Informazione

L'eroica resistenza del popolo iracheno (7)

1. Guerre Psicologiche. Il ruolo degli agenti provocatori USA in Iraq
(di William Bowles)

2. L'esercito USA e l'uso di armi chimiche a Falluja
(Islamonline, 12/11/2004 - SEE THE ORIGINAL AT:
http://www.uruknet.info/?p=7015
US Troops Reportedly Gassing Fallujah (IslamOnline.net) )


=== 1 ===

http://members.fortunecity.co.uk/freebie/pswit.htm

Guerre Psicologiche

Il ruolo degli agenti provocatori USA in Iraq

di William Bowles
27 ottobre 2004


L'articolo di Kurt Nimmo intitolato Kidnapping of CARE’s Margaret
Hassan a CIA-Mossad Op?
[http://globalresearch.ca/articles/NIM410B.html%5d solleva la più vasta
questione sul ruolo degli agenti provocatori USA e sul loro ruolo nel
destabilizzare la situazione in Iraq.

Il problema per giornalisti ed investigatori naturalmente è quello di
provare oltre ogni dubbio che gli USA stiano facendo questo tipo di
furfanteria e, a meno che il Congresso od il Senato siano costretti ad
affrontarlo come il caso dei Documenti del Pentagono, vi sono poche
probabilità di una risposta definitiva che faccia venire fuori dei nomi.

Comunque, la storia è disseminata di innumerevoli esempi di operazioni
di guerra psicologica condotte dagli USA in tutto il globo, sia che si
tratti di aiuto segreto nell'invasione di Cuba nel 1961 od il loro
sostegno (ed addestramento) delle squadre della morte in Guatemala, El
Salvador e Nicaragua fino all'armamento e sostegno per decenni
dell'UNITA in Angola. Perciò non dovrebbe essere una sorpresa se gli
USA fossero dentro fino al collo in operazioni come rapimenti ed
esecuzioni, tutte presumibilmente orchestrate da un solo uomo, Abu
Masaab al-Zarqawi, che prima del discorso del febbraio 2003 all'ONU di
Colin Powell era praticamente sconosciuto.

Da allora, al-Zarqawi è stato catapultato sui titoli dei giornali da
una serie di indiscrezioni ed 'exposè' screditate o non provate che
sono provenienti dalla CIA e da altri servizi segreti occidentali.

Ironicamente, uno dei primi incarichi da parte del suo nuovo datore di
lavoro CIA per Saddam Hussein fu il fallito tentativo di assassinio
dell'allora primo ministro iracheno Gen. Abd al-Karim Qasim nel 1959.
La ragione del tentato assassinio era la decisione di Kasim di ritirare
l'Iraq dal Patto di Baghdad antisovietico e di riallineare l'Iraq con
l'Unione Sovietica. Ancora peggio, Qasim nominò dei comunisti iracheni
in posizioni chiave del suo governo. [1]

Forse è persino più rivelatoria l'ammissione dell'ex funzionario del
Consiglio per la Sicurezza Nazionale Roger Morris che
"...affermava...che la CIA aveva scelto l'autoritario ed anticomunista
partito Baath "come suo strumento"". [2]

E' l'uso della parola "strumento" che è così rivelatorio delle tattiche
utilizzate dagli USA per portare avanti le sue politiche, sia interne
che estere, poiché rivela che i pianificatori di 'operazioni coperte'
non hanno problemi nell'utilizzare (e nello scartare) chiunque o
qualsiasi organizzazione senza preoccuparsi che le loro tattiche
includano l'assassinio.

Ciò che inizialmente mi colpì riguardo all'apparizione delle
'decapitazioni' che apparivano sul web, per non menzionare la
regolarmente crescente demonizzazione di al Zarqawi, era la scelta del
momento. Invariabilmente, esse accadevano ogni qualvolta dei
fatti/rivelazioni connessi con azioni degli USA si riflettevano
negativamente sull'occupazione o sulle ragioni usate per compierla.

L'articolo di Nimmo rivela pure il ruolo delle organizzazioni 'di
facciata' nel destabilizzare la situazione in Iraq,

... I membri del gruppo, chiamato Coalizione irachena per l'unità
nazionale (ICNU), si allontanano raramente dai loro veicoli USA e dai
loro sorveglianti delle forze speciali, con enormi sorrisi per le
telecamere in cima agli Humvees ed alzando le loro armi in segno di
vittoria... Il coordinamento tra l'ICNU e le forze di terra USA a Najaf
è stretto, gestito da uomini delle forze speciali e da agenti della
CIA”. [3]

Ma essi non agiscono solamente come una diversione ma provocano anche
un grave danno di propaganda alla resistenza irachena, marchiando
coloro che combattono l'occupazione come 'fanatici', 'estremisti
assetati di sangue' e così via.

Naturalmente gli scettici derideranno tali affermazioni ma, seguendo i
provati e verificati metodi dell'investigatore, abbiamo bisogno di
chiederci se vi è un movente, SI, un'opportunità, SI, ed infine i mezzi
per eseguire operazioni coperte di questo tipo, un grande SI. A Fort
Bragg [4] gli USA mantengono un intero corpo dell'esercito dedicato
unicamente alla guerra psicologica e la Scuola delle Americhe ha
addestrato gente in tecniche di tortura a partire dagli anni '60.

Ciò che è pure evidente riguardo all'apparizione di così tanti gruppi
'terroristi legati ad al Qaeda' è che essi appaiono quasi
simultaneamente e nelle loro apparizioni pubbliche prendono tutti la
stessa forma. I siti web che presentano i granulosi video hanno
proprietari di dominio rintracciabili che permettono persino al più
incompetente dei servizi segreti di trovarli, nondimeno ciò non è
avvenuto in nessun caso e neppure i mass media, che sono abbastanza
contenti di utilizzare le immagini ed accettare senza questioni
l'accusa che si tratta di al-Zarkawi, si sono posti l'ovvia domanda:
perché i proprietari di questi siti non sono stati rintracciati e
perseguiti?

Vi è anche l'apparizione dello stesso al-Zarkawi, ammesso che sia in
realtà il 'vero' Zarkawi. Secondo un articolo del 4 marzo 2004 Zarkawi
è rimasto ucciso quando gli USA hanno bombardato il QG dell'Ansar
al-Islam dove Zarkawi si nascondeva, nel nord dell'Iraq, nell'aprile
del 2003.

"Nessuno degli ex membri di Ansar ricorda di avere mai visto o nemmeno
sentito parlare che il giordano Abu Musab Zarqawi fosse a Sargat od in
qualsiasi altro posto nel piccolo territorio dell'Ansar. Washington ha
accusato Mr. Zarqawi, la cui gamba venne amputata nel 2002 in una
clinica di Baghdad, di essere il collegamento di prima della guerra
dell'Iraq con il terrorismo”. [5]

Ed in realtà gli stessi USA non sono certi del ruolo che al-Zarkawi
presumibilmente gioca nella 'rete terroristica globale' in quanto molte
volte hanno sotto e sopravalutato il suo ruolo e le sue responsabilità.

La campagna di propaganda/disinformazione costruita attorno ad
al-Zarkawi venne lanciata da Colin Powell nella suo famigerata e
totalmente screditata presentazione all'ONU del febbraio 2003
progettata per giustificare l'imminente invasione,

"Apparentemente lo scorso inverno Zarkawi stava operando con esplosivi
e mortali tossine in un campo terrorista nel nordest dell'Iraq. Il
Segretario di Stato USA Colin Powell ha avvertito il Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite dei pericoli che presentava in una
presentazione nel febbraio dello scorso anno. Powell affermò che
Zarkawi e l'Ansar al-Islam erano il collegamento di Saddam con al
Qaeda. La "prova" dietro le affermazioni di Powell si rivelarono vuote
come quella sulle armi di distruzione di massa". [6]

Anche la natura, posizione, fedeltà, persino la stessa esistenza di
Zarkawi, quindi, sono cambiate nel tempo a seconda delle circostanze,

"Secondo le dichiarazioni dell'amministrazione USA, Zarkawi era
dapprima uno "stretto associato di [Osama] bin Laden”. Quindi, la sua
relazione con bin Laden divenne "incerta", prima che tornasse ad essere
uno "stretto associato".

"Una dichiarazione ufficiale USA che dichiara Ansar un gruppo
terrorista affermava che Zarkawi era un "operativo superiore di al
Qaeda", ma più tardi che era soltanto un "sospetto" di essere un
qualche tipo di affiliato. Fino a due settimane fa era considerato il
capo di Ansar al-Islam. Ora si ritiene sia a capo di un gruppo
estremista giordano chiamato al-Tawhid e solamente collegato ad al
Qaeda e ad altri gruppi".

“Abu Musab al-Zarqawi ha avuto una connessione di lunga durata con i
comandanti superiori di al Qaeda e pare sia altamente considerato
dentro al Qaeda ed uno stretto associato di Osama bin Laden e (del suo
principale scagnozzo) Saif al-Adel", ha detto lo scorso ottobre il
Dipartimento di Stato". [7]

La più incriminante prova della relazione degli USA con 'al-Zarkawi' è
la connessione USA con l'Ansar-al-Islam, basato nel nord dell'Iraq in
un'area kurda, un 'protettorato degli USA dal 1991.

La prima domanda da porsi è perché gli USA abbiano permesso a questo
presunto 'ramo' di al Qaeda di mantenere il suo quartier generale
nell'area controllata dagli USA e dai kurdi dove esso ha eseguito
assassini ed attacchi al PUK kurdo (apparentemente con il sostegno del
governo iracheno).

"Un sinistro nesso tra l'Iraq e la rete terrorista al Qaeda, un nesso
che combina le classiche organizzazioni terroriste ed i moderni metodi
di assassinio. L'Iraq odierno protegge una letale rete terrorista,
guidata da bu Musaab al-Zarqawi, un associato e collaboratore di Osama
bin Laden e dei suoi luogotenenti di al Qaeda". [8]

Quindi, in seguito alle 'rivelazioni' di Colin Powell all'ONU
dell'aprile del 2003 su al-Zarkawi, il quartier generale di
Ansar-al-Islam venne polverizzato da ripetuti attacchi missilistici con
il pretesto che era un centro per la produzione di armi chimiche e
biologiche, un'asserzione che in seguito si è dimostrata essere una
completa invenzione degli USA. [9]

Infatti, la portata ed il raggio d'azione delle operazioni di Abu
Musaab al-Zarqawi è alquanto impressionante per un solo uomo;
comprendenti presunte 'bombe sporche' negli USA (febbraio 2003), il
Ricin (febbraio 2003), tutti i tipi di orrori, compresi radiazioni,
germi e veleno, a quanto si dice che doveva essere usato negli USA
prima del 31 marzo 2003 (Newsweek, 24 febbraio 2003) che pure si e
rivelato essere una menzogna.

Al Zarqawi è stato anche accusato di pianificare attacchi con il Ricin
in Europa, compreso un attentato alla metropolitana di Londra nel
gennaio 2003 (che 'coincideva' con la visita di Bush). Quindi vi è
stato un asserito coinvolgimento di al-Zarkawi nella produzione di
esplosivi e di letali prodotti chimici per attentati in Spagna, ancora
una volta dimostratisi essere invenzioni. [10]

Come fa un uomo a saltare intorno al pianeta a volontà e fare tutte
queste cose ovunque, da una remota località nel nord dell'Iraq o,
alternativamente, dall'Afghanistan, a seconda di a quale parte delle
fonti di 'intelligence' USA si creda, non viene mai spiegato, eccetto
che dalla totalmente infondata pretesa che sia un "maestro del
travestimento".

In un articolo da me scritto in precedenza quest'anno su al-Zarkawi in
seguito ad una storia di prima pagina dell'Independent sulla
'decapitazione' di Berg, è venuto fuori che tutte le storie su
al-Zarkawi all'epoca apparse riguardanti l'asserita connessione
al-Zarqawi/Berg avevano un'unica fonte, un giornalista della rivista
Newsweek con presunte relazioni con l'intelligence. [11]

Con ogni probabilità, seguendo le classiche tattiche del 'dividi e
governa' dei colonizzatori, l'Ansar-al-Islam è una organizzazione
ispirata dagli USA, che se non altro spiega il fatto che la sia base
principale esisteva sotto completa veduta degli USA dal suo principio
nel 2001 fino alla sua 'opportuna' distruzione nel 2003 dopo essere
stata indicata come l'organizzazione di al-Zarkawi.

L'aspetto più importante dell'utilizzo di al-Zarkawi nella guerra della
propaganda dell'impero è la sua incontestata accettazione da parte dei
mass media, non soltanto della sua esistenza ma delle sue presunte
azioni. Una ricerca nei media non mostra un singolo riferimento
indipendente alla sua esistenza o che lo leghi alle sue presunte
azioni. Tutte le 'prove' hanno fonti non nominate o non dimostrate,
tipicamente con l'etichetta 'si presume' o 'si dice sia' o 'con ogni
probabilità' è opera di Abu Masaab al-Zarqawi. Tutti i riferimenti che
sono stati controllati si sono dimostrati essere falsi. [12] Come
Chossudovsky fa notare
[http://www.globalresearch.ca/articles/CHO405B.html%5d, dalla
presentazione di febbraio di Powell all'ONU raramente passa un giorno
senza una menzione di al-Zarkawi nei mass media in un continuo
crescendo di demonizzazione. [13]

Gli USA hanno anche desistito dalla loro identificazione di al-Zarqawi
dai nastri audio e video presumibilmente rilasciati da al-Zarqawi,
affermando prima che non era lui e poi asserendo che era al-Zarqawi
mentre ammettevano che non vi era alcun modo di identificarlo
realmente. Perciò, le pretese di utilizzare il test del DNA suonano
vuote quando si pongono si fronte alla completa assenza di prove che
l'uomo persino esista.

Nell'attuale situazione, con le forze USA distese al punto di rottura
ed essendosi potenzialmente ritirate da tutte le principali città e
paesi della nazione, elevare il profilo di 'al-Zarqawi' serve anche per
deviare l'attenzione dell'imminente invasione e conseguente distruzione
di Falluja. Etichettando Falluja come il 'centro nevralgico'
dell'organizzazione di al-Zarqawi (senza presentare un minimo di prove
a sostegno di questa affermazione) associato ai 'convenienti' rapimenti
ed esecuzioni, gli USA sperano di suscitare il sostegno del pubblico
per le loro sempre più disperate e sanguinose azioni.

Riferimenti

1. 'Saddam Key in Early CIA Plot', Newsmax Wires venerdì, 11 aprile
2003 www.newsmax.com/archives/articles/2003/4/10/205859.shtml
2. ibid
3. www.wsws.org/articles/2003/apr2003/cia-a08 .
4. www.globalspecops.com/capcom.html
5. Christian Science Monitor 16 ottobre 2003
www.csmonitor.com/2003/1016/p12s01-woiq.html
6. Asia Times, 18 febbraio 2004
www.atimes.com/atimes/Middle_East/FB18Ak04.html
7. ibid
8. Colin Powell to the UN Security Council, 15 febbraio 2003.
www.globalresearch.ca/articles/CHO405B.html
9. The Observer, 9 febbraio 2003 and ABC News, 29 marzo 2003.
10. 'Who is Abu Musab Al-Zarqawi?' by Michel Chossudovsky, 11 giugno
2004 www.globalresearch.ca/articles/CHO405B.html
11. Correspondence with Michel Chossudovsky
12. The Observer, op cit
13. op cit

© Copyright belongs to the author 2004 . For fair use only


=== 2 ===

http://www.anti-imperialism.net/lai/texte.phtml?section=&object_id=23204

Iraq

L'esercito USA e l'uso di armi chimiche a Falluja

Islamonline

Viene riferito da più fonti che l'esercito USA stia usando armi
chimiche e gas velenosi nella sua offensiva su larga scala contro
Falluja, baluardo della resistenza irachena. Un triste ricordo delle
gassazioni dei Curdi avvenute nel 1988, per mano, presumibilmente, di
Saddam Hussein.

"Le truppe di occupazione statunitensi stanno usando gas e armi
chimiche bandite a livello internazionale sui combattenti della
resistenza" hanno dichiarato alcune fonti della resistenza all'agenzia
Al-Quds Press, mercoledì 10 novembre.

"L'impiego di queste armi letali ha provocato la morte di decine di
civili, i cui corpi giacciono disseminati per strade e marciapiedi",
hanno aggiunto.

"Usano armi chimiche, spinti dalla disperazione e dal senso di
impotenza davanti alla continua, tenace resistenza della gente di
Falluja, che è riuscita a cacciare l'esercito statunitense da diversi
distretti ed a farvi di nuovo sventolare orgogliosamente la bandiera
irachena. La resistenza è anche riuscita a distruggere ed incendiare
notevoli quantità di carri armati e veicoli statunitensi".

"L'esercito USA ha inondato di gas chimici e nervini i guerriglieri,
provocando reazioni incontrollate e scene strazianti" ha dichiarato
all'agenzia Al-Quds un medico iracheno, che ha richiesto l'anonimato.

"Alcuni tra i residenti di Falluja hanno riportato gravissime ustioni,
incurabili, causate dai gas velenosi", hanno aggiunto i guerriglieri
della resistenza che hanno preso parte ai combattimenti di Golan, a
nord ovest di Falluja.

Lo scorso agosto, gli Stati Uniti ammisero l'uso di armi incendiarie al
napalm, bandite dalla normativa internazionale, in Iraq, nonostante il
Pentagono avesse precedentemente negato l'uso di quell'arma "orribile"
durante le tre settimane utilizzate per portare a compimento
l'invasione.

Al termine dell'offensiva, il 9 aprile scorso, gli Iracheni
cominciarono a lamentarsi del fatto che le loro città fossero
disseminate di bombe a grappolo inesplose.

Il Black Out dei mezzi di informazione

Le stesse fonti ci hanno dichiarato che il black out dei mezzi di
informazione, l'esclusione di Al Jazeera dal canale satellitare ed
alcuni giornalisti cosiddetti "embedded" , hanno reso un bel servizio
all'esercito USA.

"Per questo, le truppe statunitensi hanno preferito usare armi proibite
dal diritto internazionale: per piegare l'ammirevole resistenza della
gente di Falluja. Il comando militare statunitense esercita una censura
sempre più capillare sugli articoli inviati dai giornalisti "embedded"
ai loro rispettivi giornali ed agenzie di stampa" hanno aggiunto le
nostre fonti.

Il Ministro iracheno della Difesa, Hazem Al-Shaalan, ha detto martedì 9
novembre che avrebbe preso una posizione decisa al riguardo.

"La dichiarazione di Al-Shaalan non è servita a niente e si è
continuato a far uso di armi chimiche e di gas velenosi a Falluja",
hanno dichiarato alcuni osservatori all'agenzia Al-Quds.

Le denunce di uso di gas velenosi ci riportano dolorosamente alla
gassazione della comunità curda da parte, presumibilmente, di Saddam
Hussein, avvenuta nella città settentrionale di Halabja nel 1988.

Mentre l'Occidente insiste nell'affermare che Saddam fosse il
responsabile dietro le quinte di quel crimine odioso, l'ex presidente
punta il dito verso il regime iraniano.

Note:
Traduzione di Patrizia Messinese a cura di Peacelink

Articolo originale:

http://www.uruknet.info/?p=7015
US Troops Reportedly Gassing Fallujah (IslamOnline.net)

https://www.cnj.it/INIZIATIVE/taranto201104.htm

Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia
aderisce
al Convegno Nazionale
NESSUNA BASE NESSUNA GUERRA,

in programma per il prossimo 20 novembre a Taranto:

- vedi al sito
http://italy.peacelink.org/pace/articles/art_7927.html
oppure https://www.cnj.it/INIZIATIVE/taranto201104.htm
la convocazione ed il programma del Convegno;

- vedi alla pagina
https://www.cnj.it/INIZIATIVE/taranto201104.htm
il testo dell'intervento del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia.


20 novembre 2004
ore 9-18, Salone della Provincia, via Anfiteatro - Taranto

CONVEGNO NAZIONALE:
NESSUNA BASE NESSUNA GUERRA

contro la nuova Base Usa a Taranto, avamposto nel mediterraneo nel
disegno di dominio americano

A Taranto, dove vi sono già due basi navali - l'ultima inaugurata
proprio quest'estate - se ne ipotizza una terza a comando militare
USA...

