Informazione
VIDEO: http://www.youtube.com/watch?v=JPt7cpIwWkM
Sabato 22 novembre, in collaborazione con il Partito Comunista (PC) e l'Ambasciata della Repubblica Democratica Popolare di Corea, si è svolta a Roma una conferenza-seminario internazionale sul tema “RDPC, politica di pace e proposte”.
Oltre al PC italiano e ai rappresentanti dell'ambasciata della RDPC, all'incontro ha partecipato un imponente numero di rappresentanti di organizzazioni che coltivano l'amicizia tra i propri paesi di origine e la Corea; i rappresentanti del GAMADI (Gruppo Atei Materialisti Dialettici); e i rappresentanti dei partiti di sinistra europei.
La prima parte della conferenza è stata dedicata all'operato del dirigente nordcoreano Kim Jong Il, in occasione del terzo anniversario della sua scomparsa, che si compie il 17 dicembre. Gli interventi hanno voluto delineare la sua vita, le qualità di statista e la dedizione all'idea dello Juche.
La seconda parte è stata dedicata alla situazione attuale del paese, nel contesto delle costanti aggressive pressioni, minacce e provocazioni da parte degli USA. Nonostante le conseguenze derivanti da tale situazione, la RDPC è oggi un paese in intensa edificazione, che si è impossessato della tecnologia nucleare e che sviluppa un programma spaziale. Queste conquiste sono possibili grazie alla forte solidarietà e amore per l'indipendenza, formatisi attraverso lo Juche.
Un dettaglio interessante menzionato: il Partito Comunista Coreano è stato il primo a porre sulla propria bandiera, accanto alla falce e martello, una penna, simbolo di scienza e cultura.
Gli intervenuti sono stati unanimi nel riconoscere la RDPC come paese socialista con economia pianificata, adattata alle esigenze della popolazione e ideata con una regolamentazione legale in difesa della salute, dell'ambiente e dell'acqua.
Particolarmente interessante è stata la testimonianza dei molti presenti che hanno visitato il paese, anche più volte. Tutti hanno parlato della dinamica e ampiezza dell'edificazione notata. Hanno testimoniato dell'aumento di appartamenti, scuole, asili, stabili industriali, enti sanitari, e delle centinaia di edifici in costruzione, nel periodo trascorso tra due o più visite. Hanno evidenziato anche l'ampiezza dell'osservazione, consentita dal trasporto garantito in qualsiasi località abbiano voluto visitare, con scorta governativa, inclusa l'escursione dedicata al programma nucleare, privilegio garantito all'ingegnere nucleare Massimo Zucchetti, membro del Comitato Scienziate e Scienziati contro la guerra.
I presenti hanno attribuito questa dinamica di sviluppo a due parametri: l'idea dello Juche, che promuove l'autosufficienza con l'obiettivo di mantenere la vera indipendenza, senza però rifiutare la cooperazione e lo scambio di beni su un piano di parità; e lo stato dell'esercito. Oltre alla funzione primaria di difesa dei confini e sovranità del paese, l'esercito partecipa attivamente a tutti i progetti di edificazione.
Il messaggio fondamentale della conferenza si potrebbe riassumere con l'aver presentato in modo argomentato, in base alle proprie testimonianze oculari, un segmento della situazione nella RDPC che si differenzia radicalmente dallo stereotipo inoltrato dai media "mainstream" in mano ai centri finanziari del grande capitale.
Vladimir Kapuralin (presidente SRP – Partito Socialista dei Lavoratori, Croazia)
http://www.nkpj.org.rs/clanci-sr/tekst157.php
ДЕЛЕГАЦИЈА ИЗ ДНР КОРЕЈЕ У ПОСЕТИ НКПЈ
20. новембра 2014. делегација Демократске Народне Републике Кореје и Радничке партије Кореје боравила је у званичној посети Новој комунистичкој партији Југославије (НКПЈ).
Састанку у седишту НКПЈ присуствовали су са стране корејске делегације амасадор ДНР Кореје у Букурешту друг Ким Сон Гјонг и секретар амбасаде друг Ким Џон Селунд, док је са стране НКПЈ делегацију предводио Генерални секретар друг Батрић Мијовић уз Извршног секретар друга Александра Бањанца, члана Секретаријата НКПЈ Живомира Станковића и Првог секретара СКОЈ-а друга Александра Ђенића.
