Informazione


Fonte: pagina FB « Premio Goebbels per la disinformazione », 1/1/2015
<< Ecco a voi i risultati delle votazioni relative al « Premio Goebbels dell’anno" per il 2014. Purtroppo molti voti non sono stati assegnati, vista la contemporaneità di più preferenze per il giornalista o per la testata, in ogni caso è stata una gara entusiasmante che ci ha riservato molte sorprese...
Questo è il podio relativo alle testate giornalistiche vincitrici del "Premio Goebbels dell'anno" per il 2014:
1° - "La Repubblica" (40 voti)
2° - "La Stampa" (34 voti)
3° - "Rainews24" (14 voti)
4° - "Il Fatto Quotidiano" (10 voti)
5° - "L'Unità" (9 voti)
Questo invece il podio relativo ai giornalisti vincitori del "Premio Goebbels dell'anno" per il 2014:
1° - Paolo Russo (26 voti)
2° - Anna Zafesova (21 voti)
3° - Lucia Goracci (19 voti)
4° - Lucia Annunziata (7 voti)
5° - Vittorio Zucconi (6 voti)
Siamo lieti di comunicarvi che i vincitori del « Premio Goebbels dell’anno" per il 2014 sono "La Repubblica" e Paolo Russo! >>


Il giorno 21/dic/2014, alle ore 19:44, 'Coord. Naz. per la Jugoslavia' ha scritto:


E' stato indetto il Premio Goebbels per la disinformazione dell'anno 2014

<< Quale sarà la testata che vincerà il nostro ambito trofeo? Quale invece il giornalista?
La nostra pagina intende lanciare questo concorso-sondaggio, tramite i suoi iscritti, per scegliere insieme chi saranno i vincitori del "Premio Goebbels per la disinformazione" per l'anno 2014.
Il principio è una testa, un voto. Si possono esprimere due preferenze, una per la testata, l'altra per il giornalista. Il voto è inviato tramite messaggio sulla bacheca di questo evento.
La proclamazione dei vincitori avverrà nei primi giorni del 2015.
Allora, cosa aspettate? Votate i vostri disinformatori dell'anno! >>

Se (giustamente) non volete entrare in Facebook, rispondete a questo email e provvederemo noi a comunicare il vostro voto agli organizzatori.



(francais / italiano)

Il Capodanno dell’Italia nella NATO

1) M. Dinucci: 2014 buon anno per la Nato
2) L. Mazzeo: Caccia italiani nel Baltico per operazioni Nato anti-Russia / Des avions de chasse italiens en Baltique pour les opérations antirusses de l'OTAN


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da Il manifesto del 30 dicembre 2014
www.ilmanifesto.it

L'arte della guerra
 
2014 buon anno per la Nato
 
di Manlio Dinucci
 
Il 2014, per Washington e la sua Alleanza transatlantica, rischiava di essere un anno nero soprattutto in due scenari: una Europa senza guerre dove, nonostante l’allargamento della Nato ad est, si stavano rafforzando i rapporti economici e politici tra Ue e Russia e quasi tutti gli alleati erano restii ad aumentare la spesa militare al livello richiesto dal Pentagono; un Medio Oriente dove stava fallendo la guerra Usa/Nato in Siria e l’Iraq si stava distanziando dagli Usa avvicinandosi a Cina e Russia, la cui alleanza è sempre più temuta dalla Casa Bianca.
Si avvertiva a Washington, sempre più pressante, l’esigenza di trovare una «nuova missione» per la Nato. Che puntualmente è stata trovata. Il putsch di piazza Maidan, a lungo preparato addestrando anche forze neonaziste ucraine, ha riportato l’Europa a una situazione analoga a quella della guerra fredda, provocando un nuovo confronto con la Russia. L’offensiva dell’Isis, a lungo preparata finanziando e armando gruppi islamici (alcuni dei quali prima definiti terroristi) fin dalla guerra contro la Jugoslavia e quella contro la Libia, ha permesso alle forze Usa/Nato di intervenire in Medio Oriente per demolire non l’Isis ma la Siria e per rioccupare l’Iraq.

La «nuova missione» Nato è stata ufficializzata dal Summit di settembre nel Galles, varando il «Readiness Action Plan» il cui scopo ufficiale è quello di «rispondere rapidamente e fermamente alle nuove sfide alla sicurezza», attribuite alla «aggressione militare della Russia contro l’Ucraina» e alla «crescita dell’estremismo e della conflittualità settaria in Medio Oriente e Nord Africa». Il Piano viene definito dal segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, «il più grosso rafforzamento della nostra difesa collettiva dalla fine della guerra fredda».

Come inizio, in appena tre mesi la Nato ha quadruplicato i cacciabombardieri, a duplice capacità convenzionale e nucleare, schierati nella regione baltica (un tempo parte dell’Urss); ha inviato aerei radar Awacs sull’Europa orientale e accresciuto il numero di navi da guerra nel Mar Baltico, Mar Nero e Mediterraneo; ha dispiegato in Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania forze terrestri statunitensi (comprese unità corazzate pesanti), britanniche e tedesche; ha intensificato le esercitazioni congiunte in Polonia e nei paesi baltici, portandole nel corso dell’anno a oltre 200.

