Informazione

Gentile Redazione di Limes,

leggiamo sul vostro sito internet
(http://www.limesonline.com/doc/navigation/LettereDirettore/#)
che Lucio Caracciolo risponde ogni settimana ai lettori. Alleghiamo
pertanto il testo, un po' abbreviato, di una lettera gia' recapitata
nei giorni scorsi alla vostra sede:

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Al Dott. Lucio Caracciolo
Direttore di "LIMES", Roma

In seguito alle ultime dichiarazioni di Ibrahim Rugova dopo le
elezioni "libere" nel Kosovo e Metohija, commentate anche
dall’ambasciatore Miodrag Lekic alla Radio Tre, nelle quali Rugova
ribadisce di lavorare per la secessione della regione, ho pensato di
scrivere a Lei che e’ stato tante volte presente a dibattiti con
Rugova. L’ambasciatore Lekic ha dato una risposta diplomatica, io
invece dico senza mezzi termini che Rugova e’ uno dei responsabili
dello sfascio della Jugoslavia unitaria, un secessionista, separatista-
etnico, quindi razzista, che ha usato, strumentalizzato la nonviolenza
per mettere i popoli della regione gli uni contro gli altri. E’ stata
soltanto una grande furbizia da parte di Rugova, vezzeggiato
dall’Occidente, e del suo partito, di mostrarsi meno estremista degli
altri... E questo estremismo non inizia oggi, ma con il fascismo.
Vuole rispolverare un po’ la storia italiana neanche tanto remota,
Dott. Caracciolo, e la politica di guerra verso l’Albania ed il Kosovo
dal 1941-1945?
Numerosi sono stati i crimini compiuti dal terrorismo schipetaro,
soprattutto a partire dal 1980, anno della morte di Tito: si
andava dalla minaccia di dover vendere le case, agli incendi ed alle
rapine del raccolto. Le ricordo soltanto due crimini compiuti contro
persone: lo stupro di un insegnante serbo del Kosmet, rimasto invalido
e morto due anni fa a Belgrado, effettuato con una bottiglia di birra
rotta; e la strage alla caserma di Paracin, nel 1987, compiuta da Aziz
Keljmendi che sparo’ ed uccise nel sonno quattro reclute, ferendone
altre cinque. I crimini venivano compiuti contro i serbi, come ha
ammesso lo stesso Rugova all’ambasciatore Zimmermann.

Gli atti di terrorismo sono aumentati con l’arrivo della KFOR e
dell’UNMIK. I dati rivelano: dal 1991 al 1999 circa 1200-1300 crimini,
mentre sotto l’ombrello delle forze internazionali i crimini sono stati
circa 5300.
Il pallino di Rugova e' stata sempre la secessione e la Grande Albania,
come dimostrano i suoi interventi su questo argomento, pubblicati sui
riviste croate, tedesche, e cosi’ via, da noi tradotti e pubblicati su
"Nuova Unita’" nel 1997. Le dichiarazioni sono diventate sempre piu’
frequenti, ed in esse si agognava la presenza internazionale e
l’intervento della NATO - fino alle parole rilasciate in occasione di
queste ultime elezioni-farsa.
In tutti gli anni passati Rugova e’ stato appoggiato all’estero, ed ha
naturalmente avuto la benedizione del papa. Non e’ un mistero chi pago’
la "Ruder & Finn Public Global Affairs" di Washington per la propaganda
a favore della parte albanese-kosovara, e neanche il fatto che Rugova
prendeva soldi dall’estero.
Le allego anche copia del volantino della "Lega Democratica del Kosovo"
di Rugova, diffuso durante l’ultima conferenza FAO a Roma pochi anni
fa, nel quale la regione indicata "Repubblica Kossova" (sic!) e’
rappresentata come parte integrante della Grande Albania.
Anche le mura sanno che la pulizia etnica nel Kosmet non c’e’ stata,
prima dei bombardamenti della NATO. E questo accanimento contro
Milosevic dimostra soltanto che si vogliono coprire le barbarie
commesse contro uno stato sovrano e contro tutta la sua popolazione...
Ma le mura non parlano, ed io credo che anche Lei, da intellettuale,
dica solo "mezze verita’".

Con osservanza

Ivan Pavicevac
Roma 29 novembre 2001
(anniversario della mia Repubblica)

Nota: nell'invio precedente era contenuto un errore di traduzione nella
parte intitolata "Le disavventure d'un analfabeta mondano". Abbiamo
inoltre aggiunto la traduzione degli stralci dall'intervista a P. Handke

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(na talijanskom i na srpskohrvatskom)

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PRIMA PUNTATA: BERNARD APPOGGIA I CONTRAS
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Nella prefazione a "Della guerra come politica estera degli Stati
Uniti", una semplice raccolta di 6 articoli di N. Chomsky alla ricerca
dell'ingrato lettore francese, Jean Bricmont parla del "piccolo mondo
dei grandi media", per spiegare come "la buona parte degli
intellettuali francesi fosse politicamente sempre piu' passiva, piu'
che altrove in Europa, prima durante la lotta contro gli euro-missili,
poi durante la guerra del Golfo ed il genocidio in Ruanda, per finire
decisamente bellicista durante gli interventi in Bosnia e Kosovo".

A questo punto troviamo la seguente nota dell'editore: "Sebbene la
passività fosse la tendenza generale, i filosofi mediatici non hanno
tardato a sostenere - molto attivamente - la politica estera di
Reagan; cosicche' i vari Bernard-Henri Levi e André Glucksman insieme
a quel Jean-François Revel firmarono una petizione d'appoggio ai
contras in Nicaragua, indirizzata al Congresso USA."

(Per chi fosse interessato alla prefazione di Jean B. segnaliamo che è
stata riportata da "Le Monde diplomatique" e si puo' trovare nel
supplemento di febbraio de "Il Manifesto". E' interessante
principalmente in quanto analisi del mancato successo francese di
Chomsky.

Titolo: Noam Chomsky: De la guerre comme politique étrangére des Etats
Unis, préface de J. Bricmont, Agone éditeur, 2001)

SRPSKO-HRVATSKI

Naslov knjige: "Noam Comski, O ratu kao spoljnij politici SAD",
predgovor Zan Brikmo, u izdanju Agon, februar 2001 U predgovoru Z.
Brikmona za 6 clanaka N. Comskog sabranih pod gornjim naslovom, u
delu gde Zan govori o "polusvetu medijskih intelektualaca da bi
objasnio da su francuski intelektualci mahom bivali sve pasivniji i
pasivniji, mnogo vise nego drugde u Evropi, prvo za vreme borbe protiv
euro-raketa, zatim tokom rata u Zalivu i genocida u Ruandi, da bi
konacno, za vreme intervencije u Bosni i Kosovu postali odlucne
pristalice rata", nalazimo sledecu fus-notu urednika izdanja:"mada je
sklonost ka ravnodusnosti bila opsta pojava, medijska inteligencija je
podrzala vrlo brzo - i vrlo aktivno- Reganovu spoljnu politiku, tako
da su takvi kao B. H. Levi i A. Gluksman zajedno sa nekakvim Z. F.
Revelom potpisali peticiju u znak podrske kontrasima u Nikaragvi. Ta
je peticija glasila na americki Kongres."


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SECONDA PUNTATA: DIFENSORE DELLA LIBERTA'
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Estratto da "PLPL - Pour Lire Pas Lu" (Per leggere non letto) "il
giornale che non mente e che prende di mira il potere, la sinistra
molle e i padroni", N° 0, giugno 2000 - sito internet www.plpl.org

IL LACCIO D'ORO

La lotta è accanita, pero'
PLPL sempre equanime,
il laccio d'oro
consegnera'
alla penna del piu' servile.

Editorialista associato di "le Monde", direttore di una collana di
libri presso Grasset (gruppo Matra-Hachette) e cronista di "le Point"
(il padrone di questo giornale è François Pinault), Bernard-Henri Lévy
è anche un caro amico di Jean-Luc Lagardère (il padrone di
Matra-Hachette e mercante d'armi).

Nel testo che segue ("le Point", 5 maggio 2000) il grande filosofo
delle libertà, prende le difese di un industriale perseguitato dalla
giustizia: "Quando ci capita di vedere un capitano dell'industria come
Jean-Luc Lagardére sbattuto davanti ai giudici, anche se a quanto pare
non abbia fatto niente per impedire l'arricchimento nè della propria
impresa ne della collettività, non ci restano che due possibili
reazioni ..."
Tuttavia piu' in là BHL precisa: "Jean-Luc è un amico. Quello che
apprezzo in lui e' questo suo stile da grande condottiero, da Cirano
che sa il fatto suo."
E vero, "l'amico" Lagardère ha finanziato con F. Pinault l'ultimo film
di BHL, "Il Giorno e la Notte", un pessimo film fallimentare.
PLPL si felicita con BHL: leccare è un affare delicato quando le
ghiandole salivari sono compresse dal laccio d'oro.

SRPSKO-HRVATSKI

Preuzeto bez pitanja iz PLPL, Pour Lire Pa Lu, (Sta Stampa ne Stampa)
"novina koje ne lazu" a izlaze kao dvomesecnik u Parizu. "Na meti PLPL
su vlastodrsci, levi mekusci i gazde" Jun 2000. br. 0
(www.plpl.org)

ZLATNA UZICA

I u najzescoj konkurenciji,
PLPL nepristrasno
nagradu dodeljuje
samo najvecoj ulizici.

Spoljni saradnik "Le Mond-a", direktor izdanja kod Grase (Grasset u
sastavu Marta-Hachette) hronicar u listu "Point", BERNAR-ANRI LEVI je
takodje i prijatelj ZAN-LUK LAGARDERA koji je ne samo gazda preduzeca
Matra-Hachette vec i trgovac oruzjem. U tekstu sto sledi ("Le Point",
5.maja 2000.) veliki filozof i ljubitelj slobode zauzima se za
industrijalca koga sud progoni:
"Kad covek vidi kapetana industrije kakav je Zan-Luk Lagarder kako se
povlaci po sudovima, a da nije, a kazu da nije, onemogucio bogacenje,
ni svom preduzecu, ni zajednici, moze da bira izmedju dve moguce
reakcije ...."
Malo dalje u istom tekstu BHL pojasnjava : "Zan-Luk je moj prijatelj.
Volim kod njega tu zicu velikog vojskovodje, Sirana koji tera po
svom."

Tacno je da su prijatelji, Lagarder je sa F. Pinoom finansirao
najnoviji film Bernara-Anrija, "Dan i Noc", pravo djubre od filma koje
je progutalo ogromne pare.

PLPL cestita Bernar-Anriju : Ulizivanje je vrlo slozen napor kada
zlatna uzica steze pluvacne zlezde.


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TERZA PUNTATA: BERNARD COSMOPOLITA TUTTOLOGO
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PLPL n° 1 ottobre 2000

Le disavventure d'un analfabeta mondano

Editorialista associato di "Le Monde" BHL è anche un grande cronista.
Ha esordito con l'Algeria offrendoci un'analisi approfondita sulla
situazione (quattro pagine, 8-9/01/1998), ha minuziosamente descritto
una giornata qualunque di un combattente in Afganistan (due pagine
13/10/98), dall'Austria ha riportato i suoi commenti filosofici (2
pagine 2/03/00), ha ricordato che in Germania vivono i tedeschi
(quattro pagine 5-6/02/99).

Cambio di lettera dell'alfabeto il 14 ottobre: toccava alla Bosnia (due
pagine).
Albania, Angola e Argentina hanno subito espresso il proprio sollievo
mentre Belgio, Brasile e Botswana stanno per chiudere le frontiere.

PLPL n°1 oktobar 2000

Potucanja belosvetskog nepismenjakovica

Spoljni saradnik "Le Monda", BH Levi je takodje i veliki reporter.
Poceo je istancanom analizom dogadjaja u Alziru (4 strane 8-9/01/98).
Do tancina je opisao dan jednog ratnika u Avganistanu (dve strane,
13/10/98). Svoja filosofska zapazanja preneo je iz Austrije (2 str.
2/03/00) i podsetio da Nemacku nastanjuju Nemci (4 str. 5-6/02/99).
A onda je promenio slovo 14 oktobra ove godine. Dosla je na red Bosna
(dve str.).
Albanija, Angola i Argentina su tom prilikom sa olaksanjem odahnule,
a Belgija, Brazil i Bocvana se spremaju da zatvore granice.


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QUARTA PUNTATA: SQUADRISTI A PARIGI
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Prenosimo deo intervjua Martina Letmajera sa Peterom Handkeom.
Ovaj intervju sa cuvenim pozorisnim i knjizevnim stvaraocem
novinar nemacke Tv vodio je januara 1997.
Na engleskom jeziku nalazi se na adresi :
http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1417
http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1418


Pitanje: Jasno, usledio je napad gospode Levi i Finkelkraut ...

