Informazione
Perché l’ascesa del fascismo è di nuovo il problema
Di John Pilger
27 febbraio 2014
Il recente 70° anniversario della liberazione di Auschwitz ci ha ricordato il grande crimine del fascismo la cui iconografia nazista è inserita nella nostra consapevolezza. Il fascismo è conservato come storia, come filmato tremolante di di camicie nere che fanno il passo dell’oca, la loro criminalità terribile e palese. Tuttavia nelle stesse società liberali le cui élite guerrafondaie ci esortano a non dimenticare mai, il pericolo che un nuovo tipo di fascismo stia accelerando viene eliminato perché è il loro fascismo.
“Cominciare una guerra di aggressione….” hanno detto i giudici del tribunale di Norimberga nel 1946, “non è soltanto un crimine internazionale, è il supremo crimine internazionale che differisce dagli altri crimini di guerra perché contiene in se stesso il male accumulato del totale.”
Se i nazisti non avessero invaso l’Europa, Auschwitz e l’Olocausto non sarebbero esistiti. Se gli Stati Uniti e i suoi satelliti non avessero iniziato la loro guerra di aggressione in Iraq nel 2003, quasi un milione di persone oggi sarebbero vive , e lo Stato Islamico, o ISIS non ci terrebbe schiavi della sua ferocia. Sono la progenie del fascismo moderno, svezzato dalle bombe, dai bagni di sangue e dalle bugie che sono il teatro surreale noto come notizie.
Come il fascismo degli anni e ’40, grosse bugie vengono diffuse con la precisione di un metronomo, grazie ai media onnipresenti, ripetitivi e alla loro violenta censura per omissione. Considerate la catastrofe in Libia.
Nel 2011 la Nato ha dato il via a 9.700 “missioni di aggressione” contro la Libia, un terzo delle quali avevano come obiettivi i civili. Si usavano testate all’uranio; le città di Misurata e di Sirte sono state bombardate a tappeto. La Croce Rossa ha identificato fosse comuni e l’Unicef ha riferito che “la maggior parte [dei bambini uccisi] avevano meno di 10 anni.”
La sodomizzazione pubblica del presidente della Libia, Muammar Gheddafi fatta con una baionetta dei “ribelli” è stata accolta dall’allora Segretario di Stato americano, Hillary Clinton con queste parole: “Siamo venuti, abbiamo visto, egli è morto.” La sua uccisione, come la distruzione del suo paese, è stata giustificata con una grossa bugia che ci è familiare: stava pianificando il “genocidio” contro il suo stesso popolo. “Sapevamo….che se avessimo aspettato ancora un giorno,” ha detto il presidente Obama, “Bengasi, una città grande quanto Charlotte, poteva subire un massacro che si sarebbe riverberato in tutta la regione e che avrebbe macchiato la coscienza del mondo.”
Questa è stata l’invenzione delle milizie islamiste che affrontavano la sconfitta da parte delle forze governative libiche. Hanno detto alla Reuters che ci sarebbe stato “un vero bagno di sangue, un massacro come quello che abbiamo visto in Ruanda”.
Riferita il 14 marzo 2011, la bugia ha fornito il primo spunto per l’inferno della Nato, definito da David Cameron un “intervento umanitario.”
Segretamente riforniti e addestrati dalle Forza aerea speciale (SAS) della Gran Bretagna, molti dei “ribelli” sarebbero diventati ISIS, la cui più recente “offerta” video mostra la decapitazione di 21 lavoratori Cristiani Copti catturati a Sirte, la città distrutta a nome loro dai bombardieri della NATO.
Secondo Obama, Cameron e Hollande, il vero crimine di Gheddafi è stata l’indipendenza economica della Libia e la sua intenzione dichiarata di smettere di vendere le più grosse riserve petrolifere dell’Africa in dollari degli Stati Uniti. Il petrodollaro è un pilastro del potere imperiale americano. Gheddafi ha audacemente pianificato di introdurre una valuta africana comune agganciata all’oro, stabilire una banca centrale africana, e di promuovere un’unione economica tra paesi poveri con risorse di valore. Se questo sarebbe accaduto oppure no, la sola idea era insopportabile per gli Stati Uniti perché preparava una “entrata” in Africa e a corrompere i governi africani con “partnership” militari.
In seguito all’attacco della Nato con la copertura di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, Obama, ha scritto Garikai Chengu, “ha confiscato 30 miliardi di dollari dalla Banca Centrale della Libia, che Gheddafi aveva destinato all’istituzione di una Banca Centrale africana e della valuta chiamata dinaro africano, agganciata all’oro.”
La “guerra umanitaria” contro la Libia ha preso spunto da un modello caro ai cuori liberali occidentali, specialmente nel campo dei media. Nel 1999 Bill Clinton e Tony Blair hanno mandato la Nato a bombardare la Serbia, perché, hanno mentito, i Serbi stavano commettendo un “genocidio” del gruppo etnico albanese nella provincia secessionista del Kosovo. David Scheffer, ambasciatore straordinario degli Stati Uniti per i Problemi dei Crimini di guerra, ha dichiarato che “un numero equivalente a 225.000 uomini di etnia albanese tra i 14 e i 59 anni” potevano essere stati assassinati. Sia Clinton che Blair hanno ricordato l’Olocausto e “lo spirito della Seconda Guerra mondiale”. Gli eroici alleati dell’Occidente erano l’Esercito di liberazione del Kosovo (KLA), i cui precedenti penali sono stati trascurati. Il ministro degli Esteri britannico, Robin Cook, ha detto loro di chiamarlo a qualsiasi ora sul suo cellulare.
Una volta finito il bombardamento della Nato, e con gran parte delle infrastrutture della Serbia in rovine, insieme a scuole, ospedali, monasteri e la stazione televisiva nazionale, squadre di polizia scientifica sono scese in Kosovo per tirar fuori prove dello “olocausto”. L’FBI non è riuscita a trovare neanche una sola fossa comune ed è tornata a casa. La squadra della polizia scientifica spagnola ha fatto lo stesso e il suo capo ha rabbiosamente denunciato “una piroetta semantica da parte delle macchine di propaganda della guerra”. Un anno dopo, un tribunale di guerra dell’ONU per la Jugoslavia ha annunciato il conteggio finale dei morti in Kosovo: 2.788. Questa cifra comprendeva i combattenti di entrambe le parti, serbi e Rom uccisi dal KLA. Non c’era stato alcun genocidio. “L’olocausto era una bugia. L’attacco della NATO era stato fraudolento.
Dietro la bugia c’era uno scopo serio. La Jugoslavia era una federazione unicamente indipendente e multi-etnica e che aveva fatto da ponte politico ed economico durante la Guerra Fredda. La maggior parte delle aziende e della produzione principale era di proprietà pubblica. Questo non era accettabile da parte della Comunità europea che si andava espandendo, specialmente da parte della Germania di recente riunita, che aveva iniziato a spingersi verso est per conquistare il suo “mercato naturale” nelle province jugoslave di Croazia e Slovenia. Quando gli Europei si sono incontrati a Maastricht nel 1991 per preparare i piani per la disastrosa eurozona, era stato raggiunto un accordo segreto: la Germania avrebbe riconosciuto la Croazia. La Jugoslavia era spacciata.
A Washington gli Stati Uniti hanno visto che all’economia jugoslava in difficoltà venivano negati i prestiti della Banca Mondiale. La Nato, che allora era reliquia della quasi defunta Guerra Fredda, è stata reinventata come gendarme imperiale. A una conferenza di “pace” per il Kosovo, tenutasi a Rambouillet, in Francia, i serbi sono stati soggetti alle tattiche sleali del gendarme. L’accordo di Rambouillet comprendeva un’appendice segreta B, che la delegazione statunitense aveva inserito l’ultimo giorno. Questa chiedeva l’occupazione militare dell’intera Jugoslavia – una nazione che aveva amari ricordi dell’occupazione nazista – e l’attuazione di una “economia di libero mercato” e la privatizzazione di tutti i beni del governo. Nessuno stato sovrano poteva firmare questo accordo. La punizione è seguita rapidamente: le bombe della Nato sono cadute su un paese indifeso. E’ stato l’avvenimento precursore delle catastrofi in Afghanistan e in Iraq, in Siria, Libia e Ucraina.