Sempre in base al «Readiness Action Plan», è stato avviato il potenziamento della «Forza di risposta della Nato» costituendo «pacchetti» di unità terrestri, aeree e navali in grado di essere proiettate rapidamente in Europa orientale, Medio Oriente, Asia centrale (compreso l’Afghanistan dove la Nato resta con le sue forze speciali), Africa e altre regioni. In tale quadro sarà formata una nuova «Task force congiunta ad altissima prontezza», capace di essere «dispiegata in pochi giorni, in particolare alla periferia del territorio Nato».

Contemporaneamente è stato aperto a Riga (Lettonia) il «Centro di eccellenza di comunicazioni strategiche Nato», incaricato di condurre la nuova guerra fredda contro la Russia con vari strumenti, tra cui «operazioni informative e psicologiche». Secondo l’accordo firmato il 1° luglio presso il Comando alleato per la trasformazione (Norfolk, Virginia), fa parte del Centro di eccellenza per la nuova guerra fredda anche l’Italia, con Gran Bretagna, Germania, Polonia e le tre repubbliche baltiche.

In tal modo l’Italia e la Ue contribuiscono ad aprire la «nuova era di dialogo con Mosca» annunciata da Federica Mogherini, alto rappresentante per la politica estera della Ue.

Manlio Dinucci

Fonte
Il Manifesto (Italia)


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Caccia italiani nel Baltico per operazioni Nato anti-Russia

di Antonio Mazzeo, 31 Dicembre 2014

Il 27 dicembre quattro caccia multiruolo Eurofighter “Typhoon” dell’Aeronautica militare italiana sono giunti nella base lituana di Siauliai per partecipare alla Baltic Air Patrol (BAP), l’operazione Nato di “pattugliamento” e “vigilanza” dei cieli del Baltico e di “difesa” aerea di Estonia, Lettonia e Lituania, partner orientali dell’Alleanza atlantica. I caccia, gli equipaggi e il personale impegnati nella missione che durerà sino all’aprile 2015 provengono dal 4° Stormo dell’Aeronautica di Grosseto, dal 36° Stormo di Gioia del Colle (Bari) e dal 37° Stormo di Trapani-Birgi.

 
L’Italia assumerà il comando della BAP con i “Typhoon” a partire dal 1° gennaio 2015. Alla missione Nato parteciperanno anche quattro caccia Mig-29 delle forme armate polacche schierati anch’essi a Siauliai, quattro “Typhoon” spagnoli di base nell’aeroporto militare di Amari (Estonia), quattro cacciabombardieri belgi F-16 a Malbork (Polonia) e altri quattro velivoli d’attacco britannici attesi nel Baltico a gennaio. I caccia sostituiranno i 16 velivoli che erano stati assegnati sino ad oggi dal Comando Nato alla Baltic Air Patrol (caccia “Eurofighter” tedeschi, F-18  canadesi, F-16 olandesi e portoghesi).
 
L’Eurofigter “Typhoon” in dotazione all’Aeronautica italiana è un caccia di ultima generazione con ruolo primario di “superiorità aerea” e intercettore. Con una lunghezza di 16 metri e un’apertura alare di 11, il guerriero europeo può raggiungere la velocità massima di 2 mach (2.456 Km/h) e un’autonomia di volo di 3.700 km. Il velivolo è armato di micidiali strumenti bellici: cannoni Mauser da 27 mm; bombe a caduta libera Paveway e Mk 82, 83 e 84 da 500 a 2.000 libbre e a guida GPS JDAM; missili aria-aria, aria-superficie e antinave a guida radar e infrarossa. Con tutta probabilità, il ciclo operativo nei cieli del Baltico consentirà ai caccia italiani di testare sul campo pure il nuovo missile da crociera MBDA “Storm Shadow”, con oltre 500 chilometri di raggio d’azione, la cui integrazione come sistema d’arma del “Typhoon” è stata avviata nei mesi scorsi da Alenia-Aermacchi (Finmeccanica) nel poligono di Salto di Quirra, in Sardegna. Gli “Storm Shadow” erano stati impiegati finora solo dai cacciabombardieri “Tornado” nelle operazioni di guerra in Iraq e in Libia 2011.
 
La Nato garantisce le attività di “sicurezza” dei cieli delle Repubbliche baltiche dall’aprile 2004, sulla base di un accordo collettivo firmato con i governi di Estonia, Lettonia e Lituania. Nel 2010 Bruxelles ha deciso di prorogare le missioni di pattugliamento aereo sino alla fine del 2014, ma le Repubbliche baltiche hanno ottenuto un’ulteriore estensione della BAP sino al dicembre 2018, con la speranza tuttavia che essa ottenga alla fine lo status di “missione permanente della Nato”.
 
