Informazione


Sul tema si vedano anche:

STRATEGIA DELLA TENSIONE IN ISTRIA: LA STRAGE DI VERGAROLLA

GAETANO DATO RISCOPRE L'ACQUA CALDA, TERRORE NELLA A.N.V.G.D.

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http://www.diecifebbraio.info/2014/06/comunicato-stampa-sul-volume-dello-storico-gaetano-dato-vergarolla-18-agosto-1946/

COMUNICATO STAMPA SUL VOLUME DELLO STORICO GAETANO DATO “Vergarolla 18 agosto 1946″



COMUNICATO STAMPA

In riferimento al volume dello storico Gaetano Dato “Vergarolla 18 agosto 1946. Gli enigmi di una strage tra conflitto mondiale e guerra fredda”, recentemente edito per i tipi della LEG con prefazione di Roberto Spazzali che sarà presentato il prossimo 13 giugno alla Camera dei Deputati constatiamo che la pubblicazione metta in luce come in base alla documentazione disponibile non sia possibile sostenere la tesi delle responsabilità jugoslave nella strage, tesi negli ultimi tempi suggerita con insistenza, attraverso congetture ed illazioni, da alcune associazioni degli esuli nonché da ultimo nella rappresentazione teatrale “Magazzino 18″ del cantante Simone Cristicchi.

La ricerca di Dato è stata finanziata dal Circolo di Cultura Istro Veneta “Istria” nonchè dal Ministero dei Beni Culturali e dalla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, dato tanto più significativo se si pensa alle dichiarazioni della Presidente Debora Serracchiani che il 18 agosto dello scorso anno in assenza di riscontri interpretava pubblicamente i fatti di Vergarolla come un “messaggio chiaro dei servizi segreti di Tito agli italiani di Pola e dell’Istria”.

Le conclusioni cui giunge Dato sono in linea con le più rigorose ricerche svolte negli ultimi anni da studiosi croati - Čonč, 2009, Eksplozija na Vergaroli u Puli 18. kolovoza 1946. godine: pokušaj rekonstrukcije i izazovi tumačenja  e Dukovski, 2011, Povijesna ekspertiza tragedije na pulskoj Vargaroli- e italiani come Claudia Cernigoi, che nel suo studio di un anno fa “Strategia della tensione in Istria” (disponibile al sito internet http://www.diecifebbraio.info )sosteneva sostanzialmente, come oggi Dato, che la documentazione esistente non consente di avallare la tesi sulle responsabilità jugoslave, evidenziando altresì indizi di altre possibili responsabilità, italiane o angloamericane.

Ci auguriamo che il contributo di Dato possa contribuire a svelenire il dibattito sulle vicende dell’Alto Adriatico, intervenendo con il rigore del metodo scientifico laddove negli ultimi anni è stata invece allestita una campagna basata su affermazioni infondate e tendenziose. Tale iniziativa di rigore e verità è peraltro già da anni intrapresa, tra gli altri, dagli storici specialisti di queste vicende riuniti nella collana “Resistenza Storica” della casa editrice Kappa Vu, tra cui la già citata Cernigoi.

La Redazione del sito Diecifebbraio.info

11 giugno 2014




http://www.resistenze.org/sito/te/pe/dt/pedtee18-014512.htm

www.resistenze.org - pensiero resistente - dibattito teorico - 18-05-14 - n. 499

I comunisti sono "europeisti"?

Alessandro Mustillo * | senzatregua.it

16/05/2014

Si sente dire spesso che il processo d'integrazione europea appartenga alla nostra tradizione politica. Un elemento ideale di fondo, come quello evocato da Bertinotti nel discorso del 23 marzo 2007 quando da Presidente della Camera parlò dello «spirito della fondazione dell'Europa che oggi celebriamo e che dobbiamo recuperare». È l'idea di un'Unione Europea sorta su un piano ideale più elevato ed oggi costretta in modo forzato nelle anguste visioni tecnocratiche e finanziarie di Bruxelles. Un'Europa da riformare, da ricostruire dalle originarie fondamenta, per riconquistare la reale natura voluta dai suoi fondatori.

Si tratta di uno degli argomenti più in voga utilizzati in questo momento dalla sinistra radicale (post o cripto comunista) che si candida in Parlamento Europeo a sostegno del leader greco di Syriza, e che oggi rivendica con fierezza il proprio contributo ideale a politico alla costruzione dell'Unione Europea. Questa sinistra è impegnata nella ricerca di un passato "nobile" della UE per meglio giustificare il suo sostegno all'integrazione europea dato nel momento più alto della crisi economica, in cui la contrarietà alla UE inizia a farsi strada con forza tra la popolazione. Come ogni storia che si rispetti il passare del tempo allenta la memoria collettiva, sbiadisce e distorce i fatti e ne altera la reale percezione. È un fenomeno molto diffuso nella sinistra di questi anni, che si riduce spesso a difendere posizioni una volta osteggiate, anche con forza, limitando i propri orizzonti in una spirale continua di sconfitte e arretramenti di posizione che conducono inevitabilmente alla capitolazione totale nei confronti del nemico di classe.

Il mito dell'Europa nata sulla spinta ideale progressista, deve cedere il passo alla realtà delle cose. Nel 1957 la ratifica dei Trattati di Roma, con cui venne istituita la CEE e l'Euroatom,  vede il voto contrario e la netta opposizione del PCI, come altrettanta opposizione avviene da parte del PCF in Francia, allora i principali partiti comunisti dei paesi coinvolti. Un'opposizione che si era registrata fin dagli albori del processo d'integrazione anche in riferimento alla CECA e alla mai varata CED, che avrebbe dovuto creare un sistema di difesa comune europea, anch'esso osteggiato dai partiti comunisti e mai entrato in vigore per il voto contrario del Parlamento francese.

Quando nel 1957 alla Camera dei Deputati viene chiesta la ratifica del trattato di Roma, la posizione comunista – espressa da Giuseppe Berti, relatore della mozione con cui si chiedeva di non ratificare il trattato – non potrebbe essere più chiara. Si parlava allora non di CEE ma di MEC poiché la Comunità Economica Europea era conosciuta principalmente con il nome di Mercato comune, una scelta tutt'altro che casuale e che non mascherava la reale natura dell'operazione, che più tardi ha voluto caratterizzarsi per i suoi fini "nobili". Berti, tra gli applausi dei deputati comunisti alla Camera, affermò: «Non ha senso dire che il MEC è una cosa e il capitale monopolistico un'altra: il MEC è la forma sovrannazionale che assume nell'Europa occidentale il capitale monopolistico.» Era il 1957, il processo di integrazione europea era appena iniziato ma le sue finalità apparivano già chiarissime. Basterebbe sostituire l'espressione "Mercato Europeo Comune", oggi desueta, con "Unione Europea" e avremmo una sintesi eccezionale della natura reale del processo di integrazione europeo. Una realtà che i comunisti avevano perfettamente chiara nel 1957 e che ancora oggi, nonostante l'evidenza empirica, sfugge a molti sinistrati.

I trattati di Roma furono approvati a maggioranza con voto favorevole della DC e del MSI (il deputato missino Augusto De Marsanich disse in Aula: "Diamo la nostra leale adesione e il nostro voto a questi trattati, confidando che essi possano in realtà produrre un incremento di civiltà in Italia e in tutta Europa") con l'astensione del Partito Socialista Italiano. Ma questa storia ha bisogno di essere raccontata bene, con tutti i suoi particolari, le posizioni politiche e le conseguenze, anche in relazione alla spaccatura che si creò tra PCI e PSI.  

È il 28 luglio del 1957, mancano pochi giorni al voto di approvazione richiesto per i trattati europei e il PCI ha il compito non facile di far comprendere alla classe operaia e alle masse popolari italiane le ragioni della ferma opposizione comunista, su una questione che appare tanto lontana e, per certi versi, anche spinosa. Fin da allora l'integrazione europea viene presentata come un elemento progressivo, come un mezzo per pacificare definitivamente il continente, rispondere alle esigenze economiche delle nazioni coinvolte. Un'intera pagina dell'edizione de l'Unità viene intitolata «Che cosa significa la sigla MEC» e divisa in riquadri schematici per facilitare punto per punto la comprensione del trattato istitutivo del mercato comune. Si tratta anche oggi di uno strumento utile per comprendere immediatamente la posizione comunista sul trattato istitutivo della CEE. Il primo riquadro è dedicato alla situazione dei lavoratori, il secondo e il terzo alla libertà di scambio e circolazione, il quarto all'agricoltura ed il quinto alla situazione delle colonie.

Si legge nell'articolo: «La manodopera italiana entrerà in concorrenza sugli stessi mercati con la manodopera – a bassissimo costo – dei paesi d'oltre mare» (bisogna ricordare che all'epoca anche le colonie, non ancora indipendenti entravano nel mercato comune, il problema era particolarmente sentito per il nord africa ancora sotto dominio francese n.d.r.); «si prevede un aumento di produttività ma non una riduzione dell'orario di lavoro» e ancora: «l'economia italiana corre il rischio di vedersi privata della mano d'opera migliore attraverso l'emigrazione degli operai specializzati» Il PCI, nel 1957, era ben consapevole dunque degli effetti potenziali dell'integrazione europea relativamente alla condizione dei lavoratori, e la maggiore preoccupazione era legata al Mezzogiorno. Una preoccupazione che si evidenzia particolarmente nei punti seguenti, dove il linguaggio chiaro e semplice con cui il partito voleva comunicare alla classe operaia e ai ceti popolari la reale natura del trattato internazionale, mirava in primo luogo a smascherare la terminologia utilizzata e l'abuso del termine "libertà".

