Informazione
“la più complessa vicenda del confine orientale”
L’amministrazione del Comune di Trieste nei 42 giorni
Claudia CERNIGOI:
la Foiba di Basovizza, tra vicende processuali e creazione della storia di regime
Chi e perché viene ricordato, analisi delle “medaglie del ricordo”
Partito Comunista d’Italia Federazione di Trieste
“Najbolj zapletena zadeva na vzhodni meji”
Vincenzo CERCEO:
Uprava Občine Trst v 0s0h 42 dneh
Claudia CERNIGOI:
Sandi VOLK:
Koga se spominjajo in zakaj, analiza “spominskih medalj”
Komunistična Stranka Italije - Tržaška federacija
FOIBE / Storia Mito Memoria
INCONTRO CON LO STORICO SANDI VOLK
Comitato Provinciale di Torino
Ente Morale dal 1945
Incontro pubblico sui
Confini orientali: fascismo, foibe, esodo
Sabato 7 Febbraio 2015
h 9.30-12.30
Museo Diffuso della Resistenza
Torino, corso Valdocco 4/a
Intervengono:
Claudia Cernigoi, ricercatrice storica e giornalista
Eric Gobetti, storico e ricercatore
Introduce: Ezio Montalenti, Presidente ANPI Provinciale di Torino
Coordina: Fulvio Gambotto, responsabile Commissione Formazione ANPI Provinciale di Torino
Per l'occasione è esposta una mostra documentaria dal titolo "Fascismo, foibe, esodo" curata dalla Fondazione Memoria della Deportazione.
Per info: www.anpitorino.it
Ente Morale dal 1945
ANPI Provinciale di Torino
3° Presidio Antifascista per la Pace e la verità storica
Concerto acustico degli EGIN
Vin brulè
Esposizione mostra "Testa per dente" curata da Pol Vice
Esposizione mostra "Fascismo, foibe, esodo" curata dalla Fondazione Memoria della Deportazione
Interventi e letture
Testimonianze della Resistenza Italiana e Jugoslava
Per info: www.anpi.it
Piazza Scaravilli
E ALLORA... LE FOIBE ?!
Revisionismo di Stato e bombardamento mediatico
Conferenza-dibattito con
CLAUDIA CERNIGOI
giornalista e ricercatrice storica
ANGELO D'ORSI
storico, Università di Torino
FEDERICO TENCA MONTINI
autore del libro "Fenomenologia di un martirologio mediatico"
Promuovono
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS
Campagna Noi Restiamo Bologna
Partito Comunista d'Italia
Rete Dei Comunisti Bologna
Ass. Il Manifesto in Rete
Sinistra Classe Rivoluzione
Sempre in Lotta
per contatti: jugocoord(a)tiscali.it
Scarica la locandina: https://www.cnj.it/INIZIATIVE/volantini/bologna100215.jpg
20:45 - Al violino CRTOMIR SISKOVIC.
21:00 . Conferenza "Resistenza, revisionismo, rovescismo" con ANGELO D'ORSI (storico dell'Università di Torino).
21:30 - Film "Pokret!" (regia di G. Callisti - ANPI Viterbo videointervista a italiani partigiani in Jugoslavia).
22:00 - Conferenza "Foibe fra storia e mito" con CLAUDIA CERNIGOI (giornalista e ricercatrice storica).
22:45 - All'arpa SIMONA MALLOZZI.
Ingresso gratuito
IO RICORDO...TUTTO!!