Ad oggi, solo 14 paesi dell’Alleanza Atlantica hanno partecipato alla Baltic Air Patrol. Con l’arrivo dei caccia di Spagna e Italia per il 37° ciclo operativo 2015, il numero degli alleati Nato raggiunge quota 16, a cui si aggiungerà presto pure l’Ungheria con i cacciabombardieri Saab “Gripen”. La grave crisi in Ucraina e l’allarme causato dalla presunta escalation delle attività dei caccia russi sul Mar Baltico, ha convinto Bruxelles a potenziare progressivamente il numero dei velivoli coinvolti nel pattugliamento del fronte orientale dell’Alleanza: dal maggio 2014 i caccia assegnati a BAP sono aumentati da quattro a sedici, mentre sempre a Siauliai sono stati trasferiti anche sei caccia F-15 ed un aerocisterna KC-135 dell’US Air Force.
 
La partecipazione dell’Aeronautica militare italiana alla Baltic Air Patrol era stata preparata da una missione ispettiva a Kaunas (Lituania) - luglio 2013 - di una delegazione guidata dal Capo del 3° Reparto dello Stato maggiore, gen. Gianni Candotti. I militari italiani si recarono successivamente nelle basi aeree di Siauliai ed Amari, per concordare con le aeronautiche di Lituania ed Estonia l’organizzazione nel 2014 di un mini deployment addestrativo con velivoli Eurofigther “per testare la risposta del sistema d’arma ai climi freddi”. Il tour italiano nel Baltico servì pure a rafforzare la partnership nel settore industriale-militare. Alla Lithuanian Air Force, tra il 2006 al 2008, Alenia Aeronautica (Finmeccanica) aveva consegnato tre velivoli da trasporto tattico C27J “Spartan”. “Il Comandante dell’Aeronautica lituana, gen. Edvardas Mazeikis, ha espresso il proprio apprezzamento per le capacità conseguite con questi velivoli di produzione italiana”, riportò una nota del Ministero della difesa, a conclusione della missione ispettiva nel Baltico. “Proprio tale capacità offre un’importante possibilità di concreta cooperazione, nell’immediato, nel settore dell’addestramento dei piloti lituani presso il National Training Center di Pisa ed, in prospettiva, per la condivisione di esperienze operative e manutentive”. Nell’autunno del 2012, un’altra azienda del gruppo Finmeccanica, Selex Sistemi Integrati, aveva fornito il sistema di gestione del combattimento (CMS) “Athena” e le centrali di tiro “Medusa” MK4/B per i nuovi pattugliatori della classe “Flyvefisken” della Marina militare lituana.
Con la partecipazione alla Baltic Air Patrol, l’Aeronautica militare vede crescere ulteriormente il proprio ruolo a livello internazionale. Attualmente i caccia italiani sono impegnati pure nel pattugliamento dei cieli dell’Islanda (a rotazione con altri partner Nato), della Slovenia e dell’Albania. Si tratta di un impegno finanziario assai oneroso che nessun partner europeo della Nato ha finora voluto assumersi. L’Aeronautica è impegnata pure nelle operazioni di guerra contro l’Isis, grazie a un velivolo per il rifornimento in volo KC-767, due aerei senza pilota “Predator A” e quattro cacciabombardieri “Tornado”, schierati in Kuwait e Iraq. Da Gibuti, in Corno d’Africa, decollano quotidianamente due droni “Predator” del 32° Stormo di Amendola (Foggia), contribuendo alle operazioni Ue e Nato contro la pirateria e di quelle delle forze armate somale contro le milizie islamico radicali Al Shabab.


=== FRANCAIS ===

mercredi 31 décembre 2014

Des avions de chasse italiens en Baltique pour les opérations antirusses de l'OTAN 

par Antonio Mazzeo 31/12/2014
Traduit par Fausto Giudice, Tlaxcala
 

Le 27 décembrequatre chasseurs multi-rôles Eurofighter "Typhoon" italiens ont atterri à la base de Siauliai en Lituanie pour participer à la Baltic Air Patrol(Patrouille aérienne baltique, BAP), l'opération de l'OTAN de «patrouille» et «surveillance» du ciel de la Baltique et de «défense» aérienne de l'Estonie, la Lettonie et la Lituaniepartenaires orientaux de l'Alliance atlantiqueLes chasseurs, les équipages et le personnel impliqués dans la mission qui durera jusqu'en avril 2015 viennent du 4ème Escadron de Grossetodu 36ème Escadron de Gioia del Colle (Bari) et du 37ème Escadron de Trapani.

L'Italie assumera le commandement de la BAP avec les «Typhoon» à partir du 1er janvier 2015.Quatre MIG-29 de l'armée polonaise, également déployé à Siauliaiquatre "Typhoon" espagnolsbasés à l'aéroport militaire d' Amari (Estonie), quatre chasseurs-bombardiers F-16 belges à Malbork(Pologne) et quatre autres appareils britanniques, attendus en janvier, participent également à la mission de l'OTANIls remplaceront les 16 avions assignés par le commandement de l'OTAN à la BAP ("Eurofighter" allemandsF-18 canadiens, F-16 néerlandais et portugais).

