Informazione


http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59060
 
Von Račak zum Majdan
 
23.02.2015
 
KIEW/BELGRAD/BERLIN
 
(Eigener Bericht) - Ein Jahr nach dem von Berlin geförderten Umsturz in der Ukraine werfen aktuelle Berichte ein neues Licht auf das Kiewer Massaker vom 20. Februar 2014.


L'Europa un anno dopo il golpe nazista in Ucraina

0) L'Europa giustifica i mezzi: neonazisti integrati nell'Esercito ucraino
1) Zyuganov ed il PCFR sulla situazione in Ucraina
2) L’Italia rafforza il proprio ruolo nel conflitto Nato-Russia (Antonio Mazzeo)
3) Questione russa e propaganda euro-atlantica (Federico La Mattina)
4) Le radici della guerra in Ucraina (Albano Nunes)
5) Il vostro futuro è una nuova Norimberga (Nico Macce)


Vedi anche:

Note sul Donbass e la resistenza antimperialista (dicembre 11th, 2014)
A due mesi dalla Caravona antifascista in Donbass: intervista a due militanti che vi hanno preso parte, sulla guerra in Ucraina, la resistenza della Repubbliche popolari, il ruolo delle potenze imperialiste...

Otto mesi senza Vadim (3 Gennaio 2015)
La testimonianza di Fatima Papura, madre del giovane comunista vittima del rogo della Casa dei Sindacati di Odessa...
Fonte: sito del Comitato per la Liberazione di Odessa, Комитет освобождения Одессы / Source: http://www.2may.org

Per la pace! (di Pedro Guerreiro, da www.avante.pt – 5 Gennaio 2015)
http://www.marx21.it/internazionale/pace-e-guerra/24942-per-la-pace.html

Vauro Senesi: “Nel Donbass è in atto una pulizia etnica pianificata da Kiev” (di Marina Tantushyan, 23/1/2015)
http://italian.ruvr.ru/2015_01_23/Vauro-Senesi-Nel-Donbass-e-stata-svolta-una-pulizia-etnica-pianificata-da-Kiev-1030/

I comunisti ucraini e degli altri paesi contro il fascismo e la sua guerra nel Donbass (da www.kpu.ua - 5 Febbraio 2015)
Il Partito Comunista di Ucraina ha partecipato alla riunione del Gruppo di Lavoro per la preparazione del 17° Incontro dei Partiti Comunisti e Operai
(ORIG: http://www.solidnet.org/turkey-communist-party/turkey-communist-party-press-release-on-the-working-group-meeting-02022015-en =
http://www.marx21.it/comunisti-oggi/nel-mondo/25102-i-comunisti-ucraini-e-degli-altri-paesi-contro-il-fascismo-e-la-sua-guerra-nel-donbass.html

Manifesto della solidarietà con la Resistenza antifascista in Donbass
Coordinamento antifascista veneto di solidarietà con la Resistenza nel Donbass, 14 Febbraio 2015
http://contropiano.org/documenti/item/29150-manifesto-della-solidarieta-con-la-resistenza-antifascista-in-donbass

Vauro Senesi: “L’ottimismo della volontà e il pessimismo della ragione" (14 febbraio 2015)
Dopo il suo recente viaggio nel Donbass, La Voce della Russia ha incontrato Vauro Senesi per approfondire le eventuali prospettive di una pacificazione nel conflitto ucraino, all’indomani del vertice di Minsk...
http://italian.ruvr.ru/news/2015_02_14/Vauro-Senesi-L-ottimismo-della-volonta-e-il-pessimismo-della-ragione-0166/

Il j'accuse della Banda Bassotti “Noi torniamo in Donbass, dov'è la sinistra?” (di Marco Santopadre, 20 Febbraio 2015)
Che concerto sarà di quello di sabato 21 febbraio a Roma? ... Quali sono le differenze tra la seconda e la prima carovana?
http://contropiano.org/politica/item/29261-il-j-accuse-della-banda-bassotti-noi-torniamo-in-donbass-dov-e-la-sinistra


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NEONAZISTI – PARTE DELL’ESERCITO UCRAINO

19 Feb 2015 – I neonazisti sono parte dell’esercito ucraino, questo ha affermato l'ambasciatore dell'Ucraina in Germania Andrej Mel’nik ad una diretta tv tedesca. Secondo lui senza di loro è impossibile respingere «l'aggressione russa».
Il presentatore del programma televisivo ha mostrato a Mel’nik un paio di foto in cui i combattenti del battaglione «Azov» stanno sullo sfondo di bandiere con la svastica e tendono il braccio nel saluto nazista. L'ambasciatore in risposta a queste foto ha detto che Kiev controlla completamente le formazioni radicali.
«Queste formazioni combattono insieme al nostro esercito, alla guardia Nazionale e ad altre unità e sono coordinate e controllate da Kiev» ha affermato Andrej Mel’nik.
Mel’nik ha assicurato che queste unità non rappresentano alcun pericolo. Tuttavia, quando il moderatore ha chiesto all'ambasciatore di giurare che questi neo-nazisti non fanno nulla di sbagliato Mel’nik  ha avuto risposte evasive.

Fonte: http://tvzvezda.ru/news/vstrane_i_mire/content/201502191725-vm4o.htm


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VEDI ANCHE: La Russia deve fermare l'offensiva del neonazismo nella Novorossija

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Zyuganov commenta gli avvenimenti dell'anno che è trascorso

9 Gennaio 2015 
Intervista concessa a Lifenews.ru

Traduzione dal russo di Mauro Gemma

“Uno degli eventi principali dell'anno che è trascorso è rappresentato dal volgersi della Russia verso sud e verso est. Lo ha fatto Vladimir Putin, e noi in questo lo sosteniamo attivamente” (Ghennadij Zyuganov, leader del Partito Comunista della Federazione Russa)

- Il colpo di Stato in Ucraina e la guerra che ne è seguita nel Donbass sono stati gli eventi principali dell'anno passato. Pensa che sia possibile bloccare questa crisi alle frontiere della Russia?

- Alla riuscita del colpo in Ucraina, per molta parte, hanno provveduto quei professori che hanno riscritto manuali e programmi. Per costoro Mazeppa (l'atamano cosacco che, all'inizio del XVIII secolo, si schierò con gli svedesi contro la Russia, ndt) non è stato un traditore, ma un grande eroe, e Bandera un difensore dell'indipendenza e della sovranità dell'Ucraina. Un'idea più ingannevole e disgustosa è difficile da immaginare. Il primo si è reso responsabile del tradimento degli interessi del popolo ucraino, il secondo di una violenza selvaggia e terribile al servizio di Hitler.

Questa onda ha rovesciato Yanukovic e ha portato al potere un'altra squadra. Che rappresenta una combinazione di oligarchia, malversazione, ingiustizia e cinismo. Di seguaci di Bandera e settari di ogni genere. A mio parere, si tratta di una tragedia non solo per l'Ucraina, ma per molti aspetti anche per la Russia.

Per quanto riguarda gli sviluppi futuri, sono sicuro che molto dovremo aspettarci da Washington. Gli americani hanno un debito enorme di 18.000 miliardi di dollari. Devono scaricarlo sulle spalle di altri attraverso la guerra, e a ciò si presta molto l'Ucraina. La guerra rende anche possibile scavare un nuovo fossato tra i popoli slavi e, d'altro lato, cercare di andare alla conquista del grande mercato europeo. Sono convinto che dobbiamo lavorare più energicamente sia con i cittadini dell'Ucraina che con la popolazione dell'Europa. I circoli imprenditoriali europei non sostengono tali sviluppi della situazione. Ciò si è manifestato quando alcuni importanti politici tedeschi hanno scritto una lunga lettera ad Angela Merkel. Secondo loro, la Merkel ha ceduto alle pressioni di Obama. Anche alcuni leader dell'Europa Occidentale hanno iniziato a pronunciarsi contro la spudorata interferenza degli americani nei loro affari interni. Tutto ciò crea le premesse per un grande alleanza contro i seguaci di Bandera, il nazismo e l'arbitrio americano.

Noi dobbiamo favorire al massimo grado la pacificazione nel sud-est dell'Ucraina. Da tempo io avrei riconosciuto le repubbliche di Donetsk e Lugansk, che esistono de-facto. Io aiuterei i volontari che difendono il diritto di parlare nella propria lingua, la propria casa, la famiglia, i villaggi e le città. Essi difendono i nostri interessi, esattamente come al tempo della battaglia di Mosca o di Stalingrado nel corso della Grande Guerra Patriottica.

- Quale futuro prevede per la Novorossya?

- Karkhov, il Donbass, Krivoi Rog, Zaporozhe, Kherson, Nikolaev, Odessa sono Novorossya. E' una regione abitata prevalentemente da gente russa. Dal mio villaggio natale nel Donbass erano emigrati cinquanta lavoratori agricoli. Lì ci sono i nostri parenti, amici, conoscenti. Quella regione è abitata da ex abitanti delle regioni di Kursk, Oriol, Belgorod, Voronezh, Lipetsk e Rostov. E quando arrivano i seguaci di Bandera, che hanno preso il potere a Kiev, e proibiscono alla gente di parlare la lingua russa natale, naturalmente è normale la reazione: “Abbiamo il diritto di parlare la nostra lingua!”. Perché ci dettate le vostre condizioni? Chi siete voi? Impostori che vi siete impadroniti del potere con la violenza”. Persino in Europa e anche in America si è parlato della federalizzazione dell'Ucraina. Petro Poroshenko deve trovare un accordo con loro.