Davide Conti
(storico e autore di “Occupazione italiana dei Balcani”)
Presentazione della mostra
“Testa per dente”
A seguire serata punkrock con
Na Juris
L'INNOCENTE
... Anche il vicepresidente del Consiglio italiano Sergio Mattarella, intervendo brevemente, questa mattina, al Senato, ha confermato che la Nato va avanti ...
http://leg13.camera.it/_dati/leg13/lavori/stencomm/0304/audiz2/2000/0705/pdf002.pdf
Elena Romanello: Ricordata per la prima volta (2010) la rivolta degli zingari nei lager
Tatiana Sirbu: The Deportation of Roma to Transnistria
Giovanna Boursier: La persecuzione degli zingari da parte del Fascismo
Sinti survivor Karl Stojka on his arrival in Auschwitz-Birkenau (USC Shoah Foundation, 26 gen 2015 – IN ITALIANO / DEUTSCH)
Sinti survivor Karl Stojka describes his arrival in Auschwitz-Birkenau in 1943...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=zWYg5Uk0VHk
Piero Terracina on the Zigeunerlager (Gypsy camp) in Auschwitz-Birkenau (USC Shoah Foundation, 26 gen 2015 – IN ITALIANO)
Holocaust survivor Piero Terracina talks about the Gypsy family camp known as the Zigeunerlager (Gypsy camp) in Auschwitz-Birkenau and describes the night of the camp liquidation...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=f_poSK-a8hs
Roma survivor Tulo Reinhart on deportations of Roma in Italy during WWII (USC Shoah Foundation, 26 gen 2015 – IN ITALIANO)
Roma survivor Tulo Reinhart talks about deportations of Roma in Italy during WWII...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=L0Us9oSjtEI
REPORTAGE
Tra Auschwitz e Agnone, l’eredità del Porrajmos
In fuga perenne
Fu suo zio a soprannominarlo Glazo, «da glas, bicchiere, perché i sinti sono come gli indiani d’America, danno alle persone il nome delle cose che li circondano». Ma c’è stato un tempo in cui quelli come Paolo Galliano, classe 1949, di Prato ma milanese di nascita, per salvarsi la vita hanno dovuto prendersi un cognome a caso. Così fece suo padre, il liutaio Nello Lehmann, scegliendo il nome di un violino di origine napoletana e sfuggendo così al Porrajmos, la «Devastazione», lo sterminio delle minoranze rom e sinte. Suo nonno Carlo Ludovico Lehmann, anch’egli liutaio, all’inizio del ’900 lasciò Berlino con i suoi cinque figli per sfuggire alla repressione della polizia tedesca. Discendente della numerosa famiglia Lehmann-Reinhardt che ancora oggi «conta circa 3500 persone in tutta Italia e alcune centinaia in giro per l’Europa», Paolo Galliano è cresciuto girovago tra artisti, artigiani e musicisti, e si è stabilizzato a Prato solo una trentina di anni fa, «per i miei figli». Per tutta la vita ha ascoltato le storie dei suoi parenti dai nomi tedeschi — anche Rosenfeld, Winter, Hoffmann — imprigionati nei campi di concentramento per zingari di Agnone o di Bolzano e poi spediti a Mathausen o direttamente ad Auschwitz. «Non è tornato nessuno, solo una volta ho conosciuto una cugina di mio padre che aveva sul braccio il numero degli internati e mi raccontava di aver visto tutta la sua famiglia in fila verso i forni crematori». La parente del signor Galliano è una dei rari testimoni diretti del “genocidio degli zingari”, miracolosamente scampata e liberata dai sovietici nel giorno di cui ricorre domani il settantesimo anniversario.
Lo sterminio
Una storia quasi sconosciuta, quella del Porrajmos, rispetto alla Shoa ebraica. Eppure, come spiega Luca Bravi, ricercatore di Storia presso l’Università di Chieti che ha accompagnato in viaggio gli studenti toscani, «sono morti in tutto circa mezzo milione di Rom e Sinti, circa l’80% della popolazione presente nei territori occupati dal Reich in quel periodo». E «non è un conteggio preciso perché all’inizio del 1942, prima dei campi di sterminio veri e propri, come gli ebrei, gli zingari venivano fucilati sul posto, appena arrestati». Solo «ad Auschwitz sono morti in 23 mila e lo sappiamo perché un prigioniero riuscì a salvare il libro mastro dove venivano annotati i nomi delle persone che vivevano nello Zigeunerlager di Birkenau prima della sua liquidazione totale, che avvenne nella notte del 2 agosto 1944 con l’uccisione in massa di circa 2 mila persone».
