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Lettera a Frau Dorothea Angela Merkel dai reduci della Battaglia di Stalingrado

 

            Stimata Frau Merkel!
Nell'anno del 70° anniversario della vittoria sul nazismo,  noi, i reduci di quella terribile guerra ed i partecipanti alla sua battaglia più terribile rileviamo come in Europa ancora una volta vaghi uno spettro – lo spettro della peste bruna. In questo momento un focolaio del nazismo è diventata l’Ucraina, dove dall'ideologia ultranazionalista, antisemita e dell’odio del genere umano si è passati  alla loro pratica – alla violenza fisica, all’eliminazione dei dissidenti, all’omicidio delle persone motivato da odio etnico, dalla negazione della cultura diversa.
Di fronte a noi immagini note: sfilate di fiaccole, giovani in divisa con distintivi nazisti che alzano il braccio nel saluto nazista, parate fasciste protette dalla polizia statale nel centro di Kiev, dichiarazioni sull’inferiorità di alcuni popoli. Tutto questo lo abbiamo già visto e sappiamo dove ci conduce.
In Ucraina la peste bruna , rinfocolata e riscaldata negli ultimi decenni, è straripata ed ha portato ad una sanguinosa guerra civile. Le formazioni naziste, come “Settore destro”, la cosiddetta “Guardia Nazionale”, numerosi battaglioni informali ma ben armati, tipo “Azov”, con l’appoggio dell’aviazione e dell’artiglieria pesante dell’esercito ucraino sistematicamente sterminano la popolazione dell’Est dell’Ucraina. I civili vengono uccisi solamente perché vogliono parlare la loro lingua madre, perché hanno una diversa opinione sul futuro del loro paese, perché non vogliono vivere in un paese dove governano i sostenitori di Bandera.
Questi ultimi sono i seguaci del cosiddetto “Esercito di liberazione ucraino”, che Le ricordiamo Frau Merkel, combatteva durante la Seconda Guerra Mondiale incluso nella Wehrmacht, così come della Divisione SS "Galizia" partecipando, in particolare, ai massacri degli ebrei sovietici, raggiungendo l’esaltazione dei loro padri e nonni. Con i nomi dei criminali nazisti denominano le strade delle città ucraine! La storia del 20° secolo in Ucraina viene riscritta davanti i nostri occhi! C'è da meravigliarsi come gli attuali sostenitori di Bandera abbiano la luce fanatica negli occhi  conosciuta personalmente da noi,  veterani sui fronti della Seconda Guerra Mondiale durante la battaglia di Stalingrado, accecati dall'odio chiedono di distruggere il Donbass, bruciare con il napalm l’est del paese. Ci sono le prove documentali che delle persone siano state assassinate solamente perché portavano il nastro di San Giorgio - il simbolo della vittoria sul fascismo.
La verita è, Frau Merkel, che in Ucraina si sta verificando il dilagare su vasta scala del nazismo. Non sono singoli commenti antisemiti nel Parlamento o articoli di ignoranti sulla superiorità di una razza rispetto ad un’altra. Sono crimini sanguinosi, su vasta scala, le cui vittime si contano a centinaia e migliaia. Ma l’Occidente ha una posizione molto strana e noi non la capiamo. Potrebbe essere interpretata come apologia del nazismo ucraino. E’ proprio così che interpretano la posizione dell’Europa in Ucraina ed è così che inizia a percepirlo il popolo russo. E noi vorremmo conoscere che cosa dice il popolo tedesco dall'alto della propria esperienza storica.
Per noi è importante conoscere la Sua opinione, il pensiero di un leader di una grande nazione che si ammalò della malattia bruna una volta ed a costo di orribili perdite riuscì a guarire. Sappiamo come nel vostro paese lottano contro qualsiasi manifestazione del nazismo. E, ci creda, lo apprezziamo. Soprattutto è più difficile per noi capire il motivo ripulendo accuratamente ogni eventuale germe del nazismo nel Suo paese, perché Voi consentiate manifestarlo su larga scala in altre parti d'Europa?
Perché i leader europei marciano a sostegno dei disegnatori francesi uccisi dai terroristi islamici ma non contro il fascismo in Ucraina? Perché a queste marce partecipa il capo dello Stato che ha dato l’ordine di uccidere il proprio popolo? Perché 12 vittime francesi meritano attenzione e le migliaia di russi ed ucraini uccisi no? Sa quanti bambini sono stati uccisi nell’est dell’Ucraina dai teppisti con la svastica nazista sulla divisa? Lo vuole sapere? Le forniremo quest’informazione qualora Le mancasse. Perché i popoli europei osservano serenamente la violenza di massa in Ucraina? O perché di tutto questo semplicemente non parla la Vostra stampa? Dov’è dunque la loro famosa indipendenza?  Indipendenza dai fatti? Dalla verità? Qual’é il vero scopo delle Vostre sanzioni economiche? Indebolire la Russia come potenza ? Sostenere il nazismo in Ucraina? O semplicemente svalutare le nostre pensioni che percepiamo come partecipanti alla Seconda Guerra Mondiale?
            Stimata Frau Merkel, la storia triste del 20° secolo ci ha insegnato qualche lezione:
1. Riscrivere la storia è una strada diretta verso il nazismo
Con questo sono iniziati tutti i regimi fascisti europei degli anni 20 e 30. Il medesimo percorso è stato intrapreso dall’Ucraina: dalla reiscrizione dei libri scolastici sulla storia alla demolizione dei monumenti sovietici. Il vertice della menzogna è stato raggiunto dalla dichiarazione di Jazenjuk alla stampa tedesca sull'invasione della Germania e dell’Ucraina da parte dell’Unione Sovietica! Vorremmo conoscere la Sua opinione su questo, il parere di un leader di un paese dove per la negazione dell'Olocausto è previsto il carcere.
2. La ricerca dei colpevoli – una manifestazione del nazismo
I regimi fascisti incolpano per il fallimento del proprio paese diversi gruppi: etnici, sociali, religiosi.  Negli anni passati in questa veste finirono ebrei e comunisti. Nell’Ucraina attuale la colpa è data ai russi, a tutta la Russia, alla popolazione dell’est del paese.
3. Se il nazismo emerge in un paese, la peste fa il giro del mondo
Non si può promuovere il nazismo in un paese e pensare che rimanga nei suoi confini. L’onda del nazismo arriverà dappertutto scavalcando qualsiasi frontiera. Perciò’ il nazismo è chiamato «la peste bruna». Il nazismo va fermato lontano, in caso contrario arriva anche a casa tua.
4. Il Nazismo non può essere ignorato, può essere solo combattuto
Se qualcuno pensa che dal nazismo ucraino ci si può semplicemente allontanare, ignorarlo, si sbaglia fortemente La natura del nazismo è che persino il trascurarlo lo percepisce come una promozione, una manifestazione della sua potenza. Il nazismo non è locale, può solo crescere e svilupparsi! Per questo l’unica strada per opporsi al nazismo è una lotta brutale ed attiva contro di esso.
5. La più importante arma nella lotta contro il nazismo nelle sue fasi iniziali è la verità
E’ esattamente la verità ciò che sconfigge davvero  il nazismo. Mostrando l’essenza del nazismo - l’odio verso il genere umano – espressione della sua ideologia contenuta nelle dichiarazioni dei suoi sostenitori, in particolare la violenza contro la gente, stiamo combattendo contro il nazismo in quanto tale. La verità storica è il migliore mezzo di profilassi contro il nazismo. Se ai giovani ucraini il loro governo non nascondesse la storia reale del loro paese e del loro popolo, i sostenitori del nazismo in Ucraina sarebbero molti di meno. I moderni mass media hanno un ruolo importante: possono sia plasmare il nazismo sia opporsi ad esso.
Stimata Frau Merkel!
La Russia come successore dell’Unione Sovietica ha una speciale missione storica. 70 anni fa abbiamo eliminato il nazismo dall’Europa subendo le peggiori vittime della guerra. Noi, personalmente, gli abitanti di Stalingrado con sforzi sovrumani abbiamo cambiato il corso della storia. Non solo della nostra storia, ma anche di quella europea e mondiale. Non possiamo ammettere un ripetersi del nazismo. Soprattutto sulla soglia di casa. Abbiamo lottato e lotteremo contro questo male. E Vi invitiamo a combatterlo assieme.
Un personaggio di un film leggendario e da noi amato, che rappresenta il prototipo del capo nazista esistente nella vita reale, secondo la sceneggiatura dice: «Da qualche parte invece di dire “Ciao” diranno “Heil” sapete … lì ci aspettano e da lì inizieremo la nostra grande rinascita».
Frau Merkel, in Ucraina “Heil” si sente dappertutto. Apertamente e quasi con il supporto  delle autorità. E’ ora di fermare il male assieme a tutto il mondo europeo! Ci auguriamo che il popolo tedesco, come tutti gli altri popoli dell’Europa, insieme con il popolo russo schiacci il rettile sul nascere!  Il fascismo non passerà ! Viva la pace!