Il PCI definisce senza mezzi termini la libertà di circolazione come «la libertà dei monopolisti». L'analisi semplice e chiara contenuta in questo punto è validissima ancora oggi. «La "libera circolazione dei capitali" significa che i monopoli di ognuno dei sei paesi sono liberi di trasferire i loro capitali da una zona all'altra scegliendo quella dove esistono le possibilità di realizzare maggiori profitti. Date le condizioni di inferiorità nelle quali si trova la nostra economia è possibile che attraverso questa libera circolazione di capitali, vi sia nel nostro paese una penetrazione di tipo imperialistico di capitale straniero, soprattutto tedesco. In secondo è possibile che si verifichi da parte dei monopoli italiani una fuga di capitali dall'Italia.»

Sulla questione dell'abolizione dei dazi doganali e delle barriere al mercato comune il Partito Comunista spiega gli effetti che avranno. «L'eliminazione di queste tariffe provocherà una concorrenza molto più aspra tra le diverse ditte operanti nei paesi aderenti; se si esamina la struttura industriale e la potenza economica delle varie nazioni, si comprende che la posizione dell'Italia è in generale la più debole di tutte quante tanto è vero che finora i dazi doganali italiani sono stati i più alti proprio per proteggere la nostra produzione dalla più robusta concorrenza straniera».  Ma il Partito Comunista non si limita a  parlare di minaccia dall'esterno. La sua non è una posizione "nazionalista" al contrario mette in rilievo come la grande impresa monopolistica nazionale sia parte attiva e promotrice del processo di integrazione economica europea.  «A questo punto – si legge nella pagina dell'Unità – potrebbe sorgere la domanda: perché gli industriali non si oppongono al MEC? Il fatto è che gli iniziatori del MEC sono stati i grossi monopoli industriali che all'interno del mercato comune avranno sufficiente forza per poter sviluppare i loro affari ai danni dei piccoli produttori, sia nazionali che degli altri paesi. La FIAT ad esempio, grazie agli investimenti americani, è riuscita a portare la sua produzione a un'efficienza tale da potere, con i suoi prodotti di massa, battere la concorrenza di tutte le altre case automobilistiche del mercato comune, in quanto è la più grande industria privata in questo campo.»

In definitiva concludeva l'analisi del PCI «Il coordinamento economico di cui si parla nel trattato si risolverà in pratica in intese sempre più strette tra i vari monopoli per la spartizione del mercato a scapito dei piccoli e medi produttori sostituendo così alla protezione doganale una spartizione delle sfere di influenza tra i grandi monopoli.»

La preoccupazione del Partito era rivolta anche all'agricoltura dove si evidenziava il rischio del medesimo processo di concentrazione della proprietà a danno dei contadini salariati e dei piccoli contadini autonomi. Così come la libertà di circolazione delle persone era già messa in relazione al problema dell'immigrazione interna alla sfera comune, con le sue ripercussioni sui livelli salariali e sui diritti dei lavoratori. Riguardo alla situazione francese il problema delle colonie e la loro integrazione nel MEC erano giudicati uno strumento di pressione per compromettere il legittimo diritto all'autodeterminazione dei popoli coloniali.  Per queste ragioni il PCI nel 1957 votò contro l'approvazione dei trattati europei, ma la sinistra italiana che pure si richiama a vario titolo alla tradizione e alla storia del PCI non lo ricorda.  


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1957: quando il PCI disse no all'Europa

Alessandro Mustillo | senzatregua.it

17/05/2014

A Giuseppe Berti intellettuale comunista, dirigente del partito e deputato alla Camera, è affidato il compito dell'analisi dei trattati, che a grandi linee sarà pubblicata sempre su l'Unità nei giorni del dibattito parlamentare. Bisogna tenere a mente che gli anni che precedono il voto sui trattati europei sono cruciali nello sviluppo storico successivo. La morte di Stalin nel 1953, con il XX congresso del PCUS, l'invasione dell'Ungheria e il progressivo distacco PCI-PSI, ma anche la questione del canale di Suez, con Francia e Inghilterra che ritirano su ordine degli USA le proprie truppe dall'Egitto.  Sullo sfondo dei trattati c'è lo scontro tra il blocco capitalista e quello socialista, la questione coloniale, e la conseguente perdita di territori per i paesi a capitalismo avanzato con i quali tenere livello di scambio economico. Il nuovo potenziale economico tedesco che viene ricostruito non ha territorio sufficiente essendo bloccata ad est dai paesi socialisti. La Francia sta perdendo il suo impero coloniale. Insomma alla radice del mercato comune europeo c'è la necessità di aprire quegli spazi economici che la divisione in blocchi e in parte la decolonizzazione fanno progressivamente mancare alle economie capitalistiche avanzate.

Oggi quando pensiamo all'Unione Europea siamo abituati a pensare ad un processo spontaneo dei popoli europei, a dimenticare la divisione della guerra fredda, e l'influenza di quella divisione sugli equilibri europei. Anche qui il passaggio del tempo distorce la verità, la mitologia  si sostituisce alla realtà. Allora al contrario i comunisti non avevano alcun dubbio sull'origine del processo di integrazione dell'Europa occidentale, che Pajetta definiva negli interventi alla Camera "la piccola europa", proprio per metterne in luce la parzialità rispetto alla chiusura ad est. Si trattava di un processo voluto dal grande capitale e appoggiato con forza dagli Stati Uniti in funzione anti-sovietica per rispondere all'integrazione economica tra paesi socialisti all'est. Un progetto che teneva insieme interessi monopolistici del grande capitale, privato degli sbocchi naturali sul continente e sulle colonie, con quelli al riarmo specie della Germania in funzione anticomunista, nel quadro della comune alleanza militare con gli USA per il tramite della Nato.

L'analisi di Berti, che il deputato comunista riproporrà nei suoi interventi alla Camera è profonda, non scontata, minuziosa e chiarissima per quanto embrionale fosse lo stato del giudizio che allora si poteva dare sulla nascente comunità economica europea. E' un'analisi che ha il pregio di parlare anche a noi, a sessant'anni di distanza, e che nonostante lo sconvolgimento politico ed economico che è avvenuto negli ultimi anni individua correttamente situazioni che ci troviamo ad affrontare quotidianamente.

I comunisti – dice Berti  – sono contro il MEC «perché sono contro il tentativo dei monopoli di asservire il progresso tecnico, l'automazione, l'energia atomica ai loro propri fini creando una comunità sovrannazionale sotto la loro direzione. E' falso il quadro di un capitalismo ascendente e trionfante […] Si, c'è oggi una congiuntura favorevole, ma per quanto tempo? Il capitalismo esce da due catastrofi di colossale grandezza: la perdita di potere su quasi la metà del globo, la perdita di vastissimi territori coloniali. Ecco perché alla base del MEC esistono obiettivi elementi di crisi: si cerca un mercato più vasto perché si sono perduti i territori dell'Europa orientale e i territori coloniali; ma appunto per questo ci si contenta in senso antisocialista e antidemocratico e si approfondisce la frattura nel mondo e si domanda alle masse lavoratrici di pagare le spese di questa operazione.»

Berti affronta il quadro spinoso del rapporto sovranità nazionale apertura internazionale in modo chiarissimo, e con una capacità d'analisi che oggi non si intravede minimente nei dirigenti della sinistra radicale post-comunista e opportunista. Come si coniuga l'internazionalismo tradizionale del movimento comunista con la contrarietà al processo unitario tra i paesi europei? Un dilemma a cui ancora oggi in tanti non riescono a rispondere senza vedere contraddizioni, lì dove al contrario è lampante la soluzione al problema. I comunisti sono internazionalisti ma non per le unioni internazionali dei capitalisti. I comunisti sostengono la lotta comune in ogni paese del mondo, ma non per questo non comprendono quali processi si celino dietro l'integrazione europea. Oltre le illusioni e le favole, i comunisti guardano ai rapporti di produzione. E capita che il PCI venga accusato di essere "protezionista" da chi usa strumentalmente questo elemento per attaccare la posizione dei comunisti.

In aula Berti replica a queste accuse. «Non è vero che i comunisti pongano l'accento soltanto sui riflessi tariffari: è ridicolo sostenere che i comunisti sono "protezionisti". Il problema tariffario esiste ed è grave per l'industria e soprattutto per l'agricoltura del mezzogiorno e delle isole: ma il problema più grave è che cosa il ceto privilegiato sostituisce al protezionismo tariffario. Esso sostituisce l'accordo sovrannazionale dei monopoli all'interno del MEC per schiacciare le masse lavoratrici, la piccola economia contadina per rendere impossibile o più difficile uno sviluppo sociale democratico. Non ha perciò senso dire che il MEC è una cosa e il capitale monopolistico un'altra: il MEC è la forma sovrannazionale che assume nell'Europa occidentale il capitale monopolistico. Ci si dice che in questa battaglia noi siamo isolati. Ma noi siamo in larga e qualificata compagnia: i lavoratori italiani, i piccoli e medi produttori economici, hanno già compreso quali gravi danni apporterà il MEC a loro e al paese. Noi non cesseremo la nostra lotta alla testa del popolo italiano.»

Un punto di grandissima rilevanza è il rapporto con il PSI in relazione al voto dei trattati. Nel 1957 il Partito socialista con un voto a maggioranza del suo comitato centrale (59 favorevoli, 13 contrari, 2 astenuti) decise di astenersi sul trattato istitutivo della CEE e di votare a favore di quello sull'Euratom. La decisione del PSI acuiva ulteriormente la frattura creatasi con il PCI al momento dell'intervento sovietico in Ungheria e costituiva una delle prime scelte che vedevano un voto sensibilmente differente tra PCI e PSI, con ripercussioni anche sulla CGIL. Il voto era il risultato anche dell'attività dell'Internazionale socialista che da mesi si era spesa fortemente per l'integrazione europea. Una parte di primo piano l'avevano fatta i socialisti francesi che dalla formazione del governo Mollet esercitavano insieme con i socialisti tedeschi una funzione di traino nel processo di costruzione del mercato comune. In Parlamento la scelta del PSI di astenersi fu oggetto di dure critiche del PCI ed in particolate da Pajetta che più volte interruppe Lombardi (PSI) mentre esponeva le motivazioni dell'astensione. Due episodi devono essere considerati per comprendere le preoccupazioni dei comunisti.

