Informazione

> A mia volta vi segnalo un articolo trovato in rete (Osservatorio
> Balcani, moderati dell'Ulivo)
> A parte l'informazione sulla foiba di Basovizza (i documenti
> angloamericani testimoniano che non vi furono infoibati neppure i
> centinaia di cui parla Scotti, come si dimostra nel nuovo libro di
> Claudia Cernigoi), il resto è molto interessante.
> Smrt fazismu Svoboda narodu
> Alessandra Kersevan


[ vai alla pagina originaria per leggere anche i commenti dei lettori:
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3884/1/51/ ]

La memoria delle foibe in Istria: intervista a Giacomo Scotti

10.02.2005 scrive Andrea Rossini
Un clima di nazionalismo insopportabile sta inquinando i rapporti tra
Italiani, Croati e Sloveni. Giacomo Scotti, giornalista e scrittore di
Fiume/Rijeka, racconta il clima di questi giorni e nella propria
analisi contestualizza i fatti storici per i quali oggi in Italia si
celebra il giorno del ricordo. Pubblichiamo ampi stralci
dell’intervista realizzata in collaborazione con Radio Onda d’Urto


Osservatorio sui Balcani: Cosa furono le foibe e quante furono le
vittime delle violenze avvenute tra il ’43 e il ’47 a Trieste, in
Istria e Dalmazia?

Giacomo Scotti: Oggi il termine di infoibati viene esteso a tutti
quindi anche alle persone che furono catturate in combattimento negli
ultimi mesi della seconda guerra mondiale, per esempio i repubblichini
della Repubblica di Salò che operavano in Istria al servizio della
Gestapo e dei nazisti, o in generale i caduti italiani negli scontri
con i partigiani nel territorio dell’ex Venezia Giulia, quindi Istria e
Quarnero. Qualche centinaio di loro morì di stenti, o di malattie nei
campi di prigionia nei dintorni di Ljubljana, e anche questi vengono
messi tra gli infoibati. I veri infoibati che sono stati fucilati e i
cui corpi sono stati gettati nelle foibe sono verosimilmente alcune
centinaia. La storiografia dell’estrema destra parla tuttavia di
parecchie migliaia.

Osservatorio sui Balcani: In Italia si parla per l’appunto di una cifra
che arriva in certi casi alle 10.000 persone e oltre. Questa cifra
dunque secondo te non è corretta?

Giacomo Scotti: Non secondo me ma secondo gli storici triestini che
potremmo definire di centro, come Galliano Fogar, e perfino secondo
alcuni esuli istriani, come per esempio l’ex sindaco di Trieste, che
hanno scritto libri sull’argomento. Ci sono state due fasi. Dopo la
capitolazione italiana dell’8 settembre 1943 in Istria c’è stata una
sollevazione, un’insurrezione di contadini che hanno assalito i
Municipi, hanno assalito anche le case dei fascisti, di coloro che
facevano parte della milizia volontaria della sicurezza nazionale,
degli agenti dell’OVRA (la polizia segreta fascista, ndr) ammazzandone
parecchi nelle loro case, e alcuni gettandoli nelle foibe.
L’insurrezione istriana durò dal settembre fino al 4 ottobre del ’43,
quindi circa 30 giorni. Dopo sono arrivati i Tedeschi e hanno messo a
ferro e fuoco l’Istria. Le vittime dell’insurrezione erano per la
maggior parte gerarchi fascisti, ma ci sono andati di mezzo anche degli
innocenti, ci sono state rese di conti fra gente che aveva dei conti da
regolare. Tuttavia non si può parlare di odio antiitaliano, in un certo
senso non si facevano distinzioni. Prima ancora che calassero le grosse
divisioni tedesche in Istria, i comandi italiani di Pola, ad esempio,
avevano consegnato ad un battaglione di Tedeschi di 350 uomini una
guarnigione di 15.000 soldati. I Tedeschi avevano messo questa gente
nei vagoni per deportarli in Germania. I partigiani slavi, partigiani
per modo di dire, questi insorti che avevano preso i fucili gettati via
dalle truppe italiane oppure i propri fucili da caccia, hanno atteso
questi convogli diretti in Germania nella stazione di Pisino, nel cuore
dell’Istria, assalendo due treni e liberando circa 3.000 marinai
italiani, cadetti. Migliaia e migliaia di soldati italiani, non
solamente di stanza in Istria ma anche provenienti dalla Croazia,
disarmati, dopo l’8 settembre, che attraversavano l’Istria interna per
andare a Trieste, non quella costiera, popolata in gran parte da
popolazione italiana, ma l’Istria interna popolata quasi esclusivamente
da popolazioni slave, sono stati accolti e rifocillati da queste
popolazioni, che li hanno protetti per non essere presi dai Tedeschi
che nel frattempo, ad ottobre, erano calati in gran numero da Gorizia e
dal Brennero. Ci sono anche documenti, anche per esempio
dell’episcopato di Trieste, che attestano questa solidarietà, quindi è
falso sostenere che tutte le vittime erano italiane e che dall’altra
parte c’erano solo i barbari slavi.