D'altra parte, là, dove è stato versato il sangue, le cose vanno per le lunghe e tutto è estremamente complicato. Se a Kiev ci fosse un potere normale, ci si siederebbe attorno a un tavolo e ci si metterebbe d'accordo sulla lingua, sulle competenze, sullo status, sulle tasse e sulle relazioni economiche. Sul fatto che non si devono demolire monumenti e distruggere la cultura e le tradizioni russe. Essenziale sarebbe evitare persecuzioni e azioni di guerra. Credo, in ogni caso, che si riuscirà a trovare una soluzione a questo problema, ma occorre vigilare. Dietro a tutto ciò sta la CIA americana con suoi piani geopolitici e le sue provocazioni.

- Sono sufficienti le misure di risposta della Russia alle sanzioni dell'Occidente, e quanto tempo durerà il principio della sostituzione delle importazioni? Esiste la possibilità di un ritorno all'esperienza sovietica, quando il paese era riuscito a badare a sé stesso?

- Dobbiamo ricordare che negli ultimi 100 anni questo è il sesto giro delle sanzioni. Tutte le volte precedenti siamo riusciti ad uscire dalla crisi più consolidati, forti e avveduti. Tutti devono rendersi conto che, nella forma in cui si è sviluppata per mille anni, la Russia non ha avuto bisogno di nessuno. Recentemente l'ho sentito affermare anche per bocca di Putin e ho scritto un intero libro sul tema “I fondamenti della geopolitica russa”.

Io insisto sul fatto che non solo siamo stati autosufficienti, che ci siamo sviluppati con successo. A tal fine, la Russia dispone di tutto, e insieme ai suoi alleati sul piano geopolitico ha colossali risorse.

Se si mette insieme il potenziale di Ucraina, Russia, Bielorussia e altri paesi alleati, disponiamo di oltre la metà delle risorse del pianeta. Con i nostri prodotti siamo in grado di alimentare non 300, ma 700-800 milioni di persone! Ma per ottenere questo dovremmo attuare una politica di un certo tipo. Potremmo entrare in relazione con qualsiasi centro di forza mondiale – con la Cina, gli Stati Uniti, il mondo Arabo, l'Europa unita. Potremmo avere un enorme profitto, beneficiando della nostra posizione.

Uno degli eventi principali dell'anno che è trascorso è rappresentato dal volgersi della Russia verso sud e verso est. Lo ha fatto Vladimir Putin, e noi in questo lo sosteniamo attivamente. Perché in Asia oggi ci sono i più consistenti flussi finanziari ed energetici, abbiamo un enorme mercato e grandi amici. Occorre ricordare che queste opportunità per la Russia si potenzieranno, se all'interno del paese si metterà fine all'antisovietismo. In Cina il Partito Comunista governa, e quest'anno la Cina ha superato gli Stati Uniti per alcuni indicatori. Putin ha dichiarato che la storia non deve essere ideologizzata, che occorre prendere il meglio di tutte le epoche, e che l'epoca sovietica è stata straordinaria.

- Quest'anno il giorno della consultazione elettorale è stato un successo per il PCFR. A Novosibirsk ha ottenuto la vittoria nelle elezioni per il sindaco, mentre alla Duma di Mosca suo nipote è il più giovane deputato ad essere stato eletto. Si può affermare che sarà il suo successore?

- Non esistono successori nel partito, il nostro è un collettivo. Il partito è molto responsabile e serio. Sono soddisfatto per il fatto che mio nipote sia riuscito a vincere le elezioni in uno dei quartieri più difficili. Ma l'ho avvertito che il mio nome lo aiuterà solo nel caso sia in grado di dimostrare conoscenza, rara diligenza, entrare in ogni casa e rispondere alle domande dei suoi elettori. Gli auguro successo.

Per quanto riguarda il partito, è molto ringiovanito, risponde meglio alle esigenze di oggi. Il paese in questa fase deve rendersi conto che ci troviamo di fronte a grandi prove. Si potrà avere successo solo se riusciremo a unire le generazioni, se apriremo la strada ai giovani talenti e se ci ricorderemo dell'antico motto di Aleksandr Nevskij: “Dio non è nella forza, ma nella verità”. La Russia senza la verità, la giustizia e l'amicizia dei popoli semplicemente non può esistere.
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Le repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk si battono per la libertà, la dignità, l'indipendenza

19 Febbraio 2015
da kprf.ru | Traduzione dal russo di Mauro Gemma

Dalla conferenza stampa di Ghennady Zyuganov, presidente del Partito Comunista della Federazione Russa (PCFR), 17 febbraio 2015

“Si sono svolte nuove trattative a Minsk. Apparentemente su tutto ci si sarebbe accordati. E tuttavia, continuano i bombardamenti. Il che avrebbe dovuto indurre la giunta a Kiev e i suoi protettori americani a dare l'ordine ai soldati ucraini a Debaltsevo di consegnare immediatamente le armi e a tornarsene a casa! E invece si continua a utilizzare soldati e ufficiali come carne da cannone”, ha affermato emozionato il leader del PCFR.

“Il capo dello Stato e militare della Repubblica Popolare di Donetsk Aleksandr Zakharchenko – è un vero comandante e dirigente. Egli ha suggerito ai combattenti ucraini accerchiati a Debaltsevo: “Deponete le armi e andatevene dove volete, a Occidente come a Oriente. Noi ci comporteremo con onore verso di voi. Non vogliamo che vi trasformiate in carne da cannone. Ma né Poroshenko, né i suoi scagnozzi, né i loro protettori americani trovano il coraggio di trattare umanamente i soldati dell'esercito ucraino, come dovrebbero fare i veri comandanti e dirigenti”, - ha fatto notare G.A. Zyuganov.

“Intendo fare una dichiarazione ufficiale a nome delle forze patriottiche e popolari. Il popolo ucraino deve assolutamente convincersi che alla sua attuale dirigenza non basta assolutamente un esercito normale. E neppure un servizio militare dignitoso in nome della libertà, dell'indipendenza e dell'integrità territoriale dell'Ucraina. La giunta di Kiev punta a un'altra provocazione per scavare una nuova trincea in Europa. E in questa operazione sono pesantemente coinvolti gli americani”, - ha sottolineato il leader comunista russo.

Zyuganov ha raccontato che il deputato del partito di opposizione “Die Linke” al Bundestag tedesco, Wolfgang Gehrcke, si è incontrato a Mosca con la leadership della Duma di Stato. “Ha parlato con Ivan Ivanovich Melnikov (vicepresidente del PCFR). Il loro incontro è proseguito a Narishkin. In seguito, Gehrcke ha chiesto di andare a Rostov sul Don. Quando là ha visto in che condizioni versano i rifugiati, insieme ai suoi colleghi ha raccolto dei fondi per acquistare tre vetture di medicinali”.

“Il deputato Gehrcke si è poi recato nel Donbass – ha proseguito il leader del PCFR -. E' stato a Donetsk, dove si è incontrato con Zakharchenko. Si è trovato sotto il fuoco e i bombardamenti. Si è personalmente convinto che le repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk si battono per la loro libertà, dignità e indipendenza. Sono sicuro che Gehrcke, un deputato onesto e coraggioso, interverrà in modo appropriato nel Bundestag, raccontando ai colleghi che cosa ha visto con i propri occhi. E in che modo oggi gli accordi di Minsk sono rispettati dalla giunta di Kiev”.

“Allo stesso tempo – ha rilevato Zyuganov – in questo contesto sono state imposte nuove sanzioni alla Russia e ai politici russi. Quale bisogno hanno i rappresentanti dell'Unione Europea di continuare la politica delle sanzioni contro il nostro paese? Allargandole a 151 persone. E chi inseriscono nel nuovo elenco? I comandanti militari, a cui possono essere eventualmente presentati reclami, dal momento che è loro dovere eseguire onorevolmente il proprio compito. Ma quando in questo elenco compare un artista popolare, una dignitosa persona come Joseph Kobzon (http://en.wikipedia.org/wiki/Joseph_Kobzon), non ci troviamo di fronte solo ad una stranezza. Tutto ciò è sorprendentemente cinico. Francamente disgustoso”, - ha aggiunto il leader del PCFR.

Io conosco da lungo tempo Joseph Davidovich. E' stato in tutti i punti caldi. Ha visitato decine di volte l'Afghanistan, quando là eravamo in guerra. Ha rischiato la sua testa, per proteggere bambini. Ha aiutato le persone dopo l'attacco terroristico a Dubrovka. Nei giorni sanguinosi dell'ottobre 1993 ha fatto di tutto per salvare coloro che erano rimasti nella Casa dei Soviet. E' coraggioso e onesto, un uomo molto sincero”.

Kobson si è recato nella sua patria, il Donbass. Ha studiato a Kramatorsk, Slavyansk, Donetsk. E' cittadino onorario di alcune di quelle città. Ciò dovrebbe essere gradito a tutti. Perché svolge un ruolo straordinario come rappresentante della pace, della democrazia e degli autentici diritti dell'uomo”.

“Mi rivolgo alla leadership della Germania e dell'Unione Europea. Da vent'anni intervengo al Consiglio di Europa. E vi ho invitato all'unità di azione in nome della pace, del bene comune, della giustizia, contro il nazismo, il fascismo, l'eredità di Bandera. Ho sostenuto l'idea di un'Europa da Dublino a Vladivostok”.

