Informazione

Quelli che vogliono squartare la Russia (3)

1. I mandanti involontari degli attentati terroristici siedono nelle
redazioni dei giornali occidentali
“Hanno di nuovo ammazzato dei russi? Ovviamente, è colpa di Putin”
(Oleg Rjazanov, Pravda.ru - traduzione di Mark Bernardini)

2. Beslan, Basaiev rivendica: "Nella scuola siamo stati noi"
(Repubblica on line 17/9/2004)

3. Le mille fidanzate di Allah
«In Russia le attentatrici cecene di solito non si uccidono da sole.
Vengono fatte saltare in aria a distanza. Le uccidono da vigliacchi»
(Marina Forti, il manifesto - 03 Settembre 2004)


=== 1 ===

THE ORIGINAL TEXT, IN ENGLISH:
Editors of Western newspapers order terrorist acts unintentionally
(by Oleg Ryazanov)
http://english.pravda.ru/world/20/91/365/14107_tragedy.html

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I mandanti involontari degli attentati terroristici siedono nelle
redazioni dei giornali occidentali

07.09.2004 17:51

Sulle pagine di “PRAVDA.Ru” prosegue la discussione sull’atteggiamento
preconcetto della stampa e degli ambienti politici occidentali nei
confronti del problema del terrorismo in Russia. Le recenti
dichiarazioni del ministro degli esteri olandese, che ha preteso
spiegazioni dal governo russo in merito alla tragedia di Beslan, hanno
suscitato un’esplosione di emozioni. Successivamente, sono apparse
delle note in cui si affermava che le parole del ministro erano state
travisate e non aveva preteso alcunchè. Sarà... Ma allora come
interpretare le parole del primo ministro francese Jean-Pierre
Raffarin, che ha preteso dalla Russia le “necessarie informazioni” sui
fatti di Beslan? O le affermazioni del capo del ministero degli esteri
ceco, Kiril Svoboda: “Abbiamo il diritto ed il dovere di chiedere cosa
vi sia accaduto”? Quindi, probabilmente non è solo questione del
ministro olandese…

Per i giornalisti occidentali gli attentati terroristici sono un’ottima
occasione per raccontare della crudeltà di Putin.  I mandanti
involontari degli attentati terroristici siedono nelle redazioni dei
giornali e negli uffici dei difensori dei diritti dell’uomo.

L’obiettivo principale del grande gioco dei terroristi è proprio la
prevedibile reazione dei mass media occidentali. I terroristi hanno
compreso da un pezzo che dopo ogni loro sortita sanguinosa i
giornalisti europei e statunitensi, come i “cani di Pavlov”, daranno
una nuova bordata di critiche all’indirizzo della Russia: “Hanno di
nuovo ammazzato dei russi? Ovviamente, è colpa di Putin”.

Il primo ministro olandese ha preteso che gli si spieghi come sia stata
possibile la tragedia di Beslan? Ma poteva accadere anche nella
fortunata Olanda, se per vicini avesse la Cecenia anzichè il Belgio...

L’obiettivo dei terroristi gregari è quello di ammazzare più russi
possibile. Lo scopo dei capi terroristi è quello di fare della Russia
un Paese reietto, un paria.

Nelle pubblicazioni occidentali scrivono dei desaparecidos in Cecenia.
Quanti di questi in realtà si sono uniti ai banditi? Chi può dimostrare
il contrario? Cosa ci si deve attendere in generale da dei parenti, a
parte la versione secondo cui il figlio o la figlia sono stati rapiti
dai russi? Qualcuno ha contato quanti pacifici ceceni negli ultimi
quattro anni sono morti per mano dei guerriglieri? Quali azioni compie
attualmente la Russia, che permettano di affermare che prosegue la
linea dura nei confronti della Cecenia? Sono finiti i bombardamenti e
le bonifiche, è sempre più la polizia cecena a combattere contro i
banditi. Persino dopo gli attentati terroristici più sanguinosi non
sono previste operazioni militari in Cecenia. Chiunque conosca almeno
un minimo la situazione cecena, capisce che la Russia punta sul
trasferimento graduale del potere ai ceceni.

