Informazione
(fonte: mailing-list del Comitato NO NATO - vedi anche:
Oggetto: (ComitatoNoNato) TRACCIA STORICA DELLA NATO / PRIMA PUNTATA
Data: 26 dicembre 2014
Buon lavoro a tutti
dopo la guerra fredda
Manlio Dinucci
La Nato, fondata il 4 aprile 1949, comprende durante la guerra fredda sedici paesi: Stati Uniti, Canada, Belgio, Danimarca, Francia, Repubblica federale tedesca, Gran Bretagna, Grecia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Turchia. Attraverso questa alleanza, gli Stati Uniti mantengono il loro dominio sugli alleati europei, usando l’Europa come prima linea nel confronto, anche nucleare, col Patto di Varsavia. Questo, fondato il 14 maggio 1955 (sei anni dopo la Nato), comprende Unione Sovietica, Bulgaria, Cecoslovacchia, Polonia, Repubblica democratica tedesca, Romania, Ungheria, Albania (dal 1955 al 1968).
Dalla guerra fredda al dopo guerra fredda
Il 9 novembre 1989 avviene il «crollo del Muro di Berlino»: è l’inizio della riunificazione tedesca che si realizza quando, il 3 ottobre 1990, la Repubblica Democratica si dissolve aderendo alla Repubblica Federale di Germania. Il 1° luglio 1991 si dissolve il Patto di Varsavia: i paesi dell’Europa centro-orientale che ne facevano parte non sono ora più alleati dell’Urss. Il 26 dicembre 1991, si dissolve la stessa Unione Sovietica: al posto di un unico Stato se ne formano quindici.
La scomparsa dell’Urss e del suo blocco di alleanze crea, nella regione europea e centro-asiatica, una situazione geopolitica interamente nuova. Contemporaneamente, la disgregazione dell’Urss e la profonda crisi politica ed economica che investe la Russia segnano la fine della superpotenza in grado di rivaleggiare con quella statunitense.
La guerra del Golfo del 1991 è la prima guerra che, nel periodo successivo al secondo conflitto mondiale, Washington non motiva con la necessità di arginare la minacciosa avanzata del comunismo, giustificazione alla base di tutti i precedenti interventi militari statunitensi nel «terzo mondo», dalla guerra di Corea a quella del Vietnam, dall'invasione di Grenada all'operazione contro il Nicaragua. Con questa guerra gli Stati Uniti rafforzano la loro presenza militare e influenza politica nell’area strategica del Golfo, dove si concentra gran parte delle riserve petrolifere mondiali, e allo stesso tempo lanciano ad avversari, ex-avversari e alleati un inequivocabile messaggio. Esso è contenuto nella National Security Strategy of the United States (Strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti), il documento con cui la Casa Bianca enuncia, nell’agosto 1991, la nuova strategia.
«Nonostante l'emergere di nuovi centri di potere – sottolinea il documento a firma del presidente – gli Stati Uniti rimangono il solo Stato con una forza, una portata e un'influenza in ogni dimensione – politica, economica e militare – realmente globali. Nel Golfo abbiamo dimostrato che la leadership americana deve includere la mobilitazione della comunità mondiale per condividere il pericolo e il rischio. Ma la mancanza di altri nell'assumersi il proprio onere non ci scuserebbe. In ultima analisi, siamo responsabili verso i nostri stessi interessi e la nostra stessa coscienza, verso i nostri ideali e la nostra storia, per ciò che facciamo con la potenza in nostro possesso. Negli anni Novanta, così come per gran parte di questo secolo, non esiste alcun sostituto alla leadership americana».
Il nuovo concetto strategico della Nato
Mentre riorientano la propria strategia, gli Stati Uniti premono sulla Nato perché faccia altrettanto. Per loro è della massima urgenza ridefinire non solo la strategia, ma il ruolo stesso dell’Alleanza atlantica. Con la fine della guerra fredda e il dissolvimento del Patto di Varsavia e della stessa Unione Sovietica, viene infatti meno la motivazione della «minaccia sovietica» che ha tenuto finora coesa la Nato sotto l’indiscussa leadership statunitense: vi è quindi il pericolo che gli alleati europei facciano scelte divergenti o addirittura ritengano inutile la Nato nella nuova situazione geopolitica creatasi nella regione europea.
Il 7 novembre 1991 (dopo la prima guerra del Golfo, a cui la Nato ha partecipato non ufficialmente in quanto tale, ma con sue forze e strutture), i capi di stato e di governo dei sedici paesi della Nato, riuniti a Roma nel Consiglio atlantico, varano «Il nuovo concetto strategico dell'Alleanza». «Contrariamente alla predominante minaccia del passato – afferma il documento – i rischi che permangono per la sicurezza dell'Alleanza sono di natura multiforme e multidirezionali, cosa che li rende difficili da prevedere e valutare. Le tensioni potrebbero portare a crisi dannose per la stabilità europea e perfino a conflitti armati, che potrebbero coinvolgere potenze esterne o espandersi sin dentro i paesi della Nato». Di fronte a questi e altri rischi, «la dimensione militare della nostra Alleanza resta un fattore essenziale, ma il fatto nuovo è che sarà più che mai al servizio di un concetto ampio di sicurezza». Definendo il concetto di sicurezza come qualcosa che non è circoscritto all’area nord-atlantica, si comincia a delineare la «Grande Nato».
Il «nuovo modello di difesa» dell’Italia
Tale strategia è fatta propria anche dall’Italia quando, sotto il sesto governo Andreotti, essa partecipa alla guerra del Golfo: i Tornado dell’aeronautica italiana effettuano 226 sortite per complessive 589 ore di volo, bombardando gli obiettivi indicati dal comando statunitense. E’ la prima guerra a cui partecipa la Repubblica italiana, violando l’articolo 11, uno dei principi fondamentali della propria Costituzione.
Subito dopo la guerra del Golfo, durante il settimo governo Andreotti, il ministero della difesa italiano pubblica, nell'ottobre 1991, il rapportoModello di Difesa / Lineamenti di sviluppo delle FF.AA. negli anni '90. Il documento riconfigura la collocazione geostrategica dell'Italia, definendola «elemento centrale dell'area geostrategica che si estende unitariamente dallo Stretto di Gibilterra fino al Mar Nero, collegandosi, attraverso Suez, col Mar Rosso, il Corno d'Africa e il Golfo Persico». Considerata la «significativa vulnerabilità strategica dell'Italia» soprattutto per l'approvvigionamento petrolifero, «gli obiettivi permanenti della politica di sicurezza italiana si configurano nella tutela degli interessi nazionali, nell'accezione più vasta di tali termini, ovunque sia necessario», in particolare di quegli interessi che «direttamente incidono sul sistema economico e sullo sviluppo del sistema produttivo, in quanto condizione indispensabile per la conservazione e il progresso dell'attuale assetto politico e sociale della nazione».
Nel 1993 – mentre l’Italia sta partecipando all’operazione militare lanciata dagli Usa in Somalia, e al governo Amato subentra quello Ciampi – lo Stato maggiore della difesa dichiara che «occorre essere pronti a proiettarsi a lungo raggio» per difendere ovunque gli «interessi vitali», al fine di «garantire il progresso e il benessere nazionale mantenendo la disponibilità delle fonti e vie di rifornimento dei prodotti energetici e strategici».
Nel 1995, durante il governo Dini, lo stato maggiore della difesa fa un ulteriore passo avanti, affermando che «la funzione delle forze armate trascende lo stretto ambito militare per assurgere anche a misura dello status e del ruolo del paese nel contesto internazionale».
Nel 1996, durante il governo Prodi, tale concetto viene ulteriormente sviluppato nella 47a sessione del Centro alti studi della difesa. «La politica della difesa – afferma il generale Angioni – diventa uno strumento della politica della sicurezza e, quindi, della politica estera».
Viene in tal modo istituita una nuova politica militare e, contestualmente, una nuova politica estera la quale, usando come strumento la forza militare, viola il principio costituzionale, affermato dall’Articolo 11, che «l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Questa politica, introdotta attraverso decisioni apparentemente tecniche, viene di fatto istituzionalizzata passando sulla testa di un parlamento che, in stragrande maggioranza, se ne disinteressa o non sa neppure che cosa precisamente stia avvenendo.