Састанак је представљао добру прилику да се стекне увид у различите видове империјалистичких махинација, лажи и интензивирања атака на ДНР Кореју, земљу која не пристаје да функционише по диктату империјалиста, у првом реду америчких империјалиста. Другови из амбасаде ДНР Кореје су пренели делегацији НКПЈ своја гледишта на те притиске које су довели у везу с актуелним дешавањима у свету, у Украјини, на Блиском Истоку, у Курдистану, Либији... Упркос тешким околностима ДНР Кореја остаје самоуверена у исправност свог пута и изградње социјализма, од чега не одустаје ни ново руководство предвођено Ким Џонг Уном. Руководство партије и државе је посвећено усавршењу и расту животног стандарда свог народа, посвећено је развоју економије и одрбрани земље, свесни да од њих данас не би остао ни камен на камену да нису изградили моћни одбрамбени систем и моћну армију.
У настојањима да се успешно одбрани од насртаја империјалиста који постоје од оснивања ове социјалистичке републике, ДНР Кореја велику захвалност дугује и својим искреним пријатељима у свету који је подржавају и солидаришу се с њом. На састанку је посебно истакнута улога НКПЈ у том погледу, као и генерално велика солидарност с народом Србије. Поновљено је да ДНР Кореја с гнушањем одбацује тзв. независност Косова, пројекат империјалиста за дестабилизацију и тлачење региона, наше државе и свих народа који живе на овом подручју.
Како је ово био уједно и опроштајни састанак с амбасадором Ким Сон Гјонгом који прелази на нове задатке, делегација НКПЈ му је пожелела нове бројне успехе у раду у циљу прогреса и солидарности народа који се боре против империјализма. Наставак успешне сарадње између наших партија ће се наставити посредством амбасаде ДНР Кореје која је, подсећамо, после пуча 2000. године измештена из Србије, и тренутно је амбасада у Букурешту надлежна и за територију Србије.
Секретаријат НКПЈ,
Београд,
21.11.2014
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https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8166
http://www.anpi.it/sulla-condanna-del-nazismo-non-ci-possono-essere-dubbi/
Si è appreso, nei giorni scorsi, che in una Commissione dell’ONU è stato posto in votazione un documento di condanna del nazismo. Gli Stati si sono divisi; il documento è stato approvato, ma con significativi voti contrari e/o di astensione.
Ci ha colpito - spiega il presidente nazionale dell'Anpi, Carlo Smuraglia - in particolare, vedere i Paesi europei, a partire dall’Italia, schierati sulla linea dell’astensione, così come il vedere, tra i voti contrari, anche quello degli Stati Uniti.
Le spiegazioni sono assolutamente insufficienti. Sulla condanna del nazismo, soprattutto in una fase in cui ci sono tanti rigurgiti di neo-nazismo, non ci possono essere dubbi, esitazioni o contrarietà, perché si è trattato di quello che alcuni hanno definito come “ il male assoluto” e tutti dovrebbero essere impegnati a non dimenticarlo.
In particolare - sottolinea il presidente nazionale dell'Anpi, Carlo Smuraglia - ci sembra grave che non si sia pronunciata a favore l’Europa (e, per quanto ci riguarda più da vicino, l’Italia), che ha vissuto praticamente in tutti gli Stati, l’orrore, la brutalità, la violazione dei diritti umani, da parte del nazismo. Non ci possono essere ragioni di opportunità, e tanto meno ragioni collegate alle presunte finalità di chi ha promosso l’iniziativa, che possano valere, in questo caso.
Quand’anche si dubitasse delle ragioni che hanno indotto a formulare quella proposta e quand’anche si ritenesse che anche lo Stato proponente meriterebbe un giudizio severo, per quanto riguarda i diritti umani, questo non toglierebbe che si trattava di esprimere una condanna severa del fenomeno nazista. Contro il nazismo e il fascismo, dopo le terribili esperienze vissute in Italia e in Europa, non si può fare a meno di schierarsi sempre in qualunque occasione; altrimenti perfino questa doverosa condanna rischierebbe di finire in un limbo di ambiguità, francamente non ammissibile e non accettabile quando si tratta di fenomeni devastanti come il nazismo.
