Informazione

Per le armi "il mercato americano è un mercato sicuro, anche nei prossimi decenni”. Nessun dubbio! D'altronde, mentre ha raggiunto uno stadio avanzato il processo di smantellamento delle Forze Armate (vedi ad esempio JUGOINFO del 14 luglio 2005), nella Serbia post- ed anti-jugoslava le armi servono solamente per l'esportazione, possibilmente a favore dei propri carnefici. IS 


http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/6126/1/51/


Zastava armi: nuova impresa con gli americani

22.09.2006   


La Zastava armi e un partner americano daranno vita ad una nuova azienda comune. La Zastava Arms USA si dedicherà alla produzione e vendita di pistole, armi da caccia e fucili di precisione. Nostra traduzione

Di Milutin Djevic, Ekonomist, 4 settembre 2006, (tit. orig. Zastava oruzije. Nova firma sa Amerikanicima

Traduzione per Osservatorio Balcani: Ivana Telebak 


Il più grande mercato delle armi e delle munizioni, il mercato degli USA, entro la fine dell'anno si arricchirà di un'altra compagnia che si occuperà della produzione e della vendita di pistole, revolver, fucili a lunga gittata e componenti degli armamenti militari. La Zastava armi e uno dei sette partner americani interessati fonderanno questa compagnia come una azienda comune. La sede dell'azienda che si chiamerà Zastava Arms USA sarà ubicata nel luogo della sede del partner americano. 

La compagnia di Kragujevac contribuirà al capitale iniziale per l'azienda comune, con la messa a disposizione di pistole e fucili a lunga gittata, mentre il partner americano investirà una somma di denaro pari al valore della merce consegnata. Il profitto sarà suddiviso in parti uguali. 


I nuovi investimenti 

Nel primo anno, la nuova azienda si occuperà soltanto del trasferimento delle armi, e nel secondo anno inizierà con l'assemblaggio delle pistole, dei revolver e del più famoso fucile serbo a lunga gittata, la “Freccia nera”. 

Secondo le parole del direttore generale della Fabbrica militare Dragoljub Grujovic, nei prossimi mesi il management della fabbrica sceglierà per la collaborazione l'offerta migliore fra le sette offerte proposte. 

“I partner potenziali ci hanno già consegnato dei piani d'affari completi dove si vede quali sono i prodotti che possiamo vendere sul mercato degli USA, a che prezzo e quale sarà il volume di vendite che sarà possibile realizzare. È importante che siamo riusciti ad ottenere tutta la documentazione iniziale, come il consenso del ministero per i Rapporti economici con l'estero, il consenso definitivo del ministro della Difesa, ed anche il nostro Consiglio d'amministrazione che ha preso la decisione di avviare la realizzazione di questo progetto”, dice Grujovic. 

Fra l'altro, alla Fabbrica militare hanno calcolato che nel prossimo anno, insieme alla collaborazione con la Remington e con la nuova compagnia Zastava Arms USA, ci si potrà aspettare un aumento del volume di affari sul mercato americano di circa otto milioni di euro. 


Il nome e il profitto 

Con la fondazione della nuova azienda in America, la Fabbrica militare, secondo Grujovic, “dovrebbe prendere due piccioni con una fava”. 

“Tutto ciò che la Remington ora non può accettare, e si tratta di pistole, di fucili a lunga gittata e di componenti delle armi militari, noi li venderemmo allo stesso prezzo a cui li vendono adesso i nostri importatori. Loro realizzano grandi profitti perché vendono le nostre armi addirittura quattro o sei volte più care del prezzo d'acquisto. Adesso, per la prima volta in America potremo vedere armi col nome Zastava e ai prezzi che realizzano gli importatori. E' una cosa molto importante, perché la quantità e l'assortimento dei prodotti e il volume degli affari potrebbero garantire un guadagno maggiore rispetto a quello che realizziamo adesso con la Remington e anche maggiore di quello che potremo ottenere con questa compagnia in futuro”, spiega Dragolljub Grujovic. 

Nella compagnia di Kragujevac affermano che sul mercato americano c'è una grande richiesta per le armi militari che vengono esportate dai nostri stock militari. In Serbia ci sono addirittura 83 aziende che si occupano dell'importazione delle armi militari, e che comprano dai magazzini militari, e quasi tutte queste armi sono state prodotte proprio nella Fabbrica militare Zastava. 

