Informazione
FULVIO GRIMALDI PER "L'ERNESTO"
> http://www.lernesto.it
Agosto 2001
Quello che nell'agire del "Movimento" tra
Seattle e Genova ha maggiormente sconcertato
gli analisti seri, tra i quali non vanno
inclusi gli scomposti innamorati del "nuovo"
(che poi pare essere qualsiasi assembramento un
po' massiccio, dalla Belgrado del 5 ottobre
2000 alla marcia zapatista), è stata l'assoluta
assenza della tematica della guerra e
l'indifferenza-silenzio con cui è stato coperto
il ruolo del suo protagonista assoluto, gli
Stati Uniti. Qualcuno si è spinto fino a
sospettare, ingiustamente per la stragrande
maggioranza dei partecipanti al grandioso
corteo di venerdì 21 luglio, per metà compagni
o simpatizzanti di una fin troppo umile
Rifondazione Comunista, che tutta la
straordinaria mobilitazione contro il G8
potesse risultare, quanto meno oggettivamente,
un gigantesco diversivo rispetto a un mondo
aggredito da guerre imperialiste, con l'Italia
nel cuore strategico di una militarizzazione
"civile" e bellica senza precedenti dai tempi
dell'ultima guerra mondiale. Del resto anche
l'aggettivo "capitalista", sul quale solitaria
insisteva Rifondazione, è del tutto estraneo
alla definizione da sempre data dal "movimento"
a una globalizzazione ristretta nel suo ambito
commerciale e sociale. Può sconcertare, ma non
può sorprendere chi abbia osservato da vicino e
scevro da sbandamenti nuovistici il percorso
delle varie componenti del "movimento" e, in
particolare, quello della sua minoritaria, ma
vociferante e mediaticamente egemone anima
antipolitica e sociale. Tute bianche, Ya Basta,
Centri sociali del Nord-Est, Meltin', Cantieri
Sociali (e il loro house-organ "Carta") e altre
titolazioni sono sigle diverse di una realtà
unica, quantitativamente ridotta ma con una
professionale capacità di assumere, o
millantare, rappresentanza e direzione, in ciò
favorita anche dalla monotematicità delle
altre correnti nel flusso antiglobal: quelli
del debito da rimettere, quelli delle
speculazioni finanziarie da tassare, quelli
dell'ambiente, quelli del commercio equo,
quelli del no profit, quelli della democrazia
partecipativa, quelli dei diritti umani. I
leader delle Tute Bianche,o come diavolo si
chiamano, pur privi di una cultura politica di
un qualche spessore e ancor più privi di un
progetto che non sia la mera "difesa degli
esclusi", immigrati, nomadi, gay, donne, o
indios che siano, sostenuta da formulette
localistiche di chiara marca criptoleghista
(non per nulla, ai vessilliferi ideologici alla
Marco Revelli e Toni Negri, associano padrini
politico-economici tipo Benetton o Cacciari),
non perdono occasione per esprimere, come
costante teorica, un anticomunismo viscerale.
Formule come "democrazia municipale", mutuata
dalle comunità maja del Chiapas, "scuola
territoriale", "partecipazione" (e qui
l'idolatrato punto d'arrivo è quel Porto Alegre
in cui alle popolazioni dei quartieri si è
concesso di ascoltare le decisioni delle
autorità locali, rigorosamente non in conflitto
con quelle ultraliberiste centrali, di
esprimere un parere consultivo e di tornarsene
a casa senza aver minimamente inciso sul
processo decisionale; un po' quello che nei '70
capitò a studenti e genitori con i famigerati
"decreti delegati") si sublimano nella
possibilità di "un altro mondo" di cui vengono
accuratamente taciuti i connotati politici e,
dio non voglia, le contrapposizioni di classe.
Queste ultime sono sussunte e annegate nella
formula ramonetiana della "società civile",
espressione di una dialettica che non vede più
separati sfruttati e sfruttatori, oppressi e
oppressori, lavoro e capitale, ma chi gestisce
un potere centrale, magari nazionale, e chi,
bossianamente, rivendica un potere "reticolare"
innestato sui campanili. In sostanza, un ruolo
proprio che dia il diritto a un posto a tavola
in un capitalismo attutito e corretto, con
spazi di compassione e carità per i poveri,
da affidare al "volontario" no-profit,
successore di quella figura consunta che era
il "militante" impegnato ad accompagnare le
masse (oggi evangelicamente "moltitudini")
verso un rovesciamento dello stato di cose
esistente. Ma torniamo alla questione "tute e
guerre".
Frequentatore assiduo di centri sociali, nella
maggioranza profondamente sospettosi, se non
ostili, al protagonismo luddista e
violentemente non-violento, ma con mimetizzate
forme di intese istituzionali, dei leader del
Nord-Est, come alla pratica di un esasperato
verticismo fatto di brutali emarginazioni dei
dissidenti e di funzioni dirigenziali mai
sottoposte a verifiche democratiche, fui con Ya
Basta in Chiapas. I tanti bravissimi ragazzi e
non-ragazzi, che si erano spinti nella Selva
Lacandona per trovare una via politica
nuovamente rivoluzionaria all' antagonismo
istintivo maturato nel mondo dei Craxi,
D'Alema, Wojtyla, Reagan, Bush e Clinton e
nell'era del revisionismo obliterazionista
delle lotte e vittorie di popoli e classi,
venivano istruiti, alla mano delle fiabe
adolescenziali di Marcos e alla vista degli
zapatisti, con passamontagna davanti agli
obiettivi e senza quando gli strumenti
diripresa riposavano, sui supremi valori della
non violenza, dell'antinazionalismo parificato
con l'antistatalismo, e del rifiuto del potere.
Massimo obiettivo, la nicchia. Degli indios nel
Chiapas, in totale noncuranza verso gli immani
sommovimenti anticapitalisti ed antimperialisti
del Messico e dell'America Latina tutta, come
dei centri sociali in Europa. Obiettivo poi
consacrato nella marcia zapatista, "protetta"
dalle tute bianche, della primavera scorsa e
nella deposizione definitiva delle armi, poi
dichiarata da Marcos nonostante l'esiguità dei
risultati ottenuti con il prezioso
riconoscimento tributato al più liberista e
amerikano dei presidenti che il Messico abbia
avuto. Armi del resto silenziate fin dal 1
gennaio 1994, quando l'insurrezione zapatista
pose fine a un decennio di focolai armati nel
Chiapas, contigui a tanti negli altri stati
messicani, che - quelli sì-avevano messo
radicalmente in discussione la presa di
militari, paramilitari, latifondisti,
multinazionali e narcotrafficanti sullo stato
più ricco di risorse del paese.
La tematica guerra entra inevitabilmente nelle
mobilitazioni dei padovani (chiamiamoli così
per semplicità, senza trascurare il peso del
Leoncavallo e di alcuni centri sociali del
Centro) quando tutto il paese si chiede il
perché del suo coinvolgimento in una guerra
Nato, fortissimamente voluta dagli USA e, in
sotterranea competizione, da una Germania
rilanciata da Schroeder sulla pista bismarkiana
e hitleriana delle conquista degli spazi
energetici e di mercato attorno ai mari caldi.
Ma è un coinvolgimento raffinatamente ambiguo
che unisce nella sfera della non violenza la
condanna paritetica alla guerra Nato e
l'esecrazione della dittatura nazionalista (per
le Donne in Nero addirittura "fascista") di
Slobodan Milosevic. Strumento di mobilitazione
contro un popolo serbo che, in tutta evidenza,
"se l'è voluta", tutti gli stereotipi della
diffamazione scientifica occidentale, dalle
"pulizie etniche" al "despota iniziatore di
tutte le tragedie balcaniche", espressi con
particolare scaltrezza da un video realizzato
dal "movimento" (anche lì !) a Belgrado.
Anniversario della morte di Tito. Da tutta la
Federazione jugoslava, ancora non sbranata da
secessionismi, quelli davvero di natura
fascistoide, per quanto consacrati da
Washington, Vaticano e Marco Panella in
mimetica, convergono nella capitale operai e
contadini, vecchi partigiani, sindacati,
partiti di sinistra. Dalle finestre della
famosa Radio B92 (referente della padovana
Radio Sherwood e vista come portavoce del
ribellismo giovanile e democratico serbo, poi
risultata anello della catena informativa CIA
in Est Europa) giovani della borghesia
belgradese frammisti a elementi provenienti dal
sottoproletariato di periferia, lo stesso mix
che, volendo, si può constatare all'opera nei
giorni del colpo di stato USA, si vedono
inveire contro i manifestanti. Poi scendono in
strada e con mazze e spranghe aggrediscono il
corteo. Si rompono teste a operai inermi, si
strappano foto di Tito e Milosevic, si fa
scorrere sangue. Quando la polizia, molto
lentamente, si mette in mezzo, i "ragazzi non
violenti di B92" gli infilano fiori nei
taschini. In assenza dei leader del Corto
Circuito, centro sociale romano dove avviene la
proiezione, riesco subito dopo a proiettare un
mio video girato sotto le bombe: "Jugoslavia,
il popolo invisibile". Abbeverati a TG3, con
una cronista particolarmente necrofila e
bugiarda come Giovanna Botteri, e ai comunicati
e filmati di B92, i ragazzi del centro
s'imbattono per la prima volta in una
controinformazione. Restano genuinamente
sconvolti e commossi. Segno della grande
riserva di genuinità e ingenuità su cui operano
personaggi come Luca Casarini, colui che "non
violentemente" dichiarò guerra al G8 e, con i
non sufficientemente ridicoli giochetti di
invasione della zona rossa, poi "disubbedienza
civile", per settimane alimentò la psicosi
terroristica dei media e spianò la strada alla
militarizzazione della regione.
Questo giornale ha già avuto occasione di
illustrare altri aspetti della politica di
questa componente del movimento in relazione
alla Jugoslavia, in particolare i legami
organici - oggi discretamente messi in ombra da
protagonisti e corifei esterni - con i
movimenti serbi di contestazione al governo che
difendeva il paese contro lo smembramento e il
genocidio operato da Nato e banditi UCK, oggi
anche in Macedonia, con bombe, uranio,
contaminazioni chimiche, e stragi etniche.
Prima con Alleanza Civica, che guidava,
ampiamente e apertamente finanziato dallo
speculatore FMI George Soros (coerenza delle
proteste contro il FMI!) e dagli USA, le
manifestazioni, bandiere a stelle e strisce in
testa, degli anni '97-'98. E poi con Otpor , la
formazione messa in piedi, pagata, e istruita a
Budpaest e Sofia dalla CIA , come ebbero ad
ammettere fieramente i suoi leader, da Vesna
Pesic a Sonia Licht, ripetutamente ospiti dei
padovani in Italia.
Ingenuità? Errori? Comunanza anticomunista?
Vituperio di quel residuo di socialismo reale,
orrendamente statalista e nazionalista, che era
la multietnica e democratica Federazione
Jugoslava, eternamente sulla difensiva dalla
Nato, da banditi come Tudjman e Izetbegovic e
dai non-violenti in Italia? O qualcosa di
peggio, come darebbe ad intendere l'ostinato
silenzio sulle guerre, che, approfittando del
diversivo G8, che annacquava le assolutamente
dominanti responsabilità USA in un concerto di
diseguali e addirittura concorrenti (Kyoto,
Nato d'attacco nucleare, Scudo spaziale, mine,
nucleare, guerre batteriologice, OGM, Balcani,
Medio oriente, protezionismo USA), proprio nei
giorni di Genova permetteva di mettere la
sordina alla soluzione finale in atto in
Palestina, alla frantumazione della Macedonia,
al genocidio rurale operato in Colombia con lo
sterminatore di coltivazioni e vite della
Monsanto, Roundup, al sotterramento della
liquidazione dei curdi, alla spaventosa
accelerazione riarmistica funzionale alle
conquiste imperialistiche, alla sottomissione
di alleati perplessi, al rilancio di
un'economia USA in gravissima recessione.
Bisognerebbe essere ciechi per non vedere, da
critici della globalizzazione neoliberista e
protagonisti del pacifismo, come lo strumento
risolutivo, universalmente e massicciamente in
corso d'opera, di questa globalizzazione, che
realizza come meglio non potrebbe l'assunto
leninista dell'imperialismo come stadio supremo
del capitalismo, siano i missili israeliani,
gli obici dell'UCK, le bombe e l'embargo
genocidi all'Iraq, e, nelle retrovie, le basi
USA in Italia e il guerrafondaismo del nuovo
regime proconsolare e fascistizzante
berluscofiniano, il tribunale dell'Aja, il
rullo compressore dell'informazione unificata
nell'oligarchia mediatica compartecipe del
complesso militar-industriale, nel quale, pure,
qualcuno si ostina di individuare spazi
democratici.
Che il conflitto di classe - concetto espunto
radicalmente dai neoradicali del movimento -
si sia trasformato in guerra generale lo ha
dimostrato il golpe neanche tanto bianco di
Genova con il messaggio : "se sei contro e lo
vuoi manifestare,rischi di morire". E' la
logica della guerra di bassa intensità in casa
propria e dei vassalli, e di alta intensità
contro i paesi che "mettono a rischio la
sicurezza e gli interessi degli Stati Uniti" .
Non mettere al centro questo dato di fatto, che
caratterizza in modo tragico e totalizzante
l'inizio millennio; non cercare di dare,
superando immaturità ed ambiguità, alle forze
che si oppongono a questa vera e propria
ricolonizzazione militarista e schiavista USA
del mondo una coscienza di classe e una
direzione consapevole e unitaria, con un
progetto unificante per classi e popoli
subalterni che non sia un "altro mondo", ma un
mondo inevitabilmente socialista ed
antimperialista, significa suicidio. O, peggio,
collusione. L'ossimoro (sia detto agli
specialisti degli ossimori) della disobbedienza
civile, o della resistenza non-violenta, è il
drammatico - per gli oppressi - retaggio di
mezzo secolo di disarmo morale e politico, di
disintegrazione del principio addirittura
biologico dell'autodifesa (vedi Chiapas),
operato dalle centrali della smobilitazione
culturale, politica e fisica proletaria.
Attualizzato prima dalla mistificazione
ghandiana di Marco Panella e fratelli, a
sostegno vuoi della pulizia etnica croata, vuoi
del sionismo stragista in Israele, vuoi del
massacro operaio dell'impresa
ulivista-berlusconide, ha trovato nelle
componenti del movimento che abbiamo
considerato una nuova, più pericolosa
nell'urgenza dell'aggressione,
sistematizzazione. La parola d'ordine di non
dover mettersi in gioco per l'impresa più dura
di tutte, la sottrazione del potere alla
borghesia, pur potendo blaterare contro lo
Stato (che poi non è altro che la
disintegrazione dal basso dell'analogo processo
condotto dall'alto dall'imperialismo
privatizzante) e di mettersi al sicuro
dall'eccessiva cattiveria della repressione con
non violenza, scudi di plexiglass e gommapiuma,
si è dissolta nella sanguinosa catastrofe
genovese. Scudi e giochino di disobbedienza
civile hanno agevolato la messa in atto di un
stato d'assedio prefascista. L'assenza di uno
strumento di protezione interna ed esterna come
l'eterno, irrinunciabile servizo d'ordine di
tutte le manifestazioni di opposizione, ha dato
una mano. Ma il delitto vero è stato quello di
farci dimenticare la guerra. Tanto d'averla
subita ignari e inermi.
Un ottimo analista delle questioni balcaniche,
Tommaso di Francesco del "Manifesto",
ha scritto, con accenti di disperazione, che se
il popolo di Genova avesse dedicato solo un
grammo della sua passione all'Intifada e alla
tragedia palestinese, ecco che quel popolo
sarebbe stato meno solo. E anche noi.e tutti
coloro che subiscono la globalizzione finale
con la guerra.
Ma ci sarebbe voluta un'altra direzione
politica. Bisogno che si sente in misura sempre
più intensa. Non per nulla nei giorni del
dopo-Genova,tutti i teorici e portavoce del
tutabianchismo hanno tentato di mascherare la
loro disfatta e il conseguente disvelamento
politico con massicci interventi su organi di
stampa ospitali,a sostegno di un movimento
"senza leader", vale a dire con i leader
ademocratici che ci hanno portato in un vicolo
cieco. Il vicolo cieco dei senza-partito. Degli
anti-partito.
Da: chefare.roma
A: jugocoord@...
Oggetto: solidarietà con i lavoratori jugoslavi
cari compagni,
vi mandiamo per conoscenza la lettera che abbiamo mandato "All’Ufficio
adozioni – Ufficio rapporti internazionali" ed ai lavoratori della
Zastava riguardo l'appello per l'adozione a distanza.
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA
redazione romana del che fare
internet: www.chefare.org
per contatti scrivere a:
che fare casella postale 7032 - 00162 Roma - tel/fax 06 4456462
oppure a chefare@...
=*=
All’Ufficio adozioni – Ufficio rapporti internazionali
(alla c.a. di Raika Veljovic)
Ai lavoratori della Zastava
Cari compagni,
abbiamo ricevuto il vostro appello relativo alle "adozioni a distanza
dei figli dei lavoratori della Zastava" e di questo vi ringraziamo
sentitamente.
In generale la nostra Organizzazione non si
impegna direttamente in questo tipo di iniziative perché riteniamo che
la solidarietà tra sfruttati deve essere innanzitutto un’azione
politica che chiama i lavoratori allo schieramento contro i crimini
dell’imperialismo. Nondimeno vi comunichiamo che ci attiveremo per
diffondere il vostro appello - che noi intendiamo come appello alla
solidarietà tra lavoratori e sfruttati - tra la nostra rete di
simpatizzanti e non solo, affinché esso venga fatto proprio e preso
seriamente in carico. In particolare ci rivolgeremo a quei settori di
lavoratori (all’oggi ancora minoritari) che nell’autunno del 1999
manifestarono la loro opposizione all’aggressione alla Jugoslavia
scendendo in piazza contro i bombardamenti e che assieme a noi
aderirono alla raccolta dei fondi per i lavoratori della Zastava, dando
così un segnale tangibile di solidarietà di classe tra lavoratori di
diverse nazioni.
