Informazione

http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=HP&TOPIC_TIPO=&TOPIC_ID=39204

La destra «riforma» il codice militare: galera per i giornalisti che
raccontano la guerra

di Toni Fontana

Arrivano le manette per i giornalisti scomodi al governo, contrari alla
guerra e critici sulla missione in Iraq. Su proposta del centrodestra
il Senato ha infatti approvato ieri una «riforma» del codice penale
militare che prevede tra l’altro pene gravissime e lunghe detenzioni
per i giornalisti che scriveranno articoli sulle missioni militari,
compresa quella in corso a Nassiriya.

L’iniziativa della maggioranza di governo sta già provocando proteste e
suscitando polemiche. Il senatore Ds, Elvio Fassone, sostiene che la
riforma «rischia di avere conseguenze molti gravi anche nel campo della
libertà di informazione». Il segretario della Federazione della Stampa
italiana, Paolo Serventi Longhi, parla di «misura gravemente lesiva
dell’indipendenza e dalla libertà dell’informazione». La riforma, che
appare studiata allo scopo di chiudere la bocca a tutti coloro che
contestano le finalità e la natura della missione italiana nella guerra
dell’Iraq, si configura come un’estensione del codice penale militare
di guerra anche alle missione di pace. La missione a Nassiriya è
appunto considerata dal governo un missione di pace e, di conseguenza,
la nuova normativa verrà estesa (se la Camera confermerà il giudizio
del Senato) anche ai servizi giornalistici che provengono dall’Iraq.
Per effetto delle norme approvate ieri dalla maggioranza di
centrodestra a palazzo Madama diventano «operativi», cioè pienamente in
vigore anche gli articoli 72 e 73 del codice penale militare italiano
là dove la legge recita che viene punita «l’illecita raccolta,
pubblicazione e diffusione di notizie militari». Viene punito con la
reclusione militare, viene cioè affidato ad un carcere militare, il
giornalista che «procura notizie concernenti la forza, la preparazione
o la difesa militare, la dislocazione o i movimenti delle forze armate,
il loro stato sanitario, la disciplina e le operazioni militari e, ogni
altra notizia che, essendo stata negata, ha tuttavia carattere
riservato». Il giornalista che verrà accusato di
questi «reati» potrà essere condannato ad una pena variante tra i due e
i dieci anni di carcere, ovviamente militare. Non è tutto. Se queste
notizie verranno «divulgate» la pena potrà essere raddoppiata e
arrivare fino a venti anni di carcere. Il minimo della condanna per il
cronista che osa scrivere qualcosa che disturba è in questo caso di
cinque anni.

Se la riforma seguirà il suo iter e verrà approvata dai due rami del
Parlamento ai militari verrà dunque affidato un potere assoluto e
arbitrario di discrezione e di intervento sulle attività dei cronisti
che seguono le missioni all’estero. Le disposizioni sono così precise e
dettagliate che, nei fatti, ogni articolo inviato dai teatri di guerra,
in special modo da Nassiriya, potrà diventate un atto di accusa contro
gli lo avrà scritto che rischierà pene superiori a quelle comminate a
molti incalliti criminali. Il senatore Ds Elvio Fassone interviene
sulla decisione della maggioranza di «estendere l’ambito del codice
militare di guerra» giudicando l’iniziativa «una scelta molto
inopportuna sotto molti aspetti, che rischia di avere conseguenze molto
gravi anche nel campo della libertà
dell’informazione». Fassone si augura un «ripensamento» alla Camera.
Serventi Longhi ricorda dal canto suo che la riforma «prevede il
carcere duro per i giornalisti che diffondono notizie sull’attività del
contingente italiano e, forse, anche sulle operazioni dei contingenti
alleati». Per il segretario della Fnsi si tratta di una misura
«ricattatoria per i giornalisti invitati di
fatto all’autocensura». Serventi Longhi auspica di conseguenza che la
riforma venga ritirata nella seconda lettura parlamentare, cioè a
Montecitorio. Le misure approvate ieri al Senato appaiono appunto
ispirate da quella parte del mondo politico e militare che da tempo sta
tentando di erigere un muro di gomma per impedire alla stampa di
ribadire i pressanti interrogativi che circondano la missione a
Nassiriya sulla quale non si sanno molte cose avvenute nel corso dei
combattimenti con i miliziani.


Vedi il testo del disegno di legge al sito:

http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/
frame.jsp?tipodoc=Ddlpres&leg=14&id=82995

---

Sulla censura della informazione nel caso dell'Iraq vedi ad esempio:

Media Cover-up of US War Crimes in Iraq
(Michel Chossudovsky - 17 November 2004)

http://globalresearch.ca/articles/CHO411B.html

Media Repression in “Liberated” Land
(Dahr Jamail, www.dissidentvoice.org)

http://www.uruknet.info?p=7351 or
http://www.dissidentvoice.org/Nov2004/Jamail1118-2.htm

Vedi anche:

Chi ha ucciso Margaret Hassan
(Robert Fisk - 18 novembre 2004)

in inglese : http://www.uruknet.info/?p=7305
in italiano : http://www.uruknet.info?p=7355 oppure
http://www.unita.it/
index.asp?SEZIONE_COD=EDITO&TOPIC_TIPO=E&TOPIC_ID=39199

[ See the original text:

BOSNIANS SAY NATO BOMBS BROUGHT "ANGEL OF DEATH"
Many Bosnians blame high cancer rates on NATOís use of depleted uranium
munitions in 1995, but scientists remain divided over the alleged link.
 
By Ekrem Tinjak, Faruk Boric and Hugh Griffiths in Han Pijesak and
Sarajevo - IWPR'S BALKAN CRISIS REPORT, No. 526, November 15, 2004 -
www.iwpr.net ]


http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3636/1/51/

I bosniaci: le bombe della NATO hanno portato l’angelo della morte


16.11.2004
Molti bosniaci ritengono che l’alto numero di tumori nel Paese sia
legato all’uso da parte della NATO di munizioni all’uranio impoverito
nel 1995. Ma gli scienziati, sulla questione, si dividono. Un reportage
investigativo tratto da IWPR.

Di Ekrem Tinjak, Faruk Boric e Hugh Griffiths -IWPR
Traduzione a cura di Osservatorio sui Balcani


Ad Hadzici, sobborgo di Sarajevo, l’imam locale, Hazim Effendi Emso,
osserva un cimitero straripante. Lo spazio al centro della triste
distesa di questa periferia industriale è costellato di nuove tombe.

“Recentemente il numero dei funerali è aumentato. Quasi ogni giorno un
funerale” afferma triste.

Le date di nascita e di morte scolpite sulla lapide mostrano che molti
sono morti nella loro mezz’età. La maggior parte di loro viveva a
Grivci, un quartiere di Hadzici.