“Ma voi che cosa fate? - continua Zyuganov – Punite un uomo che gode di indiscussa autorità nel nostro paese. Recentemente con Kobzon abbiamo organizzato il movimento “I bambini della Russia per i bambini del Donbass”. Abbiamo organizzato con lui un concerto per i bambini della Novorossija. Insieme a lui centoventi bambini che vivono in condizioni disagiate. Avreste dovuto vedere che esibizione! I bambini applaudivano, piangevano e lo accompagnavano nella musica, abbracciandolo”.

“Perché non volete ascoltare, presunti democratici e cinici, la voce della gente comune? Almeno la voce di quei bambini che Joseph Davidovich vuole salvare nel Donbass”, - ha affermato il leader dei comunisti russi.

“Per quanto riguarda le sanzioni imposte a Valery Rashkin, nostro compagno di partito (uno dei massimi dirigenti del PCFR, ndt), assicuro che le sopporterà senza problemi. Considero le sanzioni che hanno colpito Rashkin una sorta di onorificenza per la sua inflessibile posizione, onesta e di principio”.

(…)



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http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/noguerra/NotizieCommenti_1423504650.htm

L’Italia rafforza il proprio ruolo nel conflitto Nato-Russia   

di Antonio Mazzeo

“C’è stata la richiesta da parte della Nato di prolungare per altri quattro mesi la missione dell’Aeronautica italiana in Lituania e noi abbiamo dato la nostra disponibilità”. L’annuncio della ministra Roberta Pinotti è giunto al termine del vertice dei Ministri della Difesa della Nato, tenutosi a Bruxelles il 5 e 6 febbraio scorso. L’Italia continuerà dunque ad essere in prima linea perlomeno sino ad agosto nelle operazioni aeree anti-Russia con quattro caccia multiruolo Eurofighter “Typhoon”, nell’ambito della Baltic Air Patrol (BAP), la missione Nato di pattugliamento e sorveglianza dello spazio aereo delle Repubbliche baltiche. “Era prevista una rotazione con un altro paese che doveva sostituirci, ma la Lituania si sente rassicurata dalla continuazione della nostra presenza”, ha spiegato Pinotti.
La missione dei caccia italiani nel Baltico ha preso il via il 1° gennaio dall’aeroporto militare di Šiauliai, in Lituania. I caccia, gli equipaggi e il personale provengono dal 4° Stormo dell’Aeronautica di Grosseto, dal 36° Stormo di Gioia del Colle (Bari) e dal 37° Stormo di Trapani-Birgi. Le forze armate italiane hanno assunto il comando della BAP a cui sono assegnati anche quattro caccia Mig-29 delle forme armate polacche schierati a Šiauliai, quattro Eurofigheter spagnoli di base nell’aeroporto di Amari (Estonia), quattro cacciabombardieri belgi F-16 a Malbork (Polonia).
L’Eurofigter “Typhoon” in dotazione all’Aeronautica italiana è un caccia di ultima generazione con ruolo primario di “superiorità aerea” e intercettore. Con una lunghezza di 16 metri e un’apertura alare di 11, il guerriero europeo può raggiungere la velocità massima di 2 mach (2.456 Km/h) e un’autonomia di volo di 3.700 km. Il velivolo è armato di cannoni Mauser da 27 mm; bombe a caduta libera Paveway e Mk 8283 e 84 da 500 a 2.000 libbre e a guida GPS JDAM; missili aria-aria, aria-superficie e antinave a guida radar e infrarossa; missili da crociera MBDA “Storm Shadow”, con oltre 500 chilometri di raggio d’azione.
La Nato opera nei cieli delle Repubbliche baltiche dall’aprile 2004 sulla base di un accordo firmato con i governi di Estonia, Lettonia e Lituania. Nel 2010 Bruxelles aveva deciso di prorogare le missioni aeree sino alla fine del 2014, ma le Repubbliche baltiche hanno ottenuto un’ulteriore estensione della BAP sino al dicembre 2018. Originariamente l’Alleanza assegnava alla “vigilanza” del Baltico quattro caccia, forniti a rotazione dai Paesi membri; successivamente il contingente è stato prima triplicato e poi quadruplicato nel 2014 con lo scoppio del conflitto in Ucraina. Secondo il sito specializzato Analisi Difesa, ad oggi i caccia italiani hanno intercettato nei cieli dell’Est Europa due velivoli russi “sospetti”: il 30 gennaio un aereo cisterna e il 2 febbraio un cargo Ilyushin 76 Candid.
Al recente vertice dei ministri della Nato è stato approvato all’unanimità il piano che modifica le azioni d’intervento ai confini meridionali e orientali dell’Alleanza. Innanzitutto è stato deciso di triplicare il numero dei militari assegnati alla Response Force (NRF), la Forza congiunta di Rapido Intervento che così potrà contare sino a 30.000 unità. Sei i paesi che guideranno a rotazione la NRF: Germania, Italia, Francia, Gran Bretagna, Polonia e Spagna. Il prossimo mese di giugno il Comando di Bruxelles definirà i dettagli logistici per i rafforzamento della task force, mentre la piena operatività sarà raggiunta solo dopo il vertice Nato di Varsavia previsto nel giugno 2016. Punta di lancia della NRF sarà la Very High Readiness Joint Task Force (VJTF) che opererà principalmente in funzione anti-russa. “A Bruxelles abbiamo deciso di attivare questa forza di pronto intervento con la brigata di terra Spearhead di 5.000 militari circa”, ha annunciato il Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. “La Spearhead Force sarà supportata da forze aeree e navali speciali e, in caso di crisi maggiori, da due altre brigate con capacità di dispiegamento rapido”. La nuova brigata Spearheadpotrà contare su sei centri di comando “immediatamente operativi” in Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia e Romania. “Se esplode una crisi, questi centri assicureranno che le forze nazionali e Nato, ovunque si trovino, possano agire subito”, ha spiegato Stoltenberg. “Essi renderanno ancora più rapidi i dispiegamenti, supporteranno la difesa collettiva e aiuteranno a coordinare l’addestramento e le esercitazioni”.
“L’Italia assicura il proprio supporto al processo di implementazione del RAP Readiness Action Plan (RAP), il piano di risposta operativa della Nato, nella certezza che garantirà all’Alleanza un insieme di strumenti idonei a rafforzare la cornice di sicurezza globale, soprattutto in risposta alle minacce derivanti dalla crisi tra Russia e Ucraina ed a quelle provenienti dall’area mediorientale e del Nord Africa”, ha dichiarato la ministra Roberta Pinotti. “Riguardo l’implementazione del RAP, all’Italia è stato chiesto di ricoprire il ruolo di Framework Nation per la costituzione della VJTF, la forza congiunta di pronto intervento basata sulla brigata Spearhead”.



Lunedì 09 Febbraio,2015


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http://www.marx21.it/internazionale/area-ex-urss/25127-questione-russa-e-propaganda-euro-atlantica.html

Questione russa e propaganda euro-atlantica

10 Febbraio 2015

di Federico La Mattina per Marx21.it

Dallo scoppio della crisi ucraina i media occidentali hanno portato avanti una martellante campagna di disinformazione volta a presentare la Federazione Russa come responsabile della guerra civile ucraina e sulla base di questo hanno avallato le scellerate scelte europee in materia di sanzioni contro la Russia. Il voto al Parlamento Europeo del 15 gennaio, che ha visto uniti popolari e socialisti, ha confermato la politica aggressiva dell’Unione Europea, minacciando direttamente la pace in Europa. Le recenti dichiarazioni della NATO e le allusioni di qualche leader europeo dovrebbero mettere in allarme chiunque abbia a cuore le ragioni della pace.

L’Unione Europea ha svolto fin dall’inizio un ruolo di prim’ordine nella realizzazione del golpe di febbraio contro il governo Yanukovich e ha avallato le politiche imperialiste nordamericane miranti a pressare e contenere la Russia tramite l’avanzata della NATO. In Italia il dibattito sui rapporti euro-russi è quasi inesistente; chi sostiene la necessità di instaurare normali rapporti politici, economici e di scambio culturale con la Russia viene solitamente bollato, con un certo sprezzo, come “filorusso” o, addirittura, come “ostile all’Europa”. E’ evidente che nell’immaginario comune (riflesso delle idee propagandate dagli organi di informazione legati a diversi livelli ai gruppi dominanti) non esiste Europa al di fuori della cornice euro-atlantica.