HANDKE: Tako je. Samo sto ta dvojica nisu knjizevnici. Obojica su
"novi filozofi". Ne bih vam znao reci ni zasto "novi" , ni zasto pak
"filozofi". S pocetka rata, ja sam im u jednom trenutku bio potreban,
kao neko ko nije filozof, vec knjizevnik i to dokazan i, za razliku od
njih dvojice, neko ko ima barem nekakvu predstavu o Jugoslaviji. Vec
posle par susreta sa njima bese mi jasno da zele da me iskoriste i nista
vise. Samo sto sam poceo da branim Srbiju, a vec su digli su ruke od
mene. Zaista su zatvoreni tipovi, ta dvojica. To vam je Cetvrti Rajh.
Novac i moc.
U Francuskoj oni i njima bliski potpuno kontrolisu izdavastvo i
elektronske medije. Od njih dvojice ne moze nista da prodre do javnosti,
gotovo da u potpunosti dominiraju na televiziji i na stranicama novina.
Poneko sa njima i segu tera, medjutim, uprkos svim neprimerenim i
nesuvislim pisanijama o ratu u Bosni , niko Levija vise i ne napada,
toliko je uzeo maha. Ne moze se vise procitati ni rec kritike na njegov
racun.
Sve se to uzima kao vrsna knjizevnost. A bilo bi dovoljno uzeti Roberov
recnik i proveriti nekoliko izraza i pojmova, staviti pod gramaticku
lupu, pa da sve sto kaze bude opovrgnuto.Naizgled neverovatno, a ipak
niko nista ne cini u tom pravcu.
U pitanju su finansijski interesi i moc. Shvatio sam to odmah i odlucio
da nista ne potpisujem i da se sa "novim filozofima" vise ne sastajem.
Oni ce to iskoristiti protiv mene, no ipak je to manje zlo.

Pitanje: Ta gospoda Finkielkraut i Levi, nalazim da su zanimljivi. Mogli
bi pare da mlate na necem drugom a ne na hvalospevima Tudjmanu, sto je
slucaj Bernara-Anrija, ili na prici da Evropa pocinje u Sarajevu, sto je
slucaj onog drugog.
Ko je uzeo pod najam tu dvojicu?

HANDKE: U danasnje vreme, intelektualci, a pod tim ne podrazumevam nista
lose, ne oskudevaju u novcu. Dakle, nije novac njihov motiv, vec pre
moc. To uostalom, ide jedno sa drugim.
Bernar-Anri je po prirodi cutljiv, zajedljiv i lazljiv. Kao i njegov
Bosanski dnevnik, on je izvestacen, umisljen. On prikazuje dimenziju
vladavine moralnih vrednosti, uporedo sa vladavinom politickih faktora,
kakav je Sirakova vlada i druge, medjutim, to on umislja. Problem sa
njim je u tome sto je on sa stanovista etosa, morala, obicni punjeni
curan.
Gledao sam onomad scenu koju je snimila, rekao bih, nemacka televizija
gde Levi sa grupom svojih pristalica pred Jugoslovenskim Kulturnim
Centrom u Parizu grubo i nasilnicki otima kljuc iz ruku zeni koja
uzaludno pokusava da zgradu zakljuca i tako spreci uljeze da u nju
prodru. Ona se brani recima : "Ne, ne zelim vam dati kljuc, sta vi ovde
trazite? To nije vase pravo!"
U svom crnom koznom mantilu, Levi je hladnokrvno posmatrao kao kakav
komunisticki komesar iz petparackog filma. Trebalo bi da sve Tv stanice
sirom sveta prikazu ovu triminutnu scenu da se vidi kako se samozvani
branilac Sarajeva i Bosne ophodi prema ljudima. Voleo bih kada bi svi
mogli to da vide.

Pitanje: Da li mislite da je moguce ispraviti sve ovo sto danas neki
rade?

HANDKE: Ne. bilo bi odvec lako. Tragicna je istorija Jugoslavije i
Evrope u ovom veku.
Odvijanje i pisanje istorije su spojeni. To je zajednicko i istoriji
Jevrejskog naroda, koja je takodje tragicna.
Verovatno nece biti ispravljene nepravde. Takva vrsta ljudi se ne
menja. Po meni, neosnovano je misliti da ce jednog dana biti moguce
drugacije posmatrati stvari. Svojim laznim recima i laznim slikama
pocinili su toliko mnogo zlocina protiv Jugoslavije, strasnih zlocina. A
neki su zlocini nepovratni, trajni.



Stralci dall'intervista a Peter Handke effettuata dal giornalista
televisivo tedesco Martin Lettmayer nel gennaio 1997 e riportata in
inglese sul sito del Congresso dell'Unità Serba:
http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1417
http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1418


DOMANDA: Il sig. Levy e il sig. Finkielkraut, naturalmente l'hanno
attaccata...

HANDKE: Esatto. Ma loro non sono scrittori. Loro sono "I nuovi
filosofi". Non so perché siano stati chiamati "nuovi" o "filosofi".
C'è stata un'epoca all'inizio della guerra in cui loro hanno avuto
bisogno di me. Avevano bisogno di qualcuno che non fosse un filosofo,
ma un autore, un autore riconosciuto che, al contrario di loro, avesse
una qualche conoscenza della Jugoslavia. Dopo alcuni incontri con
Finkielkraut e Bernard Henri Levy, mi fu chiaro che loro volessero
soltanto usarmi. Ma appena presi le difese della Serbia, non mi
vollero più vedere. Questo è un gruppo veramente poco comunicativo. E
appartiene al Quarto Reich. Ci sono un sacco di soldi in ballo. E
potere. In Francia i libri e i mezzi elettronici sono completamente
controllati da una catena di gente come questa. Non si riesce più a
far arrivare nessuna notizia. La stampa francese e la TV sono
pressoché totalmente sotto il controllo di Bernard Henri Levy, così
come di Finkielkraut. Alcune persone lo ridicolizzano, ma in virtù di
tutti quegli indecenti, decorati, pessimi diari che lui [Levy]
pubblica sulla guerra in Bosnia, nessuno lo attacca più. Non un
singolo attacco. Prendono tutto come una buona letteratura. Tutto
quello che basta fare è prendere un paio di frasi nel dizionario
Robert's dei luoghi comuni. Il suo lavoro è sbagliato nei suoi punti
di vista, e pieno di errori di grammatica. Da non credere. Ma nessuno
fa niente. C'è in giro un sacco di denaro, e di potere. Tutto questo
mi fu chiaro dopo che mi incontrai un paio di volte con i "nuovi
filosofi". Decisi di non firmare nulla. E non sarei più andato ai loro
incontri. Hanno usato questo fatto contro di me, ma è meglio così.

DOMANDA: Questi signori Finkielkraut e Levy pero' mi interessano.
Potrebbero guadagnare soldi scrivendo altro, invece il primo elogia la
democrazia di Tudjman, l'altro dice che l'Europa inizia a Sarajevo.
Chi li ha ingaggiati?

HANDKE: Gli intellettuali (non intendendo niente di negativo) non sono
a corto di denaro, oggigiorno. Perciò non è il denaro che li spinge.
E' il potere, il potere più del denaro. Certamente denaro e potere
sono strettamente connessi. Bernard Henri Levy, credo, non ha una
spiegazione per la sua demonologia. E' taciturno, ma ingannevole.
Taciturno e ingannevole, malizioso. E' una meraviglia speculare come
il suo diario di Bosnia ci mostri una quadro in cui esiste un secondo
potere, oltre a quello del governo, di Chirac, etc., un potere etico e
morale. Questo è quello che lui immagina. Ma questa è la difficoltà,
poiché moralmente ed eticamente, lui è una papera morta. (Come noi
diciamo in un proverbio austriaco, "sotto il cane").

Una volta vidi una scena girata, penso, dalla TV tedesca, in cui Levy
va al Centro Culturale Jugoslavo a Parigi, con un gruppo di suoi
seguaci. A questo punto la donna che dirige il centro desidera
chiudere l'edificio. Lei rifiuta di passare la chiave agli intrusi.
Levy e il suo assistente, prendono la chiave alla donna con la forza.
Per due o tre minuti questa donna, abbastanza anziana, urla, grida:
"No, non voglio darvi la chiave, non vi appartiene. Non potete entrare
qui."

Levy rimane li, proprio come il commissario comunista dei film di
seconda categoria con il suo soprabito di pelle nero, e, sorridendo,
osserva il suo amico mentre rigira e strappa la chiave dalle mani
della donna. Questa immagine dovrebbe essere trasmessa dai notiziari
della sera, per tutti i tre minuti, su ogni emittente TV del mondo per
far vedere come questo autoproclamato difensore di Sarajevo e della
Bosnia, si comporta con la gente di tutti i giorni. Mi piacerebbe che
tutto il mondo lo guardasse.

DOMANDA: E' convinto che tutte queste persone che oggi fanno queste
cose, potranno correggersi?

HANDKE: No, sarebbe troppo facile. E' tragica, la storia della
Jugoslavia, la storia dell'Europa in questo secolo. Come la storia
avviene e come la storia viene scritta, sono due cose unite insieme.
Questa storia va insieme con la storia del popolo ebreo. Queste sono
le due storie tragiche. E probabilmente non saranno corrette. Pensare
in questo modo, che un giorno le cose potranno essere viste
differentemente, penso, sarebbe un falso ottimismo. Questa gente non
cambia. Con il loro linguaggio e le loro immagini hanno commesso così
tanti crimini, crimini veri, contro la Jugoslavia. Ci sono crimini che
possono solo essere perpetuati. Non c'è via di ritorno.


(zajednicki priredili : Olga iz Pariza, i Andrea iz Rima)
(a cura di Olga, da Parigi, e di Andrea, da Roma)

URL for this article: http://emperors-clothes.com/news/demockery.htm

www.tenc.net
[Emperor's Clothes]

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Can Democracy be Constructed Based on Terror &
Fraud? -
The BHHRG Report on the Kosovo 'Elections,' 17
November 2001

[This report was prepared by Dr. David Chandler. It is Posted with the
kind permission of the British Helsinki Human Rights Group, 28 November
2001. For some quite interesting Further Reading, go to end of page.]
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Faking Democracy and Progress in Kosovo

1. Background

"This was an extraordinary election."[i] The pronouncement of US
Ambassador Daan Everts, OSCE Mission chief, running the elections was
very apt. These elections were truly extraordinary in many respects.

One extraordinary aspect is that they were held in a legal vacuum.
Kosovo is neither an independent state nor any longer under the
government of Serbia or the Federal Republic of Yugoslavia. The question
of statehood is to be postponed to the indefinite future while the
United Nations assumes the responsibility for governing the province,
through the UN Mission in Kosovo (UNMIK) headed by the
Secretary-General's Special Representative (SGSR) the former Danish
foreign minister, Hans Haekkerup.

The provincial government elected on 17 November reflects this lack of
international legal framework. The new post-election arrangements are
outlined in a document titled `A Constitutional Framework for
Provisional Self-Government in Kosovo'.[ii] This is not a constitution
but a `framework' for a constitution and not self-government but
`provisional' self-government. The ill-defined legal and political
status of the former Yugoslav province, reflects Western powers'
diminished respect for state sovereignty and the crumbling formal
framework of international legal and political equality. (1)

Kosovo is an `extraordinary' political experiment because the system of
`dual power' of an international governing administration alongside a
subordinate, domestically-elected administration, which developed in an
ad hoc manner in Bosnia-Herzegovina, is here for the first time
officially institutionalised. The new framework for a `constitution' of
Kosovo, is the first modern political constitution to explicitly rule
out democracy. The preamble states that the `will of the people' is to
be relegated to just one of many `relevant factors' to be taken into
account by the international policy-makers.[iii]

The executive and legislative powers of the UN Special Representative
remain unaffected by the new constitutional framework. Chapter 8 of the
framework lists the powers and responsibilities reserved for the
international appointee, which include the final authority over finance,
the budget and monetary policy, customs, the judiciary, law enforcement,
policing, external relations, public property, communications and
transport, housing, municipal administration, and the appointment of
regulatory boards and commissions. And, of course, the power to dissolve
the elected assembly if Kosovo's representatives do not show sufficient
`maturity' to agree with his edicts.[iv]

2. Sham Elections

Many international plenipotentiaries, including US President George
Bush, Nato Secretary-General Lord George Robertson and United Nations
Secretary-General Kofi Annan, urged the Kosovo public to turn out to
vote, particularly the Kosovo Serbs. When it emerged that around 60% of
the Albanian and 50% of the Serb voters had taken part, the elections
were loudly hailed by the international organisers and observers to be a
`glorious day in the history of Kosovo' and as a `huge success'.[v] The
question of why the international community chose to spend millions of
dollars holding elections for a provincial administration with token
office-holders with highly circumscribed powers was, unfortunately,
rarely asked.

These elections were extraordinary in the importance attached to them,
not just because of the lack of power awarded to the victors, but also
the fact that the results were largely irrelevant once the electoral
`engineering' of the OSCE and UNMIK was taken into account. The largest
party, the Democratic League of Kosovo (LDK), led by Ibrahim Rugova,
which won 46% of the votes, would not have been able to form the
government even if they had won a land-slide victory. This was because
the seats in the seven-member presidency and positions in the new
ministries were already divided in a fixed ratio in advance. For
example, the largest party and second largest party, the Democratic
Party of Kosovo (PDK) under Hashim Thaci, with 25% of the votes, were to
have two seats in the presidency with the third party holding one seat,
the two remaining seats were reserved for Serb and other minorities.
This system of dividing the seats before the elections made the
international pressure on Belgrade to encourage Kosovo Serbs to vote, in
order that they might have more of a say in the future of the province,
rather bizarre. The Serb community was already guaranteed 10 reserved
seats in the 120 seat assembly, a seat on the presidency and at least
one of the nine ministries, regardless of whether any Serbs voted at
all.