“Un gran numero di abitanti di Grivci sono morti di cancro ma è solo da
un anno che stiamo registrando e tenendo statistiche sui decessi”,
continua l’Imam.

A 64 chilometri a nord di Grivici, sulle montagne Romanjia, a 1000
metri sul livello del mare, un altro religioso si trova ad affrontare
gli stessi problemi.

Branko, un prete serbo-ortodosso a Han Pijesak, in Republika Srpska,
RS, indica una cartina appesa ad una parete dell’ufficio del preside
della scuola locale.

“Questo è il villaggio di Japaga. Circa 100 persone vi vivono ma nel
1996 molti sono morti di cancro”. Ha dichiarato ad IWPR.

“Il primo a morire è stata la cuoca della base militare che vi si
trova, la signora Ljeposava, poi è toccato alla signora Todic. Poi è
morto anche Budimir Bojat, che aveva sessant’anni, e Goran Basteh, che
ne aveva 45, entrambi di cancro”.

Il prete lascia la cartina e volge la sua attenzione verso alcuni
documenti su di una tavola. “Ogni anno, a Japaga, almeno una persona
giovane muore di cancro” continua “non è certo normale in un villaggio
così piccolo”.

Ad un primo sguardo le comunità di Hadzici e Han Pijesak sembrano molto
differenti. Uno è un abitato in prevalenza musulmano, in un sobborgo
industriale, il secondo è rappresentato da un insieme di villaggi serbi
di montagna, collocati in uno degli ambienti più incontaminati d’Europa.
Ma i residenti di entrambe le località affermano che soffrono di questo
alto tasso di decessi per cancro in seguito ai bombardamenti NATO
all’uranio impoverito avvenuti nel settembre del 1995.

Uranio impoverito, un’eredità della guerra in Bosnia

Le Nazioni Unite descrivono l’uranio impoverito, DU, come un residuo
del processo per arricchire l’uranio utilizzato nei reattori nucleari e
nelle armi nucleari. E’ un “metallo instabile e radioattivo” che emette
radiazioni ionizzanti di tre tipi: alpha, beta e gamma.

Gli Stati Uniti, assieme agli altri Paesi della NATO, utilizzano il DU
per munizioni perforanti anticarro ed antiaeree.
Le forze aeree NATO hanno utilizzato l’uranio impoverito contro
l’esercito serbo-bosniaco nell’agosto e nel settembre 1995 per arrivare
ad una conclusione rapida del conflitto nella ex Repubblica jugoslava.

“L’obiettivo era quello di destrutturate il comando delle forze
serbo-bosniache e di indebolire le capacità di combattere di queste
ultime”, ha affermato una fonte NATO a Sarajevo. “Non abbiamo provato a
distruggere l’esercito”.

Secondo la NATO, dal 5 all’11 settembre del 1995, i propri aerei hanno
sparato 5,800 proiettili all’uranio impoverito presso Han Pijesak e
Hadzici. Più del 90% di tutte le munizioni sparate sulla Bosnia
Erzegovina durante gli attacchi aerei caddero su quelle due località.

La NATO afferma che circa 2400 volte gli aerei hanno sparato proiettili
verso la base militare di Han Pijesak, nei pressi del villaggio di
Japaga. Altre 1500 volte verso il deposito-rifugio per carro armati di
Hadzci, nei pressi di Grivci.

Scienziati dell’ United Nation Environmental Programme, UNEP, hanno
rilevato contaminazione nei campioni d’aria, d’acqua e di terreno di
Hadzici e Han Pijesak raccolti nell’ottobre 2002.
“Abbiamo trovato ancora munizioni all’uranio impoverito sul terreno e
polvere di uranio impoverito in edifici trasformati poi ad Hadzici in
negozi”, ha affermato ad IWPR Pekko Haavisto, a capo della missione
UNEP. “Ad Hadzici abbiamo anche trovato due pozzi la cui acqua
presentava tracce di uranio impoverito, ad otto anni dalla fine del
conflitto”.

“Alla base militare di Han Pijesak abbiamo trovato polvere di uranio
impoverito nei vari edifici, nei carri armati ed altro equipaggiamento
ed eravamo preoccupati che i militari di leva utilizzandoli potessero
risultare contaminati”.

Ciononostante l’UNEP non concorda sul fatto che questi ritrovamenti
confermino le paure bosniache che l’alto tasso di decessi per cancro
sia legato ai bombardamenti NATO. “La bassa esposizione identificata
dalla missione indica che è poco probabile che l’uranio impoverito
possa essere associato in alcun modo a conseguenze per la salute” si
afferma in un suo rapporto del 2003.

Ma la gente di Han Pijesak e Hadzici non concorda con queste
conclusioni. Insiste infatti sul fatto che la contaminazione da uranio
impoverito deve essere responsabile per quelli che definiscono alti ed
anomali tassi di decesso per cancro.

Nessun fondo per la decontaminazione

Nonostante l’UNEP nel suo rapporto indicasse che gli edifici colpiti
con proiettili all’uranio impoverito dovessero essere decontaminati,
poco o nulla è stato fatto. Lo ha dimostrato un’inchiesta di IWPR.

Quando IWPR ha visitato la base militare di Han Pijesak, colpita anni
prima dalla NATO, abbiamo trovato un carro armato T62 lasciato ad
arrugginire presso il recinto che delimita il perimetro della base. Le
sentinelle che ci hanno invitato a non camminare oltre hanno affermato
che, per quanto ne sapessero, i siti colpiti con DU non sono mai stati
decontaminati.

“Camminiamo spesso su quei terreni ma nessuno ci ha avvertito di alcun
pericolo”, ha aggiunto una sentinella preoccupata.

In Federazione le lamentele sono simili. “Siamo rientrati nel 1997, due
anni dopo il bombardamento” afferma Suljo Drina, di Grivci, “ma il
terreno non è stato mai decontaminato. Adesso mio padre ha un cancro
alla gola”.

Nel 2002 il governo della Federazione ha destinato 138.000 marchi
convertibili per decontaminare i siti di Hadzici ed alle autorità
cantonali di Sarajevo era stato chiesto di contribuire con ulteriori
123.000 marchi, ma sino ad ora nulla è stato fatto.

I soldi, emerge, non hanno mai raggiunto i beneficiari. “Semplicemente
non abbiamo le risorse” afferma Mustafa Kovac, a capo della protezione
civile del cantone di Sarajevo “abbiamo bisogno di strumentazione per
misurare le radiazioni, equipaggiamento per proteggere il nostro
personale e per l’addestramento ma, ripeto, non ci sono fondi a
disposizione”.

Pekko Haavisto, dell’UNEP, ha dichiarato ad IWPR che l’Unione Europea
ha già offerto di finanziare la bonifica ma i fondi non sono stati
richiesti dalle autorità locali.

