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ROMANIA: ILIESCU CONCEDE GRAZIA A EX-LEADER MINATORI COZMA

(ANSA) - BUCAREST, 16 DIC - Negli ultimi giorni del suo mandato il
presidente uscente della Romania Ion Iliescu ha annunciato oggi di aver
concesso la grazia a Miron Cozma, ex-leader dei minatori condannato a
18 anni di prigione per aver ''sovvertito il potere dello Stato'' in
occasione dell'imponente e violenta manifestazione dei minatori
organizzata nel settembre del 1991 che aveva portato alle dimissioni
dell'allora governo guidato da Petre Roman. La condanna definitiva nel
caso Miron Cozma e' stata data dalla Corte Suprema di Giustizia nel
febbraio 1999 e da allora l'ex-leader dei sindacati dei minatori si
trova dietro le sbarre in un penitenziario di Rahova, nei pressi della
capitale Bucarest. Richieste per la grazia di Cozma sono state
formulate piu' volte negli ultimi anni dall'Associazione dei minatori
romeni, ma il presidente Iliescu aveva finora sempre rimandato una
decisione. ''Il presidente uscente Ion Iliescu ha fatto un atto
essenzialmente politico concedendo la grazia a Miron Cozma. In questo
modo ha dimostrato ancora una volta l'ingerenza del politico nelle
decisioni della Giustizia romena'', ha commentato Renate Weber [si noti
il nome tedesco, ndCNJ], presidente della Fondazione per una societa'
aperta, una delle piu' importanti organizzazioni [di Soros, ndCNJ] per
i diritti civili in Romania. Critico anche Emil Constantinescu, l'ex
presidente romeno ai tempi dell'ultima marcia dei minatori su Bucarest:
''In questo modo Iliescu rende pubblico il suo legame con i minatori e
con Cuzma''. Nel settembre 1991 Cozma aveva portato a Bucarest migliaia
di minatori della Vale Jiu (regione nella Romania centrale) con
l'intenzione di mettere fine alle manifestazioni anti-comuniste
organizzate nella capitale del paese balcanico dagli oppositori di
Iliescu, a quel tempo presidente della Repubblica e leader del Fronte
per la salvezza nazionale, partito costituito dopo la rivoluzione del
1989 da membri dell'ex Partito comunista di Nicolae Ceausescu. Con
azioni violenti contro i manifestanti anticomunisti - il bilancio era
di diversi morti e feriti - i minatori hanno forzato le dismissioni del
governo in carica, guidato da Petre Roman. Non era la prima volta che i
minatori venivano a Bucarest. Nel gennaio e febbraio del 1990 Iliescu
stesso aveva chiamato i minatori nella capitale quando l'opposizione
diretta dal Partito Liberale aveva organizzato manifestazioni per
chiedere elezioni democratiche e una Romania libera dal neocomunismo.
Cozma era partito per Bucarest insieme a centinaia di minatori anche
nel 1999, con l'intenzione di rovesciare il governo composto di membri
del Partito Liberale, Partito Democratico e del Partito dei Contadini.
Il premier Radu Vasile era riuscito tramite negoziati a fermare i
minatori a pochi chilometri dalla capitale. (ANSA). COR-RED
16/12/2004 15:47

http://www.ansa.it/balcani

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3717/1/51/

Minoranze nazionali in Slovenia: segreto di Stato

16.12.2004 - Il governo sloveno prima commissiona una ricerca e poi la
secreta. Perché? Non è ancora chiaro, probabilmente veniva sostenuto
che alle minoranze nazionali occorre garantire più diritti. Un articolo
tratto da TOL e tradotto a cura di Osservatorio sui Balcani.
Di Borut Mekina – TOL


I progetti di ricerca secretati solitamente evocano immagini di
scienziati concentrati su programmi di missili balistici o su
tecnologie legate ad armi nucleari. In Slovenia, questa segretezza,
sembra invece riguardare un programma di ricerca sulle minoranze
nazionali.Circa il 10% dei cittadini sloveni sono albanesi, bosniacchi
(mussulmani di Bosnia), croati, macedoni, montenegrini o serbi. Tutti
gruppi etnici che in passato vivevano in uno Stato comune jugoslavo,
assieme agli sloveni.

