Informazione

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3953/1/49/

La Krajina e gli spettri del passato

01.03.2005 scrive Luka Zanoni
In un momento particolarmente delicato per la Croazia e la Serbia,
entrambe in attesa di un parere positivo da parte dell’UE, scoppia un
caso singolare. A Belgrado viene eletto un sedicente “Governo in
esilio” della Repubblica serba di Krajina
Mentre sia in Croazia che in Serbia i rispettivi governi cercano di
fare i salti mortali per cercare di convincere l’UE che stanno
procedendo nella giusta direzione, nell’ottica dell’avvio dei
negoziati, previsti per il 17 marzo per la Croazia, e alla scadenza
imminente della presentazione dello Studio di fattibilità per la
Serbia, un fatto sconcertante piomba sulla strada europea delle due ex
repubbliche jugoslave.


Sabato 26 febbraio al centro culturale Dom sindikata di Belgrado si è
tenuta una seduta in cui è stato formato il cosiddetto “Governo in
esilio” della Repubblica serba di Kraijna (RSK). Nella seduta è stato
ribadito che “nemmeno dopo nove anni dalla brutale aggressione
dell’esercito croato e della pulizia etnica dei Serbi della regione
della RSK, né la Croazia, né la comunità internazionale hanno fatto
alcunché per continuare il processo di soluzione della questione dei
Serbi di Croazia”.

Una dichiarazione che ci riporta indietro agli anni novanta, al tempo
della guerra nella ex Jugoslavia, e alla dichiarazione unilaterale di
indipendenza della Regione autonoma della Krajina, divenuta in seguito
la Repubblica serba di Krajina guidata da Milan Babic, oggi pentito e
in carcere in Olanda.

[NOTA BENE: l'autore di questo articolo definisce "unilaterale" la
dichiarazione di indipendenza della Repubblica serba di Krajina,
omettendo di spiegare che la prima dichiarazione "unilaterale" di
"indipendenza" - illegittima e devastante per gli equilibri nell'area -
fu quella della Croazia (25/6/1991). ndCNJ]

Nel comunicato, riportato dall’emittente B92 il giorno stesso della
seduta, si precisa che il compito del “Governo rifugiato” è di
difendere coi mezzi politici e con colloqui con il governo croato,
l’Unione europea e le Nazioni Unite, gli interessi dei Serbi della
Croazia.

Il “Governo in esilio” è composto dai deputati già eletti nel 1993, i
quali si considerano ancora legittimi rappresentanti dei Serbi
dell’allora Krajina serba. Tuttavia – come precisato dal presidente del
Parlamento della RSK, Rajko Lezajic - questi ultimi non sono in
contatto con i rappresentanti dei Serbi di Croazia presso il parlamento
croato, e questo perché “loro non sono i rappresentanti del popolo
serbo della Krajina. Loro sono rappresentanti di se stessi. Noi siamo
il popolo serbo che è sempre stato equiparato a quello croato, dal 1918
al 1990”, ha precisato Lezajic.

Tali dichiarazioni hanno suscitato le ire della Croazia ufficiale, ma
hanno incontrato scarsa rilevanza e dichiarazioni non ufficiali sulla
presa di distanza da parte del governo di Belgrado. A fronte delle
buone relazioni tra i due Paesi la maggior parte dei rappresentanti di
governo ha espresso in via non ufficiale la propria disapprovazione per
una tale iniziativa.

Una timidezza di posizioni che ha reso del tutto insoddisfatto il
governo di Zagabria, benché rassicurato dall’ambasciatore della Serbia
e Montenegro, Milan Simurdic, della condanna di una siffatta bizzarra
iniziativa.

Non dello stesso parere, però, è la segreteria del Partito radicale
serbo. Per voce del presidente della segreteria del SRS, Dragan
Todorovic, si viene a sapere che il suo partito appoggia le intenzioni
dei rappresentanti del governo in esilio della Krajina. “la RSK è sotto
occupazione della Croazia e deve essere fatto in modo che tutti i
Serbi, cacciati durante l’operazioni Lampo e Tempesta, ritornino. Noi
li possiamo aiutare moralmente, perché non siamo al governo, ma appena
andremo al potere, faremo tutto il possibile per aiutarli. E a
Strasburgo parleremo di questo, così che l’Europa possa sentire cosa è
accaduto ai Serbi della RSK”, ha detto Todorovic a Radio B92.

Non sono tardate, ovviamente, le reazioni da parte dello stesso
presidente dei Consiglio nazionale serbo Milorad Pupovac, nonché
deputato al parlamento croato. Pupovac ritiene che “questa sia
un’iniziativa di quella gente che nel 1995 (anno delle due operazioni
militari di cui sopra, ndt.) era tra i maggiori responsabili di quanto
accaduto, proprio perché non fecero nulla per impedirlo”.

Va ricordato che durante le operazioni Lampo e Tempesta, nell’estate
del 1995, furono allontanati migliaia di Serbi di quella regione,
commettendo pure crimini di guerra, dei quali tra i maggiori
responsabili figura il latitante generale croato Ante Gotovina.

Ad ogni modo, insiste Pupovac non è chiaro l’intento di questa
iniziativa, dal momento che i Serbi di Croazia hanno i loro
rappresentanti legalmente eletti. Il timore è che ciò possa portare ad
una frattura tra il governo di Zagabria e quello di Belgrado.

Un timore condiviso pure dalla presidentessa del Partito popolare
croato, Vesna Pusic, che ha definito l’iniziativa come un incidente e
come il tentativo di “impedire l’avvio dei colloqui con l’UE e di
rinviare le riforme della Croazia in accordo con gli standard dell’UE.
Questo incidente a Belgrado non è favorevole e secondo me – ha detto la
Pusic – politicamente è del tutto irrilevante”.

Il quotidiano croato “Slobodna Dalmacija”, esce nell’edizione di lunedì
28 febbraio con il seguente titolo “Colpevoli della guerra chiedono
ancora sangue”. Un articolo che richiama la pericolosità dell’idea di
una grande Serbia [SIC - e la Jugoslavia multinazionale? ndCNJ] e delle
sue conseguenze. Secondo il presidente della Comunità dei ritornanti in
Croazia Josip Kompanovic “questi giochi col fuoco potrebbero avere
delle serie conseguenze delle quali molti non sono coscienti, e che di
nuovo potrebbero essere sentiti sulla pelle degli abitanti di qua,
siano essi Croati o Serbi”.

Kompanovic aggiunge inoltre di conoscere di persona il neo eletto
premier del governo della RSK, un certo Milan Buha di Beli Manastir,
noto per il suo orientamento nazionalista. Notizia confermata
dall’emittente belgradese Radio 021, che lo individua come il direttore
della azienda Lisja di Novi Sad.

Secondo la maggior parte dei commenti raccolti dalla stampa croata, la
controversa iniziativa organizzata a Belgrado, giunge proprio nel
momento in cui la Croazia sta incrociando le dita per ottenere l’esito
positivo sull’avvio dei negoziati con l’UE. L’intento sarebbe quello di
frenare l’avvicinamento del Paese all’UE, cercando di portare
l’attenzione su una delle condizioni cruciali per l’ingresso nell’UE,
ossia il rispetto delle minoranze.

Tuttavia, fa notare il presidente del SDSS (Partito democratico
indipendente serbo) e deputato al parlamento croato, Vojislav
Stanimirovic, si tratta di persone che hanno venduto le loro proprietà
in Croazia e adesso vivono e lavorano in Serbia e Montenegro, “se
pensano che ci siano ingiustizie verso i Serbi di Croazia, perché non
vengono qui e cercano per vie politiche di realizzare i loro piani”.

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CROAZIA: PROTESTA PER GOVERNO SECESSIONISTA IN ESILIO

(ANSA) - ZAGABRIA, 1 MAR - Il governo croato ha fortemente condannato
oggi la proclamazione da parte di un gruppo di secessionisti serbi di
Croazia di un 'governo in esilio', avvenuta sabato a Belgrado. Lo si e'
appreso da un comunicato del ministero degli esteri croato. Il ministro
degli esteri Kolinda Grabar Kitarovic, condannando la formazione
dell'assemblea costituente della Republika Srpska di Krajina (Rsk) e la
conseguente elezione di un governo in esilio della Rsk, ha espresso in
una nota di protesta all'ambasciatore serbomontenegrino in Croazia,
Milan Simurdic, anche la delusione di Zagabria per la mancata reazione
ufficiale del governo di Belgrado. ''La Croazia e' delusa e pertanto
protesta per il fatto che il governo di Belgrado non abbia preso le
distanze da questo avvenimento, contrario allo spirito europeo di
cooperazione e che rischia di compromettere il buon andamento dei
rapporti bilaterali tra i due paesi'', si legge nel comunicato. Il
gruppo di una quarantina di politici serbi, originari della Croazia ed
eletti nel 1993, durante la guerra degli anni Novanta, al parlamento
della regione secessionista Krajina, in passato di maggioranza etnica
serba, hanno 'ricostituito' sabato a Belgrado la loro vecchia
assemblea, eleggendo anche il governo che ha subito proclamato la
Krajina ''regione sotto occupazione temporanea''. In una risoluzione il
'premier' Milorad Buha e i sei 'ministri', dei quali non sono stati
resi noti i nomi, fatto che ha aggiunto al tutto un tono cospirativo,
hanno anche spiegato che ''la questione nazionale serba potra' essere
risolta unicamente con la cessazione dell'occupazione'' ed hanno
chiesto ''il diritto all'autodeterminazione''. Anche se l'evento non e'
stato preso troppo sul serio a Zagabria, il premier Sanader ha subito
detto che si tratta di un gruppo di persone che ha perso il contatto
con la realta'. ''L'idea della Grande Serbia [SIC] e' stata sconfitta e
non c'e' piu' alcuna chance per la realizzazione di tali
fantasticherie'', ha aggiunto. Da sua parte il rappresentante della
minoranza serba al parlamento di Zagabria, Milorad Pupovac, il cui
partito appoggia l'attuale governo croato [SIC], ha definito
l'iniziativa ''un gesto anti-serbo che potra' solo nuocere ai serbi in
Croazia e al processo di rientro dei profughi''. E' stato proprio la
questione serba in Croazia ad accendere la miccia delle guerre
balcaniche degli anni Novanta. Nel 1991, in risposta alla dichiarazione
d'indipendenza [SIC] della Croazia dalla Jugoslavia, i secessionisti
serbi [SIC - si noti il diverso vocabolario usato a seconda della
"etnia" in questione, ndCNJ], appoggiati in pieno da Belgrado, avevano
proclamato un loro stato, la Krajina appunto, chiedendo l'unione con la
Serbia. Dopo quattro anni di scontri che hanno provocato circa 15.000
morti le truppe di Zagabria hanno ripreso il controllo della regione,
dalla quale sono fuggiti circa 300.000 serbi, quasi l'intera
popolazione. Da allora ne e' ritornato poco piu' di un terzo. COR
01/03/2005 16:58