Facciamo appello a donne, uomini, giovani, lavoratori, a
intellettuali, giornalisti, scienziati, ai Comitati di lotta contro le
basi, alle forze sociali, politiche e sindacali, strutture ed
associazioni di base e autorganizzate locali e nazionali a partecipare
a Taranto al Convegno del 20 novembre

Il Comitato per il No al nucleare e No ad ogni ulteriore insediamento
militare

per adesioni e informazioni:
cobasta @ libero.it - giovannimatichecchia @ libero.it

The Ghosts of Medak Pocket

[ "I fantasmi della sacca di Medak": si chiama cosi' un libro
recentemente uscito in Canada. I "fantasmi" dei quali parla il libro
sono, da una parte, gli abitanti serbi della zona di Medak,
nell'attuale Croazia, sterminati nei primi anni Novanta; al contempo,
"fantasmi" o, per meglio dire, "scheletri nell'armadio" sono anche
quelli delle truppe canadesi inquadrate nella missione ONU, all'epoca
(1993) impegnate nel cosiddetto "peacekeeping" in quella zona, che si
trovarono di fronte alla pulizia etnica dei miliziani croati. Con
questi ultimi i canadesi furono anche coinvolti in uno scontro armato,
sul quale i media ed i politici canadesi da subito hanno steso un velo
di imbarazzata censura.
Questo libro, finalmente, potrebbe riportare in vita quei "fantasmi":
ma non in senso letterale, purtroppo, poiche' ai serbi di Medak nessuno
puo' restituire la vita. Ricordiamo che per la pulizia etnica nella
Slavonia e nelle Krajne la Croazia ed i suoi responsabili politici non
hanno mai subito alcuna sanzione da parte della cosiddetta "comunita'
internazionale", viceversa: quasi per ricompensa, sono stati oramai
persino aperti i negoziati per l'accesso della Croazia nella UE. Janko
Bobetko, il principale responsabile della carneficina della sacca di
Medak, e' stato graziato dal "Tribunale ad hoc" dell'Aia "a causa delle
sue condizioni di salute" - vedi:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2262
Sullo stesso argomento vedi anche, ad esempio:
La eliminazione dei serbi dalla Croazia / 1: Il ruolo degli USA
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2665
Croatie : après les élections, nouvelles inculpations ?
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3006
Coverup at The Hague Tribunal: Mercenary Outfit on Contract to the
Pentagon behind 1995 Ethnic Massacres in the Krajina region
http://globalresearch.ca/articles/CHO307D.html
(a cura di I. Slavo) ]


http://www.amazon.ca/exec/obidos/tg/detail/-/books/0679312935/reviews/
ref=cm_rev_more_2/702-5371429-3231253

The Ghosts of Medak Pocket: the Story of Canada's Secret War

by Carol Off (Author)

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Hardcover - 320 pages (October 12, 2004)

Editorial Reviews

Review

Praise for The Lion, the Fox and the Eagle:
“Off is a smooth and powerful writer, delivering a mixture of
descriptive passages, contextual background and editorial argument
which collectively produce a provocative page-turner.”
—The Globe and Mail

Book Description

In 1993, Canadian peacekeepers in Croatia were plunged into the most
significant fighting Canada had seen since the Korean War. Their
extraordinary heroism was covered up and forgotten. The ghosts of that
battlefield have haunted them ever since.
Canadian peacekeepers in Medak Pocket, Croatia, found no peace to keep
in September 1993. They engaged the forces of ethnic cleansing in a
deadly firefight and drove them from the area under United Nations
protection. The soldiers should have returned home as heroes. Instead,
they arrived under a cloud of suspicion and silence.
In Medak Pocket, members of the Princess Patricia’s Canadian Light
Infantry did exactly the job they were trained — and ordered — to do.
When attacked by the Croat army they returned fire and fought back
valiantly to protect Serbian civilians and to save the UN mandate in
Croatia. Then they confronted the horrors of the offensive’s aftermath
— the annihilation by the Croat army of Serbian villages. The Canadians
searched for survivors. There were none.
The soldiers came home haunted by these atrocities, but in the wake of
the Somalia affair, Canada had no time for soldiers’ stories of the
horrific compromises of battle — the peacekeepers were silenced. In
time, the dark secrets of Medak’s horrors drove many of these soldiers
to despair, to homelessness and even suicide.
Award-winning journalist Carol Off brings to life this decisive battle
of the Canadian Forces. The Ghosts of Medak Pocket is the complete and
untold story.

From the Inside Flap

In 1993, Canadian peacekeepers in Croatia were plunged into the most
significant fighting Canada had seen since the Korean War. Their
extraordinary heroism was covered up and forgotten. The ghosts of that
battlefield have haunted them ever since.
Canadian peacekeepers in Medak Pocket, Croatia, found no peace to keep
in September 1993. They engaged the forces of ethnic cleansing in a
deadly firefight and drove them from the area under United Nations
protection. The soldiers should have returned home as heroes. Instead,
they arrived under a cloud of suspicion and silence.
In Medak Pocket, members of the Princess Patricia’s Canadian Light
Infantry did exactly the job they were trained — and ordered — to do.
When attacked by the Croat army they returned fire and fought back
valiantly to protect Serbian civilians and to save the UN mandate in
Croatia. Then they confronted the horrors of the offensive’s aftermath
— the annihilation by the Croat army of Serbian villages. The Canadians
searched for survivors. There were none.
The soldiers came home haunted by these atrocities, but in the wake of
the Somalia affair, Canada had no time for soldiers’ stories of the
horrific compromises of battle — the peacekeepers were silenced. In
time, the dark secrets of Medak’s horrors drove many of these soldiers
to despair, to homelessness and even suicide.

Award-winning journalist Carol Off brings to life this decisive battle
of the Canadian Forces. The Ghosts of Medak Pocket is the complete and
untold story.

From the Back Cover

Praise for The Lion, the Fox and the Eagle:
“Off is a smooth and powerful writer, delivering a mixture of
descriptive passages, contextual background and editorial argument
which collectively produce a provocative page-turner.”
—The Globe and Mail

About the Author

Carol Off has witnessed and reported on many of the world’s conflicts,
from the fall of Yugoslavia to the US-led war on terror. She has won
numerous awards for her television and radio work, including coverage
of the ethnic cleansing of Bosnia. She lives and works in Toronto.

Excerpt. © Reprinted by permission. All rights reserved.

PROLOGUE: A NEW WAR DAWNING

Fate is the same for the man who holds back,
the same if he fights hard.
We are all held in one single honour,
the brave with the weaklings.
—The Iliad of Homer

Rudy Bajema got up before dawn on September 9, 1993. He wanted a moment
of quiet and solitude before the bustle of the day in order to wish his
mother a happy birthday. There was no way to talk to her directly, so
he just thought about her, hoping mental telepathy would convey his
feelings. Somehow he knew she’d get his message. And so Bajema was
already wide awake when the first shell slammed into the ground at
six-thirty.

A mortar explosion near their living quarters was nothing new for the
soldiers of the Second Battalion of the Princess Patricia’s Canadian
Light Infantry. They had been dodging indirect fire ever since they
moved into an area called the Medak Pocket, where they were guarding a
ceasefire line between two hostile divisions of seasoned fighting
forces: Serbs on one side and Croats on the other. Both of the forces
had benefited from the training and expertise of what until recently
had been one of the great military machines of Europe: the Yugoslav
National Army. Now they were using the considerable skill they had
acquired as a unified force in order to kill each other. The Patricias
had long ago come to the realization that the ceasefire line they were
assigned to guard was a barrier that existed only in the imaginations
of international diplomats. The surprise on this particular morning was
that the first shell was followed immediately by another one that came
in almost on top of the Canadians, and shook the building.

Lieutenant Tyrone Green, a university student from Vancouver, consulted
his compass after the first mortar explosion to determine which of the
two adversaries was on the offensive this time. The second shell
knocked him off his feet. He ran through the barracks that housed his
soldiers, sending out the alarm. “Artie, artie artie!” he hollered
(incoming artillery shells), while more mortar bombs smashed into the
ground around them. As they scrambled out of their sleeping bags and
jumped into their boots, grabbing their weapons, the peacekeepers knew,
with a mixture of exhilaration and terror, that they were no longer
incidental bystanders at someone else’s battle —they had become one of
the targets.

Green dashed out to the yard and climbed into his armoured vehicle. His
platoon had been in what they called Medak House for just over a week —
not long enough to set up a proper communications system. The mobile
radio in the vehicle was all he had. Green called Charlie Company
headquarters to report this new development; by now the shells were
landing all around them with the rhythm and the urgency of a major
offensive operation. Charlie Company’s Nine Platoon was suddenly in the
middle of a war. To the young Canadians, the rules of engagement, if
there were any, were as incomprehensible as the long, complicated
Balkan history that had led up to this terrifying moment. Rudy Bajema
had got his birthday greetings out just in time.

***

Eight kilometres south of Medak House and two kilometres straight up a
mountain from the Canadian battalion’s base camp in Sveti Rok, Sergeant
Rod Dearing and his section of Charlie Company’s Eight Platoon were
deep asleep in and around their bunker. It was a standard war-zone
shelter, its dirt walls and ceiling shored up by pit props, netting and
prayers. The soldiers had dug into the stony ground of the Lika
Highlands of Croatia, overlooking the villages and pastures on the
Serbian side of Medak. A few metres away, precariously perched on the
brow of a hill, they’d scooped out a second bunker to use as an
observation post. Twenty-four hours a day, the Canadians peered out
from that position into the deep valley below them, watching the
comings and goings of soldiers as well as civilians.

Living in an earthen bunker with several other men might not be
everyone’s idea of pure joy, but Dearing loved being outdoors,
surrounded by the dense oak forests of the Lika Highlands. The moors,
valleys and woodlands of central Croatia resonate with dark, bloody
history and an even darker mythology. Legends of clan warfare and
revenge killing twist and turn through local folklore like the maze of
goat trails that criss-cross the empty hills.

To the north and east of the bunker and lookout, long spurs of the
Austrian Alps tumble down into the interior of Croatia and merge with
the Dinaric Mountains, which roll up from the southeast in a single
rocky backbone. The green expanse of the Medak region’s pasturelands
flows away to the south and squeezes between foothills. Through a gap
in the white rock of the Velebit Mountains to the west, the soldiers of
Eight Platoon could sometimes see the blue water of the Adriatic, not
more than twenty kilometres away.

It was early September and the woods were just beginning to turn gold
and red. The setting reminded Dearing of his boyhood home in Armstrong,
British Columbia, where he and his friends had played and explored, and
where he’d acquired his love of the outdoors. A steady diet of G.I. Joe
comics and a love of the Canadian war stories he learned in school —
whenever he could sit still long enough to read — had filled him with
the single desire to be a soldier. He’d joined the Rocky Mountain
Rangers as soon as he was old enough to be a soldier in the reserves.

At twenty-eight, muscular and fit, Dearing was exactly where he always
wanted to be. He was living in nature. He was a soldier. But he was in
somebody else’s country, caught in the middle of someone else’s bloody
war


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http://www.theglobeandmail.com/servlet/story/
RTGAM.20041029.bkghost1030/BNStory/SpecialEvents/

THE GLOBE AND MAIL, Saturday, October 30, 2004 BOOKS

When peacekeepers go to war

By MICHAEL BOIRE

The Ghosts of Medak Pocket: The Story of Canada's Secret War

By Carol Off

Random House Canada, 310 pages, $34.95

In the autumn of 1993, while attempting to separate Serbs and Croats
fighting in the Medak Pocket in Croatia, the soldiers of C Company,
Second Battalion, Princess Patricia's Canadian Light Infantry (2PPCLI)
went to war. More precisely, war found them.

As she tells the extraordinary story of these young Canadian men and
women enduring their baptism of fire, veteran broadcast journalist
Carol Off, whose work has included covering the aftermath of ethnic
cleansing in Bosnia, makes three important points. First, in the Medak
Pocket, Canada's army made the violent passage from the predictable and
relatively secure style of Cold War peacekeeping to the hazardous
peacemaking that characterizes the New World Order.

Second, "Canada has assigned itself the role of peacemaker: It's in our
mythology, our history and foreign policy, but as a nation we are
colossally deluded about what the role really entails. That delusion
has meant that Canadian soldiers have repeatedly been sent to face the
horrors and violence of wars in foreign countries, and have actively
fought in those wars, without Canadians ever hearing much about it."

Finally, it is a travesty that Canadians have been kept in the dark
about the dangers their soldiers have faced and the courage they have
shown.

Off is on solid ground in this riveting account of the Medak action. By
the time 2PPCLI joined the United Nations Protection Force (UNPROFOR),
Serbs and Croats had been battling for possession of the Krajina
(Western Croatia) since Yugoslavia's disintegration in 1991. Faced with
yet another violation of the cease-fire in September, 1993, United
Nations forces were clearly losing what little grip they had left on
the situation.

To re-establish its credibility, UNPROFOR ordered its most steadfast
contingent, the Princess Patricias, to pry apart the warring factions
and then compel them to disengage. While conducting this dangerous
assignment, C Company came under sustained heavy fire from Croatian
forces. For 15 hours, the Canadians defended themselves while
resolutely pursuing their mission. When the smoke cleared, they had
beaten back the Croats, inflicting heavy casualties, according to the
local media. On the Canadian side, nobody had been killed or seriously
wounded. Lady Luck had indeed smiled on C Company as it fought and won
the Battle of the Medak Pocket.

Unfortunately, this was soon to prove a hollow victory. In the days
after the battle, 2PPCLI discovered the remains of Serbs who had been
murdered in their homes by Croats, who had used their action against
the Canadian peacekeepers to cover their vicious ethnic-cleansing
operations.

In addition to a stirring account of the battle, Off provides the
historical context an uninitiated reader needs to understand the
origins of the bewildering and precarious situation Canadian soldiers
faced while peacemaking in Croatia. In several user-friendly chapters,
we travel from the Middle Ages right through to the disintegration of
Tito's Yugoslavia and the resulting emergence of modern Croatia. Off
relates the brutal roles president Franjo Tudjman played in leading
Croatia to independence, as well as directing the "ethnic cleansing" of
the Serb population of the Krajina, albeit in retaliation for the
Serbs' cruel treatment of the Croats who lived among them.

The author serves up a few surprising facts, as well. It is
disconcerting to read of the unwavering moral and financial support
that Tudjman's brutal regime received from militant elements within
Canada's Croatian community. Off's question is as disturbing as it is
ironic: How many of the weapons used against Canadian soldiers in the
Medak Pocket had been purchased with money from Canada?

By far the most poignant passages of this book treat the heavy price
that Canadian reservists paid for their Balkan experience. Because it
had already sent many of its own soldiers to reinforce Canadian units
Deploying into the Balkans, 2PPCLI found itself under strength for its
own deployment. Several hundred army reservists from across Canada
stepped forward to fill the battalion's ranks. Many would serve in C
Company in the Medak Pocket.

Although 2PPCLI returned home to a lukewarm welcome that offered little
moral support, its regular soldiers would remain together, helping each
other face the strains of re-adapting to normal life. The reservists,
however, had come from every corner of Canada. They returned home as
individuals, without access to the support structures that might have
eased their transition to peace. Many found themselves isolated and
alone. The ghosts of Medak continued to haunt some members of the
battalion for years after their return. For an unfortunate few,
alcohol, drugs and violence became coping strategies.

Carol Off has written a first-class account of Canada's soldiers in
action. Her prose is lively and her tone impassioned. Combining
credible secondary sources with a large collection of first-hand
accounts, the best evidence of all, she has made a solid argument for a
reassessment of Canadians' attitudes toward peacekeeping. As she states
with admirable conviction: "The time has undoubtedly come for Canada to
figure out what role the Canadian Forces should play in the modern
world, but also to acknowledge and understand what the Forces have been
doing, on difficult missions their fellow citizens have paid scant
attention to since the end of the Cold War."

In Croatia in 1993, when many national contingents in the United
Nations forces avoided their obligations to separate warring forces and
support the humanitarian mission, the soldiers of C Company, Second
Battalion, Princess Patricia's Canadian Light Infantry, put duty and
honour first.


Major Michael Boire has served in Cyprus, Bosnia, Kosovo and Macedonia.
He teaches at the Royal Military College of Canada, in Kingston, Ont.


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http://www.randomhouse.ca/catalog/display.pperl?0679312935&view=print

The Ghosts of Medak Pocket

The Story of Canada's Secret War

Written by Carol Off

Category: Current Affairs - International
Publisher: Random House Canada
Format: Hardcover, 320 pages
Pub Date: October 2004
Price: $34.95
ISBN: 0-679-31293-5

ABOUT THIS BOOK

In 1993, Canadian peacekeepers in Croatia were plunged into the most
significant fighting Canada had seen since the Korean War. Their
extraordinary heroism was covered up and forgotten. The ghosts of that
battlefield have haunted them ever since.

Canadian peacekeepers in Medak Pocket, Croatia, found no peace to keep
in September 1993. They engaged the forces of ethnic cleansing in a
deadly firefight and drove them from the area under United Nations
protection. The soldiers should have returned home as heroes. Instead,
they arrived under a cloud of suspicion and silence.

In Medak Pocket, members of the Princess Patricia’s Canadian Light
Infantry did exactly the job they were trained — and ordered — to do.
When attacked by the Croat army they returned fire and fought back
valiantly to protect Serbian civilians and to save the UN mandate in
Croatia. Then they confronted the horrors of the offensive’s aftermath
— the annihilation by the Croat army of Serbian villages. The Canadians
searched for survivors. There were none.

The soldiers came home haunted by these atrocities, but in the wake of
the Somalia affair, Canada had no time for soldiers’ stories of the
horrific compromises of battle — the peacekeepers were silenced. In
time, the dark secrets of Medak’s horrors drove many of these soldiers
to despair, to homelessness and even suicide.

Award-winning journalist Carol Off brings to life this decisive battle
of the Canadian Forces. The Ghosts of Medak Pocket is the complete and
untold story.

REVIEW QUOTES

Praise for The Lion, the Fox and the Eagle:
“Off is a smooth and powerful writer, delivering a mixture of
descriptive passages, contextual background and editorial argument
which collectively produce a provocative page-turner.”
—The Globe and Mail

AUTHOR BIOGRAPHY

Carol Off has witnessed and reported on many of the world’s conflicts,
from the fall of Yugoslavia to the US-led war on terror. She has won
numerous awards for her television and radio work, including coverage
of the ethnic cleansing of Bosnia. She lives and works in Toronto.


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http://www.army.dnd.ca/lfwa/transcript_CBC_Carol_Off.htm

The Ghosts of Medak Pocket

Transcript taken from CBC News World
Interview With Carol Off
November 8 , 2004

David: Welcome back. In 1993, some Canadian peacekeepers serving in
Croatia were forced to defend themselves. They were caught in the
middle of an intense fight between Serbs and Croats. The battle has
been called the biggest firefight Canadian troops were involved in
since the Korean War. The CBC's Carol Off has documented this event
extensively. It's also the subject of her latest book, titled "The
ghosts of Medak Pocket," the story of Canada's secret war and Carol Off
joins us now. Carol thanks for joining us. I don't remember, Carol,
1993, I don't remember the troops coming back and hearing this great
fanfare about, boy, did you hear what these Canadian troops did. What
an amazing thing. I don't remember any ticker tape parades. What
happened here?

Carol Off: Isn't that amazing. 1993, These peacekeepers, Princess
Patricias Canadian Light Infantry had single-handedly saved the U.N.
Mission. They had saved the mission in the Balkans. All the other
peacekeeping contingents from other countries had been running away
from the violence that was continuing in Croatia. Canadians didn't.
They stood their ground. They fought the Croats back when they were
trying ethnically cleansing this region called the Medak pocket. They
wedged themselves between two armies and fought them to a draw. They
tried to save the villagers, found they got there too late. Did this
amazing investigation for the war crimes tribunal that's one of the
best investigations they've had. They came home. They kind of thought
there might have been a bit of reception. There was a few yellow
ribbons. There was some warmth, but say in Winnipeg, places like that,
it just wasn't there. What was worse for these soldiers is Ottawa and
the department of national defence just didn't want anyone to know that
this mission had happened.

David: Time and again, it seems the P.P.C.L.I. gets thrown in these
kinds of things. I want to ask you about a moment in the book that I
found so fascinating. Here they are wedged between these two opposing
forces. The Canadian troops and almost conditioned by this point to ask
what are the rules of engagement and don't fire back, whatever else,
suddenly find themselves having to make their own decisions. When you
talk to the soldiers about that, what was that like for them?

Carol Off: They were amazing. First of all, you have to realise that
about half of the troops that were over there for P.P.C.L.I. were
reservists. They were weekend warriors. They were off on an adventure.
They had no idea that their peacekeepers wasn't handing out candy to
can is and kids and guarding a green line. They were in a war. They
were soldiers, classic Albertans most of them, and they found
themselves in this crunch. They thought, okay, so what are the rules?
You fire back if you're fired upon. You might meet fire with equal
fire. The Croats fired on them. They turned and said, okay, we're going
to give as good as we're getting. We don't know why you're firing at
us. We're just peacekeepers. If you're going to take us on, man, you're
going to get a fight. These guys fought with everything they had, with
light arms. They had machine guns. They had their personal weapons.
They fought for 18 hours. They fought this battle. They probably almost
undoubtedly inflicted casualties on the Croats who they could see not
very far away. They did it. Then the Canadian forces were able to push
their way through to try and get in to the Medak pocket and try and
save the lives of the people they hoped were still alive at that point.