Fin dal 1945, più di un terzo dei membri della Nato – 69 paesi – hanno sofferto alcune o tutte le seguenti vicende per mano del moderno fascismo dell’America. Sono stati invasi, i loro governi sono stati rovesciati, i loro movimenti popolari sono stati soppressi, le loro elezioni sovvertite, la loro gente bombardata, e le loro economie private di ogni tipo di protezione, le loro società assoggettate all’ assedio opprimente noto come “sanzioni”. Lo storico britannico Mark Curtis stima il bilancio delle vittime in milioni. In ogni caso, è stata usata una grossa bugia.
“Stanotte, per la prima volta, fin dall’11 settembre, la nostra missione bellica in Afghanistan è finita.” Queste sono state le parole di apertura del discorso di Obama sullo stato dell’Unione del 2015. Infatti, circa 10.000 soldati e 20.000 contractor militari (mercenari) restano in Afghanistan con incarico indefinito. “La guerra più lunga dell’America è arrivata a una conclusione responsabile,” ha detto Obama pochi giorni prima. Invece sono stati uccisi più civili nel 2014 che in qualsiasi anno da quando l’ONU ha iniziato a registrare le morti. La maggior parte sono stati uccisi – civili e soldati – durante il periodo di presidenza di Obama.
La tragedia in Afghanistan rivaleggia con l’epico crimine in Indocina. Nel suo libro esaltato e molto citato, The Grand Chessboard: American Primacy and Its Geostrategic Imperatives,[La grande scaccchiera: la supremazia americana e i suoi imperativi geostrategici], Zbigniew Brzezinski, il padrino delle politiche statunitensi, dall’Afghanistan a oggi, dice che se l’America deve controllare l’Eurasia e dominare il mondo, non può sostenere una democrazia popolare , perché il perseguimento del potere non è un obiettivo che attira la passione popolare…La democrazia è nemica della mobilitazione imperiale.” Ha ragione. Come hanno rivelato WikiLeaks ed Edward Snowden, uno stato di sorveglianza e di polizia sta usurpando la democrazia. Nel 1976, Brzezinski, allora Consigliere nazionale del presidente Carter per la sicurezza, ha dimostrato il suo parere assestando un colpo mortale alla prima e unica democrazia dell’Afghanistan. Chi conosce questa storia importantissima?
Negli anni ’60, una rivoluzione popolare è dilagata in Afghanistan, il paese più povero della terra, rovesciando alla fine le vestigia del regime aristocratico nel 1978. Il Partito Democratico popolare dell’Afghanistan (PDPA) ha formato un governo e ha dichiaratoun programma di riforma che comprendeva l’abolizione del feudalesimo, la libertà per tutte le religioni, uguali diritti per uomini e donne e giustizia sociale per le minoranze etniche. Più di 13.000 prigionieri politici sono stati liberati e i documenti della polizia sono stati bruciati pubblicamente.
Il nuovo governo ha introdotto l’assistenza sanitaria per i più poveri; è stato abolito il bracciantato, si è dato il via a un programma di alfabetizzazione di massa. Per le donne i vantaggi erano senza precedenti. Alla fine degli ani ’80 metà degli studenti universitari erano donne, le donne costituivano quasi la metà dei medici dell’Afghanistan, un terzo degli impiegati statali, e la maggior parte degli insegnanti. Saira Noorani, una chirurga, ricordava: “Tutte le ragazze potevano andare alla scuola superiore e all’università. Potevamo andare dove volevamo e indossare quello che ci piaceva. Di solito andavamo al caffè e al cinema il venerdì a vedere il più recente film indiano e ad ascoltare le ultime novità musicali. Le cose hanno iniziato ad andare male quando i mujaheddin hanno cominciato a vincere. Uccidevano gli insegnanti e incendiavano le scuole. Eravamo terrorizzati. Era triste e strano pensare che quella era la gente che l’Occidente sosteneva.”
Il governo PDPA era sostenuto dall’Unione Sovietica, anche se, come ha ammesso in seguito l’ex Segretario di Stato Cyrus Vance, “non c’era nessuna prova di qualche complicità sovietica nella rivoluzione.” Allarmato dalla crescente sicurezza dei movimenti di liberazione in tutto il mondo, Brzezinski ha deciso che se l’Afghanistan doveva avere successo con il governo del PDPA, la sua indipendenza e il suo progresso avrebbero offerto la “minaccia di un esempio promettente”.
Il 3 luglio 1979, la Casa Bianca ha segretamente autorizzato l’appoggio ai gruppi tribali fondamentalisti noti come mujaheddin, un programma che è arrivato fino a 500 milioni di dollari in armi statunitensi e in altri tipi di aiuti. Lo scopo era di rovesciare il primo governo laico e riformista dell’Afghanistan. Nell’agosto 1979, l’ambasciata degli Stati Uniti a Kabul ha riferito che “ai più ampi interessi degli Stati Uniti sarebbero sarebbe stata utile la caduta del governo del PDPA, malgrado tutti gli intoppi che questo poteva significare per future riforme sociali ed economiche in Afghanistan.”
I mujaheddin sono stati gli antenati di al-Qaida e dello Stato Islamico. Tra loro c’era Gulbuddin Hekmatyar che ha ricevuto diecine di milioni di dollari in contanti dalla CIA. La specialità di Hekmatyar era il traffico di oppio e gettare l’acido in faccia alle donne che rifiutavano di portare il velo. Quando è stato invitato a Londra, è stato lodato dal primo ministro Thatcher come “combattente per la libertà”.
Questi fanatici sarebbero potuti restare nel loro mondo tribale se Brzezinski non avesse dato il via a un movimento internazionale per promuovere il fondamentalismo islamico in Asia Centrale e quindi indebolire la liberazione politica laica e “destabilizzare” l’Unione Sovietica, creando, come ha scritto nella sua autobiografia, “alcuni musulmani esaltati”. Il suo grandioso piano coincideva con le ambizioni del dittatore del Pakistan, il Generale Zia ul-Haq, di dominare la regione. Nel 1986, la CIA e l’agenzia di intelligence pakistana, l’ISI, hanno iniziato a reclutare gente da tutto il mondo per farla entrare nella jihad afgana. Il multi-milionario saudita Osama bin Laden era uno di loro. Gli agenti che alla fine si sarebbero uniti ai talebani e ad al-Qaida, venivano reclutati nel Centro islamico di Brooklyn, a New York, e veniva loro impartito l’addestramento paramilitare in un campo della CIA in Virginia. Questa è stata chiamata “Operazione Cyclone”. Il suo successo è stato celebrato nel 1996 quando l’ultimo presidente del PDPA, Mohammed Najibullah – che in precedenza era stato all’Assemblea Generale dell’ONU a chiedere aiuto – è stato impiccato a un lampione dai talebani.
Il “contraccolpo” della “Operazione Ciclone” e dei suoi “pochi Musulmani esaltati” è stato l’11 settembre. L’Operazione Ciclone è diventata la guerra al terrore”, in cui innumerevoli uomini, donne e bambini avrebbero persola vita in tutto il mondo musulmano, dall’Afghanistan, all’Iraq, allo Yemen, alla Somalia, e alla Siria. Il messaggio del gendarme era e rimane: “Siete con noi o contro di noi.”
Il filo comune nel fascismo passato e attuale è l’omicidio di massa. L’invasione americana del Vietnam aveva le sue “zone di fuoco libero”, “il conteggio dei corpi” e i “danni collaterali”. Nella provincia di Quang Ngai, da dove inviavo i miei servizi molte migliaia di civili (“musi gialli” nel gergo militare americano ) sono stati uccisi dai soldati statunitensi, e, tuttavia, l’unico massacro che viene ricordato è quello a My Lai. In Laos e in Cambogia, il più grosso bombardamento aereo della storia ha causato un’epoca di terrore segnalata oggi dallo spettacolo di crateri di bombe raccordati tra loro che, visti dal cielo, assomigliano a mostruose collane. Il bombardamento ha dato alla Cambogia la sua ISIS, guidata da Pol Pot.
Oggi, la più vasta unica campagna di terrore comporta l’uccisione di intere famiglie, di ospiti ai matrimoni, di persone che partecipano ai funerali. Queste sono le vittime di Obama. Secondo il New York Times, Obama fa la sua scelta basandosi su una “lista di persone da uccidere” che gli viene data ogni martedì nella Situation Room della Casa Bianca. Poi decide, senza uno straccio di giustificazione legale, chi vivrà e chi morirà. L’arma per le esecuzioni è il missile Hellfire trasportato da un velivolo senza pilota noto come drone; questi “arrostiscono” le loro vittime e addobbano la zona con i loro resti. Ogni persona colpita viene registrata sul lontano schermo di una console, come un “bugsplat”.