La guerra contro la Iugoslavia
Poco tempo dopo essere stato enunciato, il «nuovo concetto strategico» viene messo in pratica nei Balcani. Nel luglio 1992 la Nato lancia la sua prima operazione di «risposta alle crisi», la Maritime Monitor, per imporre l’embargo alla Jugoslavia. Nei Balcani, tra l‘ottobre ’92 e il marzo ’99, conduce undici operazioni: Deny Flight, Sharp Guard, Eagle Eye e altre. Il 28 febbraio 1994, durante la Deny Flight in Bosnia, la Nato effettua la prima azione di guerra nella sua storia. Viola così l’art. 5 della sua stessa carta costitutiva, poiché l’azione bellica non è motivata dall’attacco a un membro dell’Alleanza ed è effettuata fuori dalla sua area geografica.
Spento l’incendio in Bosnia (dove il fuoco resta sotto la cenere della divisione in stati etnici), i pompieri di Washington corrono a gettare benzina sul focolaio del Kosovo, dove è in corso da anni una rivendicazione di indipendenza da parte della maggioranza albanese (un milione e 800 mila persone, in confronto a 200 mila serbi, oltre 100 mila rom e goranci). Attraverso canali sotterranei in gran parte gestiti dalla Cia, un fiume di armi e finanziamenti, tra la fine del 1998 e l’inizio del 1999, va ad alimentare l’Uck (Esercito di liberazione del Kosovo), braccio armato del movimento separatista kosovaro-albanese. Eppure, ancora nei primi mesi del 1998, il Dipartimento di stato Usa, per bocca dell’inviato Gelbart, definisce l’Uck una organizzazione terroristica. Agenti della Cia dichiareranno successivamente di «essere entrati in Kosovo nel 1998 e 1999, in veste di osservatori dell’Osce incaricati di verificare il cessate il fuoco, stabilendo collegamenti con l’Uck e dandogli manuali statunitensi di addestramento militare e consigli su come combattere l’esercito iugoslavo e la polizia serba, telefoni satellitari e apparecchi Gps, così che i comandanti della guerriglia potessero stare in contatto con la Nato e Washington». L’Uck può così scatenare un’offensiva contro le truppe federali e i civili serbi, con centinaia di attentati e rapimenti.
Mentre gli scontri tra le forze iugoslave e quelle dell’Uck provocano vittime da ambo le parti, una potente campagna politico-mediatica prepara l’opinione pubblica internazionale all’intervento della Nato, presentato come l’unico modo per fermare la «pulizia etnica» serba in Kosovo. A tale scopo viene fatta fallire l’opera di mediazione della Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) che, nell’autunno 1998, invia una sua missione in Kosovo con il compito di vagliare le possibilità di pace e fermare la guerra denunciando le violazioni. E’ a questo punto che, alla metà di gennaio 1999, viene fuori a Racak, zona controllata dall’Uck, l’«eccidio» di 45 «civili albanesi»: sono, dimostreranno in seguito i medici legali di una commissione indipendente finlandese, combattenti albanesi vittime negli scontri, non civili indifesi. Dando immediatamente per buona la versione dell’eccidio di civili, il capo della missione Osce, lo statunitense William Walzer (già agente della Cia in Salvador negli anni Ottanta), ritira la missione internazionale. I serbi vengono accusati di «pulizia etnica», nonostante che un rapporto Onu del gennaio 1999 valuti il numero di sfollati, sia albanesi che serbi e rom, in circa 60 mila, e la stessa missione Osce non abbia parlato sino a quel momento, nei suoi rapporti, di pulizia etnica. Vi sono evidentemente degli eccidi, commessi dall’una e dall’altra parte, non però la «pulizia etnica» che serve a motivare l’intervento armato degli Stati Uniti e dei loro alleati.
La guerra, denominata «Operazione forza alleata», inizia il 24 marzo 1999. Mentre gli aerei di Stati Uniti e altri paesi della Nato sganciano le prime bombe sulla Serbia e il Kosovo, il presidente democratico Clinton annuncia: «Alla fine del XX secolo, dopo due guerre mondiali e una guerra fredda, noi e i nostri alleati abbiamo la possibilità di lasciare ai nostri figli un’Europa libera, pacifica e stabile». Determinante, nella guerra, è il ruolo dell’Italia: il governo D’Alema mette il territorio italiano, in particolare gli aeroporti, a completa disposizione delle forze armate degli Stati Uniti e altri paesi, per attuare quello che il presidente del consiglio definisce «il diritto d’ingerenza umanitaria».
Per 78 giorni, decollando soprattutto dalle basi italiane, 1.100 aerei effettuano 38mila sortite, sganciando 23 mila bombe e missili. Il 75 per cento degli aerei e il 90 per cento delle bombe e dei missili vengono forniti dagli Stati Uniti. Statunitense è anche la rete di comunicazione, comando, controllo e intelligence (C3I) attraverso cui vengono condotte le operazioni: «Dei 2.000 obiettivi colpiti in Serbia dagli aerei della Nato – documenta successivamente il Pentagono – 1.999 vengono scelti dall’intelligence statunitense e solo uno dagli europei».
Sistematicamente, i bombardamenti smantellano le strutture e infrastrutture della Serbia e del Kosovo, provocando vittime soprattutto tra i civili. I danni che ne derivano per la salute e l’ambiente sono inquantificabili. Solo dalla raffineria di Pancevo fuoriescono, a causa dei bombardamenti, migliaia di tonnellate di sostanze chimiche altamente tossiche (compresi diossina e mercurio). Altri danni vengono provocati dal massiccio impiego da parte della Nato di proiettili a uranio impoverito, già usati nella guerra del Golfo.
Ai bombardamenti partecipano anche 54 aerei italiani, che compiono 1.378 sortite, attaccando gli obiettivi indicati dal comando statunitense. «Per numero di aerei siamo stati secondi solo agli Usa. ... L’Italia è un grande paese e non ci si deve stupire dell’impegno dimostrato in questa guerra», dichiara il presidente del consiglio D’Alema durante la visita compiuta il 10 giugno 1999 alla base di Amendola, sottolineando che, per i piloti che vi hanno partecipato, è stata «una grande esperienza umana e professionale».
Il 10 giugno 1999, le truppe della Federazione iugoslava cominciano a ritirarsi dal Kosovo e la Nato mette fine ai bombardamenti. La risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell’Onu, che assume i contenuti della pace firmata a Kumanovo in Macedonia, «autorizza stati membri e rilevanti organizzazioni internazionali a stabilire la presenza internazionale di sicurezza in Kosovo, come disposto nell’annesso 2.4». L’annesso 2.4 dispone che la presenza internazionale deve avere una «sostanziale partecipazione della Nato» ed essere dispiegata «sotto controllo e comando unificati». A chi spetti il comando lo ha già chiarito il giorno prima il presidente Clinton, sottolineando che l’accordo sul Kosovo prevede «lo spiegamento di una forza internazionale di sicurezza con la Nato come nucleo, il che significa una catena di comando unificata della Nato». «Oggi la Nato affronta la sua nuova missione: quella di governare», commenta The Washington Post.
Finita la guerra, vengono inviati in Kosovo dal «Tribunale per i crimini nella ex Iugoslavia» oltre 60 agenti dell’Fbi statunitense, ma non vengono trovate tracce di eccidi tali da giustificare l’accusa di «pulizia etnica». Il Kosovo, divenuto una sorta di protettorato della Nato, viene di fatto distaccato dalla Federazione Iugoslava. Gli Usa, in aperto disprezzo degli accordi di Kumanovo, costruiscono presso Urosevac, Camp Bondsteel, la più grande base militare statunitense di tutta l’area, destinata a rimanervi per sempre. Contemporaneamente, sotto la copertura della «Forza di pace», l’ex Uck terrorizza ed espelle dal Kosovo oltre 260mila serbi, rom, albanesi «collaborazionisti» ed ebrei.
Il superamento dell’articolo 5 e la conferma della leadership Usa
Mentre è in corso la guerra contro la Iugoslavia, viene convocato a Washington, il 23-25 aprile 1999, il vertice della Nato che ufficializza il «nuovo concetto strategico»: nasce «una nuova Alleanza più grande, più capace e più flessibile, impegnata nella difesa collettiva e capace di intraprendere nuove missioni, tra cui l’attivo impegno nella gestione delle crisi, incluse le operazioni di risposta alle crisi». Da alleanza che, in base all’articolo 5 del trattato del 4 aprile 1949, impegna i paesi membri ad assistere anche con la forza armata il paese membro che sia attaccato nell’area nord-atlantica, essa viene trasformata in alleanza che, in base al nuovo «concetto strategico», impegna i paesi membri anche a «condurre operazioni di risposta alle crisi non previste dall’articolo 5, al di fuori del territorio dell’Alleanza».