Osservatorio sui Balcani: Nel maggio ’45 i partigiani jugoslavi
occuparono Trieste. Quei 40 giorni vengono considerati e raccontati
come il culmine delle violenze antitaliane. Come va inquadrato quel
periodo?

Giacomo Scotti: In Istria la caccia al fascista avvenne in quei trenta
giorni del settembre, e poi non si è ripetuta più. A Trieste invece è
avvenuta la seconda fase, quella appunto dei 45 giorni. Qui ci sono
stati effettivamente episodi di pulizia etnica perché la cosiddetta
guardia popolare - di cui facevano parte tra l’altro moltissimi
Italiani, triestini, goriziani e friulani – e che a Trieste dava la
caccia ai gerarchi, ai fascisti, ha colpito anche molti antifascisti la
cui colpa era quella di battersi perché Trieste restasse italiana. Da
una parte c’era l’idea di molti combattenti di costruire il socialismo
fino all’Isonzo, però c’era anche molto nazionalismo da parte delle
truppe di Tito arrivate a Trieste, che erano per la gran parte truppe
della Quarta Armata, Dalmati. Erano circa 12.000 partigiani, anche se
non si poteva più parlare di partigiani perché l’esercito cosiddetto
partigiano era un esercito dei più potenti, che aveva ormai 800.000
uomini ben armati. Inoltre c’erano alcuni reparti del Nono Corpus
sloveno, quindi uomini che avevano direttamente subito angherie dal
fascismo. Non dimentichiamo che il fascismo oltre ad essersi annessi
circa 600.000 Croati e Sloveni dopo la prima guerra mondiale, nella
seconda guerra mondiale aveva occupato e si era annesso una parte della
Slovenia, creando la provincia di Ljubljana, territori dove non c’era
un solo Italiano. Anche una parte della Dalmazia era stata annessa dopo
il 6 aprile ’41 all’Italia, era stata occupata e migliaia e migliaia di
Dalmati Croati sono finiti nei ben 109 campi di concentramento in
Italia. Quindi c’era rabbia, c’è stata anche vendetta, un revanscismo
da parte di questi soldati e sono stati commessi crimini. Ho trovato un
documento in questo senso, un telegramma di Tito inviato al comandante
jugoslavo della piazzaforte di Trieste che viene rimproverato
aspramente per non aver saputo controllare e moderare questo regime di
occupazione, togliendogli addirittura il comando. Quanti siano stati i
cosiddetti infoibati in questa fase non saprei dirlo non avendo
studiato il problema direttamente, io mi sono occupato nei miei libri
della storia istriana, però stando a storici triestini come Galliano
Fogar che era un azionista, oppure Raoul Pupo, oggi professore
universitario, si tratta anche là di alcune centinaia di persone finite
nella foiba di Basovizza, che ora è diventata monumento nazionale
italiano. Di fronte a queste vittime bisogna certamente inchinarsi.
Però bisogna anche dire che quelli che parlano di 10.000 o 20.000
infoibati infangano le vere vittime perché con le menzogne finisce che
la verità viene coperta e anche chi dice il vero non viene creduto.

Osservatorio sui Balcani: Dopo queste violenze ci fu l’esodo da Istria
e Dalmazia. In questo caso si parla di 350.000 Italiani che sarebbero
partiti dopo il ’45. Si tratta di cifre attendibili?

