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Source: " J.P. Maher: Le mensonge de Dubrovnik "
http://www.anti-imperialism.net/lai/index.php?section=BB&language_id=1
oppure JUGOINFO Mar 3 Ago 2004 13:31:28
http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/messages


Risposta di Peter Maher all’articolo “Distruzione di Dubrovnik” del
Pittsburgh Post-Gazette


Oggetto: al Pittsburgh Post-Gazette sull’articolo “Dubrovnik
Distruzione & Risanamento”

Di : John Peter Maher 28 maggio 2004

Egregio Sig. Thomas,

le sue righe danno di primo acchito l’impressione di un uomo gentile e
di larghe vedute. Ma il suo articolo su Dubrovnik (12 maggio 2004)
ripercorre un copione che è falso dall’inizio alla fine.

Sono stato a Dubrovnik, non spinto dalla propaganda di guerra o sotto
la spinta dei media. Ho preso un operatore, un fotocronista
professionale. Ciò è accaduto appena tre mesi dopo la “distruzione”. La
Città Vecchia era del tutto integra e indenne. Il suo articolo perpetua
e diffonde un inganno.

Lei ha segnalato la propria incredulità circa i resoconti che parlavano
di distruzione in modo leggero, dato che non poteva discernere tracce
di danneggiamenti com’era accaduto nella Germania post-bellica del
secondo conflitto mondiale, ma ha tuttavia recitato le lezioni mendaci
che ha “imparato” dai suoi manipolatori.

Fra me e lei ci sono pochi anni di differenza. Ho compiuto dodici anni
proprio un paio di settimane prima del D Day. Ho ottenuto un Master in
Greco e Latino all’Università Cattolica Americana [Washington DC] ho
insegnato inglese, francese e latino nel 1956-57. Nel 1957 mi sono
arruolato nell’esercito USA, assegnato al CIC; sono stato volontario
per studiare serbo-croato alla Scuola di Lingue dell’esercito USA al
Presidio di Monterey. Poi sono partito per due anni di “ferma” militare
allo sportello iugoslavo di un’ufficio del nord Italia. E’stato un
periodo bellissimo della mia vita. Nei circa quarant’anni che seguirono
ho continuato con l’esercitare la conoscenza delle lingue, ho insegnato
e fatto ricerca negli USA, Inghilterra, Irlanda, Germania, Italia,
Svizzera, Cecoslovacchia, Bulgaria e Iugoslavia. Ora sono in pensione,
e sono impegnato a seguire le guerre iugoslave, con una particolare
attenzione per la propaganda di guerra.

Ho viaggiato attraverso la Slovenia, Serbia, Kosovo compreso, Croazia,
Bosnia, Erzegovina, Slavonia e Dalmazia. (Gli zii dei miei figli hanno
prestato servizio negli eserciti USA e tedesco; il loro nonno materno
ha prestato servizio nell’esercito austro-ungarico in entrambe i
conflitti mondiali).

Ed ora a Dubrovnik. Lei sarà certo al corrente che la vecchia Ragusa fu
una città-stato per 750 anni, sino a quando Napoleone la cedette
all’Austria. Gli austriaci non annetterono mai Dubrovnik alla Croazia.
Quella stretta regione attorno a Zagreb faceva parte del regno
ungherese. Soltanto nel 1939, un grande anno per Hitler, Dobrovnik fu
accorpata alla Croazia che era a sua volta stata concepita, adattata
per ragioni politiche, violando strutture e modelli di insediamento
etnico, e in assenza del consenso dei governati, dal Regno di
Iugoslavia, all’epoca timoroso dei progetti tedeschi sull’Adriatico.

Nel 1945 Tito portò a termine l’annessione della vecchia Repubblica di
Dubrovnik all’interno della Grande. Nel 1991 tornarono i tedeschi e i
loro mandatari, i fascisti croati. I Croati non fascisti, i serbi ed
altri furono estromessi dalla “Perla dell’Adriatico”. Ciò ebbe luogo il
1 ottobre 1991, l’esodo celato sotto la cortina di fumo della
propaganda di guerra al quale Lei contribuisce. Veniamo adesso a
Dubrovnik e me. Nell’estate 1990 incontrai inaspettatamente a Chicago
una mia studentessa croato-ungherese, che un anno prima mi aveva
espresso raggiante di felicità la propria aspettativa, previsione di
tornare alla sua città natale in Serbia, Iugoslavia come insegnante di
inglese a Subotica, sul confine ungherese. La città ha una grande
popolazione, sia croata che ungherese. La Serbia è l’unico stato
multietnico lasciato in eredità dalla Iugoslavia.

I suoi piani sono ora ridotti in cenere: “…I miei genitori sono appena
tornati da una vacanza vicino a Dubrovnik, e mi hanno detto che non
sarei dovuta ritornare a Dubrovnik….” Poi continuò: “I croati fascisti
hanno devastato auto con targhe serbe, le hanno perfino spinte in mare.”

Nella primavera 1990, più di un anno prima che la guerra iniziasse,
avevo letto su giornali iugoslavi, mentre mi trovavo in Slovenia, che
militanti croati appiccavano il fuoco alle case per le vacanze, situate
sull’Adriatico che appartenevano a serbi e sloveni.

L’estate successiva, nel 1991, gli unici “turisti” che si trovavano a
Dubrovnik erano soldati croati di un esercito irregolare che
trasportavano armi tedesche fornite illegalmente dalla Germania.
Controlli i registri degli hotels per la documentazione ufficiale sui
turisti. Nell’agosto 1991, irregolari croati attaccarono una base
dell’esercito iugoslavo all’ingresso della baia di Kotor, circa
ventiquattro miglia a sud di Dubrovnik. I croati assassinarono reclute
disarmate dell’Esercito dei popoli jugoslavi, un esercito multietnico.
Quello era l’esercito legale di uno stato regolare. Si trattava di una
forza multietnica, non serba e nemmeno da questi ultimi dominata.
C’erano sloveni, albanesi, macedoni, cechi, slovacchi, serbi
provenienti da tutte le terre serbe, e croati. Molti di loro furono
uccisi. Il comandante in capo era un croato, non Slobodan Milosevic. Un
funzionario dell’intelligence marittima mi ha svelato che questa azione
militare fu filmata dall’inizio alla fine, dal servizio di
controspionaggio dell’Esercito delle Genti Iugoslave (YNA). Stavano là
a guardare. Gli ordini sono ordini.

Dall’ottobre al dicembre 1991, militanti croati si diedero a ripetute
scorrerie dalla Città Vecchia recintata da mura per sferrare attacchi
alle forze JNA, che risposero al loro fuoco. Ecco i suoi “150 morti
croati”. Nell’autunno 1991 i giornali croati (li legga, se può) erano
pieni di necrologi per i loro caduti. Un eroe caduto in battaglia era
elencato in lista come un membro del “Plotone del Terzo genocidio”. Può
trovare tali notizie sul quotidiano di Zagreb Globus. Desidera una
fotocopia del suo necrologio?

Tutti ora sanno che la storia, che ci è stata ficcata in testa a forza
di ribattere, sulle Armi di Distruzione di Massa di Saddam Hussein era
fittizia, falsa, così come la crisi del golfo del Tonchino di L.
Johnson.

Allo stesso modo erano fasulle le “atrocità serbe”di Bill Clinton.

L’azienda di pubbliche relazioni Ruder and Finn di Washington ha
orchestrato una campagna che includeva un progetto “Compra una
Mattonella”. Il settimanale croato-americano “Zajednicar” ha pubblicato
fotografie che dicevano di mostrare Dubrovnik “prima” e “dopo” la
“distruzione”. Quando feci vedere il giornale a Pippa Smith, lei
commentò: “sono due città diverse. Guarda le linee, i contorni dei
tetti. Ho studiato architettura…”.