“Lo scopo è di piazzare la maggior parte delle armi che produrremo sul più grande mercato delle armi a prezzi più vantaggiosi per la fabbrica, di coprire tutte le spese del lavoro in fabbrica e di realizzare il profitto. I pacchetti di armi militari, nelle parti permesse dalla legge americana, sono molto richiesti. A questo mercato potremmo vendere un grande numero di 'Kalashnjikov' semiautomatici e un grande numero di pezzi. La ditta Zastava Arms USA dovrebbe coprire almeno il 50 percento del piano di affari della compagnia Zastava armi. Comunque, la cosa più importante è che il mercato americano è un mercato sicuro, anche nei prossimi decenni”, dice Grujovic. 

Fra l'altro, fino ad ora aziende che producono armi della Bulgaria, Russia, Rep. Ceca e dell'Italia... hanno fondato aziende comuni insieme ai partner americani 

La prassi è che tutti i più famosi produttori di armi in America hanno compagnie comuni. 


Modernizzazione 

Secondo il piano di ricostruzione, la modernizzazione della Fabbrica militare è iniziata quest'anno e dovrebbe terminare nel 2011. Per poterlo fare è necessario garantire un miliardo e 123 milioni di dinari. 

Entro la fine di quest'anno in fabbrica dovrebbe arrivare la macchina 21 CNC con guida numerica. Il valore dell'investimento di quest'anno è di circa due milioni di euro. 

Oltre all'acquisto di questa macchina più moderna, in fabbrica sono in corso dei lavori per installazione dell'impianto per l'aria compressa, che ridurrà gran parte dei costi di produzione. Questo investimento costa circa 100 milioni di dinari. Con la prima fase della modernizzazione, la capacità di produzione delle armi da caccia e sportive sarà raddoppiata. 


Produzione record 

Fino ad ora ad una delle più vecchie e più rispettabili aziende americane di armi, la Remington, sono state consegnate 15.000 carabine e fucili di piccolo calibro, e entro il 10 settembre dovrebbe partire anche la sesta consegna di 3.000 carabine. 

Secondo le parole del direttore della fabbrica Dragoljub Grujovic, si tratta di un record nella produzione delle armi da caccia e delle armi sportive, perché fino all'embargo del 1992 la fabbrica aveva prodotto al massimo 16.000 pezzi all'anno. 

“Il presidente della compagnia Remington, Thomas Millner, ha annunciato che per il prossimo anno potremmo iniziare anche con la consegna dei nuovi prodotti. Oltre ai fucili da caccia, ci sono doppiette dal design moderno, armi semiautomatiche, armi semi automatiche di piccolo calibro e simili”, afferma Grujovic. 

Fra l'altro, la Remington ha intenzione di aprire un altro reparto in fabbrica e di trasferirvi una parte della sua produzione e della sua tecnologia. Il presidente della compagnia americana, Thomas Millner, nonostante fosse già accordata la consegna di 24.000 fucili di piccolo calibro e di carabine, chiede alla fabbrica di Kragujevac di aumentare le consegne. Millner afferma che il mercato americano riesce, quando si tratta di caccia e sport, ad accettare tutte le quantità che la Zastava produce. 

In fabbrica sottolineano che la collaborazione con questa compagnia ha portato anche ad un aumento della richiesta sul mercato europeo, perché adesso le armi da caccia con il marchio “Zastava Remington” vengono quotate meglio e si vendono meglio. 



Popolo Rom
INIZIATIVA a Rho e PROTESTA espulsione rumeni a Roma


=== INIZIATIVA a Rho ===

https://www.cnj.it/INIZIATIVE/rho.htm

Dintorni Rhom

MOSTRA D'ARTE, MUZIKANTI IN CONCERTO, BUFFET BALCANICO

a Rho (Milano)
presso LIBERAMENTE (Via Statuto / Via Castelli Fiorenza)

il 14 ottobre 2006 a partire dalle ore 20:00

la mostra continuerà fino al 31 ottobre

LA LOCANDINA: https://www.cnj.it/INIZIATIVE/rho.htm


=== PROTESTA espulsione rumeni a Roma ===

> From: operanomadilazio @...
> Date: October 6, 2006 6:55:41 PM GMT+02:00
> Subject: PROTESTA ESPULSIONE ROM RUMENI A ROMA