Il 21 luglio l'Unità apriva il giornale con un titolo a lettere cubitali: «Confindustria punta sul MEC per liquidare l'industria di Stato» basandosi sulle dichiarazioni di Malagodi, segretario del Partito Liberale «i cui legami con la Confindustria – scrive l'Unità – sono noti a tutti» Malagodi «ha mostrato con grande chiarezza il vero volto dell'operazione che il governo si accinge a varare. Infatti dopo le consuete, generiche espressioni di fiducia sul Mercato comune, come risolutore di tutti i principali problemi italiani […] Dai trattati -  egli ha rilevato -  non possono che derivare logiche conseguenze di politica interna poiché non è possibile seguire un indirizzo (che è quello della massima libertà ai potenti monopoli interni e internazionali) per applicare il Mercato comune e l'Euroatom, e uno diverso all'interno del paese.» Il segretario liberale aveva illustrato alla Camera la necessità di aprire una stagione di liberalizzazioni, dismissioni delle imprese di Stato e evitare ogni nuova forma di nazionalizzazione e aveva favorevolmente accolto l'astensione socialista, che testimoniava a detta di Malagodi, il fatto che i socialisti non erano più insensibili all'idea della libertà. Parole che al PCI suonavano come un forte campanello d'allarme.

La seconda questione riguarda la CGIL. La posizione del sindacato infatti era molto più simile a quella del PSI che non a quella del PCI, nonostante il Partito Comunista facesse di tutto per evitare che questa frattura si palesasse e avesse ripercussioni sull'unità della CGIL. Il 19 luglio la CGIL si era espressa a favore del processo di integrazione europeo, pur tuttavia mettendo in evidenza i lati negativi e indicando la necessità della lotta dei lavoratori contro le possibilità che tale processo si svolgesse in senso reazionario. Non ci fu nessuna polemica esterna. L'Unità pubblicò il dispositivo della CGIL come se nulla fosse, ogni commento dei comunisti riguardava le critiche contenute al MEC ma non si nominava mai il passaggio precedente. Ma se sulla critica comunisti e socialisti erano uniti, sulla posizione immediata erano su posizioni differenti. Il sì generico della CGIL restava ed era chiarissimo: «Nonostante gli inconvenienti di natura transitoria, (…) il Comitato Esecutivo ritiene che essa vada appoggiata e incoraggiata, perché può recare – in prospettiva – un contributo fondamentale e – in una certa misura – insostituibile allo sviluppo generale delle economie europee e al miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori». La parte socialista della CGIL aveva fatto il suo, ma certamente Di Vittorio, con cui c'erano state frizioni interne al PCI sull'Ungheria, non l'aveva osteggiata troppo, probabilmente anche in accordo con il vertice del PCI che di certo non avrebbe consentito in quella fase una rottura dell'unità sindacale con i socialisti, proprio mentre quella politica sembrava irrimediabilmente compromessa. Ma con la neutralizzazione della CGIL, che si decideva di mantenere fuori dalla questione, il PCI veniva privato dello strumento più importante per la battaglia politica contro la CEE, che infatti non superò mai le porte del Parlamento. Come, e forse ancora di più che in altri casi, la critica parlamentare del PCI e l'opposizione è durissima, ma questo non porta a nessuna reale mobilitazioni delle masse lavoratrici.

Nonostante ogni tentativo comunista di modificare la posizione del PSI, di aprire contraddizioni in seno ai socialisti (che non avevano votato all'unanimità in comitato centrale ma con 13 contrari e 2 astenuti) mettendo in chiaro come fosse la Confindustria ed il grande capitale a volere l'integrazione europea, il PSI rimase sulla sua posizione. Alla Camera la mano tesa del PCI si tramutò in attacco esplicito, quando Lombardi intervenne contro Malagodi, sostenendo che la sua fosse una posizione ingenua e che lo sviluppo italiano nel mercato comune non avrebbe potuto fare a meno della direzione statale.

A Pajetta toccò l'intervento nella seduta del 25 luglio nel quale il PCI annunciava il voto contrario.  La polemica con il PSI è evidente fin dall'apertura. Dice Pajetta: «Alcuni giorni fa ci è stata rivolta una ingenua domanda dal giornale del Partito Socialista Italiano. L'Avanti ha domandato ai comunisti: ma credete davvero che risolverete i gravi, complessi problemi del Mercato comune con il vostro voto contrario? Noi non vogliamo rispondere con la troppo facile battuta: ma credete che questi problemi gravi, profondi, complessi si risolvano con un'astensione?»

Nel suo intervento Pajetta rimarca il giudizio del PCI con toni molto forti e netti. «L'esame della situazione e la stessa storia ci autorizzano quindi a porre queste domande: a che cosa servirà questo strumento, il Mercato comune? Chi lo impugnerà? Contro chi verrà impugnato? Noi il fascino di questo europeismo lo respingiamo e non possiamo allinearci dietro la stessa barricata per difendere gli interessi della Confindustria nel nostro paese. Sbaglia profondamente chi pensa che un'economia diretta da forze imperialiste possa essere un elemento di progresso nell'avvenire.»

Pajetta accusa esplicitamente Lombardi e il PSI di ingenuità rispetto alla natura reale del MEC anche in relazione all'intervento di Malagodi. «Non vedere questi pericoli, essere sordi a queste indicazioni significa voler soltanto appiccicare un cartellino con sopra scritto "speranza" a questa macchina al cui volante siedono forze ben precise: queste forze non dimentichiamolo, sono i Valletta, sono i Marinotti, sono i potenti monopoli tedeschi, sono quelle forze che appoggiarono ogni politica più retriva e più antipopolare, che oggi sostengono il mercato comune. Credo del resto che sia difficile che queste forze sbaglino quando uniscono il loro amore per il mercato comune al loro sogno di difendere una economia basata sulla proprietà privata e sul profitto monopolistico: perché è difficile pensare alla prospettiva di un'economia diretta senza le leve della tariffa doganale, dei contingenti, della politica valutaria. Le classi popolari all'interno del Paese e tutta l'Italia nell'ambito della "piccola europa" pagheranno caramente l'approvazione di questi trattati.»

L'intervento di Pajetta presenta alcuni passi che testimoniano quanto il PCI fosse consapevole di quello che il mercato comune avrebbe rappresentato. Pajetta esprime bene l'impossibilità dei popoli di scegliere un cammino differente da quello capitalistico una volta ingabbiati nel meccanismo del mercato comune. Un elemento oggi estremamente acuito dalla perdita della sovranità monetaria con l'introduzione dell'euro. La metafora della speranza e del volante poi, si addice davvero bene a quelle forze che pensano ancora di poter modificare dall'interno il corso politico della UE, nonostante l'evidenza di questa impossibilità.

La dichiarazione finale sul voto comunista è data il 30 luglio dall'allora capogruppo alla Camera Pietro Ingrao con queste parole: «Votando contro questi trattati intendiamo indicare alla classe operaia una prospettiva di autonomia e di lotta, intendiamo chiamare la classe operaia a battersi assieme a tutte le forze sane e minacciate da questi trattati per dare un corso diverso alla politica internazionale.» L'Italia entrava ufficialmente a far parte della CEE con il voto di astensione dei socialisti, con il voto contrario del PCI, unico partito italiano ad opporsi al processo di integrazione europea.


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Comunisti e Europa, considerazioni finali

Alessandro Mustillo | senzatregua.it

19/05/2014

Come noto la posizione del PCI mutò negli anni seguenti durante la segreteria Berlinguer e il progressivo distacco da Mosca. Allora il PCI abbracciò insieme al PCE e al PCF – quest'ultimo non senza contraddizioni e ripensamenti allora – la politica dell'eurocomunismo con un avvicinamento alla socialdemocrazia europea e in generale al processo di integrazione comunitaria.  L'associazione ideale del movimento comunista con il percorso di unificazione europea parte da questo preciso momento storico, lo stesso del progressivo abbandono del marxismo-leninismo, del cedimento politico ed ideologico del PCI con cui il partito comunista si sarebbe incamminato verso il suo mutamento radicale avvenuto formalmente nel '91, ma nella sostanza già evidente da tempo. Non si tratta di una coincidenza temporale casuale. Nel momento in cui si allenta la tensione ideologica tra i partiti comunisti a livello internazionale, si incrementa l'idea della reciproca autonomia, delle vie nazionali al socialismo si perdono anche i riferimenti di analisi che avevano portato ad un giudizio tanto negativo sulla Comunità Europea nel 1957. Dunque non è all'origine della costituzione della CEE che i comunisti sposarono la causa dell'integrazione europea. Questo accadde solo nel momento in cui il Partito Comunista Italiano andava trasformandosi in un partito socialdemocratico. In questo equivoco di fondo si inserisce anche la figura di Altiero Spinelli, padre nobile della sinistra europeista, e oggi invocato a gran voce a copertura di questa operazione. Tutti ricordano Altiero Spinelli eletto al Parlamento Europeo (come indipendente) nelle liste del PCI nel 1979, quando ormai il PCI aveva compiuto la sua parabola sulla CEE e sulla Nato. Pochi ricordano però che Spinelli negli anni della lotta del PCI contro l'integrazione europea era consulente di De Gasperi, e che fu membro della commissione europea con prevalente incarico alla politica industriale dal 1970 al 1976. L'ennesimo ed inequivocabile segno della consumata deriva del PCI in quegli anni, c'è da ricordare che Spinelli era stato espulso dal PCI durante gli anni della clandestinità per le sue posizioni marcatamente anticomuniste.

