Informazione


L'INNOCENTE


Ha detto Sergio Mattarella ...

... nel corso della Informativa urgente alla Camera sulla partecipazione dell'Italia alla aggressione armata contro la Repubblica federale di Jugoslavia, 24 marzo 1999:
<< Sappiamo tutti che l'ONU (...) non ha espressamente autorizzato un intervento armato in Kosovo. È anche a tutti nota la ragione per cui ciò non avviene: la ferma opposizione dei paesi con diritto di veto nel Consiglio di sicurezza. Come è noto, l'Italia si batte da anni per una riforma del Consiglio di sicurezza che lo renda più democratico e rappresentativo, ponendo le premesse per un superamento del diritto di veto... >>

[In merito si veda anche la polemica in Commissioni riunite, 18 marzo 2003:

... in risposta a una interrogazione parlamentare, 27 settembre del 2000:
<< ... a Sarajevo ... non vi è mai stato uso di uranio impoverito >>

[In merito si vedano ad esempio:
Depleted Uranium Contaminates Bosnia-Herzegovina (ENS, March 25, 2003)
Depleted uranium in Bosnia's water (Apr 30, 2003)
Depleted Uranium in Bosnia and Herzegovina:Post-Conflict Environmental Assessment (UNEP, March 2003)

... intervistato dal Corriere della Sera, 5 giugno 1999:
<< La fine della guerra poteva essere raggiunta solo puntando su una pace giusta... Non vogliamo l' indipendenza di quella regione, ne' cambiare l' assetto territoriale della Jugoslavia. >>

[In merito si veda la dichiarazione alla stampa di Massimo D'Alema, che nel febbraio 2008 annuncia il riconoscimento dello "Stato" del Kosovo da parte dell'Italia:

... esprimendosi in merito al colpo di Stato dei nazionalisti serbi contro il governo delle sinistre, Ottobre 2000:
<< Scompare, nel nostro continente, l'ultimo regime fondato su una visione nazionalistica ed espansionistica a discriminante etnica e su principi ed ideologie ereditati dal totalitarismo' >>

[In merito alla discriminante etnica, si veda il nostro 


Su Mattarella e i bombardamenti anticostituzionali contro la Jugoslavia si vedano anche:

La composizione del governo D'Alema I (21 ottobre 1998)

Conferenza stampa di Solana e Clark, a Bruxelles (25 marzo 1999)
... Anche il vicepresidente del Consiglio italiano Sergio Mattarella, intervendo brevemente, questa mattina, al Senato, ha confermato che la Nato va avanti ...

In risposta alle contestazioni di Ramon Mantovani in Commissione Difesa (5 luglio 2000)




Campi di concentramento per zingari

1) Tra Auschwitz e Agnone, l’eredità del Porrajmos (di  E. Martini, su Il Manifesto del 25.1.2015)
2) Rita e gli esperimenti nazisti sui bimbi Rom (di S. Pasta, su Il Corriere - Città Nuova del 28.1.2015)


LEGGI ANCHE:

Alcuni campi di concentramento per zingari, incluso quello di Agnone (CB), sono elencati alla nostra pagina sull'internamento degli jugoslavi:

Per ulteriori approfondimenti si vedano anche gli articoli
Paola Cecchi: Sui Rom morti durante la II Guerra Mondiale
Elena Romanello: Ricordata per la prima volta (2010) la rivolta degli zingari nei lager
Tatiana Sirbu: The Deportation of Roma to Transnistria
Giovanna Boursier: La persecuzione degli zingari da parte del Fascismo
alla nostra pagina dedicata: 

I VIDEO:

Sinti survivor Karl Stojka on his arrival in Auschwitz-Birkenau (USC Shoah Foundation, 26 gen 2015 – IN ITALIANO / DEUTSCH) 
Sinti survivor Karl Stojka describes his arrival in Auschwitz-Birkenau in 1943...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=zWYg5Uk0VHk

Piero Terracina on the Zigeunerlager (Gypsy camp) in Auschwitz-Birkenau (USC Shoah Foundation, 26 gen 2015 – IN ITALIANO)
Holocaust survivor Piero Terracina talks about the Gypsy family camp known as the Zigeunerlager (Gypsy camp) in Auschwitz-Birkenau and describes the night of the camp liquidation...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=f_poSK-a8hs

Roma survivor Tulo Reinhart on deportations of Roma in Italy during WWII (USC Shoah Foundation, 26 gen 2015 – IN ITALIANO)
Roma survivor Tulo Reinhart talks about deportations of Roma in Italy during WWII...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=L0Us9oSjtEI


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http://ilmanifesto.info/tra-auschwitz-e-agnone-leredita-del-purrajmos/

REPORTAGE

Tra Auschwitz e Agnone, l’eredità del Porrajmos

di  Eleonora Martini,  25.1.2015

Giornata della memoria. La «Devastazione» di Rom e Sinti in Germania e in Italia. Una storia quasi sconosciuta a causa dei pregiudizi italiani e per il ritardo con il quale Berlino ha riconosciuto lo sterminio razziale

Per tutta la vita Glazo si è sfor­zato di imma­gi­nare l’inimmaginabile: «Da tanto tempo ho il desi­de­rio di andare a vedere Ausch­witz, dove è morto il bisnonno, e le zie, e le cugine… dove è stata ster­mi­nata parte della mia fami­glia. L’anno che viene ci andrò». Per quest’anno Glazo si accon­tenta di posare quei suoi occhi, azzurri come il vetro del bic­chiere da cui viene il suo nome sinto-tedesco, sulle foto che il più gio­vane dei suoi figli gli mostra al ritorno del Viag­gio della memo­ria, orga­niz­zato dalla Regione Toscana. Come suo figlio, molti dei 650 stu­denti e inse­gnanti imbar­cati lunedì scorso sul treno Firenze/Auschwitz hanno rico­no­sciuto il nome di qual­che parente, nel lungo elenco espo­sto nel Blocco 13 del primo Campo.