L’Occidente ritiene che la motivazione che spinge i terroristi ad
uccidere sia la vendetta per i parenti morti. Come reagirà l’Occidente
quando a vendicarsi saranno i russi che hanno perso i propri cari in
attentati terroristici? A Budnovsk più di 150 abitanti pacifici, 129 al
“Nord-Ost”, più di 400 in Ossezia, e così via, le esplosioni di Mosca e
di Kaspijsk, la morte di militi e poliziotti...

L’Occidente preme affinchè si faccia entrare la Russia nel club degli
Stati civili, quindi deve comportarsi conseguentemente. La massa
predominante della popolazione russa non percepisce affatto alcun
vantaggio ad essere amici dell’Occidente. In compenso ricorda bene che
con i comunisti tempo un mese si sarebbero regolati i conti con i
terroristi, senza alleati della NATO.

Supponiamo che la Russia rinunci al diritto di essere membro del
Consiglio d’Europa e si ponga come obiettivo prioritario quello di
fermare il terrorismo con ogni mezzo. C’è forse in Europa qualcuno che
dubita del fatto che il loro alleato USA abbandonerebbe ogni norma
internazionale se si dovesse porre la questione di salvare la vita a
degli americani? E allora perchè alla Russia si propongono regole del
gioco diverse?

La “guerra per l’indipendenza” della Cecenia viene condotta da persone
che si distinguono per rara crudeltà e perfidia. E risulta sempre più
difficile distinguerli dai nazisti di Hitler. Sono solo più fanatici e
meno istruiti. Affermano di essere per il popolo ceceno. Chi possono
difendere dei mascalzoni che prendono in ostaggio dei bambini? Che
mente e che coscienza può avere chi appoggia questa feccia, la nasconde
e le fornisce scorte?

La risposta vien spontanea: lo può fare solo un mascalzone come loro.

Che Stato costruiranno quelli che in Occidente vengono chiamati
ampollosamente “insorti”? La Svizzera cecena, la Gran Bretagna cecena,
la Turchia cecena, o l’Afghanistan dei talebani? Previsioni?

Su cosa poggerà l’economia cecena? Sull’economia dell’odiata Russia?
Sugli aiuti umanitari occidentali? Sui soldi di Bin Laden? Sulle
riparazioni di guerra imposte alla Russia? Sul commercio d’armi e sulla
fabbricazione di dollari falsi?

Non c’è nessun presupposto per il quale se la Russia dovesse accettare
lo scenario che le viene proposto dai critici occidentali, gli
attentati terroristici cesseranno. Che condizioni deve accettare la
Russia affinchè non la facciano più esplodere? Ritirare le truppe?

Gli USA, al contrario, per prevenire gli attentati terroristici hanno
mandato le truppe in Afghanistan ed in Iraq. In dei territori che
giuridicamente non fanno parte degli Stati Uniti. Ed hanno nominato dei
governanti senza alcuna libera elezione, oltretutto leali al cento per
cento nei confronti degli USA. La legittimità di Hamid Garzai è ben più
discutibile di quella di Alchanov, eletto con votazione diretta.

I consigli dei parlamentari e dei mass media occidentali possono
rendere schizofrenico il governo russo. Da quest’ultimo si pretende
contemporaneamente di trattare con i terroristi e ciononostante di non
dare loro alcuna possibilitа di ammazzare cittadini russi. Cioè,
eliminare con successo coloro con i quali bisogna mettersi d’accordo.

L’Occidente ritiene in generale che le trattative siano la panacea per
ogni cosa. Ma con chi si può trattare in Cecenia? Con Maschadov? Già
prima della seconda guerra cecena gli uomini di Gelaev hanno assaltato
il palazzo presidenziale di Maschadov ed hanno massacrato la sua
scorta. In realtà Maschadov è semplicemente un personaggio decorativo
che conoscono in Occidente. La sua influenza è misera ed un patto con
lui non avrà alcun valore reale [SI NOTI IL PARALLELO POSSIBILE CON
IBRAHIM RUGOVA IN KOSMET, ndCNJ]. Alla prova dei fatti, di quei
separatisti guerriglieri moderati di cui va parlando l’Occidente, ormai
non ce n’è più. Da un pezzo la schiacciante parte dei sostenitori di un
tempo di Maschadov o ha deposto le armi, o combatte dalla parte della
Russia.