Ma ora il loro status è divenuto una questione tanto delicata che una
ricerca sul tema, preparata dal rinomato Istituto sugli studi etnici, è
stata secretata dal governo.

Il gruppo di ricercatori è rimasto sorpreso e deluso quanto gli stessi
funzionari che avevano commissionato lo studio li hanno informati che
non poteva essere pubblicato. Il rapporto di 333 pagine è stato
consegnato al governo nel dicembre del 2003 ma solo ora la questione è
divenuta di dominio pubblico.

Una questione delicata

Vera Krzisnik-Bukic a capo del gruppo di ricerca ritiene che non vi sia
alcun motivo per secretare il rapporto e le questioni di cui tratta.
“Questa ricerca non può essere e non è contro lo Stato o la società in
generale. Al contrario chiarisce la questione specifica e suggerisce
possibili soluzioni”, ha affermato.

Ma il governo non condivide il suo punto di vista.

Il responsabile dell’Ufficio nazionale sloveno sulle minoranze, Janez
Obreza, ha spiegato in una lettera rivolta al direttore dell’Istituto:
“Vorrei sottolineare che questa è una questione molto importante ed
allo stesso tempo delicata che deve essere affrontata dal governo. Il
governo inoltre deciderà se pubblicare o meno la ricerca. Sino ad
allora la ricerca verrà considerata materiale riservato in conformità a
quanto stabilito dalla legge”.

Al cuore della disputa vi è la questione di quali gruppi minoritari
debbano godere di quali diritti.

In Slovenia sono tre le minoranze nazionali che godono di una
protezione costituzionale specifica: gli italiani, gli ungheresi e, in
una certa misura, i rom.Hanno il diritto di utilizzare la propria
lingua in procedimenti ufficiali, nel campo dell’educazione, nella
pubblica amministrazione e presso le corti. Italiani ed ungheresi, nel
complesso circa 10.000, hanno anche propri rappresentanti presso il
parlamento sloveno.

Il loro alto livello di protezione contrasta notevolmente con lo status
di quelle 170.000 persone che il governo sloveno descrive come
“immigrati per motivi economici”, persone che risiedevano nella
ex-Jugoslavia e che non godono di alcun diritto collettivo.

Pressioni per migliorare la loro situazione sono recentemente arrivate
da parte della comunità internazionale. Il Commissario per i diritti
umani del Consiglio d’Europa, Alvaro Gil-Robles, ha visitato la
Slovenia lo scorso anno ed ha suggerito di ripensare la distinzione tra
minoranze etniche autoctone e non-autoctone, e cioè quella tra
minoranze etniche “nuove” ed “indigene”.

I suoi commenti sono stati una sorpresa spiacevole per coloro i quali
in Slovenia sostenevano che le modalità di protezione delle minoranze
in Slovenia dovevano essere da esempio per altri Paesi. Ciononostante
molti esperti ritennero in quell’occasione che Gil-Robles si era spinto
troppo oltre e che la sola ragione per la quale la Slovenia non ha
pubblicamente protestato per la sua dichiarazione sia legata a
gentilezza diplomatica. Pochi Paesi dell’Unione europea hanno garantito
agli immigrati recenti diritti collettivi particolari. Ma la
sensibilità causata dal violento disfarsi della Yugoslavia ha anche
contribuito a far crescere la consapevolezza su questa questione
specifica sia tra le minoranze che tra la maggioranza della popolazione.