Dal momento dell'accettazione della CEE, della Nato e delle istituzioni internazionali del capitalismo occidentale da parte del PCI, nasce la visione europeista della sinistra italiana, non a caso quando di fatto si abbandona definitivamente la prospettiva comunista e si inizia a costruire un partito finalizzato al suo superamento, e al superamento del patrimonio ideale del marxismo. Gli esecutori materiali della fine del PCI saranno anche la generazione di nuovi dirigenti della sinistra italiana che contribuiranno a portare l'Italia nell'euro e a completare il processo di integrazione della nuova Unione Europea. Saranno la parte determinante della classe dirigente che ha portato l'Italia al disastro. La stessa sinistra radicale, nonostante qualche distinguo su questioni limitate, subirà negli anni e subisce tuttora il fascino dell'operazione europeista di cui, dimenticando completamente la storia, arriva addirittura a considerarsi artefice. Qui si consolida l'equivoco di fondo.

Il PCI in precedenza peccò di gravi errori sul piano strategico, anche in occasione del voto sulla CEE, che non provocò –come purtroppo spesso accadde negli anni della segreteria Togliatti – alcuna conseguenza sul piano della mobilitazione generale delle masse, restando uno scontro, per quanto alto e ineccepibile dal punto di vista dei contenuti, tipicamente parlamentare. Era la linea tattica, si diceva, del PCI di allora. Una linea che alla fine si rivelò per tutta la sua portata strategica nell'accettazione del Parlamento come unico, o almeno privilegiato, luogo di scontro (istituzionale) nel Paese. La linea del non dare pretesti, del dimostrare la "responsabilità" del PCI e che ha condotto a capitolare passo dopo passo. Ma se tali rimproveri possono oggi essere fatti con il senno di poi a quel grande partito che era allora il Partito Comunista Italiano, nulla si può obiettare sulla posizione politica che il PCI prese riguardo all'integrazione europea, che è cristallina, coerente e assolutamente attuale anche oggi, nonostante il modificarsi di molte situazioni storiche, e ci consente di fare dei paralleli molto importanti.

Fin da subito la nascente CEE cercò di utilizzare il contrasto tra condizioni e livelli salariali dei lavoratori per abbassare il costo del lavoro e ottenere una leva di ricatto contro le rivendicazioni operaie. Lo fece inizialmente con le colonie francesi, e durò pochi anni senza riuscire a dispiegare a pieno i suoi effetti perché nel 1962 l'Algeria ottenne la sua indipendenza. Paradosso della storia ha voluto che questa fase si riprendesse con forza proprio con la caduta del socialismo nell'est Europa, terreno naturale di espansione dell'imperialismo europeo.

La struttura economica dei paesi della "piccola europa" ha subito importanti variazioni. In tutti questi paesi i monopoli hanno aumentato la loro influenza strategica nelle economie nazionali. L'Italia tra i paesi originari è quella che ha subito i mutamenti più grandi insieme con la Germania, che ha utilizzato l'annessione della DDR come strumento per lanciare ulteriormente il suo rafforzato potenziale economico, pagato a caro prezzo dai cittadini della vecchia DDR e dal resto d'Europa. Tuttavia la diversità iniziale, nonostante il dato generale della crescita dei monopoli nei singoli paesi ormai intrecciati in una comune ragnatela continentale, ha continuato a mantenersi nella forma dell'influenza esercitata nelle economie nazionali dal tessuto delle piccole e medie imprese. Un elemento come noto, particolarmente importante per l'Italia. Ciò che la politica di sovranità sulla moneta aveva evitato, non senza conseguenze sui lavoratori, è stato reso possibile con l'introduzione dell'euro. L'Europa dei monopoli, di quella che già il PCI nel 1957 giustamente definiva la "libertà per i monopolisti" ha avuto un ulteriore sviluppo privando gli stati della possibilità di intervenire sulla moneta. Il risultato è stato un'ulteriore crescita della concentrazione monopolistica a scapito della piccola impresa, una perdita di posizioni dei paesi con più elevato livello di piccole e medie imprese, che hanno risentito maggiormente del combinato dell'introduzione della moneta unica e dell'allargamento delle aree di libera circolazione (anche attraverso trattati con stati non aderenti alla UE in un'economia sempre più globalizzata). Le linee generali di quanto il PCI aveva giustamente previsto nel 1957 si sono realizzate, anche se con modalità storiche diverse e allora oggettivamente imprevedibili.

Il risultato è oggi un'Europa dei grandi monopoli nazionali e transnazionali che comprime i diritti dei lavoratori, che costringe al fallimento migliaia di piccole imprese e che concentra sempre in mani più ristretta la ricchezza prodotta, generando disoccupazione, precarietà, distruzione.

Anche la pretesa di pace che l'Unione Europea sostiene di realizzare e che in questi giorni ci viene propinata a reti unificate dagli spot europeisti del governo e della UE nasconde ben altro. Come disse giustamente Pajetta nel 1957 «Sbaglia profondamente chi pensa che un'economia diretta da forze imperialiste possa essere un elemento di progresso nell'avvenire», e aggiungo sebbene fosse già sottointeso, strumento di pace. L'Unione Europea ha dimostrato di essere pronta a scatenare e sostenere conflitti in nome degli interessi dei grandi monopoli che rappresenta. Lo ha fatto negli anni passati in Iraq, in Afghanistan, negli innumerevoli interventi di natura imperialistica sul continente africano, e oggi anche sul suolo europeo con il sostegno aperto garantito alle forze più reazionarie in Ucraina in nome della difesa di quegli interessi.

L'Unione Europea di oggi non è più la "piccola europa" del 1957. L'unificazione tedesca ha ricomposto una nazione economicamente in grado di esercitare una funzione di traino dell'area europea, che era oggettivamente ridotta al rango di protettorato USA quando sul suo odierno territorio correva il confine con il blocco comunista. E sebbene i rapporti con gli Stati Uniti siano centrali nella politica interna ed internazionale della UE, la situazione dal 1957 è fortemente mutata, per il peso che l'Unione Europea ha assunto nella competizione imperialistica globale. Pensare all'Unione Europea come strumento di pace è davvero utopia.

La stessa che tanta sinistra ancora oggi manifesta. Pajetta criticando il PSI e le forze di sinistra che non si opposero o votarono favorevolmente all'ingresso nella CEE disse: «Non vedere questi pericoli, essere sordi a queste indicazioni significa voler soltanto appiccicare un cartellino con sopra scritto "speranza" a questa macchina al cui volante siedono forze ben precise: queste forze non dimentichiamolo, sono i Valletta, sono i Marinotti, sono i potenti monopoli tedeschi, sono quelle forze che appoggiarono ogni politica più retriva e più antipopolare, che oggi sostengono il mercato comune.»  Basterebbe sostituire Valletta e Marinotti con Marchionne e Profumo, oppure Benetton, Marcegaglia, De Benedetti e il resto è ancora valido. Come l'illusione di voler attaccare un cartellino con sopra scritto "speranza" che potrebbe essere assunta a paradigma della campagna elettorale di una certa sinistra radicale ancora oggi. Con l'aggravante che nel 1957 il Mercato comune era oggettivamente un qualcosa di sconosciuto, dove solo l'analisi economica dei rapporti di produzione e dei rapporti di forza in quel processo, poteva dare un'indicazione. Oggi la natura dell'Unione Europea è sotto gli occhi di tutti, come i risultati delle politiche europee.

Il sogno di un'Unione Europea progressista e pacifica è un'illusione che non è mai appartenuta ai comunisti. Chi oggi cerca di dipingere l'antieuropeismo dei settori più coerenti del movimento comunista in Italia e a livello internazionale, come posizione estremistica, estranea alla nostra storia e tradizione politica, o peggio come cedimento alla destra e alle forze definite populiste, dimentica che i comunisti hanno compreso fin dall'origine la reale natura della UE. E fino a quando le loro posizioni sono state coerenti ideologicamente con il patrimonio teorico e di analisi del marxismo si sono opposti al processo di integrazione europea. La destra, che oggi si scopre paladina della sovranità nazionale, al contrario fu complice della creazione della CEE in funzione marcatamente anticomunista, sia a livello internazionale, per la sua opposizione all'URSS e al blocco comunista, sia interna, con il fine di arginare le possibilità di trasformazione della società in senso socialista.

Ma oggi una sinistra colpevole e complice dimentica tutto questo e consente alle forze neofasciste di rifarsi una verginità politica, attacca chi coerentemente mantiene una netta contrarietà all'Unione Europea dipingendolo come settario, eretico, o peggio ancora. Nel dare il proprio sostegno al processo di integrazione europea e  nel costruire artificialmente il mito dei nobili ideali all'origine dell'Unione Europea, la sinistra radicale post o cripto comunista contribuisce a farsi portatrice dell'inganno storico che subiamo, di cui diviene parte attiva. Al servizio, oggi come ieri, dei padroni di questa Europa, dei grandi monopoli industriali e finanziari le cui regole sono divenute diritto comune a scapito dei lavoratori. Una enorme responsabilità storica.

* Segretario del Fronte della Gioventù Comunista




INIZIATIVE SEGNALATE

1) Ronchi (Go) 14/6: DI COS'È IL NOME UN NOME?
2) Brescia 21/6: F E S T A Z A S T A V A 2 0 1 4
3) Trieste/Trst 26/6: LIPA, reading musicale per commemorare una strage
4) È uscito il nuovo numero della rivista MARX 21


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sabato 14 giugno

Giornata della cultura resistente
area feste Selz di Ronchi (Go) via Monte Cosich
dalle 16.30 alle 19.00 

Convegno storico, sociale e culturale:
DI COS'È IL NOME UN NOME?
con l'adesione di ANPI, ANED, Istituto di studi storici Gasparini, SKRD Jadro, circolo Arci Curiel San Canzian, circolo culturale e sportivo dell'Olmo; in collaborazione con la libreria la Linea d'Ombra di Ronchi e la casa editrice Kappa Vu

• Introduce e modera Luca Meneghesso
• Boris Pahor Proiezione video-intervista realizzata per il convegno
• Maurizio Puntin: La Ronchi “plurilinguistica” dei secoli passati
• Marco Barone: Ronchi “dei partigiani” le ragioni di una proposta
• Alessandra Kersevan: L'invenzione del nome “Venezia Giulia”
• Piero Purini: Costruzione della Nazione. I cambiamenti nelle denominazioni delle località dall'unità d'Italia al secondo dopoguerra.
• Wu Ming 1: Nomi tossici e Grande guerra
• Dibattito
Segue rinfresco con proposta di alcuni canti della tradizione sociale e politica di fine Ottocento - inizio Novecento, introdotti da brevi spiegazioni contestualizzanti il brano.