L' Eurofighter "Typhoon" italien est un chasseur de dernière génération ayant comme premier rôle la «supériorité aérienne» et l'interceptionAvec une longueur de 16 mètres et une envergure de 11, le guerrier européen peut atteindre une vitesse maximale de Mach 2 (2456 kilomètres/heure) et une autonomie de vol de 3700 kmL'avion est armé avec d' armes meurtrières: canons Mauser de 27mmbombes à chute libre Paveway et Mk 82, 83 et 84 de 500 à 2000 livres et JDAM à guidage GPS, missiles air-air, air-surface et anti-navires guidés par radar et infrarouge. Selon toute probabilité, le cycle d'opérations dans le ciel de la Baltique permettra aux chasseurs italiens de tester sur le terrain aussi le nouveau missile de croisière MBDA "Storm Shadow", avec plus de 500 km de rayon d'action, dont l'intégration comme système d'armement  des «Typhoon» a été mise en route ces derniers mois par Alenia Aermacchi (Finmeccanica) dans le polygone de Salto di Quirra, en Sardaigne. Les "Storm Shadow" avaient été utilisés jusqu'à présent seulement par des chasseurs-bombardiers "Tornado" dans les opérations de la guerre en Irak et en Libye en 2011.
L'OTAN garantit les activités de «sécurité» aérienne dans les États baltes depuis avril 2004, sur la base d'une convention collective signée avec les gouvernements de l'Estonie, la Lettonie et la LituanieEn 2010, Bruxelles a décidé de prolonger les missions de reconnaissance aérienne jusqu'à la fin de 2014mais les États baltes ont obtenu une nouvelle prolongation de la BAP jusqu'en décembre 2018, avec l'espoircependant, que celle-ci finira par obtenir le statut de "mission permanente de l'OTAN ".
À ce jourseuls 14 pays de l'Alliance atlantique ont participé à la BAPAvec l'arrivée de chasseurs espagnols et italiens pour le 37ème cycle d'opérations en 2015le nombre d'alliés de l'OTAN atteint16auxquels s'ajoutera bientôt la Hongrie avec les chasseurs-bombardiers Saab "Gripen". La crise en Ukraine et l'alarme causée par l'escalade alléguée des activités de la chasse russe sur la mer Baltiquea convaincu Bruxelles d' augmenter progressivement le nombre d'avions impliqués dans les patrouilles de la façade orientale de l'Alliance: depuis mai 2014 le nombre de chasseurs affectés à laBAP est passé de quatre à seize, tandis que six F-15 et un ravitailleur KC-135 de la Force aérienne US ont été aussi trasférés à Siauliai.
La participation italienne à la Patrouille aérienne Baltique avait été préparée par une mission d'inspection à Kaunas (Lituanie– en juillet 2013  d'une délégation conduite par le chef du 3ème Département de l'État-major de l'Armée de l'air, le général Gianni CandottiLes militaires italiens se sont rendus successivement dans les bases aériennes de Siauliai et d'Amaripour concorder avec les forces aériennes de Lituanie et d'Estonie l'organisation en 2014  d'un mini-déploiement d'entraînement avec des Eurofighters "pour tester la réponse du système d'armement aux climats froids". La tournée italienne dans la Baltique a également servi à renforcer le partenariat dans le secteur militaro-industrielAlenia Aeronautica (Finmeccanica) avait livré aux forces aériennes lituaniennes, entre 2006 et 2008, trois avions de transport tactique C-27J "Spartan". "Le commandant de l'Aviation lituanienne, le général Edvardas Mazeikisa exprimé sa gratitude pour les capacité obtenues avec ces avions de fabrication italienne"rapportaitune note du ministère de la Défense italienà l'issue de la mission d'inspection dans la mer Baltique"Ce sont justement ces capacités qui offrent une occasion importante de coopération concrètedans l'immédiatdans le domaine de la formation de pilotes lituaniens au Centre national de formation de Pise et, à long terme, pour le partage d'expériences opérationnelles et d'entretien". À l'automne 2012une autresociété du groupe FinmeccanicaSelex Sistemi Integratiavait fourni le système de gestion decombat (CMS) "Athena" et les centrales de tir "Medusa" MK4 / B pour les nouveaux  patrouilleursde la classe "Flyvefisken" de la Marine lituanienne.
En participant à la Patrouille aérienne baltiqueles forces aériennes italiennes voient croître encoreleur rôle à l'échelle internationale. Actuellement les chasseurs italiens sont aussi engagés dans des patrouilles aériennes au-dessus de l'Islande (en rotation avec d'autres partenaires de l'OTAN), de la Slovénie et de l'AlbanieC'est un engagement financier assez coûteux qu'aucun partenaire européen de l'OTAN n'a voulu prendre jusqu'iciL'aviation italienne est également engagée dans lesopérations de guerre contre Daeshavec un avion de ravitaillement en vol KC-767, deux drones"Predator A" et quatre chasseurs-bombardiers "Tornado", déployés au Koweït et en IrakDeDjibouti, dans la Corne de l'Afriquedeux drones décollent "Predator" du 32ème Escadrond'Amendola (Foggia) décollent quotidiennement, contribuant aux opérations de l'UE et de l'OTANcontre la piraterie et à celles des forces armées somaliennes contre la milice islamique radicale des Chabab.