 

Zagorul’ko Maksim Maksimovich
Veterano della Grande Guerra Patriottica
Cittadino onorario della città eroe Volgograd

 

Kolotushkin Aleksander Ivanovich
Veterano della Grande Guerra Patriottica
Partecipante della parata di Vittoria del 1945

 

Sokolova Marija Vasil’evna
Veterana della battaglia di Stalingrado
Infermiera dell’ospedale 4423

 

Tereschenco Michail Vasil’evich
Veterano della Grande Guerra Patriottica
Cinque volte decorato con l’Ordine della Stella Rossa
Partecipante alla Parata della Vittoria del 1945

 

Rogov Egor Fiodorovich
Veterano della Grande Guerra Patriottica
Veterano della battaglia di Stalingrado
Partecipante alla liberazione della Crimea e dell’Ucraina

 

Sirotenco Aleksander Jakovlevich
Veterano della Grande Guerra Patriottica
Veterano dello sfondamento dell’Assedio di Leningrado







I liberatori sarebbero carnefici, i carnefici sarebbero vittime

1) C. Cernigoi: Tra Foibe e Risiera, la memoria condivisa
2) Trieste Sera del 4/2/48: "Sulle vittime del maggio 1945"
3) M. Barone: 4 febbraio 2015, scandalosa puntata di Porta a Porta sul Giorno del Ricordo e Foibe
4) M. Barone: Dopo il caso di Trieste ora tocca a Monfalcone, una targa per la falsa liberazione


Sul grave degrado ideale e civile in cui versa il Consiglio Comunale di Trieste si veda la documentazione raccolta alla pagina:

Vedi anche:

Lettera aperta all’Assessore e Vicesindaco del Comune di Trieste Fabiana Martini sul caso dei partigiani Giusto e Rodolfo Blasina

C. Cernigoi: Cattive Memorie


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Fonte: pagina FB de "La Nuova Alabarda", 25/1/2015
https://www.facebook.com/LaNuovaAlabarda/posts/200759630094611

TRA FOIBE E RISIERA, LA MEMORIA CONDIVISA

L’istituzione a breve distanza dalla Giornata della Memoria (27 gennaio) del Giorno del Ricordo (10 febbraio), ha di fatto comportato un interessante evoluzione nell’ambito del concetto di “memoria condivisa”.
Vogliamo premettere intanto che bisogna distinguere tra storia e memoria: la storia è una materia scientifica, una raccolta di fatti inequivocabili: le interpretazioni possono poi essere diverse, ma è un dato di fatto, ad esempio, che per i fascisti il 28 ottobre (Marcia su Roma) rappresenta una giornata di festa, mentre per gli antifascisti la fine della democrazia, pur trattandosi di un evento unico, così come il 25 aprile, giorno in cui si celebra la Liberazione dal nazifascismo è per i nazifascisti giornata di lutto.
Ciò detto, entriamo nel merito della questione, iniziando da come l’accezione degli storici Raoul Pupo e Roberto Spazzali (che sembra avere ormai fatto scuola) definisce il concetto di “foibe” e di “infoibati”: “quando si parla di foibe ci si riferisce alle violenze di massa a danno di militari e civili, in larga prevalenza italiani, scatenatesi nell’autunno del 1943 e nella primavera del 1945 in diverse aree della Venezia Giulia e che nel loro insieme procurarono alcune migliaia di vittime. È questo un uso del termine consolidatosi ormai, oltre che nel linguaggio comune, anche in quello storiografico, e che quindi va accolto, purché si tenga conto del suo significato simbolico e non letterale” (in “Foibe”, Mondadori 2003).
Dunque accettiamo questa semplificazione, pur non corretta nel suo significato “letterale”, e facciamo alcuni esempi concreti.
Il 27 gennaio commemoriamo nella Risiera di San Sabba i quattro caduti della missione alleata del capitano Valentino Molina: il capitano stesso, il tenente colonnello Francesco Sante De Forti, Guido Gino Pelagalli e la signora Clementina Tosi vedova Pagani, uccisi dai nazisti il 21/9/44.
Il 10 febbraio, come “infoibati”, commemoriamo Alfredo Germani, Remo Lombroni; Ermanno Callegaris e Giovanni Burzachechi, componenti del Gruppo Baldo agli ordini delle SS, che causarono l’arresto e la morte della Missione Molina: furono arrestati dall’Ozna nel maggio 1945 e compaiono in quell’elenco di incarcerati a Lubiana che risultano “fatti uscire” in date specifiche e dei quali non si sa se furono condannati a morte o trasferiti altrove, tranne Callegaris che morì in prigionia.
Il 27 gennaio commemoriamo gli agenti di custodia deportati nei lager, tra i quali, grazie alla testimonianza di due che furono deportati e rimpatriati (Salvatore Leone e Paolo Lopolito) troviamo il nome di Francesco Tafuro che invece vi perse la vita e possiamo anche leggere (sentenza del Tribunale militare di Padova del 25/10/49) che a causare queste deportazioni fu Ernesto Mari, capo degli agenti di custodia, che a Lopolito disse la sera precedente la partenza: “Come vedi ti ho fatto seguire la via dell’agente Leone: domani partirai per la Germania”. Prosegue la sentenza: “il 18 agosto effettivamente Lopolito veniva deportato e dopo avere subito maltrattamenti e digiuno al campo di concentramento, poté rientrare a Trieste, nei primi del maggio 1945 in miserevoli condizioni”.
Inoltre leggiamo che il 27/4/45 la moglie dell’agente Tafuro, che era stato deportato in Germania, “era andata a pregare il Mari stesso perché intervenisse con la sua opera per far tornare suo marito. A tale preghiera il Mari dichiarò che aveva fatto quanto era nelle sue possibilità e che pertanto non poteva più far nulla, che nessuna colpa egli aveva dell’internamento; e poiché la Tafuro, disperata, alzò il tono di voce egli, prendendola per un braccio la minacciò: stia zitta, che se no, la faccio finire in Germania anche lei”. Lo stesso giorno la donna ricevette la comunicazione che il marito era morto in Germania il 3 marzo”.
Ernesto Mari, arrestato in seguito a queste accuse mossegli dai suoi ex sottoposti, fu ucciso e gettato nell’abisso Plutone da un gruppo di criminali comuni infiltratisi nella Guardia del popolo jugoslava, e pertanto viene commemorato ogni dieci febbraio. Inoltre al suo nome è stata intitolata la caserma degli agenti di custodia a Trieste.
Durante il rastrellamento di Boršt, operato il 10/1/45 da un contingente unito di SS ed Ispettorato Speciale di PS, furono uccisi tre partigiani, mentre un terzo, il ventenne Danilo Petaros fu catturato dopo essere stato gravemente ferito, e fu ucciso in Risiera il 5/4/45, quindi è tra coloro che commemoriamo il 27 gennaio. Ma il 10 febbraio commemoriamo, come “infoibati”, diversi responsabili di queste morti: l’agente dell’Ispettorato Mario Fabian, identificato tra coloro che partecipavano alle torture degli arrestati con la corrente elettrica (che sarebbe stato ucciso da partigiani e gettato nella foiba di Basovizza) e gli altri agenti che compaiono nella “foto ricordo” scattata prima del rastrellamento Matteo Greco (infoibato nella Plutone), Dario Andrian (arrestato e scomparso), Francesco Giuffrida e Gaetano Romano, arrestati e condotti a Lubiana.
Fu ucciso in Risiera il poliziotto aderente ai GAP di Trieste Adriano Tamisari, arrestato dall’Ispettorato Speciale di PS, corpo del quale il 10 febbraio commemoriamo la scomparsa di una sessantina di agenti, in quanto arrestati dagli Jugoslavi. Tra di essi Alessio Mignacca, colpevole di avere ucciso in un tentativo di fuga il partigiano Francesco Potocnik (in via Giulia) e freddato (assieme a Gaetano Romano) nella casa dello zio il giovane Agostino Trobez (28/10/44) che era appena arrivato dal Vipacco per partecipare alla Resistenza. Mignacca, inoltre fu accusato dalla signora Umberta Giacomini, di avere partecipato al pestaggio della stessa, provocandole un aborto (era incinta di quattro mesi), assieme al commissario Collotti (il “capo” della “banda” che da lui prese il nome) e ad altri due agenti, uno dei quali, Domenico Sica, è tra coloro che vengono commemorati il 10 febbraio, in quanto arrestato e scomparso.
Un altro “infoibato” che viene commemorato il 10 febbraio è l’agente dell’Ispettorato Mario Suppani, che fu tra i responsabili dell’arresto (e della successiva esecuzione capitale) dell’anziano militante del Partito d’Azione Mario Maovaz, fucilato il 28 aprile 1944 e degli arresti di altri esponenti del CLN giuliano (Paolo Reti, ucciso in Risiera, Ercole Miani, don Marzari ed altri che furono invece liberati): fu arrestato dagli Jugoslavi e condotto a Lubiana, scomparso.
Fu arrestato dagli Jugoslavi e condotto a Lubiana anche il responsabile dell’arresto di 64 abitanti di Ronchi deportati nei lager, 25 dei quali non fecero ritorno: Ferruccio Soranzio, che partecipò anche ad altri rastrellamenti nella provincia di Trieste, viene commemorato il 10 febbraio, in quanto non risulta avere fatto ritorno in patria.
Questi sono solo alcuni esempi, ma il caso più eclatante di persona che viene commemorata ufficialmente è quello dell’ultimo prefetto di Zara italiana, Vincenzo Serrentino (fondatore del Fascio in Dalmazia, squadrista, ufficiale della Milizia e nel Direttorio del PFR) che aveva anche svolto il ruolo di giudice a latere (assieme a Pietro Caruso, che fu poi fucilato a Roma alla fine della guerra) del Tribunale Speciale per la Dalmazia (presieduto dal generale Gherardo Magaldi), che si spostava in volo da Roma per emanare condanne a morte ad antifascisti. Denunciato come criminale di guerra alle Nazioni unite, si era rifugiato a Trieste, dove fu arrestato l’8/5/45, sottoposto a processo e fucilato a Sebenico un paio di anni dopo.
La storia è unica, si diceva, ma la memoria è diversa. Così, se pure è difficile creare una memoria condivisa tra i parenti di Maovaz e quelli di Suppani, istituendo due giornate diverse per ricordare i diversi morti ci si riesce perfettamente: ecco un altro miracolo italiano!