Opera Nomadi

Ente Morale (D. P. R. 26/03/70 n. 347)

Sezione del Lazio
operanomadilazio @ supereva.it
http://operanomadilazio.supereva.it
Via di Porta Labicana, 59 -00185 Roma
tel. 06/44700166 - 44701860 fax 06/44701859
codice fiscale 97042500583
p. IVA 07088291005


COMUNICATO STAMPA

Siamo indignati per l'espulsione di massa di centinaia di Rom Rumeni
da Roma in Romania: perchè il Governo di centrosinistra ha effettuato
un'operazione mai compiuta a Roma nemmeno da Pisanu e dal suo governo
non certo famoso per l'accoglienza dei migranti (vedi Lega)?

A cosa è servita la visita del Ministro Amato ai Rom "jugoslavi" a
Ferragosto ?

E l'indignazione diventa irrefrenabile se si pensa che già tali
pratiche (le espulsioni collettive) sono state condannate (come
riportiamo in allegato) e che gli espulsi facevano parte della
Comunità Rom che ha visto il 19 marzo di un anno fa morire per
annegamento una loro figlia di 18 mesi, Odisea Gramescu, proprio
sotto Ponte Marconi.

Solo le espulsioni o gli sgomberi sono la risposta di una città come
Roma di fronte all'emergenza freddo e le favelas formatisi lungo i
suoi fiumi a causa della dispersione periodica dei migranti dagli
insediamenti spontanei?

Crediamo che altre possano essere le strade da percorrere anche
perchè l'industria Italiana, come accertato formalmente dalla CGIL,
sfrutta selvaggiamente il mercato della manodopera in Romania (salari
medi di 100 euro mensili!) causando questa inarrestabile ondata
migratoria anche del popolo Rom che in Romania, prima della caduta
del cosiddetto muro, era inserito in tutta l'attività produttiva del
Paese e disponeva di pur minimi ammortizzatori sociali, come ancora
oggi accade in Ungheria, Paese dove i Rom sono il 6% della
popolazione complessiva e che non emigrano però verso Occidente.

Pertanto chiediamo che associazioni, partiti, istituzioni, sinceri
democratici e cittadini intervengano subito presso il Ministro
Ferrero perchè non venga offesa l'immagine della Roma progressista ed
interculturale e perchè la situazione rimbalzerà, come giusto, a
livello internazionale (Martedì - tra l'altro - alle ore 8.30 l'Opera
Nomadi -con un'ampia delegazione di Rom/Sinti - incontrerà il
Commissario ONU per i DIRITTI UMANI) dove già l'Italia ha subito
pesanti censure per la sua politica nei confronti dei Rom/Sinti.

E' doveroso che l'Amministrazione Comunale di Roma ponga riparo a
questo atto di pura xenofobia su un gruppo che ha visto subire
addirittura, nei mesi scorsi, l'annegamento di una loro bambina
nell'adiacente Fiume Tevere.


Roma 6 ottobre 2006
dr MassimoConverso
Presidente Opera Nomadi Lazio


Allegato

La pratica delle espulsioni cd. collettive è da ritenersi illegittima
secondo l'art.4 del Protocollo 4 allegato alla Convenzione Europea
dei Diritti dell'uomo.

Il Giudice,
sciogliendo la riserva

OSSERVA

L'art.4 del Protocollo 4 allegato alla Convenzione Europea dei
Diritti dell'uomo, applicabili in Italia ad integrazione della
normativa vigente interna, recita, in modo laconico ma perciò anche
estremamente chiaro ed insuscettibile di interpretazioni,che "le
espulsioni collettive di stranieri sono vietate".

Con ciò, al fine di non suscitare allarme sociale e non consentire
operazioni di polizia allo scopo di espellere interi gruppi etnici,
si è voluto sottolineare il principio che un provvedimento di
espulsione deve essere adottato sempre individualmente e prendendo in
considerazione, in modo reale e non fittizio e di mera forma, le
singole e differenziate situazione di ogni individuo, vietando
qualunque situazione di rastrellamento collettivo di appartenenti a
determinate nazionalità, per non trasformare l'applicazione di una
legge, quale quella che disciplina l'ingresso e la permanenza in uno
stato degli stranieri, in una forma inaccettabile e distorta di
rigetto di una pluralità di soggetti colpiti principalmente per
essersi radunati in forza della loro comune provenienza cultura o
religione, che verrebbe a legittimare operazioni di pulizia etnica.