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SERBIA-CROAZIA: TADIC STIGMATIZZA REPUBBLICA OMBRA KRAJNA

(ANSA) - BELGRADO, 2 MAR - Il presidente serbo Boris Tadic e'
intervenuto sulle polemiche innescate dall'idea di alcuni nazionalisti
di creare un 'governo ombra in esilio della repubblica di Krajna',
l'entita' al centro del conflitto serbo- croato degli anni '90,
definendo la vicenda ''dannosa per i nostri interessi''. ''La Serbia -
ha detto Tadic all'agenzia Tanjug - non deve destabilizzare i paesi
vicini per non essere di nuovo additata come fattore di caos''. Il
presidente serbo ha sottolineato che l'idea di un tale governo ombra
''danneggia gli interessi piu' sensibili della Serbia, la questione
kosovara'', ed e' ''pericoloso anche per i serbi che vivono in
Croazia''. Zagabria aveva duramente protestato due giorni fa per
l'iniziativa di un gruppo di profughi ultranazionalisti di rendere la
Krajna un territorio autonomo, con forti legami con Belgrado. L'idea
era stata plaudita dagli ultranazionalisti del Partito radicale serbo,
principale forza di opposizione che non nasconde la fedelta' all'idea
della 'Grande Serbia'. Quella di Tadic e' la prima reazione ufficiale
all'incidente diplomatico: il governo del premier conservatore Vojislav
Kostunica non si e' ancora pronunciato. (ANSA). OT
02/03/2005 18:27

Conseguenze sui rapporti Italia-Slovenia-Croazia
della operazione revisionista-revanscista
"Giornata del Ricordo + Il cuore nel pozzo"


1. Le reazioni in ex Jugoslavia al Giorno del ricordo
(L. Zanoni / Oss. Balcani)

2. Un'occasione nel pozzo (F. Juri / Oss. Balcani)

3. Tiepida reazione del governo sloveno sulle foibe (A. Brstovsek /
Dnevnik / Oss. Balcani)

4. FOIBE: FINI, AIUTARE CROATI A LIBERARSI DI DEMONI E NOSTALGIE [sic]
/ FOIBE: FINI, ORA C'E' SENSO STORIA COMUNE / ESULI: INCONTRO
ITALIA-CROAZIA PER INDENNIZZI / FOIBE: PROBABILE INCONTRO PRIMAVERA
ITALIA-CROAZIA-SLOVENIA / ITALIA-CROAZIA: COLLOQUIO FINI-BISCEVIC


ALTRI LINK:

Relazione della Commissione storico-culturale italo-slovena
Koper-Capodistria, 25 luglio 2000
http://www.kozina.com/premik/indexita_porocilo.htm#kazal

FOIBE: ANTIFASCISTI ISTRIANI CONTRO FILM IL CUORE NEL POZZO (ANSA)
JUGOINFO Mer 9 Feb 2005
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4244

Le foibe viste dalla Croazia
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3870/1/51/
oppure:
JUGOINFO Mer 9 Feb 2005
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4244

La Slovenia e “Il cuore nel pozzo”
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3873/1/51/
oppure:
JUGOINFO Mer 9 Feb 2005
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4244

Foibomania nei media e libri italiani. Intervento del giornalista e
scrittore Armando Černjul
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4233

Predrag Matvejevic e le foibe
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3901/1/51/
oppure:
JUGOINFO Lun 14 Mar 2005
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/messages/

REPETITA JUVANT:
10/2/2005: FINI, CROAZIA ENTRERA' SE COLLABORA SU CRIMINALI GUERRA /
8/11/1992: Fini e Roberto Menia (allora segretario della federazione
MSI-DN di Trieste) al largo dell'Istria lanciano in mare bottigliette
irredentiste
JUGOINFO Gio 10 Feb 2005
https://www.cnj.it/immagini/meniafini.jpg

Reazioni in Croazia alle dichiarazioni del vice premier italiano Fini
su Istria, Fiume e la Dalmazia...
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3522/1/51/
oppure:
JUGOINFO Ven 22 Ott 2004
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3929


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http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3892/1/67/

Le reazioni in ex Jugoslavia al Giorno del ricordo

14.02.2005    scrive Luka Zanoni
Pubblichiamo una breve rassegna di alcune delle notizie relative al
“Giorno del ricordo” e alla fiction televisiva trasmessa dalla RAI, “Il
cuore nel pozzo”, pubblicate nei giorni scorsi dalla stampa d’oltremare


La questione delle foibe e la “Giornata della memoria”, nonché la
fiction televisiva “Il cuore nel pozzo” hanno trovato ampio spazio
sulle pagine della stampa d’oltremare. Nonostante non ci siano state
reazioni ufficiali dei governi, sui quotidiani sloveni e croati sono
usciti nei giorni scorsi articoli e trafiletti su questo argomento.

Il 9 febbraio, il quotidiano sloveno “Dnevnik” riporta un lungo
articolo sulla fiction televisiva. Oltre a riportare dell’alta
percentuale di audience ricevuta in Italia dalle due puntate dello
sceneggiato, sottolinea la reazione dell’Accademia liberale slovena
alla proiezione del film, valutato come “opera di indottrinamento e di
propaganda politica”. Dal canto suo l’Accademia slovena – riporta il
Dnevnik - ha controbattuto con la proiezione di un altro film dal
titolo “Nel mio Paese”. Una pellicola sui crimini commessi dagli
Italiani e dai Tedeschi nei confronti degli Sloveni, girata nel 1948.
L’Accademia, si legge, ha esplicitamente chiesto al governo sloveno di
reagire a questa “manipolazione della storia”.

Sullo stesso tema prende posizione il quotidiano della minoranza
italiana in Slovenia e Croazia, “La voce del popolo”, con un articolo
intitolato “’Furono giustiziati 284 fascisti’ - I combattenti
dell’Istria reagiscono alla ‘campagna denigratoria’”. Nell’articolo la
fiction televisiva “Il cuore nel pozzo” viene contestata
dall’Associazione regionale dei combattenti antifascisti, la quale
dichiara che lo sceneggiato è “falso, denigratorio e fuorviante”. Il
pezzo del quotidiano di Pola prosegue citando il commento di Tomo
Ravnic, membro dell’associazione, intervenuto durante la conferenza
stampa del 9 febbraio.

“Da quando in Italia è salito al potere Berlusconi per noi le cose
sono cambiate: per certa stampa ogni occasione è buona per dire male di
noi. Ci dà fastidio il fatto che incessantemente si dice che i
partigiani, cioè i combattenti antifascisti, hanno ucciso gli italiani
solo in quanto tali. È un’atroce bugia che non possiamo tollerare”, ha
commentato Ravnic.

Nello stesso articolo viene riportata la dichiarazione del giornalista
Armando Cernjul, il quale non risparmia critiche ai collegi italiani e
al governo croato: “Noi non riusciamo a scrivere tanti articoli quanti
sono i libri che in materia si danno alle stampe in Italia.” E poi:
“Non passa giorno che alcuni giornali – Il Piccolo, TriesteOggi – non
attacchino il movimento partigiano, esagerando il numero degli
infoibati. Si vergogni il Governo (croato, n.d.a.) che non reagisce
mai. Noi facciamo da pompieri, reagiamo quando qualcuno ci colpisce, ma
le cose vanno chiarite una volta per tutte. Le foibe: non sono
invenzione nostra; cent’anni fa l’irredentismo italiano ci minacciava
con trattamenti simili.”

Sempre il 9 febbraio, il quotidiano croato “Slobodna Dalmacija” esce
con un articolo dal titolo “I media e i politici italiani alla vigilia
della celebrazione del ‘Giorno della memoria’ - Sulla tragedia degli
esuli italiani: la Zagabria ufficiale tace sulle foibe”. Nell’articolo
Senol Selimovic, giornalista del quotidiano croato, riprende ampiamente
la corrispondenza
[http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/3870%5d inviataci da
Drago Hedl sulle foibe viste dalla Croazia, nella quale si sottolinea
il silenzio di Zagabria sulla questione delle foibe e dell’esodo
giuliano-dalmato.

Il giorno successivo in Slovenia “Delo”, “Dnevnik”, “24 Hur”,
riportano una notizia dal titolo, “Studenti italiani non desiderano
imparare la cultura croata”.

“Cinque studenti di lingua e letteratura croata dell’Istituto per
l’Europa centrale e sud-orientale dell’Università La sapienza di Roma,
mercoledì scorso (9 feb., ndt.) hanno protestato di fronte all’istituto
per cambiare il corso di studi, perché non volevano studiare la cultura
di un popolo che ha ucciso gli Italiani solo perché erano Italiani”.

Nel riportare la notizia i quotidiani aggiungono che ciò fa parte di
un’isteria collettiva che ha preso forma attraverso i media alla
vigilia del “Giorno del ricordo”, indetto dall’Italia per il 10
febbraio. Secondo i quotidiani sloveni, si tratterebbe di una campagna
del centro destra, guidata da Silvio Berlusconi, con l’intento di
attaccare gli oppositori politici del centro sinistra.

Il 10 febbraio “Slobodna Dalmacija” ritorna sulla questione con un
articolo dal titolo “L’Italia si rammarica, e la Croazia non
festeggia”, ancora a firma di Senol Selimovic. Un lungo articolo di
carattere storico in cui l’autore presenta i fatti del 1947, anno della
Conferenza di Pace di Parigi, ossia – come precisa l’autore – della
decisione sulla perdita delle “province orientali” dell’Adriatico.
Secondo Selimovic, “una perdita dolorosa solo per gli sconfitti
fascisti italiani”.

Più ad est, anche i media serbi hanno dato spazio alla notizia della
celebrazione in Italia del “Giorno della memoria” e della fiction
televisiva. Il 6 febbraio il quotidiano “Politika” ne aveva parlato
intervistando l’attore belgradese Dragan Bjelogrlic, che interpreta il
ruolo del partigiano sloveno Novak, ne “Il cuore nel Pozzo”. Il giorno
stesso della celebrazione, 10 febbraio, la notizia viene battuta da
B92, una sottolineatura va alle forti reazioni della Slovenia alla
fiction televisiva della RAI. L’11 febbraio ne parla anche il
quotidiano di orientamento progressista “Danas”. “Passerella della
destra a Trieste” è il titolo dell’articolo del quotidiano belgradese
in cui compaiono le parole del ministro Tremaglia in visita a Trieste
e le reazioni sollevate in Slovenia, oltre che alle punte di ascolto
della fiction sulle foibe. “Danas” ritorna sulla questione con un
articolo pubblicato nell’inserto settimanale, “Danas vikend”.
“Violazione nelle fosse della morte” è il titolo dell’articolo
pubblicato dal settimanale, nel quale viene presentato il quadro
storico di riferimento, date e cifre, senza dimenticare i crimini delle
camicie nere nei campi di concentramento , in particolare sull’isola di
Rab, in Croazia.

