Informazione


STRASBURGO E' RUSSEN-FREI !


Ucraina: Consiglio d’Europa sospende il diritto di voto ai parlamentari russi


29/01/2015 – Nuove sanzioni da parte dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’ Europa contro la Russia. 
Con una risoluzione è stato sospeso ai parlamentari russi il diritto di voto fino ad aprile e la possibilità di partecipare agli organi direttivi. Una presa di posizione contro Mosca a seguito dell’annessione della Crimea e per la crisi ucraina. 
“Abbiamo informato i nostri colleghi – ha reagito Alexey Pushkov, capo parlamentare della delegazione russa – che considerato che non avremo diritto di voto e non potremo partecipare agli organismi dirigenti dell’Assemblea parlamentare – come l’Ufficio di presidenza e il comitato permanente – la delegazione russa ha deciso di non essere presente in Parlamento e lascia questa sessione “.
Il Consiglio d’ Europa è pronto a ridiscutere la posizione di Mosca il prossimo aprile. Ma la Russia dovrà rispettare alcune richieste tra cui il ritiro delle loro truppe dal territorio ucraino e la liberazione di tutti i prigionieri trattenuti illegalmente.


Solidarietà ai dirigenti comunisti russi aggrediti a Strasburgo da nazisti ucraini

Dichiarazione del Presidium del Partito Comunista della Federazione Russa
da kprf.ru | Traduzione dal russo di Mauro Gemma – 29 Gennaio 2015 

Il 26 gennaio, i deputati del Partito Comunista della Federazione Russa (tra cui Ghennadij Zyuganov) che partecipavano, a Strasburgo, alla seduta dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa (APCE), sono stati vigliaccamente aggrediti da alcuni esponenti del Partito Radicale ucraino, che rappresentano questa formazione fascista alla Rada Suprema di Kiev. Sull'episodio di criminalità politica avvenuto in una prestigiosa sede europea, il Presidium del PCFR ha diffuso la seguente dichiarazione:

All'ingresso del Palazzo del Consiglio di Europa a Strasburgo, dove si è svolta la seduta dell'APCE, è avvenuta un'aggressione contro membri della delegazione russa, tra cui il presidente e il vicepresidente del PCFR, G.A. Zyuganov e I.I. Melnikov. Come è stato accertato, gli aggressori sono stati i deputati della Rada Suprema ucraina D. Linko e A. Vitko del partito Radicale. Si ha l'impressione che il Majdan si sia trasferito nel cuore dell'Europa.
La delegazione russa si augura che l'APCE dia una corretta valutazione di quanto è accaduto. Qualsiasi incoraggiamento a tali azioni favorirebbe il rafforzamento dei movimenti ultra-nazionalisti e neofascisti in Europa, il che è categoricamente inaccettabile, soprattutto nell'anno del 70° anniversario della vittoria comune sul fascismo.
Che altro ancora è necessario all'Europa illuminata per capire chi ora si trovi al potere a Kiev? Dove sono finiti i tanto propagandati valori europei? E' venuto il tempo di smetterla di adottare i due pesi e le due misure.
Il nostro partito si è sempre pronunciato per una soluzione pacifica e democratica delle controversie, per relazioni di buon vicinato con tutti i popoli, compreso il popolo dell'Ucraina. Eravamo e rimaniamo popoli fratelli e faremo tutto ciò che è nelle nostre forze per trovare una giusta soluzione ai problemi che sono sorti.
Esprimiamo solidarietà ai nostri compagni, che hanno dato una risposta adeguata ai provocatori.
Il Presidium del PCFR
Mosca, 27 febbraio 2015


Vedi anche:

13 gennaio, 13:21 STRASBURGO - Le indagini per identificare i membri delle forze dell'ordine e i civili che hanno picchiato e torturato i manifestanti durante le proteste di piazza Maidan, sono a un punto morto. Lo rivela, in un rapporto preliminare, il Comitato per la prevenzione della tortura (Cpt) del Consiglio d'Europa. Basandosi sulle informazioni raccolte in Ucraina tra il 9 e 16 settembre 2014, il Comitato afferma che le indagini sono in una fase di "stallo", ma anche che "sembrerebbe che sinora si sia impedito ai procuratori di condurre delle indagini efficaci".
Il Cpt elenca le ragioni che spiegano la lentezza delle inchieste e l'impossibilità, almeno sinora, d'identificare i responsabili dei pestaggi dei manifestanti nella quasi totalità dei casi. Inoltre gli inquirenti stanno avendo grande difficoltà a ottenere informazioni sul dispiegamento dei vari reparti coinvolti nei fatti. Alcuni dei documenti inerenti queste operazioni, denuncia il Cpt, sono stati classificati 'segreti'.