La «razza pericolosa»
Abomini commessi in nome dell’«igiene razziale» garantita in Germania dalle unità del Reich dirette dallo psichiatra infantile Robert Ritter che, racconta ancora Bravi, «dedicò anni a studiare la pericolosità sociale di queste popolazioni, individuata in una caratteristica ereditaria che era l’istinto al nomadismo e l’asocialità». Stesse tesi sostenute in Italia dall’antropologo Guido Landra, i cui “studi” sostenevano le leggi razziali di Mussolini. Tra il 1940 e il ’43 il regime fascista emana l’ordine di arresto di tutti i Rom e Sinti italiani e non, e il loro trasferimento in specifici campi di concentramento. «Se non fosse arrivato l’8 settembre quelle persone sarebbero sicuramente transitate verso i campi di sterminio tedeschi, i collegamenti c’erano e i documenti provano questa linearità — spiega Bravi — Molti rom e sinti però anche dopo il ’43, quando il sistema dei campi fascisti salta completamente, riescono a fuggire e vanno verso il nord. Qui, nelle zone di competenza della Repubblica sociale, vengono arrestati, messi sui vagoni e inviati nei campi austriaci, tra i quali Mathausen». Qualcuno, però, «fa in tempo ad unirsi ai partigiani, come dimostrano le storie del piemontese sinto Amilcare Debar o di Walter Vampa Catter, Lino Ercole Festini e Renato Mastini, i tre circensi, giostrai e teatranti trucidati dalle Ss tra i dieci martiri nell’eccidio del Ponte dei Marmi di Vicenza».
Una memoria taciuta
Eppure del Porrajmos restano poche tracce nella memoria collettiva. Perché, fa notare Bravi, «la memoria ha bisogno di un contesto sociale disposto ad ascoltare». In Germania, «lo sterminio razziale degli zingari è stato riconosciuto solo negli anni ’90 e il primo memoriale è stato inaugurato alla presenza di Angela Merkel vicino al Reichstag di Berlino solo due anni fa». In Italia invece «la permanenza dello stereotipo dei Rom come nomadi, e quindi come pericolosi, alimenta la politica dei campi che continua a tenere queste persone distanti, ad escluderle, anche dai diritti di cittadinanza. I pregiudizi di oggi sono esattamente lineari con quelli di allora». Ecco perché anche la ricerca storica è «partita in ritardissimo»: «Da noi i documenti c’erano ma solo nel 2013 sono venuti fuori, grazie al progetto Memors finanziato dall’Unione europea che ha permesso anche l’apertura del primo museo virtuale italiano sul tema, www.porrajmos.it».
Eppure, conclude Bravi, «il racconto del genocidio dei Sinti e dei Rom c’è sempre stato all’interno delle comunità ma difficilmente viene riportato all’esterno. Una volta chiesi a Glazo il perché di questa memoria taciuta, e lui mi rispose: “Perché non vogliamo che questa nostra storia possa essere trattata come spazzatura, come trattano noi”».
Rita e gli esperimenti nazisti sui bimbi Rom
Questa è una delle foto più note della follia nazifascista nei lager.
[FOTO: http://lacittanuova.milano.corriere.it/files/2015/01/Maria-Bihari-500x346.jpg ]
Scattata nel 1941, ritrae Maria Bihari, una «zigeunerin» (zingara) di cinque anni. Conosciamo il volto di Maria – Miezi il nome con cui la chiamavano in famiglia – grazie ai cataloghi del Centro di Ricerca di Igiene Razziale del Ministero della salute nazista. Non sappiamo come sia morta, se gasata e cremata, o vittima degli esperimenti eugenetici.
Anche di Rita Prigmore, una sinti tedesca di Würzburg, non conoscevamo la storia.. La sua vita cambiò improvvisamente una sera qualsiasi mentre guidava in una stradina dello Stato di Washington. Un forte mal di testa, l’improvvisa perdita dei sensi, giusto il tempo di accendere le luci di emergenza e poi lo scontro con un palo della luce. All’ospedale i medici scrutarono le lastre, non capivano il motivo di quelle strane cicatrici sulle tempie. Rita chiamò sua madre in Germania e in un paio di giorni l’anziana donna arrivò al suo fianco e le raccontò della sua dolorosa infanzia nelle mani dei medici nazisti.