Cari compagni,
le difficoltà in cui vi trovate sono grandi e con molta chiarezza sono
espresse nella vostra lettera ma sbaglieremmo reciprocamente se non
cercassimo insieme di affrontare le cause di fondo del vostro attuale
isolamento politico per poterlo superare insieme in avanti.
Sappiamo benissimo, e lo ribadiamo anche in
questa occasione, che le maggiori responsabilità di questa situazione
sono "nostre", stanno qui, sono dei lavoratori italiani e occidentali
che durante i bombardamenti sulla Jugoslavia appoggiarono molto
(troppo!) tiepidamente e condizionatamente la vostra lotta di
resistenza e non scesero in campo apertamente contro i propri governi e
stati aggressori. I lavoratori occidentali non seppero riconoscere
nell’attacco che vi veniva portato un attacco rivolto anche contro se
stessi, contro l’unità e la forza di tutta la classe operaia
internazionale, per indebolirla dividerla e schiavizzarla sempre più ai
diktat del mercato e del profitto capitalistico. Quando i raid aerei
finirono e iniziò da parte dei paesi imperialisti l’operazione
di "pace" con l’invio delle truppe di occupazione di terra, le
direzioni riformiste del "movimento operaio ufficiale" (sia quelle
politiche presenti con i DS nel governo D’Alema sia quelle sindacali
che considerarono i bombardamenti una "contingente necessità" – vedi
nella fattispecie la Cgil di Cofferati) tirarono un "sospiro di
sollievo", concorrendo ad illudere i lavoratori che un altro "pericolo"
portato alla loro "tranquillità" metropolitana era stato in qualche
modo superato. Se questo è vero, cari compagni, allora, quando noi
rilanciamo tra i lavoratori di qui il dovere della solidarietà, lo
facciamo per chiamare i lavoratori, italiani e jugoslavi, a compiere un
passaggio in avanti verso l’assunzione dei compiti della battaglia
politica a difesa degli interessi generali della nostra classe
internazionale e contro il comune nemico imperialista. E dunque non
intendiamo sorvolare sui nodi politici di fondo che il proletariato
occidentale - e non solo - si attarda a non voler vedere e affrontare.
Per questo noi continuiamo a denunciare senza remore o timidezze
l’opera di rapina, controllo e repressione che l’imperialismo italiano
ha portato e sta continuando a portare avanti in tutta l’area balcanica
e chiamiamo su questo allo schieramento e alla lotta i proletari di qui
in modo inequivocabile e incondizionato. Ciò è fondamentale soprattutto
oggi quando una nuova aggressione da parte dei gangster occidentali
viene portata contro le masse sfruttate arabo-islamiche e nella quale
l’imperialismo italiano è in primissima fila. Strettamente legato a
ciò, chiamiamo i lavoratori italiani e occidentali alla difesa
incondizionata e militante di tutti gli immigrati (balcanici, arabi,
africani, latino-americani) che sono stati costretti a venire qui
dall’opera affamatrice e oppressiva che l’Italia e le altre nazioni
ricche hanno portato e portano avanti in tutto il mondo, proletari che
una volta giunti qui subiscono ogni giorni razzismo e sfruttamento da
parte dei padroni e dello stato italiano. Affinché la condizione del
proletariato non sia sempre più ricacciata nel degrado dalla feroce
offensiva dell’imperialismo (non solo nel Sud e nell’Est del mondo, ma
anche qui) occorre assumerci questi compiti politici decisivi per il
futuro nostro e di tutta l’umanità lavoratrice mondiale. Saluti
comunisti
Roma, 28.11.2001
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA
che, nell'ambito del processo di liquidazione della proprieta' sociale
e pubblica, introduce pesanti elementi di precarizzazione, gabbie
salariali, e mina alle fondamenta il sistema dei contratti collettivi
di lavoro.
Riportiamo di seguito un volantino dell'Unione dei Sindacati della
Serbia, nel quale si descrive nel dettaglio il progetto di legge.
In fondo la traduzione in italiano.
(a cura della redazione di "Voce Jugoslava" su Radio Citta' Aperta,
Roma)
=*=
Savez Sindikata Srbije
sve zaposlene u Srbiji na generalni strajk
STRAJK
pocinje u utorak, 16.oktobra 2001. U 8 casova i traje do povlacenja
Zakona o radu iz Skupstinske procedure
Zaposleni u Srbiji, bez obzira gde rade i kom sindikatu pripadaju,
nemaju kud. Svi zajedno pritereani smo uza zid. Mi moramo u napad, jer
to nam je jedina odbrana.
Idemo svi u Generalni strajk. Stanimo sada na kratko, da ne bismo sutra
za stalno. Srbija se mora zaustaviti, da bi mogla da krene. Ovakav
zakon ne sme proci ni po koju cenu. Sledi nam presudna bitka za novi i
pravedniji zakon. Udruzimo se svi za bolji zakon o radu. Neka vlada
suzbija korupciju, a ne prava radnika. Ovo je bitka za nas i nasu decu.
SAD ILI NIKAD
Strajkacki odbor Saveza Sindikata Srbije
Savez sindikata Srbije
1991
1901
Sindikat metalaca Srbije
11000 Beograd, M. Pijade 14/VI, tel/fax (011)3231641
KLJUCNE PRIMEDBE NA NACRT ZAKONA O RADU
I. Dovodi se u pitanje postojanje pojedinacnog kolektivnog ugovora
U clanu I Nacrta zakona o radu ostavljena je mogucnost izbora da se
prava, obaveze i odgovornosti po osnovu rada uredjuju kolektivnim
ugovorom ili pravilnikom o radu ili ugovorom o radu.
U kapital - odnosima realno se moze izvuci zakljucak da ce buduci
vlasnici kapitala izbeci kolektivne ugovore kao akte gde ce se u
dogovoru sa sindikatom uredjivati prava, obaveze i odgovornosti po
osnovu rada, vec ce pribeci drugim alternativama iz pomenutog clana I,
sto je sigurno nepovoljnije za zaposlene.
II. Poslodavac nema obavezu da oglasi slobodna radna mesta
Clanom 14. Stav2. Nacrta zakona o radu jamci se sloboda rada, slobodan
izbor zanimanja i zaposlenja i ucesce u upravljanju.
Ova odredba je prakticno neprimenljiva jer u poglavlju "Zasnivanje
radnog odnosa" nije, u postupku zasnivanja radnog odnosa, predvidjena
obaveza poslodavca da slobodna radna mesta, uz posredovanje Zavoda za
trziste rada, oglasi u sredstvima javnog informisanja i na oglasnoj
tabli Zavoda, pa tako zainteresovani radnici ne mogu saznati koja su
radna mesta slobodna, da bi na njih konkurisali.
Jamcenje ucesca u upravljanju u pomenutom clanu, takodje prakticno moze
biti neprimenljivo, jer ako se drustveno preduzece privatizuje
restruktuiranjem, nema besplatnih akcija pa samim tim nema ni ucesca u
upravljanju.
III. Favorizuje se rad na odredjeno vreme
Radni odnos na odredjeno vreme, poslodavac moze da zasnuje sa
zaposlenim na odredjeno poslove, samo za period koji neprekidno ili sa
prekidima traje najduze pet godina.
Kako ce se ova odredba (zlo) upotrebljavati komentar nije potreban.
IV. Umanjena prava po osnovu materinstva
U uslovima kada u mnogim delovima Srbije vlada "bela kuga" autor
Nacrta zakona o radu smanjuje duzinu porodiljskog odsustva sa jedne,
odnosno dve godine na tri meseca.
V. Nema ugovaranja najnize cene rada
Nacrt xakona o radu ne predvidja da poslodavac i sindikat ugovaraju
najnizu cenu rada i tako se sndikat lisava svoje osnovne funkcije da na
osnovu rezultata rada utice na nivo zarade zaposlenog.
Tako se rusi godinama izgradjivan sistem zarada koji se bazirao na
najnizoj ceni rada, ceni rada posla, koeficijentu radnih mesta i radnom
ucinku.
VI. Nedorecen clan 90. Nacrta zakona o radu
Po ovom clanu zaposleni ima pravo na naknadu zarade u visini 45% zarade
koju bi ostvario da radi za vreme prekida rada zbog kojeg je doslo bez
krivice zaposlenog, najduze 45 radnih dana u kalendarskoj godini.
Da li ovaj clan regulise duzinu i naknadu zarade za vreme
t.zv. "prinudnog placenog odsustva" ?
Nije definisano sta ako prekid rada traje duze od 45 dana. Ima li
zaposleni pravo u daljem procesu, na naknadu zarade, sta je sa
penzijskim i zdravstvenim osiguranjem ili je nesto drugo u pitanju.
VII. Otkaz
Poslodavac moze zaposlenom da otkaze ugovor o radu ako je njegovo
ponasanje takvo da ne moze da nastavi rad kod poslodavca. (cl.104, stav
1. Tacka 4) Clan 106. Nacrta zakona o radu omogucava poslodavcu da
zaposlenom moze ponuditi zakljucivanje ugovora o radu pod izmenjenim
uslovima. Zaposlenom koji odbije da zakljuci ugovor o radu pod
izmenjenim uslovima, poslodavac moze da otkaze ugovor o radu.
VIII. Kolektivni ugovori
U clanu 136. Nacrta zakona o radu predvidjeno je razbijanje Opsteg i
Posebnog kolektivnog ugovora na delatnosti ?
Osim toga je predvidjeno da se posebni kolektivni ugovor zakljucuje za
teritoriju jedinice, teritorijalne autonomije ili lokalne samouprave.
(Clan 137)
U clanu 141. Nacrta zakona o radu definisani su procenti clanova
sindikata da bi isti bio reprezentativan. Tako, da bi sindikat bio
reprezentativan kod poslodavca treba da je u isti uclanjeno najmanje
15% zaposlenih, a da bi sindikat bio reprezentativan na nivou
Republike, odnosno jedinice teeritorijalne autonomije ili lokalne
samouprave u isti treba da bude uclanjeno najmanje 10% zaposlenih u
grani ili delatnosti za koje se zakljucuje kolektivni ugovor, odnosno
ukupnog broja zaposlenih za zakljucivanje kolektivnog ugovora koji se
odnosi na sve zaposlene na teritoriji odredjene teritorijalne jedinice.
Definicijom ovog clana prakticno ce se napraviti mnostvo
reprezentativnih sindikata. Ocena je da to nece dobro funkcionisati i
samo ce doprineti slabljenju pregovaracke moci sindikata.
Potpresednik Sindikata Metalaca Srbije
Zoran Vujovic
=*=
L’UNIONE DEI SINDACATI DELLA SERBIA
INVITA
TUTTI I LAVORATORI IN SERBIA AD ADERIRE ALLO
SCIOPERO GENERALE
Lo sciopero inizia martedì, 16 ottobre 2001, alle ore 8 e durerà
fintantoché non verrà annullata la legge sul lavoro dalla procedura
assembleare.
Nessuno dei lavoratori, senza distinzione rispetto a dove sono
impiegati ed a quale sindacato appartengano, ha scampo. Tutti insieme
siamo messi al muro. Dobbiamo andare all’attacco, perché questa è
l’unica nostra difesa.
Partecipiamo tutti allo sciopero generale. Fermiamoci ora un momento,
perché un domani non dobbiamo fermarci per sempre.
La Serbia deve fermarsi, per poi ripartire. Questa legge non deve
passare in nessun modo. Ci aspetta una lotta decisiva per una nuova e
più giusta legge.
Uniamoci tutti per una migliore legge sul lavoro.
Che il governo combatta la corruzione e non il diritto dei lavoratori.
Questa lotta e’ per noi e per i nostri figli.
ORA O MAI PIU !
Il Comitato di sciopero dell’ Unione dei Sindacati della Serbia
UNIONE SINDACATI DELLA SERBIA
1991
1901
SINDACATO DEI METALMECCANICI DELLA SERBIA
11000 Beograd, Mosa Pijade 14/VI, tel/fax (011)3231641
OBIEZIONI-CHIAVE SUL DISEGNO DI LEGGE SUL LAVORO
I. Si mette in questione l’esistenza del contratto individuale
collettivo
All’articolo 1 del Disegno di legge sul lavoro è lasciata la
possibilità di scelta del diritto, degli obblighi e delle
responsabilità in base al lavoro regolato con l’accordo collettivo
oppure con il regolamento sul lavoro oppure con l’accordo sul lavoro.
Si può davvero trarre la conclusione che nelle relazioni capitalistiche
i futuri proprietari del capitale eviteranno gli accordi collettivi
come atti in cui, con l’accordo del sindacato, regolare diritti,
obblighi e responsabilità sul lavoro, per ricorrere ad altre
alternative del succitato art.1, sicuramente più sfavorevoli ai
lavoratori impiegati.
II. Il Datore di lavoro non è obbligato a rendere noti i posti di
lavoro liberi
Con l ’art. 14, p.2 del Disegno di legge sul lavoro si
garantisce la libertà del lavoro, la libertà della scelta della
professione e dell’impiego e la partecipazione nella gestione.
Questo intendimento è praticamente inapplicabile perché nel
capitolo "Accordi sul contratto del lavoro" non è inserito, nella
stessa contrattazione, l’impegno del datore di lavoro, attraverso
l’Istituto per il mercato del lavoro, di rendere noti i posti di lavoro
liberi con annunci pubblici o all’Ufficio di collocamento. Perciò i
lavoratori interessati non potranno sapere quali posti di lavoro sono
liberi per poter concorrere ad essi.
Nell’articolo citato, il diritto alla partecipazione nella gestione può
essere anch’esso inapplicabile perché, se una azienda sociale
[drustveno preduzece] viene privatizzata e ristrutturata, non saranno
disponibili titoli azionari gratuiti e dunque nemmeno la partecipazione
alla gestione.
III. Si favorisce il lavoro a tempo determinato
Il datore di lavoro può formulare un contratto di lavoro a tempo
determinato per determinati incarichi, soltanto per un periodo di
lavoro che, continuativamente o con interruzioni, duri non più di 5
anni.
Ogni commento è superfluo su come questa decisione si possa (ab)usare.
IV. Diminuiti i diritti sulla maternità
In una situazione in cui in molte parti della Serbia regna "la
collera bianca" [? "bela kuga"], l’autore del Disegno di legge sul
lavoro diminuisce il periodo di assenza per causa maternità da uno,
ovvero due anni, a tre mesi.
V. Non c’è contrattazione sul costo minimo del lavoro
Il Disegno di legge sul lavoro non prevede che il datore di
lavoro e il sindacato contrattino il costo minimo del lavoro, e cosi il
sindacato viene privato dalla sua funzione essenziale, cioe’ quella di
influenzare il livello del salario dell’operaio in base ai risultati
del lavoro.
Così viene distrutto il preesistente sistema di lavoro che si
basava sul salario minimo, sul costo relativo alla tipologia di lavoro,
sugli indici relativi al posto di lavoro e al risultato del lavoro.
VI. L’ermetico art.90 del Disegno di legge sul lavoro
Secondo questo articolo il lavoratore ha diritto al sussidio
del 45% della paga percepita, somma che realizzerebbe se lavorasse per
un massimo per 45 giorni lavorativi nel calendario di un anno, durante
un’interruzione del lavoro avvenuta per causa non attribuibile al
lavoratore stesso.
Viene regolamentato con questo articolo anche il tempo ed il
sussidio per il tempo cosiddetto "di ferie forzate retribuite"?
Non è stato definito cosa debba succedere quando
l’interruzione del lavoro duri più di 45 giorni. Il lavoratore ha
diritto all’indennizzo, nel proseguimento? Cosa succede con la
pensione e con l’assicurazione sanitaria? O c’e’ qualcos’altro in
questione?
VII. Il licenziamento
Il datore di lavoro può licenziare il lavoratore se il suo
comportamento e’ tale da non poter continuare a lavorare presso quel
datore. (Art. 104, c.1, p.4)
L’articolo 106 del Disegno di legge sul lavoro permette al
datore di lavoro di offrire al lavoratore di contrarre l’accordo di
lavoro ad altre condizioni. Il datore di lavoro può rifiutarsi di
assumere il lavoratore che rifiuti di firmare il contratto di lavoro
alle nuove condizioni.
VIII. Accordi collettivi
Nell’art. 136 del Disegno di legge sul lavoro e’ prevista la
rottura del Contratto collettivo, Generale e Speciale
sulle attività ?
Oltre a questo è stato previsto che i contratti collettivi
particolari si possano stipulare per il territorio dell’unità,
dell’autonomia territoriale oppure dell’autonomia locale. (art.137)
Nell’art. 141 della Legge sul diritto del lavoro sono
definite le percentuali dei membri del sindacato perché esso sia
considerato rappresentativo. Cosi’, affinché il sindacato sia
rappresentato presso il datore di lavoro, devono essere iscritti ad
esso almeno il 15% degli impiegati, e perché il sindacato sia
rappresentato al livello repubblicano, ovvero al livello dell’unità
territoriale autonoma o di autogestione locale, allo stesso bisogna che
siano iscritti almeno il 10% degli impiegati nel ramo o nell’attività
per la quale si stipula il contratto collettivo di lavoro, ovvero
almeno il 10% del numero totale di lavoratori nel caso di stipula di
un contratto collettivo relativo a tutti gli impiegati sul territorio
di una determinata unità territoriale.
Con la definizione di questo articolo praticamente si
costituiranno molte rappresentanze sindacali. Riteniamo che questo
sistema non funzionerebbe bene e contribuirebbe solamente
all’indebolimento del potere contrattuale del sindacato.
Il testo è stato redatto dal Vicepresidente del S.M. della Serbia
Zoran Vujovic
ha passato seri guai con la giustizia del suo paese in
seguito ad accuse relative alla sua posizione "filoserba".