(fonte: mailing-list del Comitato NO NATO - vedi anche:
Sul volume "Se dici guerra" – Kappa Vu, aprile 2014 – vedi anche:
M. Dinucci è anche membro del Comitato Scientifico del Coord. Naz. per la Jugoslavia - onlus


Il riorientamento strategico della Nato dopo la guerra fredda / 4

Manlio Dinucci


Le armi nucleari Usa/Nato in Europa
Gli Stati uniti, mentre sono impegnati a Ginevra a denuclearizzare l’Iran, nuclearizzano l’Europa potenziando le armi mantenute in Germania, Italia, Belgio, Olanda e Turchia. Sono circa 200 bombe B-61, che si aggiungono alle oltre 500 testate nucleari francesi e britanniche pronte al lancio. Secondo una stima al ribasso, in Italia ve ne sono 70-90, stoccate ad Aviano e Ghedi-Torre. Ma ce ne potrebbero essere di più, anche in altri siti. Tantomeno si conosce quante armi nucleari sono a bordo delle unità della Sesta flotta e altre navi da guerra che approdano nei nostri porti. Quello che ufficialmente si sa è che ora le B-61 vengono trasformate da bombe a caduta libera in bombe «intelligenti» che, grazie a un sistema di guida satellitare e laser, potranno essere sganciate a grande distanza dall’obiettivo. Le nuove bombe nucleari B61-12 a guida di precisione, il cui costo è previsto in 8-12 miliardi di dollari per 400-500 bombe, avranno una potenza media di 50 kiloton (circa quattro volte la bomba di Hiroshima). 
Altri aspetti, emersi da una audizione della sottocommissione del Congresso sulle forze strategiche, gettano una luce ancora più inquietante sull’intera faccenda. Washington ribadisce che «la Nato resterà una alleanza nucleare» e che, «anche se la Nato si accordasse con la Russia per una riduzione delle armi nucleari in Europa, avremmo sempre l’esigenza di completare il programma della B61-12». La nuova arma sostituirà le cinque varianti dell’attuale B61, compresa la bomba penetrante anti-bunker B61-11 da 400 kiloton, e la maxi-bomba B83 da 1200 kiloton. In altre parole, avrà la stessa capacità distruttiva di queste bombe più potenti.
Allo stesso tempo la B61-12 «sarà integrata col caccia F-35 Joint Strike Fighter», fatto doppiamente importante perché «l’F-35 è destinato a divenire l’unico caccia a duplice capacità nucleare e convenzionale delle forze aeree degli Stati uniti e di molti paesi alleati». Quella che arriverà tra non molto in Italia e in altri paesi europei, non è dunque una semplice versione ammodernata della B-61, ma un’arma polivalente che svolgerà la funzione di più bombe, comprese quelle progettate per «decapitare» il paese nemico, distruggendo i bunker dei centri di comando e altre strutture sotterranee in un first strike nucleare. Poiché le bombe anti-bunker non sono oggi schierate in Europa, l’introduzione della B61-12, che svolge anche la loro funzione, potenzia la capacità offensiva delle forze nucleari Usa/Nato in Europa. 
I piloti italiani – che vengono addestrati all’uso delle B-61 con i caccia Tornado, come è stato fatto nell’esercitazione «Steadfast Noon» svoltasi ad Aviano e Ghedi, saranno tra non molto addestrati all’attacco nucleare con gli F-35 armati con le B61-12. In tal modo l’Italia viola il Trattato di non-proliferazione che la impegna a «non ricevere da chicchessia armi nucleari, né il controllo su tali armi direttamente o indirettamente». E gli Stati uniti lo violano perché si sono impegnati a «
non trasferire a chicchessia armi nucleari né il controllo su tali armi». 

Il nuovo confronto militare Ovest-Est
Mosca si oppone allo «scudo antimissile», che permetterebbe agli Usa di lanciare un first strike nucleare sapendo di poter neutralizzare la ritorsione. È contraria all’ulteriore espansione della Nato ad est e al piano Usa/Nato di demolire la Siria e l’Iran nel quadro di una strategia che mira alla regione Asia/Pacifico. Tutto questo viene visto a Mosca come un tentativo di acquisire un netto vantaggio strategico sulla Russia (oltre che sulla Cina). Sono solo «vecchi stereotipi della guerra fredda», come sostiene il presidente Obama?  Non si direbbe, visto il programma annunciato dalla Nato nel 2013. Esso prevede «più ambiziose e frequenti esercitazioni militari» a ridosso della Russia. Tra queste la «Brilliant Arrow», effettuata in Norvegia con cacciabombardieri Nato (anche italiani) a duplice capacità convenzionale e nucleare; la «Steadfast Jazz», con lo spiegamento di cacciabombardieri Nato in Polonia, Lituania e Lettonia, al confine russo; la «Brilliant Mariner», effettuata da navi da guerra Nato nel Mare del Nord e nel Mar Baltico. 
Gli Usa e gli alleati Nato accrescono nel corso degli anni la pressione militare sulla Russia la quale, ovviamente, non si limita a quella che Obama definisce «retorica anti-americana». Dopo che gli Usa decidono di installare uno «scudo» missilistico anche sull’isola di Guam nel Pacifico occidentale, il Comando delle forze strategiche russe annuncia che sta costruendo un nuovo missile da 100 tonnellate «in grado di superare qualsiasi sistema di difesa missilistica». Ed è già in navigazione il primo sottomarino nucleare della nuova classe Borey, lungo 170 m, capace di scendere a 450 m di profondità, armato di 16 missili Bulava con raggio di 9mila km e 10 testate nucleari multiple indipendenti, in grado di manovrare per evitare i missili intercettori. 
Su questo e altro i media europei, in particolare quelli italiani campioni di disinformazione, praticamente tacciono. Così, prima che esploda la crisi ucraina, la stragrande maggioranza ha l’impressione che la guerra minacci solo regioni «turbolente», come il Medio Oriente e il Nordafrica, senza accorgersi che la «pacifica» Europa sta divenendo di nuovo, sulla scia della strategia Usa, la prima linea di un confronto militare non meno pericoloso di quello della guerra fredda. 
 