In fuga perenne

Fu suo zio a sopran­no­mi­narlo Glazo, «da glas, bic­chiere, per­ché i sinti sono come gli indiani d’America, danno alle per­sone il nome delle cose che li cir­con­dano». Ma c’è stato un tempo in cui quelli come Paolo Gal­liano, classe 1949, di Prato ma mila­nese di nascita, per sal­varsi la vita hanno dovuto pren­dersi un cognome a caso. Così fece suo padre, il liu­taio Nello Leh­mann, sce­gliendo il nome di un vio­lino di ori­gine napo­le­tana e sfug­gendo così al Por­ra­j­mos, la «Deva­sta­zione», lo ster­mi­nio delle mino­ranze rom e sinte. Suo nonno Carlo Ludo­vico Leh­mann, anch’egli liu­taio, all’inizio del ’900 lasciò Ber­lino con i suoi cin­que figli per sfug­gire alla repres­sione della poli­zia tede­sca. Discen­dente della nume­rosa fami­glia Lehmann-Reinhardt che ancora oggi «conta circa 3500 per­sone in tutta Ita­lia e alcune cen­ti­naia in giro per l’Europa», Paolo Gal­liano è cre­sciuto giro­vago tra arti­sti, arti­giani e musi­ci­sti, e si è sta­bi­liz­zato a Prato solo una tren­tina di anni fa, «per i miei figli». Per tutta la vita ha ascol­tato le sto­rie dei suoi parenti dai nomi tede­schi — anche Rosen­feld, Win­ter, Hof­f­mann — impri­gio­nati nei campi di con­cen­tra­mento per zin­gari di Agnone o di Bol­zano e poi spe­diti a Mathau­sen o diret­ta­mente ad Ausch­witz. «Non è tor­nato nes­suno, solo una volta ho cono­sciuto una cugina di mio padre che aveva sul brac­cio il numero degli inter­nati e mi rac­con­tava di aver visto tutta la sua fami­glia in fila verso i forni cre­ma­tori». La parente del signor Gal­liano è una dei rari testi­moni diretti del “geno­ci­dio degli zin­gari”, mira­co­lo­sa­mente scam­pata e libe­rata dai sovie­tici nel giorno di cui ricorre domani il set­tan­te­simo anniversario.

Lo ster­mi­nio

Una sto­ria quasi sco­no­sciuta, quella del Por­ra­j­mos, rispetto alla Shoa ebraica. Eppure, come spiega Luca Bravi, ricer­ca­tore di Sto­ria presso l’Università di Chieti che ha accom­pa­gnato in viag­gio gli stu­denti toscani, «sono morti in tutto circa mezzo milione di Rom e Sinti, circa l’80% della popo­la­zione pre­sente nei ter­ri­tori occu­pati dal Reich in quel periodo». E «non è un con­teg­gio pre­ciso per­ché all’inizio del 1942, prima dei campi di ster­mi­nio veri e pro­pri, come gli ebrei, gli zin­gari veni­vano fuci­lati sul posto, appena arre­stati». Solo «ad Ausch­witz sono morti in 23 mila e lo sap­piamo per­ché un pri­gio­niero riu­scì a sal­vare il libro mastro dove veni­vano anno­tati i nomi delle per­sone che vive­vano nello Zigeu­ner­la­ger di Bir­ke­nau prima della sua liqui­da­zione totale, che avvenne nella notte del 2 ago­sto 1944 con l’uccisione in massa di circa 2 mila persone».

La «razza pericolosa»

Abo­mini com­messi in nome dell’«igiene raz­ziale» garan­tita in Ger­ma­nia dalle unità del Reich dirette dallo psi­chia­tra infan­tile Robert Rit­ter che, rac­conta ancora Bravi, «dedicò anni a stu­diare la peri­co­lo­sità sociale di que­ste popo­la­zioni, indi­vi­duata in una carat­te­ri­stica ere­di­ta­ria che era l’istinto al noma­di­smo e l’asocialità». Stesse tesi soste­nute in Ita­lia dall’antropologo Guido Lan­dra, i cui “studi” soste­ne­vano le leggi raz­ziali di Mus­so­lini. Tra il 1940 e il ’43 il regime fasci­sta emana l’ordine di arre­sto di tutti i Rom e Sinti ita­liani e non, e il loro tra­sfe­ri­mento in spe­ci­fici campi di con­cen­tra­mento. «Se non fosse arri­vato l’8 set­tem­bre quelle per­sone sareb­bero sicu­ra­mente tran­si­tate verso i campi di ster­mi­nio tede­schi, i col­le­ga­menti c’erano e i docu­menti pro­vano que­sta linea­rità — spiega Bravi — Molti rom e sinti però anche dopo il ’43, quando il sistema dei campi fasci­sti salta com­ple­ta­mente, rie­scono a fug­gire e vanno verso il nord. Qui, nelle zone di com­pe­tenza della Repub­blica sociale, ven­gono arre­stati, messi sui vagoni e inviati nei campi austriaci, tra i quali Mathau­sen». Qual­cuno, però, «fa in tempo ad unirsi ai par­ti­giani, come dimo­strano le sto­rie del pie­mon­tese sinto Amil­care Debar o di Wal­ter Vampa Cat­ter, Lino Ercole Festini e Renato Mastini, i tre cir­censi, gio­strai e tea­tranti tru­ci­dati dalle Ss tra i dieci mar­tiri nell’eccidio del Ponte dei Marmi di Vicenza».

Una memo­ria taciuta

Eppure del Por­ra­j­mos restano poche tracce nella memo­ria col­let­tiva. Per­ché, fa notare Bravi, «la memo­ria ha biso­gno di un con­te­sto sociale dispo­sto ad ascol­tare». In Ger­ma­nia, «lo ster­mi­nio raz­ziale degli zin­gari è stato rico­no­sciuto solo negli anni ’90 e il primo memo­riale è stato inau­gu­rato alla pre­senza di Angela Mer­kel vicino al Rei­ch­stag di Ber­lino solo due anni fa». In Ita­lia invece «la per­ma­nenza dello ste­reo­tipo dei Rom come nomadi, e quindi come peri­co­losi, ali­menta la poli­tica dei campi che con­ti­nua a tenere que­ste per­sone distanti, ad esclu­derle, anche dai diritti di cit­ta­di­nanza. I pre­giu­dizi di oggi sono esat­ta­mente lineari con quelli di allora». Ecco per­ché anche la ricerca sto­rica è «par­tita in ritar­dis­simo»: «Da noi i docu­menti c’erano ma solo nel 2013 sono venuti fuori, gra­zie al pro­getto Memors finan­ziato dall’Unione euro­pea che ha per­messo anche l’apertura del primo museo vir­tuale ita­liano sul tema, www​.por​ra​j​mos​.it».
Eppure, con­clude Bravi, «il rac­conto del geno­ci­dio dei Sinti e dei Rom c’è sem­pre stato all’interno delle comu­nità ma dif­fi­cil­mente viene ripor­tato all’esterno. Una volta chiesi a Glazo il per­ché di que­sta memo­ria taciuta, e lui mi rispose: “Per­ché non vogliamo che que­sta nostra sto­ria possa essere trat­tata come spaz­za­tura, come trat­tano noi”».