Manlio Dinucci ha fatto notare come la strategia statunitense in Ucraina abbia un duplice scopo: da un lato consegnare l’Ucraina nelle mani del FMI e annetterla alla NATO per ridimensionare la Russia e la sua politica estera; dall’altro, scrive Dinucci, «sfruttare la crisi ucraina, che Washington ha contribuito a provocare, per rafforzare l’influenza statunitense sugli alleati europei, alimentando in Europa uno stato di tensione che permetta agli Usa di mantenere tramite la Nato la loro leadership sugli alleati, considerati in base a una differente scala di valori: con il governo tedesco Washington tratta per le spartizione di aree di influenza, con quello italiano (“tra i nostri amici più cari al mondo”) si limita a pacche sulle spalle sapendo di potere ottenere ciò che vuole». [1]

Le dichiarazioni del nuovo primo ministro greco, Alexis Tsipras, indirizzate verso una politica europea di distensione nei confronti della Russia hanno provocato reazioni simili (e prevedibili) nella variegata stampa italiana. Qualcuno ha fatto riferimento addirittura al «rischio di una Grecia putiniana» lanciandosi in improbabili paragoni con l’Atene periclea (o meglio con le parole che Tucidide attribuì a Pericle): «[…]Perché qui quelli del nuovo governo Tsipras li stiamo immaginando come moderne versioni di Pericle, capaci di insegnare la democrazia all'Europa e al mondo» [2]. Già Luciano Canfora, in quel bellissimo libro che è “La democrazia, storia di un’ideologia”, ha destrutturato i rimandi inappropriati (inseriti all’interno della bozza del preambolo della Costituzione europea diffusa nel 2003) al logos epitaphios del Pericle tucidideo [3]. Tsipras, secondo l’autore dell’articolo a cui si è fatto riferimento, poteva quindi essere un “moderno Pericle” ma le simpatie verso la Russia lo hanno distanziato dal suo ‘antenato’ (la Russia, viene da chiedersi col sorriso tra le labbra, corrisponderebbe quindi alla Sparta oligarchica del V sec. a.C. ?). Perché no, magari qualcun altro troverà da qualche parte a Oriente anche i corrispondenti dei barbaroi dell’impero achemenide.

Un altro articolo, pubblicato su un noto quotidiano nazionale, presenta una cartina che mostra l'evidente accerchiamento della Russia da parte della NATO, nondimeno il titolo dell’articolo è “Così la Nato prova a contenere l’espansionismo militare russo” [4]. Gli esempi rinvenibili nella stampa italiana sono innumerevoli e non si esauriscono certamente qua.

La propaganda antirussa mira a presentare la Russia come un paese costantemente in espansione e aggressivo, in particolar modo facendo riferimento alla questione ucraina. Poco importa che sia il governo di Kiev a bombardare i civili, a sguinzagliare battaglioni di neonazisti nel Donbass e a esercitare repressione politica di cui i comunisti ucraini sono tra le vittime principali. Il Partito Comunista Ucraino è infatti uno dei principali partiti che si è opposto con forza al golpe dello scorso inverno. E’ evidente che la Russia del XXI secolo non è più il paese domo in condizione semi-coloniale quale fu la Russia della parentesi eltsiniana quando venne investita da un’ondata di privatizzazioni selvagge, un gruppo di oligarchi prese in mano le ricchezze del paese, si formarono immense ricchezze private e circa il 40% della popolazione scese sotto la soglia di povertà. Solo più tardi, scrive Losurdo, «la Russia riusciva a stabilire il controllo sul suo immenso patrimonio energetico, e ciò in seguito all’avvento di forze e personalità politiche odiate a Washington e a Bruxelles» [5]. Appare chiaro che la Russia del XXI secolo – che pretende le venga riconosciuto lo status di potenza multilaterale eurasiatica – non va bene alla potenza egemone (declinante) statunitense. Non è certamente un caso che Obama lo scorso 25 marzo abbia definito provocatoriamente la Russia una «potenza regionale» e «isolata», sapendo di non dire il vero a meno che non si consideri il G7 (più qualche Stato subordinato) coincidente con la “comunità internazionale”.

Basta dare un’occhiata ad una qualsiasi cartina che mostri l’avanzata della NATO dall’inizio degli anni novanta ad oggi per rendersi conto che chiunque parli di minaccia all’Europa da parte russa stia fantasticando. E’ utile fare un breve riepilogo: nel 1999 aderirono Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia; nel 2004 sette nuovi Stati: Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia. Nel 2009 vennero integrate Albania e Croazia. La Russia, ancora debole, non si è opposta ai primi allargamenti. L’espansionismo aggressivo della NATO, lo schieramento del sistema antimissile BMD (formalmente contro l’Iran, in realtà in ottica antirussa) e le cosiddette ‘rivoluzioni colorate’ hanno messo la Russia in allarme; oggi assistiamo al tentativo atlantico di integrazione di Ucraina e Moldavia. Il progressivo avanzamento della NATO ad Est viene percepito come una chiara minaccia nei confronti della Russia che il 26 dicembre 2014 ha annunciato un significativo cambiamento di strategia e priorità: la NATO viene infatti considerata la minaccia primaria alla sicurezza nazionale.

Ha scritto Domenico Losurdo nel suo ultimo saggio “La sinistra assente”, a proposito della reazione russa dopo il golpe di Kiev:

Era una reazione stimolata dalla rivolta delle regioni russofone dell’Ucraina, indignate per il regime change e allarmate per il ruolo svolto da forze violentemente russofobe e fascistoidi, ed era comunque una reazione di difesa contro un’espansione della NATO in Europa orientale che, accompagnata com’è dall’avanzata dello scudo spaziale, mira a far pesare su Mosca il terrore del primo colpo nucleare. [6]

Il crollo dell’URSS e il processo di ‘colonizzazione’ della Russia negli anni novanta ha dato inizio ad un quindicennio di unipolarismo statunitense che negli ultimi anni è stato messo in crisi dalla crescita economica e militare della Cina, dal ruolo di potenza ritrovata della Russia e in generale dall’ascesa dei BRICS; si sta quindi configurando un assetto globale post-occidentale. Gli Stati Uniti, pur essendo una potenza ‘a debito’, mantengono il predominio militare a livello globale e hanno una visione del mondo unipolare (Obama, in occasione del discorso di fronte ai cadetti di West Point dello scorso anno, non ha rinunciato a fare riferimento all’“eccezionalismo” americano).

Giovanni Arrighi (studioso dei processi di transizione egemonica) ha fatto notare come l’espansione finanziaria della fine del ventesimo secolo sia stata caratterizzata da un’anomalia. Di fronte a un processo di “ricentralizzazione” dell’economia globale in Asia Orientale (e in particolar modo in Cina) siamo di fronte ad una biforcazione senza precedenti tra potere finanziario e militare che può portare a diversi scenari futuri, in base alla reazione della potenza egemone declinante nordamericana.

E’ utile fare riferimento alle previsioni espresse da un politologo organico all’impero come Brzezinski, nella celebre opera del 1997,“La Grande Scacchiera”. Brzezinski ribadisce più volte il ruolo centrale dell’Ucraina (e gli interessi statunitensi di svincolarla dalla Russia) e scrive:

La ferma volontà dell’Ucraina di difendere la propria indipendenza è stata incoraggiata dall’esterno. Sebbene inizialmente l’Occidente, e in special modo gli Stati Uniti, avessero tardato a riconoscere l’importanza geopolitica di uno Stato ucraino autonomo, verso la metà degli anni novanta l’America e la Germania divennero strenui sostenitori del separatismo di Kiev. Nel luglio del 1996, il segretario della Difesa americano dichiarava: «Non possiamo sottovalutare l’importanza di un’Ucraina indipendente per la sicurezza e la stabilità di tutta l’Europa», mentre in settembre il cancelliere tedesco Kohl, nonostante il forte sostegno espresso per Eltsin, si spingeva ancora oltre dichiarando che «il saldo ancoraggio dell’Ucraina all’Europa non può essere messo in discussione da nessuno […] [7]

Brzezinski presenta alcuni possibili scenari futuri per la Russia: scarta la possibilità di una convergenza russo-tedesca o russo-francese finalizzata allo scardinamento dei legami transatlantici con gli Stati Uniti. Il celebre politologo statunitense considera però remota anche una “coalizione antiegemonica” composta da Russia, Cina e Iran. Scrive Brzezinski:

Il necessario punto di partenza di qualsiasi controalleanza di questo tipo sarebbe stato il rilancio del rapporto bilaterale tra Cina e Russia, fondato sulla reazione della classe dirigente di entrambi i paesi alla prospettiva che l’America potesse diventare l’unica superpotenza mondiale. […] Ma una soluzione fra Russia, Cina e Iran può svilupparsi solo se gli Stati Uniti sono abbastanza miopi da entrare in urto con Pechino e Teheran simultaneamente: un’eventualità che non può ovviamente essere esclusa, come s’è visto nel 1995-1996, quando Washington arrivò ai ferri corti con entrambe queste capitali. Né l’Iran né la Cina, tuttavia, vollero arrischiare un’alleanza strategica con una Russia debole e instabile, ben sapendo che una simile coalizione, spinta oltre una qualche intesa tattica occasionale, avrebbe messo a repentaglio il loro rapporto con i Paesi più industrializzati, gli unici in grado di far affluire investimenti e trasferire le tecnologie più avanzate necessarie al loro sviluppo. La Russia, per contro, aveva ben poco da offrire a sostegno di un’efficace coalizione antiamericana. [8]

Continua poco dopo a proposito delle scelte geostrategiche che la Russia “avrebbe dovuto” attuare in futuro:

Nessuna ipotesi di controalleanza, pertanto, rappresenta una valida alternativa. […] L’unica vera opzione geostrategica per la Russia – che potrebbe darle – realisticamente, un ruolo internazionale, permettendole di massimizzare le sue probabilità di trasformazione e di modernizzazione sociale – è l’Europa. E non un’Europa qualunque, bensì quella transatlantica rappresentata dall’allargamento dell’UE e della NATO. Un’Europa siffatta (come abbiamo visto nel capitolo 3) sta prendendo forma, ed è anche probabile che rimanga strettamente legata all’America. Questa è l’Europa con la quale la Russia dovrà entrare in rapporto, se vorrà evitare un pericoloso isolamento geopolitico. […] Anche se un’alleanza strategica russo-cinese e russo-iraniana a lungo termine è improbabile, è ovviamente importante che l’America eviti politiche che possano distrarre la Russia dal compiere questa necessaria scelta geopolitica. [9]

Se da un lato le previsioni in merito ai rapporti euro-atlantici di Brzezinski sono oggi pienamente confermate, dall’altro, come fa notare il politologo marxista Atilio Boron [10], i recenti accordi di tipo economico, politico e militare siglati da Russia e Cina si muovono proprio in quella direzione considerata remota da Brzezinski. La nascita dell’Unione doganale eurasiatica ha inoltre rappresentato un primo passo verso l’integrazione regionale eurasiatica considerata improbabile dal politologo statunitense. La “necessaria scelta geopolitica” da parte russa auspicata da Brzezinski, cioè un legame sempre più stretto con l’Europa transatlantica, risulta oggi evidentemente sconfessata. E’ all’interno del deterioramento del quadro politico globale per gli Stati Uniti che, secondo Boron, si devono considerare i cambiamenti di calcolo geopolitico da parte degli «strateghi dell’impero», compreso il ‘disgelo’ con Cuba portato avanti mentre si inaspriscono le sanzioni contro il Venezuela bolivariano.