La frottola passatale dalla storica dell’arte K. Bagoje, sulle
distruzioni delle opere d’arte è smentita dalla bibliotecaria d’arte
Lejla Miletic-Vejvozic in un articolo di “Special
Libraries”(Biblioteche Speciali). Ella prova che i containers
impermeabili furono procurati dalla Germania. I tesori furono
trasportati oltremare proprio per via marittima, prima di tutto verso
il confine italiano. Dove si trovano ora i tesori? Includevano anche le
icone serbo-ortodosse?

L’unico edificio che venne distrutto della città vecchia di Dubrovnik,
sventrato al suo interno dal fuoco, ospitava una collezione di icone
serbo-ortodosse. La beffa di “Dubrovnik Distrutta e Risanata” è stata
smascherata dal capitano Michael Shuttleworth (all’epoca delegato
europeo per il Regno Unito in Iugoslavia), dal giornalista Stephen
Kinzer (New York Times), da Michael Steiner (National Review), da Bruno
Beloff, dallo scrittore austriaco Peter Handke come anche da me stesso.
Invierò a lei e al Pittsburgh Post Gazette una cronologia di tale
raggiro. Si senta libero di richiedermi ulteriori informazioni.

La sua reputazione e quella del suo giornale sono in pericolo se non
ritratterà la truffa pubblicando la realtà dei fatti.

Cordiali saluti,
John Peter Maher Ph. D. (Professore Emerito)
Chicago


Clarke Thomas: La lezione di Dubrovnik

L’opinione internazionale costituisca una forza quando le nazioni
commettono oltraggi

12 maggio 2004, Pittsburgh Post-Gazette

DUBROVNIK, Croazia – Una dozzina di anni fa l’attacco a questa
pittoresca città circondata da mura medievali e situata sulla sponda
adriatica di fronte all’Italia scosse le coscienze del mondo intero,
facendola accostare a nomi di città del passato come Guernica, Coventry
e Hiroshima.

Sono venuto a conoscenza della storia in maniera dettagliata nel mese
scorso, durante un viaggio -studio in un ostello per anziani, sulla
costa dalmata dell’ex-Iugoslavia. Credo che essa susciterà uno speciale
interesse a Pittsburgh, con i suoi solidi gruppi etnici croati, serbi e
sloveni. Durante la visita osservammo dall’alto il panorama dalle
alture di Dubrovnik, dalle quali, fra il 1991 e il 1992, per sette
mesi, bombardarono alcuni fra i monumenti più belli d’Europa, durante
la cosidetta Guerra Patria. A dire il vero, all’inizio risultava
difficoltoso comprendere l’estensione dell’assalto sino a quando non ci
si accorgeva della quadrettatura a mosaico formata dalle tegole sulle
case, che alternavano riquadri e rattoppi di tegole recenti
all’impercettibile patina rossa delle originali. Senza dubbio, ciò non
era in alcun modo paragonabile alle città sfasciate che avevo visto da
soldato nella II guerra mondiale.

Ma man mano che i relatori forniti dall’ostello per anziani rivelavano
la storia, il resoconto dell’assedio di Dubrovnik e il conseguente
impatto sull’opinione mondiale divennero maggiormente chiari. Esso
assume un significato particolare in un’epoca nella quale alcuni
leaders americani che vanno avanti da soli hanno scherrnito l’idea di
una “comunità mondiale” e di una “opinione internazionale”.

L’esperta d’arte Kate Bagoje ha messo in rilievo le spietate
statistiche riguardo quel che lei stessa ha reputato un attacco
“inaspettato”, al quale questa importante città turistica del
Mediterraneo era “totalmente impreparata”. Ella ha citato un totale di
824 edifici danneggiati, dei quali 563 direttamente bombardati, e nove
palazzi bruciati, quantificando un totale di 30 milioni di dollari in
danni. Nei bombardamenti persero la vita più di 150 persone, e 1000
furono ferite. Dopo l’accaduto, Bagoje ricevette l’incarico di
responsabile del restauro dei tesori architettonici di Dubrovnik, nome
moderno di Ragusa, città tanto fiorente fra i secoli XIV e XVI da
competere con Venezia nei rapporti commerciali dell’area mediterranea.

Quel che ha suscitato la collera della comunità internazionale è stato
il fatto che le forze serbe sembravano scegliere, distinguere simboli
specifici della cultura croata/dalmata, in una città in cui
l’Organizzazione Didattica, Scientifica e Culturale delle Nazioni Unite
aveva, nel 1979 posto la propria lista di Eredità Mondiale (Patrimonio
dell’Umanità). Ad esempio, vi furono 51 colpi messi a segno solamente
sul monastero francescano, considerato punto di riferimento.



Cuore della storia del XX secolo, Dubrovnik ha provocato la reazione
del mondo all’attacco serbo. In primo luogo vi fu una solidarietà in
denaro e ausilio tecnico proveniente da ogni parte del mondo per
risanare la città. Arrivarono sovvenzioni governative da rappresentanze
ed enti delle Nazioni Unite, da America, Gran Bretagna, Germania e
Giappone; da croati che vivevano all’estero, da enti pubblici, grandi
ditte e fondazioni private. Il denaro dell’UNESCO fu impiegato per
riparare l’enorme cinta muraria che conferisce a Dubrovnik la sua fama
e peculiarità. La Francia inviò tegole per rimpiazzare quelle
danneggiate. Il denaro statunitense servì alla riparazione della
pavimentazione stradale, del selciato e la “Scalinata spagnola”, così
chiamata per l’esistenza della famosa controparte a Roma. Arrivò
un’équipe di Dusseldorf a restaurare una fontana dal valore
inestimabile. Bagoje ha affermato in maniera contrariata che,
effettivamente, si era portato a termine un lavoro talmente buono che
la gente non si rende conto di quanto fosse stato il danno inflitto.

Il secondo risultato di grande importanza è stato l’impatto sulle
politiche mondiali.

Qualunque sia la situazione esatta della guerra – sia i croati che i
serbi commisero atrocità – l’assedio contribuì a rivoltare l’opinione
mondiale contro i serbi.

Quando la guerra si diffuse in Bosnia e Kosovo, l’esito inappellabile
fu il bombardamento di Belgrado e di altri centri serbi da parte degli
USA e condotto dalla NATO. Vjekoslav Vierda , direttore dell’Istituto
per la Ricostruzione di Dubrovnik, spiegò al nostro gruppo dell’ostello
per anziani: “…Tutti pensavano di risolvere i vecchi problemi
uccidendosi a vicenda...” Le difficoltà risalgono a secoli or sono, ai
rapporti tesi, logorati fra serbi cristiani ortodossi, croati cattolici
romani e musulmani bosniaci, esacerbatisi poi nel corso della II guerra
mondiale, quando i croati del movimento Ustacia appoggiarono i
nazifascisti tedeschi, opponendosi ai serbi Cetnici e ai partigiani
comunisti di Tito, che fu poi il vincitore finale.

Dopo la morte di Tito, avvenuta nel 1980, la disgregazione della
Iugoslavia coincise, una decade più tardi, con il fallimento del
comunismo in Europa. Per un po’ di tempo, la Serbia ebbe al suo attivo
la migliore carta fra tutti, l’esercito iugoslavo, allora al terzo
posto in Europa per grandezza. I croati (nel 1991) riuscirono a
costruire il loro esercito attraverso mercanti di armi clandestine, in
special modo con armi provenienti dall’ex Germania dell’est – per
iniziare a riconquistare territori dai serbi. Vierda fornì la
scoraggiante tesi che quei mercanti di armi possiedono ora l’80 % della
ricchezza in Croazia – industrie, hotels, ecc.

La comunità internazionale è in definitiva riuscita a modellare gli
Accordi di Dayton del 1995. E’ deplorevole affermare che la democrazia
non ha guadagnato un solo appiglio, un punto d’appoggio, finché, in
Croazia, il suo leader autocratico, il despota Franjo Tudjman, morì nel
1999.