Nel caso in specie i ricorrenti sono stati tutti colti nella medesima
operazione di sgombero di una unica area e trattasi tutti di
cittadini rumeni appartenenti al popolo Rom e tutti sono stati poi
destinatari di un provvedimento di espulsione uguale nella sua
formulazione per tutti.

Pertanto non può dubitarsi che, stante l'unicità di luogo, tempo e di
motivazione dei decreti impugnati, si verte in una ipotesi di
espulsione collettiva, come tale vietata, che resta tale nella
sostanza anche se i provvedimenti di espulsione sono stati stilati in
numero pari ad ogni soggetto e intestati singolarmente ad ognuno,
essendo ovvio che il divieto di cui al Protocollo allegato alla
Convenzione Europea sui Diritti dell'Uomo non potesse fare
riferimento ad espulsioni disposte con un unico atto per più
soggetti, che sarebbe comunque illecito, ma proprio ha voluto sancire
l'illiceità di azioni che colpiscano in contemporanea un gruppo di
stranieri.

Pertanto, attesa la natura di provvedimento collettivo che integrano
i singoli decreti, questi devono essere dichiarati nulli perché
contrari alla legge.

P.Q.M.

dichiara la nullità e pertanto la revoca dei decreti di espulsione
emessi in data 17/5/04 dal Prefetto della Provincia di Milano
avverso: seguono i nomi dei destinatari dei decreti di espulsione.

Milano 2 agosto 2004

II Giudice ***

DEPOSITATO IN CANCELLERIA
OGGI 3 agosto 2004 - n. 2992 cron

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/6232/1/51/

La Serbia e la nuova Costituzione

07.10.2006 Da Belgrado, scrive Danijela Nenadić


Il parlamento serbo adotta la nuova Costituzione, a fine ottobre la
conferma mediante referendum. Insoddisfazione della maggior parte
delle minoranze nazionali. Il Kosovo parte integrante del territorio
della Serbia


La Serbia ha ottenuto la nuova Costituzione, un atto atteso dal 5
ottobre 2000 (giorno della sconfitta elettorale di Slobodan
Milošević, ndt.). Sabato 28 settembre, in un’atmosfera niente
affatto festosa, eccetto il momento estatico del discorso del
presidente del parlamento Predrag Marković, il Parlamento, con i voti
di tutti i 242 deputati che hanno partecipato alla seduta, ha
adottato la nuova Costituzione. Subito dopo l’adozione della
Costituzione è stata accolta la decisione sulla tenuta del referendum
per la conferma della Costituzione, che si terrà il 28 e 29 ottobre.

Da tempo attesa, la nuova Costituzione ha sollevato il grande
interesse dell’opinione pubblica serba. E mentre alcuni sottolineano
che la Costituzione rappresenta la definitiva presa di distanza dal
regime di Milošević e il risultato di un necessario consenso, gli
altri criticano il modo in cui viene adottato ciò che, per ogni
società, rappresenta un atto fondamentale.

I due argomenti contro la Costituzione sono stati formulati sulla
base di motivi procedurali, quali l’assenza di un dibattito
pubblico, e motivi sostanziali, quali la definizione della Serbia
come stato nazionale e l’inclusione del Kosovo nel preambolo della
Costituzione. Inoltre, critiche giungono anche dalle fila dei
rappresentanti delle minoranze nazionali, i quali affermano che i
costituzionalisti non li hanno consultati durante la stesura del testo.

L’aspetto più controverso è comunque il preambolo della
Costituzione nel quale si dice che “a partire dalla tradizione
statale del popolo serbo e dall’eguaglianza di tutti i cittadini e
delle comunità etniche in Serbia, a partire anche dal fatto che la
Provincia del Kosovo e Metohija è parte integrante del territorio
della Serbia, che gode dello stato di autonomia sostanziale nel
quadro dello stato sovrano della Serbia e che da tale condizione
della Provincia del Kosovo e Metohija seguono gli obblighi
costituzionali di tutti gli organi statali di rispettare e difendere
gli interessi statali della Serbia in Kosovo e Metohija e tute le
relazioni politiche interne ed esterne, i cittadini della Serbia
adottano la Costituzione della Serbia”.