David: They dug trenches and thinking about they've only talked about
some of these moments in history. They pushed the Croats back. They
inflicted some heavily y damage according to the local media. The
Canadians walked away relatively unscathed. Those wounds showed up
later, didn't they.

Carol Off: When they got in to the Medak pocket, they've been sort of
sitting on the side lines for many days watching and listening to this
ethnic cleansing going on, and they wanted to go in there and take
charge. They had weapons. They thought they could do it. But the United
Nations was dithering someplace in new York or Washington trying to
come up with some language someplace. These guys had watched it,
wanting to do something. By the time they got in to Medak and found
that all these civilians had been not just killed but tortured and
mutilated, they felt this personal sense of failure that they couldn't
overcome when they came back to Canada. In many cases, Mr. Marin, the
ombudsman, talking about post-traumatic stress disorder, this is an
epidemic in the forces. They did whatever they thought they had to do
and came back to a relatively indifferent country and an indifferent
department of national defence, have suffered greatly throughout the
1990s.

David: Carol Off, I could talk to you a lot more about this. But we're
out of time. The book is called "the ghosts of Medak pocket." I thank
you very much for joining us, Carol.

Carol Off: Thank you, David.

L'eroica resistenza del popolo iracheno (6)

IL MARTIRIO DI FALLUJA

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Dentro Fallujah: diario dal terrore

Dahr Jamail (trad. di C.Panzera, Associazione PeaceLink)

15 novembre 2004 - Piange mentre ci racconta la storia, la tunica che
sta indossando non riesce a nascondere il tremore del suo corpo e
ondate di dolore la invadono. ''Non posso togliermi dalla mente del suo
feto fuoriuscito dal suo corpo.'' Artica, la sorella di Muna Salim, era
incinta di sette mesi quando due missili sganciati dagli aerei di
guerra statunitensi si sono abbattute sulla loro casa a Fallujah lo
scorso primo novembre. ''Siamo sopravissute solo io e mia sorella Selma
perché quella notte eravamo dai nostri vicini,'' continua Muna incapace
di riconcilaire la sua sopravvivenza mentre otto membri della sua
famiglia sono deceduti durante i bombardamenti precedenti l'assalto di
Fallujah che si sono protatti per settimane.

Anche Khalid, uno dei suoi fratelli, è deceduto nell'attacco e ha
lasciato moglie e cinque figli.

''Non c'erano combattenti nella nostra zona, non so perché hanno
bombardato casa nostra,'' dice Muna. ''Quando è iniziatoc'erano assalti
da tutte le parti, dall'aria e dai carri armati all'interno della
città, quindi abbiamo lasciato la città dalla parte orientale e siamo
arrivate a Baghdad.''

Selma, la sorella 41enne di Muna, ha raccontato di scene terribili
all'interno della città diventata il cnetro della resistenza irachena
negli ultimi mesi. Descrive di case che sono state rase al suolo da
innumerevoli attacchi aerei, dove il fetore di corpi in decomposizione
avvolge la città nell'aria secca e polverosa.

''Le case bombardate sono crolate e hanno coperto i corpi dei morti e
nessuno può recuperarli perchè la gente ha troppa paura per guidare un
bulldozer,'' spiega agitando le mani nell'aria.

''Per la gente di Fallujah è impossibile uscire anche per la strada
per paura dei cecchini."

Entrambe le sorelle descrivono dell'esistenza notturna all'interno
della città dove i combattenti controllano molte zone, cibo e medicine
erano spesso esaurite e il continuo rimbombo delle bombe statunitensi
sono diventate una realtà quotidiana.

Anche l'acqua veniva fornita a scatti e l'elettricità una rarità. Come
molte famiglie nascoste all'interno di Fallujah facevano funzionare un
piccolo generatore quando riuscivano ad approvvigionare del carburante.

"Anche se le bombe cadevano lontano, i bicchieri cadevano dalle
mensole e si rompevano," dice Muna. "Nessuno di noi poteva dormire di
notte, dormire di notte era pericoloso."

Mentre a mezza giornata si usciva da casa per andare al mercato a
cercare del cibo, la sorella riferisce che si sentivano terrorizzate
dagli aerei statunitensi, che spesso volavano sopra la città. "I jet
volavano così spesso," dice Selma, "ma non sapevamo mai quando
avrebbero sganciato il loro carico sulla città."

Le donne descrivono scene di negozi chiusi, strade per lo più vuote e
cittadini terrorizzati che vagano per la città non sapendo cosa fare.

"Fallujah era come una città fantasma per la maggior parte del tempo,"
descrive Muna. "La maggior parte delle famiglie stavano richiuse dentro
casa per tutto il tempo, uscendo solo per andare a cercare del cibo."

I tank attaccavano le periferie della città combattevano con i
combattenti della resistenza aggiungendo caos e agitazione. Gli
elicotteri d'attacco volavano radenti sul deserto dove terrorizzavano
incrociando sopra la città e sparando missili sul centro.

Mentre raccontavano la traumatica esperienza della loro famiglia di
queste ultime settimane, dalla casa del loro zio a Baghdad, ognuna
delle due sorelle si bloccava spesso, fissando il pavimento perse nelle
immagini che stavano raccontando prima di aggiungere altre immagini. La
loro madre 65enne, Hadima, è stata uccisa durante il bombardamento,
come il fratello Khalid, che era capitano della polizia irachena. Sono
morte anche la sorella Ka'ahla e la figlia 22enne.

"La nostra situazione è simile a quella di molti altri a Fallujah, "
dice Selma, continuando la sua voce era in realtà senza emozioni. I
mesi passati vissuti nel terrore sono impressi sul suo viso.

"Così tante persone non hanno potuto lasciare la propria casa perché
non avevano un luogo dove andare e neanche un soldo."

Adhra'a, un'altra delle loro sorelle, e Samr, marito di Artica, erano
tra le vittime. Samr era dottore in teologia. Artica e Samr avevano un
figlio di quattro anni, Amorad, che è morto con i suoi fratelli e il
suo fratellino o sorellina mai nati.

Le due sorelle sono riuscite a lasciare la città dalla zona orientale,
facendo ben attenzione ad addentrarsi attraverso il cordone militare
statunitense che per la maggior parte circonda la città. Quando se ne
sono andate sono state testimoni dell'assalto della città da parte
degli aerei e dei tank statunitensi.

"Perché è stata bombardata la nostra famiglia?" implora Muna, le
lacrime scendono sulle sue guance, "Non ci sono mai stati combattenti
nella nostra zona."


Note:

trad. di Chiara Panzera per www.peacelink.it
Il testo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando la
fonte (Associazione PeaceLink) e l'autore


Articolo originale:http://www.uruknet.info/?p=7169

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   italy.peacelink.org/conflitti/articles/art_8137.html

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Cecchini USA massacrano i civili che scappano attraverso il fiume

KATARINA KRATOVAC, Associated Press Writer - Italy.indymedia

Baghdad, Iraq, 14 novembre 04 -Nelle settimane precedenti all’inaudito
attacco militare amercano sulla sua città natale, Bilal Hussein aveva
mandato via da Falluja i suoi genitori e il fratello perché stessero
altrove a casa di parenti. Il 33enne fotografo dell’Associated Press
invece è rimasto per documentare dall’interno l’assedio.

“Tutti a Falluja sapevano che stava arrivando, ho scattato foto per
giorni, pensavo che avrei potuto continuare”.

Ma nelle ore e nei giorni che hanno seguito i pesanti bombardamenti e
il martellante fuoco d’artiglieria, l’intero quartiere del Jolan
settentrionale dove stava Hussein si è trasformato in un ammasso di
macerie e morte. Le pareti della sua casa erano crivellate dal fuoco
americano.

“La distruzione era ovunque. Ho visto gente morta sulle strade e
feriti sanguinanti a cui nessuno poteva prestare soccorso. I civili di
Falluja erano troppo terrorizzati per uscire dalle case.” “Da giorni
non ci sono medicine, né acqua, né elettricità, né cibo”.

Infine, martedì pomeriggio, le truppe USA e i resistenti iraqeni si
sono scontrati pesantemente proprio nel suo quartiere, e Hussein è
crollato. “I soldati USA hanno cominciato a far fuoco nelle case, e ho
capito che stava diventando troppo pericoloso rimanere in casa mia”.
Hussein racconta di essere entrato in panico, e ha cominciato a cercare
un modo per fuggire dalla città, attraverso l’Eufrate, che scorre sul
lato ovest della città.

“Non stavo veramente ragionando” dice. “Improvvisamente, dovevo
assolutamente andarmene da lì. Non c’era altra possibilità”. Nella
concitazione, Hussein ha lasciato indietro uno degli obiettivi della
sua fotocamera e un telefono satellitare per trasmettere le immagini.
Quell’obiettivo, marcato con il logo dell’Associated Press, sarà
scoperto due giorni dopo dai marines USA vicino al corpo di un morto in
una casa del quartiere di Jolan.

I suoi colleghi dell’A.P. nell’ufficio di Baghdad, che non sentivano
Hussein da 48 ore, si sono preoccupati ancora di più. Hussein è
fuggito correndo di casa in casa, scansando il fuoco, ed è riuscito a
raggiungere il fiume. “Avevo deciso di passarlo a nuoto... ma ho
cambiato idea quando ho visto elicotteri USA che miravano e uccidevano
la gente che tentava di attraversare il fiume.”

E’ stato testimone con orrore dello sterminio di una famiglia di
cinque persone uccise mentre guadavano il fiume per fuggire. Poi, dice
“ho aiutato a seppellire un uomo sulla riva del fiume, scavando con le
mie mani”. “Ho continuato a camminare sulla riva del fiume per due
ore, e ancora potevo vedere i cecchini USA pronti a sparare a chiunque
tentasse di nuotare. Perciò ho abbandonato l’idea di attraversare e ho
continuato a camminare per altre cinque ore attraverso i frutteti.

Ha poi incontrato una famiglia di contadini che gli hanno dato rifugio
nella loro casa per due giorni. Hussein conosceva un autista del posto
e ha mandato un messaggio ad un collega dell’A.P., Ali Ahmed, nella
vicina Ramadi. Così Ahmed ha fatto sapere all’ufficio AP di Baghdad che
Hussein era vivo, e ha poi inviato un altro messaggio a Hussein che un
pescatore della vicina Habaniyah sarebbe andato a prenderlo per
portarlo in salvo con la barca.

“Alla fine del viaggio in barca, Ali era lì che mi aspettava. Mi ha
portato a Baghdad, nel mio ufficio all’Associated Press.” Ora, seduto
al sicuro, Hussein si è potuto permettere uno stanco sorriso di
sollievo. “E’ stata una esperienza terribile, ho imparato che la vita
è una cosa preziosa” ha detto. “Sono felice di essere ancora vivo, dopo
esser stato così vicino alla morte nei giorni scorsi”.

Traduzione italiana: grizzly - Italy.indymedia

Articolo originale:
http://www.uruknet.info/?p=7192

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 L'indirizzo originale di quest'articolo è :
   italy.indymedia.org/news/2004/11/678624.php

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Sotto le macerie le leggi internazionali. Sullo scempio americano di
Fallujia parla il giurista Domenico Gallo

MARINELLA CORREGGIA, il manifesto

14 novembere 2004 - Falluja: cliniche colpite con medici e pazienti
uccisi; il maggiore ospedale occupato dalle forze Usa-irachene;
ambulanze che diventano target; case distrutte dalle bombe; feriti che
è impossibile raggiungere; acqua e luce tagliate da domenica; poco
cibo; Mezza luna rossa e Croce rossa internazionale a cui si impedisce
di recarsi in città per portare viveri, acqua, medicinali; medici e
infermieri di altre cliniche che chiedono di poter entrare in città per
sostituire i colleghi morti e feriti (una gara di solidarietà che si è
già vista in aprile a Falluja e in agosto a Najaf), ma tutto è
bloccato. Ebbene queste situazioni sono tutte violazioni «gravi» delle
4 Convenzioni di Ginevra del 1949 e dei Protocolli aggiuntivi del 1977
che vertono fra l'altro sulla protezione dei civili e dei feriti. Ma
c'è chi potrebbe obbligare Usa e Allawi a rispettare le leggi
internazionali? Nell'assordante silenzio della comunità internazionale,
statale e no, lo chiediamo a Domenico Gallo, giurista e attivista.

A chi potrebbero rivolgersi i cittadini di Falluja o altri soggetti
per esigere un corridoio umanitario, il soccorso ai feriti, la
protezione dei civili, la disponibilità di acqua e altri generi
essenziali?

Gli Stati sono tenuti a rispettare le convenzioni di Ginevra ma queste
non offrono uno strumento di tutela a cui individui e associazioni
possano appigliarsi. Politicamente parlando, a stati come Spagna,
Germania, Brasile e Algeria, membri di turno del Consiglio di
sicurezza, potrebbero essere sollecitati perché chiedano una
convocazione urgente del Consiglio stesso. Usa e Gran Bretagna
metterebbero il veto a qualunque bozza di risoluzione, ma comunque
l'iniziativa li disturberebbe. Anche l'Italia, che è connivente dal
punto di vista politico - ma non giuridico- potrebbe far pressione
sugli «alleati» con urgenza (lo hanno chiesto da alcuni deputati
italiani, ndr).

Non si possono quanto meno minacciare futuri ricorsi e azioni penali?

Un giudice americano o iracheno potrebbero incriminare i rispettivi
governanti per le azioni a Falluja. Quanto ai cittadini di quella
città, essendo parte lesa avrebbero potuto minacciare un esposto alla
Corte penale internazionale, la quale può infatti essere adita sia da
Stati che da individui: però, gli Usa l'hanno rifiutata.

E' anche importante che queste efferatezze, oltre a essere bloccate al
più presto, non cadano nel dimenticatoio. Quali strade possibili, oltre
al tribunale morale sull'Iraq, le cui sessioni si svolgono in diversi
paesi da gruppi di attivisti e giuristi ma senza alcuna ripercussione
legale?

La Corte internazionale di giustizia con sede all'Aja è accessibile
solo agli Stati; un governo iracheno che fosse dalla parte delle
vittime anziché il contrario, vi potrebbe ricorrrere. Se poi i crimini
a Falluja fossero compiute dalle truppe inglesi, o italiane, allora
individui e gruppi potrebbero ricorrere alla Corte europea dei diritti
umani. Così fecero infatti gli jugoslavi, chiedendo risarcimenti per i
danni provocati dai bombardamenti dei paesi Nato. Peraltro, il ricorso
fu giudicato inammissibile per ragioni procedurali...

Insomma, legalmente parlando niente da fare per la popolazione di
Falluja e domani per quella di altre città sotto assedio?

Purtroppo la situazione attuale è tremenda. Tuttavia, dobbiamo
richiamare di continuo le convenzioni di diritto umanitario: come
pietra dello scandalo. Stiamo perdendo i parametri. E'incredibile che
il mondo non protesti nemmeno più.


 L'indirizzo di questa pagina è : www.uruknet.info?p=7226

 L'indirizzo originale di quest'articolo è :
   www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/14-Novembre-2004/art25.html


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Falluja resisti

Abdel Bari 'Atwan , Aljazira.it

Lunedì, 15 novembre 2004

Mentre le telecamere di Aljazeera vengono tenute fuori da Falluja, per
il terzo mese consecutivo, dentro si consuma l'ennesima tragedia
targata Usa. Il mondo tace, rassicurato dai "liberatori" che parlano di
1200 combattenti morti, mentre gli ospedali si affollano e le strade di
Falluja diventano tappeti di cadaveri. Oramai non resta che una città
fantasma...

L’esercito americano, rinforzato da carriarmati, aerei ed artiglieria
pesante prosegue l’attacco contro Falluja, in mezzo ad un totale
oscuramento mediatico e di un sospetto silenzio degli arabi e del mondo
intero. Gli abitanti di Falluja chiedono alla comunità internazionale
di fermare i missili e le bombe che stanno distruggendo la loro città e
uccidendo i loro bambini. Ma non c’è anima che li aiuti.

Le truppe statunitensi riusciranno, senza ombra di dubbio, a
recuperare Falluja e a riportarla sotto l’autorità dell’esercito
d’occupazione. Ma ciò non rappresenta una vittoria sulla resistenza
irachena e sulla guerra che quest’ultima combatte per liberare il
proprio paese.

La domanda che bisogna porsi non è se l’esercito Usa riuscirà o meno
ad entrare in città, ma quanto sarà difficile questa operazione e a
quanto ammonteranno le perdite degli abitanti di Falluja, in primo
luogo, e poi dell’esercito Usa aggressore.

I difensori di Falluja cercheranno, con tutte le armi leggere a loro
disposizione, di ritardare l’avanzata Usa per il maggior tempo
possibile e di combattere strada per strada. Ma ciò non vuol dire che
la città si inginocchierà ai piedi di Iyyad Allawi, del suo governo e
delle forze d’occupazione che lo sostengono. Così come l’arresto del
presidente iracheno Saddam Hussein non ha fermato la resistenza
irachena, come vagheggiavano gli americani, allo stesso modo
l’occupazione di Falluja non diminuirà gli attacchi contro le forze
Usa, la polizia e la Guardia Nazionale che con essa collabora. Anzi
forse ad accadere sarà proprio il contrario. Gli uomini della
resistenza sanno bene che con questo attacco si vuole mettere fine alla
loro resistenza. Perciò è da escludere che resteranno ad aspettare
l’esercito Usa perché li arresti o li uccida. Probabilmente si sono
divisi i ruoli: alcuni sono rimasti nel cuore della città per
difenderla, altri sono andati all’esterno per attaccare o per ritornare
in città ad attacco compiuto, proprio come è già successo a Baghdad,
Samara e a Ramadi.

Una regola ferrea, rispettata dal mondo intero, consiste nel rifiuto
dei popoli dell’occupazione straniera e dei governi collaborazionisti.
Gli iracheni non possono rappresentare un’eccezione a questa regola e
lo dimostra la resistenza che aumenta in un tempo record che neanche il
più ottimista si sarebbe mai aspettato.

La resistenza in Iraq non è circoscritta ai volontari stranieri come
afferma Allawi e come ripetono gli americani. Si tratta di una
resistenza chiaramente irachena, i suoi uomini chiave sono figli di
questa terra. Se esistono mujahidin arabi che combattono l’occupazione
Usa, questi rappresentano una percentuale risibile e godono comunque
della guida e della protezione degli iracheni. I mujahidin arabi in
Iraq non sono né terroristi né stranieri: fanno parte di quegli arabi
che ritengono loro dovere vincere per i loro fratelli e partecipare al
loro jihad per liberare la propria terra dall’occupazione. Terroristi
sono coloro che giungono dall’altro capo del mondo per occupare una
terra che non è loro uccidendone decine di migliaia di abitanti in una
guerra illegale che si fonda sulla menzogna.

La peggiore motivazione addotta a giustificazione della strage in
corso a Falluja è che i bombardamenti e la distruzione della città
renderanno possibili le elezioni. Ma che elezioni sono queste che si
svolgeranno sui cadaveri di donne e bambini e sulle macerie di una
città fiera del suo carattere arabo e islamico?

Gli abitanti di Falluja boicotteranno le elezioni. Se qualcuno
titubava, ora spingerà per il boicottaggio dopo aver visto la sua città
tramutata in un cumulo di macerie.

Gli americani non sanno imparare dalle occupazioni passate e così
Iyyad Allawi, che fornisce loro le giustificazioni e la copertura
necessarie a che proseguano le stragi contro i suoi concittadini. La
lezione più importante che dovrebbero fare propria è che i movimenti di
resistenza hanno sempre trionfato e gli eserciti occupanti si sono
sempre ritirati sconfitti. E con essi i governi collaborazionisti.

tratto da: al-Quds al-Arabi, 10.11.04

tradotto da: M.H.

 L'indirizzo di questa pagina è : www.uruknet.info?p=7193

 L'indirizzo originale di quest'articolo è :
   www.aljazira.it/index.php?option=content&task=view&id=345&Itemid


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Fallujah in Pictures

Pictures from Fallujah that probably won't be on your television
http://www.uruknet.info/?s1=1&p=7228&s2=16
The original address of this article is :
   fallujapictures.blogspot.com/

Da: ICDSM Italia
Data: Dom 14 Nov 2004 17:35:41 Europe/Rome
A: icdsm-italia @ yahoogroups.com
Cc: aa-info @ yahoogroups.com
Oggetto: [icdsm-italia] "Processo Milosevic": la "Corte" non e'
interessata alla deposizione dei leader occidentali


"Processo Milosevic": la "Corte" non e' interessata alla deposizione
dei leader occidentali... e ci saremmo stupiti del contrario!