Lo storico Norman Pollack ha scritto: “al posto di chi fa il passo dell’oca, sostituite una militarizzazione apparentemente più innocua della cultura totale. Invece del capo enfatico, abbiamo il riformatore mancato, allegramente al lavoro, che pianifica ed esegue assassinii, sorridendo tutto il tempo.”
A unire il fascismo vecchio e nuovo c’è il culto della superiorità. “Credo nell’eccezionalismo americano (1) con ogni fibra del mio essere,” ha detto Obama, evocando dichiarazioni di feticismo nazionale degli anni ’30. Come ha fatto notare lo storico Alfred W. McCoy, è stato il devoto di Hitler, Carl Schmidt, che ha detto: “Il sovrano è colui che decide l’eccezione.” Questo compendia l’americanismo, l’ideologia dominante nel mondo. Che questa continui a essere sconosciuta come un’ideologia rapace è il risultato di un lavaggio del cervello ugualmente sconosciuto. Insidioso, non dichiarato, presentato argutamente come illuminazione durante il cammino, la sua concezione si insinua nella cultura occidentale. Sono cresciuto con una dieta filmica di gloria americana, che è quasi tutta una distorsione dei fatti. Non avevo idea che fosse stata l’Armata Rossa a distruggere quasi tutta la macchina bellica nazista, costata la vita a 13 milioni di soldati. Invece le perdite degli Stati Uniti, comprese quelle nel Pacifico, sono state di 400.000 militari. Hollywood ha capovolto queste cifre.
(1)http://it.wikipedia.org/wiki/Eccezionalismo_americano
Le differenza è che ora il pubblico dei cinema è invitato a torcersi le mani davanti alla “tragedia” degli psicopatici americani che devo uccidere gente in luoghi remoti – proprio come lo stesso presidente li uccide. La personificazione della violenza di Hollywood, cioè l’attore Clint Eastwood, quest’anno ha avuto la candidatura all’Oscar per il suo film, American Sniper, che parla di un assassino autorizzato che è folle. Il New York Times lo ha descritto: “un film patriottico, favorevole alla famiglia, che ha infranto tutti i record di presenze nei primi giorni di programmazione.”
Non ci sono film eroici sull’America che aveva abbracciato il fascismo. Durante la Seconda guerra mondiale, l’America (e la Gran Bretagna) sono andate in guerra contro i greci che avevano combattuto eroicamente contri il Nazismo e che si stavano opponendo all’ascesa del fascismo greco. Nel 1967, la CIA ha contribuito a portare al potere una giunta militare ad Atene – come ha fatto in Brasile e nella maggior parte dell’America Latina. Ai tedeschi e agli europei dell’Est che erano stati collusi con l’aggressione nazista e con i crimini contro l’umanità, è stato dato un rifugio sicuro negli Stati Uniti: molti sono stati coccolati e il loro talento è stato ricompensato. Wernher Von Braun è stato il padre sia della terrificante bomba nazista V-2 che del programma spaziale degli Stati Uniti.
Negli anni ’90, quando le ex repubbliche sovietiche, l’Europa dell’est e i Balcani sono diventati avamposti militari della Nato, agli eredi del movimento nazista in Ucraina è stata data la loro opportunità. Responsabile della morte di migliaia di ebrei, di polacchi e di russi durante l’invasione dell’Unione Sovietica, il fascismo ucraino è stato riabilitato e la sua “ nuova ondata” è stata salutata dal guardiano come “nazionalista”.
Questo ha raggiunto il culmine nel 2014 quando l’amministrazione Obama ha scialato 5 miliardi di dollari per un colpo di stato contro il governo eletto. Le truppe d’assalto erano neo-nazisti noti come Il Settore di Destra e Svoboda. Tra i loro capi ci sono Oleg Tyahnbok che ha chiesto una “purga” della “mafia ebraico-moscovita” e di “altra “feccia” che include gay, femministe e chi appartiene alla sinistra politica.
Questi fascisti sono ora integrati nel governo di Kiev del golpe. Il primo vice presidente del parlamento ucraino, Andriy Parubyi, capo del partito di governo è il co-fondatore di Svoboda. Il 14 febbraio Parubiy ha annunciato che sarebbe volato a Washington per convincere “gli Stati Uniti a darci armamenti moderni di alta precisione”. Se ci riuscirà, questo verrà considerato dalla Russia come un’azione di guerra.
Nessun leader occidentale ha parlato del risveglio del fascismo nel cuore dell’Europa, a eccezione di Vladimir Putin, il cui popolo ha perduto 22 milioni di persone a causa dell’invasione nazista che è arrivata attraverso la zona di confine dell’Ucraina. Alla recente Conferenza di Monaco sulla sicurezza, la vice Segretaria di Stato di Obama per gli Affari Europei ed Euroasiatici, Victoria Nuland, strepitava insulti rivolti ai leader europei per essere stati contrari al fatto che gli Stati Uniti abbiano armato il regime di Kiev. Si è riferita al ministro tedesco della difesa che ha chiamato il “ministro del disfattismo”. E’ stata la Nuland il cervello del golpe di Kiev. Moglie di Robert D. Kagan, un massimo luminare neo-conservatore e co-fondatore dell’iniziativa di estrema destra che si chiama Progetto per un Nuovo secolo Americano, era consigliera di Dick Cheney per la politica estera.
Il colpo della Nuland non è diventato un piano. Alla Nato è stato impedito di impadronirsi della storica legittima base navale in acque calde, della Russia in Crimea. La popolazione della Crimea, per lo più russa – annessa illegalmente all’Ucraina da Nikita Krushchev nel 1954 – ha votato in maniera schiacciante a favore del ritorno alla Russia, come aveva fatto negli anni ’90. Il referendum è stato volontario, popolare, ed è stato osservato a livello internazionale. Non c’è stata nessuna invasione.
Allo stesso tempo, il regime di Kiev si rivoltato contro la popolazione di etnia russa nell’est con la ferocia della pulizia etnica. Impiegando le milizie neo-naziste alla maniera delle Waffen delle SS, (i reparti combattenti) hanno bombardato e posto l’assedio alle città grandi e piccole. Hanno usato come armi la fame, l’interruzione dell’elettricità, il congelamento dei conti bancari, interruzione del sistema previdenziale e delle pensioni. Oltre un milione di profughi sono scappati in Russia attraverso il confine. Secondo i media occidentali sono diventate persone che fuggivano dalla “violenza causata dalla “invasione russa”. Il comandante della Nato, Generale Breedlove – il cui nome e le cui azioni potrebbero essere state ispirate dal dottor Stranamore di Stanley Kubrick – ha annunciato che 40.000 soldati russi si stavano “ammassando”. Nell’epoca delle prove forensi con i satellitari, il generale non ne ha offerta nessuna.
Queste persone dell’Ucraina che parlano russo e che sono bilingui – un terzo della popolazione – hanno a lungo cercato una federazione che rifletta la diversità etnica del paese e che sia allo stesso tempo autonoma e indipendente da Mosca. La maggior parte non sono “separatisti”, ma cittadini che vogliono vivere in sicurezza nella loro patria e opporsi alla presa del potere a Kiev. La loro rivolta e creazione di “stati” autonomi sono una reazione agli attacchi di Kiev contro di loro. Poco di tutto questo è stato spiegato al pubblico occidentale.
Il 2 maggio 2014, a Odessa, 41 persone di etnia russa sono state bruciate vive nella sede centrale generale dei sindacati, mentre la polizia stava ferma. Il capo del Settore di Destra Dmytro Yarosh ha salutato il massacro come “un’altra giornata luminosa nella storia della nostra nazione”. Sui media britannici e americani, questa è stata rispettata come una “tragedia torbida”, conseguenza degli “scontri” tra i “nazionalisti” (i neo-nazisti) e i “separatisti” (persone che raccoglievano le firme per un referendum su un’Ucraina federale).
Il New York Times ha seppellito la storia, avendo messa da parte come propaganda russa gli avvertimenti sulle politiche fasciste e antisemitiche dei nuovi clienti di Washington. Il Wall Street Journal ha condannato le vittime – “Fuoco ucraino letale- probabilmente scatenato dai ribelli, dice il Governo.” Obama si è congratulato con la giunta per la sua “moderazione”.