L’Articolo 1 definisce la Serbia come stato del popolo serbo e di
tutti i cittadini che in esso vivono, fondato sullo stato di diritto
e la giustizia sociale, sui principi della democrazia civile, sulle
libertà e i diritti umani e delle minoranze e sull’appartenenza ai
principi e valori europei. L’inno ufficiale della Serbia è “Bože
pravde”, la lingua ufficiale è il serbo, quella scritta è il
cirillico, mentre l’utilizzo di altre lingue e scritture è regolato
dalla legge. L’elezione del parlamento rimane invariata, i cittadini
della Serbia eleggeranno il futuro presidente col sistema diretto e
rimarrà in carica per un periodo di cinque anni. La procedura dei
cambiamenti della Costituzione è stata modificata, sui cambiamenti
costituzionali deciderà il Parlamento con una maggioranza dei due
terzi dei deputati, dopo di che dovrà essere approvata mediante
referendum e sulla base del 50% più uno dei votanti, e non come
adesso mediante la maggioranza dei voti di tutti gli elettori della
Serbia.

Nell’ambito delle definizioni territoriali, la Costituzione prevede
due province autonome: la Vojvodina e il Kosovo e Metohija, tenendo
presente che la loro autonomia sostanziale viene regolata mediante
leggi particolari. D’altra parte il Kosovo è incluso anche nel
giuramento del presidente della Serbia, sicché lui o lei in occasione
del loro insediamento pronunceranno il seguente testo: “Giuro che
impegnerò tutte le mie forze per mantenere l’integrità e la
sovranità del territorio della Serbia compreso il Kosovo e Metohija
come sua parte integrante, così come mi impegnerò per la
realizzazione delle libertà e dei diritti umani e delle minoranze,
rispettando e difendendo la Costituzione e la Legge, mantenendo la
pace e il benessere di tutti i cittadini della Repubblica della
Serbia e consapevolmente e responsabilmente adempierò a tutte le mie
funzioni”.

Secondo le parole dei costituzionalisti, la Costituzione garantisce
tutti i diritti delle minoranze nazionali seguendo gli standard
europei. Nell’articolo 75 ai membri delle minoranze nazionali, oltre
ai diritti di cui godono tutti i cittadini, vengono garantiti
ulteriori diritti, individuali e collettivi. L’articolo 79
garantisce agli appartenenti delle minoranze nazionali il diritto ad
esprimersi, mantenere, conservare ed esprimere pubblicamente le
specificità culturali etniche e religiose, l’utilizzo dei propri
simboli, l’utilizzo della propria lingua e della propria scrittura,
le scuole nella lingua madre, informazioni nella propria lingua, e
dove compongono una popolazione significativa, la possibilità fare i
processi nella propria lingua, scrivere il nome delle vie, i segni
topografici e dei luoghi nella propria lingua, il diritto ad
associarsi e a collaborare con i loro compatrioti, e in particolare
viene vietata l’assimilazione con la forza. In un particolare
articolo si dice che la Repubblica della Serbia sottolinea lo spirito
di tolleranza e il dialogo multiculturale. La Costituzione porta una
serie di novità e per la prima volta introduce le categorie di
uguaglianza dei sessi e la difesa dei cittadini, rinforza i diritti
dei minori, proibisce la discriminazione, esprime l’orientamento
verso i valori europei.

Parlando della Costituzione, il presidente Tadić ha dichiarato che lo
statuto adottato non è certo l’ideale, ma che in questo momento è
il migliore possibile, e che rappresenta un passo europeo,
aggiungendo di provare un certo imbarazzo a causa dell’assenza di un
dibattito pubblico. Il premier Koštunica nel suo discorso ha
precisato che con la nuova Costituzione la Serbia è un paese fondato
sul diritto e ribadisce che il Kosovo e Metohija è sempre stato e
rimane una parte integrante del territorio della Serbia.

Alla votazione per la Costituzione hanno partecipato 242 deputati,
mentre i partiti di opposizione quali SDU e SDP hanno boicottato la
seduta parlamentare. Nel momento dell’adozione della Costituzione,
la LDP ha organizzato una protesta davanti all’edificio del
parlamento della repubblica, alla quale hanno preso parte un
centinaio di cittadini che hanno espresso la loro disapprovazione
verso la nuova Costituzione. LDP ha già annunciato il boicottaggio
del referendum. La maggior parte dei partiti delle minoranze
nazionali hanno annunciato che inviteranno i propri elettori o al
boicottaggio o a dichiararsi contrari alla Costituzione.