SRETNA NOVA 2015. GODINA !
PRIPADNICIMA SVIH JUGOSLOVENSKIH NARODA I NARODNOSTI I JUGOSLOVENIMA ŽELIMO SRETNU ,ZDRAVU I USPEŠNU NOVU 2015. GODINU !







(fonte: mailing-list del Comitato NO NATO - vedi anche:
Sul volume "Se dici guerra" – Kappa Vu, aprile 2014 – vedi anche:
M. Dinucci è anche membro del Comitato Scientifico del Coord. Naz. per la Jugoslavia - onlus)


Da: Manlio Dinucci 
Oggetto: (ComitatoNoNato) TRACCIA STORICA DELLA NATO / PRIMA PUNTATA
Data: 26 dicembre 2014


Invio alla mailing list questa traccia storica (pubblicata in Se dici guerra, Kappa Vu, aprile 2014), che ricostruisce in termini essenziali il riorientamento strategico della Nato dopo la guerra fredda. Il testo viene suddiviso in alcune parti, inviate separatamente per facilitarne la lettura, e corredato da una serie di aggiornamenti.

Buon lavoro a tutti

Il riorientamento strategico della Nato 
dopo la guerra fredda

Manlio Dinucci

La Nato, fondata il 4 aprile 1949, comprende durante la guerra fredda sedici paesi: Stati Uniti, Canada, Belgio, Danimarca, Francia, Repubblica federale tedesca, Gran Bretagna, Grecia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Turchia. Attraverso questa alleanza, gli Stati Uniti mantengono il loro dominio sugli alleati europei, usando l’Europa come prima linea nel confronto, anche nucleare, col Patto di Varsavia. Questo, fondato il 14 maggio 1955 (sei anni dopo la Nato), comprende Unione Sovietica, Bulgaria, Cecoslovacchia, Polonia, Repubblica democratica tedesca, Romania, Ungheria, Albania (dal 1955 al 1968). 
 
Dalla guerra fredda al dopo guerra fredda
Il 9 novembre 1989 avviene il «crollo del Muro di Berlino»: è l’inizio della riunificazione tedesca che si realizza quando, il 3 ottobre 1990, la Repubblica Democratica si dissolve aderendo alla Repubblica Federale di Germania. Il 1° luglio 1991 si dissolve il Patto di Varsavia: i paesi dell’Europa centro-orientale che ne facevano parte non sono ora più alleati dell’Urss. Il 26 dicembre 1991, si dissolve la stessa Unione Sovietica: al posto di un unico Stato se ne formano quindici. 
La scomparsa dell’Urss e del suo blocco di alleanze crea, nella regione europea e centro-asiatica, una situazione geopolitica interamente nuova. Contemporaneamente, la disgregazione dell’Urss e la profonda crisi politica ed economica che investe la Russia segnano la fine della superpotenza in grado di rivaleggiare con quella statunitense.
La guerra del Golfo del 1991 è la prima guerra che, nel periodo successivo al secondo conflitto mondiale, Washington non motiva con la necessità di arginare la minacciosa avanzata del comunismo, giustificazione alla base di tutti i precedenti interventi militari statunitensi nel «terzo mondo», dalla guerra di  Corea a quella del Vietnam, dall'invasione di Grenada all'operazione contro il Nicaragua. Con questa guerra gli Stati Uniti rafforzano la loro presenza militare e influenza politica nell’area strategica del Golfo, dove si concentra gran parte delle riserve petrolifere mondiali, e allo stesso tempo lanciano ad avversari, ex-avversari e alleati un inequivocabile messaggio. Esso è contenuto nella National Security Strategy of the United States (Strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti), il documento con cui la Casa Bianca enuncia, nell’agosto 1991, la nuova strategia. 
«Nonostante l'emergere di nuovi centri di potere – sottolinea il documento a firma del presidente – gli Stati Uniti rimangono il solo Stato con una forza, una portata e un'influenza in ogni dimensione – politica, economica e militare – realmente globali. Nel Golfo abbiamo dimostrato che la leadership americana deve includere la mobilitazione della comunità mondiale per condividere il pericolo e il rischio. Ma la mancanza di altri nell'assumersi il proprio onere non ci scuserebbe. In ultima analisi, siamo responsabili verso i nostri stessi interessi e la nostra stessa coscienza, verso i nostri ideali e la nostra storia, per ciò che facciamo con la potenza in nostro possesso. Negli anni Novanta, così come per gran parte di questo secolo, non esiste alcun sostituto alla leadership americana». 
 