L’Occidente deve anche capire che a governare la Cecenia non sarà chi
vince le elezioni, ma chi sarà appoggiato dal raggruppamento meglio
armato e più abile in combattimento. Basaev? Per molti in Europa Basaev
è una sorta di Garibaldi ceceno.  Per la Russia, invece, è il Bin Laden
ceceno...

Perchè l’Occidente boicotta l’attuale governo ceceno? Teme la vendetta
dei terroristi? La buonanima di Kadyrov ed il Presidente fresco di
elezione Alchanov sono ben più vicini alla civiltà che non i vari
signori della guerra che combattono contro la Russia.

Magari l’Occidente finalmente capirà che la guerra in Cecenia non è
solo quella della Russia contro i separatisti. E’ da un decennio che
c’è una guerra civile, in cui la parte più civile della società cecena
si contrappone all’impeto dell’oscurantismo.

Chi vorrebbe vedere vincitore l’Occidente?

...Ho un’immagine davanti agli occhi, una foto ricordo. Al centro un
uomo vestito di tutto punto, sembrerebbe un europeo, uno istruito. Lo
tengono per le spalle ai due lati due guerriglieri barbuti in tuta
mimetica. Davanti a tutti c’è un bambino. Uno dei guerriglieri gli
punta alla schiena il mitra. L’europeo tiene sopra la testa un
cartello: “La Russia spieghi come è potuto accadere”.


Oleg Rjazanov

(traduzione di Mark Bernardini, revisione del testo a cura del CNJ)

PRAVDA.Ru


=== 2 ===

www.repubblica.it
da Repubblica on line 17/9/2004

Messaggio del leader indipendentista ceceno su Internet
"L'operazione è costata 8.000 euro. Non mi finanzia bin Laden"

Beslan, Basaiev rivendica - "Nella scuola siamo stati noi"

"Nostri anche la strage a Mosca e i due aerei caduti"
Il sito è quello usato di solito dai guerriglieri


MOSCA - Il leader separatista radicale ceceno Chamil Basaiev ha
rivendicato l'azione terroristica nella scuola di Beslan,
nell'Ossezia del Nord e la serie di attentati che ha colpito la
Russia, dalla strage alla metropolitana di Mosca agli attentati a due
aerei di linea lo scorso agosto. La rivendicazione è apparsa in una
lettera pubblicata sul sito internet vicino agli indipendentisti
Kavkazcenter.com. Con un linguaggio a metà strada tra quello militare
e quello manageriale, Basaiev spiega anche i costi di quelle
operazioni e i vantaggi che ne sono seguiti: Beslan, con il suo
seguito tragico, sarebbe costata 8.000 euro. Inoltre, Basaiev addossa
a Putin la responsabilità politica di quel massacro voluto per
mantenere il potere con l'appoggio dei leader occidentali.

Il messaggio, la cui autenticità non può essere verificata, è firmato
Abdallah Chamil, il nome di battaglia di Basaiev. Il sito
Kavkazcenter.com è quello usato generalmente dagli indipendentisti
ceceni per diffondere i loro messaggi.

La lettera. "Grazie ad Allah - è scritto nella lettera - la brigata
dei martiri 'Riadous-Salikhin' ha portato a termine una serie di
operazioni militari sul territorio russo". Sul sito le brigate si
attribuiscono anche l'autobomba alla stazione della metropolitana
Rijskaia a Mosca (il 31 agosto, 10 morti), operazione "condotta dal
dipartimento regionale dei martiri a Mosca, l'esplosione dei due
aerei civili condotta dal dipartimento delle operazioni speciali (24
agosto, 90 morti". L'assalto alla scuola di Beslan che ha causato la
morte di oltre 500 persone, sempre secondo la rivendicazione, è stata
portata a termine "dal secondo battaglione di martiri posta sotto il
comando del colonnello Orsthkoiev".