=== 2 ===

http://lacittanuova.milano.corriere.it/2015/01/28/maria-rita-e-gli-esperimenti-nazisti-sui-bimbi-rom/

28/1/2015

Rita e gli esperimenti nazisti sui bimbi Rom

Questa è una delle foto più note della follia nazifascista nei lager.

[FOTO: http://lacittanuova.milano.corriere.it/files/2015/01/Maria-Bihari-500x346.jpg ] 

Scattata nel 1941, ritrae Maria Bihari, una «zigeunerin» (zingara) di cinque anni. Conosciamo il volto di Maria – Miezi il nome con cui la chiamavano in famiglia – grazie ai cataloghi del Centro di Ricerca di Igiene Razziale del Ministero della salute nazista. Non sappiamo come sia morta, se gasata e cremata, o vittima degli esperimenti eugenetici.

Anche di Rita Prigmore, una sinti tedesca di Würzburg, non conoscevamo la storia.. La sua vita cambiò improvvisamente una sera qualsiasi mentre guidava in una stradina dello Stato di Washington. Un forte mal di testa, l’improvvisa perdita dei sensi, giusto il tempo di accendere le luci di emergenza e poi lo scontro con un palo della luce. All’ospedale i medici scrutarono le lastre, non capivano il motivo di quelle strane cicatrici sulle tempie. Rita chiamò sua madre in Germania e in un paio di giorni l’anziana donna arrivò al suo fianco e le raccontò della sua dolorosa infanzia nelle mani dei medici nazisti.
«Vivevamo in Germania da 600 anni – racconta – ed eravamo ben inseriti nella società». I nonni costruivano cesti per i viticoltori, il padre suonava il violino in una banda musicale molto affermata, la madre Theresia di giorno lavorava in una fabbrica di dolci mentre la sera era cantante e ballerina in uno dei teatri più prestigiosi della città. Racconta:

«Mio zio Kurt, il fratello maggiore di mia madre, era militare e faceva parte della squadra di motociclisti a cui spesso era chiesto di scortare il Führer. Per le sue qualità di soldato avevano deciso di promuoverlo, fu proprio nel corso delle ricerche sulla sua storia familiare che scoprirono che i genitori erano zingari: fu subito richiamato a Würzburg e venne sterilizzato. Aveva appena 25 anni».

Poco dopo, per evitare la deportazione nei lager, anche Theresia accettò la sterilizzazione:

«All’ospedale universitario – racconta Rita – si resero conto che aspettava due gemelli, me e mia sorella». Per evitare l’aborto, la costrinsero a firmare che avrebbero messo a disposizione i suoi bambini ai mdici del Reich. «Mia sorella Rolanda ed io siamo nate il 3 marzo 1943 e ci presero immediatamente».

Erano momenti terribili per i rom e sinti nei territori controllati dai nazisti: con un telespresso del 9 aprile 1942, l’Ambasciata italiana a Berlino informava Roma che «con recente provvedimento, gli zingari residenti nel Reich sono stati parificati agli ebrei e quindi anche nei loro confronti varranno le leggi antisemite attualmente in vigore». A Würzburg operava l’équipe del dottor Heyde, seguace di Mengele, specializzato negli esperimenti sui gemelli e in seguito capo del programma di eutanasia di Stato.

Alle neonate volevano cambiare il colore degli occhi e farli diventare azzurri. Dopo vari giorni, la madre riuscì a convincere un’infermiera che le mostrò Rita con un grosso cerotto sulla testa.

«Quando insistette per vedere anche mia sorella – racconta – la portò in bagno e le indicò Rolanda, con la testa fasciata. Era morta, le avevano fatto delle iniezioni di inchiostro negli occhi».

Grazie alla complicità di quell’infermiera, riuscì a scappare con la piccola sopravvissuta: «Si nascose nella cappella di Santa Rita, dove fui battezzata. Due giorni dopo, a casa ci attendeva la Gestapo. Per oltre un anno, mia madre non seppe più niente di me, finché ricevette una lettera della Croce Rossa in cui si diceva che poteva venirmi a prendere».

Dopo la guerra, la famiglia tornò a vivere nelle baracche insieme ad altri tedeschi che non erano sinti o rom, semplicemente avevano perso la casa con la guerra. L’ostilità verso il suo popolo non era finita; Rita lo racconta parlando di Erica: «Aveva la mia stessa età, andavamo insieme a scuola. Un giorno vennero a trovarci dei parenti dalla Francia: la sera ci sedemmo attorno al fuoco a prendere il caffè. Parlammo nella nostra lingua, il romanes. Il giorno dopo mi sono accorta che la mia migliore amica non parlava più con me; le chiesi perché e mi disse: “I vostri ospiti erano zingari, abbiamo sentito la vostra lingua e i miei genitori mi hanno detto che non devo aver più niente a che fare con voi”».
Cresciuta, Rita si sposò e andò a vivere negli Stati Uniti. Anni dopo, da quell’incidente ha riscoperto la storia della sua famiglia e con la Comunità di Sant’Egidio ha iniziato a girare l’Europa per testimoniare il genocidio dei rom e sinti (chiamato Porrajmos o Samudaripen). Lo sguardo della donna, che ha conservato gli occhi color verde smeraldo, è sul presente: «Sono sconvolta quando noi rom e sinti veniamo insultati con le stesse parole di allora, capita di sentirsi dire: “Nel Terzo Reich hanno dimenticato di gasarvi”».