A scanso di equivoci, il presidente democratico Clinton chiarisce che gli alleati nord-atlantici «riaffermano la loro prontezza ad affrontare, in appropriate circostanze, conflitti regionali al di là del territorio dei membri della Nato». Alla domanda di quale sia l’area geografica in cui la Nato è pronta a intervenire, «il Presidente si rifiuta di specificare a quale distanza la Nato intende proiettare la propria forza, dicendo che non è questione di geografia». In altre parole, la Nato intende proiettare la propria forza militare al di fuori dei propri confini non solo in Europa, ma anche in altre regioni.
Ciò che non cambia, nella mutazione genetica della Nato, è la gerarchia all’interno dell’Alleanza. Il Comandante supremo alleato in Europa resta un generale statunitense nominato dal presidente degli Stati Uniti. Tutti gli altri comandi chiave sono controllati direttamente dal Pentagono.
La Casa Bianca dice a chiare lettere che «la Nato, come garante della sicurezza europea, deve svolgere un ruolo dirigente nel promuovere un’Europa più integrata e sicura» e che «noi manterremo in Europa circa 100 mila militari per contribuire alla stabilità regionale, sostenere i nostri vitali legami transatlantici e conservare la leadership degli Stati uniti nella Nato». Dunque, un’Europa stabile sotto la Nato e una Nato stabilmente sotto gli Stati Uniti.
(1 – continua)
https://www.cnj.it/AMICIZIA/poplava2014.htm#scuole
Il nostro archivio della documentazione rilevante sulle questioni economiche e sindacali:
https://www.cnj.it/AMICIZIA/sindacale.htm
Serbian government slashes wages and pensions
By Paul Mitchell
3 October 2014
The Serbian government plans to slash public sector wages and pensions by up to 20 percent, in order to meet International Monetary Fund (IMF) conditions for a new loan. The measures will be put to the Serbian parliament in mid-October in a revised budget demanded by the IMF.
The IMF insists cuts totalling “around €400 million” (US$543 million) are the “key condition” for Serbia to get the new loan. However, reports suggest that €2 billion will need to be saved over the next three years just to keep public debt at its present level.
In the new measures announced by Prime Minister Aleksandar Vucic, public sector salaries over €211 per month will be reduced by around 10 percent while those above €844 will be reduced by 20 percent.
Pensions between €211 and €256 will be reduced by 3.1 percent, those between €256 and €295 by 6.2 percent, those over €337 by 9 percent, and those above €844 by 16 percent.
Other austerity measures being discussed include cuts to public sector jobs, raising the retirement age, reducing subsidies to and further privatisations of 153 public enterprises while providing more support to private companies, curbs to the “grey” economy, cuts to public spending, and raising Value Added Tax.
Kori Udovicki, minister for state administration and local self-management, told reporters, “We are in talks with the IMF about cutting the number of employees in public sector by 5 percent.”
“We hope to be able to meet this demand to the largest degree as workers retire, but there are concerns that we will have to lay off 25,000 people.”
However, media reports suggest as many as 100,000 public sector workers—20 percent of the total—may be made redundant. The former finance minister, Lazar Krstic, was demanding a minimum 160,000 job cuts before he resigned earlier this year after criticising the government for not being more “radical” with its reforms.
The European Union (EU) welcomed the new measures because, of course, it had helped draft them. Freek Janmaat, head of the EU Delegation to the Republic of Serbia, said that Brussels supported the proposals as “part of the broad structural reforms which are to follow”. They are built on the recent adoption of a new labour law providing more “flexibility” in the labour market, i.e., making it easier to fire workers and reduce redundancy payments.
Serbia is in a grave economic crisis, with government ministers needing to regularly talk down the threat of bankruptcy. In 2012, the IMF suspended its loan programme because the country failed to meet its budget targets. Since then, the budget deficit has doubled to more than 8.5 percent of economic output (GDP), Europe’s highest, and public debt has risen to an enormous €20 billion (US$25.7 billion). The country is facing its third recession in five years, a situation made worse by the devastating floods earlier this year. Bankruptcy has been staved off by huge multi-billion-dollar investments from the United Arab Emirates, whose Etihad Airways bought the Serbian national airline JAT last year.
Serbia’s economic difficulties have been compounded by its political woes as it attempts to balance between its traditional ally Russia and integration into the European Union. Vucic regularly describes how “Serbia wants to be part of the EU, but does not want to destroy its relations with Russia.”
Some analysts have talked of Serbia becoming “a new Ukraine in the Balkans.”
The country gained EU candidate status in 2013 and will chair the Organisation for Security and Cooperation in Europe (OSCE) in 2015. However, the prospect of full EU membership appears to be receding—to 2020 at the earliest—due to what former European enlargement commissioner Günter Verheugen described as the EU’s “enlargement fatigue.”
In late August, an international conference on the Balkans, convened by German Chancellor Angela Merkel, attempted to dispel these concerns. But the whole affair fell flat when it was revealed that incoming European Commission President Jean-Claude Juncker failed to include an EU Enlargement Commissioner in early proposals for his new ministerial team.
Merkel, along with other EU leaders, is insisting that Serbia’s membership depends on “normalising” its relationship with the former Serbian province of Kosovo, which declared independence in 2008. However, last year’s EU-sponsored “First Agreement of Principles Governing the Normalisation of Relations between Serbia and Kosovo” has ground to a halt.
The EU and United States are above all insisting on Serbia severing its links with Russia, with which it has a free trade agreement. Earlier this year, an EU email was leaked rebuking Vucic for not imposing sanctions against Moscow, complaining that this threatened “European solidarity”. US ambassador to Serbia Michael Kirby recently spoke publicly about his concern over the invitation to Belgrade of Russian President Vladimir Putin to this month’s World War II commemorations.
Following last month’s announcement by Russia’s state-owned energy conglomerate, Gazprom, that the construction of the Serbian stretch of the South Stream gas pipeline would start in October, European Commission spokesperson Marlene Holzner declared, “If the idea is to bring gas from Russia to Europe, you have to go through European territory and as we have said for all big infrastructure… If you do business on European territory, you have to respect our legislation.”
Tensions are also brewing over the proposed privatisation of Serbia’s richest public company, the Serbian Electric Enterprise, which is attracting attention from Russia’s Inter RAO and Germany’s RWE.
Meanwhile, official unemployment remains at around 24 percent, with youth joblessness at 50 percent. The average monthly wage is a wretched €377 (US$476) and has declined by 0.8 percent in real terms since the beginning of the year. The population has decreased, despite the fact that in the 1990s during the Balkan Wars nearly one million Serbs migrated from Croatia and Bosnia-Herzegovina. By 2020, estimates suggest pensioners will make up 34 percent of the total population as young people leave in search of a better future. A recent poll suggested 78 percent of Serbian youth would like to do so.
Anche le precedenti relazioni di Non Bombe ma solo Caramelle - Onlus si possono scaricare alla URL: https://www.cnj.it/NBMSC.htm
Gallerie fotografiche ed ulteriori informazioni sono riportate alla pagina facebook http://www.facebook.com/nonbombemasolocaramelle dove è possibile trovare anche aggiornamenti successivi alle stesura del presente Resoconto, relativi ai progetti ed iniziative di solidarietà promosse dalla stessa ONLUS.
Relazione sul viaggio a Kragujevac del 16-19 ottobre 2014
Introduzione
Care amiche e cari amici solidali, vi inviamo la relazione del viaggio che abbiamo svolto a Kragujevac circa un mese fa, per la consegna degli affidi a distanza gestiti dalla nostra ONLUS e per la verifica dei numerosi progetti che portiamo avanti insieme ad altre associazioni italiane.
In questa relazione, come d’abitudine, inseriremo alcune foto per illustrare il nostro viaggio, ma ne pubblicheremo molte di più, per ogni singolo progetto, sulla nostra pagina facebook
https://www.facebook.com/nonbombemasolocaramelle
La pagina viene aggiornata di tanto in tanto, senza precise scadenze, quando abbiamo notizie da fornire; siamo molto soddisfatti del successo che ha, con molte centinaia di visite per ogni nuovo inserimento.
Non è necessario essere iscritti a facebook per poterla visitare.
Ci sono vari siti che pubblicano di tanto in tanto le nostre relazioni, e due siti che le pubblicano regolarmente tutte:
sul sito del Coordinamento RSU trovate tutte le notizie sulle nostre iniziative (a partire dal 1999) alla pagina:
http://www.coordinamentorsu.it/guerra.htm
I nostri resoconti sono presenti dal 2006 anche sul sito del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia, all'indirizzo:
https://www.cnj.it/NBMSC.htm
Prologo
Il viaggio comincia con il prelievo in Banca del denaro che dovemo portare con noi.