Giacomo Scotti: L’esodo complessivo dall’Istria e dalla Dalmazia e da
tutte le terre che sono state date alla Jugoslavia in virtù del
trattato di pace del ’47 e della sconfitta purtroppo dell’Italia, dopo
l’avventura nella quale l’aveva precipitata il fascismo, è stato di
240.000 persone. Negli ultimi dieci anni alcuni storici seri hanno
studiato questa questione, dopo il crollo del comunismo, tra di loro
addirittura uno storico anticomunista, Zeljavic. Sono andati negli
archivi, hanno preso i registri dello stato civile che ogni comune
nelle cosiddette province italiane dell’Istria e della Dalmazia aveva,
facendo ricerca. La Dalmazia in definitiva era Zara, una città di
20.000 abitanti sotto l’Italia, una piccola enclave. C’erano poi la
provincia di Fiume, che aveva tre comuni, con circa 50.000 abitanti, e
la provincia di Pola, che ne aveva 300 e poco più. Se veramente fossero
350.000 gli esiliati, sarebbero il 90% della popolazione che viveva in
quelle zone, compresi i Croati, e invece secondo il censimento fatto
dieci anni dopo la fine della guerra c’erano ancora 180.000 Croati
presenti e oggi, a 60 anni dalla fine della guerra, ci sono ancora
35.000 Italiani. Questi storici hanno preso in mano i registri dello
stato civile e i registri delle Questure, che sotto l’Italia erano
precisissimi segnalando addirittura chi era ebreo, chi era ariano, chi
non ariano, chi era antifascista ecc. Sono dati italiani, dello Stato
italiano che in base al trattato di pace l’Italia ha dovuto restituire
alla Jugoslavia come preda di guerra. Nell’esodo inoltre sono scappate
moltissime persone che non erano italiane, 20.000 Croati soltanto
dall’Istria, perché non volevano il comunismo, non volevano restare
sotto Tito. Molti Istriani poi, ad esempio, che lavoravano come
ferrovieri a Trieste e in Italia e non volevano perdere il posto di
lavoro, se ne sono andati. Ci sono molti motivi diversi, ma alla fine
sono partite 240.000 persone. Tra queste c’erano, veniamo alle cifre,
44.000 funzionari che erano venuti dall’Italia negli ultimi 18 anni di
presenza italiana in Istria, maestri elementari, insegnanti,
questurini, carabinieri, finanza ecc. che si iscrivevano nelle liste
della cittadinanza ma non erano autoctoni istriani o dalmati o fiumani.
Non li voglio certamente togliere, ma questi erano 44.000. C’erano poi
20.000 Croati. Quindi quando si parla di Italiani bisogna fare
attenzione. Parliamo degli Istriani, di qualsiasi nazionalità, non
erano soltanto Italiani i profughi.

Osservatorio sui Balcani: Tu hai seguito un percorso contrario a quello
di cui stiamo parlando, recandoti a vivere in Jugoslavia dopo la
seconda guerra mondiale. Negli anni recenti per l’impegno pacifista che
hai intrapreso nel corso delle guerre in ex Jugoslavia degli anni ’90 e
anche in ragione della tua nazionalità italiana hai trascorso anni
difficili… Come ti appresti a vivere questa giornata che in Italia è
stata ufficialmente definita del ricordo, il 10 febbraio?

Giacomo Scotti: Io e molti altri, quasi tutti gli Italiani qui, stiamo
vivendo questi giorni con molto disagio, ci sentiamo veramente
avviliti. Le destre, ovunque, i nazionalismi, ad esempio il
nazionalismo dei dieci anni di Tudjman, durante il quale hanno cercato
addirittura di chiuderci le scuole italiane, ci hanno perseguitato, ed
ora questo nazionalismo da parte italiana, che è un’euforia
insopportabile, con questi film che dicono menzogne, queste cifre che
dicono menzogne, queste parate, ci avviliscono… Questi nostri vicini,
amici con i quali viviamo qui nell’Istria, a Fiume, questi Croati, ci
dicono: “Noi che abbiamo subìto un’aggressione durante la guerra,
abbiamo subìto 360.000 morti dall’occupazione italiana, abbiamo subìto
i campi di concentramento italiani… Invece di chiederci perdono ci
attaccate ormai continuamente…” Come può fare un Italiano che vive qua
a guardare in faccia questa gente? Con la quale ogni giorno vive? Dopo
la morte di Tudjman di nuovo si era creato un clima di tolleranza, un
clima di convivenza pacifica… Invece di dare agli esuli che hanno
sofferto quella soddisfazione di essere ricordati al di sopra degli
odi, al di sopra dei rancori, ora in Italia si sfrutta questa giornata
per fare una campagna tremenda… Mi basta vedere la televisione, leggere
i giornali – qui arriva il Piccolo di Trieste – per esempio il Piccolo
ieri diceva che alla sala Tripcovich di Trieste è stato presentato
questo film sulle foibe…