Per quasi un anno queste comunità etniche, rappresentate da 64
associazioni, hanno avuto un loro coordinatore, Ilija Dimitrijevski.
Nell’ottobre del 2003 chiesero pubblicamente, e per la prima volta, di
avviare una revisione costituzionale a loro favore. Dimitrijevski,
macedone, disse che volevano ottenere due cose: un riconoscimento
ufficiale della loro dignità ed uno status speciale in grado di
salvaguardare i loro valori culturali.

Fahir Gutic, che rappresenta l’associazione Comunità culturale della
Bosnia, ha spiegato che “a causa del fatto che non abbiamo alcuno
status speciale, l’Associazione per la protezione degli animali riceve
più fondi di tutti noi messi assieme”.

Dimitrijevski suggerisce che i nomi di tutte le minoranze nazionali
vengano elencati nella Costituzione slovena.

Migranti economici o minoranze nazionali?

Vi sono alcune indicazioni secondo le quali il rapporto commissionato
dal governo sarebbe stato secretato poiché sosteneva che la Slovenia,
in adempimento al diritto internazionale, avrebbe dovuto riconoscere
questi gruppi come minoranze e garantire i conseguenti diritti.

Krzisnik-Bukic ha dichiarato pubblicamente che a suo avviso questi
gruppi sono oggetto di discriminazioni ed hanno bisogno di una
protezione collettiva.

Alcuni sondaggi realizzati presso queste comunità minoritarie mostrano
che il 9.6% dei cosiddetti “immigrati economici” originari delle altre
Repubbliche della ex-Yugoslavia dichiarano di subire spesso
l’intolleranza etnica, il 36,3% solo saltuariamente. Queste cifre
possono essere facilmente comparate con i pregiudizi e le xenofobia
riscontrate dagli immigrati in altre parti d’Europa, ma ciononostante
vi è una differenza importante.

Le minoranze slovene sono nel Paese o dal 1878, quando l’Impero
austro-ungarico si espanse inglobando la Bosnia, oppure arrivarono in
seguito alla Seconda guerra mondiale quando la gente della regione
iniziò a vivere assieme all’interno della cornice di un unico Stato.

In altre parole, non sono immigrati nel vero senso della parola, dato
che la maggior parte di loro non ha mai superato una frontiera
internazionale per stabilirsi in Slovenia.

Un recente rapporto dell’Ufficio statistico sloveno mostra come la
immigrazione in Slovenia dalle altre Repubbliche della ex-Yugoslavia ha
iniziato a crescere solo dopo la Seconda guerra mondiale. Il picco è
stato raggiunto tra il 1978 ed il 1982, per poi progressivamente
decrescere durante la crisi economica degli anni ’80.Tra il 1954 ed il
2000 circa 360.000 persone si trasferirono in Slovenia, 160.000 in modo
permanente. Questa migrazione letteralmente cambiò la struttura di
questo Paese di due milioni di abitanti. Il primo censimento risalente
al 1953 individuava un 3% della popolazione di non-sloveni; nel 2002
l’83% degli abitanti della Slovenia si dichiarò “sloveno” mentre molti
decisero di non dichiarare alcuna identità etnica.

Questo cambiamento demografico emerge anche chiaramente dai sondaggi.

Già nel 1970, prima della grande ondata di migrazione interna alla
Yugoslavia, il 42.5% degli intervistati di un sondaggio dichiarava di
non vedere di buon occhio che persone da altre parti della Yugoslavia
si trasferissero in Slovenia per lavorare. Nel 1986 circa il 60% degli
intervistati di un altro sondaggio dichiarava che la migrazione interna
doveva essere bloccata o perlomeno limitata. Questa forte
insoddisfazione popolare è stato anche uno degli argomenti principali a
favore di una Slovenia indipendente nel 1991.

L’opinione di Krzisnik-Bukic che a queste cosiddette “nuove minoranze”
vadano garantiti determinati diritti collettivi è oggetto di disputa
all’interno dello stesso Istituto nel quale lavora.