E' una operazione lunga e delicata, perchè bisogna prelevare una grossa cifra (per questo viaggio si tratta di 41100 euro) suddivisi in nove prelievi parziali, con pezzature precise, per ognuno dei vari versamenti che faremo poi arrivati a Kragujevac.
Per esempio dobbiamo prelevare
186 pezzi da 100 euro
148 da 50 euro
5 pezzi da 20 euro
85 pezzi da 10 euro
per quanto riguarda la consegna delle quote di affido, in totale 157 quote
e così via per ognuno dei progetti che dovranno essere portati avanti.
Facciamo prelievi diversi in modo tale che poi avremo ricevute specifiche per ciascuno di essi e diventa più facile leggere il bilancio a distanza di tempo.
Il problema del prelievo non finisce qui; bisogna fare un passaggio, che ci porta via mezzo pomeriggio, agli uffici doganali a Fernetti, per la dichiarazione di esportazione di valuta. Un annoiato funzionario di polizia di frontiera conta a mano queste centinaia di biglietti e controlla le pezzature (gli ci vuole quasi un'ora) e ci rilascia i documenti per la banca e per gli eventuali (mai avvenuti in tante decine di viaggi…) controlli valutari alle dogane. Quasi dovessimo sentirci esportatori clandestini di valuta...
Cronaca del viaggio
16 ottobre 2014
Come sempre siamo in ritardo. Benchè tutto sia stato preparato con cura, il carico del glorioso pulmino della Associazione di Solidarietà Internazionale Triestina, con il quale viaggiamo da tredici anni, si presenta laborioso. Oltre ai bagagli personali entrano nel pullmino le valigie con i medicinali destinati alla nostra farmacia sociale di Kragujevac, un frigorifero per l'ufficio del sindacato, alcuni pacchi di regali da parte di famiglie italiane alle famiglie serbe, e le bombole di ossigeno per Gilberto. Finalmente alla 9 partiamo.
Siamo in 7: Gabriella e Gilberto da Trieste, Stefano da Fiumicello, Antonio da Treviso, Giuseppina da Biella, Fabio e Gino da Montereale.
Bel tempo durante tutto il viaggio, temperatura mite, molto alta rispetto alle medie del periodo.
Ho sempre commentato questa parte del viaggio parlando del traffico scarso. Questa volta il traffico, specialmente quello commerciale, è quasi inesistente anche nelle vicinanze di grandi città come Lubiana e Zagabria. E' poi del tutto assente in Serbia; e questi sono indici che la situazione economica nei Balcani non è certo rosea.
A Belgrado, mentre noi stiamo arrivando, inizia alla presenza di Vladimir Putin la parata militare che ricorda la liberazione di Belgrado alla fine della Seconda guerra mondiale.
Questo vuol dire una città completamente bloccata. Prendiamo allora una strada che non abbiamo mai fatto, che costeggia la città ad ovest, lasciando quindi l'autostrada che abbiamo sempre percorso. Benchè la strada sia molto trafficata e a due corsie per quasi tutto il suo tracciato, ed alcuni semafori, ci troviamo senza problemi e soprattutto in un tempo ragionevole a sud della città e riprendiamo l'autostrada che in circa due ore ci porterà a destinazione.
Alle 18 e 30 arriviamo finalmente alla sede del Sindacato Samostalni, dove incontriamo i nostri amici dell’ufficio relazioni internazionali e affidi a distanza.
Consegnamo a Rajko, segretario del Samostalni, il denaro necessario per la realizzazione dei due nuovi progetti che sono abbiamo deciso di realizzare in questo viaggio, il restauro di una nuova scuola nel villaggio di Sabanta e la ricostruzione di un edificio polivalente nel paese di Desimirovac, per 4350 e 9500 euro rispettivamente (vedi più sotto per i dettagli).
Facciamo il controllo delle liste degli affidi da consegnare, ci vengono date le schede relative ai nuovi ragazzi presi in carico.
Purtroppo il numero di affidi che distribuiremo è sceso di alcune unità rispetto al passato: alcuni sottoscrittori, senza preavviso, hanno smesso di contribuire, mettendoci così in gravi difficoltà, perchè dobbiamo improvvisamente sostenere questi affidi con fondi della ONLUS destinati ad altri impegni; ci sono però due affidatari nuovi e altri tre hanno deciso di continuare questa campagna di solidarietà cambiando l’affido, perchè i ragazzi a loro assegnati hanno finito gli studi. Comunque sul fronte degli affidi siamo in grande difficoltà, i bisogni sono enormi e le risorse molto limitate.
[FOTO: La preparazione delle buste degli affidi]
Mentre alcuni preparano le buste, altri di noi consegnano la grande quantità di medicine che ci accompagna ad ogni viaggio.
Fino a due anni fa le nostre medicine venivano consegnate al centro medico della Zastava, dove il Dottor Zika le prendeva in carico e le distribuiva gratuitamente ai lavoratori e alle loro famiglie.
Ora è andato in pensione, e ha deciso di gestire, come volontario ogni giovedì mattina la nostra "farmacia sociale" in una delle stanze a disposizione del sindacato.
Non usa il computer, riporta a mano su grandi registri le confezioni che riceve, e le consegna gratuitamente a chi ne ha bisogno, riportando i dati anagrafici e facendo firmare una ricevuta.
Il personale medico e paramedico in Serbia ha una buona preparazione, ma sanità pubblica è sicuramente carente e presenta alti dati corruttivi; le farmacia pubbliche hanno gravi carenze di medicinali, e si deve ricorrere al mercato privato, che spesso mette in commercio farmaci di provenienza molto dubbia. I costi dei medicinali sono altissimi per i redditi medi dei lavoratori, irraggiungibili per che il lavoro non ce l’ha; la nostra farmacia sociale, come tutti gli altri nostri progetti, non vuole dare risposte caritative, ma cerca di contrastare la disgregazione sociale offrendo risposte concrete ai bisogni dei gruppi sociali più deboli.
[FOTO: L’arrivo delle medicine / La loro selezione / Il Dottor Zika al lavoro / I suoi registri]
Discutiamo il programma dei due giorni successivi, che saranno densissimi di incontri e finalmente alle 22 siamo a cena.
17 ottobre 2014
Il primo appuntamento della mattina è alla Radio Umanitaria.
Si tratta di una radio su internet, fondata due anni fa da Branko Lukic, un invalido cieco. Sono regolarmente registrati come associazione di invalidi e come radio privata; sono ospitati in un piccolo appartamento al piano terreno di un edificio di proprietà pubblica, non ancora del tutto finito.
La radio è nata per contrastare i pregiudizi e lottare contro le discriminazioni a danno delle persone invalide, e per promuovere azioni a loro favore.
Trasmette dibattiti, testimonianze, informazioni legali a tutela dei diritti dei disabili, e tante canzoni, soprattutto musica popolare balcanica.
Durante il nostro viaggio di aprile scorso Stefano ed io eravamo stati invitati alla sede di questa radio per un’intervista sulle nostre attività e sui motivi che ci spingono ad essere presenti a Kragujevac da ormai quindici anni.
E’ una piccola radio che trasmette via web, con l’indirizzo
http://www.uzivoradio.com/humanitarni-kragujevac.html
La cosa che ci aveva colpito ad aprile era la presenza di una scala piuttosto ripida e sconnessa all’ingresso dell’edificio, che rende pressochè impossibile l’accesso alla radio delle persone in carrozzina.
Noi fino ad ora abbiamo realizzato solo progetti che ci sono stati esplicitamente richiesti, ma in questo caso abbiamo, in modo del tutto autonomo, deciso di costruire una rampa per disabili che superasse questa barriera.
La ONLUS Zastava Brescia per la Solidarietà Internazionale ha partecipato con noi alle spese; per questa realizzazione abbiamo speso complessivamente 1180 euro.
Oggi siamo qui, insieme al sindacato e ai rappresentanti di altre associazioni per festeggiare l’inaugurazione di questa rampa, ci sono anche alcuni giornalisti, l’assessore ai servizi sociali, una televisione locale.
Tocca a me "l’onore" di passare per la prima volta sulla rampa.
Potete vedere una breve nostra intervista (in Italiano, tradotta in Serbo dalla nostra Rajka) realizzata da una televisione locale
http://www.rtk.co.rs/kragujevac/item/19542-rampa-za-humanitarni-radio
che ci ha seguito durante la festa.