Il colpo di stato in Ucraina
L’operazione condotta dalla Nato in Ucraina inizia quando nel 1991, dopo il Patto di Varsavia, si disgrega anche l’Unione Sovietica di cui essa faceva parte. Gli Stati Uniti e gli alleati europei si muovono subito per trarre il massimo vantaggio dalla nuova situazione geopolitica. L’Ucraina – il cui territorio di oltre 600mila km2 fa da cuscinetto tra Nato e Russia ed è attraversato dai corridoi energetici tra Russia e Ue – non entra nella Nato, come hanno fatto altri paesi dell’ex Urss ed ex Patto di Varsavia. Entra però a far parte del «Consiglio di cooperazione nord-atlantica» e, nel 1994, della «Partnership per la pace», contribuendo alle operazioni di «peacekeeping» nei Balcani. 
Nel 2002 viene adottato il «Piano di azione Nato-Ucraina» e il presidente Kuchma annuncia l’intenzione di aderire alla Nato. Nel 2005, sulla scia della «rivoluzione arancione» (orchestrata e finanziata agli Usa e dalle potenze europee), il presidente Yushchenko viene invitato al summit Nato a Bruxelles. Subito dopo viene lanciato un «dialogo intensificato sull’aspirazione dell’Ucraina a divenire membro della Nato» e nel 2008 il summit di Bucarest dà luce verde al suo ingresso. Nel 2009 Kiev firma un accordo che permette il transito terrestre in Ucraina di rifornimenti per le forze Nato in Afghanistan. Ormai l’adesione alla Nato sembra certa ma, nel 2010, il neoeletto presidente Yanukovych annuncia che, pur continuando la cooperazione, l’adesione alla Nato non è nell’agenda del suo governo. 
Nel frattempo però la Nato tesse una rete di legami all’interno delle forze armate ucraine. Alti ufficiali partecipano per anni a corsi del Nato Defense College a Roma e a Oberammergau (Germania), su temi riguardanti l’integrazione delle forze armate ucraine con quelle Nato. Nello stesso quadro si inserisce l’istituzione, presso l’Accademia militare ucraina, di una nuova «facoltà multinazionale» con docenti Nato. Notevolmente sviluppata anche la cooperazione tecnico-scientifica nel campo degli armamenti per facilitare, attraverso una maggiore interoperabilità, la partecipazione delle forze armate ucraine a «operazioni congiunte per la pace» a guida Nato. 
Inoltre, dato che «molti ucraini mancano di informazioni sul ruolo e gli scopi dell’Alleanza e conservano nella propria mente sorpassati stereotipi della guerra fredda», la Nato istituisce a Kiev un Centro di informazione che organizza incontri e seminari e anche visite di «rappresentanti della società civile» al quartier generale di Bruxelles. E poiché non esiste solo ciò che si vede, è evidente che la Nato costruisce una rete di collegamenti negli ambienti militari e civili molto più estesa di quella che appare. 
Sotto regia Usa/Nato, attraverso la Cia e altri servizi segreti vengono per anni reclutati, finanziati, addestrati e armati militanti neonazisti. Una documentazione fotografica mostra giovani militanti neonazisti ucraini di Uno-Unso addestrati nel 2006 in Estonia da istruttori Nato, che insegnano loro tecniche di combattimento urbano ed uso di esplosivi per sabotaggi e attentati. Lo stesso fece la Nato durante la guerra fredda per formare la struttura paramilitare segreta di tipo «stay-behind», col nome in codice «Gladio». Attiva anche in Italia dove, a Camp Darby e in altre basi, vennero addestrati gruppi neofascisti preparandoli ad attentati e a un eventuale colpo di stato. 
È questa struttura paramilitare che entra in azione a piazza Maidan, trasformandola in campo di battaglia: mentre gruppi armati danno l’assalto ai palazzi di governo, «ignoti»  cecchini sparano con gli stessi fucili di precisione sia sui dimostranti che sui poliziotti (quasi tutti colpiti alla testa). Il 20 febbraio 2014 il segretario generale della Nato si rivolge, con tono di comando, alle forze armate ucraine, avvertendole di «restare neutrali», pena «gravi conseguenze negative per le nostre relazioni». Abbandonato dai vertici delle forze armate e da gran parte dell’apparato governativo, il presidente Viktor Yanukovych è costretto alla fuga. La direzione delle forze armate viene assunta da Andriy Parubiy, cofondatore del partito socialnazionalista ridenominato Svoboda, divenuto segretario del Comitato di difesa nazionale, e, in veste di ministro della difesa, da Igor Tenjukh, legato a Svoboda. 
La Nato si sente ormai sicura di poter compiere un altro passo nella sua espansione ad Est, inglobando l’Ucraina. Lo conferma la riunione dei ministri Nato della difesa, che si svolge il 26-27 febbraio 2014 al quartier generale di Bruxelles. Primo punto all’ordine del giorno l’Ucraina, con la quale –  sottolineano i ministri nella loro dichiarazione – la Nato ha una «distintiva partnership» nel cui quadro continua ad «assisterla per la realizzazione delle riforme». Prioritaria «la cooperazione militare» (grimaldello con cui la Nato è penetrata in Ucraina). I ministri «lodano le forze armate ucraine per non essere intervenute nella crisi politica» (lasciando così mano libera ai gruppi armati) e ribadiscono che per «la sicurezza euro-atlantica» è fondamentale una «Ucraina stabile» (ossia stabilmente sotto la Nato).
 