Comitato Provinciale di Alessandria
L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato lo scorso 22 novembre una mozione presentata dalla Russia che condanna i tentativi di glorificazione dell'ideologia del nazismo e la conseguente negazione dei crimini di guerra commessi dalla Germania nazista.
La Risoluzione esprime "profonda preoccupazione per la glorificazione in qualsiasi forma del movimento nazista, neo-nazista e degli ex membri dell'organizzazione "Waffen SS", anche attraverso la costruzione di monumenti e memoriali e l'organizzazione di manifestazioni pubbliche".
Il documento rileva anche l'aumento del numero di attacchi razzisti in tutto il mondo.
Una iniziativa giusta, si dirà, visti i continui rigurgiti fascisti e nazisti ai quali si assiste sempre più spesso in diversi quadranti del mondo.
E invece no. Perché solo 115 dei Paesi rappresentati alle Nazioni Unite hanno votato a favore della mozione, mentre in passato il numero dei sì era stato assai più consistente, ad esempio 130 due anni fa. Incredibilmente ben 55 delegati, tra i quali il Governo italiano, si sono astenuti e 3 rappresentanti - quelli degli Stati Uniti, Canada e Ucraina - hanno addirittura votato contro.
La Vicepresidente nazionale dell'ANPI, Carla Nespolo ha inviato il seguente comunicato stampa, condiviso dall'ANPI Provinciale di Alessandria.
" L'astensione del Governo Italiano sulla risoluzione dell' ONU, approvata a maggioranza, che sancisce il rifiuto del neonazismo nel mondo e respinge "ogni forma di negazione dei crimini nazisti", è un atto grave e inaccettabile.
L'Italia è il Paese in cui la Resistenza al fascismo e al nazismo è stata tra le più forti ed estese d'Europa.
La Costituzione Italiana è, per specifica decisione dei Padri Costituenti, una Costituzione Antifascista.
Tanti partigiani, tanti giovani e tante donne, hanno lottato, sofferto e in molti casi hanno lasciato la vita, per sconfiggere nazismo e fascismo.
Vergognosa è l'astensione dell'Italia!
Il fatto che tanti altri Paesi Europei si siano astenuti, rappresenta una svolta pericolosa e regressiva nella stessa politica estera europea, ma non giustifica in alcun modo la scelta del Governo Italiano che ancora una volta ha rinunciato ad un ruolo di protagonista in Europa.
La decisione degli Stati Uniti d'America, del Canada e dell'Ucraina, di votare contro tale risoluzione, se mai, dimostra un'inaccettabile subalternità europea ed italiana, alla volontà americana.
Nè vale a giustificare tale scelta, il fatto che tale risoluzione sia stata proposta dalla Russia.
Tra l'altro si tratta di un documento molto simile ad altri, presentati nel 2011e nel 2012, e sempre votati all'unanimità o quasi, dall'Assemblea dell'ONU.
Persino Israele, Paese notoriamente amico degli Stati Uniti, ha votato a favore del rifiuto dell'ideologia fascista e nazista.
L'Italia si è astenuta! E questo è inaccettabile e deplorevole.
L'ANPI eleva alta e forte la propria voce, contro tale voto, che umilia la nostra storia democratica e offende la Resistenza, i suoi protagonisti e i suoi valori."
Decisione infame ma notevole, visto che la risoluzione includeva anche la condanna di “ogni forma di negazione dei crimini nazisti”, a cominciare naturalmente dall'Olocausto.
Dalle cancellerie europee si dirà - forse, come tardiva giustificazione - che questa risoluzione, presentata dalla Russia, era poco più che una ripetizione di analoghe risoluzioni approvate all'unanimità o quasi dall'Assemblea dell'Onu (già nel 2010 e nel 2012); e che, quindi, si trattava stavolta solo di una furbesca mossa propagandistica del Cremlino per raccogliere una condanna indiretta del nuovo regime ucraino, sorto dal golpe sponsorizzato da Stati Uniti e Unione Europea.
Possiamo senza sforzo convenire. Ma proprio questa motivazione rivela il peso tutto ideologicodella svolta pro-nazista della Ue, che con questo voto si sposta in blocco dal fronte democratico antinazista e quello “neutrale”, ovvero indifferente. O peggio.
In pratica questa motivazione spiega che “il merito” non conta nulla (la condanna del nazismo), la cosa più importante è contrastare l'avversario (la Russia) e sostenere l'alleato (l'Ucraina di Poroshenko e Pravy Sektor).