Il 27 gennaio è la Giornata della Memoria, il giorno della liberazione di Auschwitz. Nel lager nazista, c’era lo Zigeunerlager, la sezione per famiglie zingare composta da 32 baracche circondate da filo elettrico. Dobbiamo soprattutto ad alcuni testimoni ebrei, come Piero Terracina, il racconto della sua liquidazione totale, avvenuta la notte del 2 agosto 1944, quando i violini non suonarono più e, dopo grida disperate, le camere a gas zittirono quella zona del campo. Quante furono le vittime? Le stime variano, di solito si afferma siano almeno 500mila. Probabilmente è una sottostima, ma risulta impossibile conteggiare individui non segnalati all’anagrafe e spesso uccisi per strada o nelle esecuzioni sommarie all’Est. Ma la difficoltà a stabilire il numero delle vittime testimonia anche l’oblio e il disinteresse: subito dopo la guerra, su questo genocidio calò il silenzio.

Per approfondire: Giving memory a future. Rom e sinti in Italia e nel mondo, realizzato dal Centro di Ricerca sulle Relazioni Interculturali dell’Università Cattolica di Milano e dall’Usc Shoah Foundation. Il progetto è stato presentato il 27 gennaio 2015 al Senato (Giornata della Memoria) e il 16 ottobre 2013 alla Camera dei Deputati (Memoria della deportazione degli ebrei di Roma).



(srpskohrvatski / italiano)


GIUSEPPINA E' MENDACE


Da commento sul blog di Wu Ming:

<< Qualche mese fa ero alla coop a fare la spesa, e mi cade l’occhio su un libro esposto su uno scaffale (alla coop sono intellettuali, quindi vendono anche i libri). Si tratta di “Una grande tragedia dimenticata. La tragedia delle foibe” (che titolo originale) di tale Giuseppina Mellace. Mi colpisce la foto in copertina:
http://www.ansa.it/webimages/img_457x/2014/10/25/10ef3aa61b11d5d5d99d890e8db23734.jpg

Non è proprio proprio una foto, sembra piuttosto la rielaborazione grafica di una foto. 
Però cazzo. Quell’immagine mi ricorda qualcosa, sono sicuro di averla già vista. E non mi convince. Cerca che ti cerca, finalmente oggi ho trovato questo:

http://sh.wikipedia.org/wiki/Crne_trojke#mediaviewer/File:Crna_trojka_kolje.jpg

E ti credo che non mi convinceva! Quella foto non c’entra niente con le foibe. Infatti si tratta di tre cetnici che sgozzano un partigiano comunista a Belgrado. La foto proviene dagli atti del processo per collaborazionismo contro Draža Mihailović nel 1946. >>

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Izvor: FB-stranica "Četnici su sramota za srpski narod", 24/1/2015

Revizija i falsifikovanje Drugog svetskog rata nije samo osobenost naših (ex-yu) prostora. Ova pojava vrlo je zastupljena i u Italiji. Tamošnje neofašističke strukture nastoje da umanje zločine italijanskog fašizma nad jugoslovenskim narodima forsiranjem priča o tzv. komunističkim zločinima nad Italijanima u Istri i Slovenačkom primorju. Fojbe su postale sinonim za tzv. komunističke zločine, iako je prilična manjina italijanskih fašista pobacana u fojbe (kraške jame) od strane partizana, dok ih je većina ubijena streljanjem. Naravno, neofašisti nastoje da sve one koje su streljali partizani proglase nevinim žrtvama terora, što je providna propaganda. 
Prošle godine pojavila se još jedna knjiga na ovu temu gde je termin "Foibe" inkorporiran u patetični naslov. O kvalitetu ove knjige dovoljno govori činjenica da je autorka bila toliko glupa da je iskoristila poznatu sliku četničkih koljača (koju mi imamo na cover-u) kako bi prikazala "partizane" kako kolju nevine Italijane.

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Giuseppina Mellace la Nuova Pirina

LA NUOVA PIRINA! (recensione di un libro sulle foibe di Giuseppina Mellace del quale per obiezione di coscienza non citiamo il titolo).