[FOTO: La scala all’ingresso del palazzo / La rampa / All’interno della radio / L’apparato tecnico]
Dopo questa visita andiamo a Gornja Sabanta, un piccolo villaggio di circa 850 abitanti nella municipalità di Pivara, sempre in comune di Kragujevac, a circa 10 chilometri dal centro. Nella scuola lavorano 15 persone, ed è frequentata da 70 alunni, suddivisi in 8 classi più la classe preparatoria (l’ultima delle classi di scuola materna).
A aprile scorso avevamo visitato la scuola del paese, che serve anche per i vicini villaggi di Donja Sabanta, Sugubine, Velike Pcelice e Ratkovic, con circa con circa 3000 abitanti in totale.
Avevamo preso in carico i lavori di recupero edilizio di una ala della scuola, dove era presente una palestra, del tutto fatiscente, e dove esistevano dei locali abbandonati dove gli insegnati avevano proposto di realizzare due aule per l’insegnamento delle materie scientifiche.
Molte lesioni erano derivate dai bombardamenti NATO del 1999, che avavano colpito una fabbrica di munizioni che si trova ad alcuni chilometri dal paese di Gornja Sabanta.
Le scuole, i centri sociali, le associazioni di tutela per persone portatrici di handicap fisici e mentali, i campi profughi, localizzati in zone popolari della città di Kragujevac e nei suoi villaggi periferici, ci hanno visti presenti ed interessati a dare una mano per migliorare le condizioni di vita e di studio di chi li frequenta o vi abita, per aiutare ad avere una speranza per il futuro.
Lo facciamo obbedendo alla regola di partire dagli ultimi, che sono poi i disoccupati, le loro famiglie, i loro bambini, gli anziani, gli invalidi dimenticati dal Governo e dalla società, cercando sempre di non creare discriminazioni tra gli umili, tra i poveri, per salvaguardare la loro dignità e soprattutto cercare di combattere la disgregazione sociale che sempre si presenta in situazioni così difficili. Le tante scuole dove siamo intervenuti erano sempre molto disastrate, tristi ed opprimenti
A volte le cose che facciamo dovrebbe realizzarle il Comune, o i vari Ministeri, spesso la nostra è una operazione di totale supplenza, ma se queste cose non le facciamo noi non le fa nessuno!
Quando arriviamo alla scuola siamo accolti in palestra da tutti gli alunni e da moltissimi genitori in una atmosfera molto festosa. Le parti ricostruite della scuola sono bellissime, assolutamente irriconoscibili rispetto al passato. Come sempre i bambini hanno preparato un piccolo spettacolo. La bandiera della Pace è esposta in palestra.
Per motivi di spazio non posso inserire in questa relazione tutte le foto che sarebbero necessarie per illustrare i progressi fatti, vi rimando alla nostra pagina facebook, all’indirizzo
https://www.facebook.com/nonbombemasolocaramelle
al post pubblicato in data 2 settembre 2014
dove troverete le foto della scuola così come la avevamo vista noi ad aprile scorso, quando ne abbiamo preso in carico il recupero edilizio, e come si presentava i primo settembre, primo giorno dell’anno scolastico 2014-2015.
[FOTO: Due dettagli della palestra ad aprile scorso / Durante la nostra visita / Spazi abbandonati, aprile / Gli stessi spazi, dopo il recupero, ad ottobre]
Come sempre una targa all’ingresso della scuola ricorda questo gesto di amicizia e solidarietà; abbiamo usato una generosa donazione di una nostra sottoscrittrice, che ha voluto ricordare sua nonna, e così i lavori eseguiti sono stati dedicati alla memoria della signora Giovanna Scarsoglio.
[FOTO: La targa in memoria di Giovanna Scarsoglio]
E ora, dopo questa scuola appena rimessa in ordine, andiamo a trovarne un’altra, che ci ha chiesto di incontrarci per affrontare un problema molto serio. Si tratta della Scuola 19 ottobre, sezione distaccata nel villaggio di Botunje, municipalità di Pivara, Comune di Kragujevac.
E’ una tipica scuola di campagna, con circa 80 alunni suddivisi in 8 classi, con quattro aule a disposizione dove le lezioni si svolgono in turni alternati mattina-pomeriggio.
Siamo accolti con calore da molti genitori, da moltissimi bambini che ci guardano come sempre con grande curiosità, dai rappresentanti degli abitanti del villaggio.
Consegniamo una bandiera della Pace alla direttrice, che conosciamo bene perchè abbiamo già contribuito quattro anni fa a recuperare un grande locale adibito a palestra e a sala riunioni in un’altra delle scuole di campagna facente parte del plesso scolastico che lei dirige, nel villaggio di Marsic (vedi relazione del viaggio di giugno 2010 [ https://www.cnj.it/AMICIZIA/Relaz0710.doc ]). E’ una donna energica e capace, e siamo sicuri che anche questa volta l’intervento che riusciremo a realizzare andrà a buon fine.
La situazione delle aule non sembra così catastrofica come quella che abbiamo riscontrato in tutte le scuole dove siamo intervenuti in questi anni, benchè la scuola si presenti molto spartana e molto triste. I pavimenti sono in un bellissimo rovere, e se rimessi in sesto diventerebbero splendidi. I muri e gli infissi delle aule avrebbero bisogno di profonda mautenzione.
Il problema più grave di questa scuola è rappresentato dai servizi igienici, che si trovano all’aperto in una condizione catastrofica.
Noi riteniamo che i nostri interventi nelle scuole di campagna siano tra i migliori e più qualificanti in difesa delle fasce più deboli della popolazione che seguiamo perchè, oltre a permettere ai piccoli alunni di studiare e giocare in un ambiente reso dignitoso e allegro, restituisce alla comunità locale uno spazio pubblico, spesso l’unico del paese, che diventa punto di aggregazione sociale e culturale.
Purtoppo in questo caso non riusciremo, almeno per il momento, a realizzare un recupero totale della scuola, perchè la spesa sarebbe molto alta; certamente interverremo per risolvere il problema dei servizi igienici.
La scuola ha un corpo aggiunto, dove si trova l’ufficio amministrativo della scuola, dove si potranno costruire nuovi bagni; sarà necessario costruire anche una grande fossa settica perchè non ci sono le fognature.
[FOTO: Esterno della scuola / Servizi igienici / Con la direttrice e alcuni genitori / I bambini della prima classe]
Non esiste ancora un preventivo esatto dei lavori, ma noi ad ogni viaggio portiamo una certa quantità di denaro per eventuali spese impreviste, e così lasciamo 4000 euro affinchè i lavori possano cominciare.
Dopo di questo viaggio ci arriverà il preventivo finale di 8520 euro. Anche qui ci sarà lavoro volontario dei genitori, per i lavori di sterro per la costruzione della fossa settica e per lavori edili generali. La ONLUS di Brescia in seguito deciderà di partecipare a questo progetto.
Quasi certamente i servizi igienici saranno pronti dopo le vacanze scolastiche di fine anno e durante il nostro prossimo viaggio di fine marzo 2015 potremo feteggiare un altro progetto arrivato a termine.
La giornata non è ancora conclusa. Ci aspetta ancora un incontro con il personale del Centro Medico Filip Kljajic.
Si tratta di un grande poliambulatorio pubblico, a due piani, che come altri poliambulatori dello stesso tipo era direttamente connesso a un grande stabilimento industriale, in questo caso la fabbrica metalmeccanica Filip Kljajic.
Questi centri sanitari offrivano la medicina di base (ma anche molte e varie specializzazioni) ai lavoratori di queste fabbriche, ai pensionati e ai loro familiari.
Durante questi anni di licenziamenti selvaggi e di privatizzazioni guidate spesso (se non esclusivamente) dalla corruzione questi centri sono rimasti di proprietà pubblica. I vari pescecani che si sono impadroniti delle strutture produttive si sono ben guardati dall'accollarsi anche le strutture sanitarie connesse agli stabilimenti industriali.
Questi centri sono rimasti quindi di proprietà pubblica, ma senza senza retroterra economico; continuano a svolgere un ruolo essenziale per decine di migliaia di lavoratori, operai licenziati e pensionati (e le loro famiglie) in condizioni sempre più dfficili.
Non esiste manutenzione degli edifici, la strumentazione sanitaria diviene via via più obsoleta.
Il centro medico Filip Kljajic ha un bacino si 12.000 utenti, il personale medico e paramedico è formato da 9 medici,1 dentista e 14 infermiere.