L’analista di politica internazionale Pepe Escobar, in un articolo del 16 dicembre sulla “Nuova via della seta della Cina” ha posto al centro della sua riflessione lo spostamento verso Est degli equilibri globali:

Now, mix the Silk Road strategy with heightened cooperation among the BRICS countries (Brazil, Russia, India, China and South Africa), with accelerated cooperation among the members of the Shanghai Cooperation Organization (SCO), with a more influential Chinese role over the 120-member Non-Aligned Movement (NAM)—no wonder there’s the perception across the Global South that, while the United States remains embroiled in its endless wars, the world is defecting to the East. [11]

In questa direzione si muovono gli equilibri globali ed è in tale contesto che si colloca la Russia del XXI secolo. Le ragioni della pace e della pacifica convivenza tra nazioni e popoli sono oggi messe in discussione dalle politiche aggressive degli Stati Uniti e della NATO, spalleggiati dall’Unione Europea. Il mutamento degli equilibri globali in favore delle potenze emergenti e il progressivo configurarsi di un assetto multipolare forniscono nuove prospettive anche per il popoli del Sud. Di fronte a tale mutamento, l’Occidente guidato dalla «nazione indispensabile» è spinto, come scrive Losurdo, a un «concitato attivismo geopolitico e militare» [12]. E’ in tale contesto che devono muoversi i comunisti e la sinistra per fare fronte al pericolo di una escalation militare nel cuore dell’Europa.

Note

[1] Dinucci Manlio, La vera posta in gioco nella crisi ucraina, in “MarxVentuno”, 1-2 2014 anno XXII, pp. 7-12.
[3] Canfora Luciano, La democrazia. Storia di un’ideologia, Bari, Laterza, 2004, pp. 11-30.
[4] http://www.lastampa.it/2015/02/08/esteri/cos-la-nato-prova-a-contenere-lespansionismo-militare-russo-3ni2NEFuO0yGNtp0G5VyvJ/pagina.html
[5] Losurdo Domenico, La lotta di classe. Una storia politica e filosofica, Bari, Laterza, 2013, p. 267.
[6] Losurdo Domenico, La sinistra assente. Crisi, società, spettacolo, guerra, Roma, Carocci editore, 2014, p. 125.
[7] Brzezinski Zbigniew, La Grande Scacchiera, Milano, Longanesi & C, 1998, pp. 153-154.
[8]Ivi, pp. 157-158.
[9] Ivi., pp. 160-161.
[12] Losurdo D., La sinistra assente, cit., p. 278.


=== 4 ===

http://www.marx21.it/internazionale/area-ex-urss/25183-le-radici-della-guerra-in-ucraina.html

Le radici della guerra in Ucraina

20 Febbraio 2015

di Albano Nunes | da www.avante.pt

Traduzione di Marx21.it

La scalata dello scontro di USA-UE-NATO con la Russia racchiude enormi pericoli per la pace in Europa e nel mondo. I frenetici movimenti diplomatici che hanno portato Merkel e Hollande a Kiev, a Mosca e a Washington (solo Merkel) e a un nuovo vertice a Minsk di Germania, Francia, Ucraina e Russia, dimostrano che la situazione è realmente molto seria. La cessazione del fuoco concordata per il Sud-est dell'Ucraina avviene in un quadro in cui l'installazione del sistema anti-missili degli USA, la moltiplicazione delle basi militari nella regione e l'azione criminale delle brigate naziste armate dagli USA, si aggiungono alle decisioni della NATO di triplicare gli effettivi della sua “Brigata di Intervento Rapido” e del Congresso degli Stati Uniti sulla fornitura al governo golpista di armamneto “letale”, che rappresentano autentici preparativi alla guerra.

La Russia di oggi è un paese capitalista. Che nessuno si aspetti dal suo governo una politica estera conseguentemente antimperialista. Ma è un'evidenza che Putin non è Eltsin, che il governo russo non può non tenere conto della forza di un popolo che nei primi tempi della Rivoluzione d'Ottobre e nella “Grande Guerra Patriottica” ha respinto e sconfitto eroicamente l'aggressione straniera salvando l'umanità dalla barbarie nazi-fascista.
Caratterizzare il dramma dell'Ucraina e la pericolosissima scalata della tensione con la Russia come semplice espressione di “contraddizioni inter-imperialiste”, è un errore che ignora che le radici della guerra sono fondamentalmente interne alla società ucraina, un errore che rischia di facilitare gli obiettivi dell'imperialismo.

Per comprendere la situazione è necessario avere presente due dinamiche. Una che ha inizio nel novembre 2013, con il rifiuto dell'Ucraina di firmare l'accordo di associazione con l'Unione Europea. A partire da allora si è sviluppata un'inarrestabile scalata di ingerenze esterne e sovversione, la riabilitazione e l'appoggio a forze fasciste e la persecuzione dei comunisti, l'imposizione a Kiev di un governo fantoccio al servizio delle grandi potenze imperialiste, la brutale repressione nel Sud-est del paese del generalizzato rifiuto popolare del governo golpista che ha provocato migliaia di vittime, un drammatico flusso di sfollati e rifugiati, e crimini terroristi come l'assalto del 2 maggio alla Casa dei Sindacati di Odessa. L'altro aspetto è la corsa dell'imperialismo verso Est in conseguenza della disgregazione dell'URSS e delle sconfitte del socialismo, corsa in cui UE, NATO e USA cooperano (e rivaleggiano) per sradicare completamente tutto ciò che decenni di socialismo avevano conquistato, distruggere il potenziale economico e e impossessarsi dei mercati di questi paesi, far avanzare i dispositivi della NATO fino alle frontiere della Russia la cui potenza economica e militare, in particolare nucleare, gli USA cercano con tutti i mezzi di distruggere. Dall'annessione della RDT alla distruzione della Jugoslavia, eventi in cui la Germania è stata il principale protagonista, è stato fatto di tutto per rimuovere qualsiasi resistenza. L'Ucraina ne è il più recente esempio.

E' qui che si trovano le radici di un focolaio di guerra tanto più pericoloso in quanto si sviluppa nel quadro della più profonda e prolungata crisi capitalista e in cui è visibile la tentazione dei settori più reazionari e aggressivi del grande capitale di ricorrere al fascismo e alla guerra per dirimere le proprie contraddizioni e, a costo di colossali distruzioni materiali e umane, restaurare le condizioni della riproduzione del capitale come era accaduto con la 2° Guerra Mondiale il cui 70° anniversario della sua fine celebreremo quest'anno. Combattendo il fascismo, l'imperialismo e la guerra. Unendo le forze per la pace.


=== 5 ===

http://contropiano.org/documenti/item/29244-il-vostro-futuro-e-una-nuova-norimberga

Il vostro futuro è una nuova Norimberga

Nico Macce*, 19 Febbraio 2015 

Un anno è passato dalla caduta del governo Yanukovich in Ucraina, da Euromaidan. Da quella che tutti i media occidentali avevano annunciato come la seconda rivoluzione arancione per la democrazia.
Un anno denso di atrocità in quei luoghi e infarcito di menzogne e censure da parte dei principali media nostrani.
Non è mia intenzione ripercorrere le tappe di questa vicenda. Ci sono siti e blog che sono già molto esaustivi. Piuttosto ritengo importante inquadrare questa sporca e irresponsabile guerra creata dai poli imperialisti USA e UE dell’Alleanza Atlantica, in un disegno più ampio che si va formando in Europa e più in generale a livello internazionale.
Se menzionerò qualche dato è per i più pigri, che non hanno voglia di andarsi a documentare, ma che rischiano così di non avere la dimensione reale di quello che ritengo essere il rischio più grande di guerra su vasta scala che il pianeta stia correndo dalla seconda guerra mondiale ad oggi.