Se si può incitare Putin ad andare in loro aiuto, il suo ruolo pre-ordinato di “pariah” in Occidente giustificherà la bugia che la Russia sta invadendo l’Ucraina. Il 29 gennaio, il massimo comandante militare dell’Ucraina, il Generale Viktor Muzhemko, ha quasi inavvertitamente ignorato proprio la base per le sanzioni alla Russia di Stati Uniti e Unione Europea, quando ha detto enfaticamente durante una conferenza stampa: “L’esercito ucraino non sta combattendo con le unità regolari dell’Esercito Russo”. C’erano “cittadini individuali” che erano membri di “gruppi armati illegali”, ma non c’era nessuna invasione russa. Non era una notizia. Vadym Prystalko, Vice ministro degli Esteri di Kiev, ha chiesto una “guerra su vasta scala” con la Russia che ha armi nucleari.
Il 21 febbraio, il senatore statunitense James Inhofe, Repubblicano dell’Oklahoma, ha introdotto una legge che autorizzerebbe le armi per il regime di Kiev. Nella sua esposizione al Senato, Inhofe ha usato fotografie che sosteneva fossero di truppe russe che entravano in Ucraina, che oramai da lungo tempo si sono rivelate false. Questo fatto ricordava le finte fotografie di Ronald Reagan di un’installazione sovietica in Nicaragua e le false prove di Colin Powell presentate all’ONU di armi di armi di distruzione di massa in Iraq.
L’intensità della campagna di diffamazione contro la Russia e il rappresentare il suo presidente come il cattivo nella pantomima è diverso da tutto ciò che ho visto come giornalista. Robert Parry, uno dei giornalisti investigativi più illustri che ha rivelato lo scandalo Iran Contra, http://it.wikipedia.org/wiki/Irangate ha scritto di recente: “Nessun governo europeo, fin dai tempi della Germania di Hitler, ha considerato appropriato mandare i soldati nazisti dei reparti di assalto per fare guerra contro una popolazione interna, ma il regime di Kiev lo ha fatto e anche consapevolmente. Tuttavia, in tutto lo spettro politico e dei media occidentali, c’è stato uno sforzo diligente di nascondere questa realtà fino al punto di ignorare dei fatti che sono stati ben stabiliti… Se vi chiedete in che modo il mondo potrebbe inciampare nella terza guerra mondiale – proprio come ha fatto nella prima, un secolo fa, non vi resta che guardare alla follia per l’Ucraina che si è dimostrata resistente ai fatti o alla ragione.
Nel 1946, il Pubblico Ministero del tribunale di Norimberga, a proposito dei media tedeschi ha detto che: “E’ ben noto l’uso della guerra psicologica fatto dai cospiratori nazisti. Prima di ogni importante aggressione, con qualche eccezione basata sulla convenienza personale , iniziavano una campagna di stampa per indebolire le loro vittime e per preparare psicologicamente i tedeschi all’attacco….Nel sistema di propaganda dello stato hitleriano, erano la stampa quotidiana e la radio che costituivano le armi più importanti.”
Sul Guardian del 2 febbraio, Timothy Garton-Ash in effetti chiedeva una guerra mondiale. “Putin deve essere fermato” diceva il titolo. “E talvolta solo i fucili possono fermare i fucili.” Ammetteva che la minaccia di guerra poteva “nutrire una paranoia russa di accerchiamento”; andava bene. Ha citato gli articoli di equipaggiamento militare necessari per l’impresa e ha consigliato i suoi lettori che l’America ha il “completo” migliore”.
Nel 2003, Garton-Ash, un professore di Oxford, ha ripetuto la propaganda che ha provocato il massacro in Iraq. Ha scritto che: “Saddam Hussein, come [Colin] ha documentato, ha accumulato grandi quantità di armi spaventose, chimiche e biologiche, e sta nascondendo quelle che gli restano. Sta ancora cercando di avere quelle nucleari.” Lodava Blair: “un interventista gladstoniano, cristiano liberale”. Nel 2006 ha scritto: “Ora affrontiamo il prossimo importante test dell’Occidente dopo l’Iraq: l’Iran.”
Gli scoppi emotivi o, come preferisce Garton-Ash, la sua[di Blair] “ambivalenza liberale torturata”, non sono insoliti in coloro che nell’élite liberale al di là dell’Atlantico, hanno stabilito un patto faustiano. Il criminale di guerra Blair è il loro leader perduto. Il Guardian, dove è uscito il pezzo di Garton-Ash, ha pubblicato un’intera pagina di pubblicità di un aereo da caccia americano Stealth. Su una immagine minacciosa del mostro della Lockeed Martin, c’erano le parole: “ L’F35. GRANDIOSO per la Gran Bretagna”. Questo “kit” americano costerà ai contribuenti britannici 1miliardo e 300 milioni, i precedenti modelli F hanno fatto massacri in tutto il mondo. In sintonia con il suo consigliere, l’editoriale del Guardianha chiesto un incremento delle spese militari.
Ancora una volta, c’è uno scopo serio. I governatori del mondo vogliono l’Ucraina non soltanto come base missilistica, vogliono la sua economia. Il nuovo ministro delle finanze di Kiev, Nataliwe Jaresko, è una ex funzionaria esperta, del Dipartimento di Stato americano incaricata degli “investimenti” statunitensi oltremare. Le è stata data in gran fretta la cittadinanza ucraina.
Vogliono l’Ucraina per l’abbondanza di gas che possiede; il figlio del Vice presidente Joe Biden, fa parte del consiglio di amministrazione della più grossa compagnia ucraina di petrolio, gas e fratturazione idraulica. I produttori delle sementi GM, le società come la famigerata Monsanto, vogliono il ricco suolo agricolo ucraino.
Soprattutto, vogliono il potente vicino dell’Ucraina, la Russia. Vogliono balcanizzare o smembrare la Russia e sfruttare la più grande fonte di gas naturale della terra. Mentre il ghiaccio dell’Artico di scioglie, vogliono il controllo dell’Oceano Artico e le sue ricchezze energetiche, e il lungo confine terrestre della Russia con l’Artico. Di solito il loro uomo in Russia era Boris Yelstsin, un alcolista che ha ceduto l’economia del suo paese all’Occidente. Il suo successore, Putin, ha ristabilito la Russia come nazione sovrana: questo è il suo reato.
La responsabilità che ha il resto di noi è chiara. E’ quella di identificare e rivelare le bugie pazzesche dei guerrafondai e di non colludere mai con loro. E’ quella di risvegliare i grandi movimenti popolari che hanno portato una fragile civiltà ai moderni stati imperiali. E, cosa importantissima è di impedire la conquista di noi stessi: delle nostre menti, della nostra umanità, del rispetto di noi stessi. Se restiamo in silenzio, la vittoria su di noi è assicurata, e un olocausto ci chiama.
Nella foto: dimostranti del partito ucraino di destra, Svoboda, ascoltano un discorso del loro leader, Oleg Tiagnybok.
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Fonte: http://zcomm.org/znet/article/why-the-rise-of-fascism-is-again-the-issue
Originale: TeleSUR English
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2015 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0
By John Pilger
Source: teleSUR English
February 27, 2015
The recent 70th anniversary of the liberation of Auschwitz was a reminder of the great crime of fascism, whose Nazi iconography is embedded in our consciousness. Fascism is preserved as history, as flickering footage of goose-stepping blackshirts, their criminality terrible and clear. Yet in the same liberal societies, whose war-making elites urge us never to forget, the accelerating danger of a modern kind of fascism is suppressed; for it is their fascism.
“To initiate a war of aggression…,” said the Nuremberg Tribunal judges in 1946, “is not only an international crime, it is the supreme international crime, differing only from other war crimes in that it contains within itself the accumulated evil of the whole.”
Had the Nazis not invaded Europe, Auschwitz and the Holocaust would not have happened. Had the United States and its satellites not initiated their war of aggression in Iraq in 2003, almost a million people would be alive today; and Islamic State, or ISIS, would not have us in thrall to its savagery. They are the progeny of modern fascism, weaned by the bombs, bloodbaths and lies that are the surreal theatre known as news.
Like the fascism of the 1930s and 1940s, big lies are delivered with the precision of a metronome: thanks to an omnipresent, repetitive media and its virulent censorship by omission. Take the catastrophe in Libya.