Osservatorio sui Balcani: La fiction di Rai Uno, Il cuore nel pozzo?

Giacomo Scotti: Sì. Tutta la platea era formata soltanto da aderenti al
Fronte della Gioventù, della Fiamma Tricolore, e di Alleanza Nazionale.
Voi sapete benissimo che a Trieste Alleanza Nazionale non è quella di
Fini, si vantano di essere i picchiatori di Via Paduina, insomma sono
rimasti sempre i soliti. Ebbene a un certo punto un soldato, un
repubblichino prende la pistola e ammazza due persone, due partigiani,
li ammazza dicendo che con questo vuole evitare che la sua fidanzata
venga uccisa da loro. Ebbene è scoppiato un applauso, di fronte alla
morte di questi due partigiani, di questi due slavi, è scoppiato un
applauso irrefrenabile. Quando uno Sloveno, esponente della minoranza
slovena di Trieste, ha cercato di entrare nella sala per protestare, lo
hanno preso per il collo gridando alla polizia italiana: “Buttate fuori
questa gentaglia.” Ecco questo è il clima che si è creato a Trieste e
già da molti giorni… Il giorno della memoria viene celebrato il 10
febbraio, non ci siamo ancora ma è già un’ubriacatura di odio, di
revanscismo, dove vogliamo arrivare con queste cose? La stampa di qui
riporta queste cose. Oggi per esempio (5 febbraio, ndr) il Novi List di
Fiume, che è il giornale a più grande tiratura in Croazia, titola:
“Tutti gli italiani vittime, solo noi Croati e Sloveni siamo stati i
carnefici.”

Osservatorio sui Balcani: Nelle settimane scorse, in Croazia, c’è stato
un attentato dinamitardo al monumento di Tito, nella nativa Kumrovec.
Allo stesso tempo sono stati eretti [poi rimossi] monumenti ad
esponenti ustascia del cosiddetto Stato Indipendente di Croazia di Ante
Pavelic, Budak e Francetic. Nella Croazia del 2005 sono ancora forti i
movimenti e le tendenze di estrema destra?

Giacomo Scotti: La risposta te la posso dare citando i risultati delle
recentissime elezioni presidenziali. A destra della candidata dell’HDZ
si è schierato uno che ai tempi di Tudjman era tra i massimi esponenti
dell’HDZ, un erzegovese, Ivic Pasalic, presentandosi come capo del
Blocco Croato, che ha raccolto tutte le sedici associazioni degli ex
combattenti della cosiddetta Guerra Patriottica, gli ustascia, insomma
la crema della destra in camicia nera. Ha ottenuto solo lo 0.5% dei
voti. Questa è la destra ustascia neofascista oggi in Croazia. Però è
una destra che ha ancora appoggi nei servizi segreti del governo, l’HDZ
non ha fatto pulizia nei suoi ranghi, ancora la polizia segreta
tudjmaniana tira le fila nel sottosuolo. Tutti sanno dove si trova
Gotovina [il generale ricercato dal Tribunale dell’Aja, ndr], ma
nessuno lo va a prendere, la Croazia è diventata ostaggio di un
cosiddetto eroe che sta facendo soffrire le pene dell’inferno alla
Croazia che non può entrare in Europa finchè lui è latitante. Ma tutti
questi alla fine raccolgono solo lo 0,5% dei voti, quindi la Croazia
non è fascista, i fascisti sono pochi, però sono terroristi, mettono le
bombe sotto i monumenti, provocano, sono una piccola minoranza di
terroristi.