I rappresentanti delle minoranze nazionali indirizzano la maggior
parte delle critiche nei confronti delle norme con le quali la Serbia
viene definita uno stato nazionale, nei confronti del ruolo delle
minoranze nazionali e rispetto la condizione del Kosovo.

I rappresentanti degli ungheresi della Vojvodina criticano la non
avvenuta consultazione delle minoranze ed esprimono insoddisfazione
per una, come dicono, insufficiente autonomia di questa provincia.
Nella dichiarazione rilasciata per il quotidiano “Politika”,
Jožef Kasa, presidente dell’Unione degli ungheresi della Vojvodina
afferma che il suo partito non appoggerà la Costituzione, ma che non
inviterà al boicottaggio, lasciando la libertà di scelta agli
elettori. Bojan Kostreš, presidente del parlamento della Vojvodina ha
dichiarato di non essere soddisfatto del livello di autonomia
previsto per la Vojvodina e ha aggiunto che gli esperti di diritto
valuteranno le norme della Costituzione dopo di che verrà presa la
decisione sull’eventuale boicottaggio.

Dall’altra parte Bojan Pajtić, presidente della provincia,
considera che la costituzione sia il risultato di un compromesso e
che non sia stato possibile rispettare tutte le richieste della
Piattaforma del governo della provincia sulla condizione della
Vojvodina nella Costituzione.

I rappresentanti albanesi della Serbia meridionale sono insoddisfatti
dell’inclusione del Kosovo nel preambolo, affermando che anche loro
si dichiarano apertamente per l’indipendenza della provincia. Essi
dicono che i partiti politici albanesi non andranno a votare al
referendum, e che in futuro voteranno solo per quella costituzione
che definisce la Serbia come uno stato dei cittadini.

I rappresentanti dei partiti bosgnacchi sono stati più moderati,
mentre la coalizione Lista per il Sangiaccato è per ora l’unica
minoranza ad aver invitato i propri elettori a votare per la
costituzione. Secondo quanto riportato da B92, il presidente di
questo partito, Bajro Omeragić, ha detto che la costituzione
rappresenta un passo avanti, e che soprattutto si riferisce ai
diritti umani e delle minoranze che sono compresi negli standard di
tutti i documenti internazionali. Secondo l’esperto di diritto
costituzionale, Zoran Tomić, ripreso da B92, “il tempo insegna a
noi giuristi che la costituzione è un atto politico e non di diritto.
Ecco perché i giuristi in questo momento devono tacere perché
possono risultare sconclusionati se iniziano a discutere con le
categorie costituzionali. Semplicemente, non si tratta di una zuppa
giuridica, ma di una minestra politica”.

Il referendum per la conferma della Costituzione si terrà il 28 e 29
ottobre, il che si interpreta come un modo per incrementare
l’affluenza degli elettori e garantire la maggioranza necessaria per
promulgare la Costituzione. Al referendum deve partecipare la
maggioranza assoluta degli elettori iscritti, e per far sì che la
Costituzione venga adottata devono votare a favore più della metà
degli elettori.

La domanda referendaria è la seguente: “siete a favore della
conferma della nuova Costituzione della Repubblica della Serbia?”, e
sulla scheda elettorale i cittadini dovranno dichiarare “sì”
oppure “no”.

Tuttavia , nessuno fino ad ora ha detto chiaramente cosa accadrà se
il referendum non dovesse passare. Il presidente del Tribunale
costituzionale, Slobodan Vučetić, considera che in quel caso
l’unica soluzione sarebbe l’indizione di elezioni per
un’assemblea costituente, mentre Stevan Lilić, professore alla
Facoltà di diritto, considera che ciò significherebbe la più
profonda crisi politica, costituzionale e sociale della Serbia.
Tenendo presente ciò, è del tutto comprensibile la generale campagna
di tutti i maggiori partiti politici serbi, i quali hanno già
iniziato ad invitare i cittadini alla partecipazione al referendum e
a votare per la Costituzione. Nelle settimane che seguiranno,
sicuramente i cittadini saranno testimoni di una delle più voluminose
campagne politiche della Serbia.