Oama e i soldi. Poi Basaiev aggiunge: "Non conosco Osama Bin Laden e
non ho preso soldi da lui. L'operazione di Beslan - che Basaiev ha
provocatoriamente battezzato 'Nord-west', rifacendosi al massacro del
teatro Dubrovovka di Mosca dell'ottobre 2002, dove era in programma
lo spettacolo Nord-Ost - è costata in tutto 8.000 euro".

"Dagli stranieri - si legge nel comunicato con cui Basaiev si
attribuisce una delle più sconvolgenti stragi terroriste degli ultimi
anni - ho avuto solo 10.000 dollari e 5.500 euro. Praticamente faccio
la guerra solo con i soldi del bilancio della Federazione russa.
Armi, automobili, esplosivi sono tutti nostri trofei. Le uniche spese
sono per l'alimentazione e i vestiti. Per arrivare a Mosca quei soldi
non bastavano".

Il commando. "All'operazione 'Nord-West' - prosegue il terrorista -
partecipavano 33 mujahiddin, fra cui due donne. Ne avevo preparate
quattro, ma due sono state spedite a Mosca il 24 agosto per salire
sui due aerei che poi abbiamo fatto esplodere". Il commando di Beslan
comprendeva, stando a Basaiev, "12 ceceni, due cecene, nove ingusci,
tre russi, due arabi, un osseto, un tartaro, un kaardino e un guran
(un popolo siberiano, ndr) totalmente russificato".

Quanto a Nur Pasha Kulaiev, il sopravvissuto nelle mani della polizia
russa, "lo conoscevo poco, conoscevo meglio il fratello Kan Pasha, li
ho inclusi nel gruppo all'ultimo momento per fare numero. E' arrivato
alle 16,30 del 31 agosto, e alle 20 li avevo già spediti sul luogo
dell'operazione. All'unico di loro che conoscevo, Kan Pasha, che non
aveva il braccio destro, ho dato una pistola e una granata. Agli
altri ho distribuito mitra con due o tre cambi di munizioni, e gli ho
spiegato che il loro dovere era solo di fare la guardia".

"Non abbiamo sparato ai bambini". Basaiev ha definto "una tragedia
orribile" la morte dei bambini: "il mostro del Cremlino ha ferito e
ucciso un migliaio di bimbi". "I miei mujaeddin non hanno sparato sui
bambini, non hanno avuto alcuna lite, hanno solo seguito i miei
ordini, che erano: se parte il blitz dei russi, o avviene una
esplosione nella palestra, andare tutti avanti ad attaccare, non
restare nell'edificio, non tentare di difenderlo. Cercare di morire
in modo dignitoso, facendo il massimo di danni al nemico e diventando
così l'esempio per quelli che verranno dopo".

Le richieste a Putin. Basaiev parla anche dei negoziati che avrebbe
voluto fare con i russi: "Le nostre richieste erano di fermare
immediatamente la guerra in Cecenia, poi iniziare il ritiro delle
truppe. Se (il presidente russo Vladimir) Putin avesse rifiutato,
allora avremmo chiesto le sue dimissioni.

"Se Putin avesse firmato il decreto di sospensione immediata della
guerra e avesse ritirato le truppe nelle caserme, avremmo distribuito
l'acqua. Dopo aver ottenuto una conferma sul ritiro reale delle forze
russe dalla Cecenia, avremmo dato da mangiare. Appena i russi
avessero iniziato il ritiro dalle montagne, avremmo liberato i
bambini fino a dieci anni. Gli altri li avremmo rilasciati a ritiro
completato - prosegue il lungo messaggio di rivendicazione - se Putin
si fosse dimesso, avremmo rilasciato tutti i bambini, trattenendo gli
adulti per avere ostaggi con cui effettuare la ritirata in Cecenia".

La mediazione fallita. Stando a Basaiev, tutti questi punti erano
stati ben chiariti, per iscritto, all'ex presidente inguscio Ruslan
Aushev che aveva fatto da mediatore nel secondo giorno della presa di
ostaggi. "Una delle cassette che abbiamo consegnato ai russi, e che
loro hanno detto era vuota, conteneva in realtà gli appelli degli
ostaggi a Putin".