1. MILOSEVIC: SLOBO VUOLE IN TPI CLINTON, BLAIR, SCHROEDER (ANSA
11/11/04)

2. L’Ambasciatore canadese Bissett ed il Comandante canadese in Kosovo
Keith fanno a pezzi i miti della guerra jugoslava (Traduzione di Curzio
Bettio di Soccorso Popolare di Padova)

3. Il diplomatico canadese James Bissett accusa la NATO di crimini di
guerra (B92 – 20 maggio, 2004 - Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso
Popolare di Padova)

4. "Le accuse contro Milosevic sono pure fantasie". Brani da
un’intervista con l’ex Ambasciatore canadese in Jugoslavia, James
Bissett (27 settembre 2004 – di Boba Borojevic / “Monday’s Encounter" /
http://ckcu.magma.ca/ - Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso
Popolare di Padova)

*** APPELLO ***

Senza mezzi finanziari, la difesa di Milosevic non ha
chances. Il "Tribunale" garantisce infatti solamente le spese
essenziali per il viaggio dei "testimoni" in occasione delle udienze;
ma tutte le spese di documentazione, comunicazione, gli spostamenti per
la preparazione delle udienze, i contatti e tutte le attivita' dei
consulenti legali di Milosevic (da non confondere con gli "avvocati
d'ufficio" imposti dall'accusa) e del Comitato di difesa
vanno autofinanziate. Inoltre, servono soldi per pubblicare i testi
relativi al "processo- farsa", poiche' la loro diffusione via internet
ha una presa limitata, e con il trascorrere del tempo queste
informazioni si disperdono e vanno perdute.

Si valuta che sia indispensabile raccogliere almeno 10mila euro al mese
per far fronte a tutte le necessita' di assistenza legale, di
documentazione e di comunicazione. Le sottoscrizioni piu' regolari e
consistenti finora sono arrivate dalla Serbia e dalla Germania, dove
esiste una nutrita comunita' di emigrati, per un ammontare mensile di
poche centinaia di euro in tutto. Si badi bene: NON ESISTONO ALTRE
FONTI DI FINANZIAMENTO. Una legge passata dal Parlamento serbo la
scorsa primavera - che in linea di principio avrebbe garantito una
parziale copertura delle spese - e' stata subito "congelata" in seguito
alle minacce occidentali. Una qualsivoglia campagna di finanziamento su
basi volontarie a Belgrado e' praticamente irrealizzabile. A causa
delle scelte estremistiche, in senso neoliberista, del regime
instaurato il 5 ottobre 2000 la situazione sociale e' disastrosa, la
disoccupazione dilaga, i salari sono da fame, chi ha i soldi per
mangiare li tiene ben stretti e solo in pochi casi e' disposto a
rischiare la galera (o peggio: vedi le torture in carcere nella
primavera 2003, durante la cosiddetta "Operazione Sciabola") in
attivita' politiche o di solidarieta' a favore di Milosevic: il quale
viene tuttora demonizzato dai media locali - oramai tutti in mano a
societa' occidentali, soprattutto tedesche - esattamente come da noi. A
tutti deve essere infine chiaro - se ancora ci fosse bisogno di
ripeterlo - che al di la' delle menzogne giornalistiche NON ESISTE
ALCUN "TESORO NASCOSTO" DI MILOSEVIC, e che il nostro impegno
per la sua difesa e' insostituibile oltreche' indispensabile.

La Sezione Italiana dell'ICDSM, ringraziando tutti quelli che hanno
finora contribuito alla campagna di autofinanziamento (nel corso di un
anno sono stati raccolti circa 2500 euro dall'Italia), chiede che lo
sforzo in tal senso prosegua, cosi' come sta proseguendo in tutte le
altre realta' nazionali.

CONTRIBUISCI E FAI CONTRIBUIRE:

Conto Corrente Postale numero 86557006
intestato ad Adolfo Amoroso, ROMA
causale: DIFESA MILOSEVIC


=== 1 ===

MILOSEVIC: SLOBO VUOLE IN TPI CLINTON, BLAIR, SCHROEDER

(ANSA) - BRUXELLES, 11 NOV - (M.Rigacci) ''Se possibile prima di
Natale'', Slobodan Milosevic vorrebbe ascoltare in aula Bill Clinton,
Gerhard Schroeder e Tony Blair, quali testimoni della difesa nel
processo contro di lui in corso dal febbraio del 2002 al Tribunale
penale internazionale sulla ex Jugoslavia dell'Aja.
Ribadendo la richiesta gia' fatta mesi fa, l'ex presidente jugoslavo ha
nell'udienza di oggi all'Aja fatto i nomi dell'ex presidente americano,
del cancelliere tedesco e del premier britannico, oltre a quelli
dell'ex segretario di Stato Usa, Madeleine Albright, dell'ex ministro
della difesa tedesco, Rudolf Sharping e del generale americano a riposo
Wesley Clark, ex comandante Nato in Kosovo.
Milosevic, che qualche giorno fa ha ottenuto il permesso per
'autodifendersi' al processo, ha sottolineato di aver gia' scritto alle
ambasciate dei diversi politici citati al fine di ottenere la loro
comparizione, e rivolgendosi ai giudici, ha chiesto che l'Aja ''invii
le corrispondenti citazioni, possibilmente prima della pausa di
Natale'', visto che da ''diversi elementi'', risulta evidente per
l'imputato che Clinton e gli altri personaggi chiamati da Slobo hanno
''rifiutato'' gli inviti.
Subito dopo, il presidente della Corte ha chiarito di non avere alcuna
intenzione di procedere in tali inviti, a meno che l'imputato non
faccia la richiesta per iscritto, precisando pero' - ha sottolineato
Patrick Robinson - che la Corte ha piena liberta' di decisione al
riguardo.
Milosevic deve ''dimostrare di essere stato in contatto con i testimoni
e che questi hanno rifiutato'', ma soprattutto che i giudici devono
essere ''convinti sul fatto che gli elementi di prova dei testimoni
sono in effetti pertinenti'' con il procedimento giudiziario.
Al processo all'Aja iniziato nel febbraio del 2002, Milosevic e' sotto
processo per i conflitti balcanici nei primi anni '90. (ANSA)
RIG 11/11/2004 16:57


=== 2 ===

L’Ambasciatore canadese Bissett ed il comandante canadese in Kosovo
Keith fanno a pezzi i miti della guerra jugoslava

( Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova -
SEE THE ORIGINAL TEXTS, IN ENGLISH, at
http://it.groups.yahoo.com/group/icdsm-italia/message/123
or http://www.freenations.freeuk.com/news-2004-10-14.html :
Canadian Ambassador and Canadian Kosovo Commander explode Myths of
Yugoslav War )

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Una testimonianza oculare sulla disgregazione della Jugoslavia

James Bissett, in una lettera al sito “Freenations”, 27 settembre 2004:

“Un discorso pronunciato da James Bissett, ex Ambasciatore Canadese a
Belgrado, davanti a 5.000 Serbi Canadesi nell’anniversario della
storica battaglia del Kosovo. Cascate del Niagara, 29 giugno 2003”.

Onorevoli ospiti, signore e signori. Prima di tutto, desidero
ringraziare Bora Dragasevich per avermi invitato a parlarvi, questo
pomeriggio. Sinceramente, questo è un privilegio ed un onore per me
essere qui con voi e prendere parte alla vostra celebrazione di
Vidovdan. Io rammento che tredici estati fa partivo per Belgrado per
occupare il posto di Ambasciatore Canadese in Jugoslavia.
Allora, la Jugoslavia era una nazione forte ed unita – molto più
prospera della maggioranza delle nazioni del Blocco Orientale. Eppure
stavano emergendo segnali di conflitti. La Slovenia e la Croazia
venivano incoraggiate dalle ex Potenze Centrali Europee, la Germania,
l’Austria e l’Ungheria, alla pianificazione della loro separazione
dalla Federazione Jugoslavia.
Sono diventato un testimone oculare della successiva violenza e della
disgregazione della regione. Sono stato anche testimone della “storica
amnesia” sofferta dai dirigenti politici di Francia, Inghilterra, Stati
Uniti e della mia stessa nazione, il Canada. Queste nazioni sono state
tradizionalmente alleate della Serbia in due guerre mondiali, ma
vergognosamente sono state spettatrici inerti e si sono unite nella
distruzione della Jugoslavia.
La disgregazione della Jugoslavia è stata un disastro per il popolo
Serbo. Migliaia sono stati ammazzati e molti di più sono stati
costretti ad abbandonare le loro terre avite, le terre dei loro padri.
I Serbi sono stati umiliati e molti hanno perso il rispetto di se
stessi. Certamente, la più grande tragedia fra tutte è che i Serbi sono
stati accusati di qualsiasi avvenimento che ha causato la
disgregazione.Loro stessi sono stati accusati della disgregazione. Loro
sono stati accusati di aver dato inizio alle violenze. Loro sono stati
accusati per le pulizie etniche che sono avvenute. Loro sono stati
accusati dei massacri. Loro sono stati accusati di genocidio. Ed infine
sono stati accusati per i bombardamenti della NATO sulla loro stessa
nazione!
Queste sono menzogne! Menzogne! Menzogne! Il Ministro della propaganda
di Hitler, Joseph Goebbels, affermava che, se viene divulgata una
menzogna colossale e mostruosa, la gente ci crederà, poiché non è
possibile immaginare che qualcuno possa aver messo in piedi una tale
falsità in modo tanto oltraggioso. E anche se vengono alla luce le
prove che contraddicono la menzogna, questi argomenti verranno
liquidati come irrilevanti e fuorvianti. Finalmente quando la verità
viene a galla, risulta troppo tardi. Nessuno è più interessato o
desidera conoscerla.

Questo è avvenuto con le spaventose bugie divulgate sui Serbi.
Il Presidente Clinton e Tony Blair le hanno pronunciate sul genocidio
avvenuto in Kosovo.
Il Ministro della Difesa USA, William Cohen, dichiarava che più di un
centinaio di migliaia di giovani Albanesi erano stati fatti scomparire
in Kosovo.
Robin Cook, il Ministro degli Esteri Britannico, e Clare Short, la sua
collega di gabinetto, entrambi hanno scagliato contro i Serbi indegne
accuse su campi, dove si sarebbe esercitato lo stupro etnico,
inesistenti.
Più tardi, veniva riferito dall’UNHCR (Alto Commissariato per le
Nazioni Unite per i Rifugiati) e anche dall’anti-Serbo, finanziato da
George Soros, Human Rights Watch (Osservatorio sui Diritti Umani), che
queste storie erano prive di fondamento.
Chi potrebbe credere che questi due ipocriti Ministri del Gabinetto
Britannico attualmente abbiano rassegnato le dimissioni a causa della
guerra contro l’Iraq!

Comunque, vi è una straordinaria differenza tra il Kosovo e l’Iraq.
Malgrado tutti gli errori di Milosevic, egli non è assolutamente
paragonabile a Saddam Hussein. Milosevic, dopo tutto, ha ottemperato a
tutte le Risoluzioni dell’ONU, compresa quella di permettere l’ingresso
delle truppe della Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in
Europa (OSCE) in Kosovo. Egli non ha mai costituito una minaccia per i
suoi confinanti. Non ha mai aspirato al possesso, ne mai posseduto armi
di distruzione di massa.
Sebbene non fosse un democratico, non era un killer psicopatico come
Saddam [nemmeno un bigotto religioso come il Croato Tudjman o il
Bosniaco Izetbegovic - ed] e la Serbia non era sotto il suo regime uno
stato totalitario, come era l’Iraq [nemmeno aveva mai invaso altre
nazioni come Saddam aveva attaccato il Kuwait e l’Iran - ed]. In
realtà, aveva cercato solo di sopprimere una ribellione armata nel suo
stesso territorio – una ribellione condotta da una organizzazione
terroristica Musulmana – e per questo le nazioni della NATO hanno
bombardato la sua nazione.

Adesso io penso che venga generalmente accettato dall’opinione pubblica
Occidentale più informata, fatta eccezione del sistema dei mezzi di
informazione del Canada, della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, che
il bombardamento della Jugoslavia era stato deliberatamente progettato.
Questo serviva per fornire alla NATO una ragione della sua esistenza e
al Presidente Clinton un modo per distogliere l’attenzione pubblica
dallo scandalo sessuale che lo vedeva coinvolto.
La verità sta gradualmente venendo a galla da tutta una serie di fonti
attendibili.
Una delle più rilevanti è stata l’ammissione dell’ex Ministro
Britannico della Difesa, Lord Gilbert, che dichiarava alla Camera
Britannica dei Comuni nel luglio 2000 che le condizioni che la NATO
aveva tentato di imporre a Milosevic a Rambouillet erano
deliberatamente congegnate per provocare una guerra.
[Notare che si tratta della stessa strategia di quando l’Austria nel
1914 aveva dettato le condizioni alla Serbia come alternative alla
guerra, ma nel contempo informava il suo Ambasciatore a Belgrado che
non aveva alcuna importanza accettare la risposta dei Serbi -
qualunque questa fosse! - ed]
Così la verità sta lentamente emergendo. Purtroppo è tardi di per sé
per restituire ai Serbi il loro senso di orgoglio e la dignità. Questo,
è rimasto ai Serbi come popolo. Però, conoscendoli come io li conosco –
memore del loro storico coraggio ed eroismo – resto fiducioso che voi
supererete questo arretramento storico, come avete fatto anche in tempi
precedenti. La cosa importante è che rendiate salda nella vostra
gioventù la fierezza del loro patrimonio di memorie e di non accettare
i giudizi semplicistici e parziali dei mezzi di informazione
Nord-Americani sul dissolvimento della Jugoslavia.

Desidero terminare il mio discorso di oggi con una nota positiva.
Vi sono nella ex Jugoslavia, che lo crediate o no, molti incoraggianti
segnali di riconciliazione e di speranza. Di recente è stato
sottoscritto un accordo al Lago di Ocrida [in Macedonia] dalle
delegazioni di cinque Stati Balcanici, Serbia/Montenegro, Croazia,
Macedonia, Bosnia-Herzegovina e Albania, che verrà tradotto, se tutto
va per il meglio, in un accordo di libero commercio con effetti
immediati nel 2007.
Inoltre, la Croazia e la Serbia/Montenegro si sono accordate nel
dichiarare entrambi i Paesi “a visto libero”, in modo che i cittadini
di ognuno degli Stati possano entrare e uscire senza visto. Quindi
esiste qualche speranza che, sotto la pressione dell’Europa [ironico e
cinico, dato il ruolo dell’Unione Europea nel distruggere ciò che ora
cerca di rammendare insieme! – ed], i giusti diritti possano essere
restituiti a coloro che se li sono visti sottrarre dalle guerre. Si
chiuderà il cerchio – una volta ancora in una forma differente – e l’ex
Jugoslavia risorgerà.
Io desidero concludere con queste note positive, ma non prima di
aggiungere un mio personale avvertimento.La storia della Serbia ha
registrato vittorie eroiche e terribili sconfitte. Sono arrivate le
vittorie quando i Serbi hanno fatto assegnamento sulle loro stesse
risorse e sulla loro forza interiore. Le sconfitte sono venute quando i
loro alleati li hanno traditi o abbandonati. Questo è un insegnamento
che non si può dimenticare. Non dovete porre ogni vostra fiducia negli
altri, in special modo nelle organizzazioni multilaterali o nei
politicanti. E ricordare che la storia spesso si ripete, come solo i
Serbi sanno troppo bene. Ora, non solo i Serbi hanno visto troppo bene
che gli orrori, avvenuti nella primavera e nell’estate del 1941 in
Croazia e in Bosnia, si sono ripetuti parimenti negli anni Novanta.

Per ultimo. Sono felice che finalmente Naser Oric, il comandante
Musulmano a Srebrenica, sia stato messo in stato di accusa dal
Tribunale dell’Aja. Oric é stato il responsabile di aver trucidato
molte persone anziane Serbe che vivevano nei villaggi attorno a
Srebrinica. Lui aveva ripreso effettivamente con la videocamera alcune
delle vittime che erano state decapitate e aveva mostrato i video ad un
certo numero di giornalisti…uno dei quali era del quotidiano “Toronto
Star”, ma non sono mai stato in grado di rintracciare il nome del
reporter.

---

Il Comandante dell’Esercito Canadese manda in frantumi i miti sul Kosovo

14 settembre 2004

Martedì, il terzo testimone, chiamato a deporre al Tribunale dell’Aja
in quella che viene definita “difesa di Slobodan Milosevic", ha preso
posizione.

Il testimone, Roland Keith, era il Comandante del servizio nella zona
di Kosovo Polje, durante la Missione di Controllo e Verifica del Kosovo
(KVM) dell’OSCE.
Mr. Keith ha servito per 32 anni nelle forze armate del Canada, dove ha
ottenuto il grado di Generale Comandante.
Keith è un veterano delle missioni di osservazione ONU. Prima di andare
in Kosovo, aveva prestato servizio come osservatore militare ONU e
comandante delle truppe ONU in Medio Oriente. Keith era arrivato in
Kosovo nella prima settimana del febbraio 1999, ed era rimasto in
Kosovo per tutto il tempo fino al ritiro della Missione KVM, il 20
marzo 1999, quattro giorni prima dei bombardamenti NATO.
In questa testimonianza, Keith ha riferito sul il programma di
addestramento a cui venivano sottoposti gli osservatori OSCE. Secondo
Keith, l’addestramento era inadeguato e lasciava gli osservatori
impreparati a portare avanti la loro missione in modo competente.
Sempre secondo Keith, la maggior parte degli osservatori avevano scarsa
o nulla preparazione di base militare e non potevano comprendere, o
puntualmente riferire, quello che dovevano testimoniare. Keith ha
affermato che la struttura della Missione di osservazione dell’OSCE era
piena di falle, che gli osservatori erano vincolati alle sole vie di
comunicazione, e quindi impossibilitati a vedere quello che stava
accadendo fuori da percorsi predeterminati.

Keith ha descritto l’Esercito di Liberazione del Kosovo KLA-UCK come
un’organizzazione terroristica di guerriglia, e affermato che la
limitazione alle sole strade per la Missione KVM impediva agli
osservatori di essere in grado di monitorare effettivamente le attività
della KLA.
In contrasto diretto con quasi tutte le testimonianze Kosovaro-Albanesi
al processo, Keith ha riferito che la KLA aveva un distaccamento, o
come veniva chiamato un "home guard", un posto di guardia locale in
ogni villaggio. Riferiva inoltre che la KLA gestiva posti di blocco
alle strade di accesso ai paesi, e più sorprendente è che molti dei
testimoni Kosovaro-Albanesi al processo mai avevano visto la KLA.
Keith ha affermato che mai aveva visto la MUP o l’Esercito Jugoslavo
(VJ) maltrattare qualcuno, e che la MUP e le Forze armate VJ
cooperavano completamente con lui, mentre con la KLA era tutta un’altra
storia.
La KLA aveva rifiutato in molte occasioni di cooperare con la Missione
KVM. La KLA violava regolarmente gli accordi del cessate il fuoco,
mentre la MUP e il VJ li rispettavano, tanto che il VJ generalmente
stazionava nelle sue caserme.
Secondo la testimonianza di Keith, il disegno seguito in Kosovo dalla
KLA era di iniziare un attacco, per scatenare la rappresaglia delle
autorità.

Quando Keith era arrivato per la prima volta in Kosovo, era stato
mandato nel villaggio di Glogovac, dove poteva assistere ad un attacco
di cecchini KLA contro la MUP.
Una settimana più tardi, veniva inviato a Kosovo Polje dove insediava
l’Ufficio di zona della KVM.
Il villaggio di Grabovac era nella sua area di responsabilità, e,
secondo Keith, una squadra di terroristi della KLA occupava un’area
boschiva nei dintorni di quel villaggio; questi membri della KLA erano
armati con lancia-granate, fucili d’assalto, mitragliatrici e altri
tipi di armi. Keith dichiarava che questa squadra della KLA era
impegnata in attacchi di franchi tiratori contro lavoratori di una
miniera che operavano nelle vicinanze del villaggio.
Keith aveva portato un altro esempio di azione violenta della KLA,
quando era stata fatta un’imboscata ad una pattuglia della MUP sulla
strada principale Pec-Pristina, e un ufficiale della polizia Serba era
stato ammazzato e un altro gravemente ferito nell’attacco. In questo
caso, era arrivato in soccorso della Polizia l’Esercito Jugoslavo (VJ),
che aveva usato un carro-armato. Ma, sempre secondo Keith, il VJ aveva
mostrato moderazione e aveva usato solo le mitragliatrici e non il più
pesante armamento del carro-armato nell’affrontare gli aggressori della
KLA.
Keith ripetutamente confermava la buona disposizione a cooperare delle
autorità Jugoslave, ed asseriva di aver lavorato insieme alla polizia
Serba per facilitare il ritorno degli Albanesi, che erano fuggiti nel
mezzo dei combattimenti del 1998 dal villaggio di Donji Grabovac. La
polizia si era resa disponibile a consegnare a questi abitanti del
paese armi leggere, in modo che potessero difendersi da chi li
minacciava e faceva loro del male.
Sfortunatamente, Keith aveva dovuto abbandonare il Kosovo, prima di
poter vedere i frutti di questi tentativi.
Inoltre, Keith affermava che la dirigenza della Missione KVM aveva
determinati obiettivi politici e che non vedeva effettivamente di buon
grado la normalizzazione della situazione in Kosovo.