I was monitoring the Kosovo elections on behalf of the British Helsinki
Human Rights Group with the official international observation mission
of the Council of Europe. It did not take long to see why the
extravagant hype had taken over from the mundane reality of the
elections. At the start of the Council of Europe observer training, Lord
Russell Johnstone, the President of the Council of Europe Parliamentary
Assembly, put the elections in the broader context of international
intervention today. `The international community needs to prove that
intervention was benign [in Kosovo and East Timor] and will create
better conditions. These elections are a proving exercise.' Lord
Johnstone is probably correct to see the November elections as little
more than a `proving exercise' for the international institutions
involved in the violation of Yugoslav sovereignty and the promotion of
`military humanitarianism' in Afghanistan and elsewhere. This would seem
to be confirmed in the stated concern of the OSCE organisers to achieve
an election that made the international mission appear `legitimate and
credible'.[vi]

Bearing in mind the international importance of the `success' of the
Kosovo elections, the `independent' observation mission of the Council
of Europe claims that the provincial elections were `free and fair'
should not necessarily be taken at face value.[vii] It is highly
doubtful that these elections would have been passed as `free and fair'
had they taken place outside the international supervision of the OSCE.
The election conditions, in which there was a complete absence of
freedom of movement for minority communities, and many of the OSCE
election regulations covering the media and political parties, failed to
meet basic internationally accepted standards, such as those laid out in
the OSCE's 1990 Copenhagen Declaration on Democracy and Political
Pluralism.[viii] The following sections compare the claims of the OSCE
against the reality of Kosovo in more depth.

3. Creating Multi-Ethnic Society?

Without visiting the region it is difficult for outside observers to
imagine the depth of fear and insecurity which pervades the province
despite more than two years of government by the international
community's expansive `peace-building' mission. (2) There has been a
highly restricted number of Serb and minority returns to Kosovo, and the
UNHCR estimates that since the UNMIK administration took over more
minorities may have left the province than returned.[ix] One reason for
this is that Serb and other ethnic minorities still have no freedom of
movement in Kosovo. The lack of movement could be seen when we visited
the allegedly multi-ethnic `zone of confidence' in Mitrovica, which has
no Serb minority and is basically a Bosnian Muslim settlement policed by
a 24-hour UNMIK armed guard. Or when we walked further along the Ibar to
the uninhabited ruins of the Roma `Malhalla', formally the largest Roma
settlement in the Balkans, destroyed after the war. It is not yet
possible for any of the 7,000 former residents to return in safety.

The ethnic-apartheid ruled over by UNMIK (3) also had a direct impact
on the election campaign and election monitoring. The Council of Europe
election observation teams were told not to enter minority Serb or
Albanian areas within their allocated municipalities because it would be
too dangerous for their drivers and interpreters. Apart from indicating
the complete separation of the Serb and Albanian communities, this
instruction also meant that the `independent' observers had a highly
restricted view of the elections. One further impact of the lack of
security for ethnic minorities was the fact that the voters' list, the
basic tool to guide election campaigning, was considered to be sensitive
information. The voters' list was not available to be used by political
parties and could only be consulted if no notes or photographs were
taken, making full transparency impossible.[x]

Far from admitting to the failures of the Nato intervention or the
subsequent `peace-building' programmes of the UNMIK administration, and
the ethnic-apartheid, which is in place, the OSCE had boasted that the
elections were overcoming ethnic divisions. One reason for this
statement was that there were allegedly minority members on the polling
station committees.I was observing in the north of the Mitrovica area,
in Leposavic, a moderate-dominated Serb area, I saw no minority
committee members and asked an OSCE polling station supervisor if the
policy had been dropped. He replied that the polling station committee
were all minority community members as they were all Serbs. Classifying
mono-ethnic polling station committees as minority ones makes the OSCE
election organisation look artificially multi-ethnic. This artificial
`engineering' to create multi-ethnic institutions on paper is also
promoted as an important outcome of the elections themselves. Every
level of government, including the Presidency, the Ministries and the
Assembly will have reserved places for minority community members. These
minority members will be bussed in to meetings from minority enclaves
under heavy military guard. Multi-ethnic government will be created by
edict, but this will not reflect the divided society, nor help to break
down inter-ethnic barriers. The insecurities of minority and majority
communities are not caused by ignorance or irrational prejudice but by
rational concerns that the artificial and temporary nature of the
current settlement imposed by UNMIK can not be sustainable.

The lack of refugee return and poor treatment of non-Albanian minority
communities, was one reason for the low turn-out in some minority areas
of Kosovo, particularly in the Serbian enclave north of the Ibar river
which divides the town of Mitrovica. At some polling stations turn-out
was under 10%.[xi] In Leposavic around a third of the 6,500 population
were refugees. I visited the refugee centres for Roma and Serbs
displaced from southern Kosovo. I spoke to Gushanig Skandir the head of
the Roma camp, who showed us around the overcrowded and poorly funded
site, where large families were forced to share single rooms and use
outside toilet and washing facilities despite the winter cold.He told me
that after waiting three years their centre had received a new roof 20
days ago, he believed this international aid was because he encouraged
the adults in the camp to register to vote and to encourage the Roma
refugees to vote on election day. He was sceptical about the elections
but felt the Roma might receive more aid from the international
community if they voted. The following day I saw him at the polling
station in the local school. Gushanig may have made the pragmatic choice
to vote but many other refugees and displaced people in similar
situations told us that voting could make no difference especially as
the leading Serb representatives would have seats in the Assembly
anyway.

In an attempt to portray the low turn-outs as unconnected to the lack
of freedom of movement and alienation of minority communities, Daan
Everts declared: `The only thing which marred what was a glorious day in
Kosovo's history was that some Serbs in the north of Kosovo were too
intimidated by other people in their own community to come out and
vote'.[xii] This claim was repeated on BBC World television, in
international press headlines and in the post-election International
Crisis Group report, which stated that `the intimidation of would-be
Serb voters marred the election in Serb-controlled region north of the
Ibar river'.[xiii] The intimidation claims were news to the independent
observers in the region. I attended the Mitrovica area debriefing for
the Council of Europe observers after the elections and intimidation was
not mentioned, the observation team for the north Mitrovica municipality
received not one report of intimidation. At a post election party for
internationals the mystery was clarified when I spoke to the OSCE
regional trainer for the Mitrovica area who told me that his boss's
claims of intimidation were based on highly dubious allegations `of
people staring outside polling stations and looking inside them'.

4. Political Pluralism, Free Press and Civil Society?

The OSCE and UNMIK regard the Kosovo political parties as a hindrance
rather than a help in addressing the problems of the province. They are
seen to be lacking maturity and in need of `continuous support from the
OSCE Democratization Department to enhance their organisational capacity
and to increase their political and social possibilities to advocate for
democratic changes'.[xiv] Daan Everts argued that the political parties
were so out of touch that the international community was, in effect,
more democratic and more representative of popular opinion. He stated
that the OSCE needed to inform the political parties of the concerns of
the people and to encourage them to respond to the demands of the
electorate.[xv]

As part of the process of making political parties more `accountable'
there are a host of restrictive regulations of the political sphere.
These include the fining of newspapers if they favour a major political
party. Epoka e Re was fined DEM 1,000 for `a clear bias in favour of the
PDK in its election political reporting' while Bota Sot was fined DEM
2,750 for coverage which was favourable to the LDK.[xvi] I asked Lucia
Scotton, the Council of Europe's Mission in Kosovo's media monitoring
officer, how these fines squared with the OSCE's claim to be encouraging
a free and independent media. Her view was that although it was an
international norm for a free press to take a political position
favouring a particular party in election campaigns, the fines were
`reasonable' because the press in Kosovo was not professional or mature
enough to act freely and independently yet.[xvii]

The OSCE Code of Conduct for political parties also breaches
internationally accepted democratic norms by holding political parties
responsible for the actions of their supporters.[xviii] I asked Adrian
Stoop, the Chief Commissioner of the OSCE Election Complaints and
Appeals Commission about whether this regulation complied with
international standards.[xix] He replied that `In Holland this law would
be unthinkable.' He explained that the internationally-appointed
Commissioners supported regulations which they would not accept in their
own countries because the international administrators found it hard `to
get a grip on what is happening' and `didn't speak the language'. In
order to give the international regulators greater control, the rules
had to be more pragmatic and flexible to try to influence the political
parties and the political climate.

The OSCE election `engineers' also sought to limit the influence of the
political parties once they got into power. Daan Everts stated at a
training session for Council of Europe observers that `these elections
force a certain degree of power-sharing', undermining the power of the
larger parties by restricting their positions and influence in the new
institutions.[xx]He added that the OSCE had learnt from the municipal
elections last year `to impose a bit more'. The flexible `framework' for
a `constitution' allows the line between international and domestic
responsibility to be easily blurred. Firstly, UNMIK has established
`international advisors' for the President, Prime Minister and ministers
and each ministry will also be overseen by an international `Principal
Advisor'. Secondly, the functions reserved for the UN's Special
Representative are so vaguely defined that they cover much of the
responsibilities `devolved' to the nine ministries. However, in the true
spirit of transparency and accountability the UNMIK spokesperson says
that at this stage `it is hard to describe' what powers will be needed
to carry out these reserved functions.[xxi]

While the political parties were being restricted at least it appeared
that one area of political life was booming, civil society. The growing
strength of civil society was indicated by the fact that this year there
was more than twice the number of domestic observers as last year,
representing 1% of the electorate. Daan Everts described the elections
as the `best monitored elections this century'.[xxii] In fact, according
to the OSCE, there `could be the highest proportion of election
observers to voters in the world'.[xxiii] One does not have to be a
hardened cynic to wonder why 1% of the population would be so keen to
observe the elections. I thought it would be interesting to find out.
When I asked the NGO observers more about how they got involved I was
surprised to find out that many did not know what `their' NGO did or
what its' initials stood for, and had got involved through being invited
by a friend. This was particularly true for those observing on behalf of
one of the best represented domestic NGOs, the KMDLNJ (Council for the
Defence of Human Rights and Freedoms) based in Pristina. The reason the
KMDLNJ had so many observers was probably because they were paying
people DEM 80 to take part. CeSID a Serbian-based NGO with close links
to the OTPOR student movement was paying people DEM 25 to observe. The
other NGO observers were paid somewhere between the two.

The dynamism of civil society, like every other aspect of these
elections was a fake. In the regional de-briefing back in Pristina, all
the observers noted that the domestic observers were rather
disinterested in the proceedings. It seems likely that the OSCE and its
international sponsors' actions of buying-in civil society NGOs will
have little positive impact in the longer run. It hardly encourages
people to take communal responsibility for democracy if people are paid
half-a-month's wages to `volunteer' to be part of the democratic
process. The statistics for domestic observers may have looked good on
paper but the OSCE's approach of artificially `engineering' the effect
it wanted may only set back any genuine attempt to involve the Kosovo
public in the political process. If civic NGO involvement is promoted as
an election-related job, like interpreting and driving for the
internationals, then this undermines, rather than promotes, the idea of
voluntary civic engagement.

5. Conclusion

The November 17 elections in Kosovo were phoney in every major respect.
They were phoney in that under the fiction of multi-ethnic government
they helped legitimise a society that provides no normal existence for
ethnic minorities, merely imprisonment in ethnic enclaves and military
escorts to visit family cemeteries or former homes and villages. They
were phoney in that through the fiction of `staring' Serbs the
responsibility for the low turn-out in some regions was seen to be the
fault of minorities themselves, rather than the ethnic segregation
overseen by the international community. They were phoney because under
the guise of promoting media freedom and independence, freedom of
expression and political debate were further restricted. They were
phoney because under the guise of promoting political pluralism,
majority rule was replaced by a consensus imposed by the UN's Special
Representative. They were phoney because under the fiction of a vibrant
civil society the OSCE and its partners corrupted the process of
encouraging civic engagement. Most importantly, they were phoney because
under the fiction of democratic autonomy for the people of Kosovo, they
legitimised a constitution that openly replaced the `popular will' with
the unaccountable power of an international protectorate.

The OSCE and UNMIK are celebrating the elections as a major
international success. They may have secured some international
legitimacy for their tin-pot protectorate and won kudos for their
`success' in encouraging `democracy' and `peace' in Kosovo. However,
phoney elections can only create phoney consultation bodies. The reduced
election turn-out among the Albanian voters and the low turn-out for the
Kosovo Serbs suggests that the domestic legitimacy of the international
protectorate may be the real sticking point for the future.

This report was compiled by Dr David Chandler, Policy Research
Institute, Leeds Metropolitan University. He is the author of Bosnia
Faking Democracy After Dayton (Pluto Press, 1999, 2000) and From Kosovo
to Kabul: Human Rights and International Intervention (Pluto Press,
March 2002). He can be contacted at D.Chandler@....



[i] `First Official Results in Kosovo Election Announced', OSCE Mission
in Kosovo (OMIK) Press Release, Pristina, 19 November 2001.

[ii] `A Constitutional Framework for Provisional Self-Government in
Kosovo', UNMIK/REG/2001/9, 15 May 2001.