Dopo la privatizzazione della fabbrica Filip Kljajic il centro è passato sotto il controllo di Zavod Za Zdravstvenu Zastitu Radnika (Istituto per la tutela della salute dei lavoratori) della ZASTAVA, il centro medico per i lavoratori Zastava che era aggregato alla fabbrica automobili, e che Marchionne si è guardato bene dal privatizzare quando si è impossessato in modo praticamente gratuito dei capannoni dello stabilimento per la produzione delle automobili, creando la FIAT Auto Serbia.
Durante il mese di settembre scorso il nostro direttivo aveva deciso di sostenere il recupero edilizio di due stanze di questo centro medico, quelle in cui si eseguono i prelievi di sangue, che erano in pessime condizioni. La ONLUS Zastava Brescia per la solidarietà internazionale ha condiviso il progetto, per il quale ci era stato presentato un preventivo di 6000 euro.
L’intero edificio versa in brutte condizioni, ma al momento questa era stata la prima emergenza da affrontare; vedremo in futuro se riusciremo a trovare altre collaborazioni per mettere mano ad un lavoro di recupero più radicale.
Al nostro arrivo ci accoglie una numerosa delegazione di mediche (tutte donne), infermiere e i delegati sindacali. Come in ogni occasione consegnamo una bandiera della Pace, e discutiamo dei possibili progetti futuri. Questi sono progetti fondamentali per la popolazione, perchè se questi centri smetteranno di esistere significherà lo smantellamento definitivo della sanità pubblica nel Paese.
[FOTO: L'ingresso / Il nostro arrivo e l'incontro con il personale / Tre dettagli degli interni dell'ambulatorio prelievi]
Il personale del Centro ci ha scritto una bella lettera, firmata da ciascuno di loro, per ringraziarci di questo intervento ma anche per chiederci di cercare di continuare, al loro fianco, a difendere questo tipo di istituzioni.
18 ottobre 2014
Sulla piazza dello storico edificio della direzione della Zastava, dominata dalla statua all’operaio metalmeccanico, ci aspettano in tantissimi per l’assemblea di consegna degli affidi a distanza.
Per me è sempre un momento di felicità essere qui con loro, ma anche di forte dolore. Come ogni volta mi fa male vedere i volti di questi bambini, di questi ragazzi, di questi adulti che attendono di essere chiamati per ricevere la busta con l’affido e firmare la ricevuta.
All’inizio della nostra avventura solidale, quindici anni fa, sia noi che le famiglie serbe di nostro riferimento nutrivamo la speranza che presto sarebbe arrivata la ricostruzione che segue tutte le guerre, ma non avevamo messo in conto che quella contro la Serbia è stata una aggressione che faceva parte di una strategia (iniziata con la dissoluzione della Jugoslavia) molto ampia che aveva come obiettivo l’isolamento politico e la distruzione dell’apparato economico-industriale di quei Paesi che venivano considerati non allineati agli interessi della parte ricca del pianeta, e la Serbia è stata la prima vittima di una lunga serie di questa strategia.
Questo è il risultato delle aggressioni sotto il cappello NATO appoggiate e finanziate dai governi occidentali. Lo smembramento della Jugoslavia e la riduzione dei suoi paesi alla miseria, per farne poi colonie del fallimento della politiche industriali speculative della finanza europea.. Adesso in Serbia hanno i telefonini, facebook, le scarpe made in Cina alla moda, il franchising e la promessa dell'Europa come la nostra. Però il latte ai bambini in Serbia non si può più comprare e la bolletta della luce costa veramente troppo, troppo, tante case stanno al buio e nelle fabbriche serbe che sopravvivono gli operai si lavano con acqua industriale, i libri di scuola non sono più gratuiti e una radiografia a Belgrado ormai costa 30 euro. Ma molte famiglie non arrivano a 300 euro al mese, e lo vedi su tutti i volti che incontri, che dopo i 30 anni di età ti sorridono quasi senza denti...
Non siamo dei benefattori, ma donne e uomini solidali, ma sarà chiaro questo concetto? Non siamo lì con l’ipocrisia di fare genericamente del bene, ma sarà chiaro?
Tutto questo viene ribadito con forza da Rajko, il segretario del sindacato Samostalni, e da Stefano, il nostro vicepresidente.
Negli interventi iniziali di saluto viene chiaramente ricordato che noi siamo qui perchè crediamo in valori molto precisi, l’Antifascismo, il Lavoro, la Pace, la Libertà e la Solidarietà tra i lavoratori e tra i popoli, e siamo convinti che la solidarietà e l’unità tra i lavoratori è il bene più grande che abbiamo nelle nostre mani.
Per quasi due ore stringeremo tante mani, riceveremo tanti abbracci e baci, ci racconteranno i loro problemi, i loro dolori e le loro poche speranze; tanti lasceranno il loro regalo per le famiglie italiane, o un pensiero per la nostra delegazione, soprattutto tante bottiglie di rakija distillata direttamente da loro.
[FOTO: La statua all’operaio metalmeccanico / Una delle "nostre" bambine in affido]
Dopo l’assemblea ci aspetta un altro importante incontro, a Desimirovac, un grosso paese agricolo a una decina di chilometri a nord del centro di Kragujevac.
Abbiamo pubblicato un post con circa 40 foto su questo centro
in data 28 luglio 2014 sulla nostra pagina facebook
Il paese ha circa 1600 abitanti e con i villaggi vicini di Opornica (1200) Cerovac (1500) e Gornje Jarusice (1400) si giunge ad un totale di quasi 6000 persone.
Alla fine del 2012, in occasione di una nevicata eccezionale crollò il tetto di un edificio di 350 metri quadrati di proprietà del Comune, utilizzato come poliambulatorio pubblico, sede di gruppi sportivi e della associazione dei pensionati; inoltre un’ala del locale conteneva su due piani (uno a filo strada e uno seminterrato) due grandissime botti per la grappa.
Durante l’estate del 2013 ci venne chiesto se potevamo prendere in considerazione la ricostruzione di questo edificio come progetto per la nostra associazione. Ci furono inviate molte foto, e durante il viaggio di ottobre 2013 incontrammo i rappresentanti dell’associazione degli abitanti del paese. La ricostruzione poteva prevedere l’utilizzo dell’edificio anche da parte degli invalidi con la semplice costruzione di una rampa di accesso. Nel poliambulatorio si potrebbe infine installare una poltrona dentistica per odontoiatria sociale, visto che il problema dei denti è uno dei più gravi e diffusi tra la popolazione, poichè le spese connesse sono troppo elevate. La prevenzione specie nei bambini sarebbe veramente efficace.
Il progetto era importante ed interessante, perchè avrebbe riconsegnato alla popolazione un servizio pubblico essenziale, ma l’investimento da fare era al di sopra delle possibilità di una associazione come la nostra, anche se in collaborazione con altre.
Ritornati a casa e dopo averne tanto discusso nel direttivo e con altre organizzazioni la nostra proposta fu la seguente: se il Comune avesse garantito la ricostruzione del tetto noi avremmo potuto discutere la possibilità di prendere in carico la ricostruzione degli interni, a patto che ci fosse anche una parte di lavoro volontario fornito dagli abitanti.
Così durante l’inverno del 2013 avevamo ricevuto più preventivi. La ricostruzione degli interni costava 21.500 euro, ridotti a circa 14.000 per l’acquisto dei soli materiali, contando quindi totalmente su lavoro volontario degli abitanti . E poi finalmente il Comune di Kragujevac ci inviò una lettera che ci informava che in data 13 febbraio 2014 era stata approvata una delibera che stanziava 2.400.000 dinari (circa 21.000 euro) per la ricostruzione del tetto e il risultato positivo della gara di appalto; la ricostruzione tetto veniva stimata in circa due mesi.
Poi il 16 marzo 2014 ci era arrivato l’ultimo preventivo con tutti i dettagli per l’acquisto dei soli materiali necessari alla ricostruzione degli interni. Si trattava di 13.970 euro. Infine l’associazione degli abitanti ci mandò un lettera in cui garantivano lo svolgimento di tutti i lavori con loro interventi su base volontaria e gratuita.
A partire da aprile scorso i lavori di ricostruzione sono andati avanti senza sosta; non sono ancora tutti finiti durante questa nostra visita, ma mancano veramente poche cose.
Il recupero di questo centro polivalente è intitolato alla memoria di un medico triestino, Franco Dardi, la cui famiglia ha fatto una grandissima sottoscrizione per ricordarne il nome; un figlio e un nipote di questo medico partecipano con noi a questa visita.