La situazione in Serbia è tuttora critica e incerta, benché Slobodan
Milosevic, leader del paese in tempo di guerra, si trovi ora sotto
processo per crimini di guerra al tribunale dell’Aia. Una fortunata
eccezione felice è costituita dalla Slovenia, i cui affari vanno così
bene da aver fatto il proprio ingresso nell’Unione Europea il I maggio.
In ogni caso, è chiaro che la comunità internazionale è stata la chiave
di volta per la pace e il progresso nei Balcani, sin dall’assedio di
Dubrovnik.


Clarke Thomas è un redattore capo anziano della Post-Gazette


(Traduzione di Enrico Vigna, dal sito: www.resistenze.org)

FARABUTTO MEDIOCRE ED IMPUNITO


...Sulle pagine del settimanale “Diario” del 26-5-1999, la
demonizzazione diventa addirittura un “dovere” . E’ quanto sostiene A.
Sofri, in un articolo verbalmente violento...:

“...Italiani, e stranieri: vi esorto alle meritate demonizzazioni...
Demonizziamolo, questo farabutto mediocre e impunito Milosevic...”.

La demonizzazione del nemico non appartiene, dunque, solo al rozzo
linguaggio propagandistico militare delle vecchie guerre, ma rientra
tra i “ doveri” del nuovo cittadino liberaldemocratico di fine
millennio...”...alla demonizzazione non rinuncerò mai...” scrive
Sofri...

(F. Giovannini, giornalista, citato su www.resistenze.org)

Il genocidio dei Rom ieri ed oggi

1. Opera Nomadi: invito presentazione libro "Il Porrajmos dimenticato
dei Rom e Sinti", ROMA 13/1/2005

2. Quei rifiuti scomodi come i Rom di Tirana

3. Il nomadismo come conseguenza delle politiche persecutorie.
Intervista a Alexian Santino Spinelli. Con un commento di A. Martocchia
(portavoce CNJ)


=== 1 ===

Opera Nomadi - Sezione del Lazio
Via di Porta Labicana 59 - 00185 Roma
tel. 06/44700166 - 44701860
fax 06/44701859
operanomadi @...
http://operanomadilazio.supereva.it

“Il PORRAJMOS dimenticato”:

le persecuzioni dei Rom e Sinti in Europa

Roma, 13 gennaio 2005

ore 19.00

Biblioteche di Roma

Biblioteca Villa Mercede

Via Tiburtina 113

PROGRAMMA

- Mostra storico fotografica sul popolo dei Rom, Sinti e Camminanti con
uno spazio dedicato al Porrajmos

- Musiche tradizionali Rom

- Presentazione del libro "Il PORRAJMOS dimenticato": le persecuzioni
dei Rom e Sinti in Europa - prodotto dall'Opera Nomadi nazionale e
realizzato con il contributo dell'Unione Comunita' Ebraiche Italiane
Fondo Legge 249/2000

- Proiezione del DVD allegato al libro contenente documenti storici,
approfondimenti, fotografie e i documentari "Porrajmos" e "Intervista a
Mirko Levak"

- Dibattito


=== 2 ===

Resent-From: balcani @ peacelink.it
Da: Andrea Pirastru
Data: Lun 10 Gen 2005 14:55:21 Europe/Rome
Oggetto: Quei rifiuti scomodi come i Rom di Tirana


Buongiorno
Porgo alla vostra attenzione il seguente articolo
nella speranza che possiate pubblicarlo, nel quale
sono descritti alcuni fatti accaduti durante il
viaggio tra il 4 e il 9 di Gennaio di quest'anno che
il sottoscritto insieme ad acuni ragazzi della
comunita' di S.Egidio abbiamo fatto in Albania.

Distinti Saluti


------------------------------------------------------
10 gennaio 2005
Quei rifiuti scomodi come i Rom di Tirana

Albania:
Nella notte tra il 6 e il 7 Gennaio il Campo Rom,
situato in Citta' a Tirana nei pressi del fiume, e'
stato raso al suolo con ruspe e squadre di poliziotti
atte allo sgombero forzato.
Non avendo i Rom alcuna considerazione di diritti
nella citta', l'amministrazione non ha voluto avvisare
in anticipo i responsabili del campo prima dell'azione
e intorno alle 24 ha eseguito lo sgombero del campo
malgrado le proteste degli abitanti. All'interno del
campo erano presenti dalle trecento alle quattrocento
famiglie insieme a molti bambini, tra i quali un
neonato di soli tre giorni. Gli scontri che ne sono
seguiti hanno provocato molti feriti contusi e inoltre
causato la morte di un ragazzo di venti anni. La
polizia ha poi affermato che il ragazzo e' morto per
abuso di alcool.

Lo sgombero ha lo scopo di liberare le rive del fiume
dove erano accampati i Rom per lasciare lo spazio alla
costruzione di un giardino che fiancheggiasse il
fiume.

Alcuni ragazzi della Comunita' di S.Egidio il 5
gennaio hanno portato in quello stesso campo a circa
quaranta bambini di eta' compresa tra i 2 e i 10 anni
alcuni regali di Natale e del materiale didattico per
la scuola il tutto in una giornata di festa passata
insieme tra canti e giochi.
Ha suscitato per tanto grande impressione e sconcerto
apprendere la notizia dello sgombero da parte dei
ragazzi della Comunita'.

Questo fatto e' accaduto sebbene due anni prima si
svolse a Tirana la cerimonia che consacrava i 10 anni
di attiva collaborazione tra l'Albania e la Comunita'
di S.Egidio, nella quale furono presenti le piu' alte
cariche dello stato e un folto gruppo di ragazzi della
Comunita' di S.Egidio.

Per evitare il ripetersi di atti di violenza contro le
comunita' Rom presenti nel paese e se si vuole
continuare l'amicizia che esiste con la Comunita' di
S.Egidio, e' bene che l'Albania (uno stato che ha la
pretesa di entrare in Europa) cambi atteggiamento nei
confronti di questa minoranza riconoscendo loro i
pochi ma essenziali diritti umani.


Andrea Pirastru


=== 3 ===

Leggo con interesse l'intervista qui sotto riportata: la condivido in
gran parte, ma trovo molto strano che in essa non si menzioni
esplicitamente il Kosovo.
La epurazione etnica dei Rom kosovari e' infatti un caso esemplare, e
sicuramente il piu' attuale, di politica persecutoria nei confronti di
questo popolo.
Sono migliaia i profughi Rom kosovari rifugiatisi in Italia dal 1999, e
decine e decine di migliaia quelli dispersi fuori dal Kosovo, a causa
delle politiche persecutorie dei separatisti pan-albanesi appoggiati
dalle truppe KFOR.
Lo vogliamo dire?

Andrea Martocchia
(portavoce del Coord. Naz. per la Jugoslavia)

---

http://www.migranews.it/notizia.php?indice=508

SOCIETÀ/Rom

Il nomadismo come conseguenza delle politiche persecutorie.

Intervista a Alexian Santino Spinelli

di Anelise Sanchez
17/11/04 

Roma - Senz´ombra di dubbio, è la voce del popolo romaní in Italia.
Nato a Pietrasanta (Lu) nel 1964, Alexian Santino Spinelli non
risparmia dichiarazioni incendiarie sui pregiudizi che, da secoli,
etichettano l´intera cultura Rom. Il suo curriculum spazia dalla musica
alla carriera accademica.

Professore di Lingua e Letteratura Romaní all´Università di Trieste,
Spinelli è anche compositore, cantautore, poeta e saggista. Inoltre, è 
presidente dell´associazione culturale Thèm Romano, del Centro
Didattico Musicale Italiano, a Lanciano, e vice presidente del
Parlamento della International Romani Union, organismo che rappresenta
i Rom all´ONU.
Ha inciso diversi dischi (il suo ultimo album si intitola So me Sinom”)
ed è un fervido divulgatore della storia, dei costumi e delle usanze
rom.


Alexian Santino Spinelli, lei ha un curriculum molto vasto. Come fa a
coniugare tutte le attività e quanto queste l´aiutano nel promuovere la
cultura rom?