In particolare, nel 1997 in Francia scoppiava uno scandalo per
l'aiuto prestato da settori militari francesi a Karadzic, affinche'
non fosse catturato e consegnato al Tribunale dell'Aia. Una vicenda
per la quale il comandante Bunel nel 1998 fu prima arrestato,
poi rilasciato. Su questa strana storia e' forse ancora possibile
trovare documentazione ad esempio sul sito di "Le Monde":
http://archives.lemonde.fr/
Bunel e' un uomo dell'establishment militare; per questo,
alcuni suoi giudizi non sono accettabili dal punto di vista
degli internazionalisti e degli antimperialisti. Tuttavia,
i suoi scritti gettano luce sulle contraddizioni interne al
fronte della NATO. (I. Slavo)
---
Su Bunel si vedano anche:
1. LIBRO
Pierre-Henri Bunel, "Crimes de guerre à l'OTAN",
Paris, Editions 1, 110 FF, parution juin 2000.
Una presentazione in francese su:
> http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/308
2. INTERVISTA
pubblicata dalla rivista marxista tedesca KONKRET n.8/2000.
In italiano alla URL:
> http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/377
3. ALTRI DOCUMENTI
sulle dichiarazioni di Bunel, sempre su:
> http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/377
---
DEUX ARTICLES POUR LA YOUGOSLAVIE
Auteur: Pierre Henri Bunel*
1. Les Europeens se sont trompes d'ennemi**
Apres les attentats du 11 septembre, les Americains se
sont lances dans une nouvelle guerre de conquete
pour le controle d'une region strategique pour leurs
interets petroliers. Apres avoir soutenu les positions de
membre des plus extremistes de l'Organisation de la
conference islamique, ils ont ete victimes de ceux
qu'ils pensaient etre leurs allies.
Et pourtant, ils en avaient deja fait l'experience
pendant la campagne de l'IFOR en Bosnie-Herzegovine,
comme je l'ecris dans mon livre "Crimes de guerre a
l'Otan ".
Depuis le 11 septembre 2001, on "decouvre" ce que
tous les specialistes du renseignement des pays
europeens savaient tres bien: la plupart des ONG
islamiques operant dans le monde en general et dans
les Balkans en particulier disposent d'une branche
connectee au monde terroriste.
Dans un autre ouvrage que je viens de publier en
France, "Menaces islamistes" je raconte comment
l'Organisation de la conference islamique avait peu a
peu pris le controle du mouvement des non alignes
dont les pays fondateurs avaient ete la Yougoslavie et
l'Indonesie. Ayant pris le controle de ce mouvement si
important pour les relations internationales, les
elements les plus nefastes de l'OCI ont tente de
prendre aussi le controle de l'ONU.
L'offensive generalisee du terrorisme ne date pas du 11
septembre 2001. Ce jour-la, la violence et les crimes
que nous, Europeens, connaissons depuis des
decennies a des degres divers est entree dans le
cocon egoiste du peuple americain.
Les " occidentaux " devaient bien ouvrir les yeux.
Mais il ne faut pas jeter la pierre a tous les Americains.
Il faut surtout accuser les vrais coupables: des
financiers apatrides qui ont colonise les leviers
politiques des grands pays, y compris des Etats-Unis.
Je connais nombre d'Americains qui ne sont pas en
accord avec les politiques interieures et etrangere de
leurs administrations successives. Un exemple: lors
des emeutes anti-mondialisation de Seattle, la police
americaine a arrete 600 manifestants, essentiellement
des agriculteurs? americains!
Jeter l'anatheme sur tous les Americains serait donc
aussi injuste que les accusations que porte la
propagande contre tous les Serbes. Au contraire, la
reunion des efforts des hommes de bonne volonte doit
pouvoir nous permettre de nous debarrasser de la lepre
de l'argent sale.
Les criminels de l'UCK sont rarement des
Yougoslaves de culture albanaise.
Apres la sanglante aventure du printemps 1999,
l'autosatisfaction de nos politiciens du "repli" de
Milosevic devant la "communaute internationale" a
cede la place aux soucis quotidiens de la vie au
Kosovo. Les Francais implantes a Mitrovica ont du
essuyer la reprobation des Americains et des Allemands
qui leur reprochaient d'etre trop clements envers les
Serbes. La remarquable action des contingents
francais qui se succedaient ne trouvait pas grace a
leurs yeux. Jusqu'au moment ou, dans des conditions
qui restent encore a elucider, des Americains et des
Allemands ont eux-memes ete pris a partie dans cette
ville symbole et ont pu mesurer que la haine des
Albano-Kosovars separatistes n'a rien a envier a celle
qu'on attribue trop souvent aux Serbes.
Les Yougoslaves de culture albanaise qui vivaient au
Kosovo sont en fait assez rares parmi les aventuriers
qui ont rejoint l'UCK. La majorite des membres des
bandes de Agem Ceku, a l'instar de leur chef, vient de
l'exterieur de la province yougoslave. Mais les «cols
blancs» de la politique internationale qui jouaient aux
dames a Paris ou a Bruxelles - pour jouer aux echecs il
faut etre plus intelligent - ne se sont pas attaches a
ce detail. Il avait suffit de quelques images
soigneusement "bidonnees" presentees aux journaux
televises des differentes chaines pour faire croire aux
"opinions publiques" que tous les Albanais du Kosovo
etaient de pauvres misereux meritant toute notre
sollicitude.
La verite est tout autre. Nombre de ces acharnes de
"l'epuration ethnique", dirigee contre tout ce qui
n'est pas independantiste au Kosovo, viennent en fait
d'Albanie, d'Europe ou meme des Etats-Unis, et non de
la province yougoslave du Kosovo. Une chaine de la
television francaise diffusa un documentaire sur
l'action de M. Kouchner au Kosovo en tant que
representant special du secretaire general des Nations
Unies. On l'y voyait notamment se demener pour faire
face a l'irredentisme des factions, et en particulier des
Albanais qui se presentaient comme des Yougoslaves
de culture albanaise. Les hommes de Hacim Thaci et
Agem Ceku, finirent par accepter de se laisser
desarmer, mais pour constituer des depots d'armes
secrets dont la KFOR decouvrit et saisit certains. Les
mafias se developperent, sans qu'aucun des
intervenants exterieurs ne voulut vraiment venir a
bout. Comme d'habitude, des interets occultes, sur
lesquels on commence a avoir quelque visibilite,
s'opposaient a l'action efficace qu'auraient souhaite
conduire les acteurs du terrain.
L'administration americaine soutient l'UCK
Les Etats-Unis, quant a eux, se sont impliques aux
cotes de l'UCK comme ils l'avaient fait aux cotes des
Musulmans de Bosnie-Herzegovine. Et avec eux les
Allemands puisqu'on a pu voir fleurir dans les mains des
guerilleros de l'armement allemand et americain. Leur
soutien partisan lors des negociations de Rambouillet
n'est plus un secret pour personne depuis que le
journal francais l'Humanite a revele les dessous des
clauses que Mme Albright a fait rajouter au texte initial
pour le rendre inacceptable par Belgrade.
Preoccupe d'affermir ses contacts avec les
communautes musulmanes des Balkans, Washington
est soucieux de ne pas troubler les affaires, memes
occultes, des familles musulmanes les plus influentes
de la "grande Albanie" que les gens de l'UCk
souhaitent mettre sur pied.
Monsieur Kouchner ne voyait pas arriver les forces de
police et les magistrats qu'on s'etait engage a lui
fournir, selon ce qu'il avait confie a la presse et aux
televisions. Pourtant, a force d'energie et d'efforts de
persuasion, il finit par mettre sur pied une sorte
d'administration judiciaire, en tentant de faire
participer des Serbes et des Albanais.
Et il faut bien dire que les Serbes si decries etaient
bien moins reticents que les retors Albano-Kosovars
qui, ici aussi, se sentaient soutenus par plus fort que
l'ONU et l'Otan. Ils tiraient de ce soutien occulte une
insolence redoutable. Apres avoir decrit les Serbes
comme la peste, l'ONU devait en fait faire face au
cholera des sbires d'Agem Ceku.
Les stocks d'armes de l'UCK
Avant meme que l'Otan soit entree en Yougoslavie
pour occuper le Kosovo, les sbires de Agem Ceku
avaient commence a mettre au point leur
approvisionnement en armes et munitions. Certes, ils
disposaient deja de materiel venant d'Allemagne ou des
Etats-Unis comme le montraient clairement les prises
de vues de television abondamment diffusees, mais
encore ils avaient mis sur pied des filieres compliquees
passant par la Suisse et l'Afrique. Trop confiants, sans
doute, les trafiquants ont ete demasques a cause des
changements de la legislation suisse qui interdit non
seulement le trafic d'armes mais aussi le transit des
sommes qui en decoulent. C'est ainsi que les policiers
suisses ont arrete en juillet 2000 un Francais et un
Kosovar qui avaient achete a la Bulgarie, pour les
forces de l'UCK plusieurs milliers de grenades et
plusieurs centaines de lance-roquettes. Selon les
informations parvenues a la presse, la quantite d'armes
devait etre importante puisque le montant des
transactions etait d'environ 3 millions d'euro. Les
marchandises ont quitte la Bulgarie en juillet 1999 pour
un pays d'accueil africain complaisant et sont ensuite
reparties vers l'Albanie ou elles sont arrivees apres le
deploiement de la KFOR au Kosovo.
On pouvait se demander quelle utilite l'UCK allait
trouver a ces armes offensives et plutot lourdes alors
que la mission d'imposition de la paix des Occidentaux
avait deja commence.
L'evolution de la situation en Macedoine est une partie
de la reponse a la question. Car il n'y aucune surprise
dans l'evolution actuelle de la guerre des Balkans.
Apres avoir seme le trouble dans la province
yougoslave du Kosovo, les terroristes albanais tentent
depuis plusieurs mois de destabiliser la frontiere sud de
la Serbie et maintenant s'attaquent a la Macedoine.
Le cancer islamiste porte par l'UCK s'attaque a la
Macedoine
Cette evolution etait prevue depuis longtemps. Les
strateges militaires - les seuls qui ne soient pas
infeodes a des elections et qui se moquent de l'opinion
que manipulent les tenants du politiquement correct -
ont envisage depuis 1991 le risque de retour a une
situation dans les Balkans analogue a celle du debut du
siecle. Ils ont prevu une vague de crises qui, apres la
Slovenie et la Croatie glisserait vers la
Bosnie-Herzegovine, puis la Macedoine en passant par
le Sandjak et le Kosovo. On a meme envisage des
difficultes avec la region de Voivodine, au nord de la
Yougoslavie, ou vivent de nombreux Magyars. La
destabilisation de la Macedoine etait si evidemment
previsible que les Etats-Unis y avaient deploye, des la
declaration d'independance du pays, deux bataillons
sous le beret bleu de l'ONU.
Les specialistes militaires avaient tire le signal
d'alarme, mais evidemment, les politiciens se sont
trouves dans l'incapacite de reagir. Gouverner, c'est
prevoir. Ils prefererent laisser pourrir la plaie
albanaise.
Depuis longtemps les mafias albanaises vivaient de
trafics divers - drogue, armes, femmes, voitures
volees, etc. -. L'intervention d'une force europeenne
en 1997 a l'occasion de l'operation Alba incita les
mafieux les plus impliques dans le gangsterisme, les
Musulmans du nord du pays, a emigrer vers le Kosovo
ou ils importerent une partie des armes qui n'avaient
pas rejoint les casernes lors de l'intervention
franco-italienne.
On sait quelle part ont pris ces "faux Kosovars",
soutenus par l'Allemagne et les Etats-Unis, dans
l'insurrection contre la Yougoslavie, et quelle politique
d'epuration ethnique ils ont conduite sous la ferme
autorite de Agem Ceku, chef militaire de l'uCk. nous
connaissons ses "exploits" en matiere de droits de
l'homme en Croatie et au Kosovo.
Le demantelement de l'uCk, plus apparent que reel, a
laisse le champ libre aux actions de l'uCpbm, qui se mit
a destabiliser la zone tampon imposee en Serbie par
l'administration de l'ONU, interdite aux forces
yougoslaves. La vallee de Prechevo etait en fait livree
aux exactions des terroristes de Hacim Thaci et de
Agem Ceku.
Maintenant, c'est le tour de la Macedoine. Et
l'implication americaine dans cette ancienne republique
yougoslave met le Departement d'Etat dans une
position difficile: ou l'administration americaine
continue de soutenir les terroristes albanais, et ils
destabilisent le pays, ou les forces americaines de la
KFOR, responsables de la zone ou operent les bandits
de Hacim Thaci et Agem Ceku se desolidarisent de ces
criminels qu'elles ont soutenus jusqu'a present.
Les Serbes sont le seul recours
Apres avoir soutenu l'uCk avec la derniere energie,
en allant jusqu'au crime de guerre, et vilipende
Belgrade, les autorites politiques de l'Otan s'appuient
maintenant sur la Yougoslavie pour participer aux
operations de remise en ordre de la region. Les
evenements actuels exposent clairement que
prendre parti pour l'uCk etait une faute politique, faire
la guerre pour le compte des Albanais etait une faute
militaire qui a conduit aux crimes de guerre que nos
dirigeants politiques ont commis en utilisant les
forces de l'Otan dans les conditions ou ils les ont
utilisees.
Et maintenant, l'Otan n'a plus d'autre ressource que
de s'appuyer sur Belgrade pour retablir l'ordre dans
la vallee de Prechevo. Et comme M. Kostunica est un
patriote, ce que d'aucuns appellent "nationaliste",
on peut s'attendre a des passes politiques
interessantes. D'autant que pendant les quelques
mois durant lesquels la region de Prechevo a ete
livree par l'incurie des planificateurs de l'Otan aux
exactions de l'UCPMB, les gens de bonne foi ont pu
toucher du doigt la realite du comportement des
partisans de la "Grande Albanie" et prendre
conscience de ce qu'il risquait de se produire en
Macedoine. Cela n'a pas manque.
Les extremistes albanais veulent realiser une grande
Albanie qui ne serait en fait qu'une sorte de
Kurdistan europeen. On a connu la meme quadrature
de cercle entre l'Allemagne et la France pendant des
siecles. On n'a aplani les differends entre l'Allemagne
et la France e propos de l'Alsace et de la Moselle
qu'en assurant la libre circulation des personnes et
des biens entre les deux pays. Si un Mosellan ou un
Alsacien, ne en France se sent plus allemand que
francais, rien ne l'empeche de travailler en
Allemagne. Comme les conditions de vie sont
somme toute confortables au plan materiel, il n'y a
plus de probleme entre les peuples : "Lorsqu'il y a du
foin au ratelier les chevaux ne se battent plus", dit un
proverbe francais.
Il en est de meme avec les gens de culture albanaise
dans les Balkans: ce ne sont pas tout a fait les
Kurdes d'Europe, puisqu'il existe une Albanie, mais il
faut reconnaitre que les Albanais sont presents dans
quatre pays: l'Albanie, la Yougoslavie, la Macedoine
et quelques elements en Grece. Le fantasme de la
Grande Albanie est plus ancre chez les terroristes de
l'uCk qu'en Albanie meme. Compte tenu des
contacts que j'ai eus avec des Albanais, il me
semble meme que les Albanais considerent leurs
"cousins" du Kosovo avec le meme recul que les
gens de la republique d'Irlande considerent les
Irlandais de l'Ulster.
Quel dirigeant politique prendra la decision de faire
poursuivre les dirigeants de l'uCk pour crimes en
ex-Yougoslavie, histoire de faire bonne mesure? Il
serait plus que temps, parce que le soutien a ces
terroristes, comme aux Tchetchenes, vient de la
branche dure de la conference islamique.
2. Le transfert de Slobodan Milosevic a La Haye
Toujours pris par leurs fantasmes, les Americains ont
achete a Belgrade la livraison de Slobodan Milosevic
au TPI de La Haye. Il semble que les administrations
americaines successives n'aient rien compris: la
question Milosevic est parfaitement accessoire
devant l'evolution de la guerre civile balkanique vers
le sud. L'Otan a deja perdu une guerre contre la
Yougoslavie, meme si la diplomatie europeenne a
rattrape les choses apres. Car ne nous cachons pas
que c'est la diplomatie et les elections qui ont fait
partir Milosevic du pouvoir, et non les bombes de
l'Otan. Donc la guerre de 1999 est bien un echec.
Quoiqu'il en soit, Slobodan Milosevic est donc parti
pour La Haye. "Enfin" diront deux types
d'observateurs. Parmi ceux qui se rejouiront, on
trouvera evidemment les gens peu au fait des
dessous des cartes auxquels on fait avaler n'importe
quoi par les medias "alignes". On trouvera aussi les
valets de l'argent roi. Pourtant un examen plus
equitable des choses met en evidence une realite
plus dramatique.
En outre, il semble bien que l'action a laquelle s'est
prete le Premier ministre Djindjic releve plus de
l'enlevement que de l'extradition et que cette action
soit meme en dehors de la loi yougoslave.
Ne nous y trompons pas. J'ai ete satisfait de
l'arrestation de Slobodan Milosevic que je
considerais deja comme un criminel de guerre alors
qu'il n'etait pas encore question de le critiquer a
l'Otan. En effet, lorsque j'etais officier de
renseignement de l'Otan en Bosnie-Herzegovine, il
etait hors de question de critiquer le principal allie
des occidentaux dans la signature par les Serbes de
Bosnie de l'accord de Dayton. Son arrestation par
les Yougoslaves me paraissait dans le cours normal
des choses, mais seulement parce que c'etait la
justice yougoslave qui s'etait saisie du dossier.
(Je precise cette position personnelle ne releve que
de mon jugement sur ce que me semble etre l'action
de l'ancien president avant la guerre civile. Je crois
qu'il a conduit la Yougoslavie dans le piege dont se
sont ensuite servis les Allemands d'abord, et les
Americains ensuite. Mais il y a d'autres coupables
des malheurs des Balkans: les politiciens europeens
qui n'ont pas ete capables de faire taire les
Allemands et de prier les Americains de se meler de
leurs affaires. Toutefois, il s'agit de l'opinion d'un
observateur exterieur qui n'a pas vecu le debut de la
guerre civile).