“Novi List”, quotidiano di Rijeka (Fiume), esce l’11 febbraio con una
prima pagina dedicata al tema della memoria. Due gli articoli
pubblicati. Il primo breve e di circostanza riporta le celebrazioni
del 10 febbraio a Trieste. Il secondo più esteso affonda contro la
fiction televisiva “Il cuore nel pozzo”. “Fiume ricorda ancora i
crimini fascisti”, sottotitolo “Gli antifascisti di Fiume invitano il
governo croato a reagire al film che tendenziosamente modifica la
verità storica sul fascismo e la guerra di questa regione”. Sulla
questione vengono riportate le parole dell’accademico Petar Strcic, il
quale afferma che “Questa non è una protesta solo contro un film,
perché non è né il primo né l’ultimo di tali contesti, questa è una
protesta contro il fatto che un tale tipo di film sia stato trasmesso
dalla televisione di stato italiana. E’ assurdo che in Italia si
interrompa una partita di calcio se compaiono delle scritte fasciste, e
allo stesso tempo alla televisione di stato si può mandare in onda
questo tipo di filmati”.


=== 2 ===

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3929/1/51/

Un'occasione nel pozzo

22.02.2005 scrive Franco Juri
Una manipolazione storica ed un'occasione mancata. E' così che Franco
Juri, giornalista istriano, descrive la fiction "Il cuore nel pozzo".
Un articolo che affronta le sfaccettature di una storia e di una
geografia complessa e intricata qual'è quella istriana e giuliana,
italiana, slovena, croata


Con la messa in onda del film »Il cuore nel pozzo« la Rai, che negli
ultimi tempi si distingue per una ricca e spesso anche valida
produzione di fiction tv, è stata coinvolta in un'operazione
mediatico-propagandistica dagli stridenti connotati politici , forse
degna piu' dei sistemi autoritari, lasciati dietro al muro di Berlino,
che di una cultura democratica europea.

Chi l'operazione l'ha suggerita – probabilmente i padrini politici che
si sono pavoneggiati alla prima del film, sigillandolo con il marchio
di uno spot governativo - hanno in verità bruciato una grande
occasione; quella di offrire una credibile riduzione cinematografica di
quel complesso contesto storico che il 10 febbraio, da quest' anno, si
ricorda anche ufficialmente.

Ma andiamo per ordine. Un film per la tv che nasce imbastito di tanto
roccoccò politico firmato An, come omaggio alla memoria delle vittime
delle foibe e dell'esodo, tradisce in partenza il suo goffo tentativo
manipolatorio. Tanto più che per alleggerire la proporia responsabilità
artistica il regista Alberto Negrin aveva spiegato a più riprese che la
storia narrata è un'invenzione, ovvero solo un pretesto per dare forma
e vita a figure cinematografiche piene di pathos e sentimento, in un
contesto presumibilmente storico e credibile. Praticamente un western
made in Italy, con buoni e cattivi ben definiti e senza sfumature
fuorvianti. Una fiction d' impatto sentimentale il cui target è un
pubblico televisivo di cultura cinematografica e di cognizione storica
mediobassa.

Pensando un pò che da anni ormai gli indiani d'America non sono più i
cattivi selvaggi di Ombre rosse, è lecito chiedersi se il
telespettatore medio italiano nel 2005 sia disposto a recepire e fare
propria una morale in bianco e nero senza porsi un minimo di dubbio.
Ebbene la mia speranza, guardando »Il cuore nel pozzo«, è che i
telespettatori italiani siano meno sprovveduti e ignoranti di quanto
sperato dagli ispiratori della fiction in questione.

Personalmente l'ho guardata fino alla fine con una certa difficoltà
proprio da un punto di vista dell'attendibilità - se vogliamo anche
solo cinematografica - dell'operazione, tanto essa pecca di
superficialità, luoghi comuni, pregiudizi, falsità, a-geografia ,
manipolazione di sentimenti primari e persino di una manciata di
razzismo. Insomma un kitsch. Persino le fisionomie scelte ( i bei volti
mediterranei delle vittime e degli eroi italiani e i rudi tratti slavi
e balcanici dei Titini, eccezion fatta per la dolcezza slovacca tutta
treccine bionde e occhi azzurri della protagonista femminile innamorata
di un italiano vero), per non parlare delle scenografie montenegrine,
tolgono sin dalle prime immagini qualsiasi credibilità al tentativo di
riproporre un ambiente istriano alla fine del conflitto bellico.

Un secondo punto debole è la madornale esagerazione nella ricostruzione
di fatti e comportamenti che contraddistinsero la vittoria dei
partigiani in Istria ed il travaglio della popolazione italiana nelle
penisola. Nessuna storia ormai , nemmeno quella slovena o croata, nega
la repressione, le violenze, le foibe (per altro »scoperte« ed usate
non solo e per primi dai partigiani, ma precedentemente anche dai
fascisti) e le altre cause dell'esodo di alcune (due?tre?) centinaia di
migliaia di Istriani e Dalmati a guerra conclusa. Prova ne sia la
famosa relazione redatta, su proposta dei governi italiano e sloveno,
da una commissione mista e plurale di storici, che ha lavorato per ben
7 anni, relazione che il governo e grossa parte della classe politica
italiana ora insistono ad ignorare se non persino ad occultare. Già
perchè un contesto violento come quello enfatizzato televisivamente
nella fiction non può certo essere spiegato solo con una battuta
sfuggita ad uno dei protagonisti all'inizio del racconto: »Dopo quello
che hanno subito non faranno distinzioni....«. Al pubblico televisivo
italiano non è mai stato raccontato e spiegato che cosa gli altri, gli
slavi....«avevano subito«. La storia parte un'altra volta da dove
inizia il film e nel confrontro tra i rassicuranti volti civili e da
brava gente degli italiani e quelli barbari e assetati di sangue degli
slavi il messaggio che trafigge il cuore del consumatore televisivo è
inequivocabile; comunque abbiamo sempre avuto ragione noi, perchè
portatori di civiltà. Noi Istriani sappiamo bene che proprio così non
era. Ma dove sono, ad esempio, gli italiani antifascisti che hanno
combattuto a fianco dei Titini? Ad esempio quelli della divisione »Pino
Budicin« o della »Fratelli Fontanot«? Dove sono i tricolori con la
stella rossa, che sventolavano in Istria nell'immediato dopoguerra?
Com'è possibile che il bilinguismo abbia resistito nell' Istria annessa
dalla Jugoslavia, se i titini - secondo il film di Negrin - arrivavano
come Attila o come Novak il cattivo e distruggevano tutto, ammassando
la popolazione italiana come nelle più drammatiche scene della Shoah,
separando figli da genitori, pestando, ammazzando.

Quelle che avrebbero potuto essere situazioni e reazioni estreme
(comunque non documentate), nel film diventano regola. In verità le
ultime scene da shoah in Istria si erano viste nel 1944. Come ad
esempio nel paese istriano-croato di Lipa, presso Fiume, dove il 30
aprile di quell'anno 287 civili, donne, bambini e anziani, furono
trucidati da reparti misti delle SS e dei residui repubblichini. La
popolazione del paese che conosco benissimo perchè vicino a quello di
mia madre, venne ammassata nell'edificio della scuola ed arsa viva. I
superstiti vennero passati per le baionette. L'eccidio di Lipa rimane
lì, testimonianza muta e certo non unica di una realtà che in Italia
continua ad essere ignorata, occultata. Come i gas tossici di Badoglio
e Graziani in Etiopia. Come i massacri di Roatta in Montenegro. Come i
campi di concentramento di Arbe e Gonars. Come gli eccidi dell'esercito
fascista nella provincia di Lubiana.

Peccato, la fiction di Negrin è soprattutto un'occasione perduta. La
Rai ne avrebbe potuto produrre bene una più consona alla memoria,
basandola su un contesto affidabile e magari su uno dei tantissimi
fatti veri, avvenuti nelle terre in questione nel difficile periodo
della guerra e del dopoguerra. Ciò avrebbe reso maggior dignità ai
protagonisti veri di quel dramma. Si sarebbe potuta prendere in
prestito la narrazione ben documentata di un Fulvio Tomizza; Materada o
La miglior vita, si sarebbe potuto potuto contestualizzare, in
un'operazione intellettualmente e storicamente oltre che esteticamente
più onesta, la violenza delle foibe e dell'esodo cercando -come la
buona letteratura e la buona cinematografia sanno fare - di capire e
trasmettere le sfaccettature di una storia e di una geografia complessa
e intricata qual'è quella istriana e giuliana, italiana, slovena,
croata.

L' Istria con la sua variegata realtà etnica e culturale offre al
cinema infinite possibilità. Ma per tradurle in buon cinema è
necessario un minimo di approfondimento geografico, storico, culturale.
Nel »Cuore nel pozzo« l'approfondimento non c'è, nemmeno minimamente.
Il film si sarebbe potuto fare senza avallare, come è stato fatto, una
nuova rimozione della memoria, fatta questa volta di sentimenti accesi
quanto superficiali, rivolti in negativo all'altro con l'unico scopo
strumentale di approfondire l'odio, la diffidenza e di uccidere la
ragione. Paolo Rumiz avverte, giustamente, che la rimozione è una fuga
dalle proprie responsabilità e dalle proprie sconfitte. Lubiana ha
deciso saggiamente di mettere in onda il film il 14 febbraio sulla TV
di stato slovena, trasmettendo pure uno scioccante documentario della
Bbc sui crimini petpetrati in Africa e nei Balcani dall'esercito di
Mussolini. Dopo il film la TV slovena ha trasmesso un pacato e plurale
dibattito, invitandovi pure una storica italiana ed un famoso esule
triestino, Sardos Albertini. E' stata la migliore delle risposte
possibili, un esempio di confronto aperto e democratico, specie se
paragonato con il Porta a porta di Bruno Vespa dedicato allo stesso
tema e al film in questione. Il pubblico sloveno ha avuto occasione di
riflettere autonomamente sull'operazione propagandistica di Maurizio
Gasparri e su quali manipolazioni affettive, su quale »abuso di minori«
è capace chi strumentalizza la storia, riducendo anche la verità a mero
contorno della sua falsificazione.


=== 3 ===

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/4001/1/51/

Tiepida reazione del governo sloveno sulle foibe

10.03.2005 - Il giornalista sloveno Andrej Brstovsek (Dnevnik) descrive
l'imbarazzo del governo di Ljubljana nell'affrontare la questione delle
foibe, a seguito della messa in onda del controverso sceneggiato
italiano "Il cuore nel pozzo". Riconciliazione simbolica tra Italia,
Slovenia e Croazia?
Di Andrej Brstovsek*, Ljubljana, Transitions Online
[http://www.tol.cz/look/TOL/home%5d, 2 marzo 2005 (titolo originale:
"Moving on?"). Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall'Asta


Ljubljana, Slovenia – Un film italiano, massicciamente pubblicizzato,
sulle uccisioni di civili italiani alla fine della Seconda Guerra
Mondiale in quella che allora era la Jugoslavia ha irritato molti in
Slovenia e rendendo tesi i rapporti tra i due Paesi. "Il Cuore nel
Pozzo" è stato largamente condannato in Slovenia per il suo
rappresentare i partigiani jugoslavi come criminali, senza considerare
le circostanze in cui avvennero i fatti.

Il dibattito che si è innescato a causa del film mostra che i due Paesi
non hanno mai raggiunto una vera riconciliazione e non riescono neppure
ad avere una visione concorde su quanto esattamente accadde prima,
durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale.

