di razzismo, di sopraffazione, di offesa alla dignità e al diritto degli uomini. Solo il legame con le grandi battaglie per l'uguaglianza, la pace, la giustizia sociale (...) tiene viva quella memoria e la rilancia eticamente contro l'inaridimento celebrativo e l'isterilirsi nelle forme museali che ne fanno una comoda copertura delle false coscienze."

Si utilizza invece un pezzo di storia per offuscarne altri: così il massacro di un milione e mezzo di armeni da parte del regime occidentale turco scompare dalle ricorrenze, così come lo sterminio degli omosessuali, dei rom, dei portatori di handicap, dei malati di mente, degli antifascisti. Per non parlare del massacro di milioni di indigeni dell'America del Nord e del Sud, o degli abitanti originari dell'Australia. Fino ad arrivare alla negazione bipartizan delle responsabilità europee e italiane nella colonizzazione del continente africano.

Se da una parte il governo italiano vara una legge che punisce con il carcere chi propaganda idee razziste e discriminatorie, dall'altra il presidente della repubblica Giorgio Napolitano prende la palla al balzo e durante un discorso giustifica, in nome della memoria dei massacri di ieri, altri massacri. Nella fattispecie quelli perpetrati dallo Stato di Israele ai danni dei palestinesi e dei libanesi, solo per rimanere all'attualità.

Napolitano compie questa operazione indirizzando i suoi strali contro chi si oppone alla politica militarista e criminale di Israele, in nome del fatto che l'antisionismo sarebbe, a dir suo, una forma mascherata di antisemitismo. Quindi per il presidente della repubblica chi denuncia l'ideologia razzista di Israele, le sue continue aggressioni militari contro i popoli del Medioriente, la costruzione del muro dell'apartheid, la scientifica politica di colonizzazione e pulizia etnica all'interno dei territori palestinesi occupati, sarebbe da equiparare a chi nega la Shoà. Un ennesimo regalo ad Israele da parte di uno degli esponenti di spicco di quella sinistra italiana che negli ultimi anni è diventata il migliore alleato dei dirigenti di Tel Aviv. Una dichiarazione, quella di Napolitano, che assomiglia tanto, troppo, a quella proferita qualche giorno prima da Josè Maria Aznar. Il leader del partito popolare spagnolo, erede orgoglioso della dittatura di Franco, ci ha tenuto a ricordare che ''Per l'Europa è molto importante difendere Israele. Perchè, pur trovandosi in Medio Oriente, e' una nazione pienamente occidentale e la sua sparizione significherebbe la perdita della nostra posizione in quell'area del mondo''.

Che la destra erede delle feroci dittature che furono complici dello sterminio degli ebrei e di tante altre categorie di esseri umani utilizzi strumentalmente la Shoà per appoggiare nuove politiche di genocidio contro altri "popoli di troppo" è lo schiaffo più grande alla Memoria. Così come l'atteggiamento subalterno della sinistra italiana è uno schiaffo in faccia al sacrificio compiuto da milioni di uomini e di donne che misero in gioco la propria vita nella Resistenza contro il fascismo e contro il nazismo.

Una nuova legge, quella varata dal ministro Mastella, punirà il negazionismo di chi cerca di cancellare lo sterminio degli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Non ci aspettiamo, data l'attuale composizione della classe dirigente italiana, una legge contro chi si rende complice delle politiche criminali di Israele e degli Stati Uniti. Ma chiedere un sussulto di dignità ai settori più coerenti della sinistra italiana, a partire da una denuncia delle assurde posizioni espresse da Napolitano, è chiedere troppo? Sarebbe assurdo che la condanna del negazionismo sul passato si accompagnasse al sostegno del negazionismo sull'oggi.


=== 3 ===


Un intenso dibattito intorno al giorno della Memoria

di Adriano Ascoli

su redazione del 30/01/2007


Il giorno della memoria, dopo i primi anni di rodaggio, quest'anno si è manifestato con un insolito dibattito, largo ed eterogeneo, ben più ampio della nicchia iniziale che aveva portato alla sua istituzione. La memoria e gli argomenti in favore di un suo allargamento, vedi la questione della persecuzione razziale ai danni del popolo rom e di altre minoranze, è divenuta di attualità politica anche per una serie di elementi generali ed attuali ad essa connessi. Tra questi, il legittimo ingresso in questo dibattito di differenti settori delle comunità ebraiche, con voci in parte favorevoli ad allargare il ricordo a tutte le vittime e ad attualizzare il rifiuto di ogni discriminazione, in parte interessate a estendere ed attualizzare il discorso in chiave internazionale e in relazione ai rapporti con l'Iran. Questi elementi hanno contribuito ad allargare l'orizzonte di un argomento che sembrava confinato in un ambito esclusivamente memorialistico e rituale. Altri aspetti riguardano da vicino la politica italiana, come la proposta del Governo in carica di istituire un preciso reato di negazionismo. 
Il tentativo di utilizzare questa tematica storica e memoriale, non priva di elementi di attualità, per introdurre un altro tassello dello "stato etico", con la proposta di istituire il reato di negazionismo, pare corrispondere ad un intento più ambiguo, con la costruzione di miopi Verità di Stato utili ad essere successivamente allargate (magari a questioni di tutt'altra natura: al comunismo, alla "rivoluzione" ecc. più di quanto già avviene per i reati eversivi), verità che diverrebbero vincolanti per tutti come una sorta di politically correct obbligatorio. 