A tre anni di distanza dalla prematura dipartita del sedicente storico Marco Pirina, abbiamo avuto la gioia di conoscere Giuseppina Mellace, prof. di storia che non riesce a parlare in un italiano comprensibile e che sembra avere anche problemi con l’aritmetica. Mellace si è dimostrata nel corso della presentazione a Gorizia della sua risma di carta stampata in copertina dura (definirla “libro” sarebbe un po' azzardato) la vera, tangibile, coerente epigona del mai abbastanza compianto Pirina, riuscendo in alcuni punti persino a superare il maestro.
La prima cosa interessante che abbiamo appreso è che Mellace non voleva fare un libro sulle foibe, ma scrivere della “violenza delle donne” (dato che lo ha ripetuto sempre così, ci abbiamo messo un po’ a capire che intendeva dire “violenza sulle donne”), sia operata dai “titini” (sempre parlato di “titini” e di “slavi”, sia chiaro, per lei la Jugoslavia non è mai esistita), sia dagli altri. Che poi il libro si sottotitoli “la verità sulle foibe” è stata una scelta editoriale che lei non ha condiviso (anche se, da quanto è dato capire, ha firmato il contratto e il libro).
Quindi ha parlato delle violenze delle donne comprendendo anche le donne violentate ed uccise dai nazisti, ed anche dagli italiani. Ha anche parlato dell’uccisione di una bambina di 8 anni “che aveva l’unica colpa di voler espatriare”, che così come detta sembrava essere stata compiuta dai "titini", mentre nel libro si vede che la bambina è stata uccisa da militari italiani nella primavera del 1943.
Dati questi presupposti si potrebbe già parlare di frode in commercio (diamine, io compro un libro per saper la verità sulle foibe e devo trovare anche la descrizione delle violenze fatte sugli slavi che sono notoriamente un popolo inferiore? fossi un’acquirente, protesterei), ma alla fine il “lavoro” sembra l'ennesima ristampa delle opere di Rocchi e Pirina, con un pizzico di Papo e una spruzzata di La Perna, il tutto omogeneizzato con le teorie di Pupo, ma privo del benché minimo controllo critico.
Ad esempio, nell’elenco delle foibe, subito dopo la “foiba di Orle” (dalla quale non si sa quanti cadaveri sarebbero stati recuperati) si passa alla “foiba di Gropada presso Orle” con la storia di Dora Čok (che l’autrice ha pronunciato Schock, dimostrando una volta di più la sua professionalità e preparazione), come se non avesse capito che si tratta della stessa foiba.
E, a dis/onore dell'esimia prof., quando le ho detto in separata sede che si trattava della stessa foiba e quindi avrebbe potuto risparmiare qualche riga non citandole tutte e due (ciò perché si era lamentata che non poteva scrivere un'enciclopedia Treccani, aveva già scritto 500 pagine, e non poteva approfondire altre cose), mi ha risposto (testuale): “questa è una sua opinione, e come tale io mi tengo la mia”. Scusi, ho detto, se io dico che l’Italia è entrata in guerra il 15 maggio 1915 e lei mi corregge dicendo che era il 24 maggio, io le posso rispondere che si tratta di una sua opinione? esiste un catasto grotte, casomai lei non lo sapesse.
Ma non è solo questo quanto la prof. non sa. Ad esempio, pur citandomi come riduzionista se non proprio negazionista, mai una volta che abbia scritto il mio nome giusto: perché l'aveva visto citato così, ha detto. Ah, allora lei non ha letto nulla di quanto ho scritto e mi dà della riduzionista così tranquillamente? Lei che si permette di scrivere, non si sa citando quale fonte, che da Basovizza sono stati recuperati 1000 civili, 500 finanzieri e probabilmente 1000 tedeschi (dove il probabilmente è un po’ oscuro, o sono stati recuperati o no, se l'italiano non è un'opinione, ma pare che qua siano tutte opinioni), dove quintuplica il numero di finanzieri che la stessa Guardia di finanza dichiara come scomparsi e che oltretutto non sono stati infoibati a Basovizza, per non parlare dei mille civili, che proprio non ci sta, dopo questo ha il coraggio di dire che io sono una “riduzionista”? eh, certo, perché se qualcuno spara cifre enormi a casaccio senza cognizione di causa, mentre i numeri sono altri, e qualcun altro ripristina i dati storici (non opinioni, dati), il secondo diventa riduzionista e negazionista.
D’altra parte, essendo la presentazione avvenuta nei giorni di Carnevale, come al solito Arlecchino si svela ridendo. Intanto, abbiamo appreso che la fonte della prof. (pressoché unica) è Marino Micich con l’Istituto di studi fiumani. Mellace ha detto di essere anche venuta a Trieste, ma non ha capito dove, perché ha parlato di un “istituto di storia contemporanea, quello sulla salita"...; cara prof., quasi tutto è sulle salite qua a Trieste, ma l’istituto di storia contemporanea (quello universitario) sta nella pianeggiante zona vicino alle rive. Forse si riferiva all'istituto di storia del movimento di liberazione? ma quando una persona non sa neppure dov’è andata a cercare informazioni, l’affidabilità delle sue “ricerche” è quantomeno dubbia. 
È stato però quando ha parlato della politica di italianizzazione del fascismo (condotta dal fascismo, sarebbe più giusto dire, ma noi citiamo pedissequamente) che l’autrice ha svelato il suo pensiero interiore. È vero, ha detto, che sono stati un po’ duri ed hanno voluto fare troppo in fretta, perché non hanno considerato che solo sul litorale le città erano interamente italiane, ed avrebbero dovuto agire con più calma... (l’elogio della pulizia etnica soft?) e questo ha indotto negli “slavi” l’equazione italiano = fascista, per il quale motivo poi si sono vendicati orribilmente con le maestre, “appese per i capelli” (ma dove e quando, di grazia, che questa storia neppure su Pirina l’avevamo letta?), che a volte per insegnare l’italiano a chi non lo aveva mai parlato forse esageravano (sì, in effetti, punizioni corporali sui bambini che non sapevano esprimersi in italiano possono essere considerate “esagerazioni”, sarebbe interessante conoscere le metodologie didattiche di cotanta prof.).
Per essere brevi, aggiungiamo soltanto che grazie a Mellace per la prima volta abbiamo appreso che Tito voleva fare il comunismo non solo in Jugoslavia ma in tutti i Balcani ed esportarlo anche in Grecia (anche se a noi risulta che la Grecia aveva già i suoi gruppi comunisti armati che combattevano per conto proprio) e che era per realizzare questo progetto che aveva bisogno di cacciare tutti gli italiani in modo da creare una Jugoslavia unita.
Infine è riuscita a superare Pirina compilando un elenco di 400 donne da lei definite “infoibate” ma tra le quali risultano non solo molte che furono invece deportate dai nazisti o uccise dai fascisti, e tantissimi nomi privi di ogni altra indicazione, di nascita e di luogo, data, modalità della “scomparsa”: dopo questa pirinata, ha fatto di più: ha inserito tra i nomi delle donne “infoibate, deportate, scomparse...” anche (attenzione, perché i titini sapevano essere davvero feroci) molte donne che per avere fatto attività antistatale sono state punite con una ... MULTA! (noi che viviamo in democrazia sappiamo bene come nelle patrie galere stiano, in attesa di processo, diversi attivisti Notav che non hanno fatto altro che esprimere il loro dissenso a quell’opera).
Chiudiamo con una nota di colore: come Cristicchi nel suo spettacolo Magazzino 18 fa pronunciare al suo protagonista Persichetti la parola esodo con l’accento sulla “o” (esòdo) perché “di queste cose non si è mai parlato” (ma visto che l’esodo, prima di essere quello istriano, era anche quello che ha dato il nome ad un libro della Bibbia, viene da chiedersi cosa abbiano studiato a scuola questi intellettuali), così il giornalista Covach che ha presentato il libro ha detto che in Italia si sente ancora dire foìbe (con l’accento sulla “i”) invece di foibe, a riprova che l’argomento non è conosciuto. Ora, nella nostra lunga carriera di foibologi non abbiamo mai sentito pronunciare foìbe da nessuna parte, ma tant’è, forse si confondono con quelli che ancora pronunciano Frìuli invece di Friùli…

marzo 2014



(francais / english / srpskohrvatski / italiano)

Il tentato furto delle miniere di Trepca

0) Nostro commento e LINKS
1) Serbia e Kosovo: il nodo delle miniere di Trepča (M.E. Marino, 25 gennaio 2015)
2) Kosovo, tensioni con la Serbia sulla nazionalizzazione delle miniere di Trepča (S. Herceg, 27 gennaio 2015)
3) FLASHBACK (2007): Kosovo's Trepca has reserves worth 13 billion euros 