Fare tante cose, aiuta a fare tante altre cose. In realtà ho messo a
disposizione della Popolazione romaní la mia esperienza, le mie
conoscenze e la credibilità conquistata nel mondo dei kaggé (non rom).
Tutte le attività che io svolgo hanno un comune denominatore: la
valorizzazione e la diffusione del patrimonio linguistico, artistico e
culturale romanès, patrimonio che appartiene all´intera umanità. Ma
fondamentalmente io sono e resto un musicista compositore di
professione prestato al mondo accademico, al mondo del volontariato e
alla Romani Union Internazionale. La motivazione etnica e una grande
passione stanno alla base della mia attività.

Quanti sono i rom nel Mondo, in Europa e in Italia, da dove provengono
e come vivono?

I rom, sinti, kale, manouches e romanichals con le loro differenti
comunità nel mondo sono 12 milioni, in Europa sono 8 milioni e mezzo,
in Italia circa 120 mila di cui 80% di cittadinanza italiana (45.000
Rom e 35.000 Sinti) e di antico insediamento.
Bisogna ricordare, infatti, che i rom sono presenti in Italia da oltre
sei secoli, che la maggior parte di loro vive in case, manda i propri
figli a scuola e lavora, il restante, circa il 20%, è costituito da rom
provenienti dai paesi dell´Est Europa (circa 30.000 provenienti da
Romania, ex Jugoslavia). Qui in Italia, affrontano politiche di
esclusione spesso supportate da vincoli e cavilli burocratici vari;
spesso sono costretti a vivere in condizioni disumane in campi nomadi
appositamente creati per tenerli ai margini della società e
trasformarli non in cittadini ma in esseri continuamente in lotta per
la sopravvivenza quotidiana. Il tutto per rafforzare lo stereotipo e
giustificare determinati tipi di politiche da cui alcune organizzazioni
di pseudo volontariato traggono vantaggi.

Lei insegna lingua e cultura romaní all´Università degli studi di
Trieste. Qual´è, in breve, il programma del suo corso e che cosa
suscita più curiosità negli studenti che frequentano questa cattedra?

Il corso prevede una parte generale riguardante la storia, la lingua,
la letteratura romaní, audizioni di musica romaní, proiezioni di video
e film anche in lingua romaní, la cultura spiegata dal punto di vista
antropologico; nella parte monografica si approfondisce un argomento
specifico. C´è da parte degli studenti molta curiosità. Arrivano tutti
con i soliti pregiudizi, ma alla fine del corso diventano veri e propri
portatori sani della cultura romaní perché imparano un’altra verità e
apprezzano l´arte e la cultura.

Nei secoli passati la cultura rom era caratterizzata, prevalentemente,
dalla tradizione orale. ll passaggio da un sistema di vita nomade a uno
seminomade o anche all´insediamento in un territorio ha cambiato il
rapporto oralità/scrittura nella cultura rom?

I rom non hanno nessun problema a sedentarizzarsi e a istruirsi quando
le condizioni lo permettono. C´è il falso stereotipo del rom nomade per
cultura. Il nomadismo in Europa è stato la conseguenza  delle politiche
persecutorie, non una scelta di vita o un´autentica espressione
culturale come poteva essere quando i rom erano ancora in India .
La cultura romaní si identifica nella sua lingua che giocoforza si è
trasmessa solo oralmente. La lingua romaní non ha nulla a che vedere
con la lingua rumena, né tanto meno con le lingue romanze, ma è una
lingua strettamente imparentata con le lingue neo-indiane come l´hindi
e deriva dal sànscrito. Essendo tramandata oralmente si è arricchita
nel corso dei secoli dei vocaboli dei popoli con cui è venuta a
contatto, quindi si è arricchita di prestiti del persiano antico,
dell´armeno e del greco antico, e quindi in Europa di prestiti delle
parlate e dei dialetti europei a seconda dell´itinerario seguito. È una
lingua viva e vitalissima che come tutte le lingue ha numerose varianti
dialettali. Da quarant´anni è nata una fiorente letteratura che
purtroppo pochissimi conoscono. E´ questa la grande novità che ha
cambiato il rapporto oralità/scrittura nella cultura romaní: oggi la
lingua romaní si scrive e si tramanda anche in forma scritta

Lei è stato eletto vice presidente del parlamento della International
Romani Union e ha dichiarato che una delle sue priorità sarà
l´integrazione dei bambini rom nelle scuole. Resta ancora alto l´indice
di analfabetismo nel mondo rom?

Più che di analfabetismo parlerei di cattiva scolarizzazione. Prima di
far entrare i rom a scuola occorre non solo avere una profonda
conoscenza della storia e della cultura romanì per meglio comprendere
di che tipo di scuola i rom realmente necessitano, ma risolvere
problemi più profondi che attanagliano il mondo romanó da un punto di
vista sociale, politico ed economico.
Il compito che mi sono prefisso è quello di diffondere il più possibile
informazioni corrette riguardanti la storia e la cultura romaní, perché
è solo fornendo le giuste informazioni alla società prima ed agli
insegnanti poi che si potrà permettere ai bambini rom di vivere la
scuola serenamente e quindi fruttuosamente.

Secondo lei, come il sistema educativo italiano reagisce e si organizza
alla diversità etnica e culturale nelle scuole? Come possiamo favorire
l´integrazione dei ragazzi rom nelle scuole italiane?

La storia dei rom e della loro cultura è caratterizzata dal rifiuto e
la scuola non ha fatto eccezione. Gli interventi educativi 
etnocentrici hanno rappresentato un mezzo di assimilazione da parte
dello Stato o di conversione cattolica da parte di preti missionari o
volontari cattolici che hanno profuso i più significativi sforzi per la
scolarizzazione dei bambini rom.
Nonostante queste difficoltà un processo di scolarizzazione nel mondo
romanó è stato avviato. Ma il mondo del bambino rom che frequenta la
scuola non può essere suddiviso a fette, né tantomeno la sua crescita
si realizza per sbalzi da un settore ad un altro in tempi successivi
l´uno dall´altro.
Il bambino rom deve vivere in tutta la sua integrità il magnifico
fenomeno dell´essere al mondo, del crescere, del maturare in mezzo al
mondo, tra gli altri e le cose che sono compresenti con tutta la loro
pregnanza e specificità.
Spetta alla scuola il diritto-dovere di saper progettare, organizzare,
distribuire nello spazio-tempo le proprie proposte, per poter guidare,
nella maniera più integrale ed armoniosa possibile, la crescita e la
maturazione del bambino che le viene assegnato. Solo da pochi anni si
prevede una pedagogia interculturale.
Per interculturalità deve intendersi non solo  la conoscenza di
un´altra realtà culturale, ma vivere un´altra cultura. I bambini rom
sono portati soprattutto per i linguaggi non verbali. Occorre
valorizzare ciò che sanno fare di più invece di giudicarli per ciò che
non sanno fare. Occorre anche tener presente la loro situazione sociale
e la specificità della comunità di appartenenza.

Rispetto all´Italia, come le forze politiche di altri Paesi europei si
comportano nei confronti dei rom? Qual è la loro situazione?

La situazione dei rom è sicuramente migliore rispetto all´Italia
soprattutto nei Paesi dell´Est europeo dove esistono parlamentari e
partiti politici rom e dove si organizzano dei grandi eventi culturali
che permettono una maggior diffusione, valorizzazione e conservazione
del nostro patrimonio culturale e linguistico.
In Ungheria, in Romania, in Macedonia, in Russia, in Spagna la cultura
romaní fa parte del patrimonio nazionale. In Italia, purtroppo no.
Basti pensare al mancato riconoscimento della nostra lingua, nel quadro
della tutela delle minoranze linguistiche, come lingua minoritaria da
parte del Parlamento Italiano, anzi al fatto che l´esclusione di questa
lingua dalla lista sia stata la condizione sine qua non per
l´approvazione della legge.

Possiamo dire che esiste una sorta di Apartheid contro i rom che vivono
in Italia?