Il golpe.
Quando l’anno scorso gli USA hanno attuato il golpe di piazza Maidan in Ucraina, con la complicità attiva dei paesi NATO e dell’UE, lo scopo era quello di iniziare l’attacco alla Russia estendendo il controllo NATO fino ai confini russi e mettendo in crisi il governo di Putin con lo scopo di rovesciarlo.
È stato così abbattuto un governo che, per quanto corrotto e dominato da oligarchi regionali, era stato regolarmente eletto dai cittadini di quel paese.
Mentre i nostri media decantavano le folle di rivoltosi a piazza Maidan, ergendola a simbolo di una sorta di rivoluzione democratica e civile, ciò che stava accadendo, in realtà, di civile non aveva nulla.
I media occidentali riprendevano giovinette con mazzi di fiori e poliziotti schierati a difesa del palazzo, mentre in quella piazza entravano in scena veri e propri gruppi paramilitari nazisti. Le tv di altri paesi hanno mostrato una violenza inaudita da parte di questi manifestanti: bombe di fuoco sulla polizia, colpi di arma da fuoco, tutte pratiche di guerriglia che se messe in opera da manifestanti a Roma o a Berlino, avrebbero legittimato le repressioni più sanguinose da parte dei paesi “democratici e civili”.
Sopra i tetti di alcuni palazzi dei cecchini sparavano un po’ agli uni e un po’ agli altri. Chi li ha organizzati? Successivamente sarebbero emerse le vere responsabilità, meno che ovviamente per le opinioni pubbliche occidentali. Oggi è evidente che la cosa fu organizzata dai servizi di intelligence statunitensi e dei suoi alleati.
Così è stato realizzato un golpe contro un governo debole e divenuto impopolare, ma che poteva benissimo essere in discussione con regolari e democratiche elezioni. Qualcuno però mirava a ben altro.

L’avvento di un vero e proprio stato nazista in Ucraina.
USA-NATO-UE si sono serviti di gruppi paramilitari nazisti, regolarizzati poi in forze militari come il Battaglione Azov, nel momento in cui il sud est dell’Ucraina a prevalenza russofona si è ribellato al golpe.
Per mesi e mesi i media occidentali hanno filmato fiori per i “martiri” a piazza Maidan, decantandoci le qualità democratiche del nuovo “governo popolare”. I

(Message over 64 KB, truncated)



Sabato 21 febbraio2015   ore  21:00

CIRCOLO ARCI CLAUDIO ZILLERI 
Via della Viccinella, 4 
Capranica (VT)

PIETRO BENEDETTI

in

DRUG
GOJKO

REGIA DI

ELENA MOZZETTA


TRATTO DAI RACCONTI 
DEL PARTIGIANO NELLO MARIGNOLI
IDEATO DA GIULIANO CALLISTI E SILVIO ANTONINI
TESTI TEATRALI - PIETRO BENEDETTI
CONSULENZA LETTERARIA - ANTONELLO RICCI
MUSICHE - BEVANO QUARTET E FIORE BENIGNI
FOTO - DANIELE VITA
UN RINGRAZIAMENTO PARTICOLARE A NELLO MARIGNOLI



Drug Gojko (Compagno Gojko) narra, sottoforma di monologo, le vicende di Nello Marignoli, classe 1923, gommista viterbese, radiotelegrafista della Marina militare italiana sul fronte greco - albanese e, a seguito dell’8 settembre 1943, Combattente partigiano nell’Esercito popolare di liberazione jugoslavo. Lo spettacolo, che si avvale della testimonianza diretta di Marignoli, riguarda la storia locale, nazionale ed europea assieme, nel dramma individuale e collettivo della Seconda guerra mondiale. Una storia militare, civile e sociale, riassunta nei trascorsi di un artigiano, vulcanizzatore, del Novecento, rievocati con un innato stile narrativo, emozionante quanto privo di retorica.


«QUELLO CHE DICO, DICO POCO»
Note di Antonello Ricci sullo spettacolo Drug Gojko di Pietro Benedetti

L’inizio è sul dragamine Rovigno: una croce uncinata issata al posto del tricolore. Il finale è l’abbraccio tra madre e figlio, finalmente ritrovati, nella città in macerie.
Così vuole l’epos popolare. Così dispiega la sua odissea di guerra un bravo narratore: secondo il più convenzionale degli schemi, in ordine cronologico.
Ma mulinelli si aprono, di continuo, nel flusso del racconto. Rompono la superficie dello schema complessivo, lo increspano, lo fanno singhiozzare magari fino a contraddirlo: parentesi, divagazioni, digressioni, precisazioni, correzioni, rettifiche, commenti, esempi, sentenze, morali.
Così, proprio così Nello racconta il suo racconto di guerra. Nello Marignoli da Viterbo: gommista in tempo di pace; in guerra, invece, prima soldato della Regia Marina italica e poi radiotelegrafista nella resistenza jugoslava.
Nello è narratore di straordinaria intensità. Tesse trame per dettagli e per figure, una dopo l’altra, una più bella dell’altra: la ricezione in cuffia, l’8 settembre, dell’armistizio; il disprezzo tedesco di fronte al tricolore ammainato; l’idea di segare nottetempo le catene al dragamine e tentare la fuga in mare aperto; il barbiere nel campo di prigionia: «un ometto insignificante» che si rivela ufficiale della Decima Brigata Herzegovaska; le piastrine degli italiani trucidati dai nazisti: poveri figli col cranio sfondato e quelle misere giacchette a -20°; il cadavere del soldato tedesco con la foto di sua moglie stretta nel pugno; lo zoccolo pietoso del cavallo che risparmia i corpi senza vita sul sentiero; il lasciapassare partigiano e la picara«locomotiva umana», tutta muscoli e nervi e barba lunga, che percorre a piedi l’Italia, da Trieste a Viterbo; la stella rossa sul berretto che indispettisce i camion anglo-americani e non li fa fermare; la visione infine, terribile, assoluta, della città in macerie.
Ma soprattutto un’idea ferma: la certezza che le parole non ce la faranno a tener dietro, ad accogliere e contenere, a garantire forma compiuta e un senso permanente all’immane sciagura scampata dal superstite (e testimone). «Quello che dico, dico poco».
Da qui riparte Pietro Benedetti col suo spettacolo Drug Gojko. Da questa soglia affacciata su ciò che non si potrà ridire. Da un atto di fedeltà incondizionata al raffinato artigianato del ricordo ad alta voce di Nello Marignoli. Il racconto di Nello è ripreso da Pietro pressoché alla lettera, con tutti gli stigmi e i protocolli peculiari di una oralità “genuina” e filologica, formulaica e improvvisata al tempo stesso. Pausa per pausa, tono per tono, espressione per espressione. Pietro stila il proprio copione con puntiglio notarile, stillandolo dalla viva voce di Nello.
Questa la scommessa (che è anche ipotesi critica) di Benedetti: ricondurre i modi di un canovaccio popolare entro il canone del copione recitato, serbando però, al massimo grado, fisicità verace del narrare e verità delle sue forme.
Anche per questo la scena è scarna. Così da rendere presente e tangibile il doppio piano temporale su cui racconto e spettacolo si fondano (quello dei fatti e quello dei ricordi): sul fondo un manifesto antipartigiano firmato Casa Pound, che accoglie al suo ingresso Nello-Pietro in tuta da lavoro; sulla sinistra un pneumatico da TIR in riparazione; al centro il bussolotto della ricetrasmittente.
Andiamo a cominciare.

Sulla testimonianza di Nello Marignoli, partigiano italiano in Jugoslavia, si vedano anche:
* il libro "Diario di guerra" (Com. prov. ANPI, Viterbo 2004)
* il documentario-intervista "Mio fratello Gojko" (di Giuliano Calisti e Francesco Giuliani - DVD_60’_italia_2007) 

Lo spettacolo è ora anche un libro per i tipi di Davide Ghaleb Editore





Gli errori si pagano, i crimini anche

1) Manlio Dinucci – Gli incendiari gridano al fuoco 
2) Marinella Correggia – Libia 2011: troppi ignavi, silenziosi o consenzienti mentre la Nato apriva la strada ai nazi-califfi
3) Vincenzo Brandi – Ministro Gentiloni: senza vergogna
4) Diego A. Bertozzi – A Tripoli, a Tripoli ! 


Vedi anche:

A grande richiesta, proiettiamo per chi non le avesse mai viste e per chi se l'è dimenticate, a imperitura memoria, le immagini dell'assalto all'ambasciata libica di Roma. Pregasi notare come le bandiere di Re Idris si confondono con quelle di noti partiti sedicenti comunisti italiani. Il filmato si conclude con il rogo del vessillo della Jahamairyya al grido di Allah etc. Applausi. (Dal profilo FB di Serena M Nusdorfer)
ASSALTO ALL'AMBASCIATA LIBICA A ROMA (Libera.Tv, 23 feb 2011)

«IL MEDITERRANEO SARÀ INVASO» (intervista a cura di Laurent Valdiguié, 7 marzo 2011)
Gheddafi da Tripoli: «La scelta è tra me o Al Qaeda. L'Europa tornerà ai tempi del Barbarossa»

GHEDDAFI, NAPOLITANO: «ADESSO UN PAESE LIBERO» (20/10/2011)
VIDEO: http://video.sky.it/news/politica/gheddafi_napolitano_adesso_un_paese_libero/v100206.vid
I PADRI DEL DISASTRO LIBIA E L’INCIAMPO NAPOLITANO (di Michele Marsonet, 16 febbraio 2015)
Napolitano senatore analizza errori sull'Ucraina. Da Presidente i suoi errori sulla Libia visti dallo studioso

PRODI: «DA TRIPOLI A KIEV QUESTA EUROPA È ASSENTE SU TUTTO» (di Marco Ballico - Il Piccolo, 14 febbraio 2015)
http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2015/02/14/news/prodi-da-tripoli-a-kiev-questa-europa-e-assente-su-tutto-1.10862941


=== 1 ===

L’arte della guerra

Gli incendiari gridano al fuoco 
 
Manlio Dinucci 


La guerra che divampa in Libia miete sempre più vittime non solo sulla terra ma sul mare:.molti dei disperati, che tentano la traversata del Mediterraneo, annegano. «Da sotto il mare ci chiedono dove sia finita la nostra umanità», scrive Pier Luigi Bersani. Dovrebbe anzitutto chiedersi dove sia finita la sua umanità, e con essa la sua capacità etica e politica,, quando, il 18 marzo 2011 alla vigilia della guerra Usa/Nato contro la Libia, in veste di segretario del Pd, esclamava «alla buon’ora» , sottolineando che «l’articolo 11 della Costituzione ripudia la guerra, non l’uso della forza per ragioni di giustizia». 