“L’UNEP ha anche detto alle autorità della Republika Srpska e della
Federazione, durante un seminario di formazione, che avrebbe potuto
offrire consulenza sul campo presso i siti da decontaminare” ha
affermato “ma nessuno ha presentato alcuna richiesta”.

Il buco nero dell’informazione alimenta le paure

I medici bosniaci affermano che la mancanza di ricerca degli effetti
sulla salute dell’uranio impoverito ha creato un clima di sfiducia.

“La cosa che mi confonde è che il rapporto dell’UNEP afferma che il
livello di radiazioni nelle aree contaminate non è rischioso” ricorda
ad IWPR Zehra Dizdarevic, assessore alla salute di Sarajevo.

“Ma, dall’altro lato erano inserite nel rapporto 24 raccomandazioni su
come ci si dovrebbe tutelare e su come decontaminare le aree in
questione”.

“E’ difficile stabilire se qualcuno si sia ammalato di cancro perché
viveva o vive vicino ad aree contaminate. Comunque senza indagini
specifiche nessuno è in grado nemmeno di confutare quest’eventualità”.

“Il rapporto dell’UNEP afferma come sia necessario altro lavoro di
indagine scientifica. Questo non è ancora successo”.
Lejla Saracevic, direttrice dell’Istituto di radiologia di Sarajevo,
concorda sul fatto che manchino statistiche ed informazioni affidabili
e che questo è un grave problema. “Non ci è mai stata alcuna ricerca
seria su questa questione”, ha affermato.

“Anche se il governo della Federazione ha istituito un gruppo di
esperti, del quale io faccio parte, mancano i fondi e l’interesse
generale per far luce sulla vicenda. E questi significa che ad ora
nulla è stato fatto”.

Anche i dottori della RS condividono ampiamente queste preoccupazioni
in merito alla mancanza di informazioni. “C’è stato un sensibile
incremento di malattie legate a tumori a Han Pijesak a partire dalla
guerra, ma senza una ricerca seria in merito non si può sapere se siano
legate all’uranio impoverito” afferma Ljuboje Sapic, specialista di
malattie ai polmoni presso il centro sanitario di Han Pijesak.

“La poca ricerca che è stata fatta sull’uranio impoverito è ancora
legata a supposizioni e congetture” ha aggiunto Sapic “abbiamo bisogno
di statistiche e fatti concreti”.
Tutti i medici intervistati da IWPR hanno affermato che la mancanza di
dati statistici è uno dei principali ostacoli nello stabilire le
correlazioni tra i bombardamenti NATO e la mortalità per cancro.
L’assenza di tali statistiche implica sia difficile stabilire il tasso
di incremento di tumori nel dopoguerra bosniaco.

“Posso affermare che abbiamo avuto un incremento dei casi di tumori ma
non posso né confermare né smentire un collegamento con l’uranio
impoverito” ha affermato Bozidar Djokic, direttore del centro sanitario
di Han Pijsak “non abbiamo dati statistici e quindi non possiamo fare
comparazioni con il passato”.

I colleghi della Federazione affermano la stessa cosa. “Quando diciamo
che c’è stato un incremento di persone ammalate di tumore non significa
nulla” afferma il dottor Saracevic “come facciamo a quantificare
quest’incremento se non sappiamo quanti sono gli ammalati attualmente e
quanti erano negli anni scorsi?”.

“Inoltre molti di coloro i quali vivevano ad Hadzici durante il
bombardamento vivono ora nell’Entità serba. Dovrebbero essere esaminati
anche loro, se vogliamo arrivare ad una conclusione in questa storia”.

Gli Accordi di Dayton che nel 1995 hanno posto fine alla guerra ha
riconosciuto Hadzici come parte della Federazione, molti dei serbi che
vi risiedevano se ne andarono a vivere in Republika Srpska. Molti di
loro vivono ora nella piccola città di Bratunac, nella Bosnia orientale.

IWPR si è recata a Bratunac. Anche se anche qui non erano a
disposizioni statistiche che testimoniassero l’incremento dei casi di
tumore i medici del posto hanno riportato molte evidenze aneddotiche.

Secondo Svetlana Jovanovic, medico presso l’ospedale di Bratunac, dal
1996 circa 650 dei 7.000 sfollati originari di Hadzici, sono morti e
sono stati seppelliti nel cimitero della città, che è andato presto
riempiendosi.

Secondo la Jovanovic, dopo aver esaminato i corpi, almeno 40 di questi
650 erano deceduti per cancro o leucemia.
“Se circa 7.000 persone si sono trasferite da Hadzici, possiamo stimare
che il tasso di tumori sia inusualmente alto comparandolo con i tassi
dell’intero Paese”, ha affermato la Jovanovic.

“Ma non abbiamo statistiche rilevanti da altri posti per fare confronti
ufficiali ed arrivare a qualche conclusione”.
Quello che è fuor di dubbio è che il tasso di mortalità a Bratunac è
molto superiore, nel complesso, a quello della Bosnia Erzegovina. Nel
2002 il tasso di mortalità era di 7.9 ogni mille abitanti. A Bratunac,
nel periodo che va dal 1996 al 2003, era di 11.9. Più persone muoiono a
Bratunac che nel resto della Bosnia Erzegovina. La domanda è perché.

Lo scetticismo sui rischi derivanti dall’uranio impoverito

Il rapporto UNEP del 2003 non entra nel merito sul rapporto tra DU e
casi di tumore. Citando la mancanza di informazione adeguata conclude
infatti che “a causa della mancanza di registri dei tumori in Bosnia le
affermazioni in merito ad un aumento dei casi di tumore legato
all’uranio impoverito non possono essere sostanziate”.

Anche gli scienziati dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità, OMS,
sono scettici sul fatto che l’uranio impoverito rappresenti un rischio
per la popolazione bosniaca.
“Dalle informazioni che abbiamo al momento non crediamo che i civili
siano in pericolo” ha affermato Mike Repacholi, coordinatore del
programma sulle radiazioni con base a Ginevra dell’OMS.

Ha ammesso, ciononostante, che la mancanza di ricerca rende in ogni
caso difficile trarre conclusioni. “Vi sono dei gap nella nostra
conoscenza e necessitiamo di ricerca specifica per fare una valutazione
migliore dei rischi per la salute”, ha affermato.

L’Autorità Internazionale sull’Energia Atomica, IAEA, ha adottato una
linea molto simile. Tiberio Cabianca, del dipartimento sulla pubblica
sicurezza dell’IAEA, ha preso parte alla missione investigativa di
dieci giorni dell’UNEP, nel 2002.
“Da un punto di vista radiologico la IAEA non considera l’uranio
impoverito una minaccia per la salute della popolazione civile in
Bosnia Erzegovina”, afferma.
“Dai nostri campioni abbiamo rilevato come le munizioni all’uranio
impoverito abbiano contaminato le scorte d’acqua ed abbiamo trovato
particelle di polvere d’uranio impoverito sospese in aria.
Ciononostante i livelli di contaminazione erano molto bassi e non
rappresentavano alcun rischio radioattivo diretto”.