«Vivevamo in Germania da 600 anni – racconta – ed eravamo ben inseriti nella società». I nonni costruivano cesti per i viticoltori, il padre suonava il violino in una banda musicale molto affermata, la madre Theresia di giorno lavorava in una fabbrica di dolci mentre la sera era cantante e ballerina in uno dei teatri più prestigiosi della città. Racconta:«Mio zio Kurt, il fratello maggiore di mia madre, era militare e faceva parte della squadra di motociclisti a cui spesso era chiesto di scortare il Führer. Per le sue qualità di soldato avevano deciso di promuoverlo, fu proprio nel corso delle ricerche sulla sua storia familiare che scoprirono che i genitori erano zingari: fu subito richiamato a Würzburg e venne sterilizzato. Aveva appena 25 anni».
Poco dopo, per evitare la deportazione nei lager, anche Theresia accettò la sterilizzazione:
«All’ospedale universitario – racconta Rita – si resero conto che aspettava due gemelli, me e mia sorella». Per evitare l’aborto, la costrinsero a firmare che avrebbero messo a disposizione i suoi bambini ai mdici del Reich. «Mia sorella Rolanda ed io siamo nate il 3 marzo 1943 e ci presero immediatamente».
Erano momenti terribili per i rom e sinti nei territori controllati dai nazisti: con un telespresso del 9 aprile 1942, l’Ambasciata italiana a Berlino informava Roma che «con recente provvedimento, gli zingari residenti nel Reich sono stati parificati agli ebrei e quindi anche nei loro confronti varranno le leggi antisemite attualmente in vigore». A Würzburg operava l’équipe del dottor Heyde, seguace di Mengele, specializzato negli esperimenti sui gemelli e in seguito capo del programma di eutanasia di Stato.
Alle neonate volevano cambiare il colore degli occhi e farli diventare azzurri. Dopo vari giorni, la madre riuscì a convincere un’infermiera che le mostrò Rita con un grosso cerotto sulla testa.
«Quando insistette per vedere anche mia sorella – racconta – la portò in bagno e le indicò Rolanda, con la testa fasciata. Era morta, le avevano fatto delle iniezioni di inchiostro negli occhi».
Grazie alla complicità di quell’infermiera, riuscì a scappare con la piccola sopravvissuta: «Si nascose nella cappella di Santa Rita, dove fui battezzata. Due giorni dopo, a casa ci attendeva la Gestapo. Per oltre un anno, mia madre non seppe più niente di me, finché ricevette una lettera della Croce Rossa in cui si diceva che poteva venirmi a prendere».
Dopo la guerra, la famiglia tornò a vivere nelle baracche insieme ad altri tedeschi che non erano sinti o rom, semplicemente avevano perso la casa con la guerra. L’ostilità verso il suo popolo non era finita; Rita lo racconta parlando di Erica: «Aveva la mia stessa età, andavamo insieme a scuola. Un giorno vennero a trovarci dei parenti dalla Francia: la sera ci sedemmo attorno al fuoco a prendere il caffè. Parlammo nella nostra lingua, il romanes. Il giorno dopo mi sono accorta che la mia migliore amica non parlava più con me; le chiesi perché e mi disse: “I vostri ospiti erano zingari, abbiamo sentito la vostra lingua e i miei genitori mi hanno detto che non devo aver più niente a che fare con voi”».