Non ci sono dunque più valori di libertà da difendere, non c'è più il “male assoluto”? Diciamo che con questo voto il concetto di “male assoluto”, storicamente e unitariamente identificato nel nazifascismo, non possiede più dei contorni valoriali riconosciuti e riconoscibili da tutti; ma diventa semplicemente l'etichetta da affibbiare al “nemico di turno”. L'integralismo islamico-sunnita dell'Isis può essere nominato come il nuovo "male assoluto", mentre i nazifascisti in carne-ossa-spranghe-fucili – in qualsiasi paese alleato dell'Occidente – non lo sono più. Se per caso ci fossero nei nazifascisti in un paese dichiarato “nemico” allora quello stigma potrebbe tornare nuovamente di moda; ma solo per il campo nemico, non per “i nostri alleati”.
Questa svolta ha una lunga storia, che data ormai dall'inizio degli anni '80. Durante tutto questo periodo lo stigma nazista ha continuato ad essere usato, anche a sproposito, per indicare il nemico di turno. Ricordiamo soltanto alcuni di questi “nuovi Hitler” che hanno costellato i discorsi dei presidenti statunitensi e quindi anche le prime pagine dei media occidentali. Il derelitto Noriega, agente Cia caduto in disgrazia e dittatore di Panama, è stato il primo ad avere avuto il dubbio onore di essere etichettato in questo modo. Poi è diventato un riflesso condizionato e irriflesso della propaganda, investendo Saddam Hussein (più volte, fino alla morte), Milosevic, Gheddafi, iraniani, dittatorelli africani o asiatici; con qualche penoso quanto infame tentativo di estendere lo stigma anche su rivoluzionari di sinistra (Chavez, per esempio), presto rientrato per manifesta insussistenza.
Questo voto di Stati Uniti e Unione Europea all'Onu mette perciò fine a una chiave retorica che ha caratterizzato tutto il dopoguerra occidentale e dichiara la fine dell'unità (molto conflittuale, naturalmente) del mondo nato dalla guerra contro il nazifascismo. Da oggi in poi “l'Occidente” dichiara di prepararsi a combattere "l'Oriente" e quindi annulla al proprio interno i confini – non sempre molto rigidi – entro cui erano stati rinchiusi i nazifascisti. C'è bisogno anche di topi e carogne, di criminali e serial killer, se questo è l'obiettivo...
Ci sembra notevole che questa svolta avvenga sotto l'egida del “primo presidente afroamericano” della storia. E' una prova che "il mito della razza" era effettivamente solo un mito bastardo ("la razza ce l'hanno i cani", disse la più immensa testa del '900). E ci sembra notevole anche il fatto che sia stata così repentina da spiazzare anche il principale alleato occidentale in Medio Oriente. Israele ha infatto votato a favore della mozione russa; con tutta la buona volontà criminale del suo governo, infatti, proprio non poteva votare contro o astenersi su una condanna dei killer dell'Olocausto.
Ci sembra altresì interessante (per essere notevoli ci vuole un po' di statura) che questa svolta non abbia ricevuto, fin qui, alcuna espressione critica da parte del primo presidente della Repubblica proveniente dalle fila dell'ex Pci. Sempre sollecito ad esternare il proprio pensiero su ogni aspetto dell'attualità politica, dovremmo interpretare il suo silenzio - se perpetuato - come assenso. Con tutte le conseguenze del caso, anche sul piano della sua stessa legittimità costituzionale. Su Renzi e i suoi ministri, invece, la Costituzione esprime già un giudizio implicito, anche se irriferibile...
Il mondo che va alla guerra non ha più bisogno delle vesti idologiche adottate – spesso a fatica e per opportunismo – in tempi di “pace armata”. E l'anima più vera del nazismo – lo sterminio industrializzato – è assolutamente “interna” alla logica del capitale. Quindi, può benissimo esser tollerata. Potrebbe persino tornare utile, se non si troveranno soluzioni “liberal-democratiche” alla crisi...
p.s. Il documento dell'Onu con il voto di ogni paese: Y=yes, N=no, A=astenuto
http://www.resistenze.org/sito/os/ip/osipem29-015449.htm
Klodian Muco* | economiaepolitica.it
24/11/2014
Le riflessioni sulla perdita di competitività delle imprese italiane sui mercati internazionali sono da lungo tempo all'ordine del giorno. Si è soliti attribuire questa situazione alla pressione fiscale eccessiva e al costo del lavoro nel mercato italiano. Su questa rivista sono spesso apparsi dei contributi che hanno individuato le ragioni di questo tracollo in altri fattori, come l'assenza di una vera politica industriale e delle innovazioni. Fatto sta che le imprese italiane spesso spostano la produzione in altri paesi: le aziende che operano nei settori ad alta intensità di lavoro non specializzato cercano situazioni in cui il costo del lavoro sia minore.