Ferma restando la specificità dello sterminio razziale operato dal nazismo, teso all'annientamento di ebrei, rom ecc. e la necessità di combattere la disinformazione negazionista, sarebbe allora conseguente introdurre in questo dibattito il riferimento ad altri aspetti della nostra storia recente finora rimasti nella quasi completa rimozione. L'elemento del finora negato ricordo delle conseguenze del colonialismo italiano in epoca appena antecedente il fascismo, e poi in modo ancora più sistematico nel periodo fascista, è qualcosa che non può restare nascosto. Esiste un ampissima documentazione storiografica, e storici di rilievo come Del Boca, Enzo Colotti, o il più giovane Luzzatto che curò la trasmissione altra storia su la7, sulle conseguenze della condotta delle forze armate italiane e del comandante Badoglio. Si parla di centinaia di migliaia, oltre un milione di civili morti, probabilmente di più. Dalla memoria degli italiani è scomparsa questa storia, eppure nelle campagne d'Africa e poi nei Balcani le popolazioni locali furono letteralmente decimate. In Africa fu massiccio l'uso di armi chimiche, la deportazione nei deserti di intere popolazioni, la costruzione di lager ai quali si ispirarono in seguito i nazisti. In Jugoslavia venivano rastrellati e avviati ai lager interi paesi, buona parte della popolazione di Lubiana fu internata, in molti casi in Slovenia venivano eliminati fisicamente gli uomini, talvolta anche donne e bambini in eccidi in tutto simili al nostro Marzabotto. La pratica dei reparti italiani non fu affatto dissimile da quella delle SS in Italia, ma il numero di morti che patì la popolazione jugoslava equivale a un vero e proprio genocidio, pianificato dal responsabile delle operazioni Roatta, il quale teorizzò perfino la "sostituzione" della popolazione slovena con quella italiana (l'operazione non andò a termine a causa della sconfitta italiana), mentre in Croazia si provvedeva all'eliminazione di chi rifiutava la conversione al rito cattolico osservato dai fascisti croati di Ante Pavelic. 

Nessun italiano fu mai perseguito per questi crimini, molto ben documentati dalle autorità jugoslave negli anni immediatamente successivi alla guerra. Molti dei responsabili, tra cui il vertice badogliano non subirono alcuna conseguenza, il generale Roatta riparò nella Spagna franchista per tornare in seguito all'amnistia. Un'amnistia politica senza esclusioni che costituisce un caso unico nella storia della Repubblica, una pacificazione che certo non ha toccato i differenti e successivi conflitti politici e sociali degli anni "70 e a seguire. Paradossalmente, a seguito della seconda guerra mondiale, l'unico ufficiale a subire una condanna a morte da parte degli alleati fu il generale Bellomo, uno dei pochi che si unirono alla resistenza anti-nazista. Ma la cosa più importante del nostro rimosso, del negazionismo dei crimini italiani, è che anche chi subì delle condanne, lievi o presto amnistiate, non fu per i crimini commessi all'estero ma per fatti tutti italiani. In questo modo le pagine più nefaste del colonialismo italiano, e di una buona parte del regime fascista, furono riabilitate e rientrarono ambiguamente a far parte della nuova Repubblica. Pare che una foto del gen. Roatta sia tuttora appesa alle pareti dell'Archivio storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. Quel capitolo della nostra storia è stato semplicemente rimosso, negato. Una Storia che gli italiani non conoscono, un vuoto di memoria e di coscienza riempito con semplicità dalla propaganda di guerra o dalla disinformazione. Addirittura il film "Il leone del deserto" che narra della vicenda libica o il documentario della BBC "fascist legacy" (reperibile in rete) hanno subito una censura che ha negato al grande pubblico di conoscere questi fatti. Badoglio morì con tanto di funerali di stato e il suo paese porta oggi il suo nome. Un eroe. Italiani brava gente, è questo il messaggio ufficiale che riprende vigore proprio oggi alle prese con il manifestarsi del neo-colonialismo e degli effetti della guerra permanente. Gli unici strascichi furono le inascoltate richieste jugoslave di consegna dei criminali di guerra italiani, e le attuali richieste libiche di riconoscimento dei danni di guerra. L'Italia alla fine pagò solo ai sui liberatori cedendo parti della sua sovranità (tra le quali diverse basi militari), non alle proprie vittime alle quali non è mai andato alcun riconoscimento o risarcimento, neppure sul piano della memoria e della storia. Una storia che oggi, per un insieme intricato di motivi, sta inaspettatamente tornando di attualità. Oggi tutto ciò ridiventa argomento politico perché su questa storia, distorta ad uso e consumo di questo o quello, si gioca anche una parte del nostro futuro.