[iii] `A Constitutional Framework for Provisional Self-Government in
Kosovo', UNMIK/REG/2001/9, 15 May 2001, p.4.

[iv] For further background information on the framework for
provisional self-government, read: Simon Chesterman, Kosovo in Limbo:
State-Building and "Substantial Autonomy", International Peace Academy,
August 2001. Available from: <http://www.ipacademy.org/>; Independent
International Commission on Kosovo, The Follow-Up: Why Conditional
Independence? September 2001. Available from:
<http://www.kosovocommission.org/>; International Crisis Group, Kosovo
Landmark Election, November 2001. Available from:
<http://www.crisisweb.org>.

[v] `Kosovo's Election Hailed a Huge Success', OSCE Mission in Kosovo
(OMIK) Press Release, Pristina, 17 November 2001.

[vi] International Crisis Group, Kosovo: Landmark Election, Balkans
Report, No.120, Pristina/Brussels 21 November 2001, p.1.

[vii] `Kosovo Assembly Elections Bring Democracy Forward and Strengthen
regional Stability', Council of Europe Election Observation Mission in
Kosovo Press Release, Pristina, 18 November 2001.

[viii] Document of the Copenhagen Meeting of the Conference on the
Human Dimension of the OSCE. Available from: <http://www.osce.org/docs>.

[ix] Interview with Leonard Zulu, Senior Protection Officer, UNHCR,
Pristina, 13 November 2001.

[x] Information provided by Peter Urban, Director of Elections, OSCE,
Council of Europe Training Programme, Pristina 13 November 2001.

[xi] Information provided by OSCE Spokesperson Claire Trevena, 21
November 2001.

[xii] `Kosovo's Election Hailed a Huge Success', OSCE Mission in Kosovo
(OMIK) Press Release, Pristina, 17 November 2001.

[xiii] Nicholas Wood, `Serbs "Face Threats at Polls"', Observer, 18
November 2001; International Crisis Group, Kosovo: Landmark Election,
Balkans Report, No.120, Pristina/Brussels 21 November 2001, p.i.

[xiv] Kosovo's Concerns: Voters' Voices (Pristina: OSCE Mission in
Kosovo, 2001), p.iii.

[xv] Daan Everts, `Foreword', Kosovo's Concerns: Voters' Voices
(Pristina: OSCE Mission in Kosovo, 2001), p.iii.

[xvi] `Fines Given for Political Violence and Reporting Bias', OSCE
Mission in Kosovo (OMIK) Press Release, Pristina, 10 November 2001;
`Newspaper Sanctioned for Photo', OSCE Mission in Kosovo (OMIK) Press
Release, Pristina, 16 November 2001.

[xvii] Interview, Pristina, 18 November 2001.

[xviii] `The Code of Conduct for Political Parties, Coalitions,
Citizens' Initiatives, Independent Candidates, Their Supporters and
Candidates', Electoral Rule No.1 1/2001, OSCE Mission in Kosovo, Central
Election Commission. Available from: <http://www.osce.org/>.

[xix] At the Council of Europe Training Programme, Pristina, 13
November 2001.

[xx] Speech at the Council of Europe Training Programme, Pristina, 13
November 2001.

[xxi] UNMIK-OSCE-EU-UNHCR Press Briefing, 22 November 2001. UNMIK
Unofficial Transcript.

[xxii] `Calls for Kosova's Serbs to Vote', RFE/RL Newsline, Vol.5,
No.214, Part II, 9 November 2001.

[xxiii] `Plea to Election Observers: Be Patient', OSCE Mission in
Kosovo (OMIK) Press Release, Pristina, 9 November 2001.

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COMMENTS & FURTHER READING:
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Prepared by John Flaherty and Jared Israel, Emperor's Clothes

1) UN Resolution 1244 guarantees that Kosovo will remain part of Serbia
and Yugoslavia. Nevertheless, Bernard Kouchner, head of the UN mission
in Kosovo (UNMIK) campaigned for the exact opposite during an earlier
provincial quasi-election. See "Solana and Kouchner push Kosovo
'Independence'" by Jared Israel at
http://emperors-clothes.com/analysis/lovein.htm

* (Return to Report, above)

2) In his informative report on the Kosovo elections, posted above, Dr.
Chandler writes that Serbs have been subjected to a reign of terror in
Kosovo "despite more than two years of government by the international
community's expansive `peace-building' mission."

We in the NATO countries have been taught that our leaders are
basically decent, but make mistakes. We are told that if bad things
happen in countries undergoing NATO 'nation-building' it is in spite of,
not because of, NATO leaders.

But in Kosovo, the evidence on the ground is overwhelming. Kosovo has
suffered an unprecedented reign of terror by Albanian secessionists
because of - not in spite of - NATO and UN control.

Many articles on Emperor's Clothes document this with abundant
references from the mainstream media and from highly credible observers.
The following is a small but important sample:

* "TERRORISM AGAINST SERBIA IS NO CRIME" Jared Israel and Rick Rozoff
show how NATO and the UN have gone 100% against the promise, made
in UN Resolution 1244, to prevent Albanian secessionist terrorism in
Kosovo. Instead this terror has been encouraged. Can be read at
http://www.emperors-clothes.com/articles/jared/nocrime.htm

* 'What NATO Occupation Would Mean for Macedonia'. NATO's
nightmarish control of Kosovo is documented in interviews with three
women from the town of Orahovac. They describe NATO's lofty
promises prior to taking over the province; NATO's actual entrance,
alongside the terrorist Kosovo Liberation Army; the transformation of
Orahovac into a death camp for Serbs and 'Gypsies' under NATO
management. Can be read at
http://www.emperors-clothes.com/misc/savethe.htm

* 'Women of Orahovac Answer the Colonel'. In this interview, three
Serbian women refute a Dutch Colonel's surreal description of life in
the brave new Kosovo town of Orahovac. Can be read at
http://emperors-clothes.com/interviews/trouw.htm

* 'Driven from Kosovo: Jewish Leader Blames NATO - Interview with
Cedda Prlincevic'. Mr. Prlincevic was President of the Jewish community
in Kosovo in the summer of 1999 when NATO - and the terrorist KLA -
took over. Mr. Prlincevic, at the time the chief archivist of Kosovo,
describes how he and thousands of others were driven from their homes
by the Albanian terrorists with NATO's approval.

* For those of us in the West, who tend to give our leaders the benefit
of the doubt, it is amazing to consider the career of the Kosovo
Protection Corps. Formed by top leaders of NATO and the UN in the fall
of 1999, from the outset it was comprised of members of a terrorist
group, the Kosovo Liberation Army.

The terrorist nature of the UN-sanctioned Kosovo Protection Corps is
documented in "How Will You Plead at your Trial, Mr. Annan?' at
http://emperors-clothes.com/news/howwill.htm

The use of the terrorist Kosovo Protection Corps to invade Macedonia is
documented in 'SORRY, VIRGINIA, BUT THEY ARE NATO TROOPS, NOT 'REBELS'"

* (Return to Report, above)

3) Dr. Chandler argues that the West has introduced apartheid-like
conditions in Kosovo. This is discussed in the "Statement of President
Slobodan Milosevic on The Illegitimacy of The Hague 'Tribunal,'" which
the kidnapped and imprisoned Yugoslav leader tried to deliver when he
appeared before The Hague 'Tribunal' on 30 August 2001. We have all been
told that Milosevic is a demagogue whose speeches advocate religious and
ethnic hatreds, but how many have read his words? Whenever he tries to
speak at The Hague, they turn off his microphone. He can be read at
http://www.icdsm.org/more/aug30.htm

Speaking of Milosevic, the media campaign portraying him as a monster
began with a speech he gave in Kosovo in 1989. It is described as
inciting race war. Read it. He argues that Serbia's strength is its
ethnic diversity. 'What Milosevic Really Said at Kosovo Field (1989)'
can be read at http://emperors-clothes.com/articles/jared/milosaid.html

* (Return to Report, above)

Join our email list at http://emperors-clothes.com/f.htm. Receive about
one article/day.

LE UNIVERSITA' DI ROMA E TORINO ALL'AVANGUARDIA
NELLA FORMAZIONE DELLE NUOVE FIGURE PROFESSIONALI

Per le sempre piu' frequenti operazioni di ricolonizzazione - nei
Balcani, in Africa Orientale ed altrove - si rende ormai necessaria una
adeguata preparazione professionale.
Per questo aumentano i corsi universitari per la formazione di
"operatori" quali: i "peacekeepers", gli "amministratori dei
protettorati", i "bombaroli chirurgici", gli "interventisti umanitari",
i "missionari umanitari", i "caschi bianchi", i "militari per la pace",
eccetera. Si tratta di figure professionali inedite: alcune di queste
entrano in scena nelle fasi avanzate del processo di colonizzazione,
altre operano invece nelle aree di crisi perche' esse diventino
effettivamente tali, praticando ad esempio ad esempio: la
destabilizzazione del quadro politico e sociale attraverso operazioni
di intelligence e disinformazione strategica, l'appoggio ai settori
politici piu' criminali e servili, ed eventuali bombardamenti
chirurgici su obiettivi selezionati quali i petrolchimici o le sedi
della Croce Rossa. (Andrea)

BALCANI: 'SAPIENZA' PROMUOVE MASTER A BELGRADO E SARAJEVO
(ANSA) - BELGRADO, 29 NOV - Lavori preparatori per la creazione di un
master in amministrazione statale e sostegno umanitario sono in corso a
Belgrado, organizzati dalle universita' 'La Sapienza' di Roma e dagli
atenei di Belgrado e Sarajevo, col patrocinio della Cooperazione
italiana, della Farnesina e dall'Ambasciata d'Italia in Jugoslavia.
L'apertura del master e' prevista a Roma il 10 dicembre, presso
l'istituto diplomatico del ministero degli esteri italiano, a Palazzo
Madama. Saranno presenti i rettori delle universita' di Belgrado Marjia
Bogdanovic, di Sarajevo Boris Tihi e i responsabili di altri atenei del
sud est europeo. Una delegazione della Sapienza composta dal
coordinatore per le relazioni internazionali, prof. Dino Gueritore, dal
prof. Giuseppe Burgio e dal dott. Massimo Cavena ha messo a punto con i
rettori Bogdanovic e Tihi gli ultimi dettagli organizzativi, assistiti
dall'ambasciata italiana a Belgrado. ''E' giunto il momento - ha detto
la signora Bogdanovic - di preparare i nostri giovani a riprendere
confidenza con la speranza in un futuro migliore di pace e sviluppo del
paese. L'universita' ha un ruolo importante in questo''. Il programma
comune, ha aggiunto Tihi, ''vedra' i nostri atenei come coordinatori
nei Balcani di questo ambizioso progetto''. L'iniziativa conta anche
sul supporto delle Nazioni unite e delle forze di pace presenti a
Sarajevo, che contribuiranno a fornire docenti, supporto logistico e di
sicurezza.(ANSA). COM-OT
29/11/2001 19:30

> http://www.ansa.it/balcani/jugoslavia/20011129193032061598.html

-------- Original Message --------
Subject: Professionisti italiani nelle operazioni di pace
Date: Wed, 28 Nov 2001 19:41:40 +0100
From: "Nello Margiotta"
To: <pck-pace@...>


PROFESSIONE PEACEKEEPER

(News ITALIA PRESS) "Fornire ai laureati competenze professionali che li
rendano capaci di operare in aree di crisi": questo l'obiettivo
dichiarato dal professor Alberto Antoniotto, direttore del
corso "Peacekeeping e interventi umanitari" presentato ieri nell'Aula
magna dell'Università di Torino, che partirà a gennaio.
Alla presenza di un pubblico prevalentemente maschile, con una numerosa
presenza di militari, il professor Miozzo dell'Università di Torino, il
generale Orofino comandante del Centro Operativo Interforze, il dottor
Piva del Ministero degli Esteri e il dottor Machin, responsabile dello
Staff College di Torino hanno illustrato gli obiettivi del corso che si
svolgerà per il secondo anno consecutivo, citando esperienze concrete di
operazioni in corso e le possibilità lavorative che si sono rivelate
per gli studenti dello scorso anno.
Gli interventi umanitari "da 20 anni portano l'Italia a essere operatore
nelle zone di crisi" ha detto il dottor Miozzo e "hanno portato gli
italiani in tutto il mondo": contingenti militari, ma anche volontari
italiani delle ONG. Dall'intervento in Libano, alla Somalia, alla
Bosnia, per poi citare i più recenti esempi del Kosovo e
dell'Afghanistan. Chiamati ad operare in scenari sempre diversi e in
situazioni molto delicate "i peacekeeper che il corso vuole formare
devono avere competenze e esperienza sul terreno: è un universo che
deve essere conosciuto, di cui fanno parte i militari, ma anche
volontari, ONG e organismi internazionali. La formazione proposta serve
a sapere dove e perché si va" spiega il direttore Antoniotto ed è quindi
necessario "un approccio culturale al peacekeeping" come lo ha definito
il dottor Machin. "Si tratta di voler insegnare una certa umiltà nel
rapporto con altre culture e di inserirsi neutralmente nelle zone di
conflitto".
Consulente del corso sarà generale Giuseppe Orofino che ha maturato
esperienza nel settore delle operazioni umanitarie: a lui abbiamo
chiesto il significato della formazione di peacekeeper italiani e quale
sia la consistenza dei contingenti di pace impegnati in territori di
crisi.