(4 – continua)


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Il riorientamento strategico della Nato dopo la guerra fredda / 5

Manlio Dinucci


Il ruolo dell’Italia nella Nato
«Amore per il popolo italiano»: lo dichiara il presidente Obama nel febbraio 2013, ricevendo alla Casa Bianca il presidente Napolitano. Perché tanto amore? Il popolo italiano «accoglie e ospita le nostre truppe sul proprio suolo». Accoglienza molto apprezzata dal Pentagono, che possiede in Italia (secondo i dati ufficiali 2014) 1428 edifici, con una superficie di oltre un milione di metri quadri, cui se ne aggiungono oltre 800 in affitto o concessione. Sono distribuiti in oltre 30 siti principali (basi e altre strutture militari) e una ventina minori. Nel giro di un anno, i militari Usa di stanza in Italia sono aumentati di oltre 1500, superando i 10mila. Compresi i dipendenti civili, il personale del Pentagono in Italia ammonta a circa 14mila unità. 

Alle strutture militari Usa si aggiungono quelle Nato, sempre sotto comando Usa: come il Comando interforze, col suo nuovo quartier generale di Lago Patria (Napoli). «Ospitando» alcune delle più importanti strutture militari, l’Italia svolge un ruolo cardine nella strategia Usa/Nato che, dopo la guerra alla Libia, non solo mira alla Siria e all’Iran ma va oltre, spostando il suo centro focale verso la regione Asia/Pacifico per fronteggiare la Cina in ascesa.

Il Comando della forza congiunta alleata a Napoli (Jfc Naples) è tenuto ufficialmente in «standby», ossia pronto in qualsiasi momento a entrare in guerra. Il nuovo quartier generale a Lago Patria, costruito per uno staff di oltre 2mila militari ed espandibile per «la futura crescita della Nato», è in piena attività. Avamposto delle operaziont militari del Jfc Naples  è la Turchia, dove la Nato ha oltre venti basi aeree, navali e di spionaggio elettronico. A queste è stato aggiunto (come già detto) uno dei più importanti comandi Nato: il Landcom, responsabile di tutte le forze terrestri dei 28 paesi membri, attivato a Izmir (Smirne). Lo spostamento del comando delle forze terrestri dall’Europa alla Turchia – a ridosso del Medio Oriente (in particolare Siria e Iran) e del Caspio – indica che, nei piani Usa/Nato, si prevede l’impiego anche di forze terrestri, soprattutto europee, in quest’area di primaria importanza strategica. 

Il Jfc Naples (come già detto) è agli ordini di un ammiraglio statunitense, che è allo stesso tempo comandante della Forza congiunta alleata a Napoli, delle Forze navali Usa in Europa e delle Forze navali del Comando Africa. Un gioco strategico delle tre carte, che permette al Pentagono di mantenere sempre il comando. E l’Europa? Essa è importante per gli Usa geograficamente, chiarisce il Comandante supremo alleato: le basi in Europa non sono residui «bastioni della guerra fredda», ma «basi operative avanzate» che permettono agli Usa di sostenere sia il Comando Africa che il Comando centrale nella cui area rientra il Medio Oriente. Sono quindi essenziali per «la sicurezza del 21° secolo», garantita da una «potente e capace alleanza» diretta dagli Usa, che possiede «24mila aerei da combattimento, 800 navi militari oceaniche, 50 aerei radar Awacs». 
 
Quanto ci costa la Nato
L’Italia sta assumendo nella Nato crescenti impegni che portano a un inevitabile aumento della spesa militare, diretta e indiretta. 
La Nato non conosce crisi. Si sta costruendo un nuovo quartier generale a Bruxelles, il cui costo, previsto in 460 milioni di euro, è quasi triplicato salendo a 1,3 miliardi. Lo stesso è stato fatto in Italia, dove si sono spesi 200 milioni di euro per costruire a Lago Patria una nuova sede per il Jfc Naples. Tali spese sono solo la punta dell’iceberg di un colossale esborso di denaro pubblico, pagato dai cittadini dei paesi dell’Alleanza. 

Vi è anzitutto la spesa iscritta nei bilanci della difesa dei 28 stati membri che, secondo i dati Nato del febbraio 2014, supera complessivamente i 1000 miliardi di dollari annui (circa 750 miliardi di euro), per oltre il 70% spesi dagli Stati uniti. La spesa militare Nato, equivalente a circa il 60% di quella mondiale, è aumentata in termini reali (al netto dell’inflazione) di oltre il 40% dal 2000 ad oggi. Sotto pressione degli Stati uniti, il cui budget della difesa (735 miliardi di dollari) è pari al 4,5% del prodotto interno lordo, gli alleati si sono impegnati nel 2006 a destinare al bilancio della difesa come minimo il 2% del loro pil. Finora, oltre agli Usa, lo hanno fatto solo Gran Bretagna, Grecia ed Estonia. 