Le colpe di Putin. "Putin ha deciso di fare il blitz per soddisfare
le sue ambizioni imperialiste e mantenere la poltrona", sostiene
Basaiev. Colpevoli sono anche, afferma, "i leader occidentali che lo
hanno benedetto perché facesse quella strage. Chiediamo con forza una
indagine pubblica su Beslan fatta dall'Onu, dall'Unione europea e da
tutti quelli che hanno condannato la nostra azione. Siamo pronti a
dare qualunque assistenza nell'indagine e a fornire qualunque
informazione in nostro possesso".

(17 settembre 2004)


=== 3 ===

http://www.ilmanifesto.it/

il manifesto - 03 Settembre 2004

Le mille fidanzate di Allah

Chi sono le shahidki, «donne martiri» cecene, perché vanno a morire
imbottite di esplosivo? In Cecenia solo le donne vanno a morire, e non
sempre di propria volontà. Il fanatismo religioso c'entra poco, scrive
la giornalista russa che ne ha ricostruito in un libro le storie
personali di tragedia e morte
«Missione compiuta», dice l'uomo nell'auto. Ha appena azionato il
meccanismo a distanza che ha fatto esplodere l'ordigno contenuto nella
borsa della ragazza. Ride soddisfatto, spegne la videocamera. In quel
momento non sa ancora che la ragazza è riuscita a sopravvivere
MARINA FORTI

Chi sono? Perché giovani cecene vanno a farsi esplodere in un teatro
gremito o nella metropolitana di Mosca, o in un commissariato di
polizia? Donne giovanissime, a volte con figli, per chi, o per cosa
vanno a morire - e a seminare morte? Fanatismo religioso, si dice: le
donne-kamikaze sono il ritrovato più impressionante delle frange più
fondamentaliste del movimento islamico in Cecenia, la regione del
Caucaso che sta precipitando in una nuova fase di una guerra ormai
decennale. La religione però c'entra molto poco con la scelta di tante
giovani cecene di farsi shahidki («donne martire»), come le chiamano i
russi, dalla parola araba shahid che significa «martire». Le loro
storie personali dicono altro: «Sono giunta alla conclusione che
l'unica ragione che può spingerle a cercare la morte è una tragedia
personale o una vita infelice», scrive la giornalista russa Julija
Juzik: donne a cui non è rimasta scelta.

Per un anno, tra il 2002 e il 2003, Juzik ha percorso la Cecenia per
capire da dove venivano le giovani che si erano fatte saltare in questo
o quell'attentato, va a parlare con familiari o chi ne aveva condiviso
gli ultimi mesi di vita, ricostruisce i passaggi che le hanno portate a
diventare «martiri». Il risultato di questa indagine è un libro
pubblicato a Mosca dall'editore Ultracultura (2003), Le fidanzate di
Allah - l'edizione italiana, aggiornata alla primavera 2004, sarà
pubblicata con lo stesso titolo dalla Manifestolibri (traduzione di R.
Frediani, in libreria a ottobre).

Le kamikaze «sono state create ad arte», dichiara Juzik (in
un'intervista citata nella prefazione all'edizione italiana). Osserva:
nella storia delle guerre caucasiche, per centinaia di anni, «non c'era
mai stato un ceceno - tantomeno una cecena - che si sia coperto di
esplosivo»: combattevano, non facevano i martiri. In Russia si suole
fare il parallelo tra Cecenia e Palestina, con terrorismo e attentati
suicidi: anche in là ci sono donne kamikaze. Ma la differenza, oltre a
tante circostanze storiche, è che «in Cecenia gli uomini non si fanno
saltare in aria. Danno un valore troppo alto alle proprie vite. (...)
In Cecenia muoiono solo le donne». E spesso, neppure di propria
volontà...

Più dell'islam, nei destini di quelle ragazze conta una struttura
sociale tradizionale in cui le donne sono sottomesse. «Sono donne la
cui vita è stata distrutta, che non hanno futuro, che vanno a morire
non per dimostrare la loro devozione ad Allah».