Le TPI, un tribunal sans foi ni loi
En revanche, l'evolution, helas previsible, des choses
est loin de me satisfaire, parce que je ne reconnais
aucune legalite ni legitimite au TPI.
Si je souscris entierement a la creation d'un tel
tribunal qui peut etre utile dans le cadre de
l'harmonisation du monde, il me semble qu'en
l'espece on a une fois de plus "mis la charrue avant
les b?ufs".
Un tribunal est fait pour faire appliquer les lois. Or il
n'existe pas de loi internationale mais des traites.
Aucun traite ne peut, en l'etat actuel des choses, faire
office de code penal ou de code de procedure
penale. En outre, le mode de selection des
magistrats, qui doivent rester independants des
pouvoirs politiques, ne fait l'objet d'aucun processus
legalement determine.
Avant de le faire fonctionner, il me semble donc
indispensable de faire promulguer des lois penales
internationales qui semblent plus urgentes que les
arrangements que savent prendre les etats en
matiere economique et commerciale.
Ce TPI s'est juge incompetent pour donner suite e la
plainte d'Amnesty International contre l'Otan pour
crimes de guerre lors des bombardements de
l'ex-Yougoslavie.
Si le procureur du TPI, Mme Carla Del Ponte a
deboute Amnesty International, c'est peut-etre sur
ordre, mais le simple fait de refuser d'engager une
procedure d'enquete avec appel a temoins est bien
un deni de justice. Et pourtant j'aurais temoigne bien
volontiers dans un tel proces.
C'est pourquoi je considere que ce tribunal, tel qu'il
agit actuellement, est non seulement sans loi mais
encore sans foi.
Monsieur Milosevic n'etait pas un dictateur
On va donc juger devant un tribunal discutable un
homme que la presse "alignee" a commence par
qualifier "d'ancien dictateur de Belgrade". Que c'est
beau!, lorsque l'inspirateur de cette pensee unique
est un pays dont le president a ete elu? par des
juges, contre la majorite des votes de sa population!
Pourtant, M. Milosevic, lui, apres avoir ete elu par les
Yougoslaves, a bien ete oblige de se retirer lorsqu'il
a ete battu aux elections. Je ne connais pas de
dictateur qui ait quitte le pouvoir sans revolution. M.
Milosevic n'etait donc pas un dictateur, il serait bon
de le rappeler.
En revanche, je suis beaucoup plus inquiet du rele de
l'argent dans cette election, et surtout dans
l'expulsion par un pays independant de l'un de ses
nationaux. Car, ne nous y trompons pas, la non plus,
le financement de la campagne electorale, et surtout
le chantage conduit aupres des candidats etait bien
le suivant: on vous aide financierement, et on
financera le relevement de la Yougoslavie, si vous
nous aidez en faisant battre Milosevic aux elections.
Si M. Djindjic a finalement decide de livrer l'ancien
president sans attendre la decision de la justice
yougoslave, c'est evidemment du a l'action des
Americains. Le fait que l'avion qui a conduit l'accuse
a La Haye soit parti de Tuzla, base americaine en
Bosnie-Herzegovine, est significatif. Le Premier
ministre Djindjic a-t-il agi de son propre chef ou avec
l'aval discret de Vojislav Kostunica? C'est difficile a
dire pour un observateur exterieur. Mais ce qui est
sur c'est qu'il l'a fait en pensant a l'argent dont la
Yougoslavie a tant besoin pour se relever des
devastations que lui a causees l'Otan en 1999.
Encore la CIA?
Cette decision risque fort de provoquer des troubles
graves en Yougoslavie. En Serbie, les partisans de
M. Milosevic pourraient bien se lancer dans des
manifestations degenerant en emeutes. Et surtout, le
Montenegro pourrait bien profiter de ce qu'il faut bien
appeler un affaiblissement dramatique du president
Kostunica pour tenter l'aventure separatiste.
Et si la CIA avait fait des propositions de soutien?
Djindjic, au cas ou le remplacement de l'actuel
president viendrait a l'ordre du jour? Et qui sait si la
CIA n'est en train de tout faire pour que ce
remplacement vienne effectivement immediatement
a l'ordre du jour?
Ce serait une bonne affaire pour Washington de voir
succeder a Kostunica, patriote et assez oppose aux
Americains, un valet qui vient de leur donner des
preuves evidentes de sa servilite.
Incapables de venir a bout de Saddam Hussein,
ridiculises par les Chinois a propos de leur avion
espion, les Americains emportent enfin une
"victoire" internationale sur un petit pays ravage par
cette politique de la canonniere qu'ils ont tant
denoncee lorsqu'ils etaient encore des nains
politiques.
Mais qu'ils se souviennent de - ou qu'ils se
renseignent sur - ce qu'est une «victoire a la
Pyrrhus». Quant a la politique europeenne, que
devient-elle dans tout cela? Elle ne cesse de ramper
parce que les bombardements de la Yougoslavie ont
desequilibre l'Euro, accroissant la charge
d'investissements dans les anciens pays de l'Est et
surtout dans les Balkans.
Apres avoir devaste la Yougoslavie les Americains
sont retournes se cacher derriere leurs valets
On n'entend pas beaucoup Washington a propos de
la Macedoine, et pourtant, c'est bien la Maison
Blanche qui avait entretenu des bataillons de
stabilisation americains sous beret de l'Onu a
l'epoque de la guerre civile en Bosnie-Herzegovine.
Maintenant, les Americains vont engranger les
dividendes de la guerre, pendant que les Europeens
vont avoir le souci d'organiser la paix? sans avoir
les hommes d'etat capables de le faire, ceux qui
seraient suffisamment integres pour ne rien devoir
aux grands groupes economiques multinationaux.
L'Homme et sa culture
Le proces de M. Milosevic ne pourra donc etre
qu'une forfaiture de plus, perpétree par les agents de
gouvernements qui n'ont pas de lecon de morale a
donner a quiconque.
Avec cette affaire, nous avons une preuve de plus du
fait que les Americains ne savent pas prendre en
compte une donnee essentielle des relations
humaines: chaque peuple europeen a une culture et
une civilisation multimillenaire, alors qu'eux sont
ignorants de toutes ces subtilités.
Ils ont commis la meme faute en Asie, la continuent
en Afrique, s'y sont adonnes en Yougoslavie, et sont
en train de s'y enfoncer en Afghanistan: dans toutes
ces calamites pour les peuples broyes, les
responsables sont toujours les memes, les grands
capitalistes qui ont oublie que l'economie doit etre au
service de l'Homme, et non le contraire.
Ce que nous, Europeens de l'Atlantique a l'Oural,
nous savons tous.
Les guerres qui nous ont opposes ou reunis n'ont pu
se regler que par les compromis culturels. C'est vrai
dans les Balkans, mais la question de l'Alsace et la
Moselle relevait de la meme problematique. C'est
pourquoi elle peut etre un message d'espoir.
Apres la derniere guerre mondiale, devant l'inutilite
de la force pour regler cette question, la disparition
du barrage que representaient les anciennes
frontieres a rendu caduc tout recours a la force. Les
Mosellans ou les Alsaciens qui se sentent plus
francais passent leur temps de detente en France,
ceux qui se sentent plus allemands vont se distraire
en Allemagne? et souvent, comme je le faisais
lorsque j'habitais Strasbourg, vont d'un cote a l'autre
de la frontiere suivant les circonstances?
Mais pour proteger notre avenir, il faut savoir
proteger nos cultures, diverses et complementaires,
et pour cela refuser l'uniformisation decretee par des
financiers et des economistes qui manipulent les
gouvernements pour le plus grand malheur des
peuples.
La culture est le plus grand ennemi des dictateurs,
meme financiers. Parce qu'elle est l'outil qui permet
de refuser une societe de consommation qui n'est
qu'une incivilisation du gaspillage, promotrice de
l'abetissement et de l'asservissement.
* Pierre Henri Bunel, officier francais, accuse d'etre
l'espion yougoslave dans le Haut Commandement de
l'OTAN a Bruxelles.
** Extraits du livre "Crimes de guerre a l'OTAN"
leggiamo sul vostro sito internet
(http://www.limesonline.com/doc/navigation/LettereDirettore/#)
che Lucio Caracciolo risponde ogni settimana ai lettori. Alleghiamo
pertanto il testo, un po' abbreviato, di una lettera gia' recapitata
nei giorni scorsi alla vostra sede:
---
Al Dott. Lucio Caracciolo
Direttore di "LIMES", Roma
In seguito alle ultime dichiarazioni di Ibrahim Rugova dopo le
elezioni "libere" nel Kosovo e Metohija, commentate anche
dall’ambasciatore Miodrag Lekic alla Radio Tre, nelle quali Rugova
ribadisce di lavorare per la secessione della regione, ho pensato di
scrivere a Lei che e’ stato tante volte presente a dibattiti con
Rugova. L’ambasciatore Lekic ha dato una risposta diplomatica, io
invece dico senza mezzi termini che Rugova e’ uno dei responsabili
dello sfascio della Jugoslavia unitaria, un secessionista, separatista-
etnico, quindi razzista, che ha usato, strumentalizzato la nonviolenza
per mettere i popoli della regione gli uni contro gli altri. E’ stata
soltanto una grande furbizia da parte di Rugova, vezzeggiato
dall’Occidente, e del suo partito, di mostrarsi meno estremista degli
altri... E questo estremismo non inizia oggi, ma con il fascismo.
Vuole rispolverare un po’ la storia italiana neanche tanto remota,
Dott. Caracciolo, e la politica di guerra verso l’Albania ed il Kosovo
dal 1941-1945?
Numerosi sono stati i crimini compiuti dal terrorismo schipetaro,
soprattutto a partire dal 1980, anno della morte di Tito: si
andava dalla minaccia di dover vendere le case, agli incendi ed alle
rapine del raccolto. Le ricordo soltanto due crimini compiuti contro
persone: lo stupro di un insegnante serbo del Kosmet, rimasto invalido
e morto due anni fa a Belgrado, effettuato con una bottiglia di birra
rotta; e la strage alla caserma di Paracin, nel 1987, compiuta da Aziz
Keljmendi che sparo’ ed uccise nel sonno quattro reclute, ferendone
altre cinque. I crimini venivano compiuti contro i serbi, come ha
ammesso lo stesso Rugova all’ambasciatore Zimmermann.
Gli atti di terrorismo sono aumentati con l’arrivo della KFOR e
dell’UNMIK. I dati rivelano: dal 1991 al 1999 circa 1200-1300 crimini,
mentre sotto l’ombrello delle forze internazionali i crimini sono stati
circa 5300.
Il pallino di Rugova e' stata sempre la secessione e la Grande Albania,
come dimostrano i suoi interventi su questo argomento, pubblicati sui
riviste croate, tedesche, e cosi’ via, da noi tradotti e pubblicati su
"Nuova Unita’" nel 1997. Le dichiarazioni sono diventate sempre piu’
frequenti, ed in esse si agognava la presenza internazionale e
l’intervento della NATO - fino alle parole rilasciate in occasione di
queste ultime elezioni-farsa.
In tutti gli anni passati Rugova e’ stato appoggiato all’estero, ed ha
naturalmente avuto la benedizione del papa. Non e’ un mistero chi pago’
la "Ruder & Finn Public Global Affairs" di Washington per la propaganda
a favore della parte albanese-kosovara, e neanche il fatto che Rugova
prendeva soldi dall’estero.
Le allego anche copia del volantino della "Lega Democratica del Kosovo"
di Rugova, diffuso durante l’ultima conferenza FAO a Roma pochi anni
fa, nel quale la regione indicata "Repubblica Kossova" (sic!) e’
rappresentata come parte integrante della Grande Albania.
Anche le mura sanno che la pulizia etnica nel Kosmet non c’e’ stata,
prima dei bombardamenti della NATO. E questo accanimento contro
Milosevic dimostra soltanto che si vogliono coprire le barbarie
commesse contro uno stato sovrano e contro tutta la sua popolazione...
Ma le mura non parlano, ed io credo che anche Lei, da intellettuale,
dica solo "mezze verita’".
Con osservanza
Ivan Pavicevac
Roma 29 novembre 2001
(anniversario della mia Repubblica)
parte intitolata "Le disavventure d'un analfabeta mondano". Abbiamo
inoltre aggiunto la traduzione degli stralci dall'intervista a P. Handke
---
(na talijanskom i na srpskohrvatskom)
=============
PRIMA PUNTATA: BERNARD APPOGGIA I CONTRAS
=============
Nella prefazione a "Della guerra come politica estera degli Stati
Uniti", una semplice raccolta di 6 articoli di N. Chomsky alla ricerca
dell'ingrato lettore francese, Jean Bricmont parla del "piccolo mondo
dei grandi media", per spiegare come "la buona parte degli
intellettuali francesi fosse politicamente sempre piu' passiva, piu'
che altrove in Europa, prima durante la lotta contro gli euro-missili,
poi durante la guerra del Golfo ed il genocidio in Ruanda, per finire
decisamente bellicista durante gli interventi in Bosnia e Kosovo".
A questo punto troviamo la seguente nota dell'editore: "Sebbene la
passività fosse la tendenza generale, i filosofi mediatici non hanno
tardato a sostenere - molto attivamente - la politica estera di
Reagan; cosicche' i vari Bernard-Henri Levi e André Glucksman insieme
a quel Jean-François Revel firmarono una petizione d'appoggio ai
contras in Nicaragua, indirizzata al Congresso USA."
(Per chi fosse interessato alla prefazione di Jean B. segnaliamo che è
stata riportata da "Le Monde diplomatique" e si puo' trovare nel
supplemento di febbraio de "Il Manifesto". E' interessante
principalmente in quanto analisi del mancato successo francese di
Chomsky.
Titolo: Noam Chomsky: De la guerre comme politique étrangére des Etats
Unis, préface de J. Bricmont, Agone éditeur, 2001)
SRPSKO-HRVATSKI
Naslov knjige: "Noam Comski, O ratu kao spoljnij politici SAD",
predgovor Zan Brikmo, u izdanju Agon, februar 2001 U predgovoru Z.
Brikmona za 6 clanaka N. Comskog sabranih pod gornjim naslovom, u
delu gde Zan govori o "polusvetu medijskih intelektualaca da bi
objasnio da su francuski intelektualci mahom bivali sve pasivniji i
pasivniji, mnogo vise nego drugde u Evropi, prvo za vreme borbe protiv
euro-raketa, zatim tokom rata u Zalivu i genocida u Ruandi, da bi
konacno, za vreme intervencije u Bosni i Kosovu postali odlucne
pristalice rata", nalazimo sledecu fus-notu urednika izdanja:"mada je
sklonost ka ravnodusnosti bila opsta pojava, medijska inteligencija je
podrzala vrlo brzo - i vrlo aktivno- Reganovu spoljnu politiku, tako
da su takvi kao B. H. Levi i A. Gluksman zajedno sa nekakvim Z. F.
Revelom potpisali peticiju u znak podrske kontrasima u Nikaragvi. Ta
je peticija glasila na americki Kongres."
===============
SECONDA PUNTATA: DIFENSORE DELLA LIBERTA'
===============
Estratto da "PLPL - Pour Lire Pas Lu" (Per leggere non letto) "il
giornale che non mente e che prende di mira il potere, la sinistra
molle e i padroni", N° 0, giugno 2000 - sito internet www.plpl.org
IL LACCIO D'ORO
La lotta è accanita, pero'
PLPL sempre equanime,
il laccio d'oro
consegnera'
alla penna del piu' servile.
Editorialista associato di "le Monde", direttore di una collana di
libri presso Grasset (gruppo Matra-Hachette) e cronista di "le Point"
(il padrone di questo giornale è François Pinault), Bernard-Henri Lévy
è anche un caro amico di Jean-Luc Lagardère (il padrone di
Matra-Hachette e mercante d'armi).
Nel testo che segue ("le Point", 5 maggio 2000) il grande filosofo
delle libertà, prende le difese di un industriale perseguitato dalla
giustizia: "Quando ci capita di vedere un capitano dell'industria come
Jean-Luc Lagardére sbattuto davanti ai giudici, anche se a quanto pare
non abbia fatto niente per impedire l'arricchimento nè della propria
impresa ne della collettività, non ci restano che due possibili
reazioni ..."
Tuttavia piu' in là BHL precisa: "Jean-Luc è un amico. Quello che
apprezzo in lui e' questo suo stile da grande condottiero, da Cirano
che sa il fatto suo."
E vero, "l'amico" Lagardère ha finanziato con F. Pinault l'ultimo film
di BHL, "Il Giorno e la Notte", un pessimo film fallimentare.
PLPL si felicita con BHL: leccare è un affare delicato quando le
ghiandole salivari sono compresse dal laccio d'oro.
SRPSKO-HRVATSKI
Preuzeto bez pitanja iz PLPL, Pour Lire Pa Lu, (Sta Stampa ne Stampa)
"novina koje ne lazu" a izlaze kao dvomesecnik u Parizu. "Na meti PLPL
su vlastodrsci, levi mekusci i gazde" Jun 2000. br. 0
(www.plpl.org)
ZLATNA UZICA
I u najzescoj konkurenciji,
PLPL nepristrasno
nagradu dodeljuje
samo najvecoj ulizici.
Spoljni saradnik "Le Mond-a", direktor izdanja kod Grase (Grasset u
sastavu Marta-Hachette) hronicar u listu "Point", BERNAR-ANRI LEVI je
takodje i prijatelj ZAN-LUK LAGARDERA koji je ne samo gazda preduzeca
Matra-Hachette vec i trgovac oruzjem. U tekstu sto sledi ("Le Point",
5.maja 2000.) veliki filozof i ljubitelj slobode zauzima se za
industrijalca koga sud progoni:
"Kad covek vidi kapetana industrije kakav je Zan-Luk Lagarder kako se
povlaci po sudovima, a da nije, a kazu da nije, onemogucio bogacenje,
ni svom preduzecu, ni zajednici, moze da bira izmedju dve moguce
reakcije ...."