In ogni caso Pekko Haavisto, dell’UNEP, tara queste conclusioni
ricordando il relativamente lungo lasso di tempo intercorso dal momento
dei bombardamenti, quando la contaminazione ha toccato il suo apice, al
momento di quest’indagine scientifica.

“Quando abbiamo effettuato il nostro studio di dieci giorni gli esperti
non hanno rilevato alcun rischio di impatto diretto sulla salute
pubblica. Ma questo è avvenuto nel 2002, e così non siamo in grado di
dire quale sia stato l’impatto sulla salute negli anni precedenti” ha
affermato. “Non abbiamo effettuato alcun test se non ad otto anni dal
bombardamento”.
“Il rapporto dell’UNEP è basato su una teoria che va per la maggiore
che afferma che l’uranio impoverito ha un impatto limitato sulla salute
al di fuori dell’area specifica di contaminazione. Ma c’è un gruppo di
esperti che ritiene che anche bassi livelli di radiazioni di uranio
impoverito possono avere gravi effetti, e per questo hanno criticato il
nostro rapporto”.

In disaccordo su come misurare la contaminazione

Alcuni scienziati affermano che il problema sta tutto nel metodo di
misurazione. Uno tra chi ritiene che l’uranio impoverito sia molto più
pericoloso di quanto si sia supposto è Chris Busby, del comitato del
Ministero della difesa britannico istituito per monitorare le questioni
legate all’uranio impoverito.
Il dottor Busby ha condotto i propri studi in un'altra area dove è
stato utilizzato il DU, il Kossovo. “L’UNEP afferma che piccole
quantità di uranio impoverito nell’aria non sono pericolose, ma non è
il caso del Kossovo” ha affermato ad IWPR aggiungendo che secondo lui
“hanno utilizzato i modelli di rischio sbagliati”.

“Il modello convenzionale di rischio è basato sul rapporto tra l’intero
organismo ed una particella di uranio impoverito” ha spiegato.

“Ma quando la particella di uranio impoverito viene inalata accade che
viene esposto a quest’ultima solo una minima parte di tessuto. Non
sull’intero organismo dovremmo calcolare i suoi effetti ma solo sulle
cellule direttamente colpite”.

Malcolm Hooper, professore emerito di chimica presso l’università di
Sunderlan concorda come questo sia un metodo migliore per misurare la
forza della contaminazione.
“L’uranio impoverito è un rischio per la salute della popolazione
civile perché le particelle di DU finiscono inizialmente nelle acque.
Poi, con il sole, la luce ed il caldo stimola nuovamente le particelle
che vengono sospese nuovamente nell’aria”, ha detto ad IWPR.

“Il rapporto dell’UNEP è poco credibile. Sono arrivati con sette anni
di ritardo ed i siti bombardati, quanto vi si sono recati, erano già
stati parzialmente decontaminati: i veicoli distrutti e la maggior
parte delle munizioni erano state rimosse”.

Infine il professor Hooper ha ricordato la controversia che riguarda i
militari italiani che sono stati in missione sia in Bosnia che in
Kossovo. Le prime ipotesi di un collegamento tra le morti per cancro e
l’uranio impoverito sono emerse proprio in seguito alle morti
misteriose di giovani soldati italiani che erano stati di servizio in
quelle terre.

La TV italiana l’ha subito chiamata la “sindrome dei Balcani” e la
stampa straniera ha ripreso la storia.

Le paure sull’uranio impoverito in Bosnia sono emerse quindi per la
prima volta nel dicembre del 2000, con la morte per cancro di Salvatore
Carbonaro, di 24 anni.

Carbonaro era il sesto veterano dei Balcani a morire di cancro e si
differenziava dai cinque precedenti perché era stato solo in Bosnia e
non in Kossovo.

Sino ad allora la NATO non aveva mai nemmeno ammesso di aver utilizzato
proiettili all’uranio impoverito in Bosnia. Ma nel dicembre del 2000 il
Ministro alla difesa italiano, Sergio Mattarella, ha ammesso che
l’Alleanza li aveva usati, aggiungendo di esserne stato solo allora
informato.

Mattarella ha poi ordinato un’inchiesta, guidata dal professor Franco
Mandelli, per investigare il potenziale collegamento tra l’incidenza di
tumori nell’esercito e l’uranio impoverito.

Uno dei membri del gruppo di Mandelli, il dottor Martino Grandolfo, ha
affermato ad IWPR di aver riscontrato un eccesso statistico di linfomi
di Hodgkin, una forma di leucemia.

“La percentuale di casi di linfoma di Hodgkin tra le truppe italiane
che sono state in Bosnia e Kossovo è più del doppio di quelli
riscontrati tra i soldati che sono rimasti in Italia”, ha affermato ad
IWPR “ma al momento non sappiamo perché questo avvenga”.

Nel luglio del 2004 erano arrivati a 27 i veterani italiani dai Balcani
morti per cancro ma chi si batte per i loro diritti afferma che la
cifra è addirittura più alta.

“Ci si aggira sui 32 o 33, ed il numero di veterani ammalati di cancro
è sul centinaio” ha affermato ad IWPR Falco Accame, ex ufficiale della
marina e ricercatore militare, che presiede l’Anavafaf, associazione di
veterani.

Le reazioni sdegnate dell’opinione pubblica ha obbligato il governo a
creare una commissione parlamentare presso il Senato sull’uranio
impoverito che dovrà compiere ulteriori indagini.

Ma Accame ha affermato ad IWPR che lo Stato, nonostante abbia pagato un
indennizzo alle famiglie dei militari morti, non ha riconosciuto alcun
legame tra queste morti e l’uranio impoverito.

“Come accade nel caso dei problemi di salute legati alle sigarette o
all’amianto, anche con l’uranio impoverito non possiamo essere certi
che ci sia correlazione con la morte dei soldati” ha aggiunto Accame
“quello con cui abbiamo a che fare qui sono solo probabilità”.

Ciononostante la non volontà di riconoscere ufficialmente alcun legame
tra DU e cancro potrebbe cambiare.

In una sentenza molto significativa, nel luglio 2004, una corte di Roma
ha ordinato al ministero per la difesa di risarcire con 500.000 euro la
famiglia di Stefano Melone, un veterano dei Balcani morto di cancro nel
2001.

La corte ha dichiarato che Melone è morto “in seguito all’esposizione a
sostanze radioattive e cancerogene” ed ha elencato l’uranio impoverito
tra queste.