In Italia, purtroppo, a causa soprattutto di associazioni pro-zingari e
di sedicenti esperti costituite spessissimo da opportunisti senza
scrupoli, l´affermazione di una intellettualità romaní è ritardata con
conseguenze fortemente pregiudizievoli per la nostra stessa esistenza
culturale.
Negli ultimi 40 anni, lo stato italiano attraverso gli enti pubblici
locali ha elargito sull´interno del territorio nazionale ingentissime
somme di denaro in favore del popolo rom, solo che ai rom non è
arrivato alcun beneficio culturale da questi finanziamenti. Anzi. I rom
si sono visti sempre più relegati nei campi nomadi, ovvero nei lager
moderni che anche nella ripugnanza e nel nome ricordano i lager dei
nazi-fascisti dove oltre mezzo milione di rom e sinti sono stati
barbaramente massacrati.
È ciò che è accaduto anche ai pellerossa d´America, che costretti a
vivere nel ghetto della riserva sono stati deteriorati e oggi
moltissimi sono alcolizzati e drogati. È chiaro che frustrati e
disillusi i rom provenienti dai territori della ex Jugoslavia costretti
a vivere in Italia nei lazi plebei, mentre nelle loro città di origine
vivevano in case (spesso in confortevoli ville), con i loro lavori e i
loro mestieri, scoppiano e quindi hanno un rapporto assolutamente
negativo con la società circostante. Semplici fatti sociali vengono
elevati a modelli culturali e l´errore del singolo si ripercuote sulla
condanna di tutte le comunità romanès. In realtà la cultura romaní non
viene così conosciuta e viene mistificata. I fenomeni sociali non hanno
nulla a che fare con l´espressione culturale. Che nesso c´è tra Dante
Alighieri, il pedofilo e Giuseppe Verdi, il terrorista e Giacomo 
Leopardi? La popolazione romaní non ha mai dichiarato guerra a nessuno
e soprattutto non ha mai rivendicato il diritto all´esistenza con il
terrorismo.

Quale suo libro consiglia per conoscere di più la cultura romaní?

Il libro che ho pubblicato per la casa Editrice Meltemi di Roma nel
2002 e che ho adottato come testo base all´Università di Trieste è un
manuale in lingua italiana per chiunque voglia avvicinarsi alla storia
e alla cultura romanès. Il libro si intitola Baro Romano Drom -La lunga
strada dei Rom, Sinti, Kalé,  Manouches e Romanichals.

Quanto la musica Rom riesce a trasmettere ai non rom i valori etici e
culturale del suo popolo?

Sicuramente tanto. La musica è un linguaggio universale che arriva al
cuore prima che alla mente. La musica romaní, carica di pathos da un
lato e sorretta da ritmi incalzanti dall´altra, è un mezzo importante
per entrare nella sensibilità e nella cultura di un popolo pressoché
sconosciuto poiché il mondo romanò è filtrato solo attraverso
stereotipi negativi. Fenomeni sociali vengono ingiustamente elevati a
modelli culturali e l´errore del singolo porta alla condanna di intere
comunità fra loro diversissime. Ciò impedisce la vera conoscenza di un
patrimonio umano, artistico, musicale, letterario, linguistico e
culturale. La musica, superando qualsiasi barriera linguistica e
razziale, è un veicolo di conoscenza straordinario. Se poi la musica
romaní viene ascoltata e relazionata con la storia e la cultura del
nostro popolo, la conoscenza diventa veritiera.

Può anticipare qualcosa sul prossimo CD musicale?

Il mio nuovo lavoro discografico si intitola So me Sinom, Ciò che sono.
E’ stato prodotto dalla Ethnoworld di Milano. Rappresenta un viaggio
nell’anima romani. Nel cofanetto sono racchiusi 3 CD. Nei primi 2 Cd,
Ωijem Ωijem (Camminando Camminando) e Romano Drom (Carovana romani’),
attraverso tutti gli stili musicali che caratterizzano il mio popolo,
con un´interpretazione originale in un ideale viaggio “in orizzontale”.
Nel terzo Cd, Parovibbè (Metamorfosi), il viaggio diventa verticale,
diretto verso l´anima. E´ il punto d´arrivo della mia esperienza
personale, ma anche l´espressione autentica del mio popolo, l´essenza
della romanipé (identità romanì).
Insieme al mio gruppo, ho compiuto un viaggio verticale nella cultura
del mio popolo e ciascuno dei quattro lunghi brani ispirati ai quattro
elementi presenta simultaneamente tutte le espressioni musicali delle
varie aree di provenienza dei rom. In ogni brano ci sono momenti nei
quali ogni rom, qualunque sia la sua provenienza, può riconoscersi e
identificarsi.

Aggiornamenti da ICDSM-Italia


# A # (francais / italiano)

1) Annuncio conferenza all'Aia, 26/2/2005
2) Brevi, in ordine cronologico inverso
3) Appello per il finanziamento della difesa di Milosevic

# B #

Comunicato di ICDSM-Italia

# C # (english)

La posizione di Noam Chomsky sulla guerra in Jugoslavia

# D #

John Laughland: Lasciate parlare Slobo

---

SEGNALAZIONE: Il testo della autodifesa di Milosevic e' disponibile
anche in lingua PORTOGHESE - vedi alla pagina:

http://www.horadopovo.com.br/2004/setembro/17-09-04/pag6a.htm


### A ###


1) Annuncio conferenza all'Aia, 26/2/2005

E' in preparazione una conferenza internazionale sullo scandalo
giuridico del "processo" a Milosevic nel "Tribunale" dell'Aia.

La conferenza e' stata programmata per il prossimo 26 FEBBRAIO ALL'AIA.
Ad essa e' prevista la partecipazione, tra gli altri, di Ramsey Clark
(ex procuratore generale degli USA, noto pacifista, presidente
dell'ICDSM), Thipaine Dickson (avvocatessa canadese, consulente della
difesa di Milosevic), Velko Valkanov (professore bulgaro, co-presidente
dell'ICDSM), Branko Rakic (avvocato serbo di Milosevic), Aldo
Bernardini (docente di diritto internazionale).

Per l'organizzazione di questa conferenza lo sforzo economico e' ai
limiti delle possibilita' dell'ICDSM. Tutti i nostri sostenitori sono
invitati a contribuire con urgenza (vedi l'Appello piu' sotto).
Ulteriori informazioni saranno diffuse su questa lista appena
possibile; esse possono anche essere richieste ad ICDSM-Italia :
icdsm-italia @ libero.it

---

2) Brevi, in ordine cronologico inverso:

TPI: DOPO LUNGA PAUSA RIPRENDE PROCESSO A MILOSEVIC

(ANSA) - BRUXELLES, 9 GEN - Dopo una lunga pausa, durata oltre tre
settimane, da martedi' prossimo riprende davanti al Tribunale penale
internazionale (Tpi) dell'Aja il processo all'ex presidente jugoslavo
Slobodan Milosevic.
Cominciato nel febbraio 2002, il processo, che ha subito finora
numerosi rinvii, chiesti dallo stesso imputato soprattutto per motivi
di salute, dovrebbe terminare entro la fine di quest'anno.
Gli ultimi mesi del 2004 sono stati contrassegnati principalmente dal
contrasto tra l'ex presidente jugoslavo e i due difensori nominati
d'ufficio, i britannici Steven Kay e Gillian Higgins, i quali
nell'ottobre scorso hanno chiesto di essere esonerati dall'incarico.
La Corte d'appello del Tpi ha tuttavia confermato i due avvocati
designati, ritenendo ''fondamentale'' per una procedura ''equa e
rapida'' la presenza di legali d'ufficio, pur autorizzando nuovamente
anche Slobo, se in buone condizioni di salute, a condurre la sua difesa.
Il processo si trova attualmente nella fase delle deposizioni dei
testimoni citati dalla difesa. Ma molti non si erano presentati proprio
per protestare contro la decisione del Tribunale di non consentire
all'ex presidente jugoslavo di condurre lui stesso gli interrogatori.
La prossima settimana dovrebbero essere sentiti come testimoni anche
due caschi blu di nazionalita' francese.
Sono in tutto 60 i capi d'accusa ai quali Slobodan Milosevic deve
rispondere per crimini di guerra e contro l'umanita' nei conflitti che
hanno lacerato la ex Jugoslavia. Slobo, che rischia il carcere a vita,
deve rispondere anche di genocidio per la guerra in Bosnia. (ANSA). PUC
09/01/2005 16:10