C. Cernigoi


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SULLE VITTIME DEL MAGGIO 1945 A TRIESTE

Sulle vittime del maggio 1945

“Sulle vittime del maggio 1945″. Articolo di Trieste Sera del 4/2/48.

L’articolo che pubblichiamo in allegato, che esprime concetti di stretta attualità, è stato scritto nel febbraio del 1948 e pubblicato su Trieste sera (l’edizione serale del Corriere di Trieste, il quotidiano diretto dal prestigioso giornalista e scrittore-poeta Carolus Cergoly) il 4/2/48. Il che dovrebbe dimostrare innanzitutto che non è veroche di questi argomenti non si è mai parlato, ma soprattutto che gli argomenti che ci sentiamo propinare oggi sul terrore titino, sui crimini degli jugoslavi, sulle stragi delle foibe, sugli orrori dell’occupazione jugoslava, sono quelli dei propagandisti nazionalfascisti, che, nonostante siano stati smentiti 67 anni fa hanno proseguito imperterriti, col risultato che oggi, invece di essere relegati tra gli errori della storia, hanno trovato il consenso di settori sedicenti della sinistra.

Ed aggiungiamo a questo la testimonianza del giornalista e storico Mario Pacor (che negli anni ’60, dopo essere stato corrispondente dell’Unità da Trieste si trasferì a Milano e poi a Novara, dove fu tra i fondatori dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età contemporanea nel Novarese-Verbano-Cusio-Ossola), che in un testo intitolato “Malcontento operaio a Trieste” raccolse il sentimento dei militanti comunisti durante i “quaranta giorni” di amministrazione jugoslava:

“Fu così che agli operai insorti non fu permesso di procedere a quelle liquidazioni di fascisti responsabili di persecuzioni e violenze, a quegli atti di “giustizia sommaria” che invece si ebbero a migliaia a Milano, Torino, in Emilia e in tutta l’Alta Italia nelle giornate della liberazione e poi ancora per più giorni. “Non ce lo permettono” mi dissero ancora alcuni operai “pretendono che arrestiamo e denunciamo regolarmente codesti fascisti, ma spesso, dopo che li abbiamo arrestati e denunciati, essi li liberano, non procedono. E allora?” ne erano indignati…”

(documento conservato presso l’Istituto di Storia del Movimento di Liberazione di Trieste, n. 2227).




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http://xcolpevolex.blogspot.it/2015/02/la-scandalosa-puntata-di-porta-porta.html

05/02/15


La scandalosa puntata di Porta a Porta sul giorno del ricordo e foibe

di Marco Barone

Va bene, ne prendo atto. Prendo atto che il sistema mediatico e pubblico, e ribadisco pubblico, che dovrebbe fornire informazioni oggettive, e non faziose, è semplicemente defunto e quando si affronta poi la questione dei 42 giorni di Trieste si va oltre ogni decenza. Cosa si è detto nella puntata di Porta a Porta, del 4 febbraio, che si può ben vedere su internet sul giorno del ricordo, foibe ed esodo?  E' emerso, tra interventi, presentazione dell'argomento e frasi ad effetto che Tito ed i partigiani Jugoslavi volevano risolvere con eccidi di massa i problemi etnici e fare piazza pulita da tutto ciò che era italiano, che nelle foibe venivano buttati anche vivi ed agonizzanti, che a Pola i partigiani giravano con l'imbuto e invitavano gli italiani ad andare via altrimenti li avrebbero ammazzati e sarebbero finiti nelle foibe, o la nota e sballata e falsa cifra dei presunti 350 mila esuli assunta oramai a dogma. Ma il top del top lo si raggiunge, non tanto quando si parla del noto magazzino 18 contenitore di oggetti abbandonati e dimenticati, non tanto quando si tenta di paragonare il massacro accaduto in Jugoslavia durante la guerra interna che porterà alla fine della Jugoslavia con quello che avrebbero fatto i partigiani jugoslavi, e dunque equiparazione delle fossi comuni con le foibe, ma quando, durante i primi minuti nel servizio di presentazione, che ricorda l'epico stile del noto Istituto Luce, si dirà che dopo il 12 giugno i partigiani jugoslavi lasceranno Trieste e  finirà l'incubo delle esecuzioni sommarie delle deportazioni ecc. Ciò verrà detto al minuto 3.56 ma con un piccolo particolare, nel momento in cui si pronuncerà  la fine dell'incubo delle esecuzioni sommarie, dunque imputabili ai “terribili giorni di Tito a Trieste", verrà mostrata una foto di persone impiccate, e dunque chi guarderà quell'immagine penserà che quelle persone saranno stato impiccate dai cattivi disumani partigiani jugoslavi. Peccato che si tratta degli impiccati di Premariacco e di San Giovanni al Natisone, 26 impiccati giovanissimi uccisi dai nazisti come rappresaglia. Dunque forse sarà sfuggita, forse no, e chi può dirlo? 
Certo che addebitare ai partigiani jugoslavi crimini compiuti dai nazisti, perché è quello che rimarrà impresso tra l'associazione dell'immagine citata e la fine dei 42 giorni di Trieste, è proprio una cosa a dir poco indicibile ma che ben dimostra la consistenza ed il gran livello culturale e storico sussistente, in parte, nell'Italia vittima senza mai colpe. Ovviamente si è omesso tutto quello che è accaduto prima, e chi non conosce la storia cosa penserà dopo aver visto quel programma? Che di punto in bianco arrivano i cattivi barbari, banditi, criminali, comunisti slavi, occupano Trieste, spazzano via tutto quello che è italiano, uccidono poveretti che non avevano colpe, li gettano vivi nelle foibe, che ricordano cavità infernali, impiccano in modo selvaggio però poi per fortuna gli americani convinceranno i cattivi e disumani jugoslavi ad andare via e finalmente Trieste potrà respirare e festeggiare la sua libertà. Stesso discorso per l'esodo biblico dei 350 mila esuli, questa è la cifra dogma che si continua a presentare, e il telespettatore medio che non conosce i fatti penserà che questi poveretti italiani sono stati cacciati via da terre che da sempre parlavano italiano, dunque da sempre italiane, perché la loro colpa era quella di essere gente italiana e conseguentemente fascista. E dunque se quelle terre erano da sempre italianissime perché non devono ritornare ad esserlo? Insomma l'esodo istriano continua ad essere presentato come quello biblico, simile a quello del popolo ebraico ma in fuga per la salvezza perché i comunisti jugoslavi tentarono, a detta di questi grandi storici e politici, la pulizia etnica. E tutto ciò dovrebbe essere il cuore pulsante della memoria condivisa.


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22/01/15

Dopo il caso di Trieste ora tocca a Monfalcone, una targa per la falsa liberazione



di Marco Barone


Che il 25 aprile sia letteralmente sotto attacco è un dato di fatto ben noto, che vi siano intenti e provocazioni finalizzate a dividere è altrettanto noto, che si voglia strumentalizzare la storia per sostenere operazioni di revisionismo storico è più che evidente, che qualcuno voglia forse la restaurazione, visti i tempi che viviamo, non deve sorprendere, sorprendere deve invece l'indifferenza a tutto ciò.

Nel goriziano, ultimamente, si realizza un mero accanimento in tal senso. Penso all'ennesima ricorrenza che ha visto nostalgici della X mas, che hanno combattuto con forze naziste, ricevere tutti gli onori, siano essi civili che non, si celebrano podestà che hanno operato sotto il fascismo, si vogliono dedicare piazze o vie a personaggi che hanno avuto un ruolo di primo piano nelle violenze fasciste. A tutto ciò seguendo il revisionismo storico che alcuni hanno proposto a Trieste e comunque immediatamente rispedito al mittente, a Monfalcone d'incanto e con la tipica retorica nazionalistica si propone di realizzare una targa per ricordare la fine dell'occupazione “titina”ergo la vera liberazione di Monfalcone. Alcune brevi e sintetiche premesse storiche.