Quando arriviamo l’accoglienza è proprio fuori dall’ordinario (per noi) ma molto tradizionale per loro: una ragazza in costume della Sumadija (la regione di Kragujevac) ci aspetta con la tradizionale offerta del pane e del sale, insieme ad un giovane e bravissimo fisarmonicista e a una folta delegazione di abitanti del paese.
[FOTO: Il pane ed il sale / La targa in memoria di Franco Dardi]
Visitiamo con cura i locali di questo centro, è irriconoscibile dal rudere che avevamo visto un anno fa, quando avevamo pensato che forse era meglio abbatterlo. Adesso tutto è a posto: l’impianto elettrico e quello idraulico sono finiti, così come tre ambulatori, l’ufficio comunale, la sala per i pensionati e per le associazioni sportive, i servizi igienici; mancano ancora alcuni intonaci, ma tutto è fattibile in poco tempo. La cosa più importante è che si sono i materiali e una grande voglia di fare.
La parte dell’edificio che ospitava le grandi botti per la rakija non sono stati ancora ricostruiti, non facevano parte del progetto ma il Comune ha ricostruito il tetto. Vedremo se in futuro si troveranno i mezzi per ristrutturare anche questi spazi: l’associazione degli abitanti sogna di costruire una farmacia a piano strada e un ritrovo per i giovani nella parte semi-interrata.
Per potere descrivere questo progetto ci vorrebbero decine e decine di fotografie, che non possiamo mettere in questa relazione, ma che inseriremo nella nostra pagina Facebook; qui ci limitiamo a qualche scatto importante.
[FOTO: La facciata prima… / … e dopo la ricostruzione / Due viste dell’ingresso prima dei lavori / L’ingresso dell’edificio dopo i lavori / Una delle stanze (senza il tetto) / La stessa stanza, dopo i lavori (mancano ancora le lampade al soffitto)]
Dopo questa visita siamo ospiti della associazione degli abitanti del paese e così, con un tipico ottimo pranzo serbo, si conclude anche questa missione.
Il giorno dopo, con un tranquillo viaggio di ritorno, saremo a casa e inizieremo la preparazione della prossima delegazione, che ad aprile 2015 ci porterà di nuovo a incontrare questi nostri carissimi amici.
CONCLUSIONI
In Serbia l’occupazione complessiva è sempre in discesa, il potere di acquisto dei salari e soprattutto delle pensioni è in costante diminuzione, non si vedono speranze per i giovani che sono costretti ad emigrare, soprattutto se dotati di una buona formazione scolastica.
Con molta fatica siamo riusciti a mantenere il numero di affidi nel 2014 al di sopra di 150, ne abbiamo perduti una ventina negli ultimi 3 anni, mentre abbiamo ampliato il numero di progetti che vanno incontro a reali bisogni sociali della popolazione di Kragujevac, e che lo stato di povertà della città non permette di soddisfare, nel campo della scuola, della sanità, del disagio fisico e mentale, in tutto ciò che può regalare una piccola speranza alle nuove generazioni.
Sappiamo bene che le condizioni materiali sono molto deteriorate anche qui da noi in Italia, ma siamo anche sicuri che i nostri sostenitori si rendono conto delle gravissime difficoltà che i lavoratori della Zastava e le loro famiglie continuano a sopportare, e che di conseguenza non mancheranno di sostenere la campagna di affidi, perchè la crisi non deve minare la solidarietà tra lavoratori e popoli, ma anzi rafforzarla, non deve dividere, ma unire, in nome di una globalizzazione dei diritti che, unica, può impedire le guerre tra i poveri e la disgregazione sociale.
ONLUS Non Bombe ma Solo Caramelle
Sede legale: Via dello Scoglio 173 I-34127 Trieste
Codice Fiscale 90019350488 (per sottoscrivere il 5 per mille)
Coordinate bancarie: Banca di Credito Cooperativo del Carso, Filiale di Basovizza,
Via Gruden 23, I-34149 Basovizza-Trieste
Codice IBAN IT18E0892802202010000021816
intestato a ‘’Non bombe ma solo caramelle –ONLUS’’
Trieste, 18 dicembre 2014
<< Quale sarà la testata che vincerà il nostro ambito trofeo? Quale invece il giornalista?
La nostra pagina intende lanciare questo concorso-sondaggio, tramite i suoi iscritti, per scegliere insieme chi saranno i vincitori del "Premio Goebbels per la disinformazione" per l'anno 2014.
Il principio è una testa, un voto. Si possono esprimere due preferenze, una per la testata, l'altra per il giornalista. Il voto è inviato tramite messaggio sulla bacheca di questo evento.
La proclamazione dei vincitori avverrà nei primi giorni del 2015.
Allora, cosa aspettate? Votate i vostri disinformatori dell'anno! >>
Svalutazione del rublo, calo del prezzo del petrolio. Le sanzioni economiche per la crisi Ucraina 'uno stimolo'…
La Russia sceglie la famiglia tradizionale e una nazione sana, ma ciò non significa che le persone con diverso orientamento sessuale abbiano limitati i diritti…
Come una volta contro la Francia o la Germania, la sconfitta iniziale della Russia potrebbe essere la garanzia della sua vittoria finale…
In Germania ex presidenti, politici, artisti, industriali lanciano un potente appello per la distensione in Europa. I loro colleghi italiani tacciono…
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58811
La tempesta perfetta è su due fronti; guerra economica palese -sanzioni- e un attacco ombra rivolto al cuore dell'economia russa. Putin sa altre mosse..
http://www.politika.rs/rubrike/Svet/Obamin-pristup-Rusiji-je-neprijateljski.sr.html
http://rt.com/politics/official-word/196284-ukraine-putin-nazi-europe/
"They would have gladly applied the Yugoslav scenario of dismemberment and disintegration for Russia. They failed. We did not allow them to do that."
“Our US friends, whether directly or from behind the scenes always affect our relations with our neighbors. Sometimes it’s unclear whether to talk to the authorities of the country, or to their US patrons.”
“If for many European countries, sovereignty and national pride are forgotten concepts and a luxury, then for Russia, true sovereignty is an absolutely necessary condition of our existence.”
Il 4 dicembre 2014 potrà a buon diritto essere incluso nell'elenco delle date che avranno anticipato, o preparato, la terza guerra mondiale…
Di seguito il testo licenziato dalle Camere statunitensi, che entrerà in vigore solo dopo la firma del Presidente Obama, ma questo ovviamente è solo un dettaglio....
Traduzione per Megachip a cura di Pino Cabras
E adesso è ufficiale.
La risoluzione n. 758 della Camera dei Rappresentanti è stata approvata ieri segnando un risultato travolgente e bipartisan (411 voti contro appena 10 contrari) presso il Congresso USA.
I particolari della ripartizione della votazione si possono leggere qui [ https://www.govtrack.us/congress/votes/113-2014/h548 ].
Questa risoluzione, giunta in tutta fretta fino al voto appena due settimane dopo essere stata presentata, descrive la Russia come una "Nazione Aggreditrice" che ha invaso l'Ucraina e che stava dietro l'abbattimento del MH17.
La risoluzione fa praticamente appello a far guerra alla Russia.
Date un'occhiata davvero attenta al linguaggio adoperato.
Il Presidente degli Stati Uniti, in consultazione con il Congresso USA, deve:
«Condurre una revisione del posizionamento, della prontezza e delle responsabilità delle forze armate degli Stati Uniti nonché delle forze degli altri membri della NATO per determinare se i contributi e le azioni di ciascuno siano sufficienti a soddisfare gli obblighi della difesa collettiva ai sensi dell'articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico e specificare le misure necessarie per porre rimedio a eventuali carenze».
Traduzione:
Il Congresso USA pretende che l'Impero del Caos usi la dottrina della sicurezza collettiva della NATO ai sensi dell'articolo 5 (un attacco a un paese membro è un attacco a tutti i membri), per portare una guerra alla Russia, sebbene l'Ucraina non sia un membro (ma presto diventerà un grande alleato non-NATO).
La risoluzione passa ora al Senato.
Se diventa legge, la risoluzione consente al Presidente degli Stati Uniti di dichiarare guerra alla Russia aggirando il permesso formale parlamentare del Campidoglio.
L'anatra zoppa non avrebbe le palle. Ma l'Hillarator le avrà.