Su questo argomento sembrava avesse molto da aggiungere, ma ne’ Mr. Kay
ne’ Mr. Nice [rispettivamente, difensore assegnato d’ufficio a Slobodan
Milosevic, e pubblico accusatore] erano particolarmente vogliosi di
discutere di questo, e il discorso veniva fatto deviare.
Keith asseriva che gli abitanti dei paesi assolutamente esageravano
nelle loro affermazioni di trasferimenti forzati delle popolazioni, con
le loro dichiarazioni che centinaia di persone erano state scacciate da
un certo villaggio, quando in realtà solo gruppi ristretti di persone
erano stati costretti ad abbandonare le loro case.
Naturalmente, Mr. Nice non si limitava nel leggere ad alta voce lunghi
passaggi del libro dell’OSCE "Kosovo-Kosova: As Seen, As Told [tanto
visto, quanto riferito]", che riporta in modo pesante i resoconti poco
veritieri degli stessi paesani dei villaggi che Keith aveva citato in
precedenza.
Mr. Nice si impegnava quanto più possibile a perdere del tempo, e
declamava anche lunghi passaggi dal "libro blue" dell’OCSE. Nice
chiedeva a Keith di commentare alcuni avvenimenti che si asseriva
fossero avvenuti a Prizren e in altre parti del Kosovo, che comunque
erano fuori della zona di competenza di Keith.
Mr. Keith si comportava come un militare di professione, come è in
realtà, e si limitava a testimoniare su luoghi e accadimenti, di cui
aveva avuto diretta conoscenza.
Constatando che era inutile cercare di trascinare Mr. Keith in una
discussione non su dati di fatto, Mr. Nice aveva tentato di insinuare
che Keith aveva scritto articoli sulla guerra del Kosovo irresponsabili
e inesatti, ma mai assolutamente Mr. Nice trovava il tempo di
contestare con dati reali la veridicità di ogni parte specifica del
lavoro di Keith.

Sebbene Mr. Nice abbia impegnato più tempo di Mr.Kay con i testimoni,
tutti e tre i testimoni lo hanno messo in difficoltà.
Inoltre, Slobodan Milosevic aveva richiesto che gli venisse restituito
il suo diritto all’autodifesa, e allora Mr. Robinson [giudice del TPI]
escludeva il suo microfono, e accusava Milosevic di essere "petulante e
puerile."
Dal suo canto, Milosevic gli rispondeva, "Io desidero, Mr. Robinson,
dirle qualcosa in merito all’osservazione che lei ha fatto sulle mie
attitudini e sul mio comportamento. Io ritengo che il diritto a
difendersi da soli sia un diritto di principio…" e allora nuovamente
Robinson escludeva il microfono!

Le cose non stanno andando bene per il Tribunale.
Mr. Kay annunciava che non riusciva a trovare più alcun testimone
disponibile a venire a deporre. I testimoni si erano associati e
stavano boicottando le procedure per protestare contro le condizioni
drastiche imposte dal Tribunale nel negare a Milosevic il diritto
all’autodifesa.
Mr. Kay richiedeva che il cosiddetto "processo" venisse sospeso fino a
che la Corte d’Appello avesse emesso la sentenza relativa al ricorso
presentato da lui stesso contro il suo incarico d’ufficio in difesa di
Milosevic.
Domani, ci sarà un’udienza per valutare la futura conduzione del
processo, ma una cosa è chiara, che il Tribunale ha ridotto questo
cosiddetto "processo" in totale farsa. Negando a Milosevic il diritto
ad autodifendersi, hanno portato tutti questi problemi a fracassare le
loro teste.


=== 3 ===

Diplomatico Canadese accusa la NATO di crimini di guerra

20 maggio 2004--B92 (Serbia-Montenegro)

http://www.b92.net/english/news/
b92_focus.php?yyyy=2004&mm=05&dd=20&nav_id=28447

Il Diplomatico James Bissett è stato Ambasciatore Canadese in
Jugoslavia dal 1990 al 1992. Durante questo suo incarico, ha potuto
osservare come la Jugoslavia ha cominciato a disgregarsi e le guerre a
scoppiare, prima in Slovenia, poi in Croazia, e alla fine in Bosnia.
In questo periodo, Bissett si era incontrato regolarmente con il
Presidente Jugoslavo Slobodan Milosevic e altri dirigenti.
Egli ha fornito la seguente intervista al canadese “Edmonton Journal”,
il 18 maggio 2004, prima di un suo discorso all’Università di Alberta.
Bissett è stato condotto all’Edmonton da membri della comunità locale
Serba, e ha ammesso che spesso parla per conto di gruppi di parte, ma
reclama il suo essere schierato per controbilanciare le storie che
hanno demonizzato i Serbi per anni.
”Il Canada ha preso parte ad una serie di crimini di guerra contro la
Jugoslavia, approvati dalla NATO”, così accusa l’ex ambasciatore del
Canada in quella nazione Balcanica.” A tutt’oggi il Canada ha mancato
di ammettere che i pretesti che stavano dietro alla campagna di
bombardamenti che hanno portato la NATO ad occupare il Kosovo non
avevano fondamento”.
“La NATO e gli Stati Uniti accusavano che più di 100.000 persone di
etnia Albanese erano state trucidate, come risultato del genocidio
perpetrato dai Serbi. Per bloccare questo presunto genocidio e la
pulizia etnica, la NATO ha intrapreso una campagna di bombardamenti
contro la Jugoslavia, con la distruzione di strutture militari e
governative, per poi prendere come obiettivi industrie, ponti, stazioni
televisive e reti di distribuzione di energia. Alla fine, il governo
Jugoslavo doveva cedere e permetteva alle truppe NATO di entrare in
Kosovo.
Seguivano squadre investigative di esperti in medicina legale. Questi
esperti rinvenivano meno di 2.000 tombe e molti di questi cadaveri
erano di Serbi. Vi erano stati molti più civili in Serbia ammazzati
dalla campagna di bombardamenti NATO.
Non vi era stata proprio una campagna concertata di pulizia etnica da
parte del governo Jugoslavo. Quello che realmente è avvenuto sono i
200.000 Albanesi che hanno abbandonato le loro case, per non trovarsi
fra i due fuochi dell’Esercito Jugoslavo e l’Esercito di Liberazione
del Kosovo (KLA). La KLA era una organizzazione terroristica di
guerriglia che provocava rappresaglie contro i villaggi Albanesi
Musulmani, ammazzando ufficiali dell’esercito e della polizia Serbi, in
modo da far credere al mondo che i Serbi erano impegnati in una
campagna di genocidio.
Oggi, i pochi Serbi rimasti in Kosovo stanno pagando il prezzo di
questa malafede. In Kosovo sono stati massacrati 2.000 Serbi e 1.300
chiese Cristiane e monasteri sono state bombardate, incendiate o rase
al suolo.
Il 17 marzo, un’altra menzogna ha scatenato ulteriori violenze contro i
Serbi. Tre ragazzi di etnia Albanese stavano nuotando in un fiume, e
quando due annegarono, il terzo ragazzo riferì ai suoi genitori che
loro erano stati cacciati in acqua da un Serbo con i suoi cani feroci.
Con il tempo, il giovane ammetteva che questa storia era una falsità,
ma questo avveniva troppo tardi.
Tutte queste violenze contro i Serbi avvenivano mentre un esercito di
18.000 militari della NATO stazionavano nella regione e non facevano
nulla per proteggere i Serbi e le loro proprietà.” Questo è il sunto
delle dichiarazioni di Bissett, che era stato un esplicito oppositore
dell’azione della NATO durante la preparazione della campagna di
bombardamenti del 1999.
"É tempo di parlare del Kosovo, che attualmente sembra essere un posto
dimenticato. Solo il Pakistan e poche altre nazioni hanno denunciato
quella situazione. Il Canada non ha detto nulla."

(SEE THE ORIGINAL TEXT, IN ENGLISH, at
http://it.groups.yahoo.com/group/icdsm-italia/message/123 )


=== 4 ===

TPI all’Aja : le accuse contro Milosevic sono pure fantasie

Brani da un’intervista con l’ex Ambasciatore Canadese in Jugoslavia,
James Bissett

(27 settembre 2004 – di Boba Borojevic / “Monday’s Encounter", un
programma radiofonico bilinguistico Serbo-Canadese che va in onda ogni
lunedì su CKCU 93.1 FM di Ottawa / http://ckcu.magma.ca/)

da: Boba; e-mail: CKCUBoba @ yahoo.ca
Data: Lunedì 4 ottobre 2004 03:04:22 Europa/Roma

JAMES BISSETT – ex Ambasciatore Canadese in Jugoslavia, è stato uno dei
diplomatici di più alto rango che ha deciso di non testimoniare all’Aja.


Noi desideriamo sapere se l’ONU è in grado di amministrare la
giustizia? Qual’è stata la più grande mistificazione sulla guerra nella
ex Jugoslavia che la gente in Occidente si è sentita propinare?

Tenuti in stallo da testimoni riluttanti e da una difesa non
cooperante, i giudici del processo per crimini di guerra contro
Slobodan Milosevic hanno aggiornato le udienze per un mese, a partire
dal 15 settembre 2004, per dare agli avvocati assegnati d’ufficio
all’ex Presidente Jugoslavo il tempo per preparare il loro intervento.
Almeno 20 dei testimoni a difesa di Milosevic, compresi politici
stranieri ad alto livello, hanno rifiutato di deporre fino a quando il
Tribunale limiterà la possibilità di Milosevic di organizzare la sua
autodifesa. Milosevic è imputato per 66 capi di accusa per crimini di
guerra, dato il suo presunto ruolo criminale nelle atrocità commesse
durante il violento smantellamento dell’ex Jugoslavia negli anni
Novanta. Sono accuse molto pesanti con potenziali conseguenze per
l’intero popolo Serbo.
Mr. James Bissett, ex Ambasciatore Canadese in Jugoslavia, è uno dei
politici stranieri che ha rifiutato di andare a testimoniare all’Aja.
Il suo rifiuto a deporre ha sollecitato i media interni ed esteri a
domandarle di spiegare il perché di questa decisione.

Uno dei principi fondamentali di legge è che, se si viene accusati di
qualche reato, si ha il diritto di difendersi da soli. Questo è
conservato nella legge e lo è stato per molti secoli. Anche la
Costituzione dello stesso Tribunale mette in evidenza che tutti coloro
che devono difendersi hanno il diritto di difendersi da soli, se
scelgono di farlo,compreso Mr. Milosevic.
Ora il Tribunale ha deciso che lui non ha più questo diritto. Questa
decisione mi è servita per rafforzarmi nei miei sospetti che questa
Corte è veramente un tribunale politico. É stata la goccia finale che
mi ha convinto a non voler essere un testimone al processo. È stata una
mia decisione autonoma, e sono rimasto sorpreso, ma in modo piacevole,
di vedere che la maggior parte degli altri testimoni avevano deciso di
non presentarsi.

I giudici hanno citato rapporti medici che indicavano Milosevic non in
grado di assumere l’impegno della sua difesa. Questo è esatto?

Tutti quelli che leggono le trascrizioni delle udienze del tribunale
potranno constatare che Milosevic è più che in grado di difendersi da
solo. I suoi contro-interrogatori hanno demolito molti dei testimoni
che gli stavano davanti. Io penso che il Tribunale abbia usato le
ragioni di salute semplicemente come scusa per impedirgli di
auto-difendersi. Il processo era nato su questa teoria frutto di
immaginazione che lui, Karadzic e i leader Serbi in Croazia erano
entrati in una cospirazione per pulire etnicamente la Bosnia e la
Croazia, cacciandone i non Serbi. Questa è una pura fantasia. Il
dibattimento sta avendo tempi veramente difficili nel provare tutto
questo. É abbastanza chiaro che cercano di tenerlo fuori dai piedi. Se
Milosevic è presente, può demolire i loro argomenti.

Lei è sempre stato un difensore delle norme di legge e ha confidato
sulle risoluzioni ONU. Dato quello che ha potuto constatare finora
all’Aja, ha cambiato le sue opinioni rispetto ai tribunali ONU e pensa
ancora che l’ONU sia in grado di amministrare la giustizia?

Mi dispiace di non potere dire di sì. Fin dal principio la legittimità
del Tribunale è stata messa in questione. Il Consiglio di Sicurezza
dell’ONU lo ha insediato, quando non vi è nulla nella Carta delle
Nazioni Unite che assegna al Consiglio di Sicurezza l’autorità di
insediare un Tribunale o una Corte. Ciononostante, il Tribunale ha
avuto la benedizione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e del
Segretario Generale dell’ONU. Da questo, si potrebbe arguire che,
malgrado la sua origine discutibile, la Corte ha assunto una posizione
“quasi legale”.
Mr. Milosevic è stato accusato dei più pesanti crimini da quando i
responsabili del Nazismo sono stati processati a Norimberga. Quindi era
incombente sul Tribunale di fare le cose in modo giusto. E questo per
me significava assicurare che vi fosse imparzialità, che vi fosse una
presunzione di innocenza in favore dell’imputato e che fossero seguiti
gli altri principi fondamentali della legge. E questo il Tribunale non
lo ha fatto.
Sappiamo anche che il Tribunale veniva finanziato da George Soros e da
alcuni stati Arabi. Questo chiama in causa l’imparzialità del
Tribunale. La Corte è stata dominata e gestita dagli Stati Uniti. È
negli interessi degli USA continuare nella finzione che Milosevic sia
l’unico responsabile per tutto quello che è avvenuto nella ex
Jugoslavia. Sono convinto che il Tribunale ha già stabilito che
Milosevic e i Serbi sono colpevoli di tutti i crimini commessi nei
Balcani. Sostanzialmente è la Corte ad essere colpevole, se i Tedeschi
e gli Americani, che hanno giocato un ruolo decisivo nel causare molto
dello spargimento di sangue e di violenze nei Balcani, sono stati
lasciati fuori dagli impicci.

Qual’è stata la più grande mistificazione sulla guerra nella ex
Jugoslavia che la gente in Occidente si è sentita propinare?

I poteri della NATO, con alla testa gli USA, hanno fatto un lavoro
magistrale attraverso la manipolazione dei mezzi di informazione a più
vasta diffusione per colpevolizzare i Serbi e Milosevic per tutto
quello che è avvenuto da quando la ex Jugoslavia si è smembrata. Sono
stati bravissimi a convincere la gente in Occidente che Milosevic e i
Serbi non solo hanno disgregato la Jugoslavia, ma anche sono
responsabili di tutte le uccisioni e della pulizia etnica. Questa è la
cosa veramente terrificante. Questo dimostra quanto facilmente
l’opinione pubblica può essere manipolata. Capire questo è importante
perché la verità venga a galla!

Già vediamo che la gente ha dimenticato il Kosovo. Questo non più di
tanto costituisce l’oggetto dell’interesse dei media. Più di 2.000
Serbi sono stati ammazzati in Kosovo da quando la NATO e l’ONU ne hanno
preso il controllo e non una sola persona è stata messa sotto accusa.
Quasi tutte le popolazioni non Albanesi sono state costrette a forza ad
abbandonare il Kosovo. Finora, non una parola di protesta intorno alla
pulizia etnica. Gli Albanesi hanno dato alle fiamme o demolito più di
150 chiese Cristiane, alcune delle quali veri tesori del Dodicesimo e
Tredicesimo Secolo. Non una parola di protesta dai leaders Cristiani
negli USA e in Canada. Come si può spiegare tutto questo?

Qui abbiamo a che fare con due pesi e due misure e con la manipolazione
dell’opinione pubblica occidentale. Questo è sconvolgente e spaventoso!
Questa è la causa per cui il Tribunale dell’Aja deve essere screditato,
poiché se questo non avvenisse – i suoi documenti e i suoi testimoni
formerebbero la parte importante per la documentazione storica.
Purtroppo sembra lampante che la condanna di Milosevic sia già stata
decretata dagli Americani. E costoro rappresentano, come noi ben
sappiamo, la nazione più potente nel mondo.

(SEE THE ORIGINAL TEXT, IN ENGLISH, at
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IL TESTO IN LINGUA ITALIANA DELLA AUTODIFESA DI MILOSEVIC, IN CORSO
DI REVISIONE E CORREZIONE, E' TEMPORANEAMENTE OSPITATO ALLA PAGINA:
https://www.cnj.it/documentazione/autodifesa04.htm

LE TRASCRIZIONI "UFFICIALI" DEL "PROCESSO" SI TROVANO AI SITI:
http://www.un.org/icty/transe54/transe54.htm (IN ENGLISH)
http://www.un.org/icty/transf54/transf54.htm (EN FRANCAIS)

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Il dolce strangolamento dell’ANPI


di Sergio Ricaldone

E’ triste, molto triste , ma potrebbe succedere che il 60°
anniversario della liberazione nel 2005, coincida con il dolce
strangolamento dell’ANPI mediante il taglio dei fondi da parte del
governo Berlusconi.
Non è difficile capirne il perché.

L’ANPI è tra le strutture di ex combattenti che nel corso di questi
decenni abbia mantenuta viva la nozione unitaria e patriottica di
antifascismo, coltivando e trasmettendo ad almeno tre generazioni di
italiani i grandi ideali che hanno sorretto la resistenza e concorso
alla formazione del moderno stato democratico e repubblicano.
Non a caso il primo pilastro in corso di demolizione è proprio la
Costituzione  repubblicana.

Nella sede storica dell’ANPI di via Mascagni, a Milano, ne discutiamo
intensamente da parecchi giorni con i vecchi compagni, scrivente
incluso, che, sebbene carichi di anni e di acciacchi, continuano a
frequentarla assiduamente: Giovanni Pesce e sua moglie Nori, Tino
Casali, Stellina Vecchio e tante altre figure leggendarie della guerra
partigiana che portano sulle spalle, senza l’ombra del rimpianto,
sessanta e più anni di milizia politica antifascista, inclusa una breve
ma intensa parentesi militare che è stata per tutti una sorta di
discesa all’inferno e ritorno.
Potrebbero tranquillamente crogiolarsi al sole della Riviera o
rigirarsi nelle poltrone di casa macerandosi tra i ricordi e i
rimpianti ed invece eccoli qui, a raccontare lo loro storie ed a
progettare iniziative per il futuro.
Ecco Nori Brambilla e Giovanni Pesce che, superati i loro primi
ottant’anni e immortalati da un bellissimo documentario presentato al
Festival di Venezia 2003, hanno trascorso gli ultimi mesi a
raccontare,  in decine di assemblee affollate da centinaia di giovani,
come le loro imprese gappiste seminassero il terrore tra i brigatisti
neri e le truppe hitleriane che opprimevano la Milano di quei giorni.

Molto severa l’atmosfera che si respira all’ANPI di Milano in queste
settimane.

Le opinioni raccolte tra i vecchi partigiani lasciano trasparire una
profonda preoccupazione.
Spesso sono accompagnate da giudizi poco indulgenti sul modo come
viene gestita e difesa la memoria antifascista e la resistenza dagli
eclettici eredi di Longo, Pertini, Secchia, Parri e Calamandrei, ma
sono tutti quanti decisi a rimettersi in gioco per impedire che cali il
sipario su una storia che oggi, più che mai, per le minacce che
incombono sulla libertà e sulla democrazia, torna ad assumere una
valenza prioritaria per il presente ed il futuro.

L’affossamento dell’ANPI potrebbe suggellare il “superamento”
dell’antifascismo, ovvero la sua liquidazione e chiudere un ciclo
storico, come chiede la destra, alle cui tesi non sono mancati
consistenti contributi del revisionismo storico, patteggiato, non
sempre alla dovuta distanza, da autorevoli esponenti della sinistra.

Gli eredi dei fucilatori di Salò hanno purtroppo trovato una sponda
morbida e disponibile: il buonismo storiografico dilagante rimuove
l’antifascismo quale chiave di lettura del ‘900 e propone  invece, a
partire dai nuovi testi scolastici, memorie simmetriche e compatibili
che, passo dopo passo, equiparano vizi e virtù di vincitori e vinti di
tutte le epoche.

Un tritacarne micidiale dal quale esce un osceno impasto bipartisan
che mette sullo stesso piano assalitori e difensori della Bastiglia,
comunardi e reazionari di Versailles, difensori ed aggressori di
Stalingrado, Gap di via Rasella e torturatori di Villa Triste,
resistenti algerini e parà francesi.
Osserviamo esterrefatti una ipocrita autocritica che per rimediare ai
presunti “eccessi” compiuti dalla Resistenza manifesta disponibilità ad
avviare un processo di speculare riconoscimento e di mutua
legittimazione tra fascisti rimasti tali ed antifascisti diventati ex.