Allah compare, certo, nei video che ritraggono giovani velate di nero,
bandana verde sulla fronte, occhi vitrei. La prima in assoluto, la
diciassettenne Hava Baraeva, è stata trasformata in una leggenda. Era
il giugno 2000. Un video la ritrae mentre dice: «Sorelle, è giunto il
nostro momento! Dopo che i nemici hanno ucciso quasi tutti i nostri
uomini, i nostri fratelli e mariti, solo a noi rimane il compito di
vendicarli. (...) E non ci fermeremo neanche se per questo dovremo
diventare martiri sulla via di Allah. Allah Akhbar», dio è grande.
«Vendicarli»: così nasce il mito delle «vedove nere». Il video la
mostra mentre sale su un camion, con viso ispirato, e si lancia contro
un distaccamento di polizia speciale in un villaggio della Cecenia.
L'immagine seguente mostra da lontano l'esplosione: lei andava a morire
e «i suoi compagni stavano vigliaccamente tra i cespugli» a filmare.
Hava, ricostruisce la giornalista russa, era cresciuta in affidamento a
un uomo, un dirigente islamico indipendentista, di cui si è innamorata
- anzi, completamente soggiogata. Molte giovani donne saranno
soggiogate e tradite dagli uomini di cui si fidavano. Altre sono
devastate dall'aver visto uccidere un uomo che amavano, i figli, la
casa. Storie terribili (in questa pagina ne citiamo due). «Solo poche
ragazze erano davvero credenti e praticanti; tutte le altre avevano un
motivo personale, o semplicemente non avevano scelta». Il martirio? «In
Russia le attentatrici cecene di solito non si uccidono da sole.
Vengono fatte saltare in aria a distanza. Le uccidono da vigliacchi».

Nella sua indagine, Jilija Juzik raccoglie dettagli molto precisi sui
campi di addestramento da cui sono arrivate le giovani andate a morire
nel teatro di Mosca, primavera 2002: due villaggi di montagna di cui,
scoprirà, la polizia speciale russa è perfettamente al corrente.
Raccoglie informazioni su nuovi campi di addestramento. Nella prima
edizione (russa) della sua indagine avvertiva: di là verranno le
prossime «bombe viventi». Cita nomi, luoghi, «sapevo anche che i leader
delle bande armate avevano ricevuto un ordine per l'invio di donne
martiri» per azioni programmate tra la fine del 2003 e l'inizio del
2004, alla vigilia delle presidenziali russe: come poi è avvenuto.

Ma perché i servizi russi non le hanno fermate, si chiede? Descrive i
«reclutatori» di future martiri: vanno in carca di «donne giovani nelle
cui famiglia siano stati distrutti i legami familiari o di clan, o
orfane di padre; di giovani donne sorelle o vedove di combattenti
uccisi, di donne di famiglie molto religiose o wahabite. ... Coloro,
prima di tutto, che non hanno nessuno che possa difenderle». Ma perché
le forze speciali non fermano i reclutatori? «Vuol dire che questa
guerra serve comunque ancora a qualcuno?».

ARTEL - http://www.artel.co.yu/

1. KO JE NARUCCILAC TERORISTICKOG AKTA U BESLANU
Dmitrij MAKAROV, naucni saradnik
Instituta za Istok Ruske akademije nauka

2. CCETVRTI CCECCENSKI PREDSEDNIK
Jurij FILIPOV, politicki komentator RIA "Novosti"


=== 1 ===

KO JE NARUCCILAC TERORISTICKOG AKTA U BESLANU

http://www.artel.co.yu/sr/izbor/terorizam/2004-09-17.html

Moskva, 17. septembra 2004. godine
RIA "Novosti"
Specijalno za Artel - Geopolitiku

Dmitrij MAKAROV, naucni saradnik
Instituta za Istok Ruske akademije nauka

"Nassa zemlja - sa nekada najmocnijim sistemom odbrane svojih spoljnih
granica - za tili cas nassla se nezasticenom ni sa Zapada, ni sa
Istoka. Jedni zele da od nas otrgnu sto "masniji" komad, drugi im u
tome pomazu. Terorizam je, naravno, samo instrument za postizanje tih
ciljeva", - tako je predsednik Rusije Vladimir Putin prokomentarisao
dramu sa uzimanjem talaca u Beslanu, u Severnoj Osetiji.

Ko je konkretno smislio, organizovao i platio taj i druge teroristicke