"Io volevo fare una semplice storia. Il fine non era quello di dare un
messaggio politico," dice il regista, l'italiano Alberto Negrin. Il
film mostra immagini di famiglie messe davanti ai plotoni d'esecuzione
dei partigiani italiani e jugoslavi, bambini italiani che strillano per
essere stati separati dalle madri e civili uccisi che vengono gettati
nei pozzi carsici della Slovenia e della Croazia, le fojbe o foibe.

Il film non parla dei crimini commessi dai fascisti in quelle zone.

Una nuova vacanza romana

Se Negrin voleva fare un film non-politico, ha ottenuto il risultato
opposto. In Italia, il film ha ricevuto l'esplicita approvazione di
Alleanza Nazionale, partito della coalizione di governo del Primo
Ministro Silvio Berlusconi, che affonda le sue radici nei fascisti di
Mussolini. "Dobbiamo estrarre da un abisso di menzogne una verità
nascosta dall'imposizione di un pregiudizio culturale", ha detto il
ministro italiano delle Comunicazioni Maurizio Gasparri, membro di
Alleanza Nazionale, come riportato dalla Reuters.

Il film, in due parti, è stato trasmesso in prima visione sulla
televisione di Stato italiana appena prima del 10 febbraio, una nuova
festività nazionale che commemora le vittime delle foibe. Milioni di
Italiani lo hanno visto – e anche un buon numero di Sloveni si sono
sintonizzati.

La reazione politica da parte dei vicini ad est dell'Italia è stata
immediata e decisa.

Tra i primi a replicare sono stati i veterani sloveni e croati della
Seconda Guerra Mondiale, che hanno accusato il regista Negrin di essere
prevenuto e di cercare di dipingere l'Italia come vittima mentre in
effetti essa fu l'aggressore.

"Le forze d'occupazione italiane uccisero e violentarono, ciò che causò
rappresaglie. Le vendette sono sempre state cieche," ha detto Janez
Stanovnik, presidente dell'associazione slovena veterani della Seconda
Guerra Mondiale. Ha detto che era una "enorme menzogna" sostenere che
gli Italiani furono uccisi per il solo fatto di essere Italiani.

Anche senza il film, la nuova festività italiana avrebbe creato qualche
perplessità in Slovenia. È probabile che il parlamento sloveno
risponderà proclamando una nuova festività slovena, che celebrerà
l'annessione alla Slovenia della regione costiera di Primorje, che un
tempo era italiana.

È un fatto storico incontrovertibile che molti Italiani furono uccisi
in Slovenia e Croazia dopo la guerra – le stime sul loro numero variano
da 1.700 a 10.000. Molti Italiani abbandonarono il territorio anche per
paura di rappresaglie, oppure perché non volevano vivere in uno Stato
comunista.

Ma sia i veterani che gli storici sostengono che, mentre è importante
ammettere ufficialmente le uccisioni e le espulsioni, bisogna anche
considerare le circostanze in cui ebbero luogo. Già prima della Seconda
Guerra Mondiale, l'Italia perseguiva una politica d'aggressione verso
l'Istria (ora divisa tra Croazia e Slovenia) e la Dalmazia (oggi parte
della Croazia) e poi occupò la maggior parte di quei territori durante
la guerra.

Nel dopoguerra, diversi trattati tra Italia e Jugoslavia affrontarono
il problema dei cittadini italiani fuggiti alla fine della guerra. Gli
accordi obbligavano il governo italiano a rimborsarli delle proprietà
abbandonate in Jugoslavia; questi rimborsi erano considerati altresì
come un indennizzo italiano per i danni di guerra in Jugoslavia.

Ma nonostante la definizione legale della questione, l'argomento non
trovò mai un accomodamento politico.

Di fronte alla minaccia italiana di porre il veto all'inizio dei
negoziati per l'adesione della Slovenia all'UE, a metà degli anni '90,
la Slovenia dovette firmare uno speciale accordo con l'UE con il quale
apriva i suoi mercati immobiliari ai profughi italiani.

Nello stesso periodo, sia la Jugoslavia che la Slovenia (che divenne
indipendente nel 1991) tentarono di occuparsi della minoranza italiana
rimasta sul territorio. Uno dei 90 seggi nel parlamento sloveno è
riservato ad un rappresentante della minoranza italiana (un altro è
riservato ad un rappresentante della minoranza ungherese), e l'
Italiano è lingua ufficiale nelle aree dove vive la minoranza italiana.

Jansa in una difficile posizione

Ma la questione va oltre i diritti di una minoranza o i risarcimenti
per le passate ingiustizie, e per la perdita di proprietà immobiliari,
benché tutti questi aspetti siano stati sollevati dalle famiglie di
coloro che furono uccisi o abbandonarono il Paese. In questo caso si
tratta anche di ricostruire correttamente questa pagina di storia – e
di essere capaci di superarla e passare oltre.

Mentre l'attuale governo italiano di centro-destra, che ha sostenuto il
film, raccoglierà probabilmente dei benefici dal rivisitare il passato,
la nuova coalizione di governo di centro-destra in Slovenia si trova in
una situazione scomoda. Non è più solo una questione di rapporti
bilaterali, ma anche di politica interna. I critici accusano il governo
sloveno di essere stato lento nel reagire perché la sua posizione
anticomunista gli rende difficile difendere i partigiani comunisti.

Un certo numero di personaggi pubblici hanno fatto pressione sul Primo
Ministro Janez Jansa e sul Ministro degli Esteri Dimitrij Rupel perché
replicassero al film. Il leader dei Socialdemocratici, all'opposizione,
Borut Pahor, ha suggerito di inviare una nota diplomatica a Roma. Il
governo dapprima ha sostenuto che un film non poteva essere una base
per discutere di relazioni bilaterali, ma ha cambiato atteggiamento
dopo che la televisione slovena ha deciso di trasmettere il film – ed
ha riportato un record di ascolti.

Il governo ha emesso una dichiarazione che esprimeva il desiderio che
l'Italia si confrontasse in maniera critica con il suo passato, e
riaffermava che il governo rifiutava ogni interpretazione della storia
recente che fosse pregiudiziale o politicamente motivata. Questo poteva
anche essere visto come una critica del regime comunista jugoslavo e
della sua versione dei fatti.

Il tono conciliante sembra avere avuto qualche effetto. Un
sottosegretario del Ministero degli Esteri italiano ha menzionato la
possibilità che rappresentanti dei tre Paesi possano firmare una
"riconciliazione simbolica", presumibilmente nel corso di un summit tra
Berlusconi, il Presidente sloveno Drnovsek, e il Presidente Croato
Stipe Mesic.

D'altra parte, come ha detto Stanovnik della associazione slovena
veterani, la riconciliazione è una questione di coscienza personale. E
se a questa coscienza non è stato fatto un esame negli ultimi
sessant'anni, è poco probabile che ciò possa accadere ora.


*Andrej Brstovsek è un giornalista del quotidiano di Ljubljana "Dnevnik"


=== 4 ===

FOIBE: FINI, AIUTARE CROATI A LIBERARSI DI DEMONI E NOSTALGIE

(ANSA) - TORINO, 10 FEB - L' avvio dei negoziati per l' ingresso
della Croazia nell' Unione Europea deve essere l' occasione per
''aiutare gli amici croati a liberarsi dei demoni e delle paure del
passato''. Questo il concetto che il ministro degli Esteri Gianfranco
Fini ha espresso parlando a Palazzo Carignano, a Torino, in occasione
delle celebrazioni per il Giorno del Ricordo, insieme con il
presidente dei deputati dei Ds alla Camera, Luciano Violante. Un
tema che non e' stato apprezzato da alcuni esuli presenti alla
manifestazione, anche se il dissenso si e' limitato ad alcune
dichiarazioni rilasciate ai giornalisti alla fine della cerimonia.
''L' Europa - ha detto Fini - ha interesse a stabilizzare i Balcani.
Lungi da me quindi l' idea di dire no all' ingresso della Croazia. Ma
l' avvio dei negoziati dovra' essere l' occasione per far capire agli
amici di Zagabria che e' arrivato il momento di riconoscere i valori
europei, primo fra tutti quello che non si puo' discriminare in base
all' identita'. L' Italia riconosce i diritti delle minoranze, lo
stesso dovra' fare la Croazia, riconoscendo i diritti della minoranza
italiana che vive entro i suoi confini'' [SIC - nel frattempo la
minoranza serba è stata cancellata dalla Croazia con la complicità
europea ed italiana, ndCNJ]. ''Non e' pensabile - ha spiegato - che
a Zagabria resti in vigore una legge che impedisce agli italiani di
acquistare beni in Croazia [SIC - si noti il risvolto bassamente
economico della faccenda, ndCNJ]. E' una legge che l' Europa
cancellerebbe, la Croazia quindi lo faccia prima. Cosi' come non e'
giusto - ha aggiunto - che un italiano nato a Spalato non possa
essere sepolto dove riposano quelli della sua famiglia''. Per
Fini, con l' avvio dei negoziati ''l'' Europa ha una grande
prospettiva''. ''La Croazia - ha sottolineato - ha bisogno dell'
Europa e in questa occasione l' Italia, che e' tra i fondatori
dell' Unione Europea e che ha fatto tesoro degli errori del passato,
deve aiutare gli amici croati a liberarsi dei demoni e delle paure
del passato. A Zagabria devono capire che si puo' essere italiani e
cittadini croati. Solo cosi' il 10 febbraio non sara' solo il
Giorno del Ricordo dedicato alla tragedia delle foibe e all' esodo
degli italiani dall' Istria e dalla Dalmazia. Ma sara' anche - ha
concluso - un momento per guardare al futuro, nella speranza di
concretizzare una grande riconciliazione europea, che per noi parte
da cio' che ci e' piu' vicino: il confine orientale''. Le
contestazioni di alcuni esuli presenti, mantenute sempre a bassa
voce, si sono manifestate apertamente soltanto mentre Fini lasciava
il luogo della cerimonia. ''Non siamo venuti qui per sentire parlare
di Croazia in Europa, Fini doveva fare un altro discorso, questo era
il giorno in cui dovevamo onorare i nostri morti'', sono state alcune
delle frasi ripetute dai presenti. (ANSA). PL
10/02/2005 18:34

FOIBE: FINI, ORA C'E' SENSO STORIA COMUNE

(ANSA) - TRIESTE, 10 FEB - ''Ora che la storia e la politica sono su
binari diversi, che non ci sono piu' le ideologie che sostengono la
superiorita' di un popolo sull' altro, c' e' il senso di una storia
comune'': lo ha detto il Ministro degli Esteri, Gianfranco Fini,
intervenendo al Teatro Verdi di Trieste alle celebrazioni della
Giornata del Ricordo. Fini, dando un riconoscimento ''personale e
doveroso a coloro che nell' epoca in cui non c' era una memoria
condivisa e la percezione della tragedia, mantennero alto questo
ricordo'', ha citato in particolare padre Flaminio Rocchi [frate
francescano di estrema destra, noto per dichiarazioni mendaci e
propagandistiche sulla questione della foibe: vedi ad es.
http://italy.indymedia.org/news/2002/11/120892.php - ndCJ] e il
deputato Ferrucio De Michieli Vitturi, esponente delle associazioni
degli esuli. ''Gli esuli - ha proseguito - ebbero in sorte di
subire, accanto al dolore e al terrore, anche l' affronto dell' oblio
e dell' ignavia. Ma onestamente - ha precisato - dobbiamo dare atto
che la societa' e la cultura italiana sono state capaci negli ultimi
tempi di ricucire il filo della memoria''. ''Oggi - ha proseguito -
non c' e' piu' una versione di parte, un' opinione di comodo, una
verita' di destra e una sinistra, ma la verita'''. (ANSA).
BUO/MST 10/02/2005 18:38