L’impegno dell’Italia a portare la spesa militare al 2% del pil è stato sottoscritto nel 2006 dal governo Prodi. 
Secondo i dati Nato, essa ammonta oggi in media a 52 milioni di euro al giorno. Tale cifra, si precisa nel budget, non comprende però diverse altre voci. In realtà, calcola il Sipri, la spesa militare italiana (all’undicesimo posto su scala mondiale) ammonta in media a 72 milioni al giorno. Adottando il principio del 2%, questi salirebbero a circa 100 milioni al giorno. 

Agli oltre 
1000 miliardi di dollari annui iscritti nei 28 bilanci della difesa, si aggiungono i «contributi» che gli alleati versano per il «funzionamento della Nato e lo sviluppo delle sue attività». Si tratta per la maggior parte di «contributi indiretti», tipo le spese per «le operazioni e missioni a guida Nato». Quindi i molti milioni di euro spesi per far partecipare le forze armate italiane alle guerre Nato nei Balcani, in Afghanistan e in Libia costituiscono un «contributo indiretto» al budget dell’Alleanza. 

Vi sono poi i «contributi diretti», distribuiti in tre distinti bilanci. Quello «civile», che con fondi forniti dai ministeri degli esteri copre le spese per lo staff dei quartieri generali (4000 funzionari solo a Bruxelles). Quello «militare», composto da oltre 50 budget separati, che copre i costi operativi e di mantenimento della struttura militare internazionale. Quello di «investimento per la sicurezza», che serve a finanziare la costruzione dei quartieri generali, i sistemi satellitari di comunicazione e intelligence, la creazione di piste e approdi e la fornitura di carburante per le forze impegnate in operazioni belliche. Circa il 22% dei «contributi diretti» viene fornito dagli Stati uniti, il 14% dalla Germania, l’11% da Gran Bretagna e Francia. L’Italia vi contribuisce per circa l’8,7%: quota non trascurabile, nell’ordine di centinaia di milioni di euro annui.

Vi sono diverse altre voci nascoste nelle pieghe dei bilanci. Ad esempio l’Italia ha partecipato alla spesa per il nuovo quartier generale di Lago Patria sia con la quota parte del costo di costruzione, sia con il «fondo per le aree sottoutilizzate» e con uno erogato dalla Provincia, per un ammontare di circa 25 milioni di euro (mentre mancano i soldi per ricostruire L’Aquila). 
Top secret resta l’attuale contributo italiano al mantenimento delle basi Usa in Italia, quantificato l’ultima volta nel 2002 nell’ordine del 41% per l’ammontare di 366 milioni di dollari annui. Sicuramente oggi tale cifra è di gran lunga superiore. Si continua così a gettare in un pozzo senza fondo enormi quantità di denaro pubblico, che sarebbero essenziali per interventi a favore dell’occupazione, dei servizi sociali, delle zone terremotate. 
 
Il riposizionamento militare Usa in Europa
«Gli Stati uniti ridimensionano le forze militari in Europa e sotto la scure dei risparmi cade anche la base di Camp Darby», titola un giornale toscano, precisando che «mezzo Camp Darby tornerà all’Italia». Un vero e proprio bluff: l’area che verrà restituita dal Pentagono nell’arco di 5 anni è in reatlà quantificata in 5-6 ettari su un totale di oltre 800. 

In realtà, quella annunciata dal Pentagono non è una riduzione ma un riposizionamento delle forze militari Usa, così da «massimizzare le nostre capacità militari in Europa e rafforzare le nostre importanti partnership europee, sostenendo nel miglior modo i nostri alleati Nato e partner nella regione». Risparmiando allo stesso tempo, secondo i calcoli di Washington, circa 500 milioni di dollari annui. 

In tale quadro si inserisce Camp Darby, la base logistica dello U.S. Army che rifornisce le forze terrestri e aeree nell’area mediterranea, africana, mediorientale e oltre, l’unico sito dell’esercito Usa in cui il materiale preposizionato (carrarmati, ecc.) è collocato insieme alle munizioni. Nei suoi 125 bunker e in altri depositi vi è l’intero equipaggiamento di due battaglioni corazzati e due di fanteria meccanizzata, che può essere rapidamente inviato in zona di operazione attraverso il porto di Livorno e l’aeroporto di Pisa. Da qui sono partire le bombe usate nelle due guerre contro l’Iraq e in quelle contro la Iugoslavia e la Libia.

Il collegamento di Camp Darby col porto di Livorno è stato potenziato dai lavori effettuati dagli enti locali (a guida Pd) sul Canale dei navicelli, allo scopo dichiarato di dare impulso ai cantieri che fabbricano yacht (in realtà in crisi e in attesa di qualche compratore straniero). Il vero scopo emerge da uno studio della Provincia di Livorno: «
Il Canale dei navicelli riveste una notevole importanza strategica militare, per il fatto di attraversare la base militare di Camp Darby, costituendo una componente determinante per i traffici della base». Per di più nel limitrofo interporto di Guasticce, sullo Scolmatore dove sono in corso lavori per accrescerne la navigabilità, si può creare un indotto per lo stoccaggio di materiali logistici di Camp Darby. In tal modo si può liberare, nella base, spazio da destinare agli armamenti. Per di più, la limitata area che il comando Usa dovrebbe «restituire all’Italia» nei prossimi anni andrà al Ministero della difesa, che la potrà destinare a funzioni di supporto di Camp Darby e alla proiezione di forze: l’aeroporto militare di Pisa è stato trasformato in Hub aereo nazionale da cui transitano gli uomini e i materiali destinati ai vari teatri bellici, e sempre a Pisa si è appena costituito il Comando delle forze speciali dell’esercito.