Enrico Letta, che con Bersani si appella ora al senso umanitario , dovrebbe ricordarsi quando il 25 marzo 2011, in veste di vicesegretario del Pd, dichiarava «Guerrafondaio è chi è contro l'intervento internazionale in Libia e non certo noi che siamo costruttori di pace».,. 

Una «sinistra» che nascondeva le vere ragioni – economiche, politiche e strategiche – della guerra, sostenendo per bocca di Massimo D’Alema (già esperto di «guerra umanitaria» in Jugoslavia)  che «in Libia la guerra c’era già, condotta da Gheddafi contro il popolo insorto, un massacro che doveva essere fermato» (22 marzo 2011). 

Sostanzialmente sulla stessa linea perfino il segretario del Prc Paolo Ferrero che, il 24 febbraio 2011 a guerra iniziata, accusava Berlusconi di aver messo «giorni per condannare le violenze di Gheddafi», sostenendo che si doveva «smontare il più in fretta possibile il regime libico». Lo stesso giorno, giovani «comunisti» del Prc, insieme a «democratici» del Pd, assaltavano a Roma l’ambasciata di Tripoli, bruciando la bandiera della repubblica libica e issando quella di re Idris (la stessa che sventola oggi a Sirte occupata dai jihadisti, come ha mostrato il Tg1 tre giorni fa). 

Una «sinistra» che scavalcava la destra, spingendo alla guerra il governo Berlusconi, all’inizio restio (per ragioni di interesse) ma subito dopo cinico nello stracciare il Trattato di non-aggressione e nel partecipare all’attacco con basi e forze aeronavali. 

In sette mesi, l’aviazione Usa/Nato effettuava 10mila missioni di attacco, con oltre 40mila bombe e missili, mentre venivano infiltrate in Libia forze speciali, tra cui migliaia di commandos qatariani, e allo stesso tempo finanziati e armati gruppi islamici fino a poco prima definiti terroristi. Tra cui quelli che, passati in Siria per rovesciare il governo di Damasco, hanno fondato l’Isis e quindi invaso l’Iraq. 

Si è così disgregato lo Stato libico, provocando l’esodo forzato – e di conseguenza l’ecatombe nel Mediterraneo – degli immigrati africani che avevano trovato lavoro in questo paese. Provocando una guerra interna tra settori tribali e religiosi, che si combattono per il controllo dei campi petroliferi e delle città costiere, oggi in mano principalmente a formazioni aderenti all’Isis. 

Il ministro degli esteri del governo Renzi, Paolo Gentiloni, dopo aver ribadito che «abbattere Gheddafi era una causa sacrosanta», lancia l’allarme perché «l'Italia è minacciata dalla situazione in Libia, a 200 miglia marine di distanza». Annuncia quindi che giovedì riferirà in Parlamento sull'eventuale partecipazione italiana a un intervento militare internazionale «in ambito Onu». In altre parole, a una seconda guerra in Libia presentata come «peacekeeping», secondo quanto già richiesto da Obama a Letta nel giugno 2013, caldeggiata dalla Pinotti e approvata da Berlusconi. 

Siamo di nuovo al bivio: che posizione prenderanno quanti lavorano per creare una nuova sinistra e, al suo interno, l’unità dei comunisti?
 
(il manifesto, 17 febbraio 2015)



=== 2 ===

Libia 2011: troppi ignavi, silenziosi o consenzienti mentre la Nato apriva la strada ai nazi-califfi. 

Con atrocità e massacri, l’intero Medioriente e buona parte dell’Africa pagano per le guerre dei governanti occidentali e l'ignavia dei relativi popoli. In tanti dovrebbero mettersi in ginocchio. 

Adesso che il nazismo dello Stato sedicente islamico dilaga in Libia e sgozza lavoratori migranti egiziani sulle spiagge mentre altri frutti delle guerre occidentali dirette o indirette  continuano a morire in mare; adesso che il risultato della guerra Nato del 2011 si dispiega pienamente, adesso che- veramente da tempo -  gli altri effetti sono in Siria, Iraq, Africa, ammetterà qualche colpa chi nel 2011 per sette lunghi mesi non fece nulla, tacque o peggio avallò le menzogne mena-guerra dei cosiddetti “ribelli” poi rivelatisi bande islamiste e razziste che ora confluiscono nel califfato nazista - nazista per le infernali azioni e l'equivalente pensiero? 

Anche la Nato peraltro è nazista, visto che uccide a tutto spiano a casa d’altri e fa da aviazione a mostri, a volte apposta, altre volte alla Frankenstein. Lo scrivevamo su uno dei nostri cartelli il 14 febbraio 2015, partecipando come spezzone antiNato e antiguerra filoNato nel Donbass alla manifestazione per la Grecia (visto che Syriza almeno al tempo era per l’uscita dalla nato e contro l’appoggio europeo a Kiev). Eravamo visibili, anche sotto il palco. Ed era già arrivata la notizia di Sirte invasa dai mostri Naz-Isis dopo essere stata distrutta dal mostro Nato. Eppure gli oratori hanno ignorato la materia. 

La sinistra non dovrebbe avere come prima cura l’opporsi alle guerre di aggressione, il più osceno degli atti? E’ ormai il contrarioLo vediamo dal 2011, con la guerra Nato e italiana alla Libia. E poi sulla Siria, ora sul Donbass.

Nel 2011 a bombe cadenti, a opporci con continuità, in Italia e anche in Europa e Usa fummo poche unità o decine (e poche migliaia all'unica manifestazione nazionale a Napoli). Pochi disperati - sì, ci si deve disperare quando fanno la guerra! - in giro per l’Italia, in particolare gruppi a Roma e a Napoli. Nel resto d’Occidente e perfino nei paesi arabi fu lo stesso. Eravamo nel desertoNel deserto a sinistra! Non parlo nemmeno del Pd che ovviamente con Napolitano spinse a tutti i costi verso la guerra. Parlo della sinistra “radicale”…degli studenti, delle grosse associazioni, con personale e mezzi, dei pacifisti del 2003, delle strutture pagate per occuparsi di pace, degli indignati (che il 15 ottobre non ci degnarono di uno sguardo), dei social forum, delle ong umanitarie, egli ambientalisti, dei giornalisti diventati fan, dei “movimenti” diventati immobili, dei sindacati… Non fecero niente. Al massimo fecero un raduno un giorno, un comunicato, una dichiarazione.  Oppure, peggio, avallarono e diffusero sin dai primi giorni le menzogne che portarono alla guerra "umanitaria". Responsabilità diretta!

Invece di appoggiare platealmente l’azione di pace di Chavez, come chiese Fidel, in molti abbracciarono i “ribelli”, li chiamarono “partigiani”. Si è visto subito quali partigiani fossero. Eravate disinformati? Eppure c’era modo di informarsi, di capire che le fosse comuni non esistevano (allora), che i 10.mila morti fatti da Gheddafi erano una propaganda dei “ribelli”, che l’unica aviazione che aveva bombardato era quella della Nato. Quanti morti e mutilati ha fatto? Non si saprà mai. I vincitori contano solo i morti propri. Incontrai dei superstiti, a Tripoli. E dei bambini feriti. E tanti sfollati interni, chissà che fine hanno fatto; ad esempio la piccola Noor, 4 anni nell'agosto 2011, era a Zanzur, profuga da Tobruk...peccato non aver preso il numero del padre, per discrezione.Se è viva è in difficoltà. 

E i migranti? Ebbene, dalla caduta del governo libico nell’autunno 2011, quanti ne sono stati ammazzati dalle bande razziste? Quanti sono morti in mare grazie ai vostri ribelli fra i quali - ripeto - c’erano sfruttatori di migranti? Quanti ne sgozza adesso l’Isis? Quante centinaia di migliaia hanno dovuto tornare a casa dalla Libia in posti impoveriti e desertici come il Sahel, o allagati come il Bangladesh? Ognuna di queste domande ha dietro dati e ricerche. 

“Come mai non manifesta nessuno da voi?” mi chiedeva una cittadina libica sotto le bombe nel ramadan d’agosto. Che vergogna. Eppure, si poteva fare tanto! Tante persone erano contro, ma non avendo alcuna organizzazione, finirono per fare la guerra e la pace al computer. Cosa fecero, i pochi che si mossero, senza strutture, senza aiuti? Fecero, in pochissimi, sit-in, petizioni, disperati appelli all’estero, lettere ai giornali per la proposta Chavez, visite alle ambasciate non occidentali, presenze in Libia, digiuni ma non di piazza, domande scomode alle conferenze stampa Nato a Napoli (ma troppo tardi). A Napoli, l’unica manifestazione nazionale, disertata dai sunnominati gruppi. Invece, la Perugia Assisi di settembre, in pieno assedio di Sirte, a stento richiamò la Libia…E le tante manifestazioni “di sinistra” che si susseguirono in quei mesi, su vari argomenti, non erano mai contro la guerra, nemmeno durante il finale assedio a Sirte. Ci andammo, con i nostri cartelli,  cercando di sensibilizzare. 