Monfalcone, così come Trieste, felicemente faceva parte dell'Impero Austro Ungarico. Impero che in via scellerata volendo punire una intera comunità, quella serba, per il noto attentato di Sarajevo, determina la prima guerra mondiale. Il Regno d'Italia decide di frantumare l'alleanza, manda al macello più di 500 mila soldati, guidati da criminali, mai puniti anzi onorati, ed occupa terre appartenute all'Impero caduto. Nel mentre di tutto ciò, un giorno non qualunque, D'Annunzio con un gruppo organizzato di militari e volontari, parte da Ronchi per occupare una città straniera, Fiume. Primo atto di militarismo, di grave eversione, dopo la grande macelleria umana, primo atto che fungerà da legame tra l'irredentismo reazionario ed il fascismo che arriverà da lì a breve. Atto che vede a Monfalcone l'esistenza del noto monumento, sostenuto dal sindaco di quel tempo appartenente a Gladio e progettato da un noto architetto fondatore del sindacato fascista degli architetti. Dunque vi è stata una cosa, durata vent'anni, che si chiama fascismo, che qualcuno forse dimentica  che vedrà molti legionari di primo livello svolgere un ruolo determinante ed esercitare la sua massima brutalità proprio nel confine orientale colpendo in particolar modo sloveni, serbi, croati, spazzando via identità secolari radicate da lungo tempo in queste terre. Processi che diventeranno ancora più brutali con il nazifascismo e l'occupazione della Jugoslavia. Ci sarà poi la resistenza, e non guerra civile, perché si è contrastato un regime, perché si è morti per la libertà e per una idea diversa di società, seguendo le orme della resistenza Jugoslava a Selz si formerà la brigata proletaria, uomini e donne che lotteranno per la nostra libertà ad un prezzo elevatissimo. Sino ad arrivare al 1° maggio del '45 quando i partigiani Jugoslavi con una operazione congiunta con i partigiani italiani, libereranno Monfalcone, ed a Trieste i partigiani Jugoslavi  saranno i primi ad entrare, ad esempio, nella Risiera di San Saba liberando de facto la città dall'occupazione nazista. 

42 soli saranno i giorni di amministrazione provvisoria con l'affermazione del comitato esecutivo italo-sloveno, poi subentreranno le altre truppe alleate che a Trieste rimarranno sino al '54 ed a Monfalcone sino al '47. Intanto sotto la reggenza delle truppe anglo americane si realizzeranno più di 500 giornate di violenza, tollerate, sostenute e non contrastate, di matrice fascista contro antifascisti, comunisti, anarchici e sloveni.  Dal tipico lancio di bombe, a morti, a feriti, ad intimidazioni, a liste di proscrizione. Ma tutto questo non deve essere ricordato. Quello che deve essere ricordato, invocando sempre le solite storie e facendo  poi con tutto il fieno un solo demagogico covone, mescolando fatti ed eventi diversi con il tipico vittimismo, con il tipico ragionamento mistico e passionario religioso e senza mai avere colpa o responsabilità alcuna è che i liberatori, quale i partigiani Jugoslavi, devono divenire gli occupanti e tutti gli altri i liberatori nel nome di quella italianità abusata . 

Eppure forse si dimentica che la Jugoslavia aveva vinto la seconda guerra mondiale ed aveva, in ogni caso, tutti i diritti e le ragioni per eccepire  legittime pretese su Trieste, Gorizia, Ronchi e Monfalcone, ad esempio. Si voleva allora realizzare un grande Stato socialista, ma questo non doveva essere permesso, nonostante le grandi manifestazioni a sostegno della Jugoslavia.






http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=2884

La Madre di tutte le menzogne di guerra: le mani mozzate ai bambini in Belgio

4 FEBBRAIO 2015

Questo articolo viene pubblicato contemporaneamente anche nel sito www.centoannidiguerre.org  quale contributo di Sibialiria all’istituendo Comitato contro le celebrazioni della Prima guerra mondiale. 


Incombe il governativo Centenario della Grande Guerra che già si annuncia all’insegna della esaltazione del sacrificio per la Patria, dell’onore di essere “Italiani brava gente”, al richiamo alla compattezza nazionale contro i nemici interni ed esterni, alla necessità di rafforzare il nostro apparato militare contro le “forze ostili”… Temiamo quindi che la quantità enorme di celebrazioni metterà in secondo piano un aspetto fondamentale di quel conflitto e cioè l’irrompere di una propaganda  basata su menzogne che servirono a spingere verso la guerra una opinione pubblica che , fino a quel momento , sembrava riluttante.  La più famosa di queste menzogne fu, certamente, la sbalorditiva malvagità esternata dalle truppe tedesche in Belgio, malvagità  di cui le mani mozzate ai bambini rappresenta l’apice.

Se Sibialiria si sofferma su questa impostura, vecchia ormai di cento anni, non è certo per velleità enciclopediche o per additare una recente pubblicazione che, incredibilmente, la riprende come vera. Da sempre le guerre sono accompagnate o precedute da accuse al nemico di turno, presentato come un mostro capace di qualsiasi crimine : ma è solo con la Prima guerra mondiale – con l’irrompere dei quotidiani e delle cartoline a colori – che la creazione di falsi di guerra diventa una vera e propria industria che assolda grafici di talento, scrittori famosi, giornalisti… Il primo prodotto di successo di questa industria è stata, appunto,  la leggenda dei bambini belgi con le mani mozzate dai tedeschi. Una menzogna, che ha avuto un impatto emotivo enorme (il compianto giornalista Alessandro Curzi, ad esempio, ricordava che suo padre, socialista e da sempre contrario alla guerra, nel 1915 divenne interventista, quando apprese dai giornali questa notizia) e che ha contribuito in modo determinante a far precipitare l’umanità in una guerra costata milioni di morti.

E dire che se c’era una nazione che, veramente, faceva mozzare le mani ai bambini, questo era il Belgio.

 

Il Rapporto Bryce

Tutti le campagne mediatiche per avere successo devono contenere almeno due elementi: una storytelling, – e cioè un episodio di grande impatto emotivo che suggerisce un corpus di credenze – e l’autorevolezza di chi questo episodio narra (che, solitamente dissuade il pubblico dal verificarne la veridicità). Ad esempio, la storytelling dei “neonati strappati alle incubatrici nel Kuwait dai soldati iracheni” raccontata da Nayirah – una infermiera del Kuwait – fu considerata da molti attendibile non già dalla dichiarazione di questa anonima infermiera (che poi si scoprì essere la figlia di Saud Nasir al-Sabah, ambasciatore del Kuwait negli USA, e istruita dall’agenzia di pubbliche relazioni Hill & Knowlton,) ma dalla circostanza che nessuno della Commissione senatoriale USA (davanti alla quale fu pronunciata) osò metterla in dubbio. Oggi, generalmente, la veridicità della notizia è garantita dalla televisione e dai suoi ineffabili corrispondenti di guerra che, in qualche caso, dopo aver diffuso evidentissimi falsi – ad esempio, le “Fosse comuni di Gheddafi” – quando questi falsi sono universalmente riconosciuti tali, per garantirsi una verginità, dichiarano di essere stati ingannati.

Cento anni fa l’autorevolezza della notizia fu garantita dal ponderoso Rapporto Byrce, (qui è possibile leggere il documento in originale) – redatto, nel dicembre 1914, dal Comitato per indagare le voci sulle atrocità in Belgio istituito dal primo ministro inglese Herbert Asquith e diretto dal visconte Lord James Bryce – che riportante mostruose atrocità commesse dai soldati tedeschi in Belgio (persone stuprate, crocifisse, impalate, accecate… donne sgozzate e/o con mammelle amputate… e, soprattutto, bambini con mani mozzate) divenne, in poche settimane, un best seller.

Subito tradotto in 30 lingue dal governo inglese, il Rapporto Byrce, (anche grazie a veementi promotori come lo scrittore Arthur Conan Doyle, il creatore di Sherlock Holmes) conobbe varie versioni. In Italia, ad esempio, sia il Corriere della sera sia Il Messaggero ne stamparono una edizione popolare arricchita con varie illustrazioni. Da qui il libro di Achille De Marco Sangue belga che descriveva, con una fantasia davvero perversa, tutta una serie di mutilazioni tra cui “bimbe mutilate dei piedi e obbligate a correre sui moncherini per il passatempo spirituale della soldataglia tedesca”. Curiosamente, questo episodio non era riportato nel Rapporto Byrce – che il De Marco assicurava essere la fonte del suo libro – ma fu comunque ampiamente ripreso dalle successive “edizioni popolari” del Rapporto.

Innumerevoli sono state poi le raffigurazioni attestanti le atrocità riportate nel Rapporto. Soprattutto cartoline illustrate a colori; le più famose quelle commissionate dallo Stato maggiore francese al disegnatore Francisque Poulbot: si stima che la serie più famosa delle sue cartoline sia stata stampata in un milione di copie.