Il «ridimensionamento» di Camp Darby è comunque compensato dal potenziamento della base Usa di Aviano. Qui, annuncia il Pentagono, sarà trasferito dalla base aerea di Spangladem (Germania) il 606th Air Control Squadron, addetto (con un personale di 200 militari) al comando, controllo e  rifornimento di grandi operazioni di guerra aerea. Il suo spostamento ad Aviano conferma il ruolo «privilegiato» dell’Italia quale base della proiezione di forze Usa/Nato nell’area mediterranea, mediorientale e africana. Ruolo destinato a crescere poiché, annuncia il Pentagono, «la U.S. Air Force dislocherà permanentemente suoi caccia F-35 in Europa», a cominciare dalla base britannica di Lakenheath, e quindi anche in Italia.

Il riposizionamento di forze e basi, sottolinea il Pentagono, non indebolisce ma rafforza la presenza militare Usa in Europa. Esso permette di «potenziare la presenza a rotazione di forze Usa in Europa per esercitazioni e altre attività Nato; migliorare le infrastrutture per una accresciuta presenza militare Usa e alleata nell’Europa orientale; permettere agli Usa di accrescere la capacità dei nuovi alleati, come Ucraina, Georgia e Moldavia». In tal modo, partendo dall’Europa, gli Usa e gli alleati Nato saranno in grado di «rispondere rapidamente alle crisi su scala planetaria». Ossia di scatenare guerre ovunque nel mondo siano ostacolati i loro interessi.
 
(5 – fine)





Inizio messaggio inoltrato:

Da: Iniziativa PARTIGIANI! <partigiani7maggio @tiscali.it>
Data: 27 gennaio 2015 00:18:18 CET
Oggetto: Ricordo di Dragutin -Drago- V. Ivanović / Voce Jugoslava del 27/1/2015 -Giornata della Memoria-
A: partigiani7maggio @tiscali.it


VOCE JUGOSLAVA / JUGOSLAVENSKI GLAS
"Od Vardara do Triglava - Dal fiume Vardar al monte Triglav"

Svakog drugog utorka, od 13,00 do 13,30 sati, na Radio Città Aperta, i valu FM 88.9 za regiju "Lazio", emisija "Jugoslavenski glas".
Emisija je u direktnom prijenosu. Može se pratiti i preko Interneta: http://radiocittaperta.it/
Emisija je dvojezična, po potrebi i vremenu na raspolaganju. Podržite taj slobodni i nezavisni glas, kupujući knjige koje imamo na raspolaganju, itd. .
Pišite nam na: jugocoord@..., potražite na www.cnj.it

Ogni due martedì dalle ore 13,00 alle 13,30 su Radio Città Aperta, FM 88.9 per Roma ed il Lazio, va in onda la trasmissione radiofonica "Voce Jugoslava".
Essa si può seguire, come del resto anche le altre trasmissioni della Radio, anche via internet: http://radiocittaperta.it/
La trasmissione è bilingue (a seconda del tempo disponibile e della necessità), e in diretta. Sostenete questa voce libera e indipendente acquistando i libri a nostra disposizione e con il vostro 5 x mille. Scriveteci: jugocoord@..., leggeteci su www.cnj.it


Program Dana Pamćenja ** 27. I. 2015 ** Programma per la Giornata della Memoria
 
Umro je Dragutin -Drago- V. Ivanović
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E' morto Dragutin -Drago- V. Ivanović

 
Il 2015 si è aperto per noi con la triste mancanza di DRAGUTIN "DRAGO" V. IVANOVIC, il nostro carissimo compagno e amico jugoslavo, con il quale abbiamo strettamente collaborato negli ultimi cinque anni. Drago si è spento venerdì 12 dicembre 2014 a Lubiana alla presenza dei tre amati figli.

Drago è stato antifascista dal primo all'ultimo respiro. Nato a Doljani - sobborgo di Titograd/Podgorica - nel 1923, ha trascorso l'infanzia nella Metohija. Nel corso della II Guerra Mondiale la sua famiglia ha duramente patito l'occupazione italiana e le violenze dei collaborazionisti: il padre e un fratello sono stati uccisi, lui stesso - da giovanissimo liceale militante della SKOJ, la gioventù comunista - è stato arrestato dagli occupatori italiani e deportato successivamente in diversi campi di concentramento in Montenegro, Albania e Italia, fino a Colfiorito (Foligno) da dove con un altro migliaio di antifascisti montenegrini è evaso alla fine di settembre del 1943. Fino alla estate successiva ha partecipato alla Resistenza nelle Marche e in Abruzzo, poi si è unito alle formazioni dell'EPLJ che si andavano organizzando in Puglia, addestrandosi nel campo di addestramento di Gravina, e potendo così infine rientrare a combattere per la liberazione del proprio paese. Assunto l'incarico di commissario politico della IV Divisione di Artiglieria da montagna motorizzata, ha combattuto lungo la dorsale dalmata verso nord, fino a partecipare alla liberazione di Trieste (1/5/1945). 
Nel dopoguerra, proseguita la carriera militare, è stato promosso fino al grado di colonnello. 