Generale Orofino, come giudica la realizzazione di questo corso e quali
prospettive offre per la presenza degli italiani in operazioni di pace?

Un corso di questo genere può contribuire innanzitutto a far conoscere
tutti gli interventi di questo tipo che gli italiani realizzano e hanno
realizzato, dal momento che spesso non si conoscono: questa integrazione
di conoscenza é molto utile perché va a costituire il famoso 'sistema
Italia' nel campo del Peace-keeping che stiamo realizzando e che
porterà a un maggiore e maggiormente qualificato contributo alle azioni
internazionali da parte del nostro Paese, verso le popolazioni che
hanno bisogno del nostro aiuto. Si vuole offrire una molteplicità di
conoscenze che formino peacekeepers con competenze che spaziano nei
campi giuridico, amministrativo, culturale, sociologico. E' un corso
che significa, per chi vuol frequentarlo, un primo passo verso una
scelta di vita dedita agli aiuti umanitari.

Che significato ha per il nostro Paese l'impegno in operazioni di
peacekeeping?

Le operazioni umanitarie sono in generale coordinate all'interno di un'
azione internazionale e vanno realizzate a vantaggio della comunità
internazionale stessa, nei confronti di persone e Paesi che vivono
situazioni di difficoltà e che stanno male. Il popolo italiano è un
popolo sensibile e incoraggia la partecipazione ad operazioni
umanitarie. Si tratta, inoltre, di inserire in questo modo il nostro
Paese nella contesto internazionale, ma il problema contingente è una
situazione esplosiva alle porte di casa nostra e quindi oggi è ancora
più opportuno realizzare queste partecipazioni a accollarsi un impegno
di questo genere.

Quale evoluzione ha avuto la realizzazione degli interventi umanitari
italiani?

Abbiamo cominciato negli anni Ottanta in Libano e poi siamo andati
avanti fino agli interventi attuali, abbiamo cominciato con piccole
operazioni di pace e siamo giunti a una presenza più significativa.
Esiste una differenza che è maturata in questi vent'anni di
peacekeeping italiano e consiste nel numero di interventi realizzati,
di uomini impegnati e nell'esperienza accumulata nel settore, che oggi
mettiamo al servizio di che voglia frequentare il corso in questione.

Quale pensa sia il ruolo delle Forze Armate negli interventi umanitari e
in che modo si inserisce la loro presenza in un corso di questo tipo?

La presenza delle Forze Armate con la loro esperienza deriva dal fatto
che esse sono Peacekeeper per eccellenza, sia singolarmente che come
complesso di forze che ha realizzato un servizio nelle aree di crisi per
popolazione e territorio: mi sembra un buon motivo per partecipare alla
docenza e fornire un supporto accademico per l'esperienza vissuta e le
conoscenze accumulato.

Che tipo collaborazione esiste tra le ONG e le forze armate? Ricorda
casi di contrasti nella gestione dei conflitti?

Direi che si può parlare di un'ottima collaborazione: c'è uno scambio di
informazione, di conoscenze, di esperienze e di aiuto, soprattutto per
quanto riguarda alcuni servizi che le ONG necessitano e che possono
essere, per esempio, garanzie di sicurezza.
Non mi sono mai capitati casi di divergenze. Nel corso della mia
esperienza, dal 1997 al 2001, non ho mai avuto occasione di poter
constatare l'esistenza di contrasti tra le diverse componenti che
partecipavano alle operazioni di peacekeeping.

Esiste un modello di peacekeeping italiano?

Non ci sono modelli perché ogni operazione umanitaria è diversa e
indipendente: ci possono essere esperienze e osservazioni recepite dalle
precedenti occasioni che e possono essere d'aiuto nelle future
operazioni.

Nello

change the world before the world changes you

29 NOVEMBAR - DAN REPUBLIKE

Praznik Bratstva i Jedinstva, najviseg znacenja socijalisticke
ujedinjene Jugoslavije, okaljana od unutrasnjih i vanjskih
neprijatelja koji su od pocetka 1991. gurnuli balkanske narode u
strahovitu tragediju.
Godisnjica stvaranja Federativne Narodne Republike Jugoslavije, tokom
zasjedanja AVNOJ-a u Jajcu 29 novembra 1943.

U SPOMEN PETOKRAKA

Za obiljeziti taj historiski datum, Italijanska Koordinacija za
Jugoslaviju (CNJ) promice kampanju zastave SFRJ-e s petokrakom.

* Zastava velikog formata: od 40000 lira na dalje (21 Euro)
* Stolna zastavica sa stalkom: od 15000 lira na dalje (8 Euro)

Doprinos ide za troskove stampanja zastave, postarine, i aktivnosti
CNJ-e za upornu obranu AVNOJ-skih tekovina.


29 NOVEMBRE - GIORNATA DELLA REPUBBLICA

E' la Festa dell'Unita' e della Fratellanza, i piu' alti valori della
Jugoslavia socialista ed unitaria, infangati dai nemici interni ed
esterni che a partire dal 1991 hanno gettato i popoli balcanici in
una tragedia immane.
E' la ricorrenza della fondazione della Repubblica Federativa
Popolare di Jugoslavia, poi Repubblica Federativa Socialista di
Jugoslavia (RFSJ), avvenuta nel corso della Assemblea Popolare
Antifascista di Liberazione della Jugoslavia (AVNOJ) a Jajce, in
Bosnia-Erzegovina, il 29 novembre 1943.

UNA STELLA ROSSA PER RICORDARE

Per commemorare la ricorrenza il Coordinamento Nazionale per la
Jugoslavia promuove una campagna di diffusione delle bandiere della
RFSJ, i tricolori con la grande Stella Rossa dal bordo dorato al
centro.

* Una bandiera grande formato (circa 100x140cm): a partire da 40000 lire
(21 Euro)
* Una bandierina da tavolo (circa 15x25cm) completa di asticina e
sostegno: a partire da 15000 lire (8 Euro)

Il ricavato andra' a coprire le spese di produzione e spedizione
delle bandiere, ed in sostegno delle attivita' del CNJ per la difesa
intransigente dei valori dell'AVNOJ.


PER RICEVERE LA BANDIERA:

1. effettuare il versamento sul
Conto Bancoposta n. 73542037 (cin N, abi 07601, cab 03200)
intestato a E. Gallucci e I. Pavicevac, Roma
2. inviare la comunicazione del versamento effettuato con la
specifica del numero e del tipo di bandiere E L'INDIRIZZO AL QUALE
ESSE VANNO SPEDITE all'indirizzo email: <jugocoord@...>
oppure via fax al numero: 06-4828957
3. le bandiere saranno spedite entro la fine dell'anno 2001.

29 NOVEMBRE - "DAN REPUBLIKE"

29/11/1990: mentre si festeggia per l'ultima volta la festa
nazionale nella Jugoslavia federativa ed unitaria, tutti i giornali
pubblicano le "rivelazioni" della CIA che giura che il paese si
sta per disintegrare.
All'inizio dello stesso mese il Congresso degli Stati Uniti
d'America aveva approvato la legge 101/513 per l'appoggio alle
leadership liberiste, nazionaliste e secessioniste.

> http://www.geocities.com/Pentagon/Barracks/3824/Image14.jpg
> http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/files/29novI.jpg


"...Vorrei rispondere ad un signore che ha posto una
domanda sulla presenza ed il significato della stella
rossa sui monumenti del comune di S. Dorligo.
Nel 1990, dopo i fatti che si sono susseguiti, la
Repubblica Socialista di Slovenia e' diventata
una repubblica a se stante, hanno abolito varie cose
e per prima cosa la stella rossa dalla loro
bandiera... Ma ancora dopo due anni, il Comune di San
Dorligo della Valle aveva nella sala del Consiglio tre
bandiere: la bandiera italiana, la bandiera dell'Europa
e la bandiera slovena con la stella rossa.
Ci fu una iniziativa ufficiale alla quale partecipo' un
rappresentante di Lubiana per la Slovenia. Terminato il
protocollo, costui si rivolse in via confidenziale al
Sindaco, dicendo: senta ma perche' voi ancora tenete la
vecchia bandiera con la stella rossa? Ed il signor sindaco
gentilmente risponde: se non fosse per quella stella,
qui, noi oggi, non parleremmo in sloveno.
Dunque la stella rossa e' il simbolo per il quale e'
caduta tanta gente del posto, e sui monumenti del paese
restera' per sempre."

(testimonianza di Aldo,
cittadino di Dolina / S. Dorligo della Valle,
paese bilingue in provincia di Trieste)

> http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/617

Perchè essere oggi per la difesa di S. Milosevic
e per l'abolizione del Tribunale Penale dell'Aja

di E. Vigna

Nell'affrontare i drammatici eventi verificatisi a Belgrado a fine
Giugno, culminati con il rapimento dell'ex Presidente della Jugoslavia,
occorre partire da un dato, qui in occidente MAI citato ed è quello
che, alla scadenza dei tre mesi di carcerazione nella prigione di
Belgrado, con le accuse più eclatanti che andavano dall'abuso di
ufficio, alla corruzione, a omicidi, stragi, concussioni, ecc. ecc.,
il collegio difensivo dell'ex Presidente della Jugoslavia, aveva
presentato la domanda di scarcerazione entro il 30 Giugno per ASSOLUTA
MANCANZA di PROVE o di accuse supportate da fatti e non da "sentito
dire" o supposizioni personali. E questo nonostante fossero stati
citati 12 testimoni d'accusa considerati decisivi, ma nessuno di essi è
andato oltre genericità, supposizioni, ipotesi di colpevolezza (si veda
il documento allegato in "Jugoslavia 2001", Manes Edizioni).

Ecco che, "casualmente",il 28 Giugno, dopo pressioni, minacce, ricatti,
ultimatum da parte degli USA e della Nato sul governo fantoccio DOS,
scatta l'operazione di rapimento di Milosevic, sotto la regia CIA -
avendo dichiarato lo Stato Maggiore dell'Esercito Jugoslavo di non aver
fornito né un uomo, né un mezzo per l'estradizione dell'ex Presidente.
Emblematica e illuminante sul grado di sottomissione e dipendenza è la
telefonata, avvenuta prima di dare avvio all'operazione di sequestro,
tra il premier Djindjic ed il presidente Kostunica, svelata dal
giornale " Nedeljni Telegraf" (filogovernativo: in Jugoslavia dal 5
ottobre 2000 non esistono più giornali d'opposizione, l'unico che era
rimasto - "24 Ore" - ha chiuso in dicembre per mancanza di soldi... ma
si sa, la libertà e la democrazia Nato hanno un prezzo da pagare ai
nuovi padroni del paese) e poi confermata dallo stesso Djindjic alla
radio B92. Dalle loro stesse parole viene fuori il regista di tutto:
l'ambasciatore americano a Belgrado W. Montgomery, già ambasciatore in
Croazia negli anni della secessione e delle pulizie etniche (anch'esse,
come dichiarato a fine agosto all'agenzia croata Hina, dall'avvocato
L. Misetic difensore dell'ufficiale croato Gotovina, pianificate e
dirette dalla Cia...) e coordinatore a Budapest e Sofia degli "stages"
di formazione per gli attivisti di Otpor e i quadri della DOS del
futuro governo, condotti da personale Cia nel Luglio-Agosto 2000 e in
settembre prima del colpo di stato del 5 Ottobre. Oppure, nelle
dichiarazioni del vice presidente del governo serbo D. Korac alla Radio
France International, dove ha spiegato che era oltre un mese che vi
erano riunioni nella DOS per decidere come fare quest'operazione
delicata per il paese, e dove lo stesso presidente Kostunica vi
prendeva parte ed era d'accordo con questa necessità.

Bastano questi elementi per comprendere come la Jugoslavia non sia più
un paese sovrano e libero, un paese dove l'ambasciatore della nazione
che ha bombardato, distrutto e ucciso migliaia di civili innocenti, dà
ordini e ultimatum a questo governo fantoccio. Dove un elicottero Nato
viola confini e sovranità, preleva e rapisce un cittadino jugoslavo in
disprezzo di qualsiasi concetto di indipendenza e libertà: un paese che
non ha sovranità e indipendenza non può avere nessun tipo di libertà o
di altri diritti. Questo è un principio storico basilare, tutto il
resto sono chiacchere per salottieri opulenti.
Quindi una operazione di banditismo internazionale, a cui dovremmo
ormai essere abituati, visto che è solo l'ultima in ordine di tempo, ma
non l'ultima in prospettiva dati i tempi; una operazione che violenta
con arroganza e tracotanza le leggi e la Costituzione della Repubblica
Federale di Jugoslavia, il tutto al modico prezzo dei leggendari "30
denari", o in questo caso 30 dinari, visto che suddividendo per ogni
cittadino jugoslavo il valore del baratto della vita venduta di
Milosevic tra furfanti serbi e padroni yankee, viene circa questo
valore. Cioè un pugno di dollari per la povera gente jugoslava, ma
sicuramente milioni di dollari per questi novelli Giuda del popolo
serbo, che proprio nel giorno di "Vidovdan" (festa profondamente
radicata nei sentimenti e nella tradizione popolare serba) vendono come
merce di scambio un proprio cittadino in cambio di denaro. Un atto
infame e vergognoso, che resterà come un marchio storico su questi
mercenari prezzolati.
Ancora una volta, l'ennesima in questi 10 anni, è toccato a questo
popolo subire una ulteriore umiliazione e violenza morale, che lo ha
ridotto alla stregua dei popoli croato, bosniaco, albanese, macedone, e
cioè succube dei voleri e diktat della Nato e del liberismo selvaggio
del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale e del
capitalismo occidentale.