La vedova del soldato deceduto, Paola Melone, ha affermato ad IWPR che
quest’ultimo è stato “un caso storico” aggiungendo che una corte civile
ha ora “riconosciuto che l’uranio impoverito è un agente cancerogeno
l’ha elencato in una lista di possibili cause” della morte di suo
marito.

“Questo caso costituisce un precedente e stiamo organizzando una
conferenza qui in Italia, a favore di altre famiglie di veterani o
deceduti, per aiutarle nei casi giudiziari che hanno in corso”, ha
aggiunto.

In Bosnia, si continua a morire

Ritornando in Bosnia non si parla di casi giudiziari, commissioni
parlamentari e bonifiche.

Mentre il dibattito divampa in Italia su cause ed effetti, la gente
locale in Bosnia continua ad affermare che molte persone muoiono
inspiegabilmente.

Ahmed Fazlic-Ivan, vice-presidente del distretto di Grivci, vive a 300
metri dal deposito per carri armati bombardato.
“Siamo venuti a conoscenza dell’uranio impoverito nel 2002, quando sono
arrivati qui gli ispettori dell’ONU”, ha affermato ad IWPR.

“Mio padre è morto di un tumore ai polmoni nel marzo di quest’anno. Vi
sono 700 persone che vivono a Grivci e 56 di questi sono morti negli
ultimi due anni, molti dei quali di cancro o diabete”.

“Qui diciamo spesso che Aezrael, l’angelo della morte, è venuto a
Grivci e che porterà via tutti”.


Vedi anche:
Uranio impoverito: animali con otto zampe
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/3190
Uranio Impoverito: tutto da rifare
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/3269
Uranio impoverito: si faccia chiarezza
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/2659
Uranio impoverito, gli errori di Mandelli
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/258

BND-Mann an UCK-Spitze

[ Un agente del servizio segreto militare tedesco BND ha tirato le fila
dei pogrom antiserbi scatenati a Prizren ed Urosevac, in Kosovo, lo
scorso marzo, nei quali hanno perso la vita 19 persone e molte migliaia
sono state costrette all'esilio. Si tratta di Samedin Xhezairi, già
attivo anche nella destabilizzazione della Macedonia in stretta
collaborazione con le truppe USA.
I terroristi albanesi, intanto, preparano nuove offensive per
completare la pulizia etnica del territorio.
Questo articolo di Juergen Elsaesser appare oggi sul quotidiano
berlinese Junge Welt (speriamo di poterne fornire presto una traduzione
italiana: i volontari sono esortati a farsi avanti subito!).
L'informazione, che "è stata trasmessa a Junge Welt da un servizio
segreto occidentale", sta però già circolando con insistenza anche
sulle principali reti televisive tedesche.

Elsaesser è l'autore di "Menzogne di guerra. Le bugie della NATO e le
loro vittime nel conflitto per il Kosovo" (Ed. La Città del Sole,
Napoli 2002):
https://www.cnj.it/INIZIATIVE/elsaes2004.htm

Sulla complicità dei militari tedeschi nei pogrom dello scorso marzo
vedi anche:
The Cowards of Kosovo (by David Binder)
http://news.serbianunity.net/bydate/2004/May_27/9.html?w=p
Der Spiegel: THE RABBITS OF KOSOVO / DIE HASEN VOM AMSELFELD / ZECEVI
SA KOSOVA
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3532

nonche' il messaggio che invieremo di seguito questo.
(a cura di IS) ]


### 1. BND-Mann an UCK-Spitze
(junge Welt, 19.11.2004 - Jürgen Elsässer, Belgrad)

### 2. Blutiger Weltmarkt
(german-foreign-policy.com - 28.05.2004)

### 3. Im Kosovo Pogrome gegen Serben: Ist die Bundeswehr schuldig? Ein
Interview mit Bischof Artemije
(Junge Welt, 6/5/2004 - Jürgen Elsässer, Belgrad)


=== 1 ===

http://www.jungewelt.de/2004/11-19/001.php

junge Welt, 19.11.2004

Jürgen Elsässer, Belgrad

BND-Mann an UCK-Spitze

Agent des deutschen Geheimdienstes zog bei den antiserbischen Pogromen
im Kosovo im März die Fäden. Albanische Terroristen bereiten neue
Offensive vor


Ein bezahlter Agent des Bundesnachrichtendienstes (BND) war einer der
Hauptorganisatoren der Pogrome, die im Kosovo am 17. und 18. März
dieses Jahres nach offiziellen UN-Angaben 19 Menschen das Leben
gekostet haben.

Es handelt sich um Samedin Xhezairi, der in der Untergrundarmee UCK
unter dem Kriegsnamen Kommandant Hodza firmiert. Der Mann lebte und
arbeitete jahrelang als Medizinisch-Technischer Assistent in Österreich
und schloß sich nach Ausbruch des bewaffneten Konflikts im Kosovo
1997/98 der UCK an. Er kämpfte zunächst in der 171. UCK-Brigade gegen
die Serben. Nachdem dieser Krieg mit Hilfe der NATO 1999 gewonnen war,
wechselte Xhezairi über die Grenze und nahm im Frühjahr 2001 im Rahmen
der 112. Brigade am UCK-Aufstand in Mazedonien teil. Dort war er im
Raum Tetovo Kommandant einer Einheit, der auch ausländische
Gotteskrieger angehörten. Als diese Einheit im Juni 2001 von der
mazedonischen Armee bei Aracinovo eingekesselt wurde, half die US-Army
und flog die Truppe aus. Neben Xhezairi und seinen Mudschaheddin
befanden sich auch 17 US-Militärberater unter den Geretteten.

NATO-Quellen bezeichnen Xhezairi als Bindeglied zwischen UCK und Al
Qaida. Sein Auftrag sei der Aufbau einer »Armee Allahs« in der
Krisenprovinz. Jedenfalls soll der Albaner schon in Afghanistan und
Tschetschenien gekämpft haben, und seine Telefonnummer wurde bei einem
festgenommenen Al-Qaida-Verdächtigen gefunden.

Daneben ist Xhezairi Koordinator eines geheimen Netzes, das Angehörige
der formell aufgelösten UCK geknüpft haben, die heute im
Kosovo-Schutzkorps und der Kosovo-Polizei – zwei von UNO und NATO
genehmigten Organisationen – ihren Dienst verrichten. Über dieses Netz
wurden die Pogrome im März gesteuert. Xhezairi befehligte den
terroristischen Mob in Prizren und Urosevac.

Nach eigenen Angaben steht Xhezairi »auf der Gehaltsliste des BND, der
CIA und eines österreichischen Geheimdienstes«. Von drei Personen kann
überdies bezeugt werden, daß der BND durch Telefonüberwachung im voraus
wußte, daß Xhezairi und seine Leute im März zuschlagen würden. Diese
Aussagen, die junge Welt von einem westeuropäischen Nachrichtendienst
zugespielt wurden, gingen auch an andere deutsche Medien und sollen in
Kürze öffentlich dokumentiert werden.