Cresciuta, Rita si sposò e andò a vivere negli Stati Uniti. Anni dopo, da quell’incidente ha riscoperto la storia della sua famiglia e con la Comunità di Sant’Egidio ha iniziato a girare l’Europa per testimoniare il genocidio dei rom e sinti (chiamato Porrajmos o Samudaripen). Lo sguardo della donna, che ha conservato gli occhi color verde smeraldo, è sul presente: «Sono sconvolta quando noi rom e sinti veniamo insultati con le stesse parole di allora, capita di sentirsi dire: “Nel Terzo Reich hanno dimenticato di gasarvi”».Il 27 gennaio è la Giornata della Memoria, il giorno della liberazione di Auschwitz. Nel lager nazista, c’era lo Zigeunerlager, la sezione per famiglie zingare composta da 32 baracche circondate da filo elettrico. Dobbiamo soprattutto ad alcuni testimoni ebrei, come Piero Terracina, il racconto della sua liquidazione totale, avvenuta la notte del 2 agosto 1944, quando i violini non suonarono più e, dopo grida disperate, le camere a gas zittirono quella zona del campo. Quante furono le vittime? Le stime variano, di solito si afferma siano almeno 500mila. Probabilmente è una sottostima, ma risulta impossibile conteggiare individui non segnalati all’anagrafe e spesso uccisi per strada o nelle esecuzioni sommarie all’Est. Ma la difficoltà a stabilire il numero delle vittime testimonia anche l’oblio e il disinteresse: subito dopo la guerra, su questo genocidio calò il silenzio.
Da commento sul blog di Wu Ming:
<< Qualche mese fa ero alla coop a fare la spesa, e mi cade l’occhio su un libro esposto su uno scaffale (alla coop sono intellettuali, quindi vendono anche i libri). Si tratta di “Una grande tragedia dimenticata. La tragedia delle foibe” (che titolo originale) di tale Giuseppina Mellace. Mi colpisce la foto in copertina:
http://www.ansa.it/webimages/img_457x/2014/10/25/10ef3aa61b11d5d5d99d890e8db23734.jpg
Non è proprio proprio una foto, sembra piuttosto la rielaborazione grafica di una foto.
Però cazzo. Quell’immagine mi ricorda qualcosa, sono sicuro di averla già vista. E non mi convince. Cerca che ti cerca, finalmente oggi ho trovato questo:
http://sh.wikipedia.org/wiki/Crne_trojke#mediaviewer/File:Crna_trojka_kolje.jpg
E ti credo che non mi convinceva! Quella foto non c’entra niente con le foibe. Infatti si tratta di tre cetnici che sgozzano un partigiano comunista a Belgrado. La foto proviene dagli atti del processo per collaborazionismo contro Draža Mihailović nel 1946. >>
Revizija i falsifikovanje Drugog svetskog rata nije samo osobenost naših (ex-yu) prostora. Ova pojava vrlo je zastupljena i u Italiji. Tamošnje neofašističke strukture nastoje da umanje zločine italijanskog fašizma nad jugoslovenskim narodima forsiranjem priča o tzv. komunističkim zločinima nad Italijanima u Istri i Slovenačkom primorju. Fojbe su postale sinonim za tzv. komunističke zločine, iako je prilična manjina italijanskih fašista pobacana u fojbe (kraške jame) od strane partizana, dok ih je većina ubijena streljanjem. Naravno, neofašisti nastoje da sve one koje su streljali partizani proglase nevinim žrtvama terora, što je providna propaganda.
Prošle godine pojavila se još jedna knjiga na ovu temu gde je termin "Foibe" inkorporiran u patetični naslov. O kvalitetu ove knjige dovoljno govori činjenica da je autorka bila toliko glupa da je iskoristila poznatu sliku četničkih koljača (koju mi imamo na cover-u) kako bi prikazala "partizane" kako kolju nevine Italijane.
LA NUOVA PIRINA! (recensione di un libro sulle foibe di Giuseppina Mellace del quale per obiezione di coscienza non citiamo il titolo).
A tre anni di distanza dalla prematura dipartita del sedicente storico Marco Pirina, abbiamo avuto la gioia di conoscere Giuseppina Mellace, prof. di storia che non riesce a parlare in un italiano comprensibile e che sembra avere anche problemi con l’aritmetica. Mellace si è dimostrata nel corso della presentazione a Gorizia della sua risma di carta stampata in copertina dura (definirla “libro” sarebbe un po' azzardato) la vera, tangibile, coerente epigona del mai abbastanza compianto Pirina, riuscendo in alcuni punti persino a superare il maestro.