In 2011, Nato launched 9,700 “strike sorties” against Libya, of which more than a third were aimed at civilian targets. Uranium warheads were used; the cities of Misurata and Sirte were carpet-bombed. The Red Cross identified mass graves, and Unicef reported that “most [of the children killed] were under the age of ten”.
The public sodomising of the Libyan president Muammar Gaddafi with a “rebel” bayonet was greeted by the then US Secretary of State, Hillary Clinton, with the words: “We came, we saw, he died.” His murder, like the destruction of his country, was justified with a familiar big lie; he was planning “genocide” against his own people. “We knew … that if we waited one more day,” said President Obama, “Benghazi, a city the size of Charlotte, could suffer a massacre that would have reverberated across the region and stained the conscience of the world.”
This was the fabrication of Islamist militias facing defeat by Libyan government forces. They told Reuters there would be “a real bloodbath, a massacre like we saw in Rwanda”. Reported on March 14, 2011, the lie provided the first spark for Nato’s inferno, described by David Cameron as a “humanitarian intervention”.
Secretly supplied and trained by Britain’s SAS, many of the “rebels” would become ISIS, whose latest video offering shows the beheading of 21 Coptic Christian workers seized in Sirte, the city destroyed on their behalf by Nato bombers.
For Obama, Cameron and Hollande, Gaddafi’s true crime was Libya’s economic independence and his declared intention to stop selling Africa’s greatest oil reserves in US dollars. The petrodollar is a pillar of American imperial power. Gaddafi audaciously planned to underwrite a common African currency backed by gold, establish an all-Africa bank and promote economic union among poor countries with prized resources. Whether or not this would happen, the very notion was intolerable to the US as it prepared to “enter” Africa and bribe African governments with military “partnerships”.
Following Nato’s attack under cover of a Security Council resolution, Obama, wrote Garikai Chengu, “confiscated $30 billion from Libya’s Central Bank, which Gaddafi had earmarked for the establishment of an African Central Bank and the African gold backed dinar currency”.
The “humanitarian war” against Libya drew on a model close to western liberal hearts, especially in the media. In 1999, Bill Clinton and Tony Blair sent Nato to bomb Serbia, because, they lied, the Serbs were committing “genocide” against ethnic Albanians in the secessionist province of Kosovo. David Scheffer, US ambassador-at-large for war crimes [sic], claimed that as many as “225,000 ethnic Albanian men aged between 14 and 59″ might have been murdered. Both Clinton and Blair evoked the Holocaust and “the spirit of the Second World War”. The West’s heroic allies were the Kosovo Liberation Army (KLA), whose criminal record was set aside. The British Foreign Secretary, Robin Cook, told them to call him any time on his mobile phone.
With the Nato bombing over, and much of Serbia’s infrastructure in ruins, along with schools, hospitals, monasteries and the national TV station, international forensic teams descended upon Kosovo to exhume evidence of the “holocaust”. The FBI failed to find a single mass grave and went home. The Spanish forensic team did the same, its leader angrily denouncing “a semantic pirouette by the war propaganda machines”. A year later, a United Nations tribunal on Yugoslavia announced the final count of the dead in Kosovo: 2,788. This included combatants on both sides and Serbs and Roma murdered by the KLA. There was no genocide. The “holocaust” was a lie. The Nato attack had been fraudulent.
Behind the lie, there was serious purpose. Yugoslavia was a uniquely independent, multi-ethnic federation that had stood as a political and economic bridge in the Cold War. Most of its utilities and major manufacturing was publicly owned. This was not acceptable to the expanding European Community, especially newly united Germany, which had begun a drive east to capture its “natural market” in the Yugoslav provinces of Croatia and Slovenia. By the time the Europeans met at Maastricht in 1991 to lay their plans for the disastrous eurozone, a secret deal had been struck; Germany would recognise Croatia. Yugoslavia was doomed.
In Washington, the US saw that the struggling Yugoslav economy was denied World Bank loans. Nato, then an almost defunct Cold War relic, was reinvented as imperial enforcer. At a 1999 Kosovo “peace” conference in Rambouillet, in France, the Serbs were subjected to the enforcer’s duplicitous tactics. The Rambouillet accord included a secret Annex B, which the US delegation inserted on the last day. This demanded the military occupation of the whole of Yugoslavia — a country with bitter memories of the Nazi occupation — and the implementation of a “free-market economy” and the privatisation of all government assets. No sovereign state could sign this. Punishment followed swiftly; Nato bombs fell on a defenceless country. It was the precursor to the catastrophes in Afghanistan and Iraq, Syria and Libya, and Ukraine.
Since 1945, more than a third of the membership of the United Nations – 69 countries – have suffered some or all of the following at the hands of America’s modern fascism. They have been invaded, their governments overthrown, their popular movements suppressed, their elections subverted, their people bombed and their economies stripped of all protection, their societies subjected to a crippling siege known as “sanctions”. The British historian Mark Curtis estimates the death toll in the millions. In every case, a big lie was deployed.
“Tonight, for the first time since 9/11, our combat mission in Afghanistan is over.” These were opening words of Obama’s 2015 State of the Union address. In fact, some 10,000 troops and 20,000 military contractors (mercenaries) remain in Afghanistan on indefinite assignment. “The longest war in American history is coming to a responsible conclusion,” said Obama. In fact, more civilians were killed in Afghanistan in 2014 than in any year since the UN took records. The majority have been killed — civilians and soldiers — during Obama’s time as president.
The tragedy of Afghanistan rivals the epic crime in Indochina. In his lauded and much quoted book, The Grand Chessboard: American Primacy and Its Geostrategic Imperatives, Zbigniew Brzezinski, the godfather of US policies from Afghanistan to the present day, writes that if America is to control Eurasia and dominate the world, it cannot sustain a popular democracy, because “the pursuit of power is not a goal that commands popular passion . . . Democracy is inimical to imperial mobilisation.” He is right. As WikiLeaks and Edward Snowden have revealed, a surveillance and police state is usurping democracy. In 1976, Brzezinski, then President Carter’s National Security Advisor, demonstrated his point by dealing a death blow to Afghanistan’s first and only democracy. Who knows this vital history?
In the 1960s, a popular revolution swept Afghanistan, the poorest country on earth, eventually overthrowing the vestiges of the aristocratic regime in 1978. The People’s Democratic Party of Afghanistan (PDPA) formed a government and declared a reform programme that included the abolition of feudalism, freedom for all religions, equal rights for women and social justice for the ethnic minorities. More than 13,000 political prisoners were freed and police files publicly burned.
The new government introduced free medical care for the poorest; peonage was abolished, a mass literacy programme was launched. For women, the gains were unheard of. By the late 1980s, half the university students were women, and women made up almost half of Afghanistan’s doctors, a third of civil servants and the majority of teachers. “Every girl,” recalled Saira Noorani, a female surgeon, “could go to high school and university. We could go where we wanted and wear what we liked. We used to go to cafes and the cinema to see the latest Indian film on a Friday and listen to the latest music. It all started to go wrong when the mujaheddin started winning. They used to kill teachers and burn schools. We were terrified. It was funny and sad to think these were the people the West supported.”
The PDPA government was backed by the Soviet Union, even though, as former Secretary of State Cyrus Vance later admitted, “there was no evidence of any Soviet complicity [in the revolution]”. Alarmed by the growing confidence of liberation movements throughout the world, Brzezinski decided that if Afghanistan was to succeed under the PDPA, its independence and progress would offer the “threat of a promising example”.
On July 3, 1979, the White House secretly authorized support for tribal “fundamentalist” groups known as the mujaheddin, a program that grew to over $500 million a year in U.S. arms and other assistance. The aim was the overthrow of Afghanistan’s first secular, reformist government. In August 1979, the US embassy in Kabul reported that “the United States’ larger interests … would be served by the demise of [the PDPA government], despite whatever setbacks this might mean for future social and economic reforms in Afghanistan.” The italics are mine.
The mujaheddin were the forebears of al-Qaeda and Islamic State. They included Gulbuddin Hekmatyar, who received tens of millions of dollars in cash from the CIA. Hekmatyar’s specialty was trafficking in opium and throwing acid in the faces of women who refused to wear the veil. Invited to London, he was lauded by Prime Minister Thatcher as a “freedom fighter”.