ESULI: INCONTRO ITALIA-CROAZIA A FEBBRAIO PER INDENNIZZI

(ANSA) - ZAGABRIA, 10 FEB - Italia e Croazia si incontreranno il
prossimo 17 febbraio a Roma per tentare di definire la questione
degli indennizzi spettanti agli esuli italiani per i beni abbandonati
in Istria, definiti dagli accordi di Osimo del 1975 e dal trattato di
Roma del 1984 ma mai corrisposti. All'incontro parteciperanno il
capo della diplomazia italiana Gianfranco Fini e il sottosegretario
agli esteri croato Hido Biscevic, in quanto il ministro e'
dimissionario. L'esito della riunione non e' per nulla scontato e
non e' detto che si riesca ad arrivare ad una soluzione: da parte del
governo croato, assicura l'ambasciatore italiano Alessandro
Grafini, c'e' ''un'apertura'' e la presa di coscienza che ''bisogna
fare un gesto distensivo''. Allo stesso tempo pero' ''non c'e' una
posizione chiara'' su come affrontare la questione. Solo negli
ultimi anni sono state presentate tra le 2.500 e le 3.000 domande di
risarcimento alla Croazia, da italiani costretti ad abbandonare
l'Istria lasciando li' i loro beni.(ANSA). GUI
10/02/2005 17:33

[Si noti dunque il concreto risvolto economico celato dietro alla
questione dei "crimini commessi contro gli italiani dai partigiani
titini", ndCJ]

FOIBE: PROBABILE INCONTRO PRIMAVERA ITALIA-CROAZIA-SLOVENIA

(ANSA) - ZAGABRIA, 14 FEB - L'incontro trilaterale tra i presidenti
di Italia, Slovenia e Croazia per la 'riconciliazione simbolica' e
per chiudere i dibattiti storici controversi potrebbe realizzarsi in
tarda primavera. Lo ha detto alla radio slovena Ivo Vajgl,
consigliere per la politica estera del presidente sloveno Janez
Drnovsek, citato dall'agenzia di stampa croata 'Hina'. ''I
preparativi sono in corso - ha dichiarato Vajgl - ma non sono ancora
stati stabiliti i luoghi che i presidenti dovrebbero visitare, ne'
l'esatta forma dell'incontro''. Si tratta di un'iniziativa con cui
i tre presidenti vorrebbero simbolicamente chiudere le discussioni e
i dibattiti sulle due guerre mondiali che nello scorso secolo hanno
visto i tre popoli dalle parti opposte, e probabilmente visitare i
luoghi di maggiore sofferenza. Dopo la prima celebrazione lo scorso
10 febbraio in Italia della Giornata della memoria delle foibe e
dell'esodo, in alcuni ambienti politici sloveni si e' detto che
forse non e' ancora arrivato il momento per un simile incontro dato
che da parte italiana, questa parte della storia, viene ancora
strumentalizzata. (ANSA). COR 14/02/2005 19:40

ITALIA-CROAZIA: COLLOQUIO FINI-BISCEVIC OGGI A ROMA

(ANSA) - ROMA, 17 FEB - ''L'Italia guarda con fiducia ad una Croazia
europea e confida nella sua capacita' di affrontare le questioni
bilaterali con spirito costruttivo, in una condivisa ottica europea e
secondo i principii europei, con l'obiettivo di porre le basi per
potere costituire un vero partenariato adriatico''. E' quanto ha
sottolineato oggi - prima di partire per Bratislava - il Vice
Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri Gianfranco Fini
nell'incontro avuto alla Farnesina con il Vice Ministro degli Esteri
della Croazia, Hidajet Biscevic. Lo si e' appreso alla Farnesina dove
si rileva che Biscevic e' in visita a Roma, su invito italiano, per
una serie di colloqui dedicati ai principali temi bilaterali e
regionali e al processo di integrazione della Croazia nelle strutture
europee ed euro-atlantiche. Nell'incontro con Biscevic Fini ha
evidenziato come la piena collaborazione croata con il Tribunale
dell'Aja sia importante anche nell'ottica della prossima apertura dei
negoziati di adesione di Zagabria all'Unione Europea. La visita
di Biscevic a Roma che, oltre al Ministro Fini, ha incontrato il
Sottosegretario Roberto Antonione, ha costituito l'occasione per uno
scambio di valutazioni sulla situazione nei Balcani, su altri temi
della attualita' internazionale, nonche' per una nuova sessione dei
negoziati dedicati al tema dei Beni degli Esuli Italiani. Sono state
inoltre approfondite alcune questioni specifiche, con particolare
riguardo all'accesso al mercato immobiliare per i cittadini dei due
Paesi e alla disciplina delle sepolture civili e militari. In vista
dello sviluppo dei negoziati sui temi sopra evocati - si e' appreso
ancora alla Farnesina - stato anche stilato un documento congiunto
che individua un'agenda articolata per i futuri incontri, da tenersi
in tempi rapidi. (ANSA). RF
17/02/2005 20:27

Jürgen Elsässer und der Djihad

[ Del saggista e giornalista tedesco Juergen Elsaesser è uscito in
questi giorni in Germania il nuovo testo: "La Jihad arriva in Europa?
Mujaheddin e servizi segreti nei Balcani" (vedi più sotto -2- una
scheda in lingua tedesca; in inglese alla pagina
https://www.cnj.it/INIZIATIVE/roma290305.htm ).

In un momento in cui l'Islam viene demonizzato ed usato come capro
espiatorio per giustificare la guerra "globale e preventiva"
dell'imperialismo americano, questo libro e le tematiche da esso
affrontate necessariamente scatenano un vivace dibattito, innanzitutto
all'interno della sinistra antimperialista. Un momento di questo
dibattito è l'iniziativa in programma per martedi prossimo a VIENNA
(vedi -1-); Successivamente, Elsaesser sarà in Italia, ospite del
G.A.MA.DI. e del CNJ, per un altro momento di discussione e confronto
(a ROMA il 29/3; nei giorni precedenti si terranno anche trasmissioni
televisive e radiofoniche con l'autore - vedi:
https://www.cnj.it/INIZIATIVE/roma290305.htm
Tutti gli aggiornamenti, ed ulteriori dettagli, su queste iniziative
saranno forniti attraverso la lista JUGOINFO del CNJ.)

Elsässer è gia' noto in Italia per il libro "Menzogne di Guerra - Le
bugie della NATO e le loro vittime nel conflitto per il Kosovo" (Ed. La
Città del Sole, Napoli 2002 - vedi:
https://www.cnj.it/INIZIATIVE/elsaes2004.htm ) di cui, più sotto (-3-),
riproduciamo la postfazione, in lingua tedesca, della nuova edizione,
appena uscita in Serbia. ]


1. Kommt der Dschihad nach Europa?
Eine Diskussion mit J. Elsässer in WIEN, 15. MÄRZ 2005

2. Wie der Djihad nach Europa kam
Gotteskrieger und Geheimdienste auf dem Balkan
Kurztext vom neuesten Buch von J. Elsaesser

3. Von Pogrom zu Pogrom
Neues Nachwort zur serbischen Neuauflage von "Kriegslügen"


=== 1 ===

Kommt der Dschihad nach Europa?

Diskussion mit J. Elsässer, H. Hofbauer und M. Jeftic

15. März, 20h, Uni Wien, HS 32

Jürgen Elsässer, Journalist und Autor, Berlin
Hannes Hofbauer, Osteuropaexperte und Verleger, Wien
Miroljub Jeftic, Autor und Professor für Politik- und
Rechtswissenschaften, Universität Belgrad

Diskussionsleiter:
Martin Vinomonte, Journalist der Wiener Zeitschrift Bruchlinien

In seinem neuesten Buch erklärt Jürgen Elsässer seine These, im
bosnischen Bürgerkrieg hätten internationale islamische Kämpfer – unter
ihnen auch das Umfeld Bin Ladens – mit Unterstützung westlicher
Nachrichtendienste eine bedeutende Rolle gespielt. Eine Fortsetzung des
afghanischen Bündnisses aus den 80er Jahren, auch die Attentäter des
11. September hätten in Bosnien gekämpft.

Elsässers These fällt mit jener in Serbien weit Verbreiteten zusammen,
man wäre ein Vorposten des christlichen Abendlandes gegen den Islam.
Andere stellt sich die Frage nach der Sinnhaftigkeit dieser Ansichten:
Westeuropa und die USA verwenden die Propaganda gegen den Islam wo sie
ins Konzept passe – sie sei nicht Selbstzweck, sondern diene zum
Erreichen bestimmter politischer Ziele.

Seit langem scheint, dass die Opfer westlicher Aggression – Serbien und
die islamische Welt – in der Gegnerschaft zum jeweils anderen eine
erneute Eintrittskarte in die „westliche Wertegemeinschaft“ erblickten.
Gefährliche Illusion – denn die Aussöhnung mit dem Westen gibt es nur
um den Preis totaler Kapitulation. Und zweitens: Die Anwesenheit
internationaler islamischer Kämpfer allein kann die politische Dynamik
des Krieges in Bosnien nicht erklären. Diese ergibt sich nicht durch
geheimdienstliche Aktionen, sondern aus der Geschichte Jugoslawiens und
dem politisch-militärischen, ebenso wie wirtschaftlichem Druck des
Westens.

Zu einer kontroversen Debatte lädt die Jugoslawisch Österreichische
Solidaritätsbewegung.

**************************************
Jugoslawisch-Österreichische Solidaritätsbewegung
PF 217, 1040 Wien
joesb@ vorstadtzentrum.org
http://www.vorstadtzentrum.org/joesb
**************************************


=== 2 ===

Jürgen Elsässer

Wie der Djihad nach Europa kam

Gotteskrieger und Geheimdienste auf dem Balkan

Kurztext

Die Hauptverdächtigen des 11. September haben in den neunziger Jahren
auf dem Balkan gekämpft. Eine Flugstunde von Wien und München entfernt
trainierten sie den gnadenlosen Kampf gegen die Ungläubigen – mit
Unterstützung von NATO-Geheimdiensten.

Während in den vorliegenden Standardwerken zu Al Qaida die Aktivitäten
der Terroristen auf allen Kontinenten ausführlich geschildert werden,
blieb ausgerechnet das europäische Aufmarschgebiet der Djihadisten
bisher so gut wie unbeachtet: Vor allem im bosnischen Bürgerkrieg haben
einige Tausend militante Moslems aus den arabischen Staaten und dem
Iran an der Seite ihrer Glaubensbrüder gegen die Christen, also gegen
Serben und Kroaten, gekämpft. Ebenso wie in den achtziger Jahren in
Afghanistan schloß die US-Administration einen Pakt mit dem Teufel:
Unter Bruch des UN-Waffenembargos versorgte sie die Gotteskrieger mit
modernsten Waffen.