»Ich kann jederzeit 30000 Leute mobilisieren. Wir müssen nicht auf das
nächste Frühjahr warten, um wieder anzugreifen«, behauptet Xhezairi
demnach. Daß dies nicht nur leere Worte sind, beweist die von einem
Augenzeugen bestätige Ankunft neuer hochmoderner Waffen in der
Krisenprovinz. Demnach sollen Albaner in den letzten Wochen allein 15
Scharfschützengewehre vom Typ G-22 nach Prizren geschmuggelt haben, wo
sich die Kommandantur des deutschen Kontingents der sogenannten
Kosovo-Schutztruppe KFOR befindet. »Mit dem G-22 kann man einem Spatzen
auf 1500 Meter das Gehirn herausschießen«, sagen Fachleute. Von
weiteren 50 Stück im Besitz der UCK will die Quelle gehört haben. Die
Präzisionswaffe der britischen Firma Accuracy International Ltd. wird
erst seit 1997 hergestellt. Zu den Empfängern der ersten 50 Exemplare
gehörten damals die Krisenreaktionskräfte (KSK) der Bundeswehr.

»So, wie die albanischen Terroristen im Augenblick ausgerüstet sind,
hätte die KFOR bei einer neuen Offensive keine Chance – von den Serben
ganz abgesehen«, kommentiert Mira Beham in der am heutigen Freitag
erscheinenden Ausgabe des Belgrader Wochenmagazins NIN.


=== 2 ===

http://www.german-foreign-policy.com/de/news/article/1085731577.php

28.05.2004

Blutiger Weltmarkt

BERLIN (Eigener Bericht) - Der Generalinspekteur der Bundeswehr hat zur
ständigen militärischen Einsatzbereitschaft aufgerufen. Die deutschen
Soldaten müssten weltweit abrufbar sein und bei ,,(s)chnelle(r)
Verfügbarkeit ohne lange Vorbereitungszeit für häufige langdauernde
Einsätze" bereitstehen. Wehrpflichtige Zivilisten sollten besser
,,erfasst" werden, um ihre Fähigkeiten in diesen Kriegen zu nutzen,
sagte General Schneiderhan. Sein militärischer Aufruf erging kurz vor
einem deutschen Parlamentsbeschluss, der die weitere Besetzung des
Kosovo verfügte.


Laut General Schneiderhan durchläuft die Bundeswehr einen
,,Transformationsprozess"1), der auf ,,friedenserzwingende Einsätze"
in sämtlichen Weltgegenden zielt. Hierfür sei eine ,,ergänzende
Ausbildung im Bereich des klassischen Gefechts" erforderlich, in das
sämtliche Teilstreitkräfte einbezogen werden müssen. Bereits
Wehrpflichtige im Grunddienst hält Schneiderhan für gefechtsfähig, da
sie als ,,Nachschubhelfer (...) der Jagdbombergeschwader" oder bei
Raketenangriffen auf fremdes Staatsgebiet ,,an Radargeräten (...) in
der Feuerleitgruppe" Dienst tun können.

Dschungel, Berge, Wüste

Man müsse sich auf weitere ,,Einsätze der Qualität wie auf dem Balkan,
in Afghanistan, am Horn von Afrika, in der Straße von Gibraltar oder in
Georgien" vorbereiten, sagte Schneiderhan in Gegenwart des deutschen
Verteidigungsministers. Gegenwärtig üben Spezialkräfte der Bundeswehr
bewaffnete Operationen ,,in allen Klimazonen der Erde"2) und sind
deswegen ,,von Französisch-Guayana (Dschungel) über Norwegen (Berge)
bis Arizona (Wüste)" in Ausbildungslagern tätig.

Menschenrechte

48 Stunden nach der Rede des deutschen Generalinspekteurs beschloss das
Berliner Parlament die Verlängerung des Bundeswehreinsatzes im Kosovo
(,,Sicherheitspräsenz"). Dem Regierungsantrag stimmten sämtliche
Parteien zu, ohne ein Abzugsdatum zu nennen. Stattdessen wird die
Stationierung an Entscheidungen des NATO-Rats gebunden. Das
Militärbündnis hatte die Bundesrepublik Jugoslawien vor fünf Jahren
überfallen, angeblich um ,,Menschenrechtsverletzungen" zu ahnden.
Seitdem ist es den Besatzungstruppen nicht gelungen, die von ihnen
behaupteten Ziele (,,multi-ethnische Gesellschaft", ,,Demokratie") im
Kosovo auch nur annähernd zu realisieren.

Modell

Wurde die Stationierung deutscher Soldaten anfänglich mit humanitärer
Sorge um die albanischstämmige Bevölkerung des Kosovo begründet, so ist
es jetzt die humanitäre Sorge um die serbischstämmige Bevölkerung. Der
Austausch altruistischer Vorwände gehört zum Standardrepertoire
kolonialer und neokolonialer Militärpolitik. Tatsächlich herrschen im
Kosovo völkischer Nationalismus und Oligarchie. In die weit verbreitete
Kriminalität (darunter Kinderprostitution und Drogengeschäfte) sind
auch deutsche Soldaten verwickelt.3). Laut General Schneiderhan beruht
ihre Ausbildung auf einem ,,Modell", das sich ,,Tag für Tag" als
,,erfolgreich" erweise und ,,auf dem Weltmarkt" bestehen kann.4)


1) ,,Sicherheit geht uns alle an: Zukunftsmodell Wehrpflicht". Vortrag
des Generalinspekteurs der Bundeswehr General Wolfgang Schneiderhan bei
der Wehrpflichttagung des Beirates Innere Führung am 25.05.2004 in
Berlin.
2) Einfach Elite; Die Welt 27.05.2004
3) s. dazu Soldatenleben
[http://www.german-foreign-policy.com/de/news/article/1085008606.php%5d
4) ,,Unser Modell ist kein Auslaufmodell, denn mit Auslaufmodellen ist
man nicht so erfolgreich auf dem Weltmarkt wie wir es Tag für Tag
sind." In: ,,Sicherheit geht uns alle an: Zukunftsmodell Wehrpflicht".
Vortrag des Generalinspekteurs der Bundeswehr General Wolfgang
Schneiderhan bei der Wehrpflichttagung des Beirates Innere Führung am
25.05.2004 in Berlin.

Quellen:
Einfach Elite; Die Welt 27.05.2004
,,Sicherheit geht uns alle an: Zukunftsmodell Wehrpflicht". Vortrag des
Generalinspekteurs der Bundeswehr General Wolfgang Schneiderhan bei der
Wehrpflichttagung des Beirates Innere Führung am 25. Mai 2004 in
Berlin; www.bmvg.de

Informationen zur Deutschen Außenpolitik
© www.german-foreign-policy.com

=== 3 ===

www.jungewelt.de

Junge Welt, 6/5/2004

Im Kosovo Pogrome gegen Serben:
Ist die Bundeswehr schuldig?