Il nuovo concetto strategico della Nato
Mentre riorientano la propria strategia, gli Stati Uniti premono sulla Nato perché faccia altrettanto. Per loro è della massima urgenza ridefinire non solo la strategia, ma il ruolo stesso dell’Alleanza atlantica. Con la fine della guerra fredda e il dissolvimento del Patto di Varsavia e della stessa Unione Sovietica, viene infatti meno la motivazione della «minaccia sovietica» che ha tenuto finora coesa la Nato sotto l’indiscussa leadership statunitense: vi è quindi il pericolo che gli alleati europei facciano scelte divergenti o addirittura ritengano inutile la Nato nella nuova situazione geopolitica creatasi nella regione europea. 
Il 7 novembre 1991 (dopo la prima guerra del Golfo, a cui la Nato ha partecipato non ufficialmente in quanto tale, ma con sue forze e strutture),  i capi di stato e di governo dei sedici paesi della Nato, riuniti a Roma nel Consiglio atlantico, varano «Il nuovo concetto strategico dell'Alleanza». «Contrariamente alla predominante minaccia del passato – afferma il documento – i rischi che permangono per la sicurezza dell'Alleanza sono di natura multiforme e multidirezionali, cosa che li rende difficili da prevedere e valutare. Le tensioni potrebbero portare a crisi dannose per la stabilità europea e perfino a conflitti armati, che potrebbero coinvolgere potenze esterne o espandersi sin dentro i paesi della Nato». Di fronte a questi e altri rischi, «la dimensione militare della nostra Alleanza resta un fattore essenziale, ma il fatto nuovo è che sarà più che mai al servizio di un concetto  ampio di sicurezza». Definendo il concetto di sicurezza come qualcosa che non è circoscritto all’area nord-atlantica, si comincia a delineare la «Grande Nato».  

Il «nuovo modello di difesa» dell’Italia
Tale strategia è fatta propria anche dall’Italia quando, sotto il sesto governo Andreotti, essa partecipa alla guerra del Golfo: i Tornado dell’aeronautica italiana effettuano 226 sortite per complessive 589 ore di volo, bombardando gli obiettivi indicati dal comando statunitense. E’ la prima guerra a cui partecipa la Repubblica italiana, violando l’articolo 11, uno dei principi fondamentali della propria Costituzione.
Subito dopo la guerra del Golfo, durante il settimo governo Andreotti, il ministero della difesa italiano pubblica, nell'ottobre 1991, il rapportoModello di Difesa / Lineamenti di sviluppo delle FF.AA. negli anni '90. Il documento riconfigura la collocazione geostrategica dell'Italia, definendola «elemento centrale dell'area geostrategica che si estende unitariamente dallo Stretto di Gibilterra fino al Mar Nero, collegandosi, attraverso Suez, col Mar Rosso, il Corno d'Africa e il Golfo Persico». Considerata la «significativa vulnerabilità strategica dell'Italia» soprattutto per l'approvvigionamento petrolifero, «gli obiettivi permanenti della politica di sicurezza italiana si configurano nella tutela degli interessi nazionali, nell'accezione più vasta di tali termini, ovunque sia necessario», in particolare di quegli interessi che «direttamente incidono sul sistema economico e sullo sviluppo del sistema produttivo, in quanto condizione indispensabile per la conservazione e il progresso dell'attuale assetto politico e sociale della nazione». 
Nel 1993 – mentre l’Italia sta partecipando all’operazione militare lanciata dagli Usa in Somalia, e al governo Amato subentra quello Ciampi – lo Stato maggiore della difesa dichiara che «occorre essere pronti a proiettarsi a lungo raggio» per difendere ovunque gli «interessi vitali», al fine di «garantire il progresso e il benessere nazionale mantenendo la disponibilità delle fonti e vie di rifornimento dei prodotti energetici e strategici». 
Nel 1995, durante il governo Dini, lo stato maggiore della difesa fa un ulteriore passo avanti, affermando che «la funzione delle forze armate trascende lo stretto ambito militare per assurgere anche a misura dello status e del ruolo del paese nel contesto internazionale». 
Nel 1996, durante il governo Prodi, tale concetto viene ulteriormente sviluppato nella 47a sessione del Centro alti studi della difesa. «La politica della difesa – afferma il generale Angioni – diventa uno strumento della politica della sicurezza e, quindi, della politica estera». 
Viene in tal modo istituita una nuova politica militare e, contestualmente, una nuova politica estera la quale, usando come strumento la forza militare, viola il principio costituzionale, affermato dall’Articolo 11, che «l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Questa politica, introdotta attraverso decisioni apparentemente tecniche, viene di fatto istituzionalizzata passando sulla testa di un parlamento che, in stragrande maggioranza, se ne disinteressa o non sa neppure che cosa precisamente stia avvenendo. 
 