Osama bin Laden hat von der pro-westlichen Regierung in Sarajevo einen
Paß bekommen, Hunderte seiner Getreuen haben sich dauerhaft in Bosnien
und Albanien niedergelassen. Von dort wurden sie von US-Agenten in das
Kosovo und nach Mazedonien geschleust, andere steuerten Wien und
Hamburg an – und bereiteten dort das Inferno des 11. September vor.

Das Buch ist Ergebnis einer mehrjährigen Recherche und stützt sich
neben englischsprachigen, französischen und serbokroatischen Quellen
auch auf Gespräche mit Geheimdienstexperten und Mitgliedern der
UN-Mission in Bosnien und auf zahlreiche Besuche vor Ort.

„Wenn Europa seine Haltung nicht ändert, werden wir Maßnahmen ergreifen
und terroristische Aktionen auf europäischem Territorium entfesseln.
Viele europäische Hauptstädte werden in Flammen stehen.“( Sefer
Halilovic, Oberbefehlshaber der bosnisch-muslimischen Armee , im Jahre
1993)

"Auch wenn die westlichen Geheimdienste die Tätigkeit der Mudjahedin in
Bosnien nie einen Djihad der al Qaida nannten, ist inzwischen klar, daß
es sich genau darum handelte." (Richard A. Clarke, Antiterrorchef der
US-Präsidenten Reagan, Bush sr., Clinton und Bush jr., im Jahre 2004)

Zum Inhalt des Buches

Das "afghanische" Bündnis zwischen den USA und den Mudschahedin erlebte
auf dem Balkan eine Neuauflage, und so war es kein Wunder, dass die
wichtigsten Verdächtigen des 11. September dort ihre Feuertaufe
erfuhren (Kapitel 1). Besonders Bosnien-Herzegowina bot für den Aufbau
einer Dschihad-Front aufgrund seiner Geschichte günstige
Voraussetzungen (Kapitel 2). Nur durch westliche Einflussnahme konnte
es aber gelingen, zu Beginn der neunziger Jahre die dort vorherrschende
gemäßigte Strömung der Muslime auszuschalten und die Förderer des
Heiligen Krieges an die Macht zu bringen (Kapitel 3). Dabei spielte
Wien als Schaltstelle des Waffenschmuggels zunächst die zentrale Rolle,
dort erhielt Bin Laden 1993 auch einen bosnischen Pass (Kapitel 4). Mit
Geldern und Kämpfern aus dem islamischen Welt wurde die
bosnisch-muslimische Armee aufgebaut, Bin Laden war deswegen persönlich
im Präsidentenpalast in Sarajevo (Kapitel 5). Vor allem die
ausländischen Dschihadisten verübten im Verlaufe der dreijährigen
Kämpfe (1992 – 1995) schreckliche Greueltaten, und auch einige der den
Serben zugeschriebenen Massaker könnten auf ihr Konto gehen (Kapitel
6). Doch der Kampfwert der Gotteskrieger war zunächst gering, und das
änderte sich erst, als William ("Bill") Clinton 1993 US-Präsident wurde
und im Zusammenspiel mit dem Erzfeind Iran deren Aufrüstung
organisierte (Kapitel 7). Mit harten Bandagen brachte der
US-Geheimdienst UN-Blauhelme, die diesen Bruch des internationalen
Waffenembargos kritisierten, zum Schweigen (Kapitel 8). Die vermutlich
wichtigste Rolle bei diesem Bosnia-Gate spielte die
Pentagon-Vertragsfirma MPRI (Kapitel 9), die nach dem Friedenschluß von
Dayton (1995) auch die Kontrolle über die bosnische Armee übernahm
(Kapitel 10). Statt dort, wie es die offiziellen Washingtoner Legenden
wollen, die Gotteskrieger auszuschalten, übernahm MPRI die fähigsten
Kämpfer, bildete sie in dem mittlerweile ebenfalls von Bin
Laden-Vertrauten durchsetzen Albanien aus (Kapitel 11 und 12) und
schickte sie zur Unterstützung der albanischen Terrorbewegung UCK ins
Kosovo und nach Mazedonien (Kapitel 13).

Ein Großteil dieser Aktivitäten wurde aus einem saudisch-amerikanischen
Spendensumpf angeblich humanitärer Organisationen finanziert, in dem
Bin Laden nur eine untergeordnete Rolle spielte (Kapitel 14). Ganz
generell stellt sich die Frage, ob Al Qaida nicht eher ein
Propagandabegriff der US-Außenpolitik als eine real existierende
Organisation ist, zumal bei vielen Topterroristen der Verdacht besteht,
dass sie auch für westliche Dienste arbeiten (Kapitel 17). Dies trifft
auch auf die Hauptverdächtigen des 11. September zu (Kapitel 18),
insbesonders auf die beiden angeblichen Masterminds der Anschläge
(Kapitel 19).

In jedem Fall hat sich dank westlicher Protektion in
Bosnien-Herzegowina ein terroristischer Brückenkopf gebildet, der
sowohl für die weitere Entwicklung des Landes (Kapitel 15), als auch
für die Sicherheit in Europa insgesamt ein erhebliches
Bedrohungspotential darstellt (Kapitel 16). Schon seit geraumer Zeit
gibt es darüber hinaus eine erhebliche Wanderungsbewegung von
Dschihad-Kämpfern zwischen dem Balkan und Tschetschenien (Kapitel 20).
Dies wird aber im Westen nicht als Gefahr gesehen, da die US-Öllobby
längst die russischen Energiereserven im Auge hat (Nachwort).

Kontakt zum Autor: info @juergen-elsaesser .de


=== 3 ===

Von Pogrom zu Pogrom

Der albanische Amok im März 2004 und der Wahlboykott der Kosovo-Serben
im Oktober 2004 hat den Westen nicht zur Vernunft gebracht  

„Der Fortschritt überall in der Provinz ist offensichtlich.“ (EU-Außen-
und Sicherheitspolitik-Koordinator Javier Solana Ende Februar 2004)

"Die KFOR hat es gut gemacht" (NATO-Generalsekretär Joop de Scheffer
über das Verhalten der sogenannten Schutztruppe bei den März-Pogromen)


Am 17. und 18. März 2004 kam es im Kosovo zu einem regelrechten Pogrom
gegen die Serben und andere Nicht-Albaner, zum schlimmsten
Gewaltausbruch seit dem Sommer 1999. Dabei wurden 19 Menschen getötet
(zunächst war sogar die Zahl 31 genannt worden), über 30 serbische
Klöstern und Kirchen gebrandschatzt, 500 serbische Häusern zerstört und
4 500 Nicht-Albanern vertrieben. Immerhin fand Bernhard Gertz, Sprecher
des Bundeswehrverbandes, klare Worte: »Die Unruhen wurden
generalstabsmäßig geplant und durchgeführt. Es muß also einen breiten
Kreis von Mitwissern gegeben haben ... Wer häufiger dort im Einsatz
war, sieht doch, daß sich nichts verbessert hat und das Land zur
Zentrale der organisierten Kriminalität in Europa geworden ist.«

Genauere Informationen über die "generalstabsmäßige" Vorbereitungen
kann man einem Bericht des Belgrader Verteidigungsministeriums
entnehmen, der am 25. März in der Armeezeitung Vojska veröffentlicht
worden ist. Darin heißt es: "Personen aus der kosovo-albanischen
Führung initiierten die Vorbereitung, Planung und Durchführung des
Pogroms, um das Kosovo von seiner verbliebenen nicht-albanischen
Bevölkerung zu säubern und so die demographischen Tatsachen in Kosovo
und Metohijen so zu verändern, daß die Unabhängigkeit eines
monoethnischen Kosovo durchsetzbar wird. Unsere Analyse der Ereignisse
... steht in direktem Widerspruch zu öffentlichen Stellungnahmen der
Kosovo-Albaner: Das Kosovo-Parlament deklarierte am 25. März 2004, daß
die Ereignisse ... nichts anderes als ein 'legitimer Protest' gewesen
seien, der irgendwie 'in Gewalttätigkeit umgeschlagen' war. Das
Parlament ... machte die Kosovo-Serben für die Gewalt verantwortlich.

Wir wissen, wer diese Personen sind. Zum Beispiel haben wir in
Erfahrung gebracht, daß vor einigen Wochen ein Treffen abgehalten
worden ist, auf dem Vertreter der drei wichtigsten Kosovo-albanischen
Parteien und ... der Übergangsverwaltung den aktuellen Stand der
Unabhängigkeitsbestrebungen diskutierten. Eine Fraktion, geführt von
Hashim Thaci (Parlamentsabgeordneter, Führer der Demokratischen Partei
PDK und früherer politischer Direktor der UCK ...) und Ramush Haradinaj
(ebenfalls Parlamentarier, Führer der Zukunftallianz-Partei AAK und
früherer Feldkommandant der UCK ...) beschuldigten Ibrahim Rugova, den
Präsidenten des Kosovo und Führer der Demokratischen Liga LDK, ... und
forderten von ihm, sofort die Unabhängigkeit des Kosovo zu erklären.
Rugova weigerte sich aus taktischen Gründen. Daraufhin drohten Thaci
und Haradinaj damit, ihre Anhänger zu mobilisieren und im Kosovo 'Feuer
zu legen'.

Im weiteren trafen sich Thaci und Haradinaj mit den Anführern der
Albanischen Nationalarmee (ANA – Nachfolgeorganisation der UCK, Anm.
jW) ... Auf diesem Treffen kamen sie zu dem Entschluß, daß die Zeit
reif sei für die Austreibung aller Serben. Man präsentierte einen
detaillierten Aktionsplan (der Anfang März in der PDK-Parteizentrale
entstanden war) und ernannte Haradinaj zum Operationsleiter.

Die Koordinierung des Pogroms fand im Krisenzentrum des
Kosovo-Schutzkorps (KPC) statt, das von Jusuf Kelmendi geführt wird.
Das KPC wurde großteils aus früheren UCK-Kämpfern gebildet. Es wird
von Agim Ceku geführt, einem früheren kroatischen Offizier, der im
August 1995 ... bei der Vertreibung von 300 000 Serben (aus der
Krajina, vgl. Seite xy) mitmachte. Er war auch Generalstabschef der
UCK. Auch einige Mitglieder der Kosovo-Schutzpolizei (KPF) nahmen an
den Gewalttätigkeiten teil, einer mehrheitlich albanischen ....
Zivilpolizei .... Die Angriffe in Kosovska Mitrovica wurden vom
Komandanten des 5. Verteidigungskorps des KPC geführt, Rahman Rama,
einem früheren Kommandeur im 4. Operationsgebiet der UCK. Insgesamt
waren 60 000 Kosovo-Albaner ... an den viertägigen Gewalttätigkeiten
beteiligt."

Die Hasen vom Amselfeld

Während Gertz sich noch wundert, daß »unsere Nachrichtendienste nichts
davon gewußt haben«, gibt es mittlerweile zahlreiche Hinweise, daß die
NATO-geführte Kosovo-Besatzungsmacht KFOR und ganz besonders die
Bundeswehr absichtlich weggeschaut haben, als die Pogrome vorbereitet
und durchgeführt wurden.