[ la prima edizione di Operazione Foibe è leggibile online al sito:
https://www.cnj.it/FOIBEATRIESTE/index.htm ]

Kappa Vu Edizioni
Presentano

Martedì 22 febbraio – ore 18 – Sala della Regione

via San Francesco 4 - Udine

Operazione Foibe
Tra storia e mito

di Claudia Cernigoi

(Kappa Vu Edizioni)

Interverranno insieme all’autrice:

Jože Pirjevec (storico e Docente di Storia dei paesi slavi
all’Università di Trieste)

Kristian Franzil (Consigliere regionale Prc)

Sandi Volk (storico)

Luigi Raimondi (Presidente onorario ANPI della Provincia di Udine)

Alessandra Kersevan (editrice)


Lo studio di Claudia Cernigoi vuole fare chiarezza sulla storia delle
nostre terre, vuole rendere giustizia ai morti di tutte le parti,
finora strumentalizzati a scopo di propaganda; vuole mettere fine a
quella continua creazione di elementi di tensione politica in un’area
di confine delicata come la nostra e, oltretutto, potrebbe servire a
liberare finalmente anche gli Sloveni e la sinistra da quel senso di
colpa che si portano dietro come "infoibatori", accusa che viene loro
mossa incessantemente da sessant’anni senza che d’altra parte si tenga
minimamente conto dei vent’anni di dominio fascista e
snazionalizzazione forzata subita dai popoli "non italiani" e dei
successivi anni di guerra con massacri feroci perpetrati contro le
popolazione dell’Istria, della Slovenia e di tutta quell’area che viene
chiamata Venezia Giulia.

"Il libro di Claudia Cernigoi, Operazione Foibe. Tra storia e mito
(Kappa Vu Edizioni), arricchito con documentazione in parte inedita,
pone il discorso sulle foibe nei dovuti limiti storiografici. Non
pensiamo che tutto questo basterà a tacitare la propaganda
antipartigiana che continua con toni sempre più violenti, anche da
parte di alcuni autori ritenuti fino a qualche tempo fa vicini alle
tematiche della Resistenza. Vorremmo però che almeno gli studiosi che
agiscono nell’ambito degli Istituti storici del Movimento di
Liberazione, nel parlare di questo libro lo facciano con il dovuto
rispetto storiografico, tenendo conto della documentazione presentata"
(Alessandra Kersevan)

"Questa seconda edizione del libro era quanto mai necessaria perché ci
aiuta a comprendere più a fondo cosa sia stato il fenomeno delle foibe
e come esso sia stato usato e strumentalizzato. In questi sette anni
(il tempo trascorso dalla prima edizione del libro) l’autrice ha
approfondito la sua conoscenza della questione con ricerche in archivi
italiani ed esteri, seguendo attentamente gli sviluppi della campagna
propagandistica sull’argomento. Ha cioè fatto quello che ogni storico
che si rispetti dovrebbe fare prima di lanciare giudizi" (Sandi Volk)

Claudia Cernigoi
è nata a Trieste nel 1959. Giornalista pubblicista dal 1981, ha
collaborato alle prime radio libere triestine e oggi dirige il
periodico "la Nuova Alabarda" (il sito è www.nuovaalabarda.tk ). Ha
iniziato ad occuparsi di storia della seconda guerra mondiale nel 1996,
e nel 1997 ha pubblicato per la Kappa Vu il suo primo studio sulle
foibe, Operazione foibe a Trieste. In seguito ha curato una serie di
dossier (pubblicati come supplemento alla "Nuova Alabarda") su
argomenti storici riguardanti la seconda guerra mondiale e sulla
strategia della tensione. Nel 2002, assieme al veneziano Mario
Coglitore, ha pubblicato La memoria tradita, sull’evoluzione del
fascismo nel dopoguerra (ed. Zeroincondotta di Milano).

Info: Mauro Daltin – Ufficio Stampa Kappa Vu Edizioni

Tel: 0432530540 - www.kappavu.it - info @...

"IT'S FUN TO SHOOT SOME PEOPLE..."