 

L’attendibilità del Rapporto Byrce

Finita la prima guerra mondiale, i documenti originali delle deposizioni dei presunti testimoni belgi (tutti anonimi) che costituivano il Rapporto Byrce rimasero secretati. Non fu questa l’unica stranezza che insospettì gli storici. Verosimilmente, c’era anche la curiosità di sapere come avessero fatto i membri della commissione di indagine coordinata da Byrce a gironzolare in un Belgio occupato dall’esercito tedesco e a incontrare così tante persone disposte (se pur anonimamente) a testimoniare. Fu per questo che alcuni ricercatori – tra cui Arthur Ponsonby  e Fernand van Langenhove – ripercorsero le aree del Belgio (distretto di Liegi, Valle della Meuse, Aarschot,, Mechelen, Louvain…) menzionate nel Rapporto come teatro degli efferati crimini commessi dai tedeschi. Ma non trovarono alcuna conferma di questi supposti episodi. Analogo risultato quando indagarono su un famoso (cinque prime pagine sul Times) evento riportato nel Rapporto Byrce: tredici bambini del villaggio di Sempst violentati e poi finiti con le baionette. Poi passarono in esame l’evento clou: i bambini con le mani mozzate. Da cosa era nata questa leggenda? Sostanzialmente, da due rumors. Nel primo, un anonimo sacerdote del distretto di Termonde, in una predica, avrebbe raccontato di un bambino che lo aveva avvicinato per chiedergli quale preghiera innalzare a Gesù per fargli crescere le mani mozzate dai Tedeschi. Nel secondo, che sarebbe avvenuto in un ospedale del nord del Belgio, una bambina di sei anni con le mani mozzate avrebbe composto questa straziante preghiera (riportata nel periodico Semaine religieuse di l'Ille-et-Vilaine): “Signore non ho più le mani. Un crudele soldato tedesco me le ha prese, dicendo che i bambini belgi e francesi non hanno diritto ad avere le mani; che questo diritto lo hanno solo i bambini dei tedeschi. E me le ha tagliate. E mi ha fatto molto male. Ma il soldato rideva e diceva che i bambini che non sono tedeschi non sanno soffrire. Da quel giorno, Signore, la mamma è diventata pazza ed io sono sola. Il babbo è stato portato via dai soldati tedeschi il primo giorno di guerra. Non ha mai scritto. Certamente, lo avranno fucilato…”. Le puntigliose ricerche di van Langenhove e di altri non trovarono alcuna conferma di questi episodi. Analogo risultato ottenuto da Francesco Saverio Nitti, già ministro durante la guerra e in seguito, presidente del Consiglio: “Abbiamo sentito raccontare la storia dei piccoli infanti belgi ai quali gli unni avevano mozzato le mani. Dopo la guerra, un ricco americano, scosso dalla propaganda francese, inviò in Belgio un emissario per provvedere al mantenimento dei bambini cui erano state tagliate le povere manine. Non riuscì ad incontrarne nemmeno uno. Mister Lloyd George e io stesso, quando ero capo del governo italiano, abbiamo fatto eseguire delle minuziose ricerche per verificare la veridicità di queste accuse, nelle quali, in certi casi, si specificavano nomi e luoghi. Fu rilevato che tutti i casi oggetto delle nostre ricerche, erano stati inventati.”

L’inattendibilità del Rapporto Byrce non significa, certo, che non vi furono esecuzioni sommarie, o altri crimini, commessi dalle truppe di occupazione tedesche. Esecuzioni dettate anche dalla psicosi  imperante tra le truppe tedesche che vedevano nelle numerose feritoie che costellavano i muri delle case belghe (in realtà “fori in muratura” destinati a fissare le impalcature per gli imbianchini delle facciate) una postazione per cecchini. Psicosi, tra l’altro, istituzionalizzata da autorevoli opinionisti tedeschi come il professore universitario B. Händecke che sul quotidiano Nationale Rundschau spiegava che la crudeltà belga era già iscritta nell’arte fiamminga.

 

I falsi di guerra 

La leggenda dei bambini con le mani mozzate, oltre che per il suo enorme impatto nell’opinione pubblica (In Italia, uno dei pochissimi studiosi che ne denunciò la falsità fu Benedetto Croce) merita di essere analizzata perché si basa su un aspetto che caratterizzerà fino ai nostri giorni i falsi di guerra: l’illogicità  del gesto.

L’occupazione tedesca del Belgio era finalizzata all’invasione della Francia, non certo all’attuazione di una qualche pulizia etnica, per la quale, cioè, bisogna terrorizzare la popolazione autoctona per costringerla a fuggire. Corollario di questa strategia era l’esigenza per la Germania di garantirsi un Belgio relativamente tranquillo dopo che – già nei primi giorni dell’invasione – era stata neutralizzata gran parte della resistenza. In questo contesto – come fece notare van Langenhove – sarebbe stato del tutto illogico per la Germania non solo organizzare (secondo il Financial Times veniva direttamente dal Kaiser la direttiva di torturare i bambini, specificando – tra l’altro – quali torture dovessero essere eseguite) ma anche permettere ufficialmente il compiersi di tali gratuite atrocità contro la fascia più inerme della popolazione. In altri termini “…(di fronte a queste atrocità)… cosa altro avrebbero fatto gli abitanti dei paesini teatro di tali infamie se non avventarsi, magari con qualche coltello da cucina, sul primo tedesco che passava?” Se questo si fosse verificato, la Germania si sarebbe trovata ad affrontare una resistenza immensamente più feroce di quella che caratterizzo l’invasione del Belgio, durante la guerra franco-prussiana, nel 1870.

Nonostante ciò, innumerevoli, illogiche, menzogne di guerra (basti pensare ai cecchini di Assad che sparano sulle donne incinte), anche oggi, vengono prese per buone da gran parte dell’opinione pubblica. Come è possibile? Tra gli studiosi che si occuparono di questo fenomeno, un posto di rilievo spetta, certamente allo storico Marc Bloch che, nel 1921, pubblicò Riflessioni d’uno storico sulle false notizie della guerra un testo breve ma ancora oggi illuminante per capire su quali meccanismi i creatori di falsi di guerra basino il loro agire. “Solo grandi stati d’animo collettivi hanno il potere di trasformare in leggenda una cattiva percezione. – dichiara Bloch – Una falsa notizia nasce sempre da rappresentazioni collettive che preesistono alla sua nascita; la sua messa in moto ha luogo soltanto perché le immaginazioni sono già preparate e in silenzioso fermento.”

Una menzogna di guerra, quindi , serve sostanzialmente a cementare tutto un corpus di credenze già imposte all’opinione pubblica e a trasformare in paranoia il diffuso senso di insicurezza. Paranoia che, quindi, impone di fermare il nemico di turno prima che possa colpire anche l’inerme consumatore della menzogna (oggi, solitamente, un telespettatore). E bisogna agire subito, perché il nemico dispone, nel paese del consumatore, di una quinta colonna (pacifisti, disfattisti, comunità etnico- religiose…) o è dotato di  imperscrutabili armi capaci di seminare ovunque distruzione. 

Agli albori della Prima guerra mondiale la costruzione di un nemico capace delle più turpi efferatezze, che, se non lo si fosse fermato in tempo sarebbero dilagate dovunque, fu affidata in Italia (fino ai primi mesi del 1915 alleata dell’Impero austro-ungarico) ad una torma di giornalisti i quali furono letteralmente comprati da emissari del governo francese o inglese e/o da gruppi industriali interessati alle commesse militari. E così, in pochi mesi, fu imbastita  una gigantesca campagna mediatica – imperniata sullo “stupro del piccolo e pacifico Belgio” – fatta propria da non pochi intellettuali e accompagnata da innumerevoli manifestazioni, culminate nel Maggio radioso, che chiedevano l’entrata in guerra.

Ironia della sorte, anche in quei giorni, “il Belgio” continuava a mozzare le mani ai bambini. Nel Congo, fino al 1909 proprietà privata di Leopoldo II re del Belgio. Per costringere le popolazioni a raccogliere nelle foreste il Caucciù e consegnarlo agli agenti della Société Générale de Belgique. Un abominio, accompagnato dallo sterminio – in 23 anni – di circa 9 milioni di congolesi, che aspetta ancora di essere ricordato in qualche museo o Giornata della Memoria.


Francesco Santoianni

Redazione di Sibialiria




(francais / srpskohrvatski / italiano)

Manifestazioni violente di ultranazionalisti in Kosovo

1) Nouveau livre, par J. Hogard : L'Europe est morte à Pristina / Evropa je umrla u Prištini 
2) Natale in Kosovo: raid antiserbo, sassaiola contro autobus di fedeli di fronte a chiesa Djakovica / Albanci kamenovali autobus sa Srbima koji su krenuli u crkvu na proslavu Božića!
3) Kosovo, a Pristina è guerriglia urbana (3 febbraio 2015)
4) Радован Радиновић: ОДЛУЧНО „НЕ“ ВОЈСЦИ КОСОВА


Sulle manifestazioni di piazza degli ultranazionalisti, che chiedono la appropriazione in toto del complesso minerario di Trepca da parte dello stato-mafia kosovaro, si veda anche il nostro post precedente:

Il tentato furto delle miniere di Trepca

Read also:

West accused of "allowing genocide in Kosovo" (13/1/2015)
Retired Czech Lt. Col. Marek Obrtel, who recently returned the military medals he received from NATO, says that "genocide against Serbs" took place in Kosovo...