MILOSEVIC:TPI,AVVOCATI UFFICIO RIBADISCONO RICHIESTA ESONERO

(ANSA) - BRUXELLES, 10 GEN - Stevan Kay e Gillian Higgins, i due
avvocati d'ufficio di Slobodan Milosevic, hanno oggi ribadito la
richiesta di essere esonerati dall'incarico al processo in corso
all'Aja contro l'ex presidente da parte del Tribunale penale
internazionale dell'ex Jugoslavia. Nella richiesta inviata al
presidente del Tpi, Theodor Meron, i due avvocati britannici confermano
quanto gia' detto piu' volte negli ultimi mesi, e cioe' che non possono
difendere l'ex uomo forte di Belgrado se lo stesso Milosevic si rifiuta
di collaborare con loro. Le udienze all'Aja contro l'ex presidente
jugoslavo riprendono domani al termine di una lunga pausa, durata oltre
tre settimane. Iniziato nel febbraio 2002, il processo, che ha finora
subito numerosi rinvii, chiesti dallo stesso imputato soprattutto per
motivi di salute, dovrebbe terminare entro la fine di quest'anno. Gli
ultimi mesi del 2004 sono stati contrassegnati appunto dal contrasto
tra Milosevic e i due difensori d'ufficio, che fin da ottobre hanno
chiesto di essere esonerati dall'incarico. La Corte d'appello del Tpi
ha tuttavia confermato i due avvocati designati, ritenendo
''fondamentale'' per una procedura ''equa e rapida'' la presenza di
legali d'ufficio, pur autorizzando nuovamente anche Slobo, se in buone
condizioni di salute, a condurre la sua difesa. Il processo si trova
attualmente nella fase delle deposizioni dei testimoni citati dalla
difesa. Ma molti non si erano presentati proprio per protestare contro
la decisione del Tribunale di non consentire all'ex presidente
jugoslavo di condurre lui stesso gli interrogatori. Sono in tutto 60 i
capi d'accusa dei quali Milosevic deve rispondere per crimini di guerra
e contro l'umanita' nei conflitti che hanno lacerato l'ex Jugoslavia
nei primi anni novanta. Slobo, che rischia il carcere a vita, deve
rispondere anche di genocidio per la guerra in Bosnia. (ANSA) RIG
10/01/2005 18:11

http://www.justicetribune.com/article_fr.php?id=2850
 
TPIY : défense de sortir 
 
Les avocats britanniques assignés par le Tribunal pour l'ex-Yougoslavie
à la défense de Slobodan Milosevic cherchent désespérément à se
retirer. Le 7 décembre, la requête en dessaisissement de Steven Kay et
Gillian Higgins a été rejetée. Milosevic a de son côté réaffirmé qu'il
n'acceptera aucune participation active des conseils, et ce même dans
l'éventualité où une grave maladie l'empêcherait d'assurer sa défense
en personne. Jour après jour, les avocats britanniques viennent donc
s'asseoir à l'audience, visiblement désoeuvrés. En vain, ils ont tenté
de convaincre les juges du conflit que représente leur situation
vis-à-vis des codes de conduite du TPIY et du barreau britannique. La
Cour préfère rappeler que la chambre d'appel a donné son aval à cette
assignation, sous la forme la plus restrictive possible puisqu'il
s'agit de ne défendre l'accusé qu'en son absence. Pour couronner le
tout, le greffe du TPIY a adressé une lettre "confidentielle et
ex-parte" à Me Kay, pour lui signifier que ses honoraires seront
réduits. L'avocat s'est déclaré "furieux".
 
Heikelkina Verrijn Stuart
La Haye. 20 Décembre 2004 

---

3) Appello

Senza mezzi finanziari, la difesa di Milosevic non ha
chances. Il "Tribunale" garantisce infatti solamente le spese
essenziali per il viaggio dei "testimoni" in occasione delle udienze;
ma tutte le spese di documentazione, comunicazione, gli spostamenti per
la preparazione delle udienze, i contatti e tutte le attivita' dei
consulenti legali di Milosevic (da non confondere con gli "avvocati
d'ufficio" imposti dall'accusa) e del Comitato di difesa
vanno autofinanziate. Inoltre, servono soldi per pubblicare i testi
relativi al "processo- farsa", poiche' la loro diffusione via internet
ha una presa limitata, e con il trascorrere del tempo queste
informazioni si disperdono e vanno perdute.

Si valuta che sia indispensabile raccogliere almeno 10mila euro al mese
per far fronte a tutte le necessita' di assistenza legale, di
documentazione e di comunicazione. Le sottoscrizioni piu' regolari e
consistenti finora sono arrivate dalla Serbia e dalla Germania, dove
esiste una nutrita comunita' di emigrati, per un ammontare mensile di
poche centinaia di euro in tutto. Si badi bene: NON ESISTONO ALTRE
FONTI DI FINANZIAMENTO. Una legge passata dal Parlamento serbo la
scorsa primavera - che in linea di principio avrebbe garantito una
parziale copertura delle spese - e' stata subito "congelata" in seguito
alle minacce occidentali. Una qualsivoglia campagna di finanziamento su
basi volontarie a Belgrado e' praticamente irrealizzabile. A causa
delle scelte estremistiche, in senso neoliberista, del regime
instaurato il 5 ottobre 2000 la situazione sociale e' disastrosa, la
disoccupazione dilaga, i salari sono da fame, chi ha i soldi per
mangiare li tiene ben stretti e solo in pochi casi e' disposto a
rischiare la galera (o peggio: vedi le torture in carcere nella
primavera 2003, durante la cosiddetta "Operazione Sciabola") in
attivita' politiche o di solidarieta' a favore di Milosevic: il quale
viene tuttora demonizzato dai media locali - oramai tutti in mano a
societa' occidentali, soprattutto tedesche - esattamente come da noi. A
tutti deve essere infine chiaro - se ancora ci fosse bisogno di
ripeterlo - che al di la' delle menzogne giornalistiche NON ESISTE
ALCUN "TESORO NASCOSTO" DI MILOSEVIC, e che il nostro impegno
per la sua difesa e' insostituibile oltreche' indispensabile.

La Sezione Italiana dell'ICDSM, ringraziando tutti quelli che hanno
finora contribuito alla campagna di autofinanziamento (nel corso di un
anno sono stati raccolti circa 2500 euro dall'Italia), chiede che lo
sforzo in tal senso prosegua, cosi' come sta proseguendo in tutte le
altre realta' nazionali.

CONTRIBUISCI E FAI CONTRIBUIRE:

Conto Corrente Postale numero 86557006
intestato ad Adolfo Amoroso, ROMA
causale: DIFESA MILOSEVIC


### B ###


ICDSM - SEZIONE ITALIANA
Comunicato

Il giorno 4 gennaio 2005 si è tenuta a Roma una riunione congiunta
della Sezione Italiana del Comitato Internazionale per la Difesa di
Slobodan Milosevic (ICDSM-Italia) e del Gruppo Atei Materialisti
Dialettici (GAMADI) presso la sede di quest'ultimo.
Considerato che all'interno del GAMADI è attivo da tempo uno specifico
"Comitato per la Jugoslavia", e preso atto che questo sostanzialmente
coincide con i membri attivi della Sezione Italiana dell'ICDSM, si è
deciso all'unanimita' di unificare formalmente i due gruppi.
Il GAMADI ha dato tutta la sua disponibilità per sostenere le attività
sulla Jugoslavia e su Milosevic, concedendo tra l'altro 4 pagine di
inserto fisso sul suo bollettino mensile "La Voce", sotto la testata
"Comitato per la Jugoslavia del GAMADI e Sezione Italiana dell'ICDSM".
Preso atto della rinuncia di Fulvio Grimaldi all'incarico di portavoce,
Miriam Pellegrini Ferri, presidente del GAMADI, si è assunta l'onere
di coordinare ICDSM-Italia in questa fase.
Già partigiana nella guerra di Liberazione dal nazifascismo e da sempre
impegnata nella solidarietà con i popoli aggrediti dall'imperialismo,
Miriam Pellegrini Ferri ha sollecitato l'impegno attivo di tutti gli
aderenti alle attività di ICDSM-Italia.