(english / deutsch)


Meldung - US-General: Leute killen macht Spaß

Das erklärte der Kommandeur der ersten US-Marinedivision im Irak, der
zwei-Sterne General James Mattis, bei einer Konferenz im San Diego
Convention Center am vergangenen Dienstag. In seinem Vortrag über Krieg
und Widerstandskämpfer im Irak, der als Video auf der Webseite des
US-Nachrichtensender NBC-San Diego zu sehen ist(1), munterte er seine
200 militärischen und zivilen Zuhörern mit den Worten auf: "Übrigens,
das Kämpfen ist toll. Da geht’s richtig rund. Es macht Spaß, ein paar
Leute zu killen. Da bin ich sofort dabei.” Weil seine Aufforderung zum
Mord mit Applaus begrüßt wurde, wiederholte der General etwas später
sein tödliche Spaßformel, diesmal in Bezug auf und Afghanistan wo er
ebenfalls bereits gedient hatte: "Du kommst nach Afghanistan, dort
findest Du Typen, die schlagen ihre Frauen, nur weil sie keinen
Schleier tragen. Solche Typen haben ihre Männlichkeit längst verloren.
Deshalb macht es tollen Spaß, sie zu erschießen”, sagte US-General
Mattis, diesmal unter stürmischem Applaus der Anwesenden.    j.W./ RWR,
den 3.2.2005

1) Das Video ist zu sehen unter folgender URL:  

 http://cf.nbcsandiego.com/dgo/sh/videoplayer/
video.cfm?id=4154699&owner=dgo

oder 

http://www.nbcsandiego.com/news/4153541/detail.html

oder für den Text:

http://www.signonsandiego.com/news/military/20050203-1436-
marinescomments.html

"IT'S FUN TO SHOOT SOME PEOPLE..."

"Actually, it's a lot of fun to fight. You know, it's a hell of a
hoot," says Lieutenant General James Mattis. "It's fun to shoot some
people. I'll be right upfront with you, I like brawling." Mattis'
remarks on the thrills of combat, might have attracted less attention
if it weren't for the fact that Mattis has been assigned to develop and
improve the doctrine for training future U.S. marines. Mattis was even
more blunt about the U.S. approach in Afghanistan: "You go into
Afghanistan," he said, "you got guys who slap women around for five
years because they didn't wear a veil. You know, guys like that ain't
got no manhood left anyway. So it's a hell of a lot of fun to shoot
them." (John Lumpkin, AP, San Diego.com, February 3, 2005)

-Mattis on video and still pix broadcast on NBC in San Diego (NBC, San
Diego)
http://www.nbcsandiego.com/news/4153541/detail.html


Inizio del messaggio inoltrato:

> Da: "Coord. Naz. per la Jugoslavia"
> Data: Lun 7 Feb 2005 16:48:37 Europe/Rome
> Oggetto: [JUGOINFO] Visnjica broj 481
>
>
>
> PROPRIO DIVERTENTE
>
>
> La frase choc del generale dei marines
> "Sparare alla gente e' proprio divertente"
>
> San Diego - "Sparare alla gente" e' "divertente". Il generale James
> Mattis, comandante della prima divisione dei marines in Iraq, ne e'
> convinto e ha cercato di spiegarlo al suo uditorio californiano.
> Descrivendo la lotta contro la guerriglia ha detto anche che
> "combattere e' un gran divertimento, mi piace infilarmi in una rissa".
> Molti tra i militari presenti hanno sorriso, ma altri sono rimasti
> perplessi [finiranno presto ad Abu Ghraib oppure a Guantanamo, ndCNJ].
> "Non penso che a nessuno di noi - ha detto l'ex ammiraglio Edward
> Martin - piacesse ammazzare". Il Pentagono ha deciso un richiamo
> verbale, ma senza prendere alcun provvedimento disciplinare.
>
> (da La Repubblica di venerdi 4 febbraio 2005)

PENOSA FINE DI UN TEORICO DEL "GIORNALISMO EMBEDDED"


> Chi è Eason Jordan?
>
> 3 brevi articoli in sequenza temporale per rendersi conto di quanto
> grande
> sia quella democrazia che addirittura si vuole esportare....
>
>
> Chi è e come si era integrato al “sistema” di guerra….
> http://www.italian.it/isf/home571.htm

I giornalisti accompagneranno le truppe USA

di Ralph Blumenthal e Jim Rutemberg
traduzione di Nello Margiotta per associazione Peacelink
febbraio 2003