=== 1 ===

Jacques Hogard

L'Europe est morte à Pristina
Chronique du Kosovo 

Hugo Document, 2014
ISBN: 978-2755614961


VIDEO (30 mag 2014 – http://www.tvlibertes.com/ ): 

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Žak Ogar: Evropa je pred mojim očima umrla u Prištini 


Goran ČVOROVIĆ | 19. oktobar 2014. 21:35 | Komentara:  66
Vođa francuskih specijalaca koji su prvi ušli na KiM: Albancima su pomagale strane obaveštajne službe. Na terenu sam otkrio da Srbi drže reč, a Albanci ne. Otkrili smo listu za ubijanje Srba s pečatom OVK

OD STALNOG DOPISNIKA - PARIZ

EVROPA je umrla u Prištini. Tako je svoju knjigu, koja je nedavno promovisana u Kulturnom centru Srbije u Parizu, naslovio Žak Ogar, vođa francuskih specijalnih operativnih snaga koji je na Kosovu u zvaničnoj misiji sa svojom elitnom jedinicom boravio svega petnaest dana, od potpisivanja Kumanovskog sporazuma do dolaska redovnih mirovnih snaga, ali sasvim dovoljno da stekne utisak šta se događalo u južnoj srpskoj pokrajini. Želja mu je bila da knjigu objavi na petnaestogodišnjicu NATO agresije.

- Počeli smo još potkraj 1998. da razmatramo vojnu opciju protiv Srbije, što znači da je sve odranije bilo isplanirano. U francuskim medijima, u ono vreme, moglo je da se čuje kako loši Srbi proteruju dobre Albance. Nisam poznavao Balkan i očekivao sam da vidim zle Srbe koji vrše etničko čišćenje, kako je govorila „zvanična istina“. Otkrili smo, međutim, sasvim suprotno - kaže Ogar u ekskluzivnom intervjuu za „Novosti“.

* S kakvim znanjima ste krenuli u misiju?

- U činjenice me je uputio otac, general u francuskoj vojsci. U mojoj porodici je postojala tradicija francusko-srpskog prijateljstva, koja mi je bila ostala u maglovitim sećanjima iz detinjstva, i otac me je na nju podsetio. Skrenuo mi je pažnju da nije sve tako kao što se priča i zavetovao me da ne budem prestrog prema Srbima.

* Šta ste otkrili na terenu?

- Sa srpskim oficirima sam pregovarao o ulasku francuskih trupa. Doček je, naravno, bio veoma hladan, ali uljudan. Rekao sam da ne dolazim kao neprijatelj, već kao vojnik koji obavlja svoju dužnost. Veoma brzo sam na terenu otkrio da su Srbi profesionalni i da drže reč, a da Albanci stalno pokušavaju samo jedno, da izvrdaju dogovoreno.

* Kako se ponašala OVK?

- Otimali su imovinu, praznili čitave gradove za jednu noć, kao u Vučitrnu. Ubijali su, na veliko i malo. Nadam se da će uskoro njihove vođe odgovarati pred pravdom. Otkrili smo, tako, listu s naredbama za likvidiracije Srba i nelojalnih Albanaca s pečatom OVK. Predali smo ova dokumenta pretpostavljenima, ali više nikada ništa nismo čuli o tome. To što je OVK bila privilegovani sagovornik EU predstavlja iskrivljavanje istorije, kršenje međunarodnog prava i vraćanje unazad civilizovanog sveta.

* Vi ste lično nacrtali novu kartu u ovom delu Balkana?

- Kada smo stigli u Kosovsku Mitrovicu, postojao je veliki i opravdani rizik od sukoba. Tenzija je bila velika, a situacija hitna. Moj zadatak je bio da razdvojim suprotstavljene strane i podela rekom Ibar mi se činila kao najispravnije rešenje. Odlučio sam da dve zajednice razdvojim na mostu.

* Da li vam je neko to sugerisao? 

- Nije! Odluku sam doneo sam, na osnovu procene. Nekada se neke stvari na terenu mnogo lakše odvijaju, nego što se misli.

* Pisali ste izveštaje koji se nisu mnogo sviđali vašim pretpostavljenima?

- Iznosio sam samo istinu. Nikada zbog toga nisam imao probleme, ali sam shvatio da je to što sam govorio išlo protiv zvanične francuske politike. Brzo sam postao svestan da je moj glavni posao postao da čuvam ljudske živote. Francuska vojska je profesionalna, s visokim moralnim vrednostima. Na vojnim školama učimo da se ne igramo životima civila. Kad oni koji sebe smatraju vojnicima, napadaju bespomoćnu monahinju, kao što je to radio OVK, šta vam preostaje drugo nego da je zaštitite i sukobite se s napadačima? To smo i radili, od početka.

* Imate li utisak da ste možda, skrećući od zvanične politike, na neki način odbili poslušnost u uniformi?

- Nekada je i to bolje, da bi se sačuvala čast. Ali, nisam stekao utisak da sam odbio poslušnost, i niko mi to nije zamerio. Ispunjavao sam obavezu francuskog vojnika.

* U jednom trenutku ste vratili srpsku vojsku iz povlačenja...

- Pripadnici OVK su napravili zasedu i napali konvoj srpskih izbeglica, uglavnom staraca, žena i dece, koji su se povlačili u dvesta traktora. Ovaj težak incident dogodio se uz podršku Britanaca. Albancima su, inače, pomagale strane obaveštajne službe, u prvom redu američka, nemačka i britanska. Sedma pešadijska brigada pukovnika Serkovića je bila u blizini, povlačila se u severnu Srbiju. Uradio sam ono što je bilo neophodno. Pozvao sam ih i dozvolio sam im da se vrate i da zaustave agresora. I, to su i uradili.

* Kažete da su sve vaše kolege po uniformi, Francuzi, na Kosovu manje-više stekli sličan utisak. Otkud takav odnos prema Srbima?

- Nije to samo slučaj s vojnicima. Mnogi Francuzi podržavaju Srbe, u svim slojevima društva, bez obzira na političke boje. Postoje zajedničke osnovne crte naših dvaju naroda. Kalili smo se u teškoćama, imamo istu žeđ za pravednošću i pružanjem otpora, držimo datu reč, dajemo celog sebe u onome što radimo, poštujemo porodicu i prijatelje. Te osobine su duboko ukorenjene i kod Srba i kod Francuza. Tu je i jak osećaj identiteta koji se, u Francuskoj, nažalost, u poslednje vreme polako gubi. Srbija bi zato trebalo da bude primer Francuskoj. Sačuvali ste naciju, kulturu, tradiciju, prirodu, religiju. Mi smo zaraženi mondijalizmom. Srbija danas podseća na zemlju Asteriksa i Obeliksa. Vi ste sada nesalomivi Gali Evrope!

* Kako, onda, pored svega, objašnjavate zvaničnu francusku politiku prema Srbiji tih godina?

- Za sve koji su se razvodnili u mondijalizmu negovanje identiteta deluje agresivno. A nije tako. Naprotiv, nikada nisam naišao na tako topao prijem kao u Srbiji. Uvek razdvajam legalnu državu od realne. Francuske vlasti su, slepo prateći politiku NATO, odabrale svoju stranu. To je bio OVK. Francuzi su zaboravili istoriju i svojom knjigom pokušavam da ih na to podsetim. Mnogi su smetnuli s uma da je Srbija bila sestra Francuske, kako su je u ono vreme zvali.

* Odakle razlozi za takve dezinformacije? 

- SAD su imale interes da oslabe i razbiju Jugoslaviju, a samim tim i Srbiju, koja je prirodna podrška Rusiji u regionu. Uništavanjem Jugoslavije približavaju se Rusiji. I, to se danas vidi u Ukrajini. Tradicionalni interes su imali i Nemci. Postoje i drugi strateški razlozi na veoma važnom području kao što je Balkan, a među političkim motivima je i zabadanje trna Evropskoj uniji, stvaranjem mikrodržava. Na kraju, postojali su i lični interesi. Madlen Olbrajt i Vesli Klark su danas akcionari velikih preduzeća na Kosovu. A Francuska se svemu tome mirno priklonila kroz politiku NATO.

* Kuda ide Evropa?

- Evrope danas nema. Izgubila je osećaj za realnost. EU ne poštuje suverenitet država. Evro je značajno smanjio kupovnu moć. Sistem u Briselu je potpuno nedemokratski. Mala ekipa ljudi bez legitimiteta odlučuje o svemu, i svima nameće svoje zakone. Onda određuje dobre i loše đake.

* Kako će se sve ovo završiti?

- Veoma sam zabrinut za situaciju u svetu. Uvek mislimo da više neće biti rata, ali se ispostavi da onaj prethodni nije bio i poslednji... Bosna i Kosovo su bili tačna slika onoga što će nam se kasnije dešavati, s istim načinom delovanja, i istim protagonistima. 

* Šta će biti s Kosovom?