I lavori empirici più recenti identificano il costo del lavoro come il fattore più importante per spiegare la frammentazione internazionale della produzione; così facendo una parte degli insegnamenti tipici del ragionamento di Marx tornano implicitamente alla luce (si veda ad esempio il lavoro di Helg e Tajoli, 2005).
Quando si parla del costo del lavoro, non bisogna concentrarsi solo sul salario, perché ad esempio non sempre un salario molto basso coincide con un costo del lavoro molto basso. Infatti, nell'ultimo decennio oltre ventisettemila aziende italiane hanno delocalizzato la produzione all'estero, creando oltre 1.5 milioni di posti di lavoro esteri e lasciando allo stato una fattura da 15 miliardi di euro per gli ammortizzatori sociali (1).
A ben vedere, soltanto il 10% di queste aziende sono andate oltre i confini europei (soprattutto in Asia) mentre la restante parte sono rimaste in Europa, in Austria, Svizzera, Germania, e soprattutto nei paesi balcanici i quali nell'ultimo decennio stanno dimostrando una forte potenzialità di crescita e appaiono sufficientemente stabili sotto l'aspetto istituzionale.
Nel 2010 come accaduto per altri Paesi dell'Europa anche i paesi balcanici hanno risentito degli squilibri causati dalla crisi economica e finanziaria internazionale con ripercussioni pesanti sulle economie sia in termini di crescita sia in termini di debito pubblico accumulato. Per uscire da questa crisi la maggior parte di essi ha intrapreso con risultati piuttosto positivi, un processo di riforme interne, teso ad avvicinare i suoi impianti istituzionali, amministrativi e giuridici agli standard occidentali. La Slovenia e la Croazia sono diventati anche parte dell'UE (2).
Come accaduto per la Francia e la Germania, anche una buona parte delle imprese italiane hanno spostato la produzione nell'area balcanica. Ciò è dipeso anche dal rapporto che l'Italia ha con i paesi dell'area balcanica per tradizione politica e per posizione geografica.
Le caratteristiche socio-economiche italiane e quelle dell'altra sponda dell'adriatico appaiono molto diverse: infatti, le economie dei paesi balcanici sono di dimensione molto modeste se paragonate all'Italia: il PIL nominale complessivo di questi paesi è 191 miliardi di dollari, circa un decimo di quello italiano che è pari 2029 miliardi di dollari (FMI, 2012). Sotto il profilo demografico, l'area balcanica ha circa quarantuno milioni di abitanti, circa il settanta percento dell'Italia (BM, 2012).
Secondo un studio condotto dalla Confindustria Balcani (3) nel 2012, il salario medio in Romania è di 350 euro mentre in Albania è ancora più basso, 250 euro. Il salario medio nell'area balcanica è di 411 euro, circa tre volte in meno rispetto al salario medio in Italia. Ma il livello dei salari non è l'unico vantaggio per spostare la produzione nell'area balcanica. Anche le condizioni fiscali sono molto attraenti per gli imprenditori stranieri. Per queste ragioni un grande numero di imprese italiane si è spostato nell'area in questione: 17.700 imprese di cui 15.700 solo in Romania. Nelle imprese italiane con sede nell'area balcanica lavorano oltre 900.000 persone, di cui 800.000 soltanto in Romania (Confindustria Balcani, 2012). Questo trend negli ultimi anni sta cambiando: secondo stime non ufficiali, l'entrata della Romania nell'UE ha determinato la "fuga" delle imprese italiane in altri paesi non aderenti all'UE, come per esempio l'Albania.