<< Per la prima volta dalla 2° guerra mondiale e su una scala mai
vista prima per l'esercito americano, saranno assegnati al seguito di
unità di combattimento e di supporto, giornalisti che copriranno tutti
gli  attacchi USA in Iraq e li accompagneranno per tutto il
conflitto... Un altro problema sarà come mantenere un segreto militare
con un esercito di  giornalisti ben forniti di strumenti elettronici.
Dice Eason Jordan, direttore esecutivo della CNN. "L'esercito non vorrà
certo  avere una copertura televisiva in diretta di un convoglio di
mezzi che si muova sull'autostrada Bassora- Baghdad e che potrebbe
rivelare agli iracheni  dove questi mezzi si trovino"... Ci saranno
forti restrizioni su qualunque pezzo giornalistico riguardante
operazioni da effettuare od operazioni ritardate o soppresse... L'altra
settimana il Pentagono ha assegnato gli accrediti a giornali, agenzie e
network  televisivi. questa settimana gli organizzatori stanno
registrando i nomi dei corrispondenti selezionati... >>

> Il Manifesto riporta le affermazioni che ha rilasciato a Davos.
> http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/09-Febbraio-2005/
> art134.html

il manifesto - 09 Febbraio 2005

Reporter uccisi da soldati Usa?

La possibilità che dei soldati americani in Iraq abbiano
deliberatamente sparato su giornalisti per ucciderli è stata evocata,
seppur in modo ambiguo e con una immediata marcia indietro, da una
fonte più che autorevole: il direttore della Cnn Eason Jordan, in un
discorso tenuto recentemente al forum economico di Davos. «Sono stato
capito male», ha poi spiegato Jordan, dopo che negli Usa è esplosa la
polemica. Ma secondo chi lo ha ascoltato a Davos, il discorso era
chiarissimo: dei 63 reporter morti in Iraq e considerati cinicamente
«danni collaterali» della guerra americana, almeno 12 sarebbero stati
invece uccisi deliberatamente dai militari. Secondo Barney Frank,
deputato americano presente a Davos, il direttore della Cnn - che negli
anni di Bush si è trasformata nella voce semiufficiale della Casa
bianca - avrebbe sostenuto senza equivoci di essere a conoscenza dei
casi di 12 giornalisti uccisi dai soldati Usa proprio in quanto
reporter.

> La logica conseguenza..
> http://www.rainews24.rai.it/Notizia.asp?NewsID=52289

Usa. Si dimette il direttore della Cnn. Aveva accusato le truppe
americane di prendere di mira i giornalisti

Washington, 12 febbraio 2005

Eason Jordan, direttore news della Cnn, finito nel libro nero del
Pentagono per aver fatto commenti sgraditi sulla morte di alcuni
giornalisti in Iraq, ha deciso di rassegnare le dimissioni.
Il mese scorso, in occasione del World Economc Forum di Davos, Jordan
si lasciò andare ad un commento che mandò su tutte le furie i vertici
delle forze armate americane: disse di pensare che 12 giornalisti che
sono stati uccisi in Iraq dalle forze della Coalizione, fossero stati
presi di mira intenzionalmente.
Nella bufera di polemiche che seguì le sue dichiarazioni, Jordan
rettificò, spiegando che non aveva intenzione di accusare le forze
armate di aver voluto uccidere i 12 giornalisti. Ma le polemiche non
si placarono, soprattutto per la pubblicità data alle sue parole da
commentatori tv e politici conservatori.
Sull'argomento è tornata, l'altro ieri, la portavoce di Cnn Christa
Robinson, secondo la quale Jordan aveva semplicemente tentato di
distinguere tra quei giornalisti che sono stati uccisi a causa di un
fattore esterno, come l'esplosione di una bomba, e quelli che invece
sono stati uccisi perché scambiati erroneamente per nemici.
Nello spiegare le sue dimissioni, Jordan afferma: "Ho deciso di
dimettermi per impedire che la controversia suscitata dai miei commenti
sull'allarmante numero di giornalisti uccisi in Iraq finisse per
danneggiare ingiustamente la Cnn".


(segnalazioni di Enrico, Pistoia)