In der Krisenprovinz waren Mitte März etwa 18 000 KFOR-Soldaten
stationiert. Der deutsche General Holger Kammerhoff war der Kommandeur
der internationalen Truppe, in dem die Bundeswehr mit 3 900 Soldaten
das größte Kontingent stellt. Trotz dieser starken Präsenz gelang es
nicht, den Amoklauf zu verhindern. Beispiel Prizren, wo die deutsche
Kommandantur ihren Sitz hat: Dort lebten bis zum Abzug der
jugoslawischen Armee am 10. Juni 1999 etwa 10 000 Serben. Gerade 100
hatten bis zu den Pogromen vor sechs Wochen ausgeharrt. Als der
albanische Mob am 17. März auf ihr Viertel vorrückte, gingen die
deutschen Soldaten stiften. "Das Erscheinen eines einzigen Panzers am
Schauplatz des Geschehens hätte, so ein Vertreter der Vereinten
Nationen (Unmik), genügt, und die Demonstranten wären verschwunden.
Aber kein Panzer kam", berichtete die FAZ vom Geschen an diesem Tag.
Noch härter ging der Spiegel mit der deutschen KFOR ins Gericht. »Nicht
nur Serben, sondern auch UNO-Beamte, Soldaten anderer
Truppenkontingente, albanische Menschenrechtler und unabhängige
Journalisten werfen der Bundeswehr Versagen, ja Feigheit vor. In der
Bekämpfung der Ausschreitungen habe sie eine klägliche, wenn nicht die
blamabelste Rolle gespielt«, faßte das Nachrichtenmagazin unter der
Überschrift "Die Hasen vom Amselfeld" zusammen.

Dieses Urteil wird auch durch den Fakt gestützt, daß die Bundeswehr in
diesen Tagen keinen einzigen Verwundeten zu beklagen hatte. Aus den
übrigen KFOR-Kontingenten mußten sich dagegen nach den Unruhen 188
Soldaten einer ambulanten oder stationären Behandlung unterziehen. Vor
diesem Hintergrund erhebt die serbisch-orthodoxe Diözese Raska-Prizren
schwere Vorwürfe. Die deutschen Truppen hätten zugelassen, »daß das
gesamte verbliebene christlich-orthodoxe Erbe in einer Nacht
verschwand«. Und weiter: »Was die Albaner in der Zeit von
Nazi-Deutschland nicht geschafft haben, das haben sie unter den
deutschen Truppen der sogenannten Friedensmission getan.« Bischof
Artemije äußerte kategorisch: Der Einsatz der deutschen Truppen war
»ein Fehlschlag, sie sollten abziehen«.

Gegen solche Kritik wurde die Bundeswehr von der deutschen Regierung in
Schutz genommen. Verteidigungsminister Peter Struck lobte das
»umsichtige Verhalten« der Truppe bei den März-Pogromen: »Sie haben
besonnen reagiert, eine Eskalation verhindert und so Menschenleben
geschützt.« Außenminister Joseph Fischer sekundierte: »Unsere Soldaten
haben unter erheblichem Risiko und unter enormem Druck Großes
geleistet.«

Bis zum Sommer 2004 wurde von Minister Struck darauf verwiesen, daß im
deutschen Sektor im März immerhin "kein einziger Serbe" ermordet
worden sei. Daraufhin konfrontierte die FAZ das
Verteidigungsministerium Ende August mit den Angaben der UNMIK, wonach
in Prizren am 17. März ein gewisser Dragan Nedeljkovic in einem
orthodoxern Priesterseminar mit Brandbeschleuniger übergossen und
verbrannt worden ist. Die Bundeswehr versuchte ihre – wissentliche? –
Falschbehauptung mit dem Argument zu retten, das Priesterseminar sei
nicht als Kulturgut eingestuft worden, und nur als solches hätte es
ihrem Schutz unterstanden. "Mit seiner Stellungnahme widersprach das
Ministerium allen bisher gängigen Definitionen von Verantwortung im
Kosovo sowohl in Bezug auf Karten und schriftlichen Erläuterungen der
NATO", kommentierte das Blatt. Den gelynchten Serben verhöhnte das
Ministerium noch mit dem Hinweis, der Mann sei "als Alkoholiker
bekannt" gewesen.

General Kammerhoff hat anläßlich seiner Verabschiedung aus dem Amt als
KFOR-Oberkommandeur Ende August erneut von einem "Erfolg" seiner
Mission gesprochen, und dies ist auch weiterhin die öffentliche
Sprachregelung der Bundesregierung. Gleichzeitig wollte Kammerhoff aber
"den Exodus der noch etwa 95 000 Serben", die im Kosovo verblieben
sind, "nicht ausschließen", bekannte er gegenüber der FAZ.

BND-Mann zettelte die Pogrome an

Ging es nur um Feigheit und Fahrlässigkeit gegenüber den
UCK-Terroristen, oder muß man der deutschen Politik noch Schlimmeres
vorwerfen? Mitte November 2004 wurde bekannt, daß ein bezahlter Agent
des Bundesnachrichtendienstes (BND) einer der Hauptorganisatoren der
März-Pogrome gewesen ist. Der sich dessen vor deutschen Fernsehkameras
selbst bezichtigte war ein gewisser Samedin Xhezairi, in der UCK unter
dem Kriegnamen Kommandant Hodza bekannt. Der Mann lebte und arbeitete
jahrelang als Medizinisch-Technischer Assistant in Oesterreich und
schloss sich nach Ausbruch des bewaffneten Konflikts im Kosovo 1997/98
der albanischen Untergrundarmee an. Er kaempfte zunaechst in der 171.
UCK-Brigade gegen die Serben. Nachdem dieser Krieg mit Hilfe der NATO
1999 gewonnen war, wechselte Xhezairi ueber die Grenze und nahm im
Fruehjahr 2001 im Rahmen der 112. Brigade am UCK-Aufstand in Mazedonien
teil. Dort war er Kommandant einer Einheit aus unter anderem
auslaendischen Gotteskriegern im Raum Tetovo. Als diese Einheit im Juni
2001 von der mazedonischen Armee bei Aracinovo eingekesselt wurde,
wurde sie von der US Army ausgeflogen. Neben Xhezairi und seinen
Mudjahedin befanden sich auch 17 US-Militaerberater unter den
Geretteten.

NATO-Quellen bezeichnen Xhezairi als Bindeglied zwischen UCK und Al
Qaida. Sein Auftrag sei der Aufbau einer Hizbollah in der
Krisenprovinz. Jedenfalls soll der Albaner schon in Afghanistan und
Tschetschenien gekaempft haben, und seine Telefonnummer wurde bei einem
festgenommenen Al Qaida-Verdaechtigen gefunden.

Daneben ist Xhezairi Koordinator eines geheimen Netzes, das Angehoerige
der formell aufgeloesten UCK geknuepft haben, die heute im
Kosovo-Schutzkorps und der Kosovo-Polizei – zweier von UN und NATO
genehmigten Organisationen – ihren Dienst verrichten. Ueber dieses Netz
wurden die Pogrome im Maerz gesteuert. Xhezairi selbst befehligte den
terroristischen Mob in Prizren und Urosevac.


Kurs auf Unabhängigkeit

Statt angesichts dieser Nachrichten Selbstkritik zu üben, versuchten
Bundesregierung und Bundeswehr eine Radikalisierung ihrer
antiserbischen Politik. Bei der Debatte im Verteidigungsausschuß des
Bundestages Mitte September prallten die unterschiedlichen Positionen
aus dem Auswärtigen Amt und aus dem Verteidigungsministerium
aufeinander. Im Fischer-Ministerium verteidigt man die bisherige Linie
der UNMIK, im Kosovo zunächst grundlegende demokratische Standards zu
sichern, bevor an eine Entscheidung über den künftigen Status der
Provinz gedacht werden kann ("Standard vor Status"). Struck dagegen
sagte: ,,Man muß sich schon die Frage stellen, ob es einen Sinn macht."
In der britischen Presse wurde kommentiert, der deutsche
Verteidigungsminister messe der Verteidigung serbischer Leben keine
weitere Bedeutung bei (,,Struck says it is not worth protecting Serbs",
European Foundation Intelligence Digest).

Strucks Parteifreund, der SPD-Vorsitzende Franz Müntefering, vertrat
Ende August 2004 ganz explizit die Position, daß . ,,daß das Kosovo in
der Lage ist, ein eigener souveräner Staat zu sein". Auch die
SPD-Außenpolitikerin Uta Zapf schwärmte kurz darauf von der
"kosovarischen Unabhängigkeit": ,,Ein solch souveräner Staat wird dann
in die europäischen Strukturen eingegliedert werden. Und: ,,Wir"
müßten das ,,Problem Kosovo" endlich lösen, auch wenn ,,Serbien ...
ganz entschieden für einen Verbleib" seiner Südprovinz eintrete.

Auch ansonsten mehren sich die Stimmen in der deutschen Politik, die
eine Aufhebung der UN-Resolution 1244 verlangen, die bis dato die
völkerrechtliche Zugehörigkeit der Provinz zu Serbien-Montenegro
festschreibt. Der weitestgehende Vorschlag kommt von der FDP, die den
Anschluß des Kosovo an die EU fordert. Das Territorium solle »Europa«
als »Treuhandgebiet« überlassen werden, heißt es in der
Bundestagsvorlage, die der FDP-Abgeordnete Rainer Stinner Anfang April
2004 initiiert hat. »Die Souveränität des Kosovo« gehe dann »auf die EU
über«. Stinner sagte gegenüber der Redaktion des Internetportals
german-foreign-policy.com, nach dem Anschluß werde sich »ein
europäischer Leiter« der »Außen- und Verteidigungspolitik« des Kosovo
annehmen. Bereits jetzt stellt die der FDP nahestehende
Friedrich-Naumann-Stiftung mehrere »Berater« des
Kosovo-Regionalparlaments, die dort in zentralen Wirtschaftsausschüssen
tätig sind.

Auch die einflußreiche Bertelsmann-Stiftung verlangt, daß Serbien seine
südliche Provinz Kosovo endgültig abtreten soll, sieht als künftige
Mandatsmacht allerdings nicht die EU, sondern die UN. Demgegenüber
plädiert die CDU/CSU-Bundestagsfraktion einstweilen nur für eine
»möglichst schnelle Klärung der Statusfrage«. Der Versuch, »die
verfeindeten Ethnien der Serben und Albaner wieder zusammenzuspannen«,
sei – so der CSU-Bundestagsabgeordnete Michael Glos – eine »Fiktion«:
»Multikulturelle Gesellschaften« bildeten »ein sehr schwieriges
Unterfangen, das wir in Deutschland nicht als Leitbild wählen sollten«.
Das könnte man mit gutem Willen auch als Plädoyer für eine
Kantonalisierung der Provinz werten, die den Serben im Nordkosovo
gewisse Schutz- und Autonomierechte gewährt. Einzelne CSU-Politiker
haben Sympathien für diese Lösung geäußert, die ansonsten auch von der
Belgrader Regierung favorisiert wird. Die Mehrheit der Unionsfraktion
dürfte allerdings dem antiserbischen FDP-Vorschlag zuneigen – schon
1999 waren aus der Union Überlegungen zu einer »Euroregion Kosovo«
formuliert worden.