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Il tentato furto delle miniere di Trepca

(a cura di Italo Slavo) - La privatizzazione della miniera di Trepca, uno dei massimi giacimenti mondiali di zinco e piombo, è ventilata sin dal 1999, anno in cui a seguito della aggressione militare e della occupazione del territorio da parte della NATO alleata con le formazioni terroriste dell'UCK, l'azienda mineraria è stata strappata al suo legittimo proprietario, lo Stato jugoslavo.
All'epoca, assieme a gravi episodi di violenza e pulizia etnica dell'area di Trepca contro tutti i non-albanofoni, l'amministrazione serba dell'azienda fu scacciata e fu decretato un massiccio licenziamento degli operai. Con motivazioni pretestuose rispetto a problematiche di inquinamento ambientale (che avrebbero dovuto piuttosto comportare l'aumento dei posti di lavoro per le operazioni di risanamento), l'allora plenipotenziario ONU – di fatto un governatore coloniale: Bernard Kouchner – bloccò le attività estrattive mettendo le basi per la liquidazione e svendita di Trepca a capitalisti stranieri.
Però la questione era troppo grossa e difficile per poterla liquidare con un mero colpo di mano. In seguito, l'attività estrattiva è parzialmente ripresa, con uno status legale-amministrativo ambiguo, allo scopo di dare lavoro a kosovari serbi e albanesi della zona di Mitrovica.
L'ex ministro serbo Oliver Ivanović, influente rappresentante dei serbo-kosovari (e per questo arrestato mesi fa con accuse inconsistenti e tenuto in galera nel Kosovo "democratico"), aveva fatto appello alle "istituzioni" kosovare nel 2011 contro una eventuale privatizzazione affinché, in ogni caso, l'azienda rimanesse un bene collettivo. Più recentemente, il governo della Serbia ha invece parzialmente cambiato strategia sul problema: proprio per riaffermare la proprietà dello Stato serbo – erede della Jugoslavia su quel territorio, anche in base alla Risoluzione ONU 1244 del 1999 – il governo di Belgrado ventila adesso piuttosto una "sua" privatizzazione, i cui ricavi vadano nelle casse serbe, piuttosto che acconsentire a una illegittima nazionalizzazione da parte kosovara, cioè al vero e proprio furto del patrimonio frutto di decenni di fatiche dei lavoratori e degli investimenti dello Stato jugoslavo. 
Ventilando la privatizzazione la Serbia crede forse di farsi benvolere dalle elites liberiste internazionali, dal FMI e dalla Unione Europea, che pone sempre la svendita di patrimoni e sovranità statali come precondizione per l'adesione; ma in pratica, anche la finta "nazionalizzazione" da parte dello "Stato" del Kosovo prelude alla svendita al grande capitale straniero. In mezzo a questa paradossale diatriba, piena di ipocrisie e falsi ideologici, stanno presi i lavoratori di ogni "etnia", che continuano a pagare sulla loro pelle lo squartamento dello Stato unitario jugoslavo e le brame di arricchimento delle classi dirigenti locali e internazionali...

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FLASHBACK VIDEO: 1967, la visita di Tito in Kosovo
TITO NA KOSOVU ТИТО НА КОСОВУ TITO NË KOSOVË KOSOVA'DA TITO (SFR Jugoslavija - SFR Yugoslavia)
1967.-KOSOVSKA MITROVICA-TREPČA-ZVEČAN-SPOMENIK KOSOVSKIM JUNACIMA -PRIŠTINA-PRIZREN-SPOMENIK BORI I RAMIZU -SINAN PAŠINA DŽAMIJA-CRKVA BOGORODICA LJEVIŠKA-MANASTIR DEČANI-ĐAKOVICA-RUGOVSKA KLISURA-PEĆ-PEĆKA PATRIJARŠIJA

FLASHBACK: Oliver Ivanović: Beograd protiv privatizacije "Trepče" (Tanjug 10. 04. 2011.)
Državni sekretar u Ministarstvu za Kosovo i Metohiju Oliver Ivanović apelovao je danas na predstavnike kosovskih institucija da odustanu od najavljene privatizacije "Trepče"...

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N.B. Le site Courrier des Balkans appelle "renationalisation" l'appropriation / vol des mines par Pristina au détriment de Belgrade:

Kosovo : le bras de fer autour des mines de Trepča tourne à l’avantage de Belgrade [sic!] (B92 / CdB, 20 janvier 2015)
http://balkans.courriers.info/article26436.html

Kosovo : les mineurs de Trepča suspendent leur grève pour un mois (CdB, 22 janvier 2015)

Kosovo : démonstration de force dans la rue pour la renationalisation [sic!] de Trepca (CdB, 25 janvier 2015)

VIDEO: Imponente e dura manifestazione a Pristina per l'albanizzazione delle miniere di Trepca
Sheshi Skenderbeu 27.01.2015

Kosovo : violentes émeutes à Pristina pour la renationalisation [sic!] du combinat de Trepça (CdB, 27 janvier 2015)
http://balkans.courriers.info/article26495.html

Kosovo : les mines de Trepça, « c’est l’histoire, c’est la vie, c’est tout pour nous » (Par Nerimane Kamberi / CdB, 27 janvier 2015)


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http://www.rivistaeuropae.eu/esteri/esterni/serbia-e-kosovo-il-nodo-delle-miniere-di-trepca/

Serbia e Kosovo: il nodo delle miniere di Trepča

Scritto da: Maria Ermelinda Marino 25 gennaio 2015


Il 19 gennaio, il premier kosovaro Isa Mustafa ha annunciato che la questione relativa all’acquisizione totalitaria del complesso minerario di Trepča, di proprietà (in gran parte) dello Stato serbo, è stata espunta dal provvedimento generale sulla riorganizzazione delle imprese pubbliche, adottato il 15 gennaio. Verrà riconsiderata invece a Bruxelles, con la mediazione dell’UE, nel quadro del negoziato Pristina-Belgrado, prossimo incontro fissato per il 9 febbraio. Una scelta più moderata, dopo che nei giorni scorsi il governo serbo aveva alzato la voce contro l’intenzione del Kosovo di acquisire, unilateralmente, il 100% dell’impianto minerario, situato nella “problematica” zona del Kosovo del Nord. Il complesso si trova infatti presso Mitrovica, città divisa in due dal fiume Ibar ed abitata da serbi (a nord) e kosovari di etnia albanese (a sud).