Dalle 21.00 alle 23.00 presentazione del nuovo libro del Collettivo WU MING “l'Armata dei Sonnambuli” con la presenza di WU MING1


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F E S T A Z A S T A V A 2 0 1 4

 L’ Associazione Zastava - Brescia invita  la gente amante della pace e della solidarietà alla annuale  cena  che si terrà
S A B A T O 2 1 G I U G N O 2 0 1 4
Presso la Casa del Popolo di Urago Mella, via Risorgimento, 18 - BRESCIA

LA SCELTA DI QUESTO RISTORANTE, GESTITO DALLA ASSOCIAZIONE “ ARCIMBOLDO “,

E’ DOVUTA ALLA OTTIMA QUALITA’ DEI SUOI PIATTI OLTRECHE’ ALL’ ATMOSFERA PIACEVOLE OFFERTA DA UN AMBIENTE AMICO DEI VALORI DELLA PACE E DELLA SOLIDARIETÀ CHE ISPIRANO LE NOSTRE ATTIVITÁ.

Il ritrovo è previsto per le ore 20.00 Il costo della cena è di 20 €

PIACEVOLI MUSICHE ACCOMPAGNERANNO LA SERATA

A causa del numero limitato dei posti ( 70 ), è necessario prenotare entro il 15 giugno, telefonando a uno dei seguenti numeri :

        - Alfredo -             030/2703114 - 347/2259942
Maria Grazia - 030/2312135 - 328/6460306
- Riccardo -          030/2793551 - 347/3224436
IN CASO DI BEL TEMPO STABILE, LA CENA POTRÀ TENERSI IN GIARDINO.
 In chiusura della serata avverrà l’ estrazione dei biglietti vincenti della nostra sottoscrizione a premi.
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GRAN PARTE DELLA SERBIA E’ STATA COLPITA DA UNA GRANDE ALLUVIONE CHE HA CAUSATO IMMENSI DANNI A COSE E PERSONE.
LA NOSTRA ASSOCIAZIONE, ASSIEME ALLE ALTRE CHE DA ANNI OPERANO IN FAVORE DELLE FAMIGLIE SERBE IN GRAVE DIFFICOLTA’ A CAUSA DEI BOMBARDAMENTI NATO DEL 1999, SI STA ADOPERANDO PER AIUTARE A SUPERARE ANCHE QUESTA CALAMITA’ CHE AGGIUNGE UN SERIO COLPO ALLE MAGRE ECONOMIE DELLE FASCE SOCIALI PIU’ DEBOLI E PER QUESTO, L’ INTERO RICAVATO DELLA SERATA SARA’ UTILIZZATO PER RICOSTRUIRE LE STRUTTURE SOCIALI DISTRUTTE.
Nel corso della serata verrà presentato e sottoposto all’ approvazione degli associati il bilancio consuntivo 2013.

http://digilander.iol.it/zastavabrescia/ mail : zastavabrescia@... fb: www.facebook.com/ZASTAVABRESCIA




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Comunicato Stampa - Lipa di Giuseppe Vergara - 26 giugno 2014


con cortese preghiera di diffusione
 
Lipa, un reading musicale per commemorare una strage
 
Giovedì 26 giugno 2014 alle 21.00 presso la Basilica di San Silvestro in Piazza San Silvestro a Trieste si replicherà lo spettacolo Lipa di Giuseppe Vergara.
Gli attori Tiziana Bertoli, Luca Giustolisi, Katia Monaco e Stefano Vattovani leggeranno ed interpreteranno il testo di Vergara con l’accompagnamento musicale dei Bachibaflax, la band di nove elementi diretta da Marco Vilevich autore anche della colonna sonora dello spettacolo. 
All’interno delle mura della più antica chiesa della città, che sorge accanto alla Chiesa di Santa Maria Maggiore, si potrà ascoltare la storia del paese di Lipa che il 30 aprile del 1944 fu raso al suolo da un rastrellamento nazifascista trasformatosi in una strage di innocenti civili. 269 persone furono trucidate quel triste giorno, 121 di loro erano bambini, gli altri anziani e donne. Un episodio poco conosciuto anche a Trieste che dista solo una sessantina di km dal paesino croato. L’intento dello spettacolo è quello di far conoscere questa triste vicenda attraverso un testo che intreccia il linguaggio storico a quello narrativo, grazie alla forma del reading musicale, per uno spettacolo della durata di quasi due ore. L’entrata sarà ad offerta libera.
 
Per maggiori informazioni e per la visione di contributi video, quali trailer e spezzoni dello spettacolo, è attiva la pagina Facebook  "Lipa" disponibile anche per chi non è iscritto al Social Network.
 
http://www.facebook.com/lipa1944
 
per contatti e prenotazione posti
gvergar64@...


=== 4 ===

Da: MARX VENTUNO <marxventuno.rivista@...>
Oggetto: nuovo numero della rivista “Marxventuno”
Data: 03 giugno 2014 07:41:47 CEST
A: undisclosed-recipients:;


È uscito il nuovo numero della rivista “Marxventuno”:

numero doppio, 1-2 del 2014 (euro 12).


La rivista Marxventuno può essere spedita a richiesta. Scrivere a marxventuno.rivista@...

 

Il n. 1-2 del 2014 consta di 164 pagine, con un corposo supplemento sulla crisi ucraina, introdotto dall’esemplare analisi di Manlio Dinucci sull’espansione della Nato ad Est e la strategia usamericana verso (e contro) la Russia e verso (e anche contro) gli alleati subalterni della Ue.

Accanto ad articoli che analizzano i precedenti e le dinamiche del colpo di stato a Kiev (si veda il documentatissimo articolo di Bensaada), la pesante ingerenza occidentale, il ruolo della destra neonazista e delle sue formazioni militari armate, nonché l’attacco ideologico del revisionismo storico all’esperienza dell’Ucraina sovietica (cui risponde documentatamente la storica marxista Annie Lacroix-Riz) vi è una sezione dedicata ai comunisti ucraini, alla loro linea politica (cfr. l’art. di L. Marino), alla loro azione in questi ultimi mesi, fino all’insorgenza del Sud-est russofono (si veda l’articolo di Pettinari).

Segnaliamo la corposa cronologia sull’Ucraina post-sovietica, con una dettagliata sezione sugli eventi da novembre a fine aprile. Abbiamo ritenuto con ciò di fornire ai lettori uno strumento per una corretta comprensione dei processi in corso (similmente fu fatto nel numero speciale di settembre-ottobre 2013 dedicato alle “riforme costituzionali”).

Nel fascicolo si affronta anche il contemporaneo esplodere di un tentativo di “rivoluzione colorata” in Venezuela (cfr. art di Lamattina) per riportare sotto il controllo imperialista la repubblica bolivariana e se ne propone una lettura contestuale.

La riflessione di Alessandro Leoni sulla “fase post-sovietica”, pur elaborata nell’agosto scorso a ridosso del possibile acuirsi della crisi siriana, mantiene tutta la sua pregnanza alla luce di quanto sta accadendo in Ucraina.

Per la preparazione della parte speciale sull’Ucraina prezioso è stato il supporto del sito dell’associazione Marx XXI (www.marx21.it) e del suo direttore Mauro Gemma, con un’imponente pubblicazione di documenti tradotti dall’originale, nonché del profilo Facebook “Con l’Ucraina antifascista”:

(https://www.facebook.com/ucrainaantifascista).

 

La crisi ucraina, che riporta la guerra in Europa, rivela sempre più chiaramente la portata mondiale dei processi in corso, che solo una visione provinciale di una certa sinistra in Italia si ostina a non cogliere o a rimuovere. Altrove, nella Repubblica Popolare Cinese, si organizzano invece Forum sulla grande crisi capitalistica e sulle prospettive del socialismo nel mondo. Il IV Forum mondiale del socialismo, tenutosi a Pechino a fine ottobre 2013, rappresenta un notevole contributo di analisi economico-sociale e politica che l’Accademia cinese delle scienze sociali (che pubblica da tre anni in inglese la rivista internazionale International critical Thought, cfr. scheda in quarta di copertina) e il PCC apportano al movimento comunista e operaio internazionale, nella ricerca, pur tra le diversità e differenze presenti, di punti forti di convergenza per un nuovo “rinascimento socialista”. La crisi capitalistica, infatti, apre un’intera fase storica che può condurre a vittorie decisive del proletariato o ad amare disfatte. I comunisti sono di fron­te al compito storico della transizione al nuovo ordine sociale. Se ne dà nel fascicolo un ampio resoconto (A. Catone), insieme con la pubblicazione del discorso introduttivo del presidente dell’Accademia Cinese delle Scienze Sociali Wang Weiguang.

 

Il quadro delle questioni internazionali è arricchito, inoltre, da un’analisi delle politiche del Partido dos Trabalhadores brasiliano (cfr. M. A. da Silva) e da report su iniziative di solidarietà con la causa della liberazione del popolo palestinese (O. Terracini, M. Musolino).

 

Sul piano interno, il fascicolo propone, insieme con un’analisi giuridico-istituzionale del “caso ILVA” e degli embrioni di stato neo-corporativo che le soluzioni legislative adottate per esso adombrano (cfr. gli articoli di D’Albergo e Bucci), un report sul convegno dell’associazione “Futura umanità” dedicato a “Togliatti e la Costituzione”, insieme con la pubblicazione di alcune relazioni in esso presentate (A. Hoebel, P. Ciofi, presidente dell’associazione “Futura umanità”): questione quanto mai attuale in questa fase di accelerati tentativi di ulteriore stravolgimento dell’impianto costituzionale.