Si accetta pertanto di intitolare  qualche piazza ai “martiri fascisti
della foibe”, si critica la cultura antifascista che avrebbe
“angelizzato” la resistenza, si addebita alla guerriglia partigiana il
culto della violenza, si accetta il teorema della “guerra civile”
anziché quello di guerra di liberazione dall’occupazione straniera.
E così gli alleati neri dei massacratori di Marzabotto, di S. Anna di
Stazzema, di Boves, delle Fosse Ardeatine, di piazzale Loreto e della
risiera di S. Sabba incassano soddisfatti un regalo inaspettato dai
loro ex nemici e rilanciano la posta.

La pratica liquidatoria della nozione di Resistenza e di antifascismo,
pur non risparmiando nessuna delle forze politiche e sociali che
l’hanno sorretta ed animata, vede settori della cosiddetta sinistra
“antagonista” accanirsi con furia demolitoria contro il soggetto
centrale che ha retto e pagato il prezzo più alto di quello scontro
epocale contro il nazifascismo: ossia il movimento operaio e comunista
del 20° secolo, la cui storia gloriosa viene ridotta ad un cumulo di
macerie.

Dalla Liberazione sono trascorsi sessant’anni, all’ingrosso tre
generazioni. Sono tante.
I cambiamenti in casa nostra e nel mondo sono stati enormi e non
sempre piacevoli.
Ultimi testimoni ancora in vita, avvertiamo, con molta amarezza, che
l’approssimarsi della nostra estinzione biologica coincide con la
distruzione delle nostre storie e dei nostri valori.

Quello che tentiamo di fare oggi, prima che cali il buio di una notte
senza fine, è un’ultima disperata sortita da quella specie di riserva
indiana in cui siamo stati rinchiusi, con molto garbo e ipocrisia, da
chi in realtà ci considera gli ultimi dei Mohicani, fautori di una
cultura della violenza che – così si dice – deve essere archiviata nel
museo degli orrori del ‘900.

Paradossale che questo avvenga in controtendenza rispetto a quanto 
accade in Francia ed in Germania, ma soprattutto rispetto al nuovo
capitolo aperto nella Spagna da Zapatero mirante a restituire onore e
dignità, finora negate dai governi postfranchisti, alle centinaia di
migliaia di combattenti repubblicani massacrati durante e dopo la
guerra civile.
Stragi sepolte nell’oblio che anticiparono e seguirono gli orrori del
nazifascismo commessi durante la seconda guerra mondiale.

E’ sicuramente vero che dobbiamo saper guardare avanti e non indugiare
troppo nel retrovisore dei ricordi di una storia marchiata con il
ferro  e con il fuoco di un’epoca terribile e violenta che ci ha
imposto scelte estreme ed inevitabili. Potevamo agire diversamente?
No, non potevamo.
Quello era il solo modo per ricostruire un mondo di pace, di libertà e
di diritti riconosciuti.

Sarebbe bene che nessuno dimenticasse che la madre di tutte le
conquiste del ‘900 in Europa che hanno permesso, dopo che cessarono gli
spari, il passaggio dalla violenza alla non violenza e dalla guerra
alla pace, è stata la lotta e la vittoria contro il nazifascismo di una
grande coalizione militare e popolare, quella degli eserciti alleati e
quella della Resistenza che dalla Bielorussia alla Manica e da Capo
Nord al Mediterraneo ha inflitto colpi mortali alla belva hitleriana.

Il mantenimento di questa memoria è un obbligo morale e politico che
abbiamo con i popoli ed i movimenti che ancora oggi lottano in più
parti del mondo contro la barbarie imperialista.
Dalla Palestina all’Iraq, alla Colombia la nozione di resistenza
mantiene intatti tutti i valori che esprime ed è un diritto pienamente
riconosciuto e legittimato dalle Nazioni Unite.

L’appello che arriva dai vecchi combattenti antifascisti in difesa
dell’ANPI non ha nulla di retorico e di celebrativo ma mira ad impedire
che si spezzi il sottile filo conduttore che ci racconta senza pietose
bugie la storia del ‘900.
Non si tratta solo di difendere il diritto di festeggiare il 25 aprile
che il governo Berlusconi vorrebbe cancellare, o di esigere il rispetto
della verità sui libri di storia.
Dobbiamo anche ricostruire il nesso, il rapporto esistente tra le
ragioni sociali, politiche e morali della lotta di allora e quella che
l’evoluzione storica e politica ci obbliga a combattere oggi e domani
contro le nuove forme di dominio e di sopraffazione.

Sergio Ricaldone

Milano, 18 ottobre 2004

LA BIELORUSSIA DENUNCIA LE VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI NEGLI USA


(source: Rick Rozoff, ANTINATO @...)

http://en.rian.ru/rian/
index.cfm?prd_id=160&msg_id=5072217&startrow=1&date=2004-11-
10&do_alert=0

Russian Information Agency (Novosti) - November 10, 2004

BELARUS SUBMITS TO UN GENERAL ASSEMBLY DRAFT
RESOLUTION ON HUMAN RIGHTS ABUSE IN U.S.

Olesya Luchaninova

MINSK - Belarus has submitted to the UN General
Assembly a draft resolution on violation of the
principles of democracy and human rights in the U.S.,
RIA Novosti was told in the UN diplomatic mission in
Belarus.
By information of the mission's press service, the
draft resolution claims that "American authorities are
exercising strict control over mass media, are
carrying out arbitrary and secret detentions and
arrests which do not allow correspondence and
communication."
The document notes that "the election system in the
United States is not in accord with the obligations on
the International Pact on Civil and Political Rights."
It notes that the U.S. keeps violating international
standards, using the death penalty in regard to
persons below 18 years old and those with mental
illness.
The Belarussian draft, which, noted the UN mission,
has no co-authors [yet], raises the issue about the
prisoners who are now kept in custody at a camp at the
U.S. naval base in Guantanamo.
....


http://www.itar-tass.com/eng/level2.html?NewsID=1444722&PageNum=0

Itar-Tass - November 11, 2004

Belarus criticizes USA for human rights violations

GENEVA - Belarus believes that the United States has
big problems with the observation of human rights,
including the meeting of commitments to the
Organization for Security and Cooperation in Europe,
the republic's Foreign Minister Sergei Martynov told
Itar-Tass.
Martynov, on a visit to Geneva, explained the reasons
behind Belarus' submitting a resolution at the UN
General Assembly on human rights violation in the
United States thus: "firstly, we wish to show that
nobody has the monopoly on criticism, and secondly, we
wish to show with real facts that even the country
presenting itself as human rights record leader has
big problems, including OSCE commitments."
Belarus assumes that "no state, even the strongest,
should be exempt from international human rights
monitoring," the foreign minister said.
Martynov noted the obstacles which observers at the
recent presidential polls in the United States had to
face.
"It's the first time an observer mission went to the
United States to monitor the election. Two thirds of
the states don't let observers in at all," he noted.
Minsk is aware that it will be difficult to ensure
that the UN General Assembly adopts the resolution on
human rights violations in the USA. "The U.S.
influence and pressure on everybody in the world is
such that just a few countries are likely to dare to
vote for the resolution openly and honestly," the
minister said.
Sergei Martynov also criticized the United States and
the European Union for the illegitimate policy of
double standards with respect to Belarus.


> Da: "Coord. Naz. per la Jugoslavia"
> Data: Lun 8 Nov 2004 20:09:56 Europe/Rome
> Oggetto: [JUGOINFO] Visnjica broj 455
>
>
> LA BIELORUSSIA CONTESTA LA REGOLARITA' DELLE ELEZIONI USA
>
>
> MosNews (Russia) - November 4, 2004
>
> Belarus Doubts Legitimacy of U.S. Presidential Election
>
> The Belarus Foreign Ministry has expressed doubts
> about the transparency of the presidential elections
> in the U.S., Russian news agency Interfax reported on
> Thursday.
> According to reports from independent observers and
> media representatives, a number of violations were
> noticed in the course of preparations and during the
> elections, namely basic international obligations set
> by the 1990 Copenhagen Document of the OSCE, the press
> secretary of the Belarus Foreign Ministry said in a
> statement circulated on Thursday.
> In particular, the official noted that U.S. officials
> had not applied sufficient effort to get rid of the
> major shortcomings in the U.S. electoral system.
> “This is why we are not surprised by reports that a
> large number of absentee ballots send by post have
> been lost, that the computer systems crash, that the
> voters are being threatened, that some voters cannot
> find themselves on voting lists, that it is impossible
> to get information on regional elections commissions
> and places where the voting was held,” the release
> reads.
> Belarus observers and a number of observers
> representing NGOs have reported that the U.S.
> authorities had not ensured the free work of
> international observers and accreditation of such
> observers in some states turned out to be virtually
> impossible.
> The release also notes that in the states where the
> international observers had managed to get the
> accreditation, the local authorities restricted their
> rights by “unprecedented harsh demands”.
> The Belarus Foreign Ministry expressed its hope that
> the mission of international observers of the OSCE
> would cover the U.S. presidential elections
> “objectively and truthfully” and give its evaluation
> of the event.
>
> http://www.mosnews.com/news/2004/11/04/belaruscritic.shtml
>
>
> Radio Free Europe/Radio Liberty - November 5, 2004
>
> BELARUSIAN PRESIDENT CALLS U.S. ELECTION UNFAIR
>
> Alyaksandr Lukashenka [Alexander Lukashenko] said on 4
> November that this week's presidential election in the
> United States was held under standards that are
> unacceptable for Belarus, Belarusian media reported.
> "The presidential elections, according to their [U.S.]
> standards, are inadmissible for us," Belapan quoted
> Lukashenka as saying.
> "If we had staged an election like they did in the
> United States, we would have been crushed a long time
> ago."
> The same day the Belarusian Foreign Ministry issued a
> statement saying that the United States did not meet
> many international commitments regarding elections.
> "Therefore we are not surprised by many reports on the
> disappearance of a large number of ballots sent by
> mail, the malfunctions of the electronic voting
> system, intimidation of voters, the absence of voters
> on voter registers, the impossibility to freely obtain
> information from precinct and district commissions
> about the procedure and places of voting," the
> statement says.
> Minsk also charges that the U.S. authorities failed to
> ensure unhindered work by international election
> observers. "[These facts] cast doubt on the
> transparency and democracy of the U.S. elections," the
> statement concludes. JM
>
> http://www.rferl.org/newsline/3-cee.asp
>
>
> ( source: Rick Rozoff - ANTINATO @... )
>
>

[ vedi anche:

Comunicato del Partito Socialista della Serbia sull'assassinio di Abu
Ali Mustafa, leader del Fronte Popolare per la Liberazione della
Palestina
(Belgrado, 29 agosto 2001)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1267

Belgrado, 3 aprile 2002: SOLIDARIETA' CON LA PALESTINA
Comunicato Stampa del Partito Socialista della Serbia sulla Palestina
SOLIDARITY WITH PALESTINE. PRESS RELEASE OF THE SPS
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1699 ]


From: ICDSM Italia
Date: Sat, 13 Nov 2004 11:59:41 +0100
To: icdsm-italia @ yahoogroups.com
Subject: [icdsm-italia] per Arafat

(english / italiano)

Dalla sezione belgradese dell'ICDSM ci informano che:

***************************************************************

Il presidente Slobodan Milosevic ha inviato un messaggio di
condoglianze alla dirigenza ed al popolo palestinese in seguito alla
morte di Yasser Arafat. Il messaggio recita:

"In seguito alla morte di Yasser Arafat, leader storico dell'amico
popolo palestinese, presidente della Palestina e tra i piu' importanti
simboli della lotta per la liberazione dei popoli del nostro tempo,
esprimo le mie piu' profonde condoglianze alla sua famiglia, alla
dirigenza ed al popolo palestinese.

Slobodan Milosevic,
L'Aia, 11 novembre 2004"

***************************************************************

Da: "Vladimir Krsljanin"
Data: Ven 12 Nov 2004  19:53:15 Europe/Rome
Oggetto: Milosevic conveys condolences on Arafat's death

***************************************************************

President Slobodan Milosevic have sent a message of condolences to the
Palestinian leadership and people following the death of Yasser Arafat.
The message reads:

"Following the loss of Yasser Arafat, the historical leader of the
friendly Palestinian people, President of Palestine and one of the most
important symbols of the struggle for the rights of peoples in our
times, I express deepest condolences to his family, to the Palestinian
leadership and people.

The Hague, 11 November 2004
Slobodan Milosevic"

*************************************************************

To join or help this struggle, visit:
http://www.sloboda.org.yu/ (Sloboda/Freedom association)
http://www.icdsm.org/ (the international committee to defend Slobodan
Milosevic)
http://www.free-slobo.de/ (German section of ICDSM)
http://www.icdsm-us.org/ (US section of ICDSM)
http://www.icdsmireland.org/ (ICDSM Ireland)
http://www.pasti.org/milodif.htm (ICDSM Italy)
http://www.wpc-in.org/ (world peace council)
http://www.geocities.com/b_antinato/ (Balkan antiNATO center)

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Substantial Disruption of the International Law by the Hague 'Tribunal'
Exposed

[ Dalla sezione belgradese dell'ICDSM riceviamo e giriamo:
1. un comunicato nel quale si saluta come relativamente positiva la
restituzione a Milosevic della parziale facolta' (a meno di "problemi
di salute" addotti dalla "Corte") di presentare in prima persona la sua
autodifesa;
2. una analisi della situazione attuale, a cura della consulente e
portavoce legale dell'ICDSM Tiphaine Dickson, nella quale si
stigmatizza tra l'altro l'atteggiamento intimidatorio e discriminatorio
che la "Corte" tiene nei confronti dei testimoni "a difesa" comparsi
sinora. ]


**************************************************************
INTERNATIONAL COMMITTEE TO DEFEND SLOBODAN MILOSEVIC
ICDSM           Sofia-New York-Moscow       www.icdsm.org
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SLOBODA/FREEDOM ASSOCIATION - Member of the World Peace Council
Belgrade                                                 
www.sloboda.org.yu
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1. SLOBODA Press Release of 2 November 2004
2. Analysis of Me. Tiphaine Dickson, ICDSM Legal Spokesperson of 9
November 2004

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Belgrade, 2 November 2004

PRESS RELEASE

By his extraordinary effort, President Milosevic have reached a win for
International Law and human rights protection. Important part of his
fundamental rights has been restored.

The illegal institution which keeps him in illegal detention was forced
to do that and to further expose its illegal and political character.
The same institution which is now turning, as a consequence of
President Milosevic's struggle, from one of the most important tools
for colonization of the Balkans, into a burden for its creators.

This win should enable the continuation of the victorious struggle he
fights for truth about our people, for freedom, equality and national
dignity.

His effort had the broadest support of the progressive, patriotic and
professional public at home and abroad. Over 100 legal experts and
lawyers from the whole world, Bar Association of Belgrade and other
organizations, groups and individuals stood up in defense of the
fundamental rights of President Milosevic.

The fact that the political and illegal Hague institution was forced to
reverse in part its illegal and criminal decisions, does not mean that
the "prosecution", all its Hague assistants and all those who encourage
or back them, have gave up from their attempts to imperil the law and
even life of President Milosevic by misuse of the procedure and of his
health condition.

SLOBODA/FREEDOM Association

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"Substantial Disruption" at The Hague:
Will Slobodan Milosevic be Tried In Absentia?

by Tiphaine Dickson

www.globalresearch.ca 9 November 2004

The URL of this article is:
http://globalresearch.ca/articles/DIC411A.html

In an appellate decision which appears to have been painstakingly
devised to convince public opinion that President Milosevic's rights
have been restored-- or even, as stated by some media, "increased", or
exaggerated in the favor of the defendant-- the ICTY has opened the
door to in absentia trials before international bodies, and reduced
fundamental trial rights into mere "presumptions", matters of
discretion.

Ominously, this decision is the direct echo of reports that the ICTY
will be shut down quickly by the US, well ahead of the deadline imposed
in the UN Security Council's "completion strategy". The Milosevic case
is the last remaining thorn in the side of the institution whose
outright politicization he has exposed. But his defense is far more
threatening still: to establish that the "Balkan Wars" were in fact one
war, against Yugoslavia, waged by Western powers in their interest. The
Appeals Court has now fashioned a device to prevent that case from
being made at the ICTY, which would close down, rather than hear the
evidence.

The decision handed down by the ICTY's President, Theodor Meron, who
also acts as President of the Appeals Chamber, as well as a Trial
Chamber judge, permits Slobodan Milosevic's effective removal from the
courtroom. Indeed, the judgment states that "substantial disruption" of
a trial does not necessarily have to be intentional to justify holding
proceedings in the absence of the accused, and that even the ill health
of a defendant can constitute such a "substantial disruption". In such
cases, according to the ICTY's "court of last resort", both imposition
of counsel and removal from the proceedings are justified.
The current situation is infinitely worse than that brought about by
the Trial Chamber's ultimately embarrassing ruling imposing counsel
against the wishes of Mr. Milosevic, and granting what were described
as "rights" to assigned counsel who had acted for another party in the
proceedings as amici curiae. Imposed counsel predictably failed to
present any meaningful defense, as scores of witnesses refused to
participate in proceedings that shared characteristics with the
notorious Star Chamber. In fact, most of the recalcitrant witnesses
expressed their view that what the imposed counsel were presenting was
not and could not be Mr. Milosevic's defense at all, and that their
participation would only serve to further violate his fundamental
rights.

Playing out as predicted

Presciently, perhaps, the ICTY's designated counsel had themselves
argued against imposition of counsel last August 13th, stating that
they were "concerned that the witnesses to be called by the accused,
whilst they may be willing to cooperate with him, would in the event of
a conflict make themselves unavailable to the Amici Curiae as imposed
counsel." Despite having expressed this concern almost three months
ago, Mr. Steven Kay and Ms. Gillian Higgins accepted their assignments
without objection, and for two months, the "defense" of Slobodan
Milosevic stumbled along gracelessly from postponement to postponement
as only 5 witnesses were called. Stunningly, counsel failed to object
to irrelevant, inflammatory, and frankly discriminatory if not actually
racist cross-examinations by the prosecution team, who judged necessary
to attempt to impugn a witness' credibility based on his ethnic
affiliation (Greek) and religion (Greek Orthodox). No objection was
made to a question posed as to whether the father of the witness had
donated money to a Serbian NGO, the Serbian Unity Congress, an
organization dedicated to the preservation of Serbian heritage with
chapters in 9 countries. But the question was posed to suggest,
somehow, in an almost educational display of impermissible
cross-examination, that the witness could be tainted by his father's
support of what was assumed to be a shadowy Serb outfit. Guilt by
association disguised as cross-examination, but the imposed counsel let
it slide. The Trial Chamber had no comment about this line of
questioning, nor did it upbraid the Prosecutor, Mr. Nice for "wasting
time on irrelevant matters", even during a cross-examination that
delved into obscure issues of comparative theology. Another
cross-examination focussed witheringly on why Serbs would think they
were "so special", and deserve to live on one territory because they
were "historic victims." (800 000 people-- Serbs, Jews, Roma-- were
killed at the Croatian Ustase-run Jasenovac concentration camp. These
systematic murders constitute one of the tragic chapters of the
Holocaust, and can assuredly be considered to be a "special" part of
Yugoslav history.) It goes without saying that no remotely similar
question was asked of Elie Weisel, when he testified during Biljana
Plavsic's sentencing hearing in December 2002. Some questions are
indecent, and cannot be asked. Others, however, equally indecent, and
revisionist in their assumptions are asked, and with full impunity.

Ethics, suddenly

Only a little over that a week ago did the imposed counsel request to
be withdrawn from the case, citing ethical quandaries that should have
been clear to them-- and obviously were, since they had already
articulated them, in detail, last August, in their arguments opposing
the imposition of counsel-- many months ago. Before the Appeals
Chamber, on October 21st, they complained of the fact that neither
President Milosevic nor the witnesses were cooperating with them,
again, a state of affairs they had themselves predicted, and therefore
had reason to believe would play out precisely the way it did. Mr. Kay
made the following submission to the Appeals Chamber, which could be
interpreted as blaming President Milosevic for the predictable
consequences of imposition, and of the "substantial disruption" of
proceedings caused as a result: ". in terms of a solution, it may be
that he undertakes his own consequences rather than us wasting
resources believing, and people kidding themselves, making believe that
what is happening here is a proper defense."

Who's to blame?

From the very first day of the court-appointed defense, it was made
clear who was to be blamed for the dysfunction: Slobodan Milosevic. On
September 7th, when the first witness was called by Mr. Kay, he told
the court that he'd failed in his attempts to obtain instructions from
his "client".
Patrick Robinson, who presides these proceedings, took pains to have
the record reflect that President Milosevic was responsible for the
non-cooperation. And reminded all that counsel had been imposed because
Mr. Milosevic was unfit to represent himself, and unfit to question
witnesses before assigned counsel. How, then, could he be expected to
be "fit" enough to instruct imposed counsel?

When the defendant, on the first day of what should have been his
defense, which he had been waiting to make since his dubious "transfer"
to The Hague, demanded that his right to self-representation be
restored, Mr. Robinson responded that he didn't want to hear the "tired
refrain". How "tired" could it have been on the very first day of the
defense?