Il complesso ha rivestito nel tempo un’importanza rilevante. L’apice dell’importanza è stato raggiunto negli anni Settanta, nel pieno periodo titino, quando nel complesso, costituito da quaranta miniere d’oro, argento, piombo, zinco e cadmio, lavoravano oltre 20.000 operai. Fino al 1998-1999, prima dello scoppio della guerra, addirittura l’80% dell’economia kosovara dipendeva dall’estrazione mineraria. Ed a sua volta le miniere kosovare costituivano il 70% dell’intera attività minerario-estrattiva dell’intera Jugoslavia. Le vicende belliche e le questioni etniche si sono riverberate in maniera rovinosa anche sull’immenso complesso. La situazione attuale è quella di un patrimonio di fatto non adeguatamente sfruttato. Lo stabilimento di Mitrovica nord, che impiega in maggioranza serbi, è decadente, ma fornisce lavoro a circa mille persone. Quello di Mirtovica sud, che impiega in maggioranza kosovari di etnia albanese, sembra in condizioni migliori.

La notizia dell’intenzione del governo kosovaro di acquisire interamente la proprietà delle miniere di Trepča era stata, senza troppo stupore, accolta male dalle autorità serbe. Infatti prima che il premier kosovaro annunciasse la decisione di accantonare -per il momento – la questione, Marko Djuric, Direttore dell’Ufficio serbo per Kosovo, l’aveva definita una vera e propria “confisca”, dal momento che dal complesso industriale dipendono le sorti economiche di circa 4.000 serbo-kosovari (circa 20.000 se si considera l’indotto), aggiungendo che tale operazione, se dovesse essere realizzata, andrebbe ad inficiare gravemente l’intero processo di normalizzazione delle relazioni tra Serbia e Kosovo. Il 56% circa del capitale sociale del complesso minerario è inoltre di proprietà del “Fondo per lo sviluppo della Repubblica di Serbia”, complesso a cui corrisponde un ammontare di debiti di circa 400 milioni di dollari.

In Serbia non sono mancate altre reazioni. Il complesso di Trepča era stato inizialmente incluso nella lista delle 502 aziende da privatizzare nell’ambito del piano di privatizzazioni avviato dal governo serbo. Pare ci fossero anche manifestazioni di interesse provenienti da Ungheria, Canada, Svizzera e Stati Uniti. Belgrado aveva però deciso, in seguito, di escludere dal piano 19 aziende localizzate in Kosovo, al fine di evitare intoppi con Pristina (e soprattutto con Bruxelles). “Se però le autorità di Pristina non si asterranno dall’acquisire unilateralmente la proprietà di Trepča, l’Agenzia serba avvierà nuovamente le procedure per privatizzare il complesso. La Serbia è tenuta a proteggere le sue proprietà”, ha avvertito il Ministro dell’Economia serbo, Željko Sertić.

La decisione del governo kosovaro di sospendere l’acquisizione potrebbe temporaneamente calmare le acque. Via del compromesso cui non giovano sicuramente le parole – poco diplomatiche – dell’attuale Ministro degli Esteri kosovaro (ed ex premier) Hashim Thaçi, che ha affermato: “su Trepča non si negozia con la Serbia, poiché Trepča è una ricchezza del Kosovo”.

Sempre il 19 gennaio, David McAllister, relatore del Parlamento Europeo, dopo aver presentato la propria relazione sui progressi della Serbia sul percorso di adesione europea, si è augurato che i capitoli negoziali vengano aperti entro giugno, aggiungendo che “la Serbia non dovrebbe considerare la questione della nazionalizzazione di Trepča come una condizione per la normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi, altrimenti verrebbe meno il dialogo, una delle condizioni per il prosieguo del percorso europeo della Serbia”. Questione al momento rimandata, quindi. Il braccio di ferro tra Pristina e Belgrado sulla questione Trepča sembra però ben lungi dall’essere risolto.

Ermelinda Marino, responsabile Balcani, Studentessa Giurisprudenza, Universita' degli Studi Trento



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KOSOVO: Tensioni con la Serbia sulla nazionalizzazione delle miniere di Trepča

Posted 27 gennaio 2015 
di Silvija Herceg


Da BELGRADO - Da alcuni giorni le tensioni tra Serbia e Kosovo sono tornate sulle prime pagine di tutti i media locali. Questa volta, a provocare le tensioni è stata una decisione del governo di Pristina che avrebbe trasformato in azienda pubblica e dunque in proprietà della Repubblica del Kosovo, il mastodontico complesso minerario-industriale di Trepča/Trepça, situato a Mitrovica nel nord del Kosovo. É cosi che un problema di natura economica si è trasformato in una crisi politica che nel corso dello scorso fine settimana ha rischiato di causare l’ennesima rottura tra Belgrado e Priština.

Che cos’è Trepča e cosa rappresenta?

Il complesso minerario industriale di Trepča è stato una delle più grandi società della Jugoslavia socialista che al culmine della propria storia dava lavoro a circa 23.000 dipendenti e produceva circa il 70% delle risorse minerarie utilizzate e distrubuite in Jugoslavia. Trepča all’epoca era un conglomerato di circa 40 miniere e fabbriche distribuite sul territorio di Serbia e Kosovo, il cui cuore pulsante ruotava attrono al complesso minerario situato ad est di Mitrovica, nel nord del Kosovo.

Dal 1999 la situazione di Trepča è diventata ancora più complessa: il mastodontico complesso venne di fatto suddiviso “su base etnica”, tra parte serba ed albanese, tralasciando quindi tutto l’aspetto tecnologico necessario a garantire la produttività del sito. Trepča è quindi stata ufficiosamente suddivisa sull’asse nord – sud, dove la parte meridionale albanese comprende il 70% delle capacità produttive, ma anche quattro miniere tra le quali la più grande e famosa, “Stari Trg”. La parte settentrionale “Trepča Sever” è legalemente una holding serba che assume ufficialmente 1.200 dipendenti, che di fatto sono 4.000. Grazie infatti ad un sistema di rotazione mensile, in base al quale i dipendenti si sostituiscono ogni 30 giorni, si garantisce la sopravvivenza di larga parte della popolazione serba del nord del Kosovo. Trepča risulta dunque una risorsa fondamentale per ambo le parti.