(In una recente intervista a Fox News, Bill Clinton ha difeso la politica estera della sua presidenza soprattutto per quanto riguarda la cosiddetta "guerra al terrorismo". Ma le dichiarazioni di Clinton sono in flagrante contraddizione con l'appoggio fornito dalla sua amministrazione all'oltranzismo islamista, micronazionalista, secessionista ed assassino, nei Balcani, nel corso di tutti gli anni Novanta! La contraddizione viene rilevata da Julia Gorin, una delle rare voci nell'ambito dell'ebraismo e del sionismo, ad evidenziare questo "piccolo dettaglio balcanico"...)


 
Jewish World Review Oct. 4, 2006 / 12 Tishrei, 5767

And that Wasn't Even the Tough Question, Primadonna Bill

By Julia Gorin

http://www.JewishWorldReview.com | In the much talked-about Chris Wallace-Bill Clinton interview on Fox, Clinton made several pointed insistences to Wallace that "at least I tried" to confront terror. This of course implies that the Clinton administration gave a damn in the first place. But how does one reconcile that with the fact that this man allied us with al Qaeda in the Balkans?
That Clinton had a tantrum over an obvious question asking why he didn't go after bin Laden, that he would consider such an interview a "hit job," is high comedy. This diva, unused to being challenged by the media except on sexual matters, can't even appreciate that in seven years, not one interviewer has ever asked him a single question about why he allied us with al Qaeda-trained terrorists who fabricated a genocide in Kosovo, in a war of aggression against a multi-ethnic European nation that never threatened any of its neighbors, much less the United States.
On page 225 of his new book "In the Line of Fire," Pervez Musharraf writes that it is believed that Omar Sheikh, the mastermind behind reporter Daniel Pearl's kidnapping, "was recruited by the British intelligence agency MI-6. It is said that MI-6 persuaded him to take an active part in demonstrations against Serbian aggression in Bosnia and even sent him to Kosovo to join the jihad."
Here we have a Muslim leader admitting what our own leaders will not: that with the U.S.-led mischief in the Balkans, the West was facilitating, supporting and financing a jihad in Europe. Musharraf's statement is consistent with the 9/11 Commission's finding that the "groundwork for a true terrorist network was being laid" in 1990s Bosnia, as former Senate Republican Policy Committee analyst James Jatras described it in his testimony at the Milosevic trial in 2004.
And in the Commission Report this has stayed, never to be spoken of since by any of our hard-nosed journalists of varying political stripes who dutifully "question" politicians' motivations for war. Understandably, they wouldn't want to alienate the President of Peace by bringing up not only that he didn't go after bin Laden, but that he did his bidding. For they would get more than the knee-poking that Chris Wallace got.
But as early as 1997, there was a Senate Republican Policy Committee report titled "Clinton-Approved Iranian Arms Transfers Help Turn Bosnia into Militant Islamic Base." And in 2003 Gregory Copley, president of International Strategic Studies Association, wrote an analysis titled "Bosnian Official Links With Terrorism, Including 9/11, Become Increasingly Apparent as Clinton, Clark Attempt to Justify Support of Bosnian Militants."
MI-6's involvement, meanwhile, is more than just "believed" or "said," and Sheikh wasn't the only one the Brits recruited to wage a terror campaign in Yugoslavia. See this Fox News video/transcript from "Dayside" just three weeks after London got a taste of what it (and we) gave Belgrade.
As the UK Guardian reported late last year, "Britain now faces its own blowback: Intelligence interests may thwart the July bombings investigation."
It is significant that in Musharraf's book Daniel Pearl is mentioned on the same page as the Western-promoted Kosovo jihad -- as it is that Pearl's kidnapper fought in Kosovo. For it was Daniel Pearl who first brought us the following revelation about the alleged Serb "aggression": "[A]llegations -- indiscriminate mass murder, rape camps, crematoriums, mutilation of the dead -- haven't been borne out in the six months since NATO troops entered Kosovo. Ethnic-Albanian militants, humanitarian organizations, NATO and the news media fed off each other to give genocide rumors credibility. Now, a different picture is emerging." The article was printed on the day the jihad was scheduled to come to our shores but was averted -- December 31, 1999.