Il direttore dell’Istituto, Mitja Zagar, che desidera lo studio venga
pubblicato il prima possibile, ha cautamente notato come gli esperti
siano ancora divisi sulla questione. Un altro ricercatore, Miran Komac,
afferma che è in pratica impossibile introdurre nuovi diritti
collettivi ma aggiunge poi che spetta al governo considerare queste
richieste nel contesto della protezione culturale, per evitare tensioni
etniche.

Ljubo Bavcon, un rinomato esperto di diritti umani che ha rivelato
l’esistenza della ricerca secretata, non si sbilancia a favore o contro
le conclusioni di quest’ultima. Ma ha tenuto ad affermare che “è
inconcepibile che questa ricerca venga tenuta segreta. Ritengo questo
sia un grosso abuso della legge”.

Ha aggiunto che questo gruppo di 170.000 persone ha il diritto di
preservare la propria identità culturale e che la Slovenia “ora deve
decidere se seguire una politica di assimilazione o di integrazione”.

In conclusione l’intera vicenda potrebbe dipendere dalla politica o,
più precisamente, dalle negoziazioni in atto tra il governo ed i
rappresentanti di queste minoranze.I diversi gruppi sono riusciti a
superare le conseguenze più amare lasciate dalla guerra nella
ex-Yugoslavia che li ha divisi e sta trovando un linguaggio comune.

Ma il nuovo governo di centro-destra in Slovenia ha costruito la
propria popolarità, tra le altre cose, sul suo pugno duro rispetto a
coloro i quali arrivarono in Slovenia ai tempi della Yugoslavia.

Arrivare ad un compromesso implicherà negoziazioni molto delicate, il
cui esito è del tutto incerto.


Vedi anche:
Slovenia: cancellati, vergognoso silenzio della Commissione europea
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/3000
Slovenia: scheletri nell'armadio
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/2892

http://www.balkans.eu.org/article4861.html

VECERNJE NOVOSTI

Serbie : après les bombardements à l’uranium appauvri, cancers en hausse

TRADUIT PAR PERSA ALIGRUDIC
Publié dans la presse : 29 novembre 2004
Mise en ligne : vendredi 3 décembre 2004

L’uranium appauvri provenant des bombardements des avions de l’OTAN sur
les objectifs du sud de la Serbie a t-il commencé à produire des effets
catastrophiques sur la santé des habitants ? On note une nette
recrudescence des cancers et maladies malignes, même si les effets
exacts de l’uranium demeurent sujet de polémiques.

Par Misa Ristovic


Les institutions officielles, outre la constatation que le nombre de
maladies cancérogènes et malignes est en augmentation dans le sud de la
Serbie, disent que, pour l’heure, il n’y a pas lieu de paniquer. Mais
le docteur Radomir Kovacevic, chef du département pour la protection
radiologique de l’Institut de médecine du travail Dr. Dragomir
Krajovic, a confirmé que les conséquences se font déjà sentir.

« Pour prouver les conséquences directes, il faut d’abord prouver la
présence de l’uranium dans le milieu, ce que nous avons fait, puis dans
la nourriture ou l’eau, ce que nous avons également constaté, ensuite
dans l’organisme humain, où nous ne sommes pas très avancés car les
appareils coûtent cher et nous n’avons ni suffisamment de médecins ni
des programmes appropriés », souligne le docteur Kovacevic. Le
quatrième point est de mesurer concrètement les conséquences.


« La plus dangereuse des substances cancérogènes et toxiques » ?

Il est intéressant de noter que, très peu de temps après la fin des
bombardements, la Commission Européenne a demandé au Centre régional
écologique pour l’Europe centrale et orientale à Budapest de faire un
rapport sur l’utilisation et les effets de l’uranium appauvri, qui est
décrit comme étant supposé « être la plus dangereuse des substances
cancérogènes et toxiques ».