Malo dalje u istom tekstu BHL pojasnjava : "Zan-Luk je moj prijatelj.
Volim kod njega tu zicu velikog vojskovodje, Sirana koji tera po
svom."
Tacno je da su prijatelji, Lagarder je sa F. Pinoom finansirao
najnoviji film Bernara-Anrija, "Dan i Noc", pravo djubre od filma koje
je progutalo ogromne pare.
PLPL cestita Bernar-Anriju : Ulizivanje je vrlo slozen napor kada
zlatna uzica steze pluvacne zlezde.
=============
TERZA PUNTATA: BERNARD COSMOPOLITA TUTTOLOGO
=============
PLPL n° 1 ottobre 2000
Le disavventure d'un analfabeta mondano
Editorialista associato di "Le Monde" BHL è anche un grande cronista.
Ha esordito con l'Algeria offrendoci un'analisi approfondita sulla
situazione (quattro pagine, 8-9/01/1998), ha minuziosamente descritto
una giornata qualunque di un combattente in Afganistan (due pagine
13/10/98), dall'Austria ha riportato i suoi commenti filosofici (2
pagine 2/03/00), ha ricordato che in Germania vivono i tedeschi
(quattro pagine 5-6/02/99).
Cambio di lettera dell'alfabeto il 14 ottobre: toccava alla Bosnia (due
pagine).
Albania, Angola e Argentina hanno subito espresso il proprio sollievo
mentre Belgio, Brasile e Botswana stanno per chiudere le frontiere.
PLPL n°1 oktobar 2000
Potucanja belosvetskog nepismenjakovica
Spoljni saradnik "Le Monda", BH Levi je takodje i veliki reporter.
Poceo je istancanom analizom dogadjaja u Alziru (4 strane 8-9/01/98).
Do tancina je opisao dan jednog ratnika u Avganistanu (dve strane,
13/10/98). Svoja filosofska zapazanja preneo je iz Austrije (2 str.
2/03/00) i podsetio da Nemacku nastanjuju Nemci (4 str. 5-6/02/99).
A onda je promenio slovo 14 oktobra ove godine. Dosla je na red Bosna
(dve str.).
Albanija, Angola i Argentina su tom prilikom sa olaksanjem odahnule,
a Belgija, Brazil i Bocvana se spremaju da zatvore granice.
==============
QUARTA PUNTATA: SQUADRISTI A PARIGI
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Prenosimo deo intervjua Martina Letmajera sa Peterom Handkeom.
Ovaj intervju sa cuvenim pozorisnim i knjizevnim stvaraocem
novinar nemacke Tv vodio je januara 1997.
Na engleskom jeziku nalazi se na adresi :
http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1417
http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1418
Pitanje: Jasno, usledio je napad gospode Levi i Finkelkraut ...
HANDKE: Tako je. Samo sto ta dvojica nisu knjizevnici. Obojica su
"novi filozofi". Ne bih vam znao reci ni zasto "novi" , ni zasto pak
"filozofi". S pocetka rata, ja sam im u jednom trenutku bio potreban,
kao neko ko nije filozof, vec knjizevnik i to dokazan i, za razliku od
njih dvojice, neko ko ima barem nekakvu predstavu o Jugoslaviji. Vec
posle par susreta sa njima bese mi jasno da zele da me iskoriste i nista
vise. Samo sto sam poceo da branim Srbiju, a vec su digli su ruke od
mene. Zaista su zatvoreni tipovi, ta dvojica. To vam je Cetvrti Rajh.
Novac i moc.
U Francuskoj oni i njima bliski potpuno kontrolisu izdavastvo i
elektronske medije. Od njih dvojice ne moze nista da prodre do javnosti,
gotovo da u potpunosti dominiraju na televiziji i na stranicama novina.
Poneko sa njima i segu tera, medjutim, uprkos svim neprimerenim i
nesuvislim pisanijama o ratu u Bosni , niko Levija vise i ne napada,
toliko je uzeo maha. Ne moze se vise procitati ni rec kritike na njegov
racun.
Sve se to uzima kao vrsna knjizevnost. A bilo bi dovoljno uzeti Roberov
recnik i proveriti nekoliko izraza i pojmova, staviti pod gramaticku
lupu, pa da sve sto kaze bude opovrgnuto.Naizgled neverovatno, a ipak
niko nista ne cini u tom pravcu.
U pitanju su finansijski interesi i moc. Shvatio sam to odmah i odlucio
da nista ne potpisujem i da se sa "novim filozofima" vise ne sastajem.
Oni ce to iskoristiti protiv mene, no ipak je to manje zlo.
Pitanje: Ta gospoda Finkielkraut i Levi, nalazim da su zanimljivi. Mogli
bi pare da mlate na necem drugom a ne na hvalospevima Tudjmanu, sto je
slucaj Bernara-Anrija, ili na prici da Evropa pocinje u Sarajevu, sto je
slucaj onog drugog.
Ko je uzeo pod najam tu dvojicu?
HANDKE: U danasnje vreme, intelektualci, a pod tim ne podrazumevam nista
lose, ne oskudevaju u novcu. Dakle, nije novac njihov motiv, vec pre
moc. To uostalom, ide jedno sa drugim.
Bernar-Anri je po prirodi cutljiv, zajedljiv i lazljiv. Kao i njegov
Bosanski dnevnik, on je izvestacen, umisljen. On prikazuje dimenziju
vladavine moralnih vrednosti, uporedo sa vladavinom politickih faktora,
kakav je Sirakova vlada i druge, medjutim, to on umislja. Problem sa
njim je u tome sto je on sa stanovista etosa, morala, obicni punjeni
curan.
Gledao sam onomad scenu koju je snimila, rekao bih, nemacka televizija
gde Levi sa grupom svojih pristalica pred Jugoslovenskim Kulturnim
Centrom u Parizu grubo i nasilnicki otima kljuc iz ruku zeni koja
uzaludno pokusava da zgradu zakljuca i tako spreci uljeze da u nju
prodru. Ona se brani recima : "Ne, ne zelim vam dati kljuc, sta vi ovde
trazite? To nije vase pravo!"
U svom crnom koznom mantilu, Levi je hladnokrvno posmatrao kao kakav
komunisticki komesar iz petparackog filma. Trebalo bi da sve Tv stanice
sirom sveta prikazu ovu triminutnu scenu da se vidi kako se samozvani
branilac Sarajeva i Bosne ophodi prema ljudima. Voleo bih kada bi svi
mogli to da vide.
Pitanje: Da li mislite da je moguce ispraviti sve ovo sto danas neki
rade?
HANDKE: Ne. bilo bi odvec lako. Tragicna je istorija Jugoslavije i
Evrope u ovom veku.
Odvijanje i pisanje istorije su spojeni. To je zajednicko i istoriji
Jevrejskog naroda, koja je takodje tragicna.
Verovatno nece biti ispravljene nepravde. Takva vrsta ljudi se ne
menja. Po meni, neosnovano je misliti da ce jednog dana biti moguce
drugacije posmatrati stvari. Svojim laznim recima i laznim slikama
pocinili su toliko mnogo zlocina protiv Jugoslavije, strasnih zlocina. A
neki su zlocini nepovratni, trajni.
Stralci dall'intervista a Peter Handke effettuata dal giornalista
televisivo tedesco Martin Lettmayer nel gennaio 1997 e riportata in
inglese sul sito del Congresso dell'Unità Serba:
http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1417
http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1418
DOMANDA: Il sig. Levy e il sig. Finkielkraut, naturalmente l'hanno
attaccata...
HANDKE: Esatto. Ma loro non sono scrittori. Loro sono "I nuovi
filosofi". Non so perché siano stati chiamati "nuovi" o "filosofi".
C'è stata un'epoca all'inizio della guerra in cui loro hanno avuto
bisogno di me. Avevano bisogno di qualcuno che non fosse un filosofo,
ma un autore, un autore riconosciuto che, al contrario di loro, avesse
una qualche conoscenza della Jugoslavia. Dopo alcuni incontri con
Finkielkraut e Bernard Henri Levy, mi fu chiaro che loro volessero
soltanto usarmi. Ma appena presi le difese della Serbia, non mi
vollero più vedere. Questo è un gruppo veramente poco comunicativo. E
appartiene al Quarto Reich. Ci sono un sacco di soldi in ballo. E
potere. In Francia i libri e i mezzi elettronici sono completamente
controllati da una catena di gente come questa. Non si riesce più a
far arrivare nessuna notizia. La stampa francese e la TV sono
pressoché totalmente sotto il controllo di Bernard Henri Levy, così
come di Finkielkraut. Alcune persone lo ridicolizzano, ma in virtù di
tutti quegli indecenti, decorati, pessimi diari che lui [Levy]
pubblica sulla guerra in Bosnia, nessuno lo attacca più. Non un
singolo attacco. Prendono tutto come una buona letteratura. Tutto
quello che basta fare è prendere un paio di frasi nel dizionario
Robert's dei luoghi comuni. Il suo lavoro è sbagliato nei suoi punti
di vista, e pieno di errori di grammatica. Da non credere. Ma nessuno
fa niente. C'è in giro un sacco di denaro, e di potere. Tutto questo
mi fu chiaro dopo che mi incontrai un paio di volte con i "nuovi
filosofi". Decisi di non firmare nulla. E non sarei più andato ai loro
incontri. Hanno usato questo fatto contro di me, ma è meglio così.
DOMANDA: Questi signori Finkielkraut e Levy pero' mi interessano.
Potrebbero guadagnare soldi scrivendo altro, invece il primo elogia la
democrazia di Tudjman, l'altro dice che l'Europa inizia a Sarajevo.
Chi li ha ingaggiati?
HANDKE: Gli intellettuali (non intendendo niente di negativo) non sono
a corto di denaro, oggigiorno. Perciò non è il denaro che li spinge.
E' il potere, il potere più del denaro. Certamente denaro e potere
sono strettamente connessi. Bernard Henri Levy, credo, non ha una
spiegazione per la sua demonologia. E' taciturno, ma ingannevole.
Taciturno e ingannevole, malizioso. E' una meraviglia speculare come
il suo diario di Bosnia ci mostri una quadro in cui esiste un secondo
potere, oltre a quello del governo, di Chirac, etc., un potere etico e
morale. Questo è quello che lui immagina. Ma questa è la difficoltà,
poiché moralmente ed eticamente, lui è una papera morta. (Come noi
diciamo in un proverbio austriaco, "sotto il cane").
Una volta vidi una scena girata, penso, dalla TV tedesca, in cui Levy
va al Centro Culturale Jugoslavo a Parigi, con un gruppo di suoi
seguaci. A questo punto la donna che dirige il centro desidera
chiudere l'edificio. Lei rifiuta di passare la chiave agli intrusi.
Levy e il suo assistente, prendono la chiave alla donna con la forza.
Per due o tre minuti questa donna, abbastanza anziana, urla, grida:
"No, non voglio darvi la chiave, non vi appartiene. Non potete entrare
qui."
Levy rimane li, proprio come il commissario comunista dei film di
seconda categoria con il suo soprabito di pelle nero, e, sorridendo,
osserva il suo amico mentre rigira e strappa la chiave dalle mani
della donna. Questa immagine dovrebbe essere trasmessa dai notiziari
della sera, per tutti i tre minuti, su ogni emittente TV del mondo per
far vedere come questo autoproclamato difensore di Sarajevo e della
Bosnia, si comporta con la gente di tutti i giorni. Mi piacerebbe che
tutto il mondo lo guardasse.
DOMANDA: E' convinto che tutte queste persone che oggi fanno queste
cose, potranno correggersi?
HANDKE: No, sarebbe troppo facile. E' tragica, la storia della
Jugoslavia, la storia dell'Europa in questo secolo. Come la storia
avviene e come la storia viene scritta, sono due cose unite insieme.
Questa storia va insieme con la storia del popolo ebreo. Queste sono
le due storie tragiche. E probabilmente non saranno corrette. Pensare
in questo modo, che un giorno le cose potranno essere viste
differentemente, penso, sarebbe un falso ottimismo. Questa gente non
cambia. Con il loro linguaggio e le loro immagini hanno commesso così
tanti crimini, crimini veri, contro la Jugoslavia. Ci sono crimini che
possono solo essere perpetuati. Non c'è via di ritorno.
(zajednicki priredili : Olga iz Pariza, i Andrea iz Rima)
(a cura di Olga, da Parigi, e di Andrea, da Roma)
www.tenc.net
[Emperor's Clothes]
=======================================
Can Democracy be Constructed Based on Terror &
Fraud? -
The BHHRG Report on the Kosovo 'Elections,' 17
November 2001
[This report was prepared by Dr. David Chandler. It is Posted with the
kind permission of the British Helsinki Human Rights Group, 28 November
2001. For some quite interesting Further Reading, go to end of page.]
=======================================
Faking Democracy and Progress in Kosovo
1. Background
"This was an extraordinary election."[i] The pronouncement of US
Ambassador Daan Everts, OSCE Mission chief, running the elections was
very apt. These elections were truly extraordinary in many respects.
One extraordinary aspect is that they were held in a legal vacuum.
Kosovo is neither an independent state nor any longer under the
government of Serbia or the Federal Republic of Yugoslavia. The question
of statehood is to be postponed to the indefinite future while the
United Nations assumes the responsibility for governing the province,
through the UN Mission in Kosovo (UNMIK) headed by the
Secretary-General's Special Representative (SGSR) the former Danish
foreign minister, Hans Haekkerup.
The provincial government elected on 17 November reflects this lack of
international legal framework. The new post-election arrangements are
outlined in a document titled `A Constitutional Framework for
Provisional Self-Government in Kosovo'.[ii] This is not a constitution
but a `framework' for a constitution and not self-government but
`provisional' self-government. The ill-defined legal and political
status of the former Yugoslav province, reflects Western powers'
diminished respect for state sovereignty and the crumbling formal
framework of international legal and political equality. (1)
Kosovo is an `extraordinary' political experiment because the system of
`dual power' of an international governing administration alongside a
subordinate, domestically-elected administration, which developed in an
ad hoc manner in Bosnia-Herzegovina, is here for the first time
officially institutionalised. The new framework for a `constitution' of
Kosovo, is the first modern political constitution to explicitly rule
out democracy. The preamble states that the `will of the people' is to
be relegated to just one of many `relevant factors' to be taken into
account by the international policy-makers.[iii]
The executive and legislative powers of the UN Special Representative
remain unaffected by the new constitutional framework. Chapter 8 of the
framework lists the powers and responsibilities reserved for the
international appointee, which include the final authority over finance,
the budget and monetary policy, customs, the judiciary, law enforcement,
policing, external relations, public property, communications and
transport, housing, municipal administration, and the appointment of
regulatory boards and commissions. And, of course, the power to dissolve
the elected assembly if Kosovo's representatives do not show sufficient
`maturity' to agree with his edicts.[iv]
2. Sham Elections
Many international plenipotentiaries, including US President George
Bush, Nato Secretary-General Lord George Robertson and United Nations
Secretary-General Kofi Annan, urged the Kosovo public to turn out to
vote, particularly the Kosovo Serbs. When it emerged that around 60% of
the Albanian and 50% of the Serb voters had taken part, the elections
were loudly hailed by the international organisers and observers to be a
`glorious day in the history of Kosovo' and as a `huge success'.[v] The
question of why the international community chose to spend millions of
dollars holding elections for a provincial administration with token
office-holders with highly circumscribed powers was, unfortunately,
rarely asked.
These elections were extraordinary in the importance attached to them,
not just because of the lack of power awarded to the victors, but also
the fact that the results were largely irrelevant once the electoral
`engineering' of the OSCE and UNMIK was taken into account. The largest
party, the Democratic League of Kosovo (LDK), led by Ibrahim Rugova,
which won 46% of the votes, would not have been able to form the
government even if they had won a land-slide victory. This was because
the seats in the seven-member presidency and positions in the new
ministries were already divided in a fixed ratio in advance. For
example, the largest party and second largest party, the Democratic
Party of Kosovo (PDK) under Hashim Thaci, with 25% of the votes, were to
have two seats in the presidency with the third party holding one seat,
the two remaining seats were reserved for Serb and other minorities.
This system of dividing the seats before the elections made the
international pressure on Belgrade to encourage Kosovo Serbs to vote, in
order that they might have more of a say in the future of the province,
rather bizarre. The Serb community was already guaranteed 10 reserved
seats in the 120 seat assembly, a seat on the presidency and at least
one of the nine ministries, regardless of whether any Serbs voted at
all.
I was monitoring the Kosovo elections on behalf of the British Helsinki
Human Rights Group with the official international observation mission
of the Council of Europe. It did not take long to see why the
extravagant hype had taken over from the mundane reality of the
elections. At the start of the Council of Europe observer training, Lord
Russell Johnstone, the President of the Council of Europe Parliamentary
Assembly, put the elections in the broader context of international
intervention today. `The international community needs to prove that
intervention was benign [in Kosovo and East Timor] and will create
better conditions. These elections are a proving exercise.' Lord
Johnstone is probably correct to see the November elections as little
more than a `proving exercise' for the international institutions
involved in the violation of Yugoslav sovereignty and the promotion of
`military humanitarianism' in Afghanistan and elsewhere. This would seem
to be confirmed in the stated concern of the OSCE organisers to achieve
an election that made the international mission appear `legitimate and
credible'.[vi]
Bearing in mind the international importance of the `success' of the
Kosovo elections, the `independent' observation mission of the Council
of Europe claims that the provincial elections were `free and fair'
should not necessarily be taken at face value.[vii] It is highly
doubtful that these elections would have been passed as `free and fair'
had they taken place outside the international supervision of the OSCE.