Such fanatics might have remained in their tribal world had Brzezinski not launched an international movement to promote Islamic fundamentalism in Central Asia and so undermine secular political liberation and “destabilise” the Soviet Union, creating, as he wrote in his autobiography, “a few stirred up Muslims”. His grand plan coincided with the ambitions of the Pakistani dictator, General Zia ul-Haq, to dominate the region. In 1986, the CIA and Pakistan’s intelligence agency, the ISI, began to recruit people from around the world to join the Afghan jihad. The Saudi multi-millionaire Osama bin Laden was one of them. Operatives who would eventually join the Taliban and al-Qaeda, were recruited at an Islamic college in Brooklyn, New York, and given paramilitary training at a CIA camp in Virginia. This was called “Operation Cyclone”. Its success was celebrated in 1996 when the last PDPA president of Afghanistan, Mohammed Najibullah — who had gone before the UN General Assembly to plead for help — was hanged from a streetlight by the Taliban.
The “blowback” of Operation Cyclone and its “few stirred up Muslims” was September 11, 2001. Operation Cyclone became the “war on terror”, in which countless men, women and children would lose their lives across the Muslim world, from Afghanistan to Iraq, Yemen, Somalia and Syria. The enforcer’s message was and remains: “You are with us or against us.”
The common thread in fascism, past and present, is mass murder. The American invasion of Vietnam had its “free fire zones”, “body counts” and “collatoral damage”. In the province of Quang Ngai, where I reported from, many thousands of civilians (“gooks”) were murdered by the US; yet only one massacre, at My Lai, is remembered. In Laos and Cambodia, the greatest aerial bombardment in history produced an epoch of terror marked today by the spectacle of joined-up bomb craters which, from the air, resemble monstrous necklaces. The bombing gave Cambodia its own ISIS, led by Pol Pot.
Today, the world’s greatest single campaign of terror entails the execution of entire families, guests at weddings, mourners at funerals. These are Obama’s victims. According to the New York Times, Obama makes his selection from a CIA “kill list” presented to him every Tuesday in the White House Situation Room. He then decides, without a shred of legal justification, who will live and who will die. His execution weapon is the Hellfire missile carried by a pilotless aircraft known as a drone; these roast their victims and festoon the area with their remains. Each “hit” is registered on a faraway console screen as a “bugsplat”.
“For goose-steppers,” wrote the historian Norman Pollock, “substitute the seemingly more innocuous militarisation of the total culture. And for the bombastic leader, we have the reformer manque, blithely at work, planning and executing assassination, smiling all the while.”
Uniting fascism old and new is the cult of superiority. “I believe in American exceptionalism with every fibre of my being,” said Obama, evoking declarations of national fetishism from the 1930s. As the historian Alfred W. McCoy has pointed out, it was the Hitler devotee, Carl Schmitt, who said, “The sovereign is he who decides the exception.” This sums up Americanism, the world’s dominant ideology. That it remains unrecognised as a predatory ideology is the achievement of an equally unrecognised brainwashing. Insidious, undeclared, presented wittily as enlightenment on the march, its conceit insinuates western culture. I grew up on a cinematic diet of American glory, almost all of it a distortion. I had no idea that it was the Red Army that had destroyed most of the Nazi war machine, at a cost of as many as 13 million soldiers. By contrast, US losses, including in the Pacific, were 400,000. Hollywood reversed this.
The difference now is that cinema audiences are invited to wring their hands at the “tragedy” of American psychopaths having to kill people in distant places — just as the President himself kills them. The embodiment of Hollywood’s violence, the actor and director Clint Eastwood, was nominated for an Oscar this year for his movie, American Sniper, which is about a licensed murderer and nutcase. The New York Timesdescribed it as a “patriotic, pro-family picture which broke all attendance records in its opening days”.
There are no heroic movies about America’s embrace of fascism. During the Second World War, America (and Britain) went to war against Greeks who had fought heroically against Nazism and were resisting the rise of Greek fascism. In 1967, the CIA helped bring to power a fascist military junta in Athens — as it did in Brazil and most of Latin America. Germans and east Europeans who had colluded with Nazi aggression and crimes against humanity were given safe haven in the US; many were pampered and their talents rewarded. Wernher von Braun was the “father” of both the Nazi V-2 terror bomb and the US space programme.
In the 1990s, as former Soviet republics, eastern Europe and the Balkans became military outposts of Nato, the heirs to a Nazi movement in Ukraine were given th
(Message over 64 KB, truncated)
PUTIN SMONTA TUTTE LE MENZOGNE DELL'OCCIDENTE
In 7 minuti smontate tutte le menzogne dell'Occidente. Intuile ricordare l'inutilità e il servilismo della stampa nostrana.
Guardatelo e fate girare.
#Putin: Chi è l'aggressore?
7 minuti in cui il Presidente Russo smonta tutte le teorie occidentali su chi è l'aggressore, fa capire chiaramente gli intenti ostili di #StatiUniti e #Natoe fa capire che la #Russia non si piegherà mai agli atlantisti.
Leggete molto bene e diffondete il più possibile.
(spezzone della conferenza stampa tenutasi il 18 Dicembre 2014)
Ringraziamo per la traduzione Elena e segnaliamo il suo canale #YouTube:
https://www.youtube.com/watch?v=HAJ3l2IP2no
KIEV/BERLIN (Own report) - German foreign policy makers are proposing that tougher sanctions against Russia be discussed. In light of the escalating combat in Eastern Ukraine, we "unfortunately have to discuss tougher sanctions," declared several representatives of the German political establishment's transatlantic fraction. Berlin accuses the insurgents in Eastern Ukraine, and even Moscow of escalating the conflict. The escalation in Donetsk and Mariupol, however, followed the Kiev government's decision to launch another wave of mobilization and arms buildup, which, according to observers, could be the prelude to a major military offensive. Kiev has also launched a long-term militarization of the country: Adolescents, and even children, will not only have to undergo a "national patriotic education" in school, but also learn "how to use rifles and Kalashnikovs." Just a few days ago, the EU parliament passed a resolution to supply "defensive weapons" to Ukraine. Berlin had already authorized such supplies last year. Brussels is preparing a comprehensive propaganda campaign to accompany the escalation of the conflict...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58821
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58825
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59050
14 Stunden nach Beginn dauern die Minsker Verhandlungen über eine Lösung im Ukraine-Konflikt an. War am frühen Morgen noch aus der belarussischen Hauptstadt zu hören gewesen, eine Einigung stehe unmittelbar bevor, hieß es wenig später, der ukrainische Präsident Petro Poroschenko habe "inakzeptable Bedingungen" der russischen Seite ausgemacht. Um neun Uhr mitteleuropäische Zeit ist nun eine neue Verhandlungsrunde gestartet worden; ein Ergebnis zeichnet sich noch nicht ab. Bereits vor der Zusammenkunft hatten die Vereinigten Staaten angekündigt, ein Bataillon ihrer Streitkräfte in die Ukraine zu entsenden, um ukrainische Soldaten zu trainieren. Während Berlin sich um Gespräche mit Moskau bemüht, hält Washington damit den Druck auf Russland aufrecht. Die Bundesregierung lässt zugleich keinen Zweifel daran, dass im Falle einer Eskalation das westliche Bündnis für sie Vorrang hat: Nach der Übernahme der Führung bei der neuen NATO-"Speerspitze" kündigt die Bundeswehr für März die Beteiligung an einem NATO-Manöver im Schwarzen Meer an. Explizit ist von einem "politischen Signal" die Rede...
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59053
Estonia celebrated their Independence Day Tuesday, with a military parade containing U.S NATO military combat vehicles, in the eastern border city of Narva, just 300 yards (274 metres), from the Russian border...
https://www.youtube.com/watch?v=9jyLQmyg9hs
In deutscher Sprache wirbt Putin für eine starke Zusammenarbeit zwischen Europa und Russland. Spätestens mit der Orangenen Revolution 2004 in Kiew wird jedoch klar, dass der Westen nicht weniger als eine Unterwerfung der Atom-Grossmacht Russland anstrebt.
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59065
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58830
Il finanziamento, già autorizzato dal Congresso, viene fornito da uno speciale Fondo costituito dal Pentagono e dal Dipartimento di stato per «fornire addestramento ed equipaggiamento a forze di sicurezza straniere», così che «i paesi partner possano affrontare sfide importanti per la sicurezza nazionale degli Usa». La missione di addestramento in Ucraina serve a «dimostrare l’impegno Usa per la sicurezza del Mar Nero e il valore delle forze Usa schierate in posizioni avanzate».