Comme il est indiqué dans ce rapport, les nombreuses substances
libérées peuvent provoquer des avortements et des défauts de l’embryon,
alors que d’autres favorisent des maladies mortelles des nerfs et du
foie. Il y a deux ans, les Nations Unies ont envoyé une équipe
d’experts en Yougoslavie, et après avoir fait le tour des zones
contaminées, les responsables du Programme de l’ONU pour
l’environnement (UNEP) ont établi un rapport dans lequel sont notées
deux « nouveautés » quant à la réaction de l’uranium. L’une est
l’étonnante rapidité de corrosion des pénétrateurs qui produisent la
poussière et, dans le même temps, la laissent sur la surface de la
terre. Comme l’ont constaté les experts de l’UNEP, cela crée un danger
indirect, tout d’abord par la pollution des eaux souterraines, tandis
que le deuxième danger est que, même après trois ans, les particules
d’uranium peuvent se transférer par voie aérienne dans d’autres espaces.

« Lors d’examens chez 29 sujets du village de Bratoselca, on a trouvé
une concentration d’uranium des centaines de fois plus élevée dans
l’organisme que la normale », constate le docteur Radomir Kovacevic.
Chez 90% de la population examinée, on note des changements sur le
matériau génétique, bien qu’on ne puisse avec sûreté les attribuer aux
conséquences de l’uranium.

Dès la fin de la guerre en 1999, les experts du ministère de la Défense
russe ont estimé que les avions de l’OTAN lors des bombardements en RFY
ont jeté au moins 30 tonnes d’uranium appauvri : c’est comme si un
« réacteur nucléaire avait éclaté » dans notre pays.


Dispersion des particules radioactives dans l’eau

D’après les experts militaires russes, il serait possible que l’uranium
des munitions de l’OTAN se serait dispersé sur tous les pays
balkaniques et qu’il aurait également pénétré jusqu’aux réservoirs
d’eau, ce qui porte à croire que l’on boit toujours de l’eau polluée en
Serbie. Il a été constaté que les nuages de poussière d’uranium
s’élevaient jusqu’à une altitude de 1000 mètres, et l’on peut se
demander où s’en sont allés ces nuages...

L’uranium appauvri est un déchet des centrales atomiques, inutile, mais
radioactif en permanence. Les Américains possèdent plusieurs dizaines
de milliards de tonnes de cette matière, avec laquel ils ne savaient
que faire mais, après de nombreux tests sur leur propre population, ils
ont eu l’idée de fabriquer des bombes avec de l’uranium appauvri. C’est
ainsi que les déchets sont devenus une grande affaire. Bientôt, ces
armes ont été qualifiées un moyen conventionnel et permis de tuer,
alors qu’au début de la dernière décennie, le Sénat américain avait
adopté une recommandation permettant que les bombes à l’uranium
appauvri puissent commencer à être utilisées dans les « conflits de
portée limitée ».

L’uranium appauvri devient sans danger après sa décomposition qui se
fait au bout de plus de quatre milliards d’années !

« Nous n’osons pas aller jusqu’à l’endroit où l’OTAN a bombardé un
pilier de pont », raconte Desanka Mladenovic, âgée de 63 ans, du
village de Borovac. « J‘ai surtout peur pour les enfants et ils sont
une quinzaine à jouer aux alentours. Mais les enfants ne connaissent
pas le danger. Du reste, nous n’avons pas d’autre issue ni d’autre
village ».


© Tous droits réservés Vecernje Novosti
© Le Courrier des Balkans pour la traduction

Da: "Mauro Gemma"

PARTITO COMUNISTA DI TURCHIA (TKP)
15 dicembre 2004

http://www.tkp.org.tr , mailto:int @...

in http://www.solidnet.org 

DICHIARAZIONE CONGIUNTA DEL PARTITO COMUNISTA DI GRECIA E DEL PARTITO
COMUNISTA DI TURCHIA CONTRO L’UNIONE EUROPEA


E’ nostro dovere dire la verità sull’Unione Europea ai nostri popoli

 
Al vertice dell’Unione Europea, che si terrà il 17 dicembre, verrà
deciso se i negoziati tra la Turchia e l’Unione Europea in merito
all’adesione partiranno o meno.