 

La riaffermazione dei valori della Costituzione repubblicana, l’indisponibilità a vanificare i diritti da essa contemplati e la superiorità della Carta costituzionale rispetto a qualunque trattato internazionale costituiscono uno dei punti fondamentali del documento sulle “Idee e programma dei comunisti italiani per le elezioni europee”, che la rivista propone a mo’ di editoriale. In esso sono sintetizzate diverse questioni che anche il piccolo lavoro di analisi ed elaborazione di questa rivista ha contribuito a definire: il carattere regressivo, oligar­chico, antidemocratico e imperialista del­l’Unione Europea; la centralità del settore pubblico dell’economia per una programmazione democratica; la netta opposizione alle politiche di Ue e Nato; la necessità di rafforzare i legami tra i partiti comunisti, i movimenti anticapitalisti, antimperialisti e progressisti insieme con quella – nonostante le grandi difficoltà e le occasioni perse (si veda in proposito l’articolo di Bruno Steri, direttore della rivista “Essere comunisti” – di unire in Italia i comunisti su basi di affinità politica, programmatica, ideale e di collocazione internazionalista in un unico partito comunista, che si ispiri alla migliore tradizione del PCI, attualizzandola, bandendo ogni settarismo e subalternità.

Per ricostruire il soggetto politico comunista, fondamentale è l’attività di formazione politica marxista e comunista (si riporta qui l’esperienza della scuola “Gramsci” di Ancona”, diretta da R. Giacomini), di elaborazione culturale per l’analisi del presente e per riappropriarsi della storia dei comunisti (nella rivista vi è una breve scheda del volume curato da A. Hoebel e M. Albeltaro, “Novant’anni dopo Livorno. Il Pci nella storia d’Italia”, frutto di due convegni promossi nel 2011 dall’Associazione Marx XXI). È importante che si sviluppino associazioni e una rete di associazioni che promuovano e favoriscano il dialogo e l’elaborazione collettiva, terreno su cui è nata l’associazione Marx XXI, di cui si propone un ampio programma di attività (cfr. l’art. di Hoebel e Pellegrini), come anche riviste quali “Gramsci oggi”, che ha compiuto 10 anni (cfr. l’art. del suo direttore Giai-Levra).

La rivista “Marxventuno” continuerà nei prossimi fascicoli ad ospitare interventi e riflessioni, come anche report di esperienze di associazioni e riviste marxiste e comuniste, per favorire il dialogo e la costruzione dell’intellettuale collettivo, del soggetto politico comunista.

 

Ai lettori, a quanti trovano di una qualche utilità il nostro lavoro volto alla ricostruzione del soggetto politico comunista, fornendo strumenti per la lettura critica della realtà, insieme con l’elaborazione di indicazioni programmatiche, chiediamo di sostenerci con proposte di pubblicazione, articoli, suggerimenti, critiche. E chiediamo anche – last but not least – un contributo concreto, abbonandosi o rinnovando l’abbonamento, condizione essenziale perché si possa continuare in questa impresa.

 

Andrea Catone

 

Indice e abstracts

 

Comunisti in Europa uniti per la pace, il lavoro e la solidarietà internazionale

Idee e programma dei comunisti italiani per le elezioni europee

 

Manlio Dinucci - La vera posta in gioco nella crisi ucraina

L’Ucraina è una pedina fondamentale nel piano Usa di espansione a est, cominciato con l’in­globamento nella Nato di paesi dell’ex patto di Varsavia, dell’ex URSS e dell’ex Jugoslavia e corredato più di recente dal­l’in­stal­lazione di basi e forze militari a ridosso della Russia.

 

Mauro Gemma - L’Ucraina, l’Unione europea e la NATO

Quanto accade in Ucraina non è circoscrivibile alle vicende di quella repubblica ex sovietica. È parte di un piano organico elaborato da tempo dagli USA, dalla Nato, dai gruppi dominanti della Ue volto a destabilizzare, rovesciare e poi annettere, anche in Europa, quei paesi e governi che non accettano la tutela euro-atlantica

 

Federico La Mattina - Imperialismo occidentale e golpismo reazionario in Venezuela e Ucraina

In Venezuela la destra neofascista sta provando ad abbattere il legittimo governo di Maduro, con il supporto delle oligarchie economiche e mediatiche e degli USA. In Ucraina USA e NATO hanno supportato un golpe nazionalista, diretto da forze nazionaliste e neonaziste. Occorre lottare per lo smntellamento della nato e delle basi USA in territorio europeo.

 

Ahmed Bensaada - Ucraina: anatomia di un colpo di stato

Il cambio di governo in Ucraina è stato presentato come legittimo ed espressione della volontà popolare. Ma il golpe neonazista, ampiamente sostenuto dalle potenze imperialiste, non è che un tentativo di isolare la Russia e limitarne la crescente importanza nelle que­stioni internazionali.

 

Chiara Stella Smaldino - Il fumo nero di Kiev

Con il golpe del 22 febbraio, avvenuto con il benestare e il sostegno delle potenze imperialiste occidentali, salgono al potere uomini politici che si rifanno esplicitamente al Terzo Reich, per la prima volta dopo la fine della seconda guerra mondiale

 

Annie Lacroix-Riz - Holodomor: nuovo avatar dell’anticomunismo“europeo”

Una scarsità di raccolti, dipendente, in parte da fenomeni naturali, in parte dall’ostilità dei Kulaki, fornisce recentemente l’occasione al Parlamento Europeo di accusare l’URSS di “Holodomor”, un genocidio programmato nei confronti della popolazione ucraina, con cifre superiori a quelle dello sterminio degli ebrei da parte dei nazisti.

 

Flavio Pettinari - La sollevazione dell’Ucraina sud-orientale

La richiesta di un referendum per uno stato federale che rispetti i diritti delle minoranze e il rifiuto dell’accordo di associazione alla ue sono alla base della sollevazione, con marcati caratteri antifascisti, dell’Ucraina sud-orientale

 

Luigi Marino - La linea politica del Partito comunista d’Ucraina

Nato nel luglio del 1918, Il PCU ha avuto un’importanza fondamentale nella storia dell’URSS sino all’illegale sua proibizione nel 1991. Riorganizzatosi nel ’93, Mantenendo fermo l’obiettivo del socialismo, ha varato un programma minimo: contro il presidenzialismo, per l’intervento pubblico e la pianificazione in economia, contro l’imperialismo e la NATO.

I comunisti nella crisi ucraina. Documenti

 

Cronologia dell’Ucraina post-sovietica

 

Novant’anni dopo Livorno. Il Pci nella storia d’Italia. Breve scheda e indice

 

Andrea Catone - Il IV Forum mondiale del Socialismo a Pechino

Il IV Forum mondiale del socialismo, tenutosi a Pechino a fine ottobre 2013, rappresenta un notevole contributo di analisi economico-sociale e politica che l’Accademia cinese delle scienze sociali e il PCC apportano al movimento comunista e operaio internazionale, nella ricerca, pur tra le diversità e differenze presenti, di punti forti di convergenza per un nuovo “rinascimento socialista”.

 

Wang Weiguang - Le promettenti prospettive del marxismo e del socialismo nel mondo

Il processo storico mondiale mostra, con la grande crisi attuale, la natura decadente del capitalismo e l’i­nevitabile vittoria del socialismo, che però non sarà facile, né realizzabile in breve tempo. Bisogna intensificare lo studio su a) l’esperienza storica del socialismo in URSS e le cause della sua sconfitta; b) i nuovi aspetti del capitalismo. Il socialismo con caratteristiche cinesi mostra, di fronte alla crisi finanziaria internazionale, la sua vitalità.

 

Alessandro Leoni - L’epoca presente come “fase post-sovietica”

La realtà della Russia post-sovietica va interpretata in tutta la sua novità al fine di mutare i parametri fin ad oggi utilizzati dalle forze alternative/rivoluzionarie per definire le proprie linee guida politico-programmatiche.

 

Salvatore d’Albergo - Ilva: dalla crisi di Taranto ai privilegi dei Riva

Lo schermo dell’“interesse strategico nazionale”, sia se adoperato in modo surrettizio (come nel caso “Alitalia”), sia se anteposto in modo ostentato (come nel caso Ilva), non può essere utilizzato come una sorta di spot idoneo a legittimare violazioni crescenti di norme costituzionali ancora formalmente in vigore, come gli artt. 41 e 43 della Costituzione.

 

Gaetano Bucci, Salvatore D’Albergo - L’Ilva e gli embrioni di uno Stato neo-corporativo

Nella vicenda dell’Ilva, si deve osservare come la normativa adottata dal Governo per disciplinare un settore produttivo ritenuto enfaticamente di “in­teresse strategico nazionale”, risulti “an­ti­de­mo­cra­tica” ed “antisociale” perché contrasta con l’im­po­sta­zione e con le finalità della Costituzione.

 

Bruno Steri - Il congresso del Prc: un’occasione persa

Il congresso del Prc tenutosi a dicembre 2013 a Perugia non fa fare concreti passi in avanti a questioni vitali quali il processo di unificazione dal basso dei comunisti e la costituzione di un polo (o fronte) della sinistra di alternativa, formula che invece, in altri contesti europei, ha consentito ai comunisti di mantenere la propria identità politico-organizzativa in sintonia con la storia e la specifica esperienza politica dei diversi Paesi

 

Marcos Aurélio da Silva - Sulla strada del riformismo: il Brasile sotto i governi del PT

I governi del PT in Brasile, succeduti al regime dittatoriale e oppressivo dei militari, hanno operato per sanare le piaghe economiche del paese. Mentre parte della sinistra, considerando alcuni aspetti negativi come caratteri dominanti, si lancia in una critica feroce, l'autore ritiene, sulla base di una concezione dialettica della trasformazione sociale ispirata a Lenin e Gramsci, che le scelte economiche del PT vadano inquadrate in un processo progressivo.