In pochi occorre fare azioni dirette. Forse, incatenarsi in sciopero della fame davanti alle ambasciate dei paesi che potevano fermare la Nato: Russia e Cina. Era l’unica cosa da fare, insieme ad altre azioni dirette. Occorrerà studiare meglio cosa si può fare quando si è quasi soli. Ormai sono 25 anni di insuccessi totali; onestamente tocca ammettere che non fermammo nemmeno una bomba. Però, almeno c’è chi ci ha provato.

La colpa della tragedia è certo dei governanti in primo luogo, di destra e “sinistra di governo”. I quali rimarranno impuniti, sicuri nei loro privilegi nei secoli dei secoli. Così va il diritto internazionale.
 
Ma chi non fece nulla per fermare i vari Sarkozy, Napolitano, Obama, Hollande,  o peggio collaborò magari senza volerlo, si faccia carico, almeno dal punto di vista morale, di un po’ di tutti questi morti, amputati, immiseriti, annientati. 
 
Tanto è gratis. nemmeno una multa.

Marinella Correggia. Torri in Sabina


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Ministro Gentiloni: senza vergogna

16 FEBBRAIO 2015

Il ministro Gentiloni prospetta l’invio di 5000 militari italiani per andare a fare una nuova guerra in Libia, dove il caos e la lotta tra le varie bande di tagliagole jihadisti (ISIS, miliziani di Misurata, Alba Libica, Ansar Al Sharia, ecc.) si è tradotta in una situazione tragica per i cittadini di quel paese, prospero e pacifico fino a 4 anni fa. Se ne discuterà anche giovedì 19 in Parlamento.

Nemmeno un accenno di autocritica troviamo nelle parole di Gentiloni. Chiediamo al ministro la cui faccia tosta sorprende persino me, che pure sono abituato alle bugie di Bush, di Blair, di Sarkozy e Hollande: ma chi ha distrutto la Libia a suon di bombe nel 2011? Chi ha attaccato un paese che stava in pace da 42 anni sotto l’intelligente guida di Muhammar Gheddafi che era riuscito a contenere i contrasti tra le varie tribù in cui il paese è diviso, che era diventato il più prospero dell’Africa (il PIL pro-capite era il più alto di tutto il continente), che ospitava 2 milioni di lavoratori immigrati, che aveva ricontrattato le licenze petrolifere con le compagnie straniere ottenendo il 90% dei proventi per lo stato libico redistribuendo i profitti tra la popolazione, che riconosceva pienamente i diritti delle donne, che aveva fornito il paese di acqua potabile riuscendo anche a raggiungere l’autosufficienza alimentare, che aveva allontanato dal paese tutte le basi militari straniere acquisendo una piena indipendenza (a differenza dell’Italia che è ricoperta di basi USA e NATO, piene anche di bombe atomiche)?

Purtroppo l’ipocrisia senza vergogna di Gentiloni, e della sua collega il ministro della difesa Pinotti,  e del loro partito, il PD, che fu in prima linea a chiedere la criminale guerra del 2011 che ha distrutto la Libia riducendola nello stato attuale, non è isolata. Risulta che anche l’ineffabile Scotto, deputato di SEL, parla di “operazioni di peace-keeping”, che – per carità – non sarebbero operazioni di guerra! Ma persino in certi appelli pacifisti contro la guerra che circolano in questi giorni (ad esempio quello promosso da Del Boca e Zanotelli) si avvalorano i soliti pregiudizi su Gheddafi feroce dittatore, degno addirittura di un processo internazionale.

Questi pregiudizi furono alimentati da uno stuolo di servili giornalisti nel 2011 in preparazione e giustificazione della guerra (ne sta scrivendo SibiaLiria in un’apposita rubrica). Ricordate Al Jazeera (TV di uno stato, il Qatar, che si preparava ad attaccare la Libia) che parlava di 10.000 civili uccisi dall’aviazione di Gheddafi, notizia ripresa dall’Osservatorio dei Diritti Umani (Struttura legata ai servizi segreti britannici) poi completamente smentita? Ricordate le false foto delle “fosse comuni” e il viagra distribuito alla truppa per gli stupri di massa (nessuna donna libica ha mai fornito una sola testimonianza in tal senso)? I nostri giornalisti e i nostri guerrafondai del PD andarono a nozze con queste ignobili bugie.

Ma questi pregiudizi sono indice, anche da parte di settori pacifisti e della “sinistra radicale” , di una mentalità coloniale, per cui qualsiasi paese che non abbia istituzioni uguali a quelle dei paesi liberal-imperialisti (dagli USA ai paesi della NATO e della UE) sarebbe una sanguinaria dittatura.

La stessa demonizzazione ha colpito per gli stessi motivi la Siria, paese laico con un solido sistema di istruzione laico, che riconosce i diritti delle donne e di tutte le minoranze religiose ed anche degli atei (a differenza del nostro principale alleato, l’Arabia Saudita, dove si può essere condannati a morte per apostasia nei confronti della religione imperante, il Wahabismo, o per stregoneria, e dove una donna va in prigione se guida una macchina). Per fortuna la Siria resiste e tiene a bada le bande jihadiste di Al Nusra ed ISIS.

Ci saremmo aspettati che Gentiloni avesse chiesto scusa a tutti i Libici per i crimini commessi nel 2011, invece si parla di fare una nuova guerra violando ancora una volta la Costituzione. Diceva il grande Giacomo Leopardi che l’Italia era un paese di fango. Con governanti e “sinistre radicali” come le nostre il giudizio forse non può cambiare.

Vincenzo Brandi


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A Tripoli, a Tripoli!

16 Febbraio 2015 

di Diego Angelo Bertozzi
 per Marx21.it

L’articolo 87 della nostra Costituzione è ancora fresco di modifica nell’ambito della riforma costituzionale approvata dalla Camera dei Deputati, che già l’Italia del governo Renzi si prepara alla avventura bellica che metterà fine allo spirito pacifista della nostra Carta fondamentale, relegando il già bistrattato articolo 11 tra i rottami del “secolo breve”. Basterà una semplice maggioranza, frutto di una legge elettorale che concede la maggioranza assoluta dei seggi ad una minoranza del Paese, per dichiarare guerra.

Ma meglio agire d’anticipo e lanciare subito il messaggio: nella nuova spartizione “neocoloniale” del mondo ci siamo pure noi, senza più tentennamenti e mal di pancia di sorta. E più velocemente senza lacci e laccioli del processo democratico con le sue interminabili discussioni, le sue trattative e i suoi compromessi. Ed ecco quindi la Libia, la nostra “quarta sponda” sulle cui macerie cresce la minaccia dell’Isis. Il dovere ci chiama: per l’ennesima volta la difesa della civiltà ci chiama. Che la stessa civiltà da difendere sia la prima responsabile della distruzione dello Stato libico e dell’avanzare del nuovo nemico pubblico, poco importa. Ricordarlo è semplice disfattismo, quando non dimostrazione della alleanza tra residui del comunismo e estremisti islamici in nome della lotta all’occidente capitalista.

Mentre suonano i tamburi di guerra - A Tripoli, a Tripoli! - a generare più sconcerto è ancora una volta la dimostrazione di subalternità di una parte - quella maggioritaria - della sinistra italiana. A dichiararsi favorevole ad un intervento di “Peace keeping” in Libia è Sinistra, Ecologia e Libertà, allo stesso modo con il quale nel 2011 approvò l’idea di una “no fly zone” che presto si rivelò per quel che era in realtà: una campagna di bombardamenti senza quartiere sulla Libia in appoggio alle milizie - anche quelle dell’estremismo islamico - che combattevano contro Gheddafi. Ancora una volta la logica dell’interventismo umanitario trova una sinistra culturalmente e politicamente disarmata pronta ad accodarsi.

A stupire e sconcertare è l’assoluta leggerezza (o furbizia?) con la quale si utilizzano specifiche definizioni come quella di “Peace keeping” che ha contorni ben precisi: operazione, sotto mandato Onu, che ha il compito di vigilare su un processo di pace già in essere fra i contendenti sul terreno. Un quadro diametralmente opposto a quello libico nel quale la guerra civile, con interventi di combattenti stranieri, è in pieno svolgimento con un portato terrificante di violenza. Un intervento in Libia non potrà essere altro che una guerra vera e propria con bombardamenti massicci che coinvolgeranno le popolazioni dei centri urbani. Sarà una “guerra coloniale” a tutti gli effetti, con lo spiegamento di truppe di terra che dovranno affrontare tutte le insidie di una guerriglia diffusa, col suo portato di torture e oppressione, in confronto al quale il precedente della Somalia rischia di essere stato una passeggiata. Altro che Libano! Le parole del generale Carlo Jean non lasciano dubbi a proposito: “Neanche se inviassimo diecimila o centomila uomini la situazione si tranquillizzerebbe, dal momento che sul territorio ci sono un milione di armati divisi in 1500 gruppi che tentano di ottenere profitti per prendere il potere politico. Di conseguenza il problema non è di fare un peace keeping, ma un peace enforcement: avere una forza tale da riuscire a imporre la pace alle varie milizie disarmandole. Un risultato tutt’altro che semplice.”

E a condurre questa missione saranno gli stessi Paesi responsabili del disastro in corso. La sinistra gli presterà ancora soccorso?