Artemije ist seit 1990 der Bischof der serbisch-orthodoxen Kirche für
Kosovo und Metohijen. Obwohl er in der Milosevic-Ära im Westen als
Regimekritiker eifrig hofiert wurde, hat sich sein internationales
Gewicht nach dessen Sturz verringert. Für die Kosovo-Serben ist er
hingegen wichtiger als die Belgrader Regierung.


F: Die Ereignisse im Kosovo Mitte März wurden in der deutschen Presse
in der Regel als „interethnischer Konflikt“ dargestellt. Stimmt das?

Nein, es war eine ethnische Säuberung. Albanische Extremisten und
Terroristen versuchten mit einer flächendeckenden Offensive, Serben und
andere Minderheiten aus der Provinz zu vertreiben. Innerhalb von zwei
Tagen wurden 850 Menschen verletzt, darunter 65 Angehörige der
NATO-geführten Kosovoschutztruppe KFOR und der UN-Polizei. 500
serbische Häuser wurden angezündet und 35 Kirchen und Klöster, viele
davon waren geschützte Kulturdenkmäler aus dem Mittelalter.

F: Die KFOR spricht von acht toten Serben und 11 getöteten Albanern in
diesen zwei Tagen. Das sieht nicht aus wie ein einseitiges Pogrom der
albanischen Seite.

Das stimmt nicht. Nach unseren Zählungen wurden 12 Serben und ein
französischer KFOR-Soldat von den Albanern ermordet. Es ist Tatsache,
daß auch 15 Albaner getötet wurden, aber nicht von den Serben, von uns
hat nämlich keiner Waffen, sondern von der KFOR oder der UN-Polizei.
Die mußten manchmal in Notwehr schießen, um den Mob zu stoppen.

F: In der aktuellen Ausgabe des Spiegel werden die deutschen Soldaten
als die „Hasen vom Amselfeld“ bezeichnet. Die Bundeswehr sei vor den
albanischen Gewalttätern geflüchtet, klagen selbst deutsche
UN-Polizisten.

Ich halte mich gerade in Deutschland zu Gesprächen mit Partei- und
Regierungsvertretern auf. Ich möchte die Gastfreundschaft der Deutschen
nicht mißbrauchen, um Anklagen vorzubringen. Zunächst sind wir dankbar,
daß die deutschen Soldaten unsere Mönche in Sicherheit gebracht haben.
Aber bitte betrachten Sie die Fakten in Ihrer Gesamtheit: In Prizren,
wo die Kommandantur der deutschen Zone ist, wurden sämtliche Kirchen
und Klöster verbrannt, darunter mein Amtssitz, sowie alle serbischen
Häuser. Für uns ist Prizren nun eine tote Stadt. Die deutschen Soldaten
sind bei der Ankunft des albanischen Mobs abgezogen und haben keinen
Versuch gemacht, unsere Gebäude zu schützen. Es wurde kein einziger
Schuß abgegeben, nicht einmal in die Luft.

F: Wie sieht die Bilanz im übrigen Kosovo aus, wo Soldaten anderer
NATO-Staaten eingesetzt waren?

Besser. Allein in Prizren konnten die Terroristen 12 Kirchengebäude
zerstören, aber in der gesamten italienischen Zone kein einziges und in
der Hauptstadt Pristina lediglich eines. Die französische KFOR
verteidigte in Mitrovica das serbische Stadtviertel gegen das
Eindringen einer gewalttätigen Menschenmasse. Auch die US-amerikanische
KFOR ging sehr entschlossen beim Schutz unsere Siedlungen in Caglavica
und Gradjanica vor.

F: Haben Sie noch Vertrauen in die UN-Verwaltung und die KFOR?

Das Pogrom im März war ja nur der Höhepunkt einer Entwicklung, die es
seit dem Kriegsende im Juni 1999 gibt. In dieser Zeit wurden zwei
Drittel der serbischen Bevölkerung vertrieben, 250 000 Menschen. 90 000
serbische Häuser wurden verbrannt, außerdem 115 Kirchen und Klöster.
Diese Kulturdenkmäler haben die Jahrhunderte der Türkenherrschaft
überstanden und die Schrecken des Zweiten Weltkrieges – aber jetzt, im
von der KFOR garantierten Frieden, gingen sie in Flammen auf. Über 1300
Menschen wurden umgebracht, weitere 1300 entführt, ihr Verbleib ist
unbekannt – aber KFOR und UN haben keinen einzigen Täter vor Gericht
gebracht. Da ist es schwer mit dem Vertrauen.

F: Was ist zu tun?

Ohne die Rückkehr der Vertriebenen wird das Kosovo ein ethnisch reines
Gebiet, Zutritt nur für Albaner. Aber UN und KFOR tragen nichts zur
Wiederansiedlung bei. Deswegen kehrten in den letzten Jahren nur 1000 –
2000 Serben in die Provinz zurück. Auch nach den Pogromen im März hat
man uns große Versprechungen gemacht, etwa über den Wiederaufbau der
zerstörten Kirchen und Häuser – aber es ist genauso wenig passiert wie
vorher.

F: Wünschen Sie die Stationierung von 1000 serbischen Polizeikräften,
wie es auch die UN-Resolution 1244 vorsieht?

Diese Resolution ist im Juni 1999 verabschiedet worden und verpflichtet
die UN-Verwaltung und die KFOR zur Entwaffnung der Gewalttäter und zum
Schutz der Minderheiten. Das ist bisher nicht passiert. Deswegen muß
die UN-Resolution jetzt endlich in ihrer Gesamtheit umgesetzt werden.

Interview: Jürgen Elsässer

(english / italiano)

Atene 17 Novembre

1. 6.000 AGENTI PER MANIFESTAZIONE 31 ANNI POLITECNICO (ANSA)