La prima cosa interessante che abbiamo appreso è che Mellace non voleva fare un libro sulle foibe, ma scrivere della “violenza delle donne” (dato che lo ha ripetuto sempre così, ci abbiamo messo un po’ a capire che intendeva dire “violenza sulle donne”), sia operata dai “titini” (sempre parlato di “titini” e di “slavi”, sia chiaro, per lei la Jugoslavia non è mai esistita), sia dagli altri. Che poi il libro si sottotitoli “la verità sulle foibe” è stata una scelta editoriale che lei non ha condiviso (anche se, da quanto è dato capire, ha firmato il contratto e il libro).
Quindi ha parlato delle violenze delle donne comprendendo anche le donne violentate ed uccise dai nazisti, ed anche dagli italiani. Ha anche parlato dell’uccisione di una bambina di 8 anni “che aveva l’unica colpa di voler espatriare”, che così come detta sembrava essere stata compiuta dai "titini", mentre nel libro si vede che la bambina è stata uccisa da militari italiani nella primavera del 1943.
Dati questi presupposti si potrebbe già parlare di frode in commercio (diamine, io compro un libro per saper la verità sulle foibe e devo trovare anche la descrizione delle violenze fatte sugli slavi che sono notoriamente un popolo inferiore? fossi un’acquirente, protesterei), ma alla fine il “lavoro” sembra l'ennesima ristampa delle opere di Rocchi e Pirina, con un pizzico di Papo e una spruzzata di La Perna, il tutto omogeneizzato con le teorie di Pupo, ma privo del benché minimo controllo critico.
Ad esempio, nell’elenco delle foibe, subito dopo la “foiba di Orle” (dalla quale non si sa quanti cadaveri sarebbero stati recuperati) si passa alla “foiba di Gropada presso Orle” con la storia di Dora Čok (che l’autrice ha pronunciato Schock, dimostrando una volta di più la sua professionalità e preparazione), come se non avesse capito che si tratta della stessa foiba.
E, a dis/onore dell'esimia prof., quando le ho detto in separata sede che si trattava della stessa foiba e quindi avrebbe potuto risparmiare qualche riga non citandole tutte e due (ciò perché si era lamentata che non poteva scrivere un'enciclopedia Treccani, aveva già scritto 500 pagine, e non poteva approfondire altre cose), mi ha risposto (testuale): “questa è una sua opinione, e come tale io mi tengo la mia”. Scusi, ho detto, se io dico che l’Italia è entrata in guerra il 15 maggio 1915 e lei mi corregge dicendo che era il 24 maggio, io le posso rispondere che si tratta di una sua opinione? esiste un catasto grotte, casomai lei non lo sapesse.
Ma non è solo questo quanto la prof. non sa. Ad esempio, pur citandomi come riduzionista se non proprio negazionista, mai una volta che abbia scritto il mio nome giusto: perché l'aveva visto citato così, ha detto. Ah, allora lei non ha letto nulla di quanto ho scritto e mi dà della riduzionista così tranquillamente? Lei che si permette di scrivere, non si sa citando quale fonte, che da Basovizza sono stati recuperati 1000 civili, 500 finanzieri e probabilmente 1000 tedeschi (dove il probabilmente è un po’ oscuro, o sono stati recuperati o no, se l'italiano non è un'opinione, ma pare che qua siano tutte opinioni), dove quintuplica il numero di finanzieri che la stessa Guardia di finanza dichiara come scomparsi e che oltretutto non sono stati infoibati a Basovizza, per non parlare dei mille civili, che proprio non ci sta, dopo questo ha il coraggio di dire che io sono una “riduzionista”? eh, certo, perché se qualcuno spara cifre enormi a casaccio senza cognizione di causa, mentre i numeri sono altri, e qualcun altro ripristina i dati storici (non opinioni, dati), il secondo diventa riduzionista e negazionista.