La guerra contro la Iugoslavia
Poco tempo dopo essere stato enunciato, il «nuovo concetto strategico» viene messo in pratica nei Balcani. Nel luglio 1992 la Nato lancia la sua prima operazione di «risposta alle crisi», la Maritime Monitor, per imporre l’embargo alla Jugoslavia.  Nei Balcani, tra l‘ottobre ’92 e il marzo ’99, conduce undici operazioni: Deny Flight, Sharp Guard, Eagle Eye e altre. Il 28 febbraio 1994, durante la Deny Flight in Bosnia, la Nato effettua la prima azione di guerra nella sua storia. Viola così l’art. 5 della sua stessa carta costitutiva, poiché l’azione bellica non è motivata dall’attacco a un membro dell’Alleanza ed è effettuata fuori dalla sua area geografica. 
Spento l’incendio in Bosnia (dove il fuoco resta sotto la cenere della divisione in stati etnici), i pompieri di Washington corrono a gettare benzina sul focolaio del Kosovo, dove è in corso da anni una rivendicazione di indipendenza da parte della maggioranza albanese (un milione e 800 mila persone, in confronto a 200 mila serbi, oltre 100 mila rom e goranci). Attraverso canali sotterranei in gran parte gestiti dalla Cia, un fiume di armi e finanziamenti, tra la fine del 1998 e l’inizio del 1999, va ad alimentare l’Uck (Esercito di liberazione del Kosovo), braccio armato del movimento separatista kosovaro-albanese. Eppure, ancora nei primi mesi del 1998, il Dipartimento di stato Usa, per bocca dell’inviato Gelbart, definisce l’Uck una organizzazione terroristica. Agenti della Cia dichiareranno successivamente di «essere entrati in Kosovo nel 1998 e 1999, in veste di osservatori dell’Osce incaricati di verificare il cessate il fuoco, stabilendo collegamenti con l’Uck e dandogli manuali statunitensi di addestramento militare e consigli su come combattere l’esercito iugoslavo e la polizia serba, telefoni satellitari e apparecchi Gps, così che i comandanti della guerriglia potessero stare in contatto con la Nato e Washington». L’Uck può così scatenare un’offensiva contro le truppe federali e i civili serbi, con centinaia di attentati e rapimenti.
Mentre gli scontri tra le forze iugoslave e quelle dell’Uck provocano vittime da ambo le parti, una potente campagna politico-mediatica prepara l’opinione pubblica internazionale all’intervento della Nato, presentato come l’unico modo per fermare la «pulizia etnica» serba in Kosovo. A tale scopo viene fatta fallire l’opera di mediazione della Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) che, nell’autunno 1998, invia una sua missione in Kosovo con il compito di vagliare le possibilità di pace e fermare la guerra denunciando le violazioni. E’ a questo punto che, alla metà di gennaio 1999, viene fuori a Racak, zona controllata dall’Uck, l’«eccidio» di 45 «civili albanesi»: sono, dimostreranno in seguito i medici legali di una commissione indipendente finlandese, combattenti albanesi vittime negli scontri, non civili indifesi. Dando immediatamente per buona la versione dell’eccidio di civili, il capo della missione Osce, lo statunitense William Walzer (già agente della Cia in Salvador negli anni Ottanta), ritira la missione internazionale. I serbi vengono accusati di «pulizia etnica», nonostante che un rapporto Onu del gennaio 1999 valuti il numero di sfollati, sia albanesi che serbi e rom, in circa 60 mila, e la stessa missione Osce non abbia parlato sino a quel momento, nei suoi rapporti, di pulizia etnica. Vi sono evidentemente degli eccidi, commessi dall’una e dall’altra parte, non però la «pulizia etnica» che serve a motivare l’intervento armato degli Stati Uniti e dei loro alleati.
La guerra, denominata «Operazione forza alleata», inizia il 24 marzo 1999. Mentre gli aerei di Stati Uniti e altri paesi della Nato sganciano le prime bombe sulla Serbia e il Kosovo, il presidente democratico Clinton annuncia: «Alla fine del XX secolo, dopo due guerre mondiali e una guerra fredda, noi e i nostri alleati abbiamo la possibilità di lasciare ai nostri figli un’Europa libera, pacifica e stabile». Determinante, nella guerra, è il ruolo dell’Italia: il governo D’Alema mette il territorio italiano, in particolare gli aeroporti,  a completa disposizione delle forze armate degli Stati Uniti e altri paesi, per attuare quello che il presidente del consiglio definisce «il diritto d’ingerenza umanitaria». 
Per 78 giorni, decollando soprattutto dalle basi italiane, 1.100 aerei effettuano 38mila sortite, sganciando 23 mila bombe e missili. Il 75 per cento degli aerei e il 90 per cento delle bombe e dei missili vengono forniti dagli Stati Uniti. Statunitense è anche la rete di comunicazione, comando, controllo e intelligence (C3I) attraverso cui vengono condotte le operazioni: «Dei 2.000 obiettivi colpiti in Serbia dagli aerei della Nato – documenta successivamente il Pentagono – 1.999 vengono scelti dall’intelligence statunitense e solo uno dagli europei». 
Sistematicamente, i bombardamenti smantellano le strutture e infrastrutture della Serbia e del Kosovo, provocando vittime soprattutto tra i civili. I danni che ne derivano per la salute e l’ambiente sono inquantificabili. Solo dalla raffineria di Pancevo fuoriescono, a causa dei bombardamenti, migliaia di tonnellate di sostanze chimiche altamente tossiche (compresi diossina e mercurio). Altri danni vengono provocati dal massiccio impiego da parte della Nato di proiettili a uranio impoverito, già usati nella guerra del Golfo. 
Ai bombardamenti partecipano anche 54 aerei italiani, che compiono 1.378 sortite, attaccando gli obiettivi indicati dal comando statunitense. «Per numero di aerei siamo stati secondi solo agli Usa. ... L’Italia è un grande paese e non ci si deve stupire dell’impegno dimostrato in questa guerra», dichiara il presidente del consiglio D’Alema durante la visita compiuta il 10 giugno 1999 alla base di Amendola, sottolineando che, per i piloti che vi hanno partecipato, è stata «una grande esperienza umana e professionale».
Il 10 giugno 1999, le truppe della Federazione iugoslava cominciano a ritirarsi dal Kosovo e la Nato mette fine ai bombardamenti. La risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell’Onu, che assume i contenuti della pace firmata a Kumanovo in Macedonia, «autorizza stati membri e rilevanti organizzazioni internazionali a stabilire la presenza internazionale di sicurezza in Kosovo, come disposto nell’annesso 2.4». L’annesso 2.4 dispone che la presenza internazionale deve avere una «sostanziale partecipazione della Nato» ed essere dispiegata «sotto controllo e comando unificati». A chi spetti il comando lo ha già chiarito il giorno prima il presidente Clinton, sottolineando che l’accordo sul Kosovo prevede «lo spiegamento di una forza internazionale di sicurezza con la Nato come nucleo, il che significa una catena di comando unificata della Nato». «Oggi la Nato affronta la sua nuova missione: quella di governare», commenta The Washington Post
Finita la guerra, vengono inviati in Kosovo dal «Tribunale per i crimini nella ex Iugoslavia» oltre 60 agenti dell’Fbi statunitense, ma non vengono trovate tracce di eccidi tali da giustificare l’accusa di «pulizia etnica». Il Kosovo, divenuto una sorta di protettorato della Nato, viene di fatto distaccato dalla Federazione Iugoslava. Gli Usa, in aperto disprezzo degli accordi di Kumanovo, costruiscono presso Urosevac, Camp Bondsteel, la più grande base militare statunitense di tutta l’area, destinata a rimanervi per sempre. Contemporaneamente, sotto la copertura della «Forza di pace», l’ex Uck terrorizza ed espelle dal Kosovo oltre 260mila serbi, rom, albanesi «collaborazionisti» ed ebrei.
 