There is a simple explanation for the fatigue, and it is that this
defense must come to an end before it begins. Could it be that for this
purpose a two-part strategy was designed? First, impose counsel and let
the measure inevitably "backfire", then feign the re-establishment of
the right to self-representation in a decision permitting the Trial
Chamber to proceed in absentia, for part, or the remainder, of the
defense case.

It is important to note that despite a subsequent denial from
Washington, US media recently published comments by Undersecretary for
arms control John Bolton, stating that the last Bush administration was
dissatisfied with proceedings at the ICTY, and wished to see its
"completion strategy" accelerated. In other words, close it down,
transfer cases back to domestic courts, and even grant amnesty. Last
June, the ICTY adopted an amendment to its rules of procedure and
evidence permitting just such deferrals.
Undersecretary Bolton and other senior State Department officials are
said to believe that the "ICTY has degenerated into a politicized
tribunal", but their complaints are aimed solely at Carla Del Ponte,
and not at any of the other equally politicized organs of the
institution. Yet the players in Washington know full that the ICTY is a
political body, as they created it as such. Indeed it has been stated
without irony by those closest to its establishment, such as Professor
Michael Scharf, that the institution was established to "educate
Serbs", "pin responsibility on Milosevic", and "promote catharsis" by
permitting "newly-elected" leaders to distance themselves from the
policies of Milosevic. But, in order to accelerate the completion
strategy, someone else must be faulted for the politicization of the
ICTY, and who better than the Prosecutor who was perhaps carefully
chosen so that her demise would satisfy everybody: her employers and
detractors as well. Washington also clearly stated its frustration with
the pace of the Milosevic case, which has as of yet failed to produce a
conviction. From Bolton's comments, it is obvious that President
Milosevic would not be a suitable candidate for transfer to the
jurisdiction of Serbia and Montenegro, unlike, for example, Operation
Storm's Ante Gotovina, whose indictment-- described as "bogus"-- could
conveniently be deferred to Croatia. Mere days after this article was
published in the Washington Times, ICTY President Theodor Meron
traveled to Zagreb, to discuss the "completion strategy" with the
Croatian government, according to an ICTY press release. This,
coincidentally, while the Appeals Chamber was deliberating on the
appeal launched against imposition of counsel.

Despite the clear direction this case is taking, the Appeals Chamber of
the ICTY has attempted -- and perhaps succeeded to some extent-- in
giving the appearance of having overturned an unfair decision as a
legitimate Appeals Chamber and a judicial institution. It has further
attempted to appear to provide excessive fairness to the accused to
portray the ICTY as embattled underdog. The fairness afforded is an
illusion, and the decision will serve to prevent Slobodan Milosevic
from presenting his defense.

"Substantial disruption"

The Appeals Chamber decision is signed only by ICTY President Theodor
Meron. In the course of arguments before the appellate body, President
Milosevic argued that he could not present a meaningful defense while
represented by counsel, since this political prosecution, before a
political body, requires a political defense. The ICTY Code of conduct
for defense lawyers indeed forbids counsel from " diminish(ing) public
confidence in the International Tribunal (...) or otherwise bring(ing)
the International Tribunal into disrepute." It is thus inconceivable
that a defense lawyer could argue the ICTY's illegality or
illegitimacy-- a cornerstone of Mr. Milosevic's
defense-- without breaching the body's ethical rules. President Meron
responded to Mr. Milosevic's arguments with the following statement: "I
really believe, and I believe that all my colleagues very strongly
believe that this trial is not a political trial. It is a legal trial
under human rights and due process to determine, under international
law and the Statute, whether -to determine whether you are guilty
beyond a reasonable doubt or you are not. And we would not have been
conducting those proceedings this way if we were not convinced that
this is really not only a legal trial, but I believe it is a model of a
fair trial."

The Appeals Chamber, reviewing the decision to impose counsel on an
obviously competent law school graduate, made in the course of this
"model of a fair trial"-- a move unprecedented since the Star Chamber,
and not even attempted by the Apartheid judiciary against Mandela, nor
Nazi Germany against Dimitrov-- held, without relying on any authority
whatsoever, that "substantial disruption of the proceedings" for the
purposes of stripping an accused of the right to be tried in his
presence, as well as the right to self representation, does not require
any proof that the accused had the intention of disrupting the
proceedings. Ill health suffices to violate an accused person's most
fundamental right, a position contrary to international law and
domestic practice. Illness warrants provisional release, or an end of
the proceedings, not a supplementary violation of rights. The
justification set out by Mr. Meron is the following: "But it cannot be
that the only kind of disruption legitimately cognizable by a Trial
Chamber is the intentional variety. " Not a single case is cited. This
argument states "it cannot be", therefore "it should be". Here, then,
is the acknowledgement that this measure is not only contrary to
practice, and in violation of the International Covenant for Civil and
Political Rights, but predicated on the idea of "illegal but good", or
rather "illegal, but expedient" (and "discretionary").

Unprecedented assault against fair trial rights

The Appeals Chamber has further committed an unprecedented assault on
internationally recognized human rights. The right to
self-representation--described by Mr. Meron himself as "indispensable
cornerstone of justice", "placed on a structural par" with the other
rights set out at article 21 of the Statute (and article 14 of the
International Covenant for Civil and Political Rights)-- become mere
"presumptive rights" that the ICTY Trial Chambers can apply in a
discretionary manner:

"As the Appeals Chamber has previously noted, a Trial Chamber exercises
its discretion in "many different situations - such as when imposing
sentence, in determining whether provisional release should be granted,
in relation to the admissibility of some types of evidence, in
evaluating evidence, and (more frequently) in deciding points of
practice or procedure." A Trial Chamber's assignment of counsel fits
squarely within this last category of decisions. It draws on the Trial
Chamber's organic familiarity with the day-to-day conduct of the
parties and practical demands of the case, and requires a complex
balancing of intangibles in crafting a case-specific order to properly
regulate a highly variable set of trial proceedings."

So the respect of that right--and, one might conceive, of the other
rights "placed at a structural par" with it, those enumerated in
Article 20, paragraph 4 of the Statute-- are no longer "entitlements",
to be "enjoyed in full equality", as set out by Article 20 of the
Statute, but a matter of discretion for the Trial Chamber. Those
entitlements constitute the minimum fundamental fair trial rights under
international law, and guarantee the following to a defendant in a
criminal trial: the right to be informed promptly and in detail in a
language which he understands of the nature and cause of the charge
against him; the right to have adequate time and facilities for the
preparation of his defense and to communicate with counsel of his own
choosing; the right to be tried without undue delay; the right to be
tried in his presence, and to defend himself in person or through legal
assistance of his own choosing; to be informed, if he does not have
legal assistance, of this right; and to have legal assistance assigned
to him, in any case where the interests of justice so require, and
without payment by him in any such case if he does not have sufficient
means to pay for it; the right to examine, or have examined, the
witnesses against him and to obtain the attendance and examination of
witnesses on his behalf under the same conditions as witnesses against
him; the right to have the free assistance of an interpreter if he
cannot understand or speak the language used in the International
Tribunal; the right not to be compelled to testify against himself or
to confess guilt.

This remarkable perspective on basic fair trial rights invites
discretionary "adjustments" or "balancing" of the other enumerated
rights, since they are at a "structural par" with the right to
self-representation. In other words, if all these rights have the same
value, what prevents a Trial Chamber from violating them equally, as
they have done with the right to self-representation, which the Appeals
Chamber has upheld? This "discretion" will further be employed to
severely curtail the duration, scope and subject matter of questions,
as well as the very possibility of calling certain witnesses altogether.

Since the Trial Chamber has been granted the "wise discretion" to deal
with the "myriad health-related difficulties that may arise in the
future", and the power to craft "an appropriate set of responses to
every possible eventuality", it is entirely plausible, and in fact
highly likely that non-intentional "disruption" will be found to exist,
whether for health reasons or "non-cooperation". Then, this partial
"self-representation", and even presence at the hearings, will be
dispensed with. Considering the record of the Trial Chamber, in
particular judges Robinson and Bonomy, and their impatient attitude
(calling the Mr. Milosevic "petulant" and "puerile"), the Appeals
Chamber decision can be interpreted as an invitation to remove the
President entirely from the proceedings.

If the ICTY were not a political construct, it could and would simply
restore President Milosevic's right to self-representation. Judicial
institutions are independent bodies who suffer no interference from the
executive branch; they do not rewrite their own rules in mid-trial,
they do not emerge from the ether, survive for a few years, then hurry
to shut down their operations. Criminal courts are committed to an
unwavering respect for the Rule of law, which in adversary proceedings
means that people can only be tried "in an ordinary manner, before the
ordinary courts of the land". Courts do not engage in public relations
activities, "outreach programs", nor do they attempt to influence the
policies of foreign governments.

And as Mr. Kay compellingly argues that no lawyer can meaningfully
represent President Milosevic as assigned counsel, or even as "stand-by
counsel" without violating professional ethics, we see that there can
be no defense at all unless the right to self-representation is
restored.

The Appeals Chamber did not restore Slobodan Milosevic's right to
self-representation, but rather provided the Trial Chamber with the
tools it requires to see to it that Washington's completion strategy is
carried out swiftly. In the process, it has dealt a blow to the
fundamental fair trial rights guaranteed by the International Covenant
for Civil and Political Rights. The ICTY's endgame, as illustrated by
the strategy designed to prevent Slobodan Milosevic from further
exposing the institution's political nature, provides a valuable
lesson: there is nothing to be gained by establishing ad hoc political
courts, be they in Europe, Africa, or anywhere else. When justice is
used as an instrument to justify the crime of aggression, and when ad
hoc bodies do not even consider aggression within their jurisdiction,
there is no point in calling what emerges from the exercise
"international law." The sole superpower does not agree to be submitted
to the International Criminal Court's jurisdiction yet lays a gruesome
siege on Fallujah. And the sole superpower wishes Slobodan Milosevic's
microphone switched off, once and for all. It is imperative we at least
attempt to ponder why that is.


Tiphaine Dickson is a criminal defence lawyer specialized in
international criminal law based in Montréal. She was lead counsel for
the defence in one of the first UN trials prosecuting genocide before
the International Criminal Tribunal for Rwanda. Me. Dickson is a lawyer
and legal spokesperson for the International Committee to Defend
Slobodan Milosevic (ICDSM).

****************************************************************
TECHNICAL NOTE: After the electricity and water supplies in "Sloboda"
offices have been cut for some days and after the negotiations with
supplying companies ended with the agreement to cover a half of the
debt, we are able to circulate our information again.
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URGENT FUNDRAISING APPEAL

After the Hague Tribunal declared war against human rights and
International Law by banning President Milosevic's right to
self-defense, our activities for his liberation and for the restoration
of his freedom and for the national sovereignty of the Serbian people
need to be reorganized and intensified.
We need professional, legal work now more than ever. Thus, the creation
of conditions for that work is the imperative at this moment.

The petition of 100 lawyers and law professors from 18 countries, and
other related activities of the ICDSM Legal Committee, produced a
public effect incomparable to any other previous action by the ICDSM.
President Milosevic has the truth and law on his side. In order to use
that advantage to achieve his freedom, we must fight this totally
discredited tribunal and its patrons through professionally conducted
actions which would involve the Bar Associations, the European Court,
the UN organs in charge and the media.
Our practice has shown that ad hoc voluntary work is not enough to deal
properly with these tasks. The funds secured in Serbia are still enough
only to cover the expenses of the stay and work of President
Milosevic's legal associates at The Hague (one at the time). The funds
secured by the German section of the ICDSM (still the only one with
regular contributions) are enough only to cover minimal additional work
at The Hague connected with contacts and preparations of foreign
witnesses. Everything else is lacking.

3000-5000 EUR per month is our imminent need.
Our history and our people oblige us to go on with this necessary
action.
But without these funds it will not be possible.
Please organize urgently the fundraising activity and send the
donations to the following ICDSM accounts:

Peter Betscher
Stadt- und Kreissparkasse Darmstadt, Germany
IBAN: DE 21 5085 0150 0102 1441 63
SWIFT-BIC: HELADEF1DAS

or

Vereinigung für Internationale Solidarität (VIS)
4000 Basel, Switzerland
PC 40-493646-5

All of your donations will be used for legal and other necessary
accompanying activities, on instruction or with the consent of
President Milosevic. To obtain additional information on the use of
your donations or to obtain additional advice on the most efficient way
to submit your donations or to make bank transfers, please do not
hesitate to contact us:

Peter Betscher (ICDSM Treasurer) E-mail: peter_betscher @ freenet.de
Phone: +49 172 7566 014

Vladimir Krsljanin (ICDSM Secretary) E-mail: slobodavk @ yubc.net
Phone: +381 63 8862 301

The ICDSM and Sloboda need to address governments, international human
rights  and legal organizations, and to launch legal proceedings. The
ICDSM plans a legal conference at The Hague. Sloboda has just sent to
the patriotic factions in the Serbian Parliament an initiative to adopt
a parliamentary Resolution against the human rights violations by the
Hague Tribunal and to form an international team of experts to make an
extensive report on these violations which would be submitted to the UN.

Partito Comunista dei popoli della Spagna - Sulla Nuova Costituzione
dell’Unione Europea


Siamo contro la Costituzione Europea.
Nel referendum che si svolgerà in Spagna nel febbraio del 2005, il PCPE
invita il popolo spagnolo a votare NO.

Un progetto di gestazione antidemocratico  

Il progetto di Costituzione Europea si è sviluppato in modo
antidemocratico, è stato elaborato da una commissione di 105 notabili
non scelti dai paesi coinvolti, esercitando la potestà costituente
senza mandato popolare e senza che ci fosse un ampio dibattito sociale
sull'opportunità e necessità di tale Costituzione, ma ciò che è più
grave è il suo articolo 6 che dice: "La Costituzione ed il diritto
adottati dall’Unione prevarranno sul diritto degli Stati membri."
Un ridotto e scelto gruppo di rappresentanti delle grandi imprese
multinazionali impongono a 400 milioni di persone un codice legale che
potrà difficilmente essere riformato, perché lo stesso codice
stabilisce che per farlo è necessario il consenso unanime degli Stati
membri, l’unanimità quindi, mai ottenuta da misure progressiste.

Il Trattato di Costituzione dell'Unione Europea è un pezzo chiave nella
coesione del blocco imperialista europeo. Avanza nella configurazione
delle sue istituzioni politiche decisionali, di carattere non
rappresentativo e non partecipativo, e della sua strutturazione
economica, il principio intoccabile della proprietà privata e della
competitività, dell’assemblaggio d’apparati polizieschi e giudiziari
(esperti nell'implacabile repressione d’ogni dissidenza reale), di un
esercito centralizzato autonomo, influenzato dalla dottrina di guerra
preventiva lì dove il capitale lo richieda, e di un conglomerato di
servizi sociali diretto dalla logica neoliberale.  

CHE COSA DICE LA COSTITUZIONE?
CHE COSA CONSOLIDA L’EUROPA?
CHE COSA VOGLIAMO IN EUROPA?  

La Costituzione consolida un’Europa dell'oligarchia

Art. 26: la Commissione Europea eserciterà le sue responsabilità con
piena indipendenza. I Commissari europei non solleciteranno né
accetteranno istruzioni di nessun governo, istituzione, organo od
organismo.

Gli atti legislativi dell'Unione Europea potranno solo adottarsi su
proposta della Commissione.

Art. 5: gli Stati membri aiuteranno l'Unione nel compimento della sua
missione e si asterranno da ogni misura che possa mettere in pericolo
la realizzazione degli obiettivi dell'Unione.

Art. 16: la competenza dell'Unione in materia di politica estera e di
sicurezza comune abbraccerà tutti gli ambiti e tutte le questioni...
compresa la definizione progressiva di una politica comune di difesa.
Gli Stati membri appoggeranno attivamente e senza riserve la
politica... Si asterranno da ogni azione contraria.

Art. 40: Si consulterà il Parlamento Europeo su politica estera e di
sicurezza comune, e sarà mantenuto informato".

La Costituzione consolida un’Europa dell'oligarchia, sottomessa agli
interessi delle grandi imprese multinazionali. Perciò, stabilisce un
modello di unione simile alla federazione di stati, modello col quale i
paesi cedono gran parte della sovranità agli organismi dell'Unione
Europea. Così, un piccolo gruppo di commissari, la cosiddetta
Commissione Europea, decidono quasi tutto per circa 400 milioni di
persone. Quel governo dell'Europa non esce da nessun’elezione popolare
né è nominato da nessun Parlamento. Non esiste nessun meccanismo per il
suo controllo democratico.

Il Parlamento Europeo, unico organismo di elezione popolare, non ha
potestà per proporre e decidere il presidente della Commissione. Il
Parlamento Europeo conta poco, la cittadinanza è relegata da ogni
processo di dibattito e decisione ed i popolo non appaiono nemmeno
nella Costituzione Europea. Il Parlamento Europeo è, cosa fondamentale,
solo un organismo da consultare o informare, non è un’istituzione con
capacità di decisione.

Vogliamo un’Europa dei popoli.

Cioè, un’Europa nella quale i paesi storicamente costituiti possano
esercitare pienamente la loro sovranità, compreso il diritto di
autodeterminazione.

Vogliamo una Europa democratica, cioè, dotata di meccanismi di
partecipazione e decisione popolare che garantiscano che i suoi popoli
ed individui abbiano il potere reale.

Vogliamo un’Europa articolata come una confederazione di stati sovrani,
senza tutoraggio.

Vogliamo un’Europa nella quale le competenze di qualunque Stato membro
servano per generalizzare ed estendere i diritti a tutta la
cittadinanza e non solo per garantire la sicurezza dei capitalisti.

La Costituzione consolida un’Europa del capitalismo neoliberale

Art. 3: l'Unione offrirà ai suoi cittadini un mercato unico in cui la
competenza sia libera... in un'economia sociale di mercato altamente
competitiva.

Art. 30: la Banca Centrale Europea sarà indipendente nell'esercizio
delle sue competenze e nella gestione delle sue finanze. Le
istituzioni, organi ed organismi dell'Unione ed i governi degli Stati
membri rispetteranno quest’indipendenza".

La Costituzione consolida un’Europa del capitalismo neoliberale, basata
sulla dittatura economica del mercato. Perciò, stabilisce la
competitività come mandato costituzionale.   Per la vita quotidiana dei
lavoratori, che cosa significa la competitività? Contratti eventuali,
aumento della giornata lavorativa, diminuzione dei salari,
licenziamento libero, disoccupazione, graduale eliminazione dei diritti
di disoccupazione, persecuzione dell'attività sindacale onesta,
delocalizzazione di aziende, ricatto imprenditoriale, confronto e
disunione tra settori della classe operaia.

Per gli impresari, la competitività significa pagare sempre meno
imposte, riduzione di quote alla previdenza sociale, mani libere per
licenziare, intensificare lo sfruttamento della classe operaia, libertà
per portarsi le imprese dove più economica sia la manodopera; in
sintesi, aumento costante di benefici. Viene respinta ogni struttura
economica che non sia il capitalismo e viene dato tutto il potere
monetario alla Banca Centrale Europea.  

Amiamo un’Europa aperta al superamento della barbarie capitalista, non
blindata contro il socialismo. Vale a dire, vogliamo un’Europa
d’uguaglianza, giustizia sociale, lavoro emancipato e libertà reali.

Vogliamo un’Europa dove i lavoratori siano i protagonisti della vita
politica e sociale, dove i suoi diritti siano prioritari di fronte ai
diritti dei possessori del capitale.

La Costituzione consolida un’Europa che tende ad eliminare la
protezione sociale pubblica

Art. II-74: Ogni persona ha diritto all'educazione. Questo diritto
include la facoltà di ricevere gratuitamente l'insegnamento
obbligatorio. Si rispetta la libertà di creazione di centri docenti.

Art. II-75: Ogni persona ha diritto a lavorare.

Art. II-94: L'Unione riconosce e rispetta il diritto d’accesso alle
prestazioni di previdenza sociale ed i servizi sociali.

Art. II-96: L'Unione riconosce e rispetta l'accesso ai servizi
d’interesse economico generale, come dispongono le legislazioni e
pratiche nazionali

La Costituzione consolida un’Europa che tende ad eliminare la
protezione sociale pubblica, orienta verso la privatizzazione di
sanità, educazione, pensioni ed altri servizi ora pubblici e che chiama
d’interesse economico generale.

Il diritto al lavoro che comporta il diritto all'assicurazione
d’occupazione degna, si trasforma nel diritto a lavorare che non
obbliga gli Stati a trovare impiego per tutte le persone in età e
condizioni di farlo.

L'UE, va contro le conquiste sociali, le quali hanno bisogno di un
forte settore pubblico per essere garantite. La privatizzazione che
consolida il progetto di Costituzione colloca una maggioranza di donne
davanti ad un futuro di disoccupazione o impiego-spazzatura data la sua
elevata percentuale nell'adempimento dei posti di lavoro in servizi
sociali, sanitari ed educativi.