D’altra parte, essendo la presentazione avvenuta nei giorni di Carnevale, come al solito Arlecchino si svela ridendo. Intanto, abbiamo appreso che la fonte della prof. (pressoché unica) è Marino Micich con l’Istituto di studi fiumani. Mellace ha detto di essere anche venuta a Trieste, ma non ha capito dove, perché ha parlato di un “istituto di storia contemporanea, quello sulla salita"...; cara prof., quasi tutto è sulle salite qua a Trieste, ma l’istituto di storia contemporanea (quello universitario) sta nella pianeggiante zona vicino alle rive. Forse si riferiva all'istituto di storia del movimento di liberazione? ma quando una persona non sa neppure dov’è andata a cercare informazioni, l’affidabilità delle sue “ricerche” è quantomeno dubbia.
È stato però quando ha parlato della politica di italianizzazione del fascismo (condotta dal fascismo, sarebbe più giusto dire, ma noi citiamo pedissequamente) che l’autrice ha svelato il suo pensiero interiore. È vero, ha detto, che sono stati un po’ duri ed hanno voluto fare troppo in fretta, perché non hanno considerato che solo sul litorale le città erano interamente italiane, ed avrebbero dovuto agire con più calma... (l’elogio della pulizia etnica soft?) e questo ha indotto negli “slavi” l’equazione italiano = fascista, per il quale motivo poi si sono vendicati orribilmente con le maestre, “appese per i capelli” (ma dove e quando, di grazia, che questa storia neppure su Pirina l’avevamo letta?), che a volte per insegnare l’italiano a chi non lo aveva mai parlato forse esageravano (sì, in effetti, punizioni corporali sui bambini che non sapevano esprimersi in italiano possono essere considerate “esagerazioni”, sarebbe interessante conoscere le metodologie didattiche di cotanta prof.).
Per essere brevi, aggiungiamo soltanto che grazie a Mellace per la prima volta abbiamo appreso che Tito voleva fare il comunismo non solo in Jugoslavia ma in tutti i Balcani ed esportarlo anche in Grecia (anche se a noi risulta che la Grecia aveva già i suoi gruppi comunisti armati che combattevano per conto proprio) e che era per realizzare questo progetto che aveva bisogno di cacciare tutti gli italiani in modo da creare una Jugoslavia unita.
Infine è riuscita a superare Pirina compilando un elenco di 400 donne da lei definite “infoibate” ma tra le quali risultano non solo molte che furono invece deportate dai nazisti o uccise dai fascisti, e tantissimi nomi privi di ogni altra indicazione, di nascita e di luogo, data, modalità della “scomparsa”: dopo questa pirinata, ha fatto di più: ha inserito tra i nomi delle donne “infoibate, deportate, scomparse...” anche (attenzione, perché i titini sapevano essere davvero feroci) molte donne che per avere fatto attività antistatale sono state punite con una ... MULTA! (noi che viviamo in democrazia sappiamo bene come nelle patrie galere stiano, in attesa di processo, diversi attivisti Notav che non hanno fatto altro che esprimere il loro dissenso a quell’opera).
Chiudiamo con una nota di colore: come Cristicchi nel suo spettacolo Magazzino 18 fa pronunciare al suo protagonista Persichetti la parola esodo con l’accento sulla “o” (esòdo) perché “di queste cose non si è mai parlato” (ma visto che l’esodo, prima di essere quello istriano, era anche quello che ha dato il nome ad un libro della Bibbia, viene da chiedersi cosa abbiano studiato a scuola questi intellettuali), così il giornalista Covach che ha presentato il libro ha detto che in Italia si sente ancora dire foìbe (con l’accento sulla “i”) invece di foibe, a riprova che l’argomento non è conosciuto. Ora, nella nostra lunga carriera di foibologi non abbiamo mai sentito pronunciare foìbe da nessuna parte, ma tant’è, forse si confondono con quelli che ancora pronunciano Frìuli invece di Friùli…
marzo 2014