Siamo giunti al paradosso che gli aggressori processano gli aggrediti.
Chi giudica chi? I fuorilegge del diritto internazionale e delle leggi
di convivenza internazionale, processano il tre volte eletto Presidente
di un popolo, che non voleva stare al loro gioco e per questo va
piegato e sottomesso.
Questo è il famigerato Tribunale Penale Internazionale dell'Aja per la
Jugoslavia, un organo esecutore dell'imperialismo, ce lo dicono loro
stessi; ricordo che questo stesso cosiddetto tribunale ha archiviato
tutte le accuse per crimini contro l'umanità, l'uso di armi proibite,
cluster bomb e all'uranio impoverito, uccisione e mutilazione di
migliaia di civili (in gran parte donne e bambini), distruzione di
ospedali, scuole, centrali, fabbriche, case, strutture civili e anche
parchi. E non dimenticare il crimine del bombardamento del palazzo
della Televisione di stato a Belgrado e l'assassinio dei giornalisti
jugoslavi colpevoli di lavorare, cose che neanche il vituperato regime
dei Talebani è ancora arrivato a fare.

Una denuncia di centinaia di giuristi, avvocati, magistrati, medici e
personalità di tutto il mondo, contro tutti i governi Nato aggressori è
stata considerata non sufficientemente motivata e archiviata! Altro
che ricerca di latitanti o fuggiaschi, la Jugoslavia è lì, immiserita,
devastata, distrutta ; a disposizione di chiunque voglia documentarsi,
se lo vuole:
MA... come ha dichiarato J. Shea, il portavoce della Nato, circa
l'eventualità di una incriminazione dei governi Nato, quando è stata
presentata la denuncia egli ha serenamente dichiarato : "...dubito che
questo Tribunale (ndr, si riferisce al TPI dell'Aja) morda la mano di
chi lo nutre..." Servono altre profonde analisi?

Personalmente in questi anni non ho condiviso alcune scelte o
valutazioni di politica interna dei governi jugoslavi, mentre spesso
ho condiviso critiche che venivano da forze alla sua sinistra, ma tutto
questo è irrilevante e insignificante perché io/noi viviamo qui e là
per tre volte è stato eletto, ed ancora a settembre 2000 S. Milosevic
ha preso il 43% dei voti da solo contro 19 Partiti: 18 Jugoslavi + 1
straniero, la Nato, non va dimenticato.

Ora io vedo che fino ad un anno fa la Jugoslavia:
- era un paese indipendente, ed oggi non lo è più, oggi è sovraffollato
di uomini CIA, Nato, consiglieri stranieri di vario titolo e mercenari
locali; con marines ed elicotteri Nato padroni a Belgrado;
- era un paese Sovrano ed oggi non lo è più, Kosovo e Montenegro sono
ormai altro, Vojvodina e Sangiaccato si stanno attrezzando; con i
confini e le direttive all'esercito che arrivano da Bruxelles e
Washington;
- era un paese con un forte e radicato senso di Identità e Dignità
nazionali, e oggi è ridotto ad accettare e mendicare continui baratti,
contrattazioni, ricatti, imposizioni, ultimatum, umiliazioni come
quella di rapire un suo ex Presidente della Repubblica proprio nel
giorno di Vidovdan, anniversario della battaglia del 1689 a Kosovo
Poljie, forse la giornata più sentita dal popolo serbo. Mentre nello
stesso momento questo manipolo di governanti "democratici" retribuiti
a Washington, che arresta e perseguita soldati e patrioti jugoslavi
(vedi in "Jugoslavia 2001" il reportage di F. Grimaldi da Belgrado),
libera oltre 200 criminali UCK colpevoli non di efferati crimini, ma
SOLO di aver contribuito all'omicidio e scomparsa di oltre 2000 tra
serbi, rom, gorani, kosovari albanesi e altri, ed alla totale Pulizia
Etnica del Kosovo-Metohjia, ridotto ad un narcostato dominato dall'UCK.
- Era un paese dove la Zastava, cuore della classe operaia dei Balcani,
orgoglio della Jugoslavia, raccoglieva fino ad un anno fa lavoratori
di 36 nazionalità, distrutta e devastata con bombe all'uranio dagli
amici e protettori del nuovo governo DOS venduto allo straniero
aggressore, e che in 10 mesi dopo i bombardamenti era già stata
ricostruita di un terzo nonostante isolamento, sanzioni, embargo,
mentre oggi è una fabbrica morta, e da settembre 2000 non un muro è
stato ricostruito, nonostante i dollari elargiti o donati dal padrone
americano. Oggi i lavoratori Zastava hanno come unica prospettiva
l'emigrazione o la disoccupazione, in quanto la fabbrica è in svendita
al capitale estero; è proprio di questi giorni (settembre) la notizia
di 15500 lavoratori licenziati... come primo passo.
- Era un paese storicamente fiero ed orgoglioso. Oggi è un paese
umiliato, affamato, svenduto, deriso MA NON VINTO. Come ha sottolineato
S. Romano, ex ambasciatore: "...attenzione a voler infierire su questo
popolo, l'Occidente non deve dimenticare che non è stato mai piegato
né dagli ottomani, né dai nazisti, tantomeno dai fascisti italiani
nonostante gli eccidi e i crimini commessi...". E secondo lui la
violenza morale perpetrata con l'estradizione del suo ex Presidente
potrebbe ritorcersi non solo contro il nuovo governo, addomesticato e
disponibile, ma contro l'Occidente stesso, vissuto come impositore e
prevaricatore e non come partner...
Sarà anche lui un agente di Milosevic?...

Queste previsioni sono confermate dalle imponenti manifestazioni di
piazza, solo in quella di fine luglio scorso le agenzie internazionali
stimavano tra le 100.000 e le 150.0000 persone a Belgrado (chiunque
volesse ci sono le immagini) aperto da uno striscione con su scritto
TRADITORI e dove migliaia di persone, in maggioranza donne, portavano
la scritta: "Io sono Milosevic, arrestate anche me!". Oltre alle
manifestazioni in tutte le città della Jugoslavia, io personalmente
sono stato testimone a Kragujevac di un meeting con 7.000-10.000
persone (in una città di 120.000 abitanti!). E in piazza si è
ricompattato un blocco popolare e patriottico, che va dalle forze di
sinistra, quelle patriottiche, fino a quelle che si richiamano alla
dignità nazionale del popolo serbo, oltre a tantissimi che avevano
votato DOS nella speranza di migliorare la propria condizione e futuro.
Un esempio tra tutti: Petar Makara, leader della diaspora serba in
America, personalità che aveva sostenuto per anni Kostunica e che
oggi ha scritto un testo contro il tradimento di Kostunica stesso
(vedi "Emperors Clothes", 5/7/01).

Di fronte a tutto questo, SOPRA tutto questo si erge questo Tribunale
Penale Internazionale dell'Aja che su ordine Nato decreta chi sono i
buoni e i cattivi.
Marchia, ordina, sentenzia prima di un processo, esegue, rapisce
S. Milosevic, tre volte eletto dal suo popolo - e quindi se è colpevole
lo è anche il popolo serbo e jugoslavo, che per 10 anni lo ha scelto
come suo rappresentante e lo ha sostenuto nella politica di resistenza
alle aggressioni (politiche, economiche, militari e morali) contro la
Jugoslavia. E allora, se colpevoli, perché pagare i danni di guerra
(stesso meccanismo usato con l'Iraq - vedi in "Jugoslavia 2001",
allegato Onu sul caso Iraq)?
Cercavano e desideravano un uomo vinto, sconfitto, sottomesso, da
consegnare agli archivi della LORO storia, da far dimenticare...
Ma, come titolava un giornale di Belgrado: "Hanno sollevato il
vento...".
Tra tante responsabilità di vario genere, una colpa S. Milosevic
sicuramente ce l'ha, ed è quella di non essersi piegato alla Nato, di
non aver svenduto il proprio popolo agli affamatori del liberismo
selvaggio, di non aver assecondato la colonizzazione del proprio paese
tramite FMI, Banca Mondiale, i vari Soros e la loro marea
globalizzatrice.
E questa, ai giorni nostri, è una colpa che si paga con l'ergastolo, se
non con la morte.
Come hanno dichiarato i suoi avvocati (d'ora in poi unici portavoce
ufficiali, insieme a Mira Markovic) a nome suo: "Per quanto hanno
frugato e cercato, nelle mie tasche non hanno trovato un solo dollaro,
né sui miei vestiti una sola traccia di sangue...".
Comunque la si pensi, quest'uomo merita rispetto, non foss'altro perché
ha il coraggio di sfidare i padroni del mondo, lo strapotere
dell'imperialismo e le sue atrocità quotidiane contro i popoli e gli
oppressi della terra. E chiunque, in vari modi, cerchi di resistere
allo stato presente delle cose, di mantenere una coscienza fondata su
giustizia ed uguaglianza sociale, indipendenza e progresso sociale
come cardini fondamentali per poter parlare di libertà, non dovrebbe
restare indifferente.

Io credo che la battaglia di quest'uomo solo in quell'aula della Nato,
in piedi e fiero di fronte ai potenti, sia anche la nostra... anche se
qui in Occidente non ce ne rendiamo conto.

"Voi non vedrete mai apparire i piloti della Nato dinanzi ad un
Tribunale dell'Onu. La Nato è accusatrice, procuratrice, giudice ed
esecutore, poiché è la Nato che paga le bollette. La Nato non è
sottomessa al diritto internazionale. Essa è il diritto
internazionale".
(Lester Munson, parlamentare statunitense)

"C'è uno sforzo organizzato di cancellare per sempre dalla memoria
storica tutto ciò che è legato al tempo passato, perché esso ha portato
con sé il socialismo, i comunisti... Di nuovo nel mio paese, per la
seconda volta nel corso di questo secolo, i membri di una generazione
di combattenti coraggiosi moriranno infelici. Domandandosi: sotto
questo cielo serbo, per non dire slavo, non c'è giustizia? I migliori
uomini devono andarsene dalla vita come se alla società avessero fatto
solo del male? E forse quelli il cui contributo alla società è nullo,
quelli che hanno approfittato del lavoro svolto dagli altri e della
guerra combattuta dagli altri, devono essere l'elite? Per la seconda
volta osservo un dolore inconsolabile..."
(Mira Markovic)

"...Io sono il vincitore morale! Io sono fiero di ogni cosa da me
fatta, perché fatta per il mio popolo e per il mio paese, ed in modo
onesto. Io ho solo esercitato il diritto di ogni cittadino di difendere
il proprio paese e questo è il vero motivo per cui mi hanno
illegalmente arrestato. Se voi state cercando dei criminali di guerra
l'indirizzo non è qui a Scheveningen (ndr: il distretto dove è situato
il Tribunale all'Aja) ma al Quartier Generale della Nato..."
(Slobodan Milosevic, 30/08/2001)


Ottobre 2001
Enrico Vigna (Assoc. SOS Yugoslavia - Tribunale R. Clark Italia)

SLOBODAN MILOSEVIC GEGEN HAAGER "TRIBUNAL":
EIN KAMPF GEGEN DIE GLOBALISIERUNG DER BARBAREI
AUF DEM GEBIET DES INTERNATIONALEN STRAFRECHTS

Von Klaus Hartmann und Klaus von Raussendorff
(Der Artikel erscheint demnächst in
"junge Welt" und "Marxistische Blätter")

> http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/files/haag_raus.txt
> http://www.free-slobo.de