Per la politica sociale, la direttiva marcata dalla Costituzione è che
ogni stato definisca la sua. Scommessa per la sovranità? No, scommessa
per il dumping sociale; cioè, diminuire la spesa pubblica in protezione
sociale per creare "vantaggio competitivo" che attragga l'investimento
di capitale ad un contesto preparato per l'ottenimento del massimo
beneficio e che non obblighi alla contribuzione sociale. Un altro
vantaggio per gli impresari sta nel fatto che legalizza la chiusura
padronale per pressare i lavoratori che esercitino il diritto di
sciopero.

Vogliamo un’Europa d’ampia protezione sociale pubblica, con precisi
diritti e servizi, che limitino l’abbrutimento "legge della giungla"
propria del capitalismo. Vogliamo un’Europa in cui la sanità,
l'insegnamento e le pensioni siano pubbliche, gratuite e di qualità,
garantite per tutta la cittadinanza.

La Costituzione consolida un’Europa imperialista, dotandola di una
dottrina militare aggressiva, interventista e che riprende la "guerra
preventiva"

Art. 3: nelle sue relazioni col resto del mondo, l'Unione affermerà e
promuoverà i suoi valori ed interessi.

Art. 41: la politica comune di sicurezza e difesa fa parte integrante
della politica estera e di sicurezza comune. Offrirà all'Unione una
capacità operativa basata su mezzi civili e militari. L'Unione potrà
ricorrere a detti mezzi in missioni dell'Unione... Rispetterà gli
obblighi derivati del Trattato dell’Alleanza Atlantica (NATO)
checontinuerà ad essere il fondamento della sua difesa collettiva... Si
creerà un’Agenzia nell'ambito dello sviluppo delle capacità di difesa,
d’investigazione, d’armamento... per rinforzare la base industriale e
tecnologica del settore della difesa".

La Costituzione consolida un’Europa imperialista, dotandola di una
dottrina militare aggressiva, interventista che include la "guerra
preventiva". La "politica comune di sicurezza e difesa" offrirà
capacità operativa per missioni dell'Unione Europea al fine di
"mantenere i valori dell'Unione e rispondere ai suoi interessi".
Perciò, la Costituzione sancisce la creazione dell'Agenzia Europea di
Difesa, la quale serva per lo stimolo di ricerca che permetta di
raggiungere una posizione d’avanguardia in tecnologie strategiche per
le future capacità di difesa e sicurezza", creare un potere militare
che uguagli e superi quello degli USA. Dove dice "promuovere la pace"
vuole dire una pace armata fino ai denti per accentuare il saccheggio
delle ricchezze d’altri paesi con cui mantenere il benessere dei paesi
dell'Unione. Niente disarmo, solo più "superarmo". Niente scambio equo
tra paesi, ma saccheggio mediante la violenza imperialista.

Vogliamo un’Europa di paesi coscientemente internazionalisti,
antimperialisti, rispettosi dei diritti d’altri paesi.

Vogliamo un’Europa attivamente impegnata per la pace, il disarmo e la
cooperazione, senza blocchi militari.

Vogliamo la dissoluzione della NATO e la progressiva smilitarizzazione
di tutto il pianeta.

Vogliamo che tutte le fabbriche d’armamento si riconvertano
progressivamente in industrie civili che aiutino ad incrementare la
qualità della vita dei popoli.

La Costituzione consolida un’Europa autoritaria, poliziesca, blindata

Art. 5: l'Unione rispetterà le funzioni essenziali dello Stato, quelle
che hanno per oggetto garantire l'integrità territoriale dello Stato,
mantenere l'ordine pubblico e salvaguardare la sicurezza interna.

Art. 41: se uno Stato membro fosse oggetto di un attacco armato nel suo
territorio, gli altri Stati partecipanti gli dovranno a tutti i costi
aiuto ed assistenza... al fine di difendere i valori e favorire gli
interessi dell'Unione.

Art. 42: l'Unione costituirà uno spazio di libertà, sicurezza e
giustizia mediante l'adozione di leggi... riconoscimento mutuo delle
risoluzioni giudiziali ed extragiudiziali... mediante la cooperazione
operativa.

Art. 43: l'Unione e gli Stati membri agiranno in uno spirito di
solidarietà... con tutti gli strumenti che dispongono, compresi i mezzi
militari, per prevenire la minaccia terroristica nel territorio degli
Stati membri... o per proteggere le istituzioni democratiche".

La Costituzione consolida un’Europa autoritaria, poliziesca, blindata
contro le trasformazioni vantaggiose per le grandi maggioranze,
stabilendo lo spazio poliziesco e giudiziale unico e la "clausola di
solidarietà", meccanismi che autorizzano l'intervento dell'Unione su
questioni interne d’ogni paese e la repressione coordinata d’ogni
dissidenza, il caso di Genova, dove assassinarono un giovane, è un
esempio del modello poliziesco che stanno imponendo. L'avviamento per
un paese di cambiamenti politici e sociali profondi sarà trattato come
una minaccia terroristica. La sovranità popolare è ridotta a zero. Il
diritto d’autodeterminazione rimane fuori dalla massima istanza legale
dell'Unione Europea.  

Vogliamo un’Europa di libertà e diritti umani, con piene garanzie di
fronte all'impunità poliziesca e giudiziale.

La Costituzione consolida un’Europa di cultura sociale imperialista

Preambolo: L'Europa ora riunita proseguirà su questo strada di civiltà,
progresso e prosperità.

La Costituzione consolida un’Europa di cultura sociale imperialista,
rivendicata dalla sua introduzione affermando che proseguirà le sue
tradizioni. Europee sono state le principali potenze spoliatrici del
pianeta mediante il colonialismo, lo schiavitù, il neocolonialismo, le
migrazioni forzate, la distruzione di culture autoctone e lo scambio
disuguale, eseguito tutto ciò con una violenza solo uguagliata dagli
altri imperialismi (USA, Giappone,).   I valori che coltiva la
Costituzione sono quelli dell'individualismo neoliberale espressi nella
formula "si riconosce e rispetta il diritto a" invece di garantire il
suo esercizio dall'azione istituzionale. Coltiva i valori della
spoliazione violenta delle ricchezze d’altri paesi difendendo la
prerogativa d’intervento militare delle frontiere dell'UE. Coltiva
valori di discriminazione e razzismo non riconoscendo cittadinanza agli
immigrati.

Vogliamo un’Europa laica di valori umanisti fortificati mediante
l'unione delle sue diverse identità popolari con la creazione culturale
universalista.

Vogliamo un’Europa aperta che concepisca il pianeta come patrimonio di
tutta l'umanità, capendo come il flusso di abitanti da un posto
all’altro sia un diritto senza restrizioni.

Tutti i diritti per tutte le persone immigrate.

Siamo Contro La Costituzione Europea

Come ogni Costituzione, anche quella europeacontiene molti comma non
criticabili, perché esprime concetti ed aspirazioni ottenuti nelle
innumerevoli lotte popolari dei decenni anteriori. Anche la
Costituzione Spagnola del 1978 stabilisce importanti diritti del
popolo, ma che divengono lettera morta per effetto della monarchia,
dell'economia di mercato (capitalismo) e della negazione del diritto
d’autodeterminazione.

La Costituzione Europea ha similitudini con quella spagnola: è
elaborata da un gruppo di "notabili" sottraendola al dibattito sociale,
ha molti punti che resteranno lettera morta e i suoi principi - forza
sono completamente contrari agli interessi dei popoli, delle grandi
maggioranze.

L'Europa dei popoli, di lavoratori, è incompatibile con questa
Costituzione che indebolisce la democrazia, la protezione sociale,
l’occupazione, i servizi sociali e la laicità.

È necessario articolare un ampio "no" a questa Costituzione, che
impedisca al capitale e ai i suoi prestanome di imporci i suoi principi
camuffati in mezzo a quello che sarà lettera morta.

Il Partito Comunista dei Popoli della Spagna (PCPE) partecipa con
decisione a tutte le piattaforme unitarie di tutti i livelli che
lavorano con criteri progressisti per il rifiuto della Costituzione
Europea.

(francais / english)

[ Sul contenzioso aperto dalla ditta Hasbro contro la casa editrice di
Michel Collon vedi anche:

Esiste ancora il diritto di denunciare la politica di Bush?
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3895

Wolfowitz (the Pentagon) Tries to Bankrupt Michel Collon's Publisher
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3910

Wolfowitz (Pentagone) réclame 265.000 euros à l'éditeur de Michel
Collon !
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3879 ]

Hasbro vs. Collon/EPO

--- FRANCAIS ---

Hasbro - Wolfowitz c/ Collon - EPO : rebondissements
VANESSA STOJILKOVIC

Notre boîte mail a saturé. Car vous avez répondu très nombreux à notre
article « Wolfowitz (Pentagone) tente de ruiner l'éditeur de Michel
Collon ». Notamment pour commander le fameux livre Monopoly - L'Otan à
la conquête du monde tant attaqué. Comme nous étions en déménagement,
nous n'avons pu vider notre boîte assez vite. A présent, vous pouvez
nous réécrire et commander ce livre, encore disponible pour quelques
semaines.
Voici quelques extraits des réactions du public. En un mot :
indignation générale et appel à défendre fermement la liberté
d'expression.
Et du côté d'Hasbro ? Interviewé par un grand quotidien belge (voir
ci-après), ils semblent évoluer, embarrassés par cette pression de
l'opinion.

Réactions du public :

- A Al Verrechia, président d'Hasbro, et Alan Hassenfeld, président du
conseil, 1027 Newport Avenue, Pawtucket, Rhode Island USA : «
Chercheuse universitaire, je déplore qu'Hasbro qui se vante d'être
attachée aux principes de la responsabilité sociale des firmes, fasse
si peu de cas de la liberté d'opinion et d'expression. En tant que mère
de deux petits enfants, j'ai l'intention de boycotter vos produits
aussi longtemps que ce procès continuera, et j'encouragerai mes amis à
faire de même. » (N. P. Belgique)
- « A l'approche de la Saint-Nicolas, ceci nous permet de prendre
conscience du degré du lien entre l'industrie du jouet et celle de
l'armement. Qu'on se le dise !!! » (Françoise B., France)
- « Ces salopards n'ont pas de courriel sur leur site ou alors je me
trompe. J'aimerais leur dire que je n'achèterai plus jamais le moindre
produit de leur firme. Courage ! » (D.P., professeur à l'université de
Rennes)
- « A titre de geste de solidarité contre le procès indirectement
intenté par Wolfowitz, je commande 3 exemplaires de l'ouvrage de Michel
Collon, Monopoly. » (C.C., Ecole des Hautes Etudes en sciences
sociales, Paris)
- « Hallucinant. Nous devons faire quelque chose ici en Italie ! Je
vais forwarder ceci un maximum »
- « Dégoûtant que le Pentagone attaque EPO, le meilleur éditeur en
néerlandais. Je suis 100% solidaire. » (R.M. professeur Université de
Twente)
- « Absurde, ce harcèlement, mais potentiellement dangereux : un
journal britannique marxiste a été mis en faillite pour avoir osé
critiquer un journaliste qui avait monté de toutes pièces un 'camp de
la mort' serbe dans les Balkans. » (G.P., Londres)
- « Dorénavant, soyez particulièrement vigilants, les mots "Guerre" et
"Amour" ont peut-être été déposés ces jours-ci. » (mouvement antipub.be)
- « Pourquoi maintenant ce procès ? Ils prennent le risque de faire une
sacrée pub en faveur du livre ! » (G.L. France)
- « 'J'achète la rue Joseph Vernet ! Ça se passe sur le plateau du
Monopoly d'Avignon, édité par Winning Moves France (filiale d'Hasbro),
qui invite à miser sur les artères de la ville avec l'espoir de
s'enrichir en un temps record, celui d'une partie...' Non, je n'irai
pas bouffer à ce déjeuner de présentation du Monopoly-Avignon, mais je
ferai un petit écrit rappelant l'acharnement de la firme sur Michel
Collon. Je trouve scandaleux que l'on fasse l'apologie de la
spéculation immobilière dans une ville ou il devient difficile de se
loger, à cause justement de la spéculation. » (Un journaliste de la
région)
- « Odieuse 3ème Chambre du Tribunal de Paris qui vient de condamner au
silence l'éditeur EPO. Celui qui fait les meilleures publications
d'information à ce jour. Tous ceux qui se sont employés à faire passer,
dans les Balkans, la guerre coloniale de l'OTAN pour une intervention
humanitaire n'ont aucun intérêt à ce que cette vérité éclate au grand
jour. Beaucoup n'y survivraient pas. Bravo pour tout ce que vous
faites! » (G.J. Genève)
- « Je trouve dérangeante, aux vues de la philosophie dont Hasbro
prétend être l'icône, l'agressivité juridique envers la société EPO
pour avoir publié ce livre. » (R.M. Belgique)
- De nombreux sites et revues ont publié des articles et commentaires,
notamment en France, Belgique,, Espagne, Italie, Afrique...

Réaction d'Hasbro :

Le quotidien belge De Morgen a consacré à cette affaire un long article
très critique envers Hasbro le 16 octobre : « Pourquoi la firme qui a
tant grandi avec Monopoly, Scrabble, Trivial Pursuit, My Little Pony,
GI Joe, Beyblade, Playskool et tous les dérivés plastiques de Star wars
et Superman aurait-elle pour ambition de liquider l'éditeur EPO ? »
Un journaliste très connu, Douglas De Coninck, a interrogé Pascal
François, le directeur juridique d'Hasbro - Paris. Celui-ci a tenté de
démontrer que Paul Wolfowitz n'aurait rien à avoir dans cette affaire,
qui serait commerciale et non politique. Mais il a aussi admis
qu'Hasbro n'était pas très heureux d'être ainsi associé à la politique
de Bush et que toute cette info circule sur le Net. Et qu'un compromis
pourrait peut-être trouvé si EPO s'excusait. « Vous pouvez communiquer
mon numéro de téléphone aux gens d'EPO. »
Hasbro se désistera-t-elle de sa plainte ? A suivre. Plus il y aura de
réactions, plus il sera possible de faire respecter la liberté
d'expression.

--- ENGLISH ---

Hasbro - Wolfowitz against Collon - EPO : new developments
VANESSA STOJILKOVIC

Our mail box could not follow. Since you answered so many after our
article « Wolfowitz (Pentagon) tries to bankrupt Michel Collon's
publisher ». Also to order the famous book Monopoly - From Kosovo to
World Conquest via Control of Energy Corridors so ferociously attacked.
The English edition is coming soon under a new title.
Here some reactions from the public. In one word : general indignation
and calls to defend firmly freedom of expression.
And on Hasbro's side ? Interviewed by an important Belgian daily paper
(see below), they seem changing their position, embarrassed because of
this pressure from the public.

Reactions from the public :

- To Al Verrechia, president of Hasbro, and Alan Hassenfeld, president
of the council, 1027 Newport Avenue, Pawtucket, Rhode Island USA : « As
an academic researcher interested in issues of Corporate Social
Responsibility, I find it particularly deplorable that Hasbro, which
prides itself on its commitment to CSR principles, demonstrates so
little commitment to similar principles; namely, the right of opinion
and of free speech. Clearly Hasbro's principal aim is censorship: to
prevent EPO from publishing similar books in future. As a mother of two
pre-school aged children, I plan to boycott your products as long as
this trial continues and will encourage friends and family to do
likewise until the proceedings are dropped. (N. P. Belgium)
- « Since End Year Gifts are approaching, this makes us possible to
become more conscious about the links between toys industry and weapons
industry. Let' it known!!! » (Françoise B., France)
- « Those bastards have no mailing on their web site, or am I wrong ? I
would like to tell them I will never buy any product of their company
anymore. Courage! » (D.P., professor at the University of Rennes,
France)
- « As an act of solidarity againt this trial indirectly organized by
Wolfowitz, I am ordering 3 copies of Michel Collon's book, Monopoly »
(C.C., Ecole des Hautes Etudes en sciences sociales, Paris)
- « Crazy. We must do something here in Italy. I will forward this as
much as I can! » (G.P., Roma)
- « Disgusting, the Pentagon attacking EPO, the best publisher in Dutch
language. I am 100% solidair. » (R.M. professor Universiy of Twente,
Netherlands)
- « This harassment is absurd, but potentially dangerous as well, as
you know. I recall what happened to a British Marxist journal - was it
Marxism Today? - that dared to criticize a journalist for concocting a
Serbian "death camp" in the Balkans. » (G.P., London)
- « From now on, be very carefull. Words 'War' and 'Love' were maybe
also patented in the last days. » (mouvement antipub.be)
- « Why this trial now ? They take the risk to make a strong promotion
of that book! » (G.L. France)
- « 'I am buying the Joseph Vernet street ! This happens in the Avignon
- Monopoly just edited by Winning Moves France (filial of Hasbro), who
invites you to bet on the main streets of the town, with the hope to
become rich in a record time, the time of one game...' Non, I will not
accept that invitation at lunch from Monopoly - Avignon, but I will
write an article, reminding how the company sets on harming Michel
Collon. And I find scandalous to make the apology of speculation in a
town where it becomes difficult to find a home, precisely because of
speculation» (A journalist from Provence, France)
- « I hate that 3rd Court of Paris who just condemned publisher EPO to
silence. They are making the best publications up to now. All those who
worked to present the colonial war of Nato in the Balkans as a
humanitarian intervention, have no interest the truth to be known. Many
would not survive. Bravo for all what you do! » (G.J. Geneva)
- « I find disturbing, considering the philosophy Hasbro pretends to
have, this judiciary relentlessness againt company EPO for having
published this book." (R.M. Belgique)
- Many sites and medias published articles and comments in France,
Belgium, Spain, Italy, Africa...

Reaction from Hasbro :

The Belgian daily De Morgen spent a long article on this : «Why would
the firm that grew up so big with Monopoly, Scrabble, Trivial Pursuit,
My Little Pony, GI Joe, Beyblade, Playskool and plastics derived from
Star wars and Superman would have as ambition to make crumble the
publisher EPO ?»
The very famous journalist Douglas De Coninck, interviewed Pascal
François, director for judicial matters of 'Hasbro - Paris. François
tried to demonstrate that Paul Wolfowitz had nothing to do with this
case, that would be just commercial, and not politic. But he also
admitted that Hasbro was not happy being associated like this with
Bush's policy, and all that information circulating on the Net. He
added that a compromise might be found if EPO would apologize : « You
may give my telephone number to the people of EPO. »
Will Hasbro stop their attack? We will see. The more reactions, the
more will it be possible to defend freedom of expression.

If you want to buy, in solidarity, one or more copies of Monopoly:
(under a new title) :
Milo Yelesiyevich serbianclassics @ hotmail.com

Con Arafat, contro l'occupazione e con la Palestina nel cuore

Sabato 13 novembre manifestazione nazionale a Roma

A Parigi, dopo due anni e mezzo di assedio e reclusione in un edificio
di Ramallah, è morto Yasser Arafat, il presidente dell'Autorità
Nazionale Palestinese e leader riconosciuto di tutti i Palestinesi.
In questi quaranta anni Yasser Arafat – Abu Ammar per il suo popolo –
è stato il protagonista della strenua lotta del popolo palestinese per
ottenere giustizia e per edificare uno Stato palestinese indipendente.
Il 13 novembre prossimo, migliaia di persone scenderanno di nuovo in
piazza a Roma e nel mondo per riaffermare i diritti del popolo
palestinese e contro il Muro di Sharon.

Il comitato organizzatore della manifestazione, martedi è incontrato
con Nemer Hammad, ambasciatore dell'ANP in Italia, il quale ha
espresso apprezzamento per l'iniziativa ed ha annunciato di un
messaggio di sostegno dei vertici dell'OLP alla manifestazione.
Il Comitato organizzatore rilancia l'appello a tutti gli amici della
Palestina ed a tutto il mondo della solidarietà ad essere presenti in
piazza per rendere omaggio tutti insieme a Yasser Arafat e per
riportare al centro dell'agenda politica internazionale la questione
palestinese.

L'appuntamento è sabato 13 novembre alle ore 14.00 in piazza della
Repubblica a Roma.

(per adesioni, informazioni e contatti: 13novembrearoma @ libero.it )


Vita, terra, libertà per il popolo palestinese

Sabato 13 novembre manifestazione nazionale a Roma
Piazza della Repubblica ore 14.00

Per rendere omaggio tutti insieme a Yasser Arafat
Stop al muro dell'apartheid e all'annessione dei territori palestinesi
occupati nel 1967
Stop all'occupazione di Iraq e Palestina
Ritiro delle truppe e delle colonie israeliane dai territori palestinesi
Ritiro dei militari italiani dall'Iraq, solidarietà con la resistenza
di Falluja
Libertà per tutti i prigionieri palestinesi

Sabato 13 novembre tutti in piazza


Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia
ADERISCE alla manifestazione per la Palestina
e per il ritiro delle truppe dall'Iraq,
in programma per il prossimo 13 novembre a Roma:
https://www.cnj.it/INIZIATIVE/roma131104.htm