Dopo il pensionamento (1973) Drago si è dedicato a ricerche storiche accurate sugli eventi di cui lui stesso era stato protagonista, scrivendo numerosi libri. Il suo contributo è stato fondamentale per le ricerche che sono sfociate nella pubblicazione del nostro lavoro "I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana". 
Ancora lo scorso 29 gennaio 2014 a Udine, nonostante la malattia, Drago aveva voluto intervenire all'importante convegno organizzato dalla casa editrice KappaVu "con un bellissimo e sentito contributo", come ricorda Alessandra Kersevan. Ne proponiamo la registrazione integrale (25 minuti circa di ascolto) non solo perché riteniamo che questo sia il modo migliore per rendergli omaggio, ma anche perché ci sembra particolarmente significativo riportare la testimonianza diretta di un internato jugoslavo nei campi di concentramento italiani, proprio in occasione della Giornata della Memoria (27 Gennaio).

La registrazione dell'intervento di Drago a quel convegno rimarrà a disposizione sulle nostre pagine internet, e un più dettagliato articolo biografico sarà redatto e messo in diffusione prossimamente. Vi terremo aggiornati.

(a cura della redazione di Voce Jugoslava e degli autori de I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana – www.partigianijugoslavi.it )


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I PARTIGIANI JUGOSLAVI NELLA RESISTENZA ITALIANA Storie e memorie di una vicenda ignorata Roma, Odradek, 2011 pp.348 - euro 23,00 Per informazioni sul libro si vedano: Il sito internet: http://www.partigianijugoslavi.it La scheda del libro sul sito di Odradek: http://www.odradek.it/Schedelibri/partigianijugoslavi.html La pagina Facebook: http://www.facebook.com/partigianijugoslavi.it Ordina il libro: http://www.odradek.it/html/ordinazione.html === * ===




Orig. auf deutscher Sprache: 
Domino-Effekt (Troika-Eingriffe in Griechenland – GFP, 20/1/2015)
Mit massiven Eingriffen in die staatliche Souveränität Griechenlands sichern Berlin und die EU ihre politische Herrschaft über Südosteuropa. Wie Dokumente der in Athen ansässigen EU-Kontrollkommission unter Führung zweier deutscher Beamter belegen, erhält die Athener Regierung Anweisungen, wie das griechische Parlament zu umgehen sei. Den absehbaren Folgen dieser Eingriffe, die Proteste hervorrufen und das Lager der Oppositionsparteien stärken, begegnet Berlin mit Zahlungen an griechische Journalisten, Kirchenvertreter und Künstler. Die Einflussnahmen gelten der griechischen Öfferntlichkeit, sollen lauter werdende Forderungen nach Begleichung von Schulden aus NS-Verbrechen neutralisieren und sind geeignet, eine Klage der jüdischen Gemeinde von Thessaloniki gegen die Bundesrepublik Deutschland zu unterlaufen. Die Finanzierung hat das Auswärtige Amt übernommen, um die griechische "Zivilgesellschaft" mit dem deutschen Elitenmilieu zu vernetzen...
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59035


http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58818

Domino Effect
 

2015/01/20
BERLIN/THESSALONIKI
 
(Own report) - Berlin and the EU are massively violating Greece's sovereignty to secure their political domination over Southeastern Europe. As was revealed by documents from the Athens-based Troika, with two German functionaries in the leadership, the government in Athens has received instructions on how to bypass the Greek Parliament. To counteract the foreseeable consequences of this interference - which is provoking protests and strengthening the camp of the opposition parties - Berlin is handing out money to Greek journalists, religious representatives, and artists. This interference is targeting the Greek public to neutralize the growing demands for restitution of debts stemming from Nazi crimes. It is also aimed at undermining the lawsuit against the Federal Republic of Germany, filed by Thessaloniki's Jewish community. The German foreign ministry is in control of the payments to network the Greek "civil society" with the German elite.
In the correspondence marked "strictly confidential" between the Troika and the Greek government, comments on proposed legislation were in marginal notes, such as "to be rejected" or "insufficient."[1] When imposing mass layoffs, the parliamentary process should be circumvented, according to the document. "It would be wrong to create a commotion in parliament, when we can propose and implement other solutions, to achieve our goals," according to an email addressed to the government in Athens by the EU controllers Matthias Mors und Klaus Masuch from Germany. "These documents are evidence of an anti-democratic policy, seeking means to bypass parliament when implementing laws" wrote the Investigative magazine Hot Doc in Athens.[2]

One Hundred Billion
These revelations confirm what the electorate of the Greek left-wing parties has suspected all along. Berlin must worry that a new government may raise ultimate demands for paying the debts stemming from the Nazis' crimes and the criminal financial transfers committed in Greece. During the German occupation, nearly 520,000 people were killed, including hostages and prisoners of the Athens/Chaidari and Thessaloniki concentration camps. Greece lost 7.2 percent of its pre-war population.[3] The calculation of personal injuries and property damages - plus interests - remains inconclusive, but it far exceeds 100 billion Euros and is being assessed by Greece. (german-foreign-policy.com reported.[4])

Unilateral Measures
In 2014, German President Gauck responded to Greek President Karolos Papoulias' devout plea for restitution, with the verdict: "judicial means have been exhausted."[5] At best, "Germany is ... prepared to accept moral responsibility,"[6] Gauck said condescendingly. The German President simultaneously proposed unilateral German measures, of symbolic political initiatives and welfare measures barring legal claims, to avoid paying restitution. The foreign ministry has provided the first financial instruments.