In retrospect, the Serbian "aggression" Musharraf mentions appears to have been uncannily similar to the "Israeli aggression" that we hear so much about -- that is to say, a military response to provocations that are designed precisely to elicit such response, to be followed by international condemnation and next, international intervention (which then enables the jihad to proceed unhampered, as happened in Bosnia and, with even greater success, Kosovo).
Forward to pages 242-43 of Musharraf's book: "Before the subway operation, however, al Qaeda...decided not to use too many Arab hijackers, to avoid suspicion. Instead, it planned to use hardened European Muslim veterans of the Bosnian jihad..."
Again, a Muslim leader broaching the subject that our own leaders and media have blacked out: Bosnia was likewise a jihad on whose side we fought -- against the Serbian nation, whose people saved 500 downed U.S. pilots during WWII, at their own peril.
That much hyped (and ever-mutating) figure of 8,000 Bosnian-Muslim bodies in Srebrenica ensures all the immunity the former Clinton officials could hope for, by silencing any poor-taste, would-be questioners. Thanks to which Hillary Clinton -- who, despite her unofficial capacity at the time, green-lit the 1999 Kosovo war crime three days before we embarked on it -- stands a serious chance of becoming a presidential candidate and reinstating the band of war criminals from her husband's administration: Albright, Holbrooke, Clark, Berger and Cohen et al.
Peter Brock's new book Media Cleansing: Dirty Reporting reveals that of the 8,000 Srebrenica "dead," 5,000 were Muslim troops who fled the enclave before the Serbs took Srebrenica, after regularly ambushing nearby Serb villages, to join other fighting. Their families claimed they had been killed, but 3,000 have since registered to vote in elections (though some of them are no doubt among the voting dead). The 2,000-3,000 bodies that have been unearthed belong to people who died during all three years of fighting around Srebrenica -- not just from the time the Serbs took Srebrenica. Nor is it clear how many of the bodies are Muslim and how many are Serbian.
The 2,000-3,000 count is on par with the number of Serb civilians killed in and around Srebrenica, but no agency was tasked with counting dead Serbs and no humanity cries out for or commemorates dead Serbs. Indeed, upon being convicted of war crimes at the Hague, Srebrenica's Serb-hunter-in-chief Naser Oric was immediately released -- and got a hero's welcome home. (As most Serb-killers do before pursuing political careers in the region.) This messier version of the otherwise tidy "8,000 slaughtered" event is consistent with this easy-to-read "Srebrenica Fact Sheet," as it is with this Globe and Mail article last year by the UN's first peacekeeping commander in Sarajevo, retired Maj. General Lewis MacKenzie.
Unfortunately, the Bush policy on the Balkans has been to default to the pro-terror policies of the Clinton era, while the still-powerful Clinton cronies, including Wesley Clark and Richard Holbrooke, have been very busy burying their defecation in Kosovo. To that end, Congress, the State Department and almost every last NGO remain committed to Kosovo independence by early 2007, that is to the establishment of a mono-ethnic mafia-terror state headed by indicted war criminals. All the while, the original architects of this nail in our own coffin continue to wax authoritative on talk shows, freely touting their "successful war" in which they "stopped a genocide" -- knowing the statement will go unchallenged. And it does.
Though the dots remain purposefully unconnected, history, karma and consequence prove that what happens in the Balkans doesn't stay in the Balkans. Witness Madrid, London, Netanya and, as the Commission found, even 9/11.
As Copley wrote of Brock's Media Cleansing: "That there were genuine initial misunderstandings on the part of the world's media with regard to the Balkan situation is clear. But the fact that the media -- on whose judgments governments made policies -- allowed itself [sic] to be duped by propagandists, and that editors then refused to recant when their errors became obvious: there lies the essence of Brock's indictment….If Watergate was the modern starting point for agenda-based reporting, then the Balkan wars showed that, unchecked, the media could, without accountability, bring about the downfall of nations.
"The resultant emergence of terrorist coordinating centers in the Balkans, intimately involved in the 9/11, Madrid, and London attacks, can be laid directly at the door of the editors who allowed bias to rule their coverage of the Balkan wars. We have yet to see the full consequences of the media's shameful unprofessionalism in the Balkan wars of the 1990s. Peter Brock's book should be the basis for both Congressional and independent media enquiries."