Trepča oggi

Quindi, seppur ufficialmemte considerata un’unica entità, in Trepča convivono di fatto due componenti tecnologico-economiche. Per questo motivo le compenenti di Trepča si trovano cosi a dover rispettare le leggi della repubblica di Serbia così come la normativa kosovara e quella della missione UNMIK che ha prima posto sotto amministrazione speciale parte del complesso e poi e’ rimasta parte della sua gestione.

problemi politici, legislativi ed economici legati al complesso sono tuttavia sintomo di interesse multilaterale per lo stesso. Le miniere infatti hanno ancora un potenziale enorme che rimane ancora da sfruttare: circa 3 milioni di tonnellate di piombo, 2 milioni di tonnellate di zinco e circa 5000 tonnellate di argento. In base ad alcune stime Trepča è inoltre il quinto bacino al mondo per la lignite.

La mossa del governo di Priština

La situazione già caotica è stata ulteriormente complicata quando in una seduta straordinaria del governo del Kosovo, è stata approvata una proposta di modifica della Legge sulle aziende pubbliche, che avrebbe consentito alla Repubblica del Kosovo di ottenere il pieno controllo sul complesso di Trepča, trasformandolo in azienda pubblica e di fatto nazionalizzandola in base al principio di territorialità. “Trepča è su territorio kosovaro e di conseguenza proprietà di tutti i cittadini che vi vivono, siano essi serbi, albanesi o altri” Con questa dichiarazione si è espresso il premier del Kosovo, Isa Mustafa, annunciando che lunedì 19 gennaio il Parlamento avrebbe votato l’approvazione della proposta.

La risposta di Belgrado

La decisione ha suscitato l’immediata reazione del governo di Belgrado che ha dichiarato che qualora la proposta di legge fosse stata approvata, la Serbia non avrebbe in nessun modo riconosciuto l’acquisizione unilaterale di Trepča. La motivazione è che il proprietario di maggioranza del complesso è il Fondo per lo sviluppo della repubblica di Serbia che ne detiene il 56%. Il premier Aleksandar Vučić ha inoltre aggiunto che tale decisione del governo kosovaro avrebbe minato alla base i negoziati a seguito degli Accordi di Bruxelles, ed ha invitato anche la comunità internazionale ad intervenire per trovare una soluzione consona e corretta per tutte le parti coinvolte. “Non toccate ciò che è nostro, è una rapina. Con questo atto unilaterale minate Bruxelles-2 con il quale dovremmo discutere il tema della proprietà e gestione degli immobili in Kosovo e Metohija. Gli atti unilaterali vanificano gli accordi di Bruxelles e riporteranno l’instabilità nella regione” - queste le parole di Marko Đurić, direttore dell’Ufficio della Serbia per Kosovo e Metohija.

Trepča appariva anche nella lista delle 502 aziende offerte in privatizzazione dalla Serbia. Per Trepča, l’Agenzia serba di competenza ha infatti ricevuto quattro lettere d’interesse da parte di società estere ma ne aveva posticipato la procedura di privatizzazione, per dare priorità allo svolgimento dei negoziati nel contesto degli accordi di Bruxelles. Tale decisione si riferiva a tutte le 18 società serbe operanti su territorio kosovaro ed offerte ai privati. La buona fede della componente serba ha subito traballato ed il ministro dell’economia serbo Željko Sertić ha subito dichiarato che “qualora le autorità non modifichino la loro posizione su Trepča, avvieremo immediatamente la privatizzazione della società perchè la Serbia ha l’obbligo di tutelare la propria proprietà”.

La giornata di lunedì si è tuttavia conclusa con un dietrofront del governo kosovaro che ha ceduto alle pressioni degli ambasciatori internazionali presenti in Kosovo e del governo serbo. Il premier Mustafa ha infatti chiesto al parlamento kosovaro di approvare la modifica alla legge, ma di escluderne Trepča, La motivazione presentata  è che la proposta di legge presentata al parlamento non includeva anche la questione relativa ai 1.4 miliardi di euro di debiti che pesano sul complesso, aggiungendo che gli stessi non fossero noti al governo. A conclusione della giornata l’unica vera certezza è che le negoziazioni sulla gestione della proprietà previste dagli accordi di Bruxelles (cosìddetti Bruxelles-2) verranno aperte prima del previsto.

Il futuro di Trepča

Il destino di Trepča rimane dunque incerto. La crisi è rientrata ma ha lasciato dietro di se due importanti segnali. In primis, gli accordi di Bruxelles per la prima volta vengono visti come un quadro desiderabile entro il quale risolvere le questioni tra Belgrado e Pristina. Secondo, sono emersi segnali di instabilità nel governo kosovaro, mentre l’opposizione ha invitato i lavoratori della parte kosovara di Trepča allo sciopero. Stabilito poi che il fallimento di Trepča non sarebbe favorevole né all’una né all’altra parte, il destino dei numerosissimi dipendenti del colosso industriale sarà salvo solo se le parti politiche coinvolte sapranno riportare la discussione sul piano economico piuttosto che politico. Un po’ a ricordare Germania e Francia, la CECA e il 1951.



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Koha Ditore (Kosovo) / Economic Initiative for Kosova (Austria)
December 20, 2007

Kosovo's Trepca has reserves worth 13 billion euros

Prishtina - Kosovo's mining complex Trepca has at least €3 billion mineral reserves more than what the estimates of the Ministry of Energy and Mining (MEM) show, reported the Kosovar daily Koha Ditore.
These data were made public by experts of the Independent Commission for Mines and Minerals (ICMM), who referred to a feasibility study for Trepca. “The study demonstrates that Trepca has reserves worth €13 billion. But we believe they are even higher,” the member of ICMM Board, Ibush Jonuzi, was quoted as saying.
The feasibility study on Trepca has been conducted by local and international experts in June 2006. It has never been fully published because it contains data on Trepca’s internal financial matters. The paper reports
that the data on Trepca’s mineral reserves, presented by MEM, some time ago, were lower, namely €10 billion.
The paper also reports on the airborne geophysical survey conducted recently by ICMM.
The survey showed that Kosovo has an unexpected potential of metals and minerals. Especially gold, nickel and chrome deposits under Kosovo’s surface seem to be larger than known so far.