Le unità della Guardia nazionale ucraina, comprendenti secondo stime approssimative 45-50mila volontari, saranno addestrate da istruttori Usa nel campo militare Yavoriv presso Lviv (Leopoli, ndr) a circa 50 km dal confine polacco. La Guardia nazionale, costituita dal governo di Kiev nel marzo 2014 con un primo finanziamento Usa di 19 milioni di dollari, ha incorporato le formazioni neonaziste [ http://www.ilmanifesto.info/lestrema-destra-ucraina-dai-battaglioni-al-parlamento/ ], già addestrate da istruttori Nato per il «putsch» di Kiev (come mostra una documentazione fotografica su militanti neonazisti addestrati nel 2006 in Estonia).
I battaglioni Donbass, Azov [ http://www.ilmanifesto.info/ucraina-tra-i-feriti-del-battaglione-azov/ ], Aidar, Dnepr-1, Dnepr-2 e altri, che costituiscono la forza d’urto della Guardia nazionale, sono costituiti da neonazisti sia ucraini che di altri paesi europei. Le atrocità da loro commesse contro i civili di nazionalità russa nell’Ucraina orientale sono ampiamente documentate da video e testimonianze (basta digitare su Google «atrocità dei neo-nazi in Ucraina»). Ma, nonostante che Amnesty International abbia accusato il governo di Kiev di essere responsabile dei crimini di guerra commessi da questi battaglioni, gli Usa hanno continuato a sostenerli, fornendo loro anche mezzi blindati. E ora li potenziano con il programma di addestramento e armamento. Esso rientra nell’«Operazione fermezza atlantica», lanciata dal Comando europeo degli Stati uniti per «riassicurare i nostri alleati, di fronte all’intervento russo in Ucraina, e quale deterrente per impedire che la Russia acquisti l’egemonia regionale».
Nel quadro del crescente dispiegamento di forze Usa nell’Europa orientale, il Pentagono ha inviato «esperti militari per accrescere la capacità difensiva dell’Ucraina» e stanziato altri 46 milioni di dollari per fornirle «equipaggiamenti militari, tra cui veicoli e visori notturni». Washington sta quindi già armando le forze di Kiev che, anche senza ricevere armi pesanti dagli Usa, possono procurarsele con i milioni di dollari messi a loro disposizione.
Mentre Germania, Francia e Italia si dicono favorevoli a una soluzione diplomatica e quindi contrarie alla fornitura di armi a Kiev. Ma allo stesso tempo, al vertice di Bruxelles, si impegnano, insieme a Gran Bretagna, Spagna e Polonia, ad assumersi i compiti maggiori nella formazione della «Forza di punta» della Nato, nel quadro della «Forza di risposta», portata da 13mila a 30mila uomini e dotata di sei centri di comando e controllo in Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania e Bulgaria.
Mentre gli Usa, in preparazione del vertice di Minsk sull’Ucraina (cui volutamente non partecipano), assicurano per bocca del segretario di Stato che tra gli alleati «non ci sono divisioni, siamo tutti d’accordo che non possa esserci una soluzione militare». Ma allo stesso tempo, addestrando e armando i neonazisti ucraini, gli Usa alimentano le fiamme della guerra nel cuore dell’Europa.
http://ilmanifesto.info/mai-esistito-uno-stato-in-libia/
Mai esistito uno Stato in Libia?
di Manlio Dinucci, 23.2.2015
L'arte della guerra. La rubrica settimanale di Manlio Dinucci
Non è vero che la guerra del 2011 abbia digregato lo Stato libico. Il perché ce lo ha spiegato il presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano, intervenendo al Senato: «Ritengo che, nel senso moderno dell’espressione, uno Stato non sia mai esistito in Libia».
Pochi mesi fa, aveva definito la Libia «Stato fallito» (categoria creata dal «Fondo per la pace» Usa). Ora però ci ha ripensato: «Che si possa parlare oggi di Stato fallito suscita in me perplessità: non era uno Stato l’esercizio del potere autocratico e personale del presidente Gheddafi sulla base di un sistema di equilibri con la moltitudine delle tribù». Sulla sponda sud del Mediterraneo non c’era dunque uno Stato, la Repubblica araba di Libia, nata nel 1969 dopo oltre 30 anni di dominio coloniale italiano e quasi 20 di una monarchia succube di Gran Bretagna e Stati uniti. Uno Stato che, abolita la monarchia, aveva chiuso nel 1970 le basi militari statunitensi e britanniche, e nazionalizzato le proprietà della British Petroleum. Uno Stato che – documentava la Banca mondiale nel 2010 – manteneva «alti livelli di crescita economica», assicurando (nonostante le disparità) il più alto tenore di vita in Africa e dando lavoro a circa due milioni di immigrati africani; che registrava «alti indicatori di sviluppo umano» tra cui l’accesso universale all’istruzione primaria e secondaria e, per il 46%, a quella di livello universitario. Uno Stato che aveva reso possibile con i suoi investimenti la nascita di organismi che avrebbero potuto realizzare l’autonomia finanziaria dell’Africa: la Banca africana di investimento (in Libia), la Banca centrale africana (in Nigeria), il Fondo monetario africano (in Camerun).
Riscrivendo la storia, tutto questo viene cancellato e la Libia del 1969–2011 viene rappresentata come un non-Stato, una «multitudine di tribù» (definizione di stampo coloniale) tenute insieme dal potere di Gheddafi. Potere che indubbiamente esisteva, frutto delle fasi storiche attraversate dalla Libia, ma che si era allentato e decentrato aprendo la prospettiva di una ulteriore evoluzione della società libica.
La Libia, dopo che gli Stati uniti e l’Unione europea avevano revocato l’embargo nel 2004, si era ricavata uno spazio a livello internazionale. Nell’aprile 2009, a Washington, la segretaria di stato Hillary Clinton stringeva calorosamente la mano a uno dei figli di Gheddafi, dichiarando di voler «approfondire e allargare la nostra cooperazione». Nemmeno due anni dopo, la stessa Clinton lanciava la campagna internazionale contro Gheddafi, preparando la guerra.
Ora però, nel quadro della competizione per le prossime presidenziali, gli scheletri escono dall’armadio: documentate prove (pubblicate dal «Washington Times» e all’esame della commissione congressuale di inchiesta sull’uccisione dell’ambasciatore Usa a Bengasi nel 2012) dimostrano che è stata la Clinton a spingere l’amministrazione Obama alla guerra contro la Libia «con falsi pretesti e ignorando i consigli dei comandanti militari». Mentre la Clinton accusava Gheddafi di genocidio, l’intelligence Usa riferiva attraverso i suoi rapporti interni che «Gheddafi aveva dato ordine di non attaccare i civili ma di concentrarsi sui ribelli armati».
Viene alla luce anche un documentato rapporto, inviato nel 2011 dalle autorità libiche a membri del Congresso Usa, sulle forniture di armi ai jihadisti libici da parte del Qatar con il «permesso della Nato». In quel momento il presidente Napolitano dichiarava che, «non potendo restare indifferenti alla sanguinaria reazione di Gheddafi», l’Italia aderiva al «piano di interventi della coalizione sotto guida Nato».
=== Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS https://www.cnj.it/ http://www.facebook.com/cnj.onlus/ === * ===
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SERBIA SHOULD STAY NEUTRAL, AWAY FROM NATO
Zivadin Jovanovic, Belgrade Forum (Tuesday, 27 January 2015)
уторак, 27 јануар 2015
http://www.beoforum.rs/saopstenja-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/655-15-god-rada-beoforuma-god-skupstina.html
Извештај на Скупштини Форума одржаној 24. јануара 2015.
уторак, 27 јануар 2015
http://www.beoforum.rs/godisnje-skupstine-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/656-izvestaj-na-god-skupstini-beoforuma-za-2014.html
FOTO: https://www.facebook.com/media/set/?set=a.771970342883509.1073741836.237292086351340&type=1
VIDEOS: Jovanovic, Bulatovic, Dzenadija
ОСВРТ НА КЊИГУ НОВИ ХЛАДНИ РАТ
Прошлог месеца (јануар 2015. године) изашла је нова књига Београдског форума за свет равноправних – невладине, непартијске и непрофитне организације која окупља припаднике различитих политичких идеологија, али је њима национални и државни интерес изнад сваке политике и идеологије. Књига се појавила под насловом „Нови хладни рат“. У њој су објављена саопштења учесника Међународне конференције коју је Форум одржао 22. и 23. марта 2014.године, а поводом 15-е годишњице оружане агресије НАТО-а на Србију. Форум, иначе, сваке године на дан почетка агресије обележава тај варварски чин Запада на челу са САД, чин у којем су ситематски и неселективно разарана наша земља, њена привреда, електро-енергетски систем, инфраструктура, убијани недужни људи, укључујући децу и страце, и загађена животна средина.