ZUSAMMENFASSUNG:
Der Kampf des Slobodan Milosevic gegen
das "International Criminal
Tribunal for the former Yugoslavia"
(ICTY) richtet sich gegen ein
ad-hoc-Tribunal, das von den USA und
ihren Verbündeten als Werkzeug ihrer
Aggression auf dem Balkan geschaffen
wurde. "ICTY, das ist das Kürzel für
eine neuartige internationale Strafjustiz
mit folgenden Merkmalen:
Mandatierung als ad-hoc-Tribunal durch
den Sicherheitsrat ohne Grundlage in
UN-Charta und internationalem Recht;
Abkopplung vom Meinungs- und
Willensbildungsprozeß der
Staatengemeinschaft in der
UN-Generalversammlung;
Selbstdefinition der Verfahrensregeln;
Tätigwerden als zweite Instanz in
eigener Rechtsprechung; Abschirmung gegen
die gutachterliche Funktion des
Internationalen Gerichtshof." Die
Anklägerin Carla Del Ponte fordert
öffentlich, "Milosevics Recht auf freie
Meinungsäußerung" einzuschränken.
Der Prozess scheint auf Jahre angelegt.
Mit der schieren Masse von Kriegs-
und Bürgerkriegsvorfällen in "Kosovo",
"Kroatien" und "Bosnien" hoffen
Tribunal und Kriegsmedien die in die
Köpfe gehämmerten Bilder und Deutungen
des Geschehens auf dem Balkan wieder zu
festigen und die NATO von ihren
Verbrechen freizusprechen.
"Milosevics Kampf ist nicht das
verzweifelte letzte Aufbäumen eines
ehemaligen Führers eines kleinen, von den
Transnationalen Konzernen und
ihren NATO-Regierungen unterworfenen
Landes. Sein Kampf ist nicht einfach
Verteidigungsstrategie in einem
politischen Schauprozeß. Milosevic kämpft
gegen eine Institution, die Parteilichkeit
und ungleiches Recht zum Prinzip
erhoben hat. Ziel seines Kampfes ist
nicht einfach, wie sonst in politischen
Prozessen üblich, politisch motivierte
Rechtswillkür einer im Rahmen der
bürgerlichen Rechtsordnung ansonsten
'normalen' rechtsprechenden Instanz
abzuwehren und zu entlarven. Der
'Angeklagte' Milosevic steht in Den Haag
gegen ein neuartiges Konzept, das mit dem
Grundsatz gleichen Rechts
definitiv gebrochen hat. Das Haager
'Tribunal' wurde illegal geschaffen. Es
ist von vornherein Partei. Die Natur des
Tribunals selbst verhindert einen
'fairen Prozeß'. Der Kampf gegen das
Haager 'Tribunal' ist der Kampf gegen
einen Modellversuch der Anpassung des
internationalen Strafrechts an die
neue Weltkriegsordnung der USA,
Deutschlands und ihrer Verbündeten. Es
ist der Kampf gegen den Rechtszynismus
der konzerngesteuerten Medienöffentlichkeit,
unter deren Einfluß auch die Linke steht. Dem
'Angeklagten' in Den Haag gebührt die
Anerkennung und Solidarität der
friedliebenden und rechtsbewußten
Menschen aller Länder."
"...die ersten drei Auftritte Milosevics
vor dem 'Tribunal' haben weltweites
Aufsehen erregt. Selbst seine Kritiker
konnten zur eigenen Überraschung
einen souverän auftretenden und brillant
argumentierenden Verteidiger der
Freiheit und Souveränität der Völker
erleben. Wenn nur einige Regierungen,
z.B. Chinas und Rußlands, mutig und
unabhängig genug wären, könnte sich
Widerstand gegen Den Haag auch in den
Vereinten Nationen regen." Die Autoren
des Beitrags, die dem Internationalen
Komitee für die Verteidigung von
Slobodan Milosevic angehören, appellieren
insbesondere an Menschen in der Anti-Kriegs-
und Anti-Globalisierungsbewegung mit dem
Argument, dass das Haager Tribunal nichts
mit "normalem" internationalen Strafrecht
zu tun hat sondern ein Werkzeug zur
Durchsetzung der Weltkriegsordnung ist,
gegen die sie protestieren und Widerstand
leisten, und dass daher der Kampf von
Slobodan Milosevic auch ihr Kampf sein sollte.

> http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/files/haag_raus.txt
> http://www.free-slobo.de

SOLDATINI

------- Forwarded message follows -------
Date sent: Mon, 26 Nov 2001 07:38:10 +0100
To: pck-pcknews@...
From: Alessandro Marescotti
Subject: padroni della guerra, anno 2001
Forwarded by: news@...


Padroni della guerra

A guidare le Forze Armate italiane in guerra è il ministro della
Difesa Antonio Martino, che a suo tempo non ha fatto il militare: fu
riformato per "ridotte attitudini militari". Anche il ministro degli
Esteri Renato Ruggiero è stato sfortunato: quindici giorni prima di
indossare l'uniforme cadde dagli sci a Roccaraso e ottenne l'esonero.
Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha fatto solo pochi
giorni di Car (Centro addestramento reclute) e poi è ritornato a casa:
non ha avuto neanche il tempo per scattarsi una foto col fucile in mano
da inserire nella sua biografia illustrata, quella distribuita a
tutti gli italiani per le elezioni. Il leader dell'opposizione Francesco
Rutelli le armi non le voleva assolutamente usare e si è dichiarato
obiettore di coscienza: tuttavia ora è schierato per la guerra. Il
presidente degli Stati Uniti George Bush ha invece fatto il servizio
militare (a differenza di Bill Clinton) ma come il suo predecessore non
ha provato l'emozione del Vietnam.
Volete un'informazione utile? Se state partendo per il militare
controllate se avete una sinusite cronica: basta per non indossare la
divisa e seguirete così le orme del ministro degli Interni Claudio
Scajola.
Il sottoscritto ha fatto le guardie armate con la broncopolmonite
cronica, ma pazienza, gli sarà sfuggita qualche informazione. Al
ministro Umberto Bossi invece non è sfuggito nulla: "nipote di
inabile" ha saputo sfruttare una vecchia leggina che ad alcuni milioni
di italiani è forse sfuggita.

Alessandro Marescotti

N.B. Per la stesura del testo mi sono avvalso delle informazioni
apparse sul Corriere della Sera del 7/11/2001.


------- End of forwarded message -------

(na talijanskom i na srpskohrvatskom)

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PRIMA PUNTATA: BERNARD APPOGGIA I CONTRAS
=============

Nella prefazione a "Della guerra come politica estera degli Stati
Uniti", una semplice raccolta di 6 articoli di N. Chomsky alla ricerca
dell'ingrato lettore francese, Jean Bricmont parla del "piccolo mondo
dei grandi media", per spiegare come "la buona parte degli
intellettuali francesi fosse politicamente sempre piu' passiva, piu'
che altrove in Europa, prima durante la lotta contro gli euro-missili,
poi durante la guerra del Golfo ed il genocidio in Ruanda, per finire
decisamente bellicista durante gli interventi in Bosnia e Kosovo".

A questo punto troviamo la seguente nota dell'editore: "Sebbene la
passività fosse la tendenza generale, i filosofi mediatici non hanno
tardato a sostenere - molto attivamente - la politica estera di
Reagan; cosicche' i vari Bernard-Henri Levi e André Glucksman insieme
a quel Jean-François Revel firmarono una petizione d'appoggio ai
contras in Nicaragua, indirizzata al Congresso USA."

(Per chi fosse interessato alla prefazione di Jean B. segnaliamo che è
stata riportata da "Le Monde diplomatique" e si puo' trovare nel
supplemento di febbraio de "Il Manifesto". E' interessante
principalmente in quanto analisi del mancato successo francese di
Chomsky.

Titolo: Noam Chomsky: De la guerre comme politique étrangére des Etats
Unis, préface de J. Bricmont, Agone éditeur, 2001)

SRPSKO-HRVATSKI

Naslov knjige: "Noam Comski, O ratu kao spoljnij politici SAD",
predgovor Zan Brikmo, u izdanju Agon, februar 2001 U predgovoru Z.
Brikmona za 6 clanaka N. Comskog sabranih pod gornjim naslovom, u
delu gde Zan govori o "polusvetu medijskih intelektualaca da bi
objasnio da su francuski intelektualci mahom bivali sve pasivniji i
pasivniji, mnogo vise nego drugde u Evropi, prvo za vreme borbe protiv
euro-raketa, zatim tokom rata u Zalivu i genocida u Ruandi, da bi
konacno, za vreme intervencije u Bosni i Kosovu postali odlucne
pristalice rata", nalazimo sledecu fus-notu urednika izdanja:"mada je
sklonost ka ravnodusnosti bila opsta pojava, medijska inteligencija je
podrzala vrlo brzo - i vrlo aktivno- Reganovu spoljnu politiku, tako
da su takvi kao B. H. Levi i A. Gluksman zajedno sa nekakvim Z. F.
Revelom potpisali peticiju u znak podrske kontrasima u Nikaragvi. Ta
je peticija glasila na americki Kongres."


===============
SECONDA PUNTATA: DIFENSORE DELLA LIBERTA'
===============

Estratto da "PLPL - Pour Lire Pas Lu" (Per leggere il non letto) "il
giornale che non mente e che prende di mira il potere, la sinistra
molle e i padroni", N° 0, giugno 2000.

IL LACCIO D'ORO

La lotta è accanita, pero'
PLPL sempre equanime,
il laccio d'oro
consegnera'
alla penna del piu' servile.

Editorialista associato di "le Monde", direttore di una collana di
libri presso Grasset (gruppo Matra-Hachette) e cronista di "le Point"
(il padrone di questo giornale è François Pinault), Bernard-Henri Lévy
è anche un caro amico di Jean-Luc Lagardère (il padrone di
Matra-Hachette e mercante d'armi).

Nel testo che segue ("le Point", 5 maggio 2000) il grande filosofo
delle libertà, prende le difese di un industriale perseguitato dalla
giustizia: "Quando ci capita di vedere un capitano dell'industria come
Jean-Luc Lagardére sbattuto davanti ai giudici, anche se a quanto pare
non abbia fatto niente per impedire l'arricchimento nè della propria
impresa ne della collettività, non ci restano che due possibili
reazioni ..."
Tuttavia piu' in là BHL precisa: "Jean-Luc è un amico. Quello che
apprezzo in lui e' questo suo stile da grande condottiero, da Cirano
che sa il fatto suo."
E vero, "l'amico" Lagardère ha finanziato con F. Pinault l'ultimo film
di BHL, "Il Giorno e la Notte", un pessimo film fallimentare.
PLPL si felicita con BHL: leccare è un affare delicato quando le
ghiandole salivari sono compresse dal laccio d'oro.

SRPSKO-HRVATSKI

Preuzeto bez pitanja iz PLPL, Pour Lire Pa Lu, (Sta Stampa ne Stampa)
"novina koje ne lazu" a izlaze kao dvomesecnik u Parizu. "Na meti PLPL
su vlastodrsci, levi mekusci i gazde" Jun 2000. br. 0

ZLATNA UZICA

I u najzescoj konkurenciji,
PLPL nepristrasno nagradu dodeljuje
samo najvecoj ulizici.

Spoljni saradnik "Le Mond-a", direktor izdanja kod Grase (Grasset u
sastavu Marta-Hachette) hronicar u listu "Point", BERNAR-ANRI LEVI je
takodje i prijatelj ZAN-LUK LAGARDERA koji je ne samo gazda preduzeca
Matra-Hachette vec i trgovac oruzjem. U tekstu sto sledi ("Le Point",
5.maja 2000.) veliki filozof i ljubitelj slobode zauzima se za
industrijalca koga sud progoni:
"Kad covek vidi kapetana industrije kakav je Zan-Luk Lagarder kako se
povlaci po sudovima, a da nije, a kazu da nije, onemogucio bogacenje,
ni svom preduzecu, ni zajednici, moze da bira izmedju dve moguce
reakcije ...."
Malo dalje u istom tekstu BHL pojasnjava : "Zan-Luk je moj prijatelj.
Volim kod njega tu zicu velikog vojskovodje, Sirana koji tera po
svom."

Tacno je da su prijatelji, Lagarder je sa F. Pinoom finansirao
najnoviji film Bernara-Anrija, "Dan i Noc", pravo djubre od filma koje
je progutalo ogromne pare.

PLPL cestita Bernar-Anriju : Ulizivanje je vrlo slozen napor kada
zlatna uzica steze pluvacne zlezde.


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TERZA PUNTATA: BERNARD COSMOPOLITA TUTTOLOGO
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PLPL n° 1 ottobre 2000

Le disavventure d'un analfabeta mondano

Editorialista associato a "Le Monde" BHL è anche un grande cronista.
Ha esordito con l'Algeria offrendoci un'analisi approfondita sulla
situazione (quattro pagine, 8-9/01/1998), ha minuziosamente descritto
una giornata qualunque di un combattente in Afganistan (due pagine
13/10/98), dall'Austria ha riportato i suoi commenti filosofici (2
pagine 2/03/00), ha ricordato che in Germania vivono i tedeschi
(quattro pagine 5-6/02/99).

Cambiamento di tono il 14 ottobre: toccava alla Bosnia (due pagine).
Albania, Angola e Argentina hanno subito espresso il proprio sollievo
mentre Belgio, Brasile e Botswana stanno per chiudere le frontiere.

PLPL n°1 oktobar 2000

Potucanja belosvetskog nepismenjakovica

Spoljni saradnik "Le Monda", BH Levi je takodje i veliki reporter.
Poceo je istancanom analizom dogadjaja u Alziru (4 strane 8-9/01/98).
Do tancina je opisao dan jednog ratnika u Avganistanu (dve strane,
13/10/98). Svoja filosofska zapazanja preneo je iz Austrije (2 str.
2/03/00) i podsetio da Nemacku nastanjuju Nemci (4 str. 5-6/02/99).
A onda je promenio slovo 14 oktobra ove godine. Dosla je na red Bosna
(dve str.).
Albanija, Angola i Argentina su tom prilikom sa olaksanjem odahnule,
a Belgija, Brazil i Bocvana se spremaju da zatvore granice.


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QUARTA PUNTATA: SQUADRISTI A PARIGI
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Stralci dall'intervista a Peter Handke effettuata dal giornalista
televisivo tedesco Martin Lettmayer nel gennaio 1997 e riportata in
inglese sul sito del Congresso dell'Unità Serba:
http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1417
http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1418


DOMANDA: Il sig. Levy e il sig. Finkielkraut, naturalmente l'hanno
attaccata...