(gennaio 2005)


### C ###


[ La posizione di Noam Chomsky sulla guerra in Jugoslavia --
inizialmente piuttosto equidistante benche' molto critica verso
l'Occidente -- appare sempre piu' limpida: si vedano ad es. queste
recentissime note su Srebrenica, sulle premesse della aggressione del
1999, e sul "processo" a Milosevic... ]


Imperial Presidency

by Noam Chomsky - December 17, 2004


"...Srebrenica, almost universally described as “genocide” in the West.
In that case, as we know in detail from the Dutch government report and
other sources, the Muslim enclave in Serb territory, inadequately
protected, was used as a base for attacks against Serb villages, and
when the anticipated reaction took place, it was horrendous. The Serbs
drove out all but military age men, and then moved in to kill them.
There are differences with Falluja. Women and children were not bombed
out of Srebrenica, but trucked out, and there will be no extensive
efforts to exhume the last corpse of the packrats in their warrens in
Falluja. There are other differences, arguably unfair to the Serbs...

There was a report in the world’s leading newspaper. It mentioned in
passing the orders to bomb Cambodia that Kissinger transmitted from
Nixon to the military commanders. In Kissinger’s words, “A massive
bombing campaign in Cambodia. Anything that flies on anything that
moves." ... The publication elicited no reaction...
Imagine the reaction if the prosecutors at the Milosevic Tribunal could
find anything remotely similar. They would be overjoyed, the trial
would be over, Milosevic would receive several life sentences, the
death penalty if the Tribunal adhered to US law. But that is them, not
us. ...

...There are two major documentary studies by the State Department,
offered to justify the bombing, along with extensive documentary
records from the OSCE, NATO, and other Western sources, and a detailed
British Parliamentary Inquiry All agree on the basic facts: the
atrocities followed the bombing; they were not its cause. Furthermore,
that was predicted by the NATO command, as General Wesley Clark
informed the press right away, and confirmed in more detail in his
memoirs. The Milosevic indictment, issued during the bombing -- surely
as a propaganda weapon, despite implausible denials -- and relying on
US-UK intelligence as announced at once, yields the same conclusion:
virtually all the charges are post-bombing....
There were indeed pre-bombing atrocities, about 2000 killed in the year
before the March 1999 bombing, according to Western sources. The
British, the most hawkish element of the coalition, make the
astonishing claim – hard to believe just on the basis of the balance of
forces – that until January 1999, most of the killings were by the
Albanian KLA guerrillas, attacking civilians and soldiers in
cross-border raids in the hope of eliciting a harsh Serbian response
that could be used for propaganda purposes in the West, as they
candidly reported, apparently with CIA support in the last months.
Western sources indicate no substantial change until the bombing was
announced and the monitors withdrawn a few days before the March
bombing. In one of the few works of scholarship that even mentions the
unusually rich documentary record, Nicholas Wheeler concludes that 500
of the 2000 were killed by Serbs. He supports the bombing on the
grounds that there would have been worse Serbian atrocities had NATO
not bombed, eliciting the anticipated crimes. That’s the most serious
scholarly work. The press, and much of scholarship, choose the easier
path of ignoring Western documentation and reversing the chronology.
It’s an impressive performance, instructive too, at least for those who
care about their countries..."

http://www.zmag.org/content/showarticle.cfm?SectionID=11&ItemID=6883


### D ###


Lasciate parlare Slobo

[ The original text in english:
http://www.spectator.co.uk/
article.php?table=old§ion=current&issue=2004-07-10&id=4796
http://it.groups.yahoo.com/group/icdsm-italia/message/100

Let Slobo speak for himself 
The Spectator (UK) - July 10, 2004

John Laughland says that the case against Milosevic has all but
collapsed for lack of evidence... ]

http://www.resistenze.org/sito/os/ta/osta4m19.htm

Uno scandalo di irregolarità nel tribunale penale internazionale per la
Jugoslavia

di J.Laughland
The Spectator (GB), 10 luglio 2004


Lunedì 5 luglio 2004 , per alcune ore, le istituzioni dei diritti umani
di tutto il mondo sono state sorprese dal terrore. Slobodan Milosevic
doveva iniziare la presentazione della sua difesa nel tribunale penale
internazionale per la ex Iugoslavia (TPIY) all’Aja però, al suo posto,
la discussione si è concentrata sulla salute fragile dell’ex presidente
che è peggiorata in conseguenza del rigore processuale. Quando il
presidente del tribunale, Patrick Robinson, ha dichiarato che
preliminarmente sarebbe stato necessario un “esame radicale”  dei
dibattiti, molte menti benpensanti hanno temuto che si potesse
realizzare il peggiore degli incubi – che il principale trofeo della
comunità internazionale nella sua crociata per la moralità potesse
ritrovare la libertà, sebbene fosse per ragioni mediche.

Pochi militanti dei diritti umani avevano considerato a volte la
possibilità di questo successo, e meno ancora un verdetto di innocenza.
La presunzione di innocenza non ha mai avuto troppo peso nel mondo
altamente politicizzato del diritto umanitario internazionale.
Lunedì (5 luglio) un esperto in crimini di guerra, James Gow, ha
dichiarato a Channel 4 che sarebbe meglio che Milosevic morisse tra i
banchi degli imputati perché se il processo dovesse proseguire
normalmente, sarebbe condannato solo per reati minori. Tale sentenza
sarebbe tremendamente scomoda per le persone che, come Gow, non hanno
provato che Slobodan Milosevic è colpevole tanto come tutti i diavoli
dell’inferno. Fortunatamente per loro, nel TPIY non si prende in
considerazione la possibilità del verdetto di innocenza. Come ha
insistito soddisfatto il prof. Michael Scharf, uno specialista
universitario del TPIY, le regole del tribunale sono state concepite in
modo che “ si minimizzi la possibilità del non luogo a procedere per
mancanza di prove ”, ed è un sentimento di cui la Reina de Corazones di
Lewis Carroll si sentirà molto orgogliosa.

E,  infatti, i giudici sembrano disposti a concedere a Milosevic un
consiglio di difesa. Lontani dal volerlo aiutare, la intenzione è
logicamente quella di indebolire la sua difesa esigendo che sia
rappresentato da un avvocato che conosca i fatti molto peggio di lui.
Inoltre, questa intenzione sarebbe contraria al primo orientamento dei
giudici, che si erano opposti a tale idea, e il nuovo giudice che oggi
presiede il tribunale si è dimostrato particolarmente fermo , quando
salvo al principio, ha sostenuto che questo sarebbe contrario ai
diritti dell’imputato. Almeno questa misura rincuorerà coloro che sono
vicini all’accusa. Quando non è riuscito ad ottenere dal tribunale che
fosse impedito a Milosevic di fumare –una sentenza di morte per alcuni
serbi!- Geoffry Nice, principale accusatore, ha tentato con tutti i
mezzi di ottenere tale divieto, sebbene fosse solo perché il bilancio
dei due anni che sono stati necessari per presentare l’accusa si sono
dimostrati catastrofici.