- Samo neće moći da opstane. Ili će se vratiti Srbiji, ili će se pridružiti „velikoj Albaniji“, onakvoj kakvu smo videli na karti tokom nedavne fudbalske utakmice u Beogradu. Ali, takva Albanija bi bila efemerna. Nezavisno od bilo koje dnevne politike, Srbi se nikada neće pomiriti sa trajnim gubitkom svoje istorijske, kulturne i duhovne kolevke. Ako negde imate većinsku populaciju, ne znači da je to vaša zemlja. Cela istorija Kosova i Metohije uklesana je u njegovom kamenu. To bi bilo kao kada bi i Sen Deni, s nekropolom francuskih kraljeva, postao nezavisan zbog velikog broja muslimana koji tamo žive, pa da nas još zbog toga i bombarduju. 


NAPUSTIO VOJSKU ZBOG KOSOVA

ŽAK Ogar je vojsku napustio još dvehiljadite, zbog - Kosova.

- Mnogo me je povredilo to što smo bili na pogrešnoj strani - kaže Ogar.

Sada je na čelu dva preduzeća, koja se bave konsaltingom za ulaganja u inostranstvu i bezbednošću.


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NABOLjE 
* KAKVI su danas francusko-srpski odnosi? 
- Situacija se menja nabolje. Štampa sve više piše pozitivno o Srbiji. I moja knjiga je odlično primljena. Šesta je po broju prodatih političkih izdanja. Niko u to nije verovao kada smo je štampali. To govori da se stvari popravljaju.

PADEŽI 
OGAR sada često putuje u Srbiju.
- Veoma mi je lepo u Beogradu. Ostavljam svoj stres na Aerodromu „Nikola Tesla“ i ponovo ga preuzimam kad se vraćam - kaže i ističe da trenutno uči srpski, ali i priznaje da veoma teško izlazi na kraj s padežima.


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Kosovo: Natale ortodosso, raid antiserbo

Sassaiola contro autobus di fedeli di fronte a chiesa Djakovica

(ANSA) - DJAKOVICA, 6 GEN - Un bus con circa 40 sfollati serbi del Kosovo, giunti a Djakovica nel giorno della vigilia del Natale ortodosso, è stato attaccato a sassate da un gruppo di albanesi di fronte alla Chiesa della Santissima Madre di Dio.
    "L'autista del bus ha riportato ferite non gravi", ha detto Djokica Stanojevic, presidente dell'associazione dei profughi espulsi da Djakovica nel 1999. Stanojevic ha ricordato che non è la prima aggressione del genere e ha esortato la comunità internazionale a reagire.

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SKANDAL: Albanci kamenovali autobus sa Srbima koji su krenuli u crkvu na proslavu Božića!

Objavljeno: 6. januar 2015.

Nismo uspeli ni ove godine da zapalimo badnjak u gradu odakle smo proterani. Na samom ulazu u crkvu dočekala nas je grupa okupljenih Albanaca koji su kamenicama zasuli autobus, ispričao je predsednik Udruženja raseljenih iz Đakovice Đokica Stanojević

Autobus u kome je bilo oko 40 raseljenih Srba iz Đakovice kamenovali su Albanci u ovom gradu ispred crkve Uspenje presvete Bogorodice.

– Tom prilikom vozač autobusa zadobio je lakše povrede, rekao je predsednik Udruženja raseljenih iz Đakovice Đokica Stanojević. On je dodao da se incident dogodio i pored policijske pratnje koju su Srbi imali.

– Nismo uspeli ni ove godine da zapalimo badnjak u gradu odakle smo proterani.Na samom ulazu u crkvu dočekala nas je grupa okupljenih Albanaca koji su kamenicama zasuli autobus, precizorao je on.

Stanojević je rekao da je tom prilikom polomljeno prednje staklo autobusa i da je vozač zadobio manje posekotine.

“Vratili smo se nazad ne uspevši da unesemo badnjak u crkvu“, dodao je on.

Stanojević je najoštrije osudio ovaj incident, podsetivši da ovo nije prvi put i da se slično dogodilo i pre godinu dana i ranije. On je zatražio hitnu osudu i reakciju međunarodne zajednice kako bi se raseljenim Srbima iz Đakovice omogućilo jedno od osnovnih ljudskih prava – pravo na život, povratak, slobodu kretanja ipravo na veroispovest.

Ministar za rad, zapošljavanje, boračka i socijalna pitanja Aleksandar Vulin  je sa kosovskim ministrom za povratak i zajednice Aleksandrom Jablanovićem proveo badnje veče u manastiru Svetih vrača Kozme i Damjana u Zočištu, kod Orahovca na Kosovu i Metohiji.

Vulin je podsetio da treću godinu za redom Srbi ne mogu uđu u Ðakovicu da se pomole i to oni Srbi koji su rođeni u tom gradu iako bi to, kako je ocenio, moralo da bude univerzalno ljudsko pravo.

– Ne možemo govoriti o srećnom prazniku kada ne može svako da dođe u svoju crkvu i da se na praznik pomoli i ništa više. Opet, evo treća godina za redom, da nam se radost badnje večeri kvari Ðakovicom, da nam se radost badnje večeri kvari kamenovanjem, rekao je Vulin.

– Međunarodna zajednica ima obavezu da to uradi i tražim od međunarodne zajednice da to uradi, rekao je Vulin istakavši da incident u Ðakovici neće pomoći dijalog Beograda i Prištine.

– Ovo što se dogodilo danas u Ðakovici otežaće položaj pregovaračima u Briselu u februaru, ovo konstantno ponavljanje nasilja će otežati položaj pregovraračima i otežaće sam proces, zaključio je Vulin.

(Dnevne.rs /Telegraf.rs/Kurir.rs/Tanjug)


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Kosovo, a Pristina è guerriglia urbana

Scritto da: Sarah Camilla Rege  3 febbraio 2015

Da giorni ormai per le vie di Pristina è scoppiata una protesta che molti giornali locali stanno già considerando la più violenta da quando il Kosovo ha dichiarato la propria indipendenza dalla Serbia, nel 2008. La manifestazione, inizialmente pacifica, si è poi trasformata in guerriglia urbana: da una parte la polizia in assetto antisommossa che respinge i dimostranti con gas lacrimogeni, spray al peperoncino e violenti getti d’acqua, dall’altra i dimostranti, una parte dei quali, pur di raggiungere il palazzo del governo, non ha esitato a lanciare pietre e bombe molotov. Negli scontri sono rimasti feriti circa 100 poliziotti e più di 60 dimostranti, mentre sono state ben 120 le persone arrestate, fra cui anche il sindaco di Pristina Shpend Ahmeti.
La manifestazione è stata organizzata dai partiti di opposizione, fra cui il Movimento per l’Auto-determinazione (Vetevendosje) e l’Alleanza per il Futuro del Kosovo (AAK), come reazione ad una dichiarazione del Ministro delle Comunità e dei Ritorni Aleksander Jablanovic. Questi è accusato di aver offeso i kosovari-albanesi, chiamando “selvaggi” un gruppo di questi che avevano bloccato un pellegrinaggio di alcuni kosovari-serbi per il Natale ortodosso. In Kosovo convivono due popolazioni: la maggioranza di origine albanese e una forte minoranza di origine serba, concentrata per lo più nei comuni confinanti con la Serbia. Fin dagli anni ’90 i rapporti sono stati tesi e violenti, peggiorando ulteriormente con l’indipendenza dalla Serbia del Paese. Le provocazioni di una popolazione contro l’altra sono all’ordine del giorno e, nonostante i tentativi di normalizzare la vita quotidiana anche attraverso il dialogo con la Serbia, la tensione non accenna a calare.
Da una parte i kosovari-serbi si sentono discriminati e minacciati e chiedono per questo assistenza e protezione dalla Serbia, dall’altra i kosovari-albanesi vedono nelle strutture parastatali kosovare-serbe una minaccia alla sovranità statale del Kosovo. Il cammino per l’integrazione e la convivenza pacifica è ancora molto lungo e i ricordi delle violenze precedenti l’indipendenza ancora troppo freschi. Sono pochi i kosovari di origine serba che partecipano alla vita politica del Paese e Jablanovic è uno di quelli che, alle elezioni di giugno 2014, è riuscito ad entrare in Parlamento. Per questo, se il Primo Ministro kosovaro Isa Mustafa accettasse le dimissioni del Ministro per le Comunità e i Ritorni, potrebbe andare incontro a dure critiche da parte della minoranza e della Serbia, complicando ulteriormente la situazione.
In una dichiarazione il Primo Ministro Mustafa ha invece accusato l’opposizione di strumentalizzare le proteste per prendere il potere con la forza o per costringere i parlamentari della Lista Serba a dimettersi: in tal caso, secondo le norme del Paese, i posti vacanti sarebbero occupati dalle “riserve”, ovvero proprio da candidati dell’opposizione. Nel frattempo, Jablanovic si è scusato con la popolazione affermando di essere stato frainteso dai media. Dichiarazione che come effetto ha tutt’altro che calmato i dimostranti. Albin Kurti e Ramush Haradinaj, due leader dell’opposizione, hanno dichiarato ieri che le proteste continueranno finché Jablanovic non si dimetterà e finché la miniera di Trepca non sarà sotto totale controllo kosovaro.
Eppure, tutto quello detto finora non è altro che la miccia, non la vera causa. Quello che davvero ha portato migliaia di persone a dimostrare per le vie di Pristina è la grave crisi economica, la disoccupazione alle stelle e la mancanza di un futuro per le nuove generazioni. Appena la settimana prima la Presidente del Paese, Atifete Jahjaga, in visita istituzionale a Roma, aveva affermato la necessità di sicurezza economica per i propri cittadini. Sarebbe, inoltre, necessaria una classe politica matura, capace di attuare le riforme necessarie invece di agire “di pancia” solo per conquistare nuovi voti. Senza considerare che le continue proteste potrebbero danneggiare seriamente il fragile dialogo fra Pristina e Belgrado, dialogo più che mai necessario per normalizzare i rapporti e chiudere finalmente con il passato per dedicarsi ai progetti futuri. Nel frattempo l’Unione Europea si dice “preoccupata per le violenze, simbolo di frustrazione”, sentimento che spinge molti ad emigrare o, nei peggiori dei casi, a diventare vittime di traffico di esseri umani.