 

Ornella Terracini - Mai complici di Israele

Intervento tenuto in occasione della ma­ni­fe­sta­zio­ne contro il vertice Letta-Netanyahu (2-12-2013), in cui si legge un bilancio complessivo e sentito delle iniziative a cui l’autrice ha preso parte, accompagnato da considerazioni sul­l’oc­cu­pazione sionista in Palestina e sul diritto al ritorno dei profughi palestinesi.

 

Maurizio Musolino - Per non dimenticare… il diritto al ritorno

Resoconto del viaggio dei 17 membri della delegazione del Comitato “Per non dimenticare… Il diritto al ritorno” a Gaza, agli inizi di gennaio. Un viaggio motivato dal­­l’e­si­genza di rafforzare la solidarietà ai profughi palestinesi ed il lavoro internazionale per il loro diritto a tornare nella loro terra.

 

Francesco Valerio Della Croce - La cultura togliattiana nella Costituzione del ’48

Report sul convegno “Togliatti e la Costituzione della Repubblica democratica fondata sul lavoro”, organizzato a Roma l’8 novembre 2003 da “Futura Umanità, associazione per la storia e la memoria del PCI”.

 

Alexander Höbel - Togliatti, la “democrazia di tipo nuovo”, la Costituente. Un’elaborazione di lunga durata

La linea della democrazia progressiva, cioè della costruzione di una democrazia organizzata, articolata, partecipata, è per Togliatti uno dei cardini dell'avvicinamento al socialismo. L’importanza del contributo togliattiano a questo tema sta nel fatto che esso si lega alla sua battaglia per l’Assemblea costituente e per una Costituzione che non si limiti a codificare gli assetti esistenti, ma che sia un programma per il futuro.

 

Paolo Ciofi - Togliatti e la via costituzionale per la trasformazione della società: democrazia e socialismo

La strategia di Palmiro Togliatti, il rivoluzionario costituente, ponendo i comunisti alla testa della guerra di liberazione e cementando l’unità dei partiti antifascisti, consentì di liquidare la monarchia e il fascismo e aprì la strada alla Costituzione del ’48 che mette  il lavoro a fondamento del patto tra gli italiani e che è il vero progetto per cambiare l’Italia e l’Europa.

 

Ruggero Giacomini - La scuola di formazione Gramsci

Tradizionalmente importante e molto curata nelle scuole di partito del PCI, la formazione è stata completamente trascurata dagli anni ’80. La Scuola di formazione politica Antonio Gramsci,sorta su iniziativa del Pdci-Marche e di Marx XXI vuole dare un segnale di inversione di tendenza e si propone di irrobustire la conoscenza e la coscienza dei militanti comunisti e della sinistra, specialmente dei più giovani.

 

Rolando Giai-Levra - La rivista “Antonio Gramsci oggi” compie dieci anni

Incoraggiante bilancio di 10 anni di attività e prospettive future della rivista digitale politico-culturale Antonio Gramsci oggi, sorta a Milano nel 2003 su iniziativa di un gruppo di compagni per aprire un dibattito sull’unità dei comunisti e sul possibile fronte della Sinistra.

 

Alexander Höbel, Paola Pellegrini - Rilanciare e rafforzare l’associazione Marx XXI

Bilancio e direttrici di un vasto programma di attività dell’associazione politico-culturale Marx XXI, fondata nel 2010 con l’obiettivo di produrre elaborazioni, studi e programmi che, sul piano teorico e culturale, ponessero le basi per il lavoro politico teso alla riunificazione in Italia delle forze che si richiamano al marxismo e al comunismo, nel quadro di un confronto con il complesso delle tendenze culturali e politiche anticapitaliste, progressive e democratiche a livello nazionale ed internazionale.

 

La rivista International critical Thought

 

ABBONAMENTO ANNUALE ORDINARIO: 30 EURO

ANNUALE ESTERO POSTA PRIORITARIA: 65 EURO

ANNUALE SOSTENITORE 80 EURO (O PIÙ)

 

PER STUDENTI, CASSINTEGRATI, ESODATI, DISOCCUPATI: 20 EURO.

 

 

SI PUÒ EFFETTUARE IL VERSAMENTO:

 

- SUL C/C POSTALE N. 001014700429  INTESTATO A: MARXVENTUNO EDIZIONI, II STRADA PRIVATA BORRELLI, N. 34, BARI

 

- TRAMITE BONIFICO BANCARIO:

IBAN: IT97 W076 0104 0000 0101 4700 429

 

- ON LINE DAL SITO WWW.MARX21.IT:

HTTP://WWW.MARX21.IT/COMPONENT/CONTENT/ARTICLE/32-LA-RIVISTA-MARXVENTUNO/549-CAMPAGNA-ABBONAMENTI-2012.HTML







Evropsko glasanje i perspektive komunista prema PdCI

1) Povodom iskustva Belgije (Fausto Sorini)
2) Prva analiza italijanskog glasanja (Cesare Procaccini)
3) Neke početne razmatranja na europskim izborima (Fausto Sorini)

(prevod: Jasna Tkalec)


=== 1 ===

(il testo originale, in lingua italiana:
Sulle prospettive dei comunisti in Italia: spunti dall'esperienza del Belgio
di Fausto Sorini, segreteria nazionale PdCI, responsabile esteri - 30 Maggio 2014

O perspektivama komunista u Italiji: povodom iskustva Belgije

Fausto Sorini, nacionalni sekretar PdCi (Paartije Talijanskih Komunista) za vanska pitanja

Pozivam sve drugarice i drugove da vrlo pažljivo pročitaju ovaj članak [http://www.marx21.it/comunisti-oggi/in-europa/24144-brillante-successo-elettorale-del-partito-del-lavoro-del-belgio.html] i da prouče iskustva PTB (Radničke partije Belgije).

Ta malena lenjinistička partija imala je do prije nekoliko godina samo nekoliko hiljada članova i na nacionalnim izborima dobijala je manje od 1% glasova. Zahvaljujući inteligentnom i strpljivom radu, koji se nije osvrtao na izbornu logiku, kao ni na političke i institucionalne prodore, za svega nekoliko godina uspjela je ne samo pojačati vlastitu društvenu ukorijenjenost, već postati partija koja raspolaže sa kadrovima i sa aktivistima, umnožila je članstvo (na kvantitativnoj i selektivnoj osnovi, najvećim dijelom radi se o aktivnim članovima): na kraju je postigla nevjerojatne rezulate, koje ni sama nije očekivala; prešla je izborni prag od 5% glasova i u nacionalni parlament uvela 4 komunistička zastupnika.

Treba proučiti to iskustvo ne kopirajući ga doslovno, već iz njega crpeći one aspekte koji su općeprimjenjivi i u našem kontekstu, a ono je sigurno korisno, gledajući na velike teškoće na koje komunisti nailaze u našoj zemlji, u cilju da se odrupremo konkretnim primjerima razornim likvidatorskim tendencijama.

Iskustvo male (ali sve manje male...) Belgijeske Partije rada (PTB) i to lenjinističke pokazuje, između ostalog, koliko je neutemeljena likvidatorska teza, koja se danas širi na sve strane u debeti koja se vodi na talijanskoj ljevici, a prema kojoj u najrazvijenijim kapitalističkim zemljama (kakve su Italija i Belgija...) navodno nema više objektivno mjesta za postojanje male i revolucionarne komunističke partije sastavljene od kadrova i od aktivista, koji čvrsto politički i ideološki uz nju pristaju, prihvataju organizaciju lenjinističkog tipa sa znatnim utjecajem na mase , koji je itekako društveno koristan (to jest ne predstavlja isključivo grupice ili ostatak izvjesnog političkog iskustva).

Belgijsko iskustvo predstavlja, između ostalog, sjajnu negaciju takvih likvidatorskih težnji.



=== 2 ===


(il testo originale, in lingua italiana:
In Europa crescono i comunisti. Prima analisi del voto italiano
di Cesare Procaccini, segretario nazionale PdCI - 26 Maggio 2014


Cesare Procaccini, nacionalni sekretar Pdci (Partije talijuanskih komunista), piše:

Rezultat evropskog glasanja, kojeg treba analizirati mirno i sa svim konačnim podacima, pokazuje napredovanje antievropskih i nacionalističkih snaga. Gromoglasan, ali ne i neočekivan, jest uspjeh francuskogFront national i ostalih partija ekstremne desnice, počevši od Grčke, do Španije i Cipra.

U Italiji snažnu pobjedu Pd (Partito democratico –Demokratske partije) treba više pripisati ogromnoj popularnosti Renzija (bez podcijenjivanja učinka obećanih 80 Eura povišice) nego upravo evropskim usmjerenjima, budući da Italija plaća jako visoku cijenu politici Evropske Unije. Taj rezultat ipak odbacuje i to metlom ljevičarsku manjinu, koja postoji unutar te partije.

Grillo, koji ima ipak još mnogo uspjeha, sa svojim zadnjih blesavim izjavama o „narodnim sudovima“ upravo se svojski potrudio da izgubi (od posljednjih izbora dva miliona glasova). Ne treba zapostaviti, na kraju krajeva, ni poraz partije Forza Italia (Berlusconijeva stranka prim. prev.) sa prelivanjem glasova u Pd (Demokratsku partiju).