Il superamento dell’articolo 5 e la conferma della leadership Usa 
Mentre è in corso la guerra contro la Iugoslavia, viene convocato a Washington, il 23-25 aprile 1999, il vertice della Nato che ufficializza il «nuovo concetto strategico»: nasce «una nuova Alleanza più grande, più capace e più flessibile, impegnata nella difesa collettiva e capace di intraprendere nuove missioni, tra cui l’attivo impegno nella gestione delle crisi, incluse le operazioni di risposta alle crisi». Da alleanza che, in base all’articolo 5 del trattato del 4 aprile 1949, impegna i paesi membri ad assistere anche con la forza armata il paese membro che sia attaccato nell’area nord-atlantica, essa viene trasformata in alleanza che, in base al nuovo «concetto strategico», impegna i paesi membri anche a «condurre operazioni di risposta alle crisi non previste dall’articolo 5, al di fuori del territorio dell’Alleanza». 
A scanso di equivoci, il presidente democratico Clinton chiarisce che gli alleati nord-atlantici «riaffermano la loro prontezza ad affrontare, in appropriate circostanze, conflitti regionali al di là del territorio dei membri della Nato». Alla domanda di quale sia l’area geografica in cui la Nato è pronta a intervenire, «il Presidente si rifiuta di specificare a quale distanza la Nato intende proiettare la propria forza, dicendo che non è questione di geografia». In altre parole, la Nato intende proiettare la propria forza militare al di fuori dei propri confini non solo in Europa, ma anche in altre regioni. 
Ciò che non cambia, nella mutazione genetica della Nato, è la gerarchia all’interno dell’Alleanza. Il Comandante supremo alleato in Europa resta un generale statunitense nominato dal presidente degli Stati Uniti. Tutti gli altri comandi chiave sono controllati direttamente dal Pentagono.
La Casa Bianca dice a chiare lettere che «la Nato, come garante della sicurezza europea, deve svolgere un ruolo dirigente nel promuovere un’Europa più integrata e sicura» e che «noi manterremo in Europa circa 100 mila militari per contribuire alla stabilità regionale, sostenere i nostri vitali legami transatlantici e conservare la leadership degli Stati uniti nella Nato». Dunque, un’Europa stabile sotto la Nato e una Nato stabilmente sotto gli Stati Uniti. 
 
(1 – continua)