Eine Außenseiterposition im deutschen Politikestablishment vertritt
hingegen Wolf Oschlies, bis vor zwei Jahren noch einer der wichtigsten
Balkanberater der Bundesregierung. "Holt die Serben wieder rein ins
Kosovo!" forderte er im Gespräch mit der Tageszeitung "junge Welt" und
meinte damit explizit die Rückkehr serbischer Sicherheitskräfte. Nur
diese könnten weitere albanische Gewalttaten gegen die Minderheiten
verhindern. Oschlies beruft sich bei dieser Forderung ausdrücklich auf
die UN-Resolution 1244, die Grundlage der Arbeit von UNO und KFOR in
der Provinz ist. Vor dem Hintergrund der oben geschilderten
Diskussionsstandes in den großen Parteien ist es allerdings kein
Wunder, daß ein solcher Ratgeber an den Rand gedrängt wurde. Oschlies
arbeitete viele Jahre als einer der Direktoren des Bundesinstituts für
Ostwissenschaftliche und Internationale Studien in Köln, das im Jahre
2000 der Stiftung Wissenschaft und Politik unterstellt wurde. Im Zuge
des Revirements wurden die Kompetenzen von Oschlies und anderer
Fachleute beschnitten. "Man sprach abwertend von den Balkanschlagseite
und dem Rußlandbauch, die beseitigt werden müßten", klagt Oschlies
heute im Rückblick.


Der Wahlboykott der Serben

Nach einer Untersuchung vom Herbst 2004 sind von den seit dem
NATO-Einmarsch aus dem Kosovo vertriebenen 250 000 Serben lediglich
2000 ins Kosovo zurückgekehrt, wobei ihre Zahl im Jahr 2004 mit bisher
254 einen Tiefpunkt erreicht hat. Während der März-Pogrome wurden die
wenigen vorher restaurierten serbischen Dörfer bis auf eine Ausnahme
wieder zerstört. Das danach von der UNMIK groß angekündigte Programm,
mit 3,6 Millionen Euro den Wiederaufbau abgefackelter serbischer Häuser
zu fördern, war Anfang Oktober 2004 trotz mehrfach Zusagen noch nicht
einmal angelaufen – die Kassen seien leer, behauptet UNMIK.

Vor diesem Hintergrund und den schlechten Erfahrungen mit den letzten
Provinzwahlen (vgl. S. xy) sprachen sich die übergroße Mehrheit der
serbischen Parteien für den Boykott der Kosovo-Wahlen am 23. Oktober
2004 aus. Patriarch Pavle, Oberhaupt der serbisch-orthodoxen Kirche,
sagte zur Begründung: "In welchem Staat der Erde könnte man Menschen
zur Teilnahme an Wahlen auffordern, solange ihre elementaren
Sicherheitsstandards und ihre Menschenrechte nicht garantiert sind?"
Auf Kritik aus dem Westen, nur über Teilnahme am demokratischen Prozeß
könnten die Serben ihre Rechte sichern, sagte einer der Vertriebenen
der Belgrader Tageszeitung Blic: "Wenn wir boykottieren, machen wir
doch nichts anderes als die Kosovo-Albaner zur Milosevic-Zeit. Deren
Boykott hat der Westen damals massiv unterstützt, weil er ihre
Menschenrechte bedroht sah. Warum behandelt man uns anders, wo es doch
um unsere Menschenrechte keineswegs besser steht?"

Die erdrückende Mehrheit der Serben auf dem Kosovo schloß sich dieser
Sichtweise an: Über 99 Prozent blieben dem Urnengang fern. NATO und
Europäische Union hingegen lobten die Wahlen als fair und frei – und
gaben damit zu erkennen, daß sie weitermachen wollen wie bisher.

Venezia, VI Congresso PRC (3-6/3/2005):
OdG contro il revisionismo sulle "foibe", RESPINTO dalla maggioranza
bertinottiana


Di seguito riportiamo il testo dell'OdG proposto in votazione a
Venezia, primi firmatari Burgio (moz.2) e Donato (moz.5): si tratta
della rielaborazione, decisa in commissione politica, del testo
(disponibile ora su www.marxismo.net) già votato all'unanimità dai
delegati di tutte e cinque le mozioni al congresso provinciale di Udine.

(vedi più sotto per un commento)

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Ordine del giorno sulle vicende della Resistenza presso il confine
orientale

Da anni stiamo assistendo ad un'opera di riscrittura della storia della
Resistenza e in particolare delle vicende relative al confine
orientale, tanto che non più semplicemente di revisionismo storico si
tratta, ma di un vero e proprio ribaltamento della verità storica, che
fa diventare aggrediti gli aggressori e vittime i carnefici. Di questa
operazione è stato un momento fondamentale in questi ultimi mesi la
programmazione televisiva de "Il cuore nel pozzo", una fiction dal
contenuto completamente falso e intriso di profondo e antico razzismo
antislavo, una pesante operazione propagandistica che accredita il
giudizio sull'armata partigiana della Jugoslavia come di un'orda
animata di violenza cieca e ispirata dall'unico proposito di cancellare
la presenza degli Italiani dall'Istria.
Questa fiction non ha trovato purtroppo la necessaria opposizione, dal
momento che le polemiche dei partiti e dei personaggi del
centro-sinistra hanno riguardato esclusivamente la strumentalizzazione
che ne ha fatto il ministro Gasparri, senza tuttavia entrare nel merito
dei contenuti assolutamente inaccettabili della stessa; proteste
d'altra parte assolutamente tardive e ipocrite, perché già da oltre un
anno si sapeva che questo film era stato voluto da Gasparri, non per
far luce sui fatti della seconda guerra mondiale, ma per scopi
puramente propagandistici.
Questa operazione di riscrittura della storia, iniziata in modo
sistematico una quindicina di anni fa e di cui si possono chiaramente
individuare i protagonisti in personaggi provenienti dal neofascismo
come Marco Pirina, ha visto in questi ultimi anni la sostanziale
complicità di una parte della sinistra, iniziata con lo “sdoganamento”
dei “ragazzi di Salò”, avvenuto presso l’ateneo Trieste alcuni anni fa,
nel corso dell'incontro fra Violante e Fini. Con la presentazione in
questi giorni di un progetto di legge che riconosce i repubblichini
come combattenti per l'Italia, si prepara anche ufficialmente il
coronamento di questa operazione, che ha come scopo sostanzialmente
quello di riconoscere i repubblichini come i difensori del confine
orientale italiano contro l'esercito di liberazione jugoslavo,
decretando così ufficialmente il ribaltamento della storia italiana
della seconda guerra mondiale e il passaggio dei partigiani alla
condizione di "banditi", come erano stati considerati da fascisti e
nazisti.
In quest'ottica le posizioni assunte dalle varie forze del
centro-sinistra di sostanziale accettazione delle versioni della destra
sulla questione delle "foibe", completamente slegate da ogni
riflessione ragionata sul contesto in cui furono inseriti quegli
avvenimenti, risultano assolutamente miopi e palesano un cedimento
ingiustificabile alle posizioni degli avversari. Va sottolineato che
l’operazione revisionista consiste precisamente nella cancellazione del
contesto storico in cui s’inserirono avvenimenti indiscutibilmente
drammatici. Il problema non è affatto invocare una complessità storica
per giustificare alcunché, bensì chiarire che fatti slegati dal
complesso delle situazioni in cui si produssero risultano totalmente
incomprensibili.
Ragionare sul contesto significa, per esempio, riflettere
sull’accanimento con il quale il fascismo condusse la propria “guerra
contro lo slavismo”, con l’obiettivo specifico di snazionalizzare le
centinaia di migliaia di sloveni e croati costretti dai trattati
sottoscritti dopo la prima guerra mondiale a vivere all’interno dei
confini dello Stato italiano. L’obiettivo di tale opera di
snazionalizzazione fu chiaro: la “bonifica etnica” della Venezia
Giulia; essa venne perseguita con spietata durezza, e sul piano
culturale e su quello economico.
D’altra parte la “questione delle foibe”, e del confine orientale in
genere, sta diventando una sorta di cartina al tornasole che rivela
l'avvenuta condivisione fra destra e sinistra di un pensiero unico
contro il diritto di ribellione, anche violenta, all'oppressore, contro
il diritto stesso di Resistenza dei popoli (sancito e riconosciuto
perfino dall'ONU!) e contro la possibilità che esso venga
legittimamente praticato anche con le armi.
Il Partito della Rifondazione Comunista non può confondersi con i
sostenitori di questo pensiero unico: difendere la memoria storica
della Resistenza di tutti i popoli che hanno resistito al nazifascismo,
fra cui e soprattutto i popoli della Jugoslavia, non solo è
un'operazione storica per i comunisti oggi in Italia, ma è anche un
importante momento del nostro impegno attuale; si tratta infatti di
difendere il diritto alla lotta per la giustizia, l'uguaglianza, la
libertà contro l'imperialismo oggi, nella consapevolezza che la
Resistenza armata non ha niente a che vedere con le operazioni di un
indiscriminato terrorismo individuale che semina morte anche tra i
civili innocenti, ma rappresenta una delle opzioni in campo se diventa
lotta di popolo condivisa e generale contro le invasioni straniere.

Venezia, 6 marzo 2005

Firmatari: Alberto Burgio, Gabriele Donato

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A Venezia questo OdG è stato votato dai soli delegati delle mozioni 2,
3 e 5; i delegati della mozione 4 si sono astenuti. La risicata
maggioranza bertinottiana (59 per cento dei delegati) ha RESPINTO l'OdG.

D'altronde, proprio a Venezia nell'autunno 2003 i bertinottiani avevano
dato inizio alla campagna revisionistica interna sulle "foibe",
dapprima appoggiando l'intitolazione di una piazza di Porto Marghera ai
"Martiri delle foibe", poi organizzando un seminario sulla
"nonviolenza" nel corso del quale Bertinotti prendeva le distanze da
quella che chiamava l'"angelizzazione della Resistenza".
Nel corso di questo VI Congresso nazionale i bertinottiani sono andati
ben oltre, organizzando una operazione mediatica di pessimo gusto
nell'invitare Leo Gullotta - pagliaccio della televisione di regime e
protagonista della fiction revisionista, razzista ed antipartigiana "Il
cuore nel pozzo" - a celebrare il 60.mo anniversario della Resistenza
attraverso la lettura di alcuni testi. Questa ambigua celebrazione è
stata contestata da delegati di diverse mozioni di minoranza (si veda
ad es.:
http://italy.indymedia.org/news/2005/03/743988_comment.php#744577
http://italy.indymedia.org/news/2005/03/743268.php
http://www.repubblica.it/2005/a/sezioni/politica/proditornatre/
gullottaconte/gullottaconte.html
http://italy.indymedia.org/news/2005/03/744376.php ).
Ritorneremo sull'argomento nei prossimi giorni, con altra
documentazione e commenti.

(a cura di AM)