The election conditions, in which there was a complete absence of
freedom of movement for minority communities, and many of the OSCE
election regulations covering the media and political parties, failed to
meet basic internationally accepted standards, such as those laid out in
the OSCE's 1990 Copenhagen Declaration on Democracy and Political
Pluralism.[viii] The following sections compare the claims of the OSCE
against the reality of Kosovo in more depth.
3. Creating Multi-Ethnic Society?
Without visiting the region it is difficult for outside observers to
imagine the depth of fear and insecurity which pervades the province
despite more than two years of government by the international
community's expansive `peace-building' mission. (2) There has been a
highly restricted number of Serb and minority returns to Kosovo, and the
UNHCR estimates that since the UNMIK administration took over more
minorities may have left the province than returned.[ix] One reason for
this is that Serb and other ethnic minorities still have no freedom of
movement in Kosovo. The lack of movement could be seen when we visited
the allegedly multi-ethnic `zone of confidence' in Mitrovica, which has
no Serb minority and is basically a Bosnian Muslim settlement policed by
a 24-hour UNMIK armed guard. Or when we walked further along the Ibar to
the uninhabited ruins of the Roma `Malhalla', formally the largest Roma
settlement in the Balkans, destroyed after the war. It is not yet
possible for any of the 7,000 former residents to return in safety.
The ethnic-apartheid ruled over by UNMIK (3) also had a direct impact
on the election campaign and election monitoring. The Council of Europe
election observation teams were told not to enter minority Serb or
Albanian areas within their allocated municipalities because it would be
too dangerous for their drivers and interpreters. Apart from indicating
the complete separation of the Serb and Albanian communities, this
instruction also meant that the `independent' observers had a highly
restricted view of the elections. One further impact of the lack of
security for ethnic minorities was the fact that the voters' list, the
basic tool to guide election campaigning, was considered to be sensitive
information. The voters' list was not available to be used by political
parties and could only be consulted if no notes or photographs were
taken, making full transparency impossible.[x]
Far from admitting to the failures of the Nato intervention or the
subsequent `peace-building' programmes of the UNMIK administration, and
the ethnic-apartheid, which is in place, the OSCE had boasted that the
elections were overcoming ethnic divisions. One reason for this
statement was that there were allegedly minority members on the polling
station committees.I was observing in the north of the Mitrovica area,
in Leposavic, a moderate-dominated Serb area, I saw no minority
committee members and asked an OSCE polling station supervisor if the
policy had been dropped. He replied that the polling station committee
were all minority community members as they were all Serbs. Classifying
mono-ethnic polling station committees as minority ones makes the OSCE
election organisation look artificially multi-ethnic. This artificial
`engineering' to create multi-ethnic institutions on paper is also
promoted as an important outcome of the elections themselves. Every
level of government, including the Presidency, the Ministries and the
Assembly will have reserved places for minority community members. These
minority members will be bussed in to meetings from minority enclaves
under heavy military guard. Multi-ethnic government will be created by
edict, but this will not reflect the divided society, nor help to break
down inter-ethnic barriers. The insecurities of minority and majority
communities are not caused by ignorance or irrational prejudice but by
rational concerns that the artificial and temporary nature of the
current settlement imposed by UNMIK can not be sustainable.
The lack of refugee return and poor treatment of non-Albanian minority
communities, was one reason for the low turn-out in some minority areas
of Kosovo, particularly in the Serbian enclave north of the Ibar river
which divides the town of Mitrovica. At some polling stations turn-out
was under 10%.[xi] In Leposavic around a third of the 6,500 population
were refugees. I visited the refugee centres for Roma and Serbs
displaced from southern Kosovo. I spoke to Gushanig Skandir the head of
the Roma camp, who showed us around the overcrowded and poorly funded
site, where large families were forced to share single rooms and use
outside toilet and washing facilities despite the winter cold.He told me
that after waiting three years their centre had received a new roof 20
days ago, he believed this international aid was because he encouraged
the adults in the camp to register to vote and to encourage the Roma
refugees to vote on election day. He was sceptical about the elections
but felt the Roma might receive more aid from the international
community if they voted. The following day I saw him at the polling
station in the local school. Gushanig may have made the pragmatic choice
to vote but many other refugees and displaced people in similar
situations told us that voting could make no difference especially as
the leading Serb representatives would have seats in the Assembly
anyway.
In an attempt to portray the low turn-outs as unconnected to the lack
of freedom of movement and alienation of minority communities, Daan
Everts declared: `The only thing which marred what was a glorious day in
Kosovo's history was that some Serbs in the north of Kosovo were too
intimidated by other people in their own community to come out and
vote'.[xii] This claim was repeated on BBC World television, in
international press headlines and in the post-election International
Crisis Group report, which stated that `the intimidation of would-be
Serb voters marred the election in Serb-controlled region north of the
Ibar river'.[xiii] The intimidation claims were news to the independent
observers in the region. I attended the Mitrovica area debriefing for
the Council of Europe observers after the elections and intimidation was
not mentioned, the observation team for the north Mitrovica municipality
received not one report of intimidation. At a post election party for
internationals the mystery was clarified when I spoke to the OSCE
regional trainer for the Mitrovica area who told me that his boss's
claims of intimidation were based on highly dubious allegations `of
people staring outside polling stations and looking inside them'.
4. Political Pluralism, Free Press and Civil Society?
The OSCE and UNMIK regard the Kosovo political parties as a hindrance
rather than a help in addressing the problems of the province. They are
seen to be lacking maturity and in need of `continuous support from the
OSCE Democratization Department to enhance their organisational capacity
and to increase their political and social possibilities to advocate for
democratic changes'.[xiv] Daan Everts argued that the political parties
were so out of touch that the international community was, in effect,
more democratic and more representative of popular opinion. He stated
that the OSCE needed to inform the political parties of the concerns of
the people and to encourage them to respond to the demands of the
electorate.[xv]
As part of the process of making political parties more `accountable'
there are a host of restrictive regulations of the political sphere.
These include the fining of newspapers if they favour a major political
party. Epoka e Re was fined DEM 1,000 for `a clear bias in favour of the
PDK in its election political reporting' while Bota Sot was fined DEM
2,750 for coverage which was favourable to the LDK.[xvi] I asked Lucia
Scotton, the Council of Europe's Mission in Kosovo's media monitoring
officer, how these fines squared with the OSCE's claim to be encouraging
a free and independent media. Her view was that although it was an
international norm for a free press to take a political position
favouring a particular party in election campaigns, the fines were
`reasonable' because the press in Kosovo was not professional or mature
enough to act freely and independently yet.[xvii]
The OSCE Code of Conduct for political parties also breaches
internationally accepted democratic norms by holding political parties
responsible for the actions of their supporters.[xviii] I asked Adrian
Stoop, the Chief Commissioner of the OSCE Election Complaints and
Appeals Commission about whether this regulation complied with
international standards.[xix] He replied that `In Holland this law would
be unthinkable.' He explained that the internationally-appointed
Commissioners supported regulations which they would not accept in their
own countries because the international administrators found it hard `to
get a grip on what is happening' and `didn't speak the language'. In
order to give the international regulators greater control, the rules
had to be more pragmatic and flexible to try to influence the political
parties and the political climate.
The OSCE election `engineers' also sought to limit the influence of the
political parties once they got into power. Daan Everts stated at a
training session for Council of Europe observers that `these elections
force a certain degree of power-sharing', undermining the power of the
larger parties by restricting their positions and influence in the new
institutions.[xx]He added that the OSCE had learnt from the municipal
elections last year `to impose a bit more'. The flexible `framework' for
a `constitution' allows the line between international and domestic
responsibility to be easily blurred. Firstly, UNMIK has established
`international advisors' for the President, Prime Minister and ministers
and each ministry will also be overseen by an international `Principal
Advisor'. Secondly, the functions reserved for the UN's Special
Representative are so vaguely defined that they cover much of the
responsibilities `devolved' to the nine ministries. However, in the true
spirit of transparency and accountability the UNMIK spokesperson says
that at this stage `it is hard to describe' what powers will be needed
to carry out these reserved functions.[xxi]
While the political parties were being restricted at least it appeared
that one area of political life was booming, civil society. The growing
strength of civil society was indicated by the fact that this year there
was more than twice the number of domestic observers as last year,
representing 1% of the electorate. Daan Everts described the elections
as the `best monitored elections this century'.[xxii] In fact, according
to the OSCE, there `could be the highest proportion of election
observers to voters in the world'.[xxiii] One does not have to be a
hardened cynic to wonder why 1% of the population would be so keen to
observe the elections. I thought it would be interesting to find out.
When I asked the NGO observers more about how they got involved I was
surprised to find out that many did not know what `their' NGO did or
what its' initials stood for, and had got involved through being invited
by a friend. This was particularly true for those observing on behalf of
one of the best represented domestic NGOs, the KMDLNJ (Council for the
Defence of Human Rights and Freedoms) based in Pristina. The reason the
KMDLNJ had so many observers was probably because they were paying
people DEM 80 to take part. CeSID a Serbian-based NGO with close links
to the OTPOR student movement was paying people DEM 25 to observe. The
other NGO observers were paid somewhere between the two.
The dynamism of civil society, like every other aspect of these
elections was a fake. In the regional de-briefing back in Pristina, all
the observers noted that the domestic observers were rather
disinterested in the proceedings. It seems likely that the OSCE and its
international sponsors' actions of buying-in civil society NGOs will
have little positive impact in the longer run. It hardly encourages
people to take communal responsibility for democracy if people are paid
half-a-month's wages to `volunteer' to be part of the democratic
process. The statistics for domestic observers may have looked good on
paper but the OSCE's approach of artificially `engineering' the effect
it wanted may only set back any genuine attempt to involve the Kosovo
public in the political process. If civic NGO involvement is promoted as
an election-related job, like interpreting and driving for the
internationals, then this undermines, rather than promotes, the idea of
voluntary civic engagement.
5. Conclusion
The November 17 elections in Kosovo were phoney in every major respect.
They were phoney in that under the fiction of multi-ethnic government
they helped legitimise a society that provides no normal existence for
ethnic minorities, merely imprisonment in ethnic enclaves and military
escorts to visit family cemeteries or former homes and villages. They
were phoney in that through the fiction of `staring' Serbs the
responsibility for the low turn-out in some regions was seen to be the
fault of minorities themselves, rather than the ethnic segregation
overseen by the international community. They were phoney because under
the guise of promoting media freedom and independence, freedom of
expression and political debate were further restricted. They were
phoney because under the guise of promoting political pluralism,
majority rule was replaced by a consensus imposed by the UN's Special
Representative. They were phoney because under the fiction of a vibrant
civil society the OSCE and its partners corrupted the process of
encouraging civic engagement. Most importantly, they were phoney because
under the fiction of democratic autonomy for the people of Kosovo, they
legitimised a constitution that openly replaced the `popular will' with
the unaccountable power of an international protectorate.
The OSCE and UNMIK are celebrating the elections as a major
international success. They may have secured some international
legitimacy for their tin-pot protectorate and won kudos for their
`success' in encouraging `democracy' and `peace' in Kosovo. However,
phoney elections can only create phoney consultation bodies. The reduced
election turn-out among the Albanian voters and the low turn-out for the
Kosovo Serbs suggests that the domestic legitimacy of the international
protectorate may be the real sticking point for the future.
This report was compiled by Dr David Chandler, Policy Research
Institute, Leeds Metropolitan University. He is the author of Bosnia
Faking Democracy After Dayton (Pluto Press, 1999, 2000) and From Kosovo
to Kabul: Human Rights and International Intervention (Pluto Press,
March 2002). He can be contacted at D.Chandler@....
[i] `First Official Results in Kosovo Election Announced', OSCE Mission
in Kosovo (OMIK) Press Release, Pristina, 19 November 2001.
[ii] `A Constitutional Framework for Provisional Self-Government in
Kosovo', UNMIK/REG/2001/9, 15 May 2001.
[iii] `A Constitutional Framework for Provisional Self-Government in
Kosovo', UNMIK/REG/2001/9, 15 May 2001, p.4.
[iv] For further background information on the framework for
provisional self-government, read: Simon Chesterman, Kosovo in Limbo:
State-Building and "Substantial Autonomy", International Peace Academy,
August 2001. Available from: <http://www.ipacademy.org/>; Independent
International Commission on Kosovo, The Follow-Up: Why Conditional
Independence? September 2001. Available from:
<http://www.kosovocommission.org/>; International Crisis Group, Kosovo
Landmark Election, November 2001. Available from:
<http://www.crisisweb.org>.
[v] `Kosovo's Election Hailed a Huge Success', OSCE Mission in Kosovo
(OMIK) Press Release, Pristina, 17 November 2001.
[vi] International Crisis Group, Kosovo: Landmark Election, Balkans
Report, No.120, Pristina/Brussels 21 November 2001, p.1.
[vii] `Kosovo Assembly Elections Bring Democracy Forward and Strengthen
regional Stability', Council of Europe Election Observation Mission in
Kosovo Press Release, Pristina, 18 November 2001.
[viii] Document of the Copenhagen Meeting of the Conference on the
Human Dimension of the OSCE. Available from: <http://www.osce.org/docs>.
[ix] Interview with Leonard Zulu, Senior Protection Officer, UNHCR,
Pristina, 13 November 2001.
[x] Information provided by Peter Urban, Director of Elections, OSCE,
Council of Europe Training Programme, Pristina 13 November 2001.
[xi] Information provided by OSCE Spokesperson Claire Trevena, 21
November 2001.
[xii] `Kosovo's Election Hailed a Huge Success', OSCE Mission in Kosovo
(OMIK) Press Release, Pristina, 17 November 2001.
[xiii] Nicholas Wood, `Serbs "Face Threats at Polls"', Observer, 18
November 2001; International Crisis Group, Kosovo: Landmark Election,
Balkans Report, No.120, Pristina/Brussels 21 November 2001, p.i.
[xiv] Kosovo's Concerns: Voters' Voices (Pristina: OSCE Mission in
Kosovo, 2001), p.iii.
[xv] Daan Everts, `Foreword', Kosovo's Concerns: Voters' Voices
(Pristina: OSCE Mission in Kosovo, 2001), p.iii.
[xvi] `Fines Given for Political Violence and Reporting Bias', OSCE
Mission in Kosovo (OMIK) Press Release, Pristina, 10 November 2001;
`Newspaper Sanctioned for Photo', OSCE Mission in Kosovo (OMIK) Press
Release, Pristina, 16 November 2001.
[xvii] Interview, Pristina, 18 November 2001.
[xviii] `The Code of Conduct for Political Parties, Coalitions,
Citizens' Initiatives, Independent Candidates, Their Supporters and
Candidates', Electoral Rule No.1 1/2001, OSCE Mission in Kosovo, Central
Election Commission. Available from: <http://www.osce.org/>.
[xix] At the Council of Europe Training Programme, Pristina, 13
November 2001.
[xx] Speech at the Council of Europe Training Programme, Pristina, 13
November 2001.
[xxi] UNMIK-OSCE-EU-UNHCR Press Briefing, 22 November 2001. UNMIK
Unofficial Transcript.
[xxii] `Calls for Kosova's Serbs to Vote', RFE/RL Newsline, Vol.5,
No.214, Part II, 9 November 2001.
[xxiii] `Plea to Election Observers: Be Patient', OSCE Mission in
Kosovo (OMIK) Press Release, Pristina, 9 November 2001.
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COMMENTS & FURTHER READING:
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Prepared by John Flaherty and Jared Israel, Emperor's Clothes
1) UN Resolution 1244 guarantees that Kosovo will remain part of Serbia
and Yugoslavia. Nevertheless, Bernard Kouchner, head of the UN mission
in Kosovo (UNMIK) campaigned for the exact opposite during an earlier
provincial quasi-election. See "Solana and Kouchner push Kosovo
'Independence'" by Jared Israel at
http://emperors-clothes.com/analysis/lovein.htm
* (Return to Report, above)
2) In his informative report on the Kosovo elections, posted above, Dr.
Chandler writes that Serbs have been subjected to a reign of terror in
Kosovo "despite more than two years of government by the international
community's expansive `peace-building' mission."
We in the NATO countries have been taught that our leaders are
basically decent, but make mistakes. We are told that if bad things
happen in countries undergoing NATO 'nation-building' it is in spite of,
not because of, NATO leaders.
But in Kosovo, the evidence on the ground is overwhelming. Kosovo has
suffered an unprecedented reign of terror by Albanian secessionists
because of - not in spite of - NATO and UN control.
Many articles on Emperor's Clothes document this with abundant
references from the mainstream media and from highly credible observers.
The following is a small but important sample:
* "TERRORISM AGAINST SERBIA IS NO CRIME" Jared Israel and Rick Rozoff
show how NATO and the UN have gone 100% against the promise, made
in UN Resolution 1244, to prevent Albanian secessionist terrorism in
Kosovo. Instead this terror has been encouraged. Can be read at
http://www.emperors-clothes.com/articles/jared/nocrime.htm
* 'What NATO Occupation Would Mean for Macedonia'. NATO's
nightmarish control of Kosovo is documented in interviews with three
women from the town of Orahovac. They describe NATO's lofty
promises prior to taking over the province; NATO's actual entrance,
alongside the terrorist Kosovo Liberation Army; the transformation of
Orahovac into a death camp for Serbs and 'Gypsies' under NATO
management. Can be read at
http://www.emperors-clothes.com/misc/savethe.htm
* 'Women of Orahovac Answer the Colonel'. In this interview, three
Serbian women refute a Dutch Colonel's surreal description of life in
the brave new Kosovo town of Orahovac. Can be read at
http://emperors-clothes.com/interviews/trouw.htm
* 'Driven from Kosovo: Jewish Leader Blames NATO - Interview with
Cedda Prlincevic'. Mr. Prlincevic was President of the Jewish community
in Kosovo in the summer of 1999 when NATO - and the terrorist KLA -
took over. Mr. Prlincevic, at the time the chief archivist of Kosovo,
describes how he and thousands of others were driven from their homes
by the Albanian terrorists with NATO's approval.