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ОДЛУЧНО „НЕ“ ВОЈСЦИ КОСОВА

Проф. Др Радован Радиновић, генерал у пензији

Војска је атрибут државе

Питање формирања Војске Косова се на мала врата уводи у нашу све невеселију политичку свакодневницу. Једном о томе говоре представници привремених институција у Приштини, други пут то чине лобисти са Запада који заступају интересе Албанаца, а понеки пут то чине и докони домаћи аналитичари, тек толико да се досоли и да чорба буде гушћа. Свима на српској страни који брину о српским државним и националним интересима то је свакако још један додатни разлог за озбиљну бригу и томе се свакако мора стати на пут. Ево неколико разлога у том смислу:

1. Војска је без сумње један од битних атрибута државе и државности. Ако би се остварила претња Запада и свих промотера косовске независности да ће у догледно време то питање доћи на дневни ред тзв. нормализација односа Приштине и Београда, односно да ће Косово, силом наметнути политички ентитет добити своју војску, то би практично значило да је тај ентитет израстао у независну државу. Јер, војска је по дефиницији институт државе који штити њен суверенитет и територијалну целовитост. Пристанак Србије, или непротивљење Србије успостављању Војске Косова, било би фактичко признање независности Српске јужне покрајине и свака даља прича о статусу тог дела Србије била би безпредметна.

2. На Балкану, па и шире, а посебно у Србији, ево већ деценију и по, ништа се не дешава што не би било по вољи Вашингтона, а тиме и Брисела као вашингтонског поданика. Ако Вашингтон то буде хтео, а знам да хоће, Брисел, као његов вазал, то свакако неће спречити. Утолико пре, што Немачка, као најутицајнија чланица снажно подржава независност и признање Косова као нове државе. Како сада ствари изгледају, бојим се, да ни у српској тзв. политичкој елити није мали број оних који то не би желели да спрече. Упркос свему, суштински је битно да Србија покаже одлучност да то спречи. Када то кажемо мислимо на ону Србију коју представља актуелна власт. На тај начин она исказује своје противљење успостављању Косова као независне државе. И што је не мање важно, на тај начин Србија пред центрима моћи савременог света, пре свих оних на Западу, са своје стране ставља тачку на сваку даљу причу о прекомпоновању њеног етничког простора, било путем јачања већ постојећих аутономија, било путем наметања нових, а тога има на претек.

3. Да се одлучно супротстави формирању Војске Косова Србија има снажна упоришта у свим релевантним међународним документима која регулишу статус Косова и Метохије у склопу међународног правног поретка и правног поретка Србије. Ни у једном од тих докумената – Кумановски споразум, Резолуција СБ УН 1244 (1999) на основу које се Косово и Метохија ставља под привремену управу УН, а ни у било ком другом документу након ове резолуције нема одредбе на основу које се легално и легитимно могу формирати оружане снаге, односно Војска Косова. Напротив, та документа су се обавезала да преко КФОР-а као наменских снага УН за Косово и Метохију у улози чувара мира разоружају и расформирају ОВК, што они, наравно, нису, из њима и нама знаних разлога учинили. Уместо разоружања и распуштања ОВК, КФОР (читај НАТО и САД) су ОВК преименовали у Косовски Заштитни Корпус, а потом у Безбедносне Снаге, да би до формирања Војске Косова остао само један мали корак. Но, корак који се без пристанка Србије неће нити се може достићи. Ништа не мења на ствари што те постојеће снаге Косовске Безбедности имају нека обележја војске као што су оклопни транспортери, хеликоптери и сл., те да могу имати и више од тога, али све док се на међународном нивоу не прихвати да то буде војска посебне државе она то и неће бити. А управо од Србије зависи и зато Србија мора то да одбије, јер тако ставља до знања и свету и себи да би то био још један акт окупатора на отетом делу наше државне територије.

Како Србија у том случају треба да поступи:

1. Да на свим нивоима где се води међународни дијалог: ОУН, СБ, ЕУ, Партнерство за мир, разни регионални скупови итд., Србија мора изразити своје снажно противљење. Не сме се догодити, као што је то био случај са пријемом Косова у МОК када су представници нашег ОК и сви за то одговорни државни органи, остали неми, наводно из алтруистичких спортских мотива како се не би омогућило спортистима да се такмиче. Јер, боже мој, спорт треба одвојити од политике и препустити их спортистима. А пријем Косова у МОК, без претходног пријема у УН, није ништа друго до политичко питање, јер је било много других начина да се спортистима Косова омогуће такмичења али не као представницима самосталне државе. Уосталом, међународне спортске институције у том погледу имају богата искуства. Управо су им то омогућили наши вајни спортски функионери, чија је дужност била да бране државне и националне интересе Србије, а не наводне спортске, а у суштини политичке интересе албанских спортиска на КиМ.

2. Немамо илузија да ће промотери косовске независности уважити противљење Србије да Косово добије своју војску, нити да Србија има моћи да то физички спречи, али она мора својим противљењем нагласити да би то било још једно у низу насиља које се Србији сервирају дуже од две деценије. То противљење мора бити тако снажно да се запрети напуштањем Бриселских преговора о нормализацији односа Београда и Приштине (а то је само еуфемизам за нормализацију односа Србије и Косова, односно за онај свеобухватни споразум који нам упорно сервирају бројни представници Немачке који нам стижу у походе из дана у дан). Ако је то услов за приступање Србије ЕУ, онда Србија без премишљања мора иступити из тих преговора. Јер, по нашем становишту држава је важнија од чланства у било којој међународној организацији и асоцијацији, па макар се она звала ЕУ.

3. Ако до формирања Војске Косова дође Србија мора бити свесна да би добила једног од заклетих и дуготрајних непријатеља који ће стално тражити начине и могућности да угрозе државне интересе Србије. А након евентуалног формирања војске те могућности би могле бити колосалне. Илустрација ради, на најужем делу државне територије, по оси исток-запад, на правцу Софија-Приштина, Србија је широка свега 50-так км, а то је мање од дубине замаха једне офанзивне операције корпуса копнене војске. Дакле, на том делу своје територије Србија би била геостратешки толико рањива да би у веома кратком времену могла бити пресечена и одсечени делови југа Србије од остатка Србије на северу.

4. Формирањем Војске Косова Србија у свом „меком трбуху“, а то је део Рашке области и подкопаонички део добија потенцијалног непријатеља који би везом са све милитантнијим екстремистима у Новом Пазару и шире, представљао озбиљну сметњу и претњу угрожавању стабилности Србије и њеног суверенитета, чиме би тзв. „зелена трансверзала“ од мита постала сасвим реална чињеница. Стим у вези, Србија би морала много одлучније него што је то до сада радила стабилизовати безбедносно, социјално и политичко стање у Рашкој области и спречити све отвореније, па и дрскије парадирање униформисаних паравојски које Србију нити желе нити јој чине никакво добро.

5. Формирање Војсе Косова би пројекат „Велика Албанија“ актуелизовало до крајњих граница и довело до готовог извршења, а нелојалност албанског живља на југу Србије према држави чији су држављани, која ни до сада није била бог зна каква, заоштрили до крајности, са могућношћу нових побуна ради издвајања из Србије и припајања Косову.

6. Прихватање формирања Војске Косова, без обзира на било каква друга уверавања, реметило би какву такву равнотежу у подрегиону, поготову имајући у виду чињеницу да је практично избрисана граница према Албанији. Са сигурношћу се може предвидети да би то био увод у ново гомилање оружја и војне технике на безбедносно нестабилном подручју, као и увод у оружане провокације у зони безбедности. Никакве и ничије гаранције и уверавања да до тога неће доћи не би имале вредност.

Све што је до сада речено императивно наметаће потребу редефинисања стратешке концепције обране и озбиљне промене у стратегијском груписању и оперативном развоју Војске Србије, али то је дуга и далеко озбиљнија прича од ове коју сада и овде можемо испричати.

Да ли је државно руководство свесно свега овога?

Проф.др Радован Радиновић
генерал у пензији