Конференција чија су саопштења и Завршнидокумент објављени у овој књизи одржана је на тему „Глобални мир против глобалног интервенционизма и империјализма“. Конференцији је присуствовало око 500 учесника: чланова, пријатеља и поштовалаца Форума, међународних покрета и организација чија су програмска опредељења и практично деловање слични напорима које чини Форум. Њих преко 200 били су странци и то са свих континената, што на свој начин сведочи о великом угледу који Форум ужива у свету, а што иначе знатно превазилази величину јавног простора у нашој земљи који је на располагању напорима и деловању Форума. Један од разлога због којих наш јавни простор рестриктивно приступа Форуму вероватно је у томе што Форум не дозвољава да у заборав падну жртве које је наш народ и држава поднела одлучно се супротстављајући сведимензионалној агресији Запада према Србији, која иначе траје од почетка 90-их година прошлог века све до наших дана. Агресија је кулминирала оружаним нападом НАТО-а 1999.године, чиме је Запад (САД и ЕУ) подржао и војном силом помогао терористичку оружану побуну косметских Албанаца ради сецесије дела државне територије Србије и на том делу успоствљања друге албанске државе на Балкану.
Дакле, књига „Нови хладни рат“ је настала као резултат ове Конференције. Књигу је за штампу припремио уређивачки одбор у саставу: Проф. др Радован Радиновић, генерал у пензији, Др Станислав Стојановић, амбасадор у пензији, проф. др Јелена Лопичић – Јанчић, студент-апсолвент Ненад Узелац и Бранислава Митровић -преводилац и публициста. У својој структури, књига има следеће делове, односно поглавља: Предговор; Поглавље „Отварање Конференције и поздравне речи“ са укупно 11 прилога; Поглавље „Излагање учесника“ – укупно 62 прилога од чега су 45 прилози страних учесника, а 17 домаћих; Поглавље „Форум младих“ са укупно седам прилога, од чега четири инострана учесника,а три домаћа (од те тројице један је из Републике Српске и њега из разумљивих разлога сматрамо домаћим учесником); Поглавље „Завршни документ“ у којем се резимирају резултати расправе на Конференцији. Завршни документ је објваљен на више језика; српском, руском, енглеском, немачком и италијанском. Намера нам је била да на овај начин међународну јавност обавестимо о резултатима овога скупа, јер Форум као непрофитна организација није у стању да књигу у целости преведе на светске језике и на тај начин је учини доступном страној јавности.
Сам наслов књиге („Нови хладни рат“) најављује да се између корица води расправа о томе како је агресијуа на Србију из 1999.године послужила и као пример и као искуство за масовну примену глобалног интервенционизма. Толико учестало и толико масивно да су се многи запитали да ли то значи да је Трећи светски рат већ почео или је свет ушао у еру Новог хладног рата. Преовладало је ово друго становиште, мада нису ретки ни учесници који сматрају да се свет налази пред озбиљним искушењима и опасностима од новог великог рата у којем не би било победника већ само поражених.
Поред обиља емпиријских чињеница, упозорења и закључака о томе у каквом се стању данас налази свет, куда сетај свет запутио и куда он, нажалост, може незаустављиво кренути, можда је у теоријском и доктринарном погледу најсвежији и највреднији део и аспект ове књиге онај у којем се до крајњих граница разобличава једна непосве нова, али свакако подмукла доктрина а то је тзв. Доктрина одговорности за заштиту. Управо том доктрином правдају се све војне интервенције које је у деценијама које су прошле предузимао Запад на челу са САД, укључујући оружану агресију на Србију 1999. године. Суштина ове доктрине је у следећем: државе су дужне да штите сва демократска и друга људска права грађана и то у складу са принципима и стандрадима које, наравно, прописују САД и Запад, а то значи да се ради о стандардима и вредностима неолибералног капиталистичког друштвеног пројекта. Дакле, свет, без обзира на многобројне и дубоке цивилизацисјке разлике међу народима и државама мора бити уређен по начелима које прописује и на сваки начин промовише Запад на челу са САД. Управо Запад, односно САД, као његова сила предводница, има одговорност да све народе у свим државама света, све етничке, верске и друге групе штити од њихових држава, ако оне нису у стању да то саме чине. Када САД и Запад процене да државе нису у стању да испуне тај задатак одговорности за заштиту, на сцену ступају САД и њени савезници са својим арсеналом моћи, укључујући војну силу. Централну улогу у томе има НАТО као ударна песница новог америчког интервенционизма и империјализма. По наведеном обрасцу је извршена агресија на Србију и то зато да би се, наводно, заштитили угрожени Албанци на Косову и Метохији и да би им се поклонила држава тако што ће се отети и окупирати део територије Србије. На тај исти начин је изведен и цео низ тзв.обојених револуција у Северној Африци, Сирији, нешто раније у Грузији, а данас у Украјини. Америку и европски Запад уопште не забрињава чињеница што главну улогу у украјинској кризи играју неонацистичке снаге тзв. Десног сектора Украјине које су у Другом светском рату били на страни Хитлера. Све дотле док представљају поуздани ослонац америчке доктрине одговорности за заштиту наводно угрожених права Украјине од стране руске хегемоније те неонацистичке снаге које врше нечувене злочине над грађанима Украјине руске националности, уживаће подршку САД. Штавише, украјинска криза се и води тако да се не може разрештити унутрашњим политичким дијалогом нити мирним путем, да би се НАТО (читај САД), као наводни заштитник Украјине и демократских вредности западне цивилизације довео на границе Русије.Циљ је да се Русија опколи, да сеона одбаци из Европе у дубину Евроазије и да се створе услови за њено територијално прекомпоновање по обрасцима које моделују и нуде западни геополитичари, као што су Бжежински и др. Наравно, крајњи циљ је дезинтеграција Русије и контрола природних ресурса скојима она располаже.
Из наведених разлога бројни аутори прилога које садржи ова књига питају се да ли то значида Запад са САД на челу гура свет у нову ратну катаклизму. Многи међу њима упозоравајуда је последњи моменат да се томе стане на пут. Управо је главни мото ове књиге „Глобалним миром против глобалног интервенционизма и империјализма“ с том напоменом да аутори прилога у овој књизи изражавају забринутост што за сада изостаје снажна, у светским размерама, опозиција тој империјалистичкој агресији и експанзији, чији је циљ контрола светских ресурса и територијално прекомпоновање света. За сада је Русија главна мета. Ако она неиздржи на ред ће дођи други, али са далеко мање изгледа да сетоме одупру. Зато је ово, изгледа, последња шанса. Остаје да се види да ли ће је мирољубиви свет искористити.
Проф. др Радован Радиновић, генерал у пензији
A letter from Mrs. Socorro Gomes
Dear fellows in the Belgrade Forum for a World of Equals,
Dear friend President Zivadin Jovanovic:
It is my greatest satisfaction to send you this message congratulating you on the important Annual Assembly you recently organized – of which we have received the news and shared – and especially for the Forum’s 15th anniversary, in March. The Forum, thus, has many years of struggle against imperialism and militarization, certainly strengthening us in the path we still must follow ahead.
Last year, in the “Global Peace vs. Global Interventionism and Imperialism” Conference, we could see the Belgrade Forum’s capacity of attraction for debates that are still so urgent and that we must hold. It was a great honor to join our fellows from so many countries and movements to discuss the 15 years since the criminal bombardments conducted by NATO against Former Republic of Yugoslavia and our need for unity, so we can continue denouncing the imperialists’ war machine.
Furthermore, as our friend Mr. Jovanovic said in his speech in your Annual Assembly, our work must also focus on the reaffirmation of memory, against the historical revisionism promoted by the empire, so justice and accountability may take roots, especially for the hideous crimes perpetrated by NATO and its leaders against the Balkans. We are confident in our strengths against imperialism for this enterprise.
Therefore, we wish much success in the essential work conducted by the Belgrade Forum, which has deeply valuable contribution in our World Peace Council and our shared struggle for a world of equals, for peace and for justice.
With my fraternal compliments,
Socorro Gomes
President
World Peace Council