* For those of us in the West, who tend to give our leaders the benefit
of the doubt, it is amazing to consider the career of the Kosovo
Protection Corps. Formed by top leaders of NATO and the UN in the fall
of 1999, from the outset it was comprised of members of a terrorist
group, the Kosovo Liberation Army.
The terrorist nature of the UN-sanctioned Kosovo Protection Corps is
documented in "How Will You Plead at your Trial, Mr. Annan?' at
http://emperors-clothes.com/news/howwill.htm
The use of the terrorist Kosovo Protection Corps to invade Macedonia is
documented in 'SORRY, VIRGINIA, BUT THEY ARE NATO TROOPS, NOT 'REBELS'"
* (Return to Report, above)
3) Dr. Chandler argues that the West has introduced apartheid-like
conditions in Kosovo. This is discussed in the "Statement of President
Slobodan Milosevic on The Illegitimacy of The Hague 'Tribunal,'" which
the kidnapped and imprisoned Yugoslav leader tried to deliver when he
appeared before The Hague 'Tribunal' on 30 August 2001. We have all been
told that Milosevic is a demagogue whose speeches advocate religious and
ethnic hatreds, but how many have read his words? Whenever he tries to
speak at The Hague, they turn off his microphone. He can be read at
http://www.icdsm.org/more/aug30.htm
Speaking of Milosevic, the media campaign portraying him as a monster
began with a speech he gave in Kosovo in 1989. It is described as
inciting race war. Read it. He argues that Serbia's strength is its
ethnic diversity. 'What Milosevic Really Said at Kosovo Field (1989)'
can be read at http://emperors-clothes.com/articles/jared/milosaid.html
* (Return to Report, above)
Join our email list at http://emperors-clothes.com/f.htm. Receive about
one article/day.
NELLA FORMAZIONE DELLE NUOVE FIGURE PROFESSIONALI
Per le sempre piu' frequenti operazioni di ricolonizzazione - nei
Balcani, in Africa Orientale ed altrove - si rende ormai necessaria una
adeguata preparazione professionale.
Per questo aumentano i corsi universitari per la formazione di
"operatori" quali: i "peacekeepers", gli "amministratori dei
protettorati", i "bombaroli chirurgici", gli "interventisti umanitari",
i "missionari umanitari", i "caschi bianchi", i "militari per la pace",
eccetera. Si tratta di figure professionali inedite: alcune di queste
entrano in scena nelle fasi avanzate del processo di colonizzazione,
altre operano invece nelle aree di crisi perche' esse diventino
effettivamente tali, praticando ad esempio ad esempio: la
destabilizzazione del quadro politico e sociale attraverso operazioni
di intelligence e disinformazione strategica, l'appoggio ai settori
politici piu' criminali e servili, ed eventuali bombardamenti
chirurgici su obiettivi selezionati quali i petrolchimici o le sedi
della Croce Rossa. (Andrea)
BALCANI: 'SAPIENZA' PROMUOVE MASTER A BELGRADO E SARAJEVO
(ANSA) - BELGRADO, 29 NOV - Lavori preparatori per la creazione di un
master in amministrazione statale e sostegno umanitario sono in corso a
Belgrado, organizzati dalle universita' 'La Sapienza' di Roma e dagli
atenei di Belgrado e Sarajevo, col patrocinio della Cooperazione
italiana, della Farnesina e dall'Ambasciata d'Italia in Jugoslavia.
L'apertura del master e' prevista a Roma il 10 dicembre, presso
l'istituto diplomatico del ministero degli esteri italiano, a Palazzo
Madama. Saranno presenti i rettori delle universita' di Belgrado Marjia
Bogdanovic, di Sarajevo Boris Tihi e i responsabili di altri atenei del
sud est europeo. Una delegazione della Sapienza composta dal
coordinatore per le relazioni internazionali, prof. Dino Gueritore, dal
prof. Giuseppe Burgio e dal dott. Massimo Cavena ha messo a punto con i
rettori Bogdanovic e Tihi gli ultimi dettagli organizzativi, assistiti
dall'ambasciata italiana a Belgrado. ''E' giunto il momento - ha detto
la signora Bogdanovic - di preparare i nostri giovani a riprendere
confidenza con la speranza in un futuro migliore di pace e sviluppo del
paese. L'universita' ha un ruolo importante in questo''. Il programma
comune, ha aggiunto Tihi, ''vedra' i nostri atenei come coordinatori
nei Balcani di questo ambizioso progetto''. L'iniziativa conta anche
sul supporto delle Nazioni unite e delle forze di pace presenti a
Sarajevo, che contribuiranno a fornire docenti, supporto logistico e di
sicurezza.(ANSA). COM-OT
29/11/2001 19:30
> http://www.ansa.it/balcani/jugoslavia/20011129193032061598.html
-------- Original Message --------
Subject: Professionisti italiani nelle operazioni di pace
Date: Wed, 28 Nov 2001 19:41:40 +0100
From: "Nello Margiotta"
To: <pck-pace@...>
PROFESSIONE PEACEKEEPER
(News ITALIA PRESS) "Fornire ai laureati competenze professionali che li
rendano capaci di operare in aree di crisi": questo l'obiettivo
dichiarato dal professor Alberto Antoniotto, direttore del
corso "Peacekeeping e interventi umanitari" presentato ieri nell'Aula
magna dell'Università di Torino, che partirà a gennaio.
Alla presenza di un pubblico prevalentemente maschile, con una numerosa
presenza di militari, il professor Miozzo dell'Università di Torino, il
generale Orofino comandante del Centro Operativo Interforze, il dottor
Piva del Ministero degli Esteri e il dottor Machin, responsabile dello
Staff College di Torino hanno illustrato gli obiettivi del corso che si
svolgerà per il secondo anno consecutivo, citando esperienze concrete di
operazioni in corso e le possibilità lavorative che si sono rivelate
per gli studenti dello scorso anno.
Gli interventi umanitari "da 20 anni portano l'Italia a essere operatore
nelle zone di crisi" ha detto il dottor Miozzo e "hanno portato gli
italiani in tutto il mondo": contingenti militari, ma anche volontari
italiani delle ONG. Dall'intervento in Libano, alla Somalia, alla
Bosnia, per poi citare i più recenti esempi del Kosovo e
dell'Afghanistan. Chiamati ad operare in scenari sempre diversi e in
situazioni molto delicate "i peacekeeper che il corso vuole formare
devono avere competenze e esperienza sul terreno: è un universo che
deve essere conosciuto, di cui fanno parte i militari, ma anche
volontari, ONG e organismi internazionali. La formazione proposta serve
a sapere dove e perché si va" spiega il direttore Antoniotto ed è quindi
necessario "un approccio culturale al peacekeeping" come lo ha definito
il dottor Machin. "Si tratta di voler insegnare una certa umiltà nel
rapporto con altre culture e di inserirsi neutralmente nelle zone di
conflitto".
Consulente del corso sarà generale Giuseppe Orofino che ha maturato
esperienza nel settore delle operazioni umanitarie: a lui abbiamo
chiesto il significato della formazione di peacekeeper italiani e quale
sia la consistenza dei contingenti di pace impegnati in territori di
crisi.
Generale Orofino, come giudica la realizzazione di questo corso e quali
prospettive offre per la presenza degli italiani in operazioni di pace?
Un corso di questo genere può contribuire innanzitutto a far conoscere
tutti gli interventi di questo tipo che gli italiani realizzano e hanno
realizzato, dal momento che spesso non si conoscono: questa integrazione
di conoscenza é molto utile perché va a costituire il famoso 'sistema
Italia' nel campo del Peace-keeping che stiamo realizzando e che
porterà a un maggiore e maggiormente qualificato contributo alle azioni
internazionali da parte del nostro Paese, verso le popolazioni che
hanno bisogno del nostro aiuto. Si vuole offrire una molteplicità di
conoscenze che formino peacekeepers con competenze che spaziano nei
campi giuridico, amministrativo, culturale, sociologico. E' un corso
che significa, per chi vuol frequentarlo, un primo passo verso una
scelta di vita dedita agli aiuti umanitari.
Che significato ha per il nostro Paese l'impegno in operazioni di
peacekeeping?
Le operazioni umanitarie sono in generale coordinate all'interno di un'
azione internazionale e vanno realizzate a vantaggio della comunità
internazionale stessa, nei confronti di persone e Paesi che vivono
situazioni di difficoltà e che stanno male. Il popolo italiano è un
popolo sensibile e incoraggia la partecipazione ad operazioni
umanitarie. Si tratta, inoltre, di inserire in questo modo il nostro
Paese nella contesto internazionale, ma il problema contingente è una
situazione esplosiva alle porte di casa nostra e quindi oggi è ancora
più opportuno realizzare queste partecipazioni a accollarsi un impegno
di questo genere.
Quale evoluzione ha avuto la realizzazione degli interventi umanitari
italiani?
Abbiamo cominciato negli anni Ottanta in Libano e poi siamo andati
avanti fino agli interventi attuali, abbiamo cominciato con piccole
operazioni di pace e siamo giunti a una presenza più significativa.
Esiste una differenza che è maturata in questi vent'anni di
peacekeeping italiano e consiste nel numero di interventi realizzati,
di uomini impegnati e nell'esperienza accumulata nel settore, che oggi
mettiamo al servizio di che voglia frequentare il corso in questione.
Quale pensa sia il ruolo delle Forze Armate negli interventi umanitari e
in che modo si inserisce la loro presenza in un corso di questo tipo?
La presenza delle Forze Armate con la loro esperienza deriva dal fatto
che esse sono Peacekeeper per eccellenza, sia singolarmente che come
complesso di forze che ha realizzato un servizio nelle aree di crisi per
popolazione e territorio: mi sembra un buon motivo per partecipare alla
docenza e fornire un supporto accademico per l'esperienza vissuta e le
conoscenze accumulato.
Che tipo collaborazione esiste tra le ONG e le forze armate? Ricorda
casi di contrasti nella gestione dei conflitti?
Direi che si può parlare di un'ottima collaborazione: c'è uno scambio di
informazione, di conoscenze, di esperienze e di aiuto, soprattutto per
quanto riguarda alcuni servizi che le ONG necessitano e che possono
essere, per esempio, garanzie di sicurezza.
Non mi sono mai capitati casi di divergenze. Nel corso della mia
esperienza, dal 1997 al 2001, non ho mai avuto occasione di poter
constatare l'esistenza di contrasti tra le diverse componenti che
partecipavano alle operazioni di peacekeeping.
Esiste un modello di peacekeeping italiano?
Non ci sono modelli perché ogni operazione umanitaria è diversa e
indipendente: ci possono essere esperienze e osservazioni recepite dalle
precedenti occasioni che e possono essere d'aiuto nelle future
operazioni.
Nello
change the world before the world changes you
Praznik Bratstva i Jedinstva, najviseg znacenja socijalisticke
ujedinjene Jugoslavije, okaljana od unutrasnjih i vanjskih
neprijatelja koji su od pocetka 1991. gurnuli balkanske narode u
strahovitu tragediju.
Godisnjica stvaranja Federativne Narodne Republike Jugoslavije, tokom
zasjedanja AVNOJ-a u Jajcu 29 novembra 1943.
U SPOMEN PETOKRAKA
Za obiljeziti taj historiski datum, Italijanska Koordinacija za
Jugoslaviju (CNJ) promice kampanju zastave SFRJ-e s petokrakom.
* Zastava velikog formata: od 40000 lira na dalje (21 Euro)
* Stolna zastavica sa stalkom: od 15000 lira na dalje (8 Euro)
Doprinos ide za troskove stampanja zastave, postarine, i aktivnosti
CNJ-e za upornu obranu AVNOJ-skih tekovina.
29 NOVEMBRE - GIORNATA DELLA REPUBBLICA
E' la Festa dell'Unita' e della Fratellanza, i piu' alti valori della
Jugoslavia socialista ed unitaria, infangati dai nemici interni ed
esterni che a partire dal 1991 hanno gettato i popoli balcanici in
una tragedia immane.
E' la ricorrenza della fondazione della Repubblica Federativa
Popolare di Jugoslavia, poi Repubblica Federativa Socialista di
Jugoslavia (RFSJ), avvenuta nel corso della Assemblea Popolare
Antifascista di Liberazione della Jugoslavia (AVNOJ) a Jajce, in
Bosnia-Erzegovina, il 29 novembre 1943.
UNA STELLA ROSSA PER RICORDARE
Per commemorare la ricorrenza il Coordinamento Nazionale per la
Jugoslavia promuove una campagna di diffusione delle bandiere della
RFSJ, i tricolori con la grande Stella Rossa dal bordo dorato al
centro.
* Una bandiera grande formato (circa 100x140cm): a partire da 40000 lire
(21 Euro)
* Una bandierina da tavolo (circa 15x25cm) completa di asticina e
sostegno: a partire da 15000 lire (8 Euro)
Il ricavato andra' a coprire le spese di produzione e spedizione
delle bandiere, ed in sostegno delle attivita' del CNJ per la difesa
intransigente dei valori dell'AVNOJ.
PER RICEVERE LA BANDIERA:
1. effettuare il versamento sul
Conto Bancoposta n. 73542037 (cin N, abi 07601, cab 03200)
intestato a E. Gallucci e I. Pavicevac, Roma
2. inviare la comunicazione del versamento effettuato con la
specifica del numero e del tipo di bandiere E L'INDIRIZZO AL QUALE
ESSE VANNO SPEDITE all'indirizzo email: <jugocoord@...>
oppure via fax al numero: 06-4828957
3. le bandiere saranno spedite entro la fine dell'anno 2001.
29/11/1990: mentre si festeggia per l'ultima volta la festa
nazionale nella Jugoslavia federativa ed unitaria, tutti i giornali
pubblicano le "rivelazioni" della CIA che giura che il paese si
sta per disintegrare.
All'inizio dello stesso mese il Congresso degli Stati Uniti
d'America aveva approvato la legge 101/513 per l'appoggio alle
leadership liberiste, nazionaliste e secessioniste.
> http://www.geocities.com/Pentagon/Barracks/3824/Image14.jpg
> http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/files/29novI.jpg
"...Vorrei rispondere ad un signore che ha posto una
domanda sulla presenza ed il significato della stella
rossa sui monumenti del comune di S. Dorligo.
Nel 1990, dopo i fatti che si sono susseguiti, la
Repubblica Socialista di Slovenia e' diventata
una repubblica a se stante, hanno abolito varie cose
e per prima cosa la stella rossa dalla loro
bandiera... Ma ancora dopo due anni, il Comune di San
Dorligo della Valle aveva nella sala del Consiglio tre
bandiere: la bandiera italiana, la bandiera dell'Europa
e la bandiera slovena con la stella rossa.
Ci fu una iniziativa ufficiale alla quale partecipo' un
rappresentante di Lubiana per la Slovenia. Terminato il
protocollo, costui si rivolse in via confidenziale al
Sindaco, dicendo: senta ma perche' voi ancora tenete la
vecchia bandiera con la stella rossa? Ed il signor sindaco
gentilmente risponde: se non fosse per quella stella,
qui, noi oggi, non parleremmo in sloveno.
Dunque la stella rossa e' il simbolo per il quale e'
caduta tanta gente del posto, e sui monumenti del paese
restera' per sempre."
(testimonianza di Aldo,
cittadino di Dolina / S. Dorligo della Valle,
paese bilingue in provincia di Trieste)
> http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/617
e per l'abolizione del Tribunale Penale dell'Aja
di E. Vigna
Nell'affrontare i drammatici eventi verificatisi a Belgrado a fine
Giugno, culminati con il rapimento dell'ex Presidente della Jugoslavia,
occorre partire da un dato, qui in occidente MAI citato ed è quello
che, alla scadenza dei tre mesi di carcerazione nella prigione di
Belgrado, con le accuse più eclatanti che andavano dall'abuso di
ufficio, alla corruzione, a omicidi, stragi, concussioni, ecc. ecc.,
il collegio difensivo dell'ex Presidente della Jugoslavia, aveva
presentato la domanda di scarcerazione entro il 30 Giugno per ASSOLUTA
MANCANZA di PROVE o di accuse supportate da fatti e non da "sentito
dire" o supposizioni personali. E questo nonostante fossero stati
citati 12 testimoni d'accusa considerati decisivi, ma nessuno di essi è
andato oltre genericità, supposizioni, ipotesi di colpevolezza (si veda
il documento allegato in "Jugoslavia 2001", Manes Edizioni).
Ecco che, "casualmente",il 28 Giugno, dopo pressioni, minacce, ricatti,
ultimatum da parte degli USA e della Nato sul governo fantoccio DOS,
scatta l'operazione di rapimento di Milosevic, sotto la regia CIA -
avendo dichiarato lo Stato Maggiore dell'Esercito Jugoslavo di non aver
fornito né un uomo, né un mezzo per l'estradizione dell'ex Presidente.
Emblematica e illuminante sul grado di sottomissione e dipendenza è la
telefonata, avvenuta prima di dare avvio all'operazione di sequestro,
tra il premier Djindjic ed il presidente Kostunica, svelata dal
giornale " Nedeljni Telegraf" (filogovernativo: in Jugoslavia dal 5
ottobre 2000 non esistono più giornali d'opposizione, l'unico che era
rimasto - "24 Ore" - ha chiuso in dicembre per mancanza di soldi... ma
si sa, la libertà e la democrazia Nato hanno un prezzo da pagare ai
nuovi padroni del paese) e poi confermata dallo stesso Djindjic alla
radio B92. Dalle loro stesse parole viene fuori il regista di tutto:
l'ambasciatore americano a Belgrado W. Montgomery, già ambasciatore in
Croazia negli anni della secessione e delle pulizie etniche (anch'esse,
come dichiarato a fine agosto all'agenzia croata Hina, dall'avvocato
L. Misetic difensore dell'ufficiale croato Gotovina, pianificate e
dirette dalla Cia...) e coordinatore a Budapest e Sofia degli "stages"
di formazione per gli attivisti di Otpor e i quadri della DOS del
futuro governo, condotti da personale Cia nel Luglio-Agosto 2000 e in
settembre prima del colpo di stato del 5 Ottobre. Oppure, nelle
dichiarazioni del vice presidente del governo serbo D. Korac alla Radio
France International, dove ha spiegato che era oltre un mese che vi
erano riunioni nella DOS per decidere come fare quest'operazione
delicata per il paese, e dove lo stesso presidente Kostunica vi
prendeva parte ed era d'accordo con questa necessità.