2. Thousands of Greek students in anti-American demo

ALMENO 20MILA MANIFESTANO AD ATENE CONTRO GLI USA E CONTRO LA NATO

3. GRECIA: UE DATI FALSI,MA SU EURO NON SI TORNA INDIETRO/ANSA


=== 1 ===

GRECIA: 6.000 AGENTI PER MANIFESTAZIONE 31 ANNI POLITECNICO

(ANSA) - ATENE, 16 NOV - Circa 6.000 agenti saranno schierati sin dalle
prime ore di domani per garantire l'ordine pubblico al centro di Atene,
dove un'imponente manifestazione ricordera' il 31/mo anniversario della
rivolta studentesca del Politecnico, repressa nel sangue dalla
dittatura dei colonnelli allora al potere, ma che diede il via a una
serie di eventi che portarono dopo circa un anno al ritorno della
democrazia in Grecia. La marcia partira' dall'Universita' intorno alle
14:00 e si dirigera' all'ambasciata Usa, per ricordare il sostegno dato
da Washington al colpo di Stato del 1967. La polizia sorveglia da
giorni la zona dell'Universita', perche' - oltre alla ricorrenza della
rivolta - altre circostanze rendono a rischio il corteo di quest'anno.
Non solo, infatti, prosegue la presenza militare americana in Iraq
contro la quale i militanti 'no global' sono molto attivi, ma lo scorso
4 novembre, poche ore dopo l'annuncio della vittoria elettorale con cui
il presidente Usa George W. Bush si e' aggiudicato un secondo mandato
alla Casa Bianca, il governo di Washington ha reso noto di aver
approvato la denominazione di 'Macedonia' - da 13 anni al centro di
un'aspra contesa con la Grecia - per definire l'ex Repubblica jugoslava
di Macedonia nota dal 1993 con l'acronimo inglese di Fyrom (Former
Yugoslav Republic of Macedonia) e come tale riconosciuta a livello
internazionale. Immediata e' stata la reazione irritata della Grecia
che sin dal 1991, anno in cui si dissolse la Federazione jugoslava, si
era opposta alla concessione alla Fyrom del nome Macedonia, che
definisce la storica regione nel Nord del Paese patria del famoso
Alessandro il grande. Per tale motivo la polizia teme che elementi di
destra o anarchici possano infiltrarsi nella manifestazione per
compiere provocazioni e causare scontri tra i dimostranti. (ANSA). MRR
16/11/2004 14:22


=== 2 ===

http://www.turkishpress.com/news.asp?ID=33995

Agence France-Presse - November 17, 2004

Thousands of Greek students in anti-American demo


ATHENS - Thousands of Greek students demonstrated
against the United States here Wednesday, chanting
slogans slamming the US-led assault on the Iraqi
insurgent stronghold of Fallujah and against Israel.

In the demonstration, part of a traditional march in
downtown Athens to commemorate a 1973 student uprising
against Greece's then military regime, protesters
shouted "Hands off Fallujah," "Americans Killers of
People" and "Bush, Sharon, Killers of People."

Police estimated the crowd at 13,000, while an AFP
correspondent put the figure nearer to 20,000.

Demonstrators placed mock coffins in front of the US
embassy with inscriptions in Arabic and Greek reading
"No to NATO and European Army," "People Demand that
Americans Leave."
....
Police deployed around 6,000 officers to protect key
buildings, including special police guards at the US
and British embassies.

Many Greeks blame the United States for having
engineered the military junta's rise in 1967. The
November 17, 1973, student protest presaged the
regime's collapse a year later.

The students marched from the city's Polytechnic
university, where the 1973 uprising took place, to the
US embassy.

Demonstrators threw stones at police, and 21 people
were arrested, police said.

A French freelance press photographer said he was
attacked by demonstrators, adding that he was not
injured but his equipment was destroyed.

Demonstrators included members of Greece's left-wing
parties, emigre Kurds, members of the
anti-globalisation Social Forum....


=== 3 ===

GRECIA: UE DATI FALSI,MA SU EURO NON SI TORNA INDIETRO/ANSA

(ANSA) - BRUXELLES, 15 NOV - Sulla Grecia e la moneta unica non si
torna indietro. L'adesione di Atene all'euro non puo' essere messa in
discussione alla luce dell'annuncio secondo cui nel 1999 il disavanzo
pubblico del Paese superava il limite fissato dal Trattato di
Maastricht: per una simile decisione, non ci sono le basi legali. E'
questo il messaggio che, in vista delle riunione dell'Eurogruppo e
dell'Ecofin di Bruxelles, ha lanciato oggi Gerassimos Thomas, portavoce
del Commissario agli Affari politici e monetari, Joaquin Almunia. ''Non
c'e'la base giuridica per rimettere in discussione'' l'ingresso della
Grecia alla zona euro, ha dichiarato oggi Thomas. ''La decisione fu
assunta sulla base di rapporti di convergenza positivi elaborati su
cifre che si basavano su un metodo statistico applicato a quel
momento'', ha spiegato Gerassimos Thomas. ''La decisione non puo'
essere rivista''. Proprio oggi, il ministro greco dell'Economia e delle
Finanze, Georges Alogoskoufis, ha ammesso comunque che nel 1999 - anno
determinante per il si' all'ingresso della Grecia nella zona euro - il
deficit pubblico del paese superava il limite del 3% del prodotto
interno lordo (Pil). Un'ammissione che segue la decisione di fine
settembre del governo conservatore di riconoscere che il deficit greco
aveva superato sistematicamente il limite del 3% nel periodo 2000-2004,
gettando quindi dubbi sull'affidabilita' dei dati forniti dalla Grecia
per meritare l'ingresso nella zona euro. Lo stesso Alagoskoufis, pero',
aveva fornito rassicurazioni sui dati relativi al periodo 1997-1999,
quelli presi in considerazione per ottenere il nullaosta dell'allora
Ue-11 (la decisione del suo ingresso nella moneta unica fu presa dai
leader europei nel giugno del 2000). Non a caso, la Grecia e' nel
mirino della Commissione Ue e di Eurostat per aver presentato dati di
bilancio erronei a Bruxelles, nel corso di vari anni. Secondo un
documento, ancora ufficioso, Atene avrebbe dato cifre non
corrispondenti alla realta' fin dal 1998. Per il momento, ha affermato
da parte sua Thomas, ''a questo punto non e' stata presa ancora alcuna
decisione'' su eventuali sanzioni contro la Grecia che la Commissione
potrebbe proporre per la pubblicazione dei dati errati. Una questione,
questa, ha aggiunto, che verra' ulteriormente presa in esame dalla
Commissione e dai ministri delle Finanze dell'Ue. Infatti, all'ordine
del giorno dell'Eurogruppo di questa sera c'e' anche l'esame dei
bilanci greci per il periodo 1997-1999 e in particolare la
presentazione del documento preparato in materia dagli esperti di
Eurostat. La seconda missione dell'ente statistico europeo in Grecia e'
terminata con la conferma che le autorita' greche hanno inviato a
Bruxelles dati di bilancio erronei fin dal 1998. In quell'anno il
deficit/Pil sarebbe stato al 4,1% e non al 2,4%, come indicato e nel
1999, il disavanzo sarebbe stato al 3,4% e non all'1,8% come risulta
dai dati ufficiali. Nella sua prima missione, due mesi fa, Eurostat
aveva gia' confermato che dal 2000 al 2003 Atene aveva superato la
soglia del 3%, a causa di errori statistici dovuti in modo principale
ad una sbagliata valutazione delle spese militari, dei fondi per la
sicurezza sociale e delle entrate Iva. (ANSA). CB
15/11/2004 17:00