HANDKE: Esatto. Ma loro non sono scrittori. Loro sono "I nuovi
filosofi". Non so perché siano stati chiamati "nuovi" o "filosofi".
C'è stata un'epoca all'inizio della guerra in cui loro hanno avuto
bisogno di me. Avevano bisogno di qualcuno che non fosse un filosofo,
ma un autore, un autore riconosciuto che, al contrario di loro, avesse
una qualche conoscenza della Jugoslavia. Dopo alcuni incontri con
Finkielkraut e Bernard Henri Levy, mi fu chiaro che loro volessero
soltanto usarmi. Ma appena presi le difese della Serbia, non mi
vollero più vedere. Questo è un gruppo veramente poco comunicativo. E
appartiene al Quarto Reich. Ci sono un sacco di soldi in ballo. E
potere. In Francia i libri e i mezzi elettronici sono completamente
controllati da una catena di gente come questa. Non si riesce più a
far arrivare nessuna notizia. La stampa francese e la TV sono
pressoché totalmente sotto il controllo di Bernard Henri Levy, così
come di Finkielkraut. Alcune persone lo ridicolizzano, ma in virtù di
tutti quegli indecenti, decorati, pessimi diari che lui [Levy]
pubblica sulla guerra in Bosnia, nessuno lo attacca più. Non un
singolo attacco. Prendono tutto come una buona letteratura. Tutto
quello che basta fare è prendere un paio di frasi nel dizionario
Robert's dei luoghi comuni. Il suo lavoro è sbagliato nei suoi punti
di vista, e pieno di errori di grammatica. Da non credere. Ma nessuno
fa niente. C'è in giro un sacco di denaro, e di potere. Tutto questo
mi fu chiaro dopo che mi incontrai un paio di volte con i "nuovi
filosofi". Decisi di non firmare nulla. E non sarei più andato ai loro
incontri. Hanno usato questo fatto contro di me, ma è meglio così.

DOMANDA: Questi signori Finkielkraut e Levy pero' mi interessano.
Potrebbero guadagnare soldi scrivendo altro, invece il primo elogia la
democrazia di Tudjman, l'altro dice che l'Europa inizia a Sarajevo.
Chi li ha ingaggiati?

HANDKE: Gli intellettuali (non intendendo niente di negativo) non sono
a corto di denaro, oggigiorno. Perciò non è il denaro che li spinge.
E' il potere, il potere più del denaro. Certamente denaro e potere
sono strettamente connessi. Bernard Henri Levy, credo, non ha una
spiegazione per la sua demonologia. E' taciturno, ma ingannevole.
Taciturno e ingannevole, malizioso. E' una meraviglia speculare come
il suo diario di Bosnia ci mostri una quadro in cui esiste un secondo
potere, oltre a quello del governo, di Chirac, etc., un potere etico e
morale. Questo è quello che lui immagina. Ma questa è la difficoltà,
poiché moralmente ed eticamente, lui è una papera morta. (Come noi
diciamo in un proverbio austriaco, "sotto il cane").

Una volta vidi una scena girata, penso, dalla TV tedesca, in cui Levy
va al Centro Culturale Jugoslavo a Parigi, con un gruppo di suoi
seguaci. A questo punto la donna che dirige il centro desidera
chiudere l'edificio. Lei rifiuta di passare la chiave agli intrusi.
Levy e il suo assistente, prendono la chiave alla donna con la forza.
Per due o tre minuti questa donna, abbastanza anziana, urla, grida:
"No, non voglio darvi la chiave, non vi appartiene. Non potete entrare
qui."

Levy rimane li, proprio come il commissario comunista dei film di
seconda categoria con il suo soprabito di pelle nero, e, sorridendo,
osserva il suo amico mentre rigira e strappa la chiave dalle mani
della donna. Questa immagine dovrebbe essere trasmessa dai notiziari
della sera, per tutti i tre minuti, su ogni emittente TV del mondo per
far vedere come questo autoproclamato difensore di Sarajevo e della
Bosnia, si comporta con la gente di tutti i giorni. Mi piacerebbe che
tutto il mondo lo guardasse.

DOMANDA: E' convinto che tutte queste persone che oggi fanno queste
cose, potranno correggersi?

HANDKE: No, sarebbe troppo facile. E' tragica, la storia della
Jugoslavia, la storia dell'Europa in questo secolo. Come la storia
avviene e come la storia viene scritta, sono due cose unite insieme.
Questa storia va insieme con la storia del popolo ebreo. Queste sono
le due storie tragiche. E probabilmente non saranno corrette. Pensare
in questo modo, che un giorno le cose potranno essere viste
differentemente, penso, sarebbe un falso ottimismo. Questa gente non
cambia. Con il loro linguaggio e le loro immagini hanno commesso così
tanti crimini, crimini veri, contro la Jugoslavia. Ci sono crimini che
possono solo essere perpetuati. Non c'è via di ritorno.


(a cura di Olga, da Parigi, e di Andrea, da Roma)

Da "Stvarnost", bollettino del SKJ u Srbiji (Lega dei Comunisti di
Jugoslavia in Serbia), Belgrado, marzo-giugno 2000

IL GUSTO AMARO DELLA PRIVATIZZAZIONE

La "geniale scoperta", da parte dei teorici borghesi a meta' degli
anni Ottanta, del fatto che tutti i mali dell'economia socialista
avrebbero origine per lo piu' dalla defezione della iniziativa
privata e dalle sovrastrutture politico-economiche eccessivamente
burocratizzate, avrebbe forse potuto anche ingannare quegli
osservatori non sufficientemente informati, o quelli in cattiva fede.
In parte, la crisi e' stata certo dovuta proprio al sistema economico
molto rigido vigente nell'ex Unione Sovietica. Tuttavia, i rimedi
essenziali erano stati gia' approntati, in laboratori da lungo tempo
dimenticati, da parte di inventori un tempo in disgrazia, sulla base
di ricette del secolo scorso.

Con l'ideologia ben mascherata del "monetarismo" e' iniziata - con
l'aiuto del conservatorismo aggressivo e subdolo i cui portavoce sono
stati Margaret Thatcher e Ronald Raegan - la messa in pratica, o
meglio la rivincita di uno spettro del passato. Tutto quello che si
era concluso con la rottura degli anni Trenta, nota come "Grande
crisi economica" e risoltasi con la Seconda guerra mondiale, adesso
ha ripreso vigore. Innanzitutto sono risorte le regole inviolabili
del capitalismo liberale, grazie ad una abile messa in scena, e con
la regia del "ceto giornalistico". I bilanci parificati, una labile
legislazione sociale, la flessibilita' della forza-lavoro, la
frantumazione dei sindacati, la rigida politica monetaria nonche' il
controllo onnipresente hanno intorpidito ed ubriacato la maggiorparte
del mondo socialista, gia' ben drogato dalle proprie sciocchezze. Il
risveglio da ogni ubriacatura anzitutto significa intontimento, e
proprio questa e' la fase in cui si trovano adesso molte societa'
dell'ex blocco orientale.

Uno degli elementi piu' importanti nella neo-liberalizzazione
generalizzata del panopticum economico mondiale e' incarnato da
una "parola magica": privatizzazione. Come funziona la sua
realizzazione, da che cosa e' motivata, qual e' il suo ruolo
nell'odierna mondializzazione dei mercati globali?

A differenza di quanto pensano numerosi teorici dell'economia, che
fanno della privatizzazione un elemento cruciale della ricostruzione
di ogni economia avviata al moderno sistema di produzione, essa ha
anche altri aspetti che non sono neanche poi cosi' produttivi come
vorrebbero sostenere questi fautori delle "soluzioni di transizione".
Tale processo ha avuto il suo impulso iniziale con la politica
thatcheriana (...). Dapprima esso e' stato stimolato per garantire
grandi mezzi finanziari, per ragioni del tutto pratiche, per il
riequilibrio dei bilanci statali, che e' la leva centrale della
politica neoconservatrice. Piu' tardi, alla privatizzazione si e'
attribuito un forte stimolo economico nell'ambito della generale
prostrazione alla microeconomia e dell'uscita dalla politica
cosiddetta "di deficit finanziario".

Bisognerebbe ricordare che proprio con l'aiuto del deficit di
bilancio e' stato edificato l'intero sistema post-bellico della
societa' capitalista occidentale. Si nasconde accuratamente il fatto
che queste economie hanno costruito il loro alto standard di
produttivita' proprio su misure semi-socialiste di carattere
pianificato, sul mercato controllato della forza-lavoro, su forti
strumenti di regolazione della politica agricola e su lavoratori
fortemente tutelati, dietro ai quali erano sindacati forti. Tutto
cio' e' stato sostenuto da una politica monetaria permissiva. Quando
poi, a causa delle contraddizioni interne e dell'enorme peso
economico, l'intero sistema si e' rovesciato, ai teorici occidentali
non e' rimasto altro da fare che, lasciata da parte la teoria
generale keynesiana dell'interesse e del denaro, ritornare a
soluzioni da lungo tempo abbandonate, il cui principio di fondo e' la
cosiddetta legge di Sej [?] sull'equilibrio tra domanda ed offerta.
Questo principio era caduto con il superamento della gia' menzionata
crisi degli anni Trenta. Una delle "soluzioni di salvataggio" si e'
ora riattualizzata, sotto la forma della privatizzazione.

Questa, concretamente, significa la svendita sul mercato (leggi:
deprezzamento) della fatica pluridecennale e di tutto cio' che le
generazioni prima di noi hanno creato con il lavoro collettivo, per
soddisfare gli appetiti delle grandi compagnie internazionali di
ottenere a basso costo i mezzi di produzione, la forza-lavoro,
determinate posizioni sui mercati esteri e cosi' via.
Lo strumento piu' utile per attuare questo processo e' proprio
l'assegnazione dei diritti di proprieta' agli individui, che
diventano di fatto proprietari isolati di piccole quantita' di beni,
il cui destino logico - nell'ambito di una liberalizzazione
generalizzata - e' un ambito di esistenza precario: la borsa.
Li', in un rapporto fittizio tra domanda ed offerta, si effettua la
trasformazione sostanziale della proprieta' o, per meglio dire, la
svendita ed il trasferimento della proprieta' dalle mani di quelli
che fino a ieri erano i produttori, ora promossi a piccoli
proprietari, alle mani delle grandi compagnie transnazionali.

Il processo di privatizzazione e', appunto, il processo di
ingrandimento della piccola proprieta', che oggi su scala mondiale si
attua sotto il giogo di alcune grandi istituzioni bancarie
investitrici. Anche se tutto cio' e' ancora lontano dal nostro mondo
[nota: l'articolo risale alla primavera del 2000... ndT],
bisognerebbe ben ricordare i nomi di questi enormi dragoni finanziari
che, in soli pochi minuti, possono devastare altrettanto grandi
economie, come erano fino a ieri quella russa, quella brasiliana, o
le economie dell'estremo Sud-est asiatico. Si tratta di compagnie dai
nomi accattivanti, ma dalle intenzioni, in fondo, pericolose, come
la "Goldman Sachs", la "G.P. Morgan", la "Morgan Stanley Dean
Witter", la "Merrevill Linch", ed alcune altre. Di questo molto
probabilmente vi convincerete presto anche da soli.
(Jugoslavo)

[Traduzione a cura della redazione di "Voce Jugoslava" su Radio
Citta' Aperta - http://www.radiocittaperta.it - ogni martedi dalle
ore 13 alle ore 14 in diretta radiofonica nel Lazio, ed ovunque via
internet]

DUE PASSAPORTI BOSNIACI DAI TALEBAN

DVOJICA TALIBANA SA BOSANSKIM PASOSEM U KABULU

Mudjahedini severne alijanse pronasli su 22. novembra dva bosanska
pasosa u jednoj kuci koju su talibani u bekstvu napustili.
Predsednik muslimansko hrvatske vlade, Alija Behmen, izjavio je da su
pasosi pripadali dvojici lica iz islamskih zemalja koja su bosansko
drzavljanstvo dobili, ali im je ono sada oduzeto. Prosle nedelje 94
stranca izgubila su bosansko drzavljanstvo u okviru mera koje vlada
sprovodi posle 11. septembra. Dzon Silvester, general Usa je naglasio da
ce njegove jedinice zajedno sa bosanskom policijom nastaviti da
"procesljavaju teren kako bi otkrili i unistili teroristicku mrezu koja
odavde planira napade i vrbuje pristalice."

Mujaheddin dell'alleanza del nord hanno ritrovato ieri due passaporti
bosniaci in una casa abbandonata dai taleban a Kabul. Il primo
ministro Alija Behmen della federazione musulmana croata ha detto che i
passaporti appartenevano a due islamici che avevano ottenuto la
cittadinanza bosniaca, ormai revocata. Dopo l'11 settembre, il governo
ha riesaminato le cittadinanze concesse a stranieri: la scorsa settimana
ne sono state revocate 94. John Sylvester, generale dell'esercito Usa,
ha detto che le sue unità e la polizia bosniaca continueranno a
"identificare ed eliminare la rete terroristica che da qui programma
attacchi e recluta seguaci".

(da "Il Manifesto" del 23 Novembre 2001)