Rezultat od 4% glasova, koji je dobio Tsipras, kojem ne treba zaboraviti da je izjavio da ine želi ići s Pdci (Partijom talijanskih komunista) jest rezultat koji bi mogao biti bolji da je bolje uspio povećati i proširiti jedinstvo ljevice u Italiji i u Evropi, krenuvši od pojačanja Evropske ljevice (Gue- gauche EU). Pred tim opredjeljenjima, pogrešnim svakako, reakcija Partije talijanskih komunista bila je racionalna i hladna, sa pogledom koji je gledao dalje od izbornih rezultata, i nije se zatvorio u vlastitu ljusku zbog teške diskriminacije, koju je doživio, održavajući otovrenom diskusiju sa najnaprednijim kandidatima liste Tsipras. Ovom prilikom želim zahvaliti svima onima, koji su potpisali naš programski manifest, izražavajući nadu da će se upravo na tim temama sljedećih tjedana nastaviti važan zajednički rad.

Jasno je da će se definitivno moći odlučiti, kad se bude vidjelo tko je izabran, no analiza rezultata ne može nas navesti da podcijenimo velik neizlazak na izbore i vrlo jako personaliziranje politike. Što se tiče naše zemlje, i bez kandidata vodili smo autonomnu izbornu kampanju, sa snažnim optuživanjem državnog udara u Ukrajini, ne preskačući teme koje se odnose na rad i na tematiku, koju su drugi podcijenili, antifašizma. Svim drugaricima i drugovima, koji su bez ekonomskih sredstava, ali s oduševljenjem i požrtvovanjem vodili kampanju ne štedeći sebe, veliko hvala. Isto tako treba izraziti zahvalnost na teritorijima, gdje su bili i administrativni izbori, drugovima iz Partije talijanskih komunista, koji su se borili za socijalna prava radnika.

Evidentno je, da i izvan liste Tsipras, nema alternative za budućnost komunista i općenito za budućnost ljevice, osim pristupanjem stvaranju širokog jedinstvenog fronta lijevih snaga na socijalnom i političkom planu, čija će osnovica biti svijet rada i radnih prava, u kojem će komunisti biti prisutni sa svojim autonomnim radom i doprinosom, koji će biti jači i više strukturiran od onog drugih političkih subjekata u igri. Moramo na nov i još neispitan način otvoriti „pitanje komunista u Italiji“. Treba nam jedinstveni front, koji će biti sposoban u borbi da uspostavi odnos sa onim dijelom populacije talijanske ljevice (ma kako oni danas bili politički locirani) koji će umijeti ponuditi radnicima, kao i mladima onu političku obalu i onu opciju, koje danas nema te bi bilo kratkovidno smatrati, da je ona jedino sadržana u rezultatima liste Tsipras.


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(il testo originale, in lingua italiana:

Alcune prime considerazioni sul voto europeo
di Fausto Sorini, segreteria nazionale PdCI, responsabile esteri - 27 Maggio 2014

Fausto Sorini, zadužen za vanjska pitanja PdCI (Partije talijanskih komunista), piše:


Očekujući dublju analizu glasanja za novi Evropski parlament kazao bih da se zasad mogu izvući sljedeći zaključci:

  • Od 800 miliona ljudi, koji predstavljaju ukupno Evropski kontinent, više od 500 miliona žive u zemljama što čine Evropsku Uniju (koja nije nipošto cijela Evropa). Od njih 400 miliona ima pravo glasa, a od tih je svega 43% izišlo pred biračke kutije (oko 170 miliona otprilike): jednaki postotak je glasao na evropskim izborima i 2009, sa danas vrhuncima neizlaska u Slovačkoj 13% i najvećeg izlaska u Italiji od 59% (izuzetak je Belgija sa 90%, gdje je izlazak na glasanje obavezan, odnosno u toj zemlji neizlazak na glasanje podliježe sankcijama).


  • Uzimajući u obzir bijele glasačke listiće ili one nevažeće, činjenica je, da gotova trećina „važećih“ listića pripada ili krajnjoj desnici ili krajnjoj ljevici, što ukazuje na radikalno kritičan odnos prema ovoj sakatoj „Evropi“, kapitalističkoj, liberističkoj i atlantskoj, kakva je danas Evropska Zajednica; zato nije pretjerano ustvrditi da bar 3 građanina Evropske Zajednice, od njih 4, takvu zajednicu osjećaju tuđom i neprijateljskom (i u tome su potpuno u pravu).


-Zabrinjava iz niza razloga, koji se odnose i na stanje ljevice u Evropi (u izvjesnim slučajevima i na komuniste),da zbog njene slabe ukorijenjenosti i zato što ona više nije alternativa sistemu, već je politikanstka, udaljena kako od radnika tako i od mladih, koji su tu pred njom svojim živim tijelom, to izražavaje nezadovoljstva narodnih masa i nelagode najsiromašnijih slojeva društva, najteže pogođenih kapitalističkom krizom, biva iskorišteno od populističkih fomacija ekstremne desnice, u pojedinim slučajevima otvoreno fašističkih ili filonacističkih. Najteži slučaj predstavlja Francuska, gdje je antisocijalna i militarističkapolitika Socijalističke partije Hollandea, potpuno podložne vodećim euro-atlanskim usmjerenjima, kao i cijeli niz poteškoća i podjela na lijevom frontu kao i podijela među komunistima, koje potječu od davnih vremena (iako još nisu toliko teške i komplicirane kao u Italiji...), ostavio ogroman prostor jednoj fašistoidnoj političkoj formaciji, kakav je Front national, koji se danas postavlja tako kao da želi postati pokretač politike u jednoj od ključnih zemalja evropskog i svjetskog konteksta.


- Ima i situacija gdje,- nasuprot navedenom primjeru -, kao što je to slučaj u Portugalu, ali na izvjestan način i u Grčkoj i na Cipru, fundamentalni i najborbeniji dio socijalnog nezadovoljstva okreću prema sebi i organiziraju solidarne i vrlo odlučne komunističke partije, koje su suštinski dio borbene i masovne ljevice, počevši od sindikata; u tim su zemljama sindikati klasni i pored toga vrlo jaki i uopće nisu podložni onima, koji se slažu sa sistemom i na taj način oni umanjuju i zadržavaju napredovanje reakcionarnog populizma, dok najborbeniji dio svijeta rada kao i svijeta mladih nalazi u tim partijama pozitivan i napredan izlaz za vlastitu socijalnu nelagodu.



-U toj općoj slici ističe se suštinska stabilnost i još veće jačanje partija, koje dominiraju u Njemačkoj (Narodna i Spd) kao i vodstvo gospođe Merkel, unutar „velike koalicije“ (koja predstavlja shemu bipolarnih vlada Evropske Unije, koje smo već vidjeli u prošlosti i koje ćemo izgleda vidjeti i u godinama koje dolaze): to je primjer novog njemačkog imperijalizma, koji je u isto vrijeme solidaran, a ujedno i u kompeticiji sa američkim imperijalizmom; on raspolaže nesumnjivim koliko i zabrinjavajućim društvenim pristankom, štoi obuhvaća i široke mase stanovništva, i što želi biti pokretačem jedne Evropske Unije sve više germanocentrističke, što vlada nad drugim zemljama i nad drugim narodima euro-zone, na prešutan, ali vrlo agresivan način, i koja je– uz SAD – sukrivac ponovnog rađanja neonacizma i to u zemlji, koja je ključna za evropsku ravnotežu i za odnose Istok-Zapad i za zemlje kao što je Ukrajina.


- Što se tiče Italije, nju je daleko lakše pročitati, unutar njene negativnosti:

- ističe se veliki uspjeh Renzija, koji je izvrsno uspio pobijediti u natjecanju s Grillom kao i sa Berlusconijem. Unutarnja lijeva manjina PD-a (Demokratske partije) ispala je tim uspjehom masakrirna. Posljedice svegta toga su vrlo ngativne, kako za zemlju tako i za cijelu talijansku ljevicu. I to će se vrlo brzo pokazati, nakon početne opijenosti.


-ListaTsipras jedva jedvice je prešla izborni prag (s nekoliko hiljada glasova), ali ne uspijeva utjecati, na značajan način, i zbog izborne ogrničenosti i zbog politikanstva, kojim je prožeta, niti na izbornu masu ljevice PD (Demokratske partije) niti na Grillov pokret zvan 5 zvijezda. Izbile su kao hegemone odnosno kao vodeće njezine unutarnje najumjerenije komponente, što je bilo i predvidivo, na planu zastupanja u Evropskom parlamentu.

To neka posluži kao pouka onima, koji su, kao Rifondazione comunista (Ponovno osnovani komunisti) ili drugi slični, mislili da će imati koristi i da će za njih biti neka predsnost, ukoliko se bude diskriminirao jedan dio komunista.

Neka nam bude dopušteno istaći, sa malo ironije (i samoironije) da je glas jednog dijela tradicionalnih glasača komunista bio apsolutnopresudan u postizanju kvoruma za izborni prag. Ovo nije sud, nego kostatacija. A to je bilo moguće jer je upravljačka grupacija naše partije reagirala hladno i politički racionalno i gledajući dalje od izbornih rezultata i zaboravljajući na tešku diskriminaciju, kojom smo postali objektom, budući da su nas prisilno izbacili iz izbornog natjecanja i zato smo se osobno založili da se članstvo ponaša odgovorno i da se izbjegne mogući neizlazak na izbore, kao i to, da postanemo žrtve podcjenjivanja.

Nadilazeći rezultat iste Tsipras , nema alternative za budućnost komunista i za talijansku klasnu ljevicu, osim stvaranja jedinstvenog fronta sa svim snagama ljevice u društvu i u politici, i to fronta koji će imati vlastito utemeljenje u protoganističkoj ulozi, koja se pridaje svijetu rada, u kojem će komunisti biti prisutni svojom vlastitom partijom, koju treba potpuno iznova izgraditi. Radi se o jedinstvenom frontu socijalne borbe, ujedinjene sa sindikalnom i poolitičkom borbom. I to borbe koje će umijeti ponuditi radnicima kao i mladima u našoj zemlji onu političku obalu, koju čitavu tek moramo izgraditi. I za koju bi bilo kratkovidno smatrati da lista Tsipras (sa svim svojim ishodišnim ograničenjima) predstavlja izvjesno najavljivanje.