Il capitale va a caccia di condizioni istituzionali più consone all'estrazione del plusvalore, avrebbe detto Marx. In effetti, questo fenomeno fa riflettere molto: le aziende che spostano la produzione all'Est non chiedono solo una manodopera a bassissimo costo e relativamente specializzata ma vogliono anche una manodopera poco tutelata. Le imprese che oggi delocalizzano in Albania non cercano competenze professionali particolari, che spesso e volentieri sono mantenute nel paese d'origine. Le imprese italiane spostano la produzione in Albania per sfruttare il basso costo del lavoro; per sfruttare la vicinanza geografica, infatti un ordine nell'area balcanica arriva in Italia entro 48 ore; il prodotto spesso viene ultimato in Italia e raramente viene emesso sul mercato dell'area balcanica (4). Ai vantaggi legati al basso costo del lavoro si aggiungono quelli legati all'impianto normativo. Inoltre, gli imprenditori spesso affermano che il mercato dell'area balcanica non facente parte dell'UE è una realtà in espansione e ricca di potenzialità, soprattutto per i settori labor intensive come ad esempio il mercato del Call-Center e dell'abbigliamento tessile. Ma va aggiunto che nei balcani non si spostano solo imprese interessate a una concorrenza di prezzo; anche imprese come GEOX, Benetton, Armani che fanno concorrenza qualitativa hanno spostato una parte rilevante della loro produzione nell'area balcanica.
Dunque, l'area balcanica offre enormi possibilità per l'economia italiana sia dal punto di vista commerciale, visto che parliamo di un mercato di oltre 40 milioni di consumatori, sia dal punto di vista della produzione e della delocalizzazione. Secondo alcune stime fate da Confindustria Bulgaria, l'export italiano verso l'area balcanica nel 2008, ha sfiorato il valore di 19 miliardi di euro per attestarsi a 17,67 nel 2012 (sostanzialmente il medesimo valore delle esportazioni italiane verso i paesi BRIC, pari a 17,35 miliardi di euro nel 2012). Durante questo periodo si nota un calo generale delle quote d'esportazione dell'Italia verso i paesi aderenti all'UE: le quote verso la Romania sono passate da 6,22 miliardi (2008) a 5.81 miliardi (2012); quelle verso la Bulgaria da 1,93 miliardi di euro (2008) a 1,59 miliardi di euro (2012) e per finire quelle verso la Croazia da 3,13 miliardi di euro (2008) a 1.98 miliardi di euro (2012). Invece, le quote d'esportazione verso i paesi balcanici non aderenti all'UE sono aumentate progressivamente.
Contemporaneamente, stando ai dati riportati dall'UNCTAD, l'Italia costituisce un mercato di sbocco di primaria importanza per tutti i paesi dell'area in questione, con una quota che supera il 15% e in alcuni casi il 50% (è il caso dell'Albania). Il surplus commerciale dell'Italia con l'area balcanica nel 2012 ha superato la quota dei tre miliardi di euro.
Un altro aspetto da indagare consiste nel fatto che le aziende che delocalizzano la produzione nei Balcani non sempre creano un legame duraturo con il paese di arrivo. Non emergono insomma quelle che Hirshman definiva connessioni a monte e a valle: nel paese ospitante le delocalizzazioni straniere – anche quelle italiane – aiutano ad aumentare velocemente l'occupazione, ma l'impatto sulla crescita economica balcanica spesso non è rilevante. Infatti i nostri imprenditori e gli altri che investono da quelle parti restano fin quando un altro paese non offra maggiori occasioni di profitto, e ciò certo non garantisce uno sviluppo sostenibile e duraturo.
* Università dell'Insubria e University of Gjirokastra
1) Soltanto la FIAT negli ultimi anni ha tagliato oltre 15000 dipendenti in Italia per sostenere le assunzioni in altri paesi come USA, Polonia ecc; la GEOX che conta 30000 dipendenti in giro per il mondo, in Italia ha soltanto 2000 dipendenti.
2) L'integrazione all'UE è considerata nel dibattito politico interno ai paesi balcanici l'unica soluzione per ottenere una crescita economica sostenibile.
3) Confindustria Balcani nasce nell'ottobre del 2010 per riunire le associazioni di imprese italiane nell'area sotto l'egida di Confindustria.
4) Secondo un'indagine svolta dall'United Nations Conference on Trade and Development e Roland Berger Strategy Consultans sulle strategie di delocalizzazione delle imprese europee, il 40% di queste imprese pratica l'outsourcing.
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