A Hoax
Berlin's foreign ministry is allocating a million Euros under its 0502 budget heading for a "German-Greek Fund for the Future" - which happens to be German, but not Greek. The Greek government financially is not participating. When Greek President Papoulias paid an official visit to Berlin in September 2014, he was presented this fait accompli. Papoulias' presence, at the time, in the German Presidential Office was also used to announce the alleged foundation of a "German-Greek Youth Forum" - a hoax propagated by the government-financed Deutsche Welle Radio.[7] To implement their unilateral initiative for that alleged "youth forum," the German side simply presented a "statement of intention," that the Greek Ambassador was compelled to sign in the Bellevue Castle without having cleared up fundamental issues - particularly contentious is how German war debts and the German Reich's criminal finance transfers will be handled.

Enticing Offers
With the initial funding from the 0502 budget heading, the German Ministry of Foreign Affairs is casting nets in Greece, to lure Greek journalists, representatives of the Orthodox Church and critical youth to make them pliable to Berlin's wishes. Similar enticing offers are being made to those working in the arts in Athens, Thessaloniki, Ioannina, Florina and Korfu, to get them to participate in German state-financed joint "projects." This offers an alluring perspective, given the widespread social misery, with an up to 50 percent unemployment rate and an empty national budget. The objective is to influence Greek public opinion and establish ties between this influential segment of Greek society and sectors of the German elite ("create networks with like-minded in Germany").[8]

Overall Strategy
December 15, 2014, the German Ministry of Foreign Affairs pulled in its nets for the first time and held a reception in the ministry in Berlin for paid "groups of visitors from Greece" along with "representatives of the German civil society." The objective was to feed the guests' "exiting ideas" into the German lobbying concepts, to develop an "overall political strategy."[9] This is intended to absolutely avoid paying restitution of the billions in unpaid damages that Germany owes Greece.

Without Legal Claims
The German foreign ministry is "particularly" interested in "representatives of victimized communities," "especially from the Jewish community and martyred villages." The intent is to make them a "reconciliatory proposition," totally reversing the true relationship between the heirs of the culprits and the descendents of the victims.[10] According to State's Minister in the Foreign Ministry, Michael Roth (SPD), this should lay the groundwork for "a dialogue with Greek civil society" to establish a common "commemoration culture" instead of paying German debts. With this transparent appeal to an alleged common ground between the heirs of culprits and the descendents of victims, Roth offers "gestures of reconciliation" - a euphemism for cheap German acts of graciousness barring legal claims of Greek victims.

Extortion
The strategy is obviously aimed at subverting the lawsuit submitted to the European Court of Human Rights, in Strasbourg in 2014 by the Jewish Community of Thessaloniki as well as neutralizing other intended suits by tens of thousands of survivors. In 1942, the German occupation administration extorted several billion drachmas from Thessaloniki's Jewish residents, in exchange for the promised liberation of approx. 10,000 members of their community in German captivity. Once the money was paid, the captives were freed for a short period, and two months later, deported with the German Reichsbahn to Auschwitz. Fifty thousand Greek Jews never returned from the German extermination camps. For decades, the Federal Republic of Germany has refused to pay back the money it had extorted. Athens had to turn over billions more as a war loan to Berlin. This also was never repaid.

Priority
In negotiations with a new Greek government, which, following next Sunday's elections could be comprised of a majority of the current opposition parties, Berlin's priority will be to prevent all financial claims relating to Nazi crimes, as much as to finding a solution to Greece's debt crisis. The possible payment of World War II damages could ultimately far exceed the losses from bank guarantees. As was remarked in the foreign ministry, even the smallest concessions in issues of restitutions for Nazi damages in Greece could have serious consequences, particularly with Italy ("Domino Effect"). Recently, Rome's Constitutional Court explicitly admitted civil suits against the Federal Republic of Germany for massacres committed by the Wehrmacht and Nazi death squads.

[1] Wie die Troika in Athen regiert. www.zeit.de 15.01.2015.
[2] Troika verrät sich in Mails. www.n-tv.de 16.01.2015.
[3] Martin Seckendorf: Europa unterm Hakenkreuz, Band 6. Berlin/Heidelberg 1996.
[4] Deutschland soll Griechenland elf Milliarden Euro schulden. www.spiegel.de 12.01.2015. See Legacy Without a Future.
[5] Begegnung mit der Vergangenheit. www.juedische-allgemeine.de 11.03.2014.
[6] Gauck erwähnt Pläne zur Gründung eines deutsch-griechischen Jugendwerks. www.dija.de 12.03.2014.
[7] Deutsch-griechisches Jugendwerk gegründet. www.dw.de 12.09.2014.
[8] Rede von Michael Roth, Staatsminister für Europa. www.auswaertiges-amt.de 15.12.2014.
[9] Deutsche-griechische Beziehungen: Wolfgang Tiefensee fordert Gesamtstrategie. www.gegen-vergessen.de 10.06.2014.
[10] Rede von Michael Roth, Staatsminister für Europa. www.auswaertiges-amt.de 15.12.2014.