Le recenti variazioni nel mercato petrolifero e in quello cambiario possono essere interpretate alla luce della crisi tra Washington e Mosca…
Il trend ribassista del greggio non si spiega solo con l'aumento dell'offerta e il rallentamento della domanda. Pesano le scelte strategiche delle principali potenze mediorientali e mondiali…
Intervista Tabarelli - presidente Nomisma - e Floros - saggista LiMes
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=IWQRwDxRxcs
BERLIN (Own report) - Since the Russian government's decision to scrap the "South Stream" pipeline project, Berlin and Brussels have been searching for an alternative supply of natural gas. In answer to the EU, Alexei Miller, Gazprom's chief executive, announced last Tuesday, that his company was no longer pursuing South Stream and would instead construct a pipeline to Turkey. Ukraine's role as transit country for supplying gas to the EU "will be reduced to zero." To meet the increasing demand of EU countries, the EU Commission is now seeking alternative supplies via the "Southern Corridor" - a route leading from Azerbaijan via the Southern Caucasus and Turkey to the EU. The EU's promised supply from Azerbaijan's natural gas reserves is but a drop in the bucket. The West's policies of war and sanctions hamper additional deliveries from Iraq or Iran via the "Southern Corridor." Only by 2016 will the USA export large quantities of shale gas, however, mainly to Asia where it can sell at a better price than in Europe. German politicians and experts are pleading to convince Moscow to continue the natural gas cooperation…
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58812
Die Widersprüche der EU (Probleme mit Erdgasversorgung nach South Stream-Stopp)
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59018
South Stream, Usa e getta
Manlio Dinucci
«La Russia per il momento è costretta a ritirarsi dal progetto South Stream, a causa della mancanza di volontà della Ue di sostenerlo e del fatto che a tutt’oggi non ha ancora ricevuto il permesso della Bulgaria a far passare il gasdotto sul proprio territorio»: così il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato la cancellazione del progetto South Stream, il gasdotto che avrebbe dovuto portare il gas russo nell’Unione europea attraverso un corridoio energetico meridionale, senza passare dall'Ucraina.
In tal modo, scrive l’Ansa, Mosca «schiaffeggia l'Europa». In realtà è Washington che dà un altro forte schiaffo all’Europa, bloccando un progetto da 16 miliardi di euro che avrebbe potuto essere di grande importanza economica per i paesi della Ue, a partire dall’Italia dove avrebbe dovuto essere costruito il terminale del gasdotto.
Per capire che cosa è avvenuto, occorre ripercorrere la storia del South Stream. Il progetto nasce dall’accordo di partenariato strategico, stipulato dalla compagnia statale russa Gazprom e dall’italiana Eni nel novembre 2006, durante il governo Prodi II. Nel giugno 2007 il ministro per lo sviluppo economico, Pierluigi Bersani, firma con il ministro russo dell’industria e dell’energia il memorandum d’intesa per la realizzazione del South Stream. Il progetto prevede che il gasdotto sarà composto da un tratto sottomarino di 930 km attraverso il Mar Nero (in acque territoriali russe, bulgare e turche) e da uno su terra attraverso Bulgaria, Serbia, Ungheria, Slovenia e Italia fino a Tarvisio (Udine).
Nel 2012 entrano a far parte della società per azioni che finanzia la realizzazione del tratto sottomarino anche la tedesca Wintershall e la francese Edf con il 15% ciascuna, mentre l’Eni (che ha ceduto il 30%) detiene il 20% e la Gazprom il 50%. La costruzione del gasdotto inizia nel dicembre 2012, con l’obiettivo di avviare la fornitura di gas entro il 2015. Nel marzo 2014 la Saipem (Eni) si aggiudica un contratto da 2 miliardi di euro per la costruzione della prima linea del gasdotto sottomarino.
Nel frattempo, però, scoppia la crisi ucraina e gli Stati uniti premono sugli alleati europei perché riducano le importazioni di gas e petrolio russo. Primo obiettivo statunitense è impedire la realizzazione del South Stream. A tale scopo Washington esercita una crescente pressione sul governo bulgaro perché blocchi i lavori del gasdotto. Prima lo critica per aver affidato la costruzione del tratto bulgaro a un consorzio di cui fa parte la società russaStroytransgaz, soggetta a sanzioni statunitensi. Quindi l’ambasciatrice Usa a Sofia, Marcie Ries, avverte gli uomini d’affari bulgari di evitare di lavorare con società soggette a sanzioni da parte degli Usa. Da’ una valida mano a Washington il presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso, che annuncia l'apertura di una procedura Ue contro la Bulgaria per presunte irregolarità negli appalti del South Stream.
Il momento decisivo è quando lo scorso giugno arriva a Sofia il senatore Usa John McCain, che incontra il premier bulgaro Plamen Oresharski trasmettendogli gli ordini di Washington. Subito dopo Oresharski annuncia il blocco dei lavori del South Stream, in cui la Gazprom ha già investito 4,5 miliardi di dollari.
Contemporaneamente la compagnia statunitense Chevron inizia le perforazioni in Polonia, Romania e Ucraina per ricavare gas da scisti bituminosi, attraverso la tecnica della fratturazione idraulica che si attua immettendo negli strati rocciosi profondi getti d’acqua e solventi chimici ad alta pressione. Una tecnica estremamente dannosa per l’ambiente e la salute, soprattutto a causa dell’inquinamento delle acque sotterranee. Il progetto di Washington di sostituire al gas naturale russo, importato dalla Ue, quello ricavato da scisti bituminosi in Europa e negli Stati uniti, è un vero e proprio bluff, sia per gli alti costi che per i danni ambientali e sanitari di tale tecnica di estrazione. E già in Polonia e in Romania diverse comunità locali si ribellano.
In seguito al blocco del South Stream, ha annunciato Putin, la Russia è costretta a «riorientare le forniture di gas». Aumenteranno quelle alla Turchia attraverso il gasdotto Blue Stream. Aumenteranno soprattutto quelle verso la Cina. La Gazprom le fornirà, entro il 2018, 38 miliardi di metri cubi di gas all’anno, ossia circa un quarto di quello che fornisce oggi all’Europa. Avvalendosi anche di investimenti cinesi previsti in 20 miliardi di dollari, Mosca progetta di potenziare l’oleodotto tra la Siberia orientale e il Pacifico, affiancandolo con un gasdotto di 4000 km per rifornire la Cina. Pechino è interessata a effettuare investimenti anche in Crimea, in particolare per la produzione ed esportazione di gas naturale liquefatto.
A perdere sono i paesi della Ue: solo la Bulgaria dovrà rinunciare a diritti di transito nell’ordine di 500 milioni di dollari annui.
La Saipem dell’Eni crolla in Borsa
Appena è stata annunciata la cancellazione del progetto South Stream, il titolo Saipem in Borsa ha subìto, in seguito alle vendite, un continuo calo, scendendo al più basso livello degli ultimi sei anni.
Con il blocco di South Stream, Saipem (Gruppo Eni) perde il contratto per la costruzione della prima linea del gasdotto sottomarino e un altro contratto per i lavori di supporto della seconda linea, per un valore complessivo di 2,4 miliardi di euro, cui si sarebbero aggiunti altri contratti se il progetto fosse andato avanti.
Si prevedono pesanti ripercussioni per l’occupazione. L’azienda, appartenente per il 43% all’Eni e per il 57% ad altri azionisti, opera a livello internazionale nel campo dell’estrazione e della ricerca di idrocarburi. Ha oltre 50mila dipendenti di 132 nazionalità, il 14% dei quali in Italia.
In seguito alla cancellazione del progetto South Stream saranno annullate o drasticamente ridimensionate le nuove assunzioni che la Saipem prevedeva per accrescere il proprio organico in Italia. Non si esclude neppure un taglio dell’attuale organico.
La cancellazione del progetto South Stream assesta quindi un duro colpo non solo alla Saipem ma ad altri settori dell’industria e dei servizi, nel momento critico in cui cala la produzione e, di conseguenza, l’occupazione.
Basti pensare che il terminale del gasdotto a Tarvisio, previsto nel progetto originario, avrebbe potuto essere l’hub di smistamento del gas russo in altri paesi europei e quindi fonte di forti introiti e incremento di posti di lavoro. Tutto questo ora viene vanificato. Mentre traggono vantaggio dalla cancellazione del South Stream le compagnie statunitensi, come la Crevron, impegnate a rimpiazzare il gas russo fornito alla Ue. Non resta che ringraziare «l’amico americano».
(il manifesto, 3 dicembre 2014)
Per saperne di più: http://italian.ruvr.ru/news/2014_12_18/Grande-conferenza-stampa-del-Presidente-russo-Vladimir-Putin-0489/