Bastano questi elementi per comprendere come la Jugoslavia non sia più
un paese sovrano e libero, un paese dove l'ambasciatore della nazione
che ha bombardato, distrutto e ucciso migliaia di civili innocenti, dà
ordini e ultimatum a questo governo fantoccio. Dove un elicottero Nato
viola confini e sovranità, preleva e rapisce un cittadino jugoslavo in
disprezzo di qualsiasi concetto di indipendenza e libertà: un paese che
non ha sovranità e indipendenza non può avere nessun tipo di libertà o
di altri diritti. Questo è un principio storico basilare, tutto il
resto sono chiacchere per salottieri opulenti.
Quindi una operazione di banditismo internazionale, a cui dovremmo
ormai essere abituati, visto che è solo l'ultima in ordine di tempo, ma
non l'ultima in prospettiva dati i tempi; una operazione che violenta
con arroganza e tracotanza le leggi e la Costituzione della Repubblica
Federale di Jugoslavia, il tutto al modico prezzo dei leggendari "30
denari", o in questo caso 30 dinari, visto che suddividendo per ogni
cittadino jugoslavo il valore del baratto della vita venduta di
Milosevic tra furfanti serbi e padroni yankee, viene circa questo
valore. Cioè un pugno di dollari per la povera gente jugoslava, ma
sicuramente milioni di dollari per questi novelli Giuda del popolo
serbo, che proprio nel giorno di "Vidovdan" (festa profondamente
radicata nei sentimenti e nella tradizione popolare serba) vendono come
merce di scambio un proprio cittadino in cambio di denaro. Un atto
infame e vergognoso, che resterà come un marchio storico su questi
mercenari prezzolati.
Ancora una volta, l'ennesima in questi 10 anni, è toccato a questo
popolo subire una ulteriore umiliazione e violenza morale, che lo ha
ridotto alla stregua dei popoli croato, bosniaco, albanese, macedone, e
cioè succube dei voleri e diktat della Nato e del liberismo selvaggio
del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale e del
capitalismo occidentale.
Siamo giunti al paradosso che gli aggressori processano gli aggrediti.
Chi giudica chi? I fuorilegge del diritto internazionale e delle leggi
di convivenza internazionale, processano il tre volte eletto Presidente
di un popolo, che non voleva stare al loro gioco e per questo va
piegato e sottomesso.
Questo è il famigerato Tribunale Penale Internazionale dell'Aja per la
Jugoslavia, un organo esecutore dell'imperialismo, ce lo dicono loro
stessi; ricordo che questo stesso cosiddetto tribunale ha archiviato
tutte le accuse per crimini contro l'umanità, l'uso di armi proibite,
cluster bomb e all'uranio impoverito, uccisione e mutilazione di
migliaia di civili (in gran parte donne e bambini), distruzione di
ospedali, scuole, centrali, fabbriche, case, strutture civili e anche
parchi. E non dimenticare il crimine del bombardamento del palazzo
della Televisione di stato a Belgrado e l'assassinio dei giornalisti
jugoslavi colpevoli di lavorare, cose che neanche il vituperato regime
dei Talebani è ancora arrivato a fare.
Una denuncia di centinaia di giuristi, avvocati, magistrati, medici e
personalità di tutto il mondo, contro tutti i governi Nato aggressori è
stata considerata non sufficientemente motivata e archiviata! Altro
che ricerca di latitanti o fuggiaschi, la Jugoslavia è lì, immiserita,
devastata, distrutta ; a disposizione di chiunque voglia documentarsi,
se lo vuole:
MA... come ha dichiarato J. Shea, il portavoce della Nato, circa
l'eventualità di una incriminazione dei governi Nato, quando è stata
presentata la denuncia egli ha serenamente dichiarato : "...dubito che
questo Tribunale (ndr, si riferisce al TPI dell'Aja) morda la mano di
chi lo nutre..." Servono altre profonde analisi?
Personalmente in questi anni non ho condiviso alcune scelte o
valutazioni di politica interna dei governi jugoslavi, mentre spesso
ho condiviso critiche che venivano da forze alla sua sinistra, ma tutto
questo è irrilevante e insignificante perché io/noi viviamo qui e là
per tre volte è stato eletto, ed ancora a settembre 2000 S. Milosevic
ha preso il 43% dei voti da solo contro 19 Partiti: 18 Jugoslavi + 1
straniero, la Nato, non va dimenticato.
Ora io vedo che fino ad un anno fa la Jugoslavia:
- era un paese indipendente, ed oggi non lo è più, oggi è sovraffollato
di uomini CIA, Nato, consiglieri stranieri di vario titolo e mercenari
locali; con marines ed elicotteri Nato padroni a Belgrado;
- era un paese Sovrano ed oggi non lo è più, Kosovo e Montenegro sono
ormai altro, Vojvodina e Sangiaccato si stanno attrezzando; con i
confini e le direttive all'esercito che arrivano da Bruxelles e
Washington;
- era un paese con un forte e radicato senso di Identità e Dignità
nazionali, e oggi è ridotto ad accettare e mendicare continui baratti,
contrattazioni, ricatti, imposizioni, ultimatum, umiliazioni come
quella di rapire un suo ex Presidente della Repubblica proprio nel
giorno di Vidovdan, anniversario della battaglia del 1689 a Kosovo
Poljie, forse la giornata più sentita dal popolo serbo. Mentre nello
stesso momento questo manipolo di governanti "democratici" retribuiti
a Washington, che arresta e perseguita soldati e patrioti jugoslavi
(vedi in "Jugoslavia 2001" il reportage di F. Grimaldi da Belgrado),
libera oltre 200 criminali UCK colpevoli non di efferati crimini, ma
SOLO di aver contribuito all'omicidio e scomparsa di oltre 2000 tra
serbi, rom, gorani, kosovari albanesi e altri, ed alla totale Pulizia
Etnica del Kosovo-Metohjia, ridotto ad un narcostato dominato dall'UCK.
- Era un paese dove la Zastava, cuore della classe operaia dei Balcani,
orgoglio della Jugoslavia, raccoglieva fino ad un anno fa lavoratori
di 36 nazionalità, distrutta e devastata con bombe all'uranio dagli
amici e protettori del nuovo governo DOS venduto allo straniero
aggressore, e che in 10 mesi dopo i bombardamenti era già stata
ricostruita di un terzo nonostante isolamento, sanzioni, embargo,
mentre oggi è una fabbrica morta, e da settembre 2000 non un muro è
stato ricostruito, nonostante i dollari elargiti o donati dal padrone
americano. Oggi i lavoratori Zastava hanno come unica prospettiva
l'emigrazione o la disoccupazione, in quanto la fabbrica è in svendita
al capitale estero; è proprio di questi giorni (settembre) la notizia
di 15500 lavoratori licenziati... come primo passo.
- Era un paese storicamente fiero ed orgoglioso. Oggi è un paese
umiliato, affamato, svenduto, deriso MA NON VINTO. Come ha sottolineato
S. Romano, ex ambasciatore: "...attenzione a voler infierire su questo
popolo, l'Occidente non deve dimenticare che non è stato mai piegato
né dagli ottomani, né dai nazisti, tantomeno dai fascisti italiani
nonostante gli eccidi e i crimini commessi...". E secondo lui la
violenza morale perpetrata con l'estradizione del suo ex Presidente
potrebbe ritorcersi non solo contro il nuovo governo, addomesticato e
disponibile, ma contro l'Occidente stesso, vissuto come impositore e
prevaricatore e non come partner...
Sarà anche lui un agente di Milosevic?...
Queste previsioni sono confermate dalle imponenti manifestazioni di
piazza, solo in quella di fine luglio scorso le agenzie internazionali
stimavano tra le 100.000 e le 150.0000 persone a Belgrado (chiunque
volesse ci sono le immagini) aperto da uno striscione con su scritto
TRADITORI e dove migliaia di persone, in maggioranza donne, portavano
la scritta: "Io sono Milosevic, arrestate anche me!". Oltre alle
manifestazioni in tutte le città della Jugoslavia, io personalmente
sono stato testimone a Kragujevac di un meeting con 7.000-10.000
persone (in una città di 120.000 abitanti!). E in piazza si è
ricompattato un blocco popolare e patriottico, che va dalle forze di
sinistra, quelle patriottiche, fino a quelle che si richiamano alla
dignità nazionale del popolo serbo, oltre a tantissimi che avevano
votato DOS nella speranza di migliorare la propria condizione e futuro.
Un esempio tra tutti: Petar Makara, leader della diaspora serba in
America, personalità che aveva sostenuto per anni Kostunica e che
oggi ha scritto un testo contro il tradimento di Kostunica stesso
(vedi "Emperors Clothes", 5/7/01).
Di fronte a tutto questo, SOPRA tutto questo si erge questo Tribunale
Penale Internazionale dell'Aja che su ordine Nato decreta chi sono i
buoni e i cattivi.
Marchia, ordina, sentenzia prima di un processo, esegue, rapisce
S. Milosevic, tre volte eletto dal suo popolo - e quindi se è colpevole
lo è anche il popolo serbo e jugoslavo, che per 10 anni lo ha scelto
come suo rappresentante e lo ha sostenuto nella politica di resistenza
alle aggressioni (politiche, economiche, militari e morali) contro la
Jugoslavia. E allora, se colpevoli, perché pagare i danni di guerra
(stesso meccanismo usato con l'Iraq - vedi in "Jugoslavia 2001",
allegato Onu sul caso Iraq)?
Cercavano e desideravano un uomo vinto, sconfitto, sottomesso, da
consegnare agli archivi della LORO storia, da far dimenticare...
Ma, come titolava un giornale di Belgrado: "Hanno sollevato il
vento...".
Tra tante responsabilità di vario genere, una colpa S. Milosevic
sicuramente ce l'ha, ed è quella di non essersi piegato alla Nato, di
non aver svenduto il proprio popolo agli affamatori del liberismo
selvaggio, di non aver assecondato la colonizzazione del proprio paese
tramite FMI, Banca Mondiale, i vari Soros e la loro marea
globalizzatrice.
E questa, ai giorni nostri, è una colpa che si paga con l'ergastolo, se
non con la morte.
Come hanno dichiarato i suoi avvocati (d'ora in poi unici portavoce
ufficiali, insieme a Mira Markovic) a nome suo: "Per quanto hanno
frugato e cercato, nelle mie tasche non hanno trovato un solo dollaro,
né sui miei vestiti una sola traccia di sangue...".
Comunque la si pensi, quest'uomo merita rispetto, non foss'altro perché
ha il coraggio di sfidare i padroni del mondo, lo strapotere
dell'imperialismo e le sue atrocità quotidiane contro i popoli e gli
oppressi della terra. E chiunque, in vari modi, cerchi di resistere
allo stato presente delle cose, di mantenere una coscienza fondata su
giustizia ed uguaglianza sociale, indipendenza e progresso sociale
come cardini fondamentali per poter parlare di libertà, non dovrebbe
restare indifferente.
Io credo che la battaglia di quest'uomo solo in quell'aula della Nato,
in piedi e fiero di fronte ai potenti, sia anche la nostra... anche se
qui in Occidente non ce ne rendiamo conto.
"Voi non vedrete mai apparire i piloti della Nato dinanzi ad un
Tribunale dell'Onu. La Nato è accusatrice, procuratrice, giudice ed
esecutore, poiché è la Nato che paga le bollette. La Nato non è
sottomessa al diritto internazionale. Essa è il diritto
internazionale".
(Lester Munson, parlamentare statunitense)
"C'è uno sforzo organizzato di cancellare per sempre dalla memoria
storica tutto ciò che è legato al tempo passato, perché esso ha portato
con sé il socialismo, i comunisti... Di nuovo nel mio paese, per la
seconda volta nel corso di questo secolo, i membri di una generazione
di combattenti coraggiosi moriranno infelici. Domandandosi: sotto
questo cielo serbo, per non dire slavo, non c'è giustizia? I migliori
uomini devono andarsene dalla vita come se alla società avessero fatto
solo del male? E forse quelli il cui contributo alla società è nullo,
quelli che hanno approfittato del lavoro svolto dagli altri e della
guerra combattuta dagli altri, devono essere l'elite? Per la seconda
volta osservo un dolore inconsolabile..."
(Mira Markovic)
"...Io sono il vincitore morale! Io sono fiero di ogni cosa da me
fatta, perché fatta per il mio popolo e per il mio paese, ed in modo
onesto. Io ho solo esercitato il diritto di ogni cittadino di difendere
il proprio paese e questo è il vero motivo per cui mi hanno
illegalmente arrestato. Se voi state cercando dei criminali di guerra
l'indirizzo non è qui a Scheveningen (ndr: il distretto dove è situato
il Tribunale all'Aja) ma al Quartier Generale della Nato..."
(Slobodan Milosevic, 30/08/2001)
Ottobre 2001
Enrico Vigna (Assoc. SOS Yugoslavia - Tribunale R. Clark Italia)
EIN KAMPF GEGEN DIE GLOBALISIERUNG DER BARBAREI
AUF DEM GEBIET DES INTERNATIONALEN STRAFRECHTS
Von Klaus Hartmann und Klaus von Raussendorff
(Der Artikel erscheint demnächst in
"junge Welt" und "Marxistische Blätter")
> http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/files/haag_raus.txt
> http://www.free-slobo.de
ZUSAMMENFASSUNG:
Der Kampf des Slobodan Milosevic gegen
das "International Criminal
Tribunal for the former Yugoslavia"
(ICTY) richtet sich gegen ein
ad-hoc-Tribunal, das von den USA und
ihren Verbündeten als Werkzeug ihrer
Aggression auf dem Balkan geschaffen
wurde. "ICTY, das ist das Kürzel für
eine neuartige internationale Strafjustiz
mit folgenden Merkmalen:
Mandatierung als ad-hoc-Tribunal durch
den Sicherheitsrat ohne Grundlage in
UN-Charta und internationalem Recht;
Abkopplung vom Meinungs- und
Willensbildungsprozeß der
Staatengemeinschaft in der
UN-Generalversammlung;
Selbstdefinition der Verfahrensregeln;
Tätigwerden als zweite Instanz in
eigener Rechtsprechung; Abschirmung gegen
die gutachterliche Funktion des
Internationalen Gerichtshof." Die
Anklägerin Carla Del Ponte fordert
öffentlich, "Milosevics Recht auf freie
Meinungsäußerung" einzuschränken.
Der Prozess scheint auf Jahre angelegt.
Mit der schieren Masse von Kriegs-
und Bürgerkriegsvorfällen in "Kosovo",
"Kroatien" und "Bosnien" hoffen
Tribunal und Kriegsmedien die in die
Köpfe gehämmerten Bilder und Deutungen
des Geschehens auf dem Balkan wieder zu
festigen und die NATO von ihren
Verbrechen freizusprechen.
"Milosevics Kampf ist nicht das
verzweifelte letzte Aufbäumen eines
ehemaligen Führers eines kleinen, von den
Transnationalen Konzernen und
ihren NATO-Regierungen unterworfenen
Landes. Sein Kampf ist nicht einfach
Verteidigungsstrategie in einem
politischen Schauprozeß. Milosevic kämpft
gegen eine Institution, die Parteilichkeit
und ungleiches Recht zum Prinzip
erhoben hat. Ziel seines Kampfes ist
nicht einfach, wie sonst in politischen
Prozessen üblich, politisch motivierte
Rechtswillkür einer im Rahmen der
bürgerlichen Rechtsordnung ansonsten
'normalen' rechtsprechenden Instanz
abzuwehren und zu entlarven. Der
'Angeklagte' Milosevic steht in Den Haag
gegen ein neuartiges Konzept, das mit dem
Grundsatz gleichen Rechts
definitiv gebrochen hat. Das Haager
'Tribunal' wurde illegal geschaffen. Es
ist von vornherein Partei. Die Natur des
Tribunals selbst verhindert einen
'fairen Prozeß'. Der Kampf gegen das
Haager 'Tribunal' ist der Kampf gegen
einen Modellversuch der Anpassung des
internationalen Strafrechts an die
neue Weltkriegsordnung der USA,
Deutschlands und ihrer Verbündeten. Es
ist der Kampf gegen den Rechtszynismus
der konzerngesteuerten Medienöffentlichkeit,
unter deren Einfluß auch die Linke steht. Dem
'Angeklagten' in Den Haag gebührt die
Anerkennung und Solidarität der
friedliebenden und rechtsbewußten
Menschen aller Länder."
"...die ersten drei Auftritte Milosevics
vor dem 'Tribunal' haben weltweites
Aufsehen erregt. Selbst seine Kritiker
konnten zur eigenen Überraschung
einen souverän auftretenden und brillant
argumentierenden Verteidiger der
Freiheit und Souveränität der Völker
erleben. Wenn nur einige Regierungen,
z.B. Chinas und Rußlands, mutig und
unabhängig genug wären, könnte sich
Widerstand gegen Den Haag auch in den
Vereinten Nationen regen." Die Autoren
des Beitrags, die dem Internationalen
Komitee für die Verteidigung von
Slobodan Milosevic angehören, appellieren
insbesondere an Menschen in der Anti-Kriegs-
und Anti-Globalisierungsbewegung mit dem
Argument, dass das Haager Tribunal nichts
mit "normalem" internationalen Strafrecht
zu tun hat sondern ein Werkzeug zur
Durchsetzung der Weltkriegsordnung ist,
gegen die sie protestieren und Widerstand
leisten, und dass daher der Kampf von
Slobodan Milosevic auch ihr Kampf sein sollte.
> http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/files/haag_raus.txt
> http://www.free-slobo.de