Dall’inizio del processo nel febbraio 2002 l’accusa ha citato più di
cento testimoni e ha prodotto circa seicento pagine di prove. Nessuna
persona è stata in grado di dimostrare che Milosevic avrebbe ordinato i
crimini di guerra. Interi documenti di atti d’accusa sul Kosovo li
hanno lasciati senza alcuna prova che li avvalorasse, inclusi i casi in
cui la responsabilità di Milosevic era più evidente. E quando il P.M.
ha cercato di dimostrare le sue accuse, i risultati hanno costantemente
provato che si tratta di una farsa. Tra questi possiamo citare il più
evidente un “topo” serbo che ha certamente lavorato
nell’amministrazione del presidente e che, tuttavia, non ha saputo dire
a che piano si trovasse l’ufficio di Milosevic; o anche il “segretario
di Arkan” che, come è noto ormai, ha lavorato solo per un periodo di
alcuni mesi e niente più nello stesso edificio nella sua veste ben
conosciuta di paramilitare; il testimone dell’ex primo ministro
federale, Ante Markovic, drammaticamente licenziato da Milosevic, il
quale ha mostrato il diario di Markovic che ricopriva il periodo nel
quale quest’ultimo sosteneva di essersi riunito con Milosevic; il
contadino albanese del Kosovo che ha dichiarato non aver mai sentito
parlare dell’UCK sebbene nella sua stessa città esista un monumento
dedicato a questa organizzazione terrorista; e l’ex direttore dei
servizi segreti iugoslavi, Radomir Markovic, che non solo ha assicurato
di essere stato torturato dal nuovo governo democratico di Belgrado
affinché testimoniasse contro il suo ex capo, ma ha addirittura
riconosciuto che non fu mai dato alcun ordine per espellere gli
albanesi kosovari e che, al contrario, Milosevic aveva ordinato alla
polizia e all’esercito di proteggere i civili. E questi testimoni,
notate bene, erano dell’accusa!

Sono sorti seri dubbi anche in relazione a centinaia delle più celebri
e storiche atrocità. Vi ricordate della notizia di un camion
frigorifero la cui scoperta nel Danubio nel 1999, pieno di cadaveri al
suo interno, si era diffusa accuratamente nel momento in cui Milosevic
veniva trasferito all’Aja nel giugno del 2001? Si sosteneva che il
camion fosse stato tirato fuori dal fiume e trasportato all’esterno di
Belgrado dove furono sotterrati i cadaveri in una fossa comune. Un
controesame però ha rivelato che non esisteva alcuna prova che i
cadaveri riesumati fossero gli stessi trasportati sul camion, né di
nessun altro morto proveniente dal Kosovo. Invece è molto probabile che
la fossa comune di Batajnica risalga alla seconda guerra mondiale,
mentre il camion frigorifero avrebbe potuto contenere curdi trasportati
illegalmente in Europa occidentale e potrebbero essere stati vittime di
un terribile incidente stradale. Poco a poco iniziamo a capire oggi che
le bugie dette per giustificare la guerra in Kosovo sono state
costruite con la stessa serietà con la quale più recentemente si sono
costruite le bugie per giustificare l’aggressione in Iraq.

La debolezza dei capi d’accusa dell’accusa è stata messa in evidenza
dal fatto che la sua trionfante conclusione, in febbraio, è stata di
diffondere un documentario in televisione realizzato già da vari anni.
Questo fatto suggerisce che questa maratona, durata due anni, non è
servita a far conoscere la verità più di quella rozze storie divulgate
dai giornalisti televisivi dell’epoca. Incluso i sostenitori del TPIY
ammettono oggi che l’unica “prova” della colpevolezza di Milosevic è
stata l’“impressione”, comunicata attraverso il generale Rupert Smith,
che Milosevic controllasse i serbi della Bosnia, così come la
dichiarazione di Paddy Ashdown dicendo che aveva “avvertito” l’ex Capo
di Stato iugoslavo che si stavano commettendo crimini di guerra in
Kosovo. La stessa P.M., Carla Del Ponte, ha ammesso in febbraio che non
aveva prove sufficienti per condannare Milosevic a partire dalla
maggioranza della gravi affermazioni.

I giudici certamente imparziali sono stati complici di alcune gravità
del disastro di questi atti. Io stesso ho sentito dal primo Presidente
del TPIY, il giudice Antonio Cassese, vantarsi di aver incoraggiato il
P.M. a chiedere condanne contro i dirigenti serbi della Bosnia, una
dichiarazione che potrebbe allontanarlo per tutta la vita dalla
professione di giudice. Nel processo Milosevic i giudici hanno ammesso
che vi sia stata una brillante sfilata di “testimoni esperti” che di
fatto non sono stati testimoni di nessuno. In Gran Bretagna la lista
degli esperti è stata giustamente proibita dopo che sono sorti dubbi,
precisamente per aver fatto caso a questo tipo di testimoni, sulla
condanna di circa 250 padri giudicati colpevoli di aver ucciso i loro
figli. Però nel TPIY si può essere “testimone” senza aver mai messo
piede in Jugoslavia.

Molti altri abusi giudiziali sono stati legittimati dal TPIY. Fino al
punto che le prove “di sentito dire” sono sfuggite ad ogni controllo,
tanto che frequentemente si consente di testimoniare a una persona che
ha sentito dire da qualcuno qualcosa a proposito di altri. Per il TPIY
è frequente proporre riduzioni di pena (cinque anni, in alcuni casi) a
persone condannate per crimini atroci, per esempio, massacri, se
accettano di testimoniare contro Milosevic. Ricorrere a testimoni
anonimi oggi è particolarmente frequente, così come la stessa frequenza
delle udienze a “porte chiuse”: un’occhiata ai documenti del TPIY
rivela una quantità impressionante di pagine cancellate per gli
interessi di sicurezza delle grandi potenze che controllano il
tribunale e, in primo luogo, gli USA. Il momento più basso del TPIY si
è raggiunto il passato mese di dicembre quando l’ex comandante supremo
della NATO, Wesley Clarck, ha testimoniato nel processo Milosevic. Il
tribunale ha permesso al Pentagono di censurare il dibattito e i
documenti non sono stati resi accessibili finchè Washington non l’ha
autorizzato. Questo dice molto della trasparenza e indipendenza del
TPIY.

In forma piuttosto ironica, Slobodan Milosevic ha un alleato
obbiettivo: il primo ministro britannico. Oggi esiste una reale
possibilità che si possa assicurare una condanna per la sola
interpretazione, la più amplia possibile, della dottrina della
responsabilità del comando. Per esempio, affermando che era al corrente
delle atrocità commesse dai serbi della Bosnia e che non ha fatto nulla
per porvi fine. Però se Milosevic può essere accusato di complicità nei
crimini commessi da persone di un paese straniero e sui quali non ha
alcun controllo, quanto più grande è la complicità del governo
britannico nei crimini commessi dagli USA, un paese in compagnia del
quale la Gran Bretagna ha costruito una alleanza ufficiale? Non si
tratta di uno scherzo politico ma piuttosto di un grave enigma
giudiziale: il Regno Unito è uno dei firmatari del nuovo Tribunale
Penale Internazionale e, per questo, Tony Blair è sottomesso alla
giurisdizione del nuovo corpo insediatosi all’Aja e la cui
giurisprudenza sarà tenuta in considerazione dal TPIY. Pertanto, se
Slobodan Milosevic è condannato a dieci anni di prigione a Scheveningen
in ragione degli abusi commessi dalla sua polizia, in questo caso una
logica giuridica vorrebbe che, a momento debito, il suo compagno di
cella fosse Tony Blair.


(L'ultimo libro di John Laughland: "Le Tribunal pénal international:
gardien du nouvel ordre mondial", è pubblicato da François-Xavier de
Guibert, Paris, 2003.)

© 2004 The Spectator

Traduzione di Carla Gagliardini (Associazione SOS Yugoslavia)


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http://www.pasti.org/linkmilo.htm

IL TESTO IN LINGUA ITALIANA DELLA AUTODIFESA DI MILOSEVIC, IN CORSO
DI REVISIONE E CORREZIONE, E' TEMPORANEAMENTE OSPITATO ALLA PAGINA:
https://www.cnj.it/documentazione/autodifesa04.htm

LE TRASCRIZIONI "UFFICIALI" DEL "PROCESSO" SI TROVANO AI SITI:
http://www.un.org/icty/transe54/transe54.htm (IN ENGLISH)
http://www.un.org/icty/transf54/transf54.htm (EN FRANCAIS)

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