Dovranno essere comunque i popoli che vivono in Turchia, in particolare
i Turchi e i Curdi, ad avere il reale diritto di essere interpellati e
di decidere sulle relazioni della Turchia con l’Unione Europea. La
questione è strettamente correlata agli sviluppi della lotta di classe
in Turchia e ai cambiamenti che interverranno nell’equilibrio dei
poteri nei tempi a venire.

Il Partito Comunista di Turchia e il Partito Comunista di Grecia che da
molto tempo cooperano in azioni comuni contro l’imperialismo, la guerra
e la NATO, difendendo le conquiste democratiche e popolari a favore
dell’amicizia e della solidarietà tra i popoli, considerano l’Unione
Europea un’istituzione imperialista. Essi pensano che l’UE sia una
struttura basata sulla cooperazione tra gli stati, che promuove
l’aggressività nelle relazioni internazionali, uno sviluppo ineguale
tra i suoi membri e incoraggia le tendenze egemoniche degli stati più
forti per quanto riguarda il trasferimento di diritti di sovranità e
obblighi degli stati membri.

Considerando il forte impatto dell’UE e delle sue politiche, i nostri
partiti hanno deciso di collaborare per dire la verità ai popoli di
entrambi i paesi sull’Unione Europea e per promuovere appropriate
azioni congiunte in merito.

Il Partito Comunista di Grecia (KKE), che si è opposto fin dall’inizio
all’adesione della Grecia all’UE, ha tratto importanti lezioni
dall’esperienza greca. Il KKE è testimone del danno apportato dall’UE
all’economia della Grecia, alle conquiste del popolo lavoratore, ai
piccoli imprenditori e proprietari agricoli, alla vita sociale e
culturale, così come è testimone delle limitazioni dei diritti di
sovranità e di ingiuste relazioni internazionali per il nostro paese.
Il partito ha mobilitato tutte le sue forze per lottare contro le
illusioni di massa in merito all’Unione Europea propagandate dalle
istituzioni dell’UE, dal governo greco e dal grande capitale, da tutti
gli altri partiti politici e da potenti strumenti di comunicazione. I
comunisti greci hanno organizzato una forte opposizione delle masse
lavoratrici contro le politiche imposte dall’UE, e fin dall’inizio
hanno seguito una linea che richiedeva che la Grecia abbandonasse l’UE.
Queste scelte sono sempre più attivamente sostenute dal popolo
lavoratore del paese.

Il Partito Comunista di Turchia (TKP) si è opposto all’adesione all’UE
della Turchia fin dall’inizio, e sta tentando di neutralizzare la
propaganda secondo la quale L’Unione Europea porterebbe libertà e
prosperità. La Turchia ha già cominciato a sperimentare i risultati
distruttivi delle “riforme” economiche e politiche imposte da
Bruxelles. E’ tra le priorità dell’impegno del TKP quella di fornire
alle larghe masse l’accesso a una informazione veritiera in merito
all’Unione Europea e quella di organizzare la resistenza politica
contro l’espansionismo imperialista.

Entrambi i partiti sono d’accordo che, nella lotta contro
l’imperialismo, la questione dell’Unione Europea ha la stessa
importanza di quelle degli USA e della NATO.

Con il proposito di sviluppare l’azione comune contro l’imperialismo,
per la cooperazione pacifica, l’amicizia e la solidarietà tra i popoli
dei nostri paesi, i partiti hanno deciso di collaborare per condividere
le lezioni tratte dalle nostre esperienze nell’Unione Europea,
attraverso pubblicazioni e l’organizzazione di varie manifestazioni per
promuovere iniziative e azioni comuni a favore delle rivendicazioni e
dei movimenti popolari.

Partito Comunista di Grecia   Partito Comunista di Turchia

Istanbul, 11 dicembre 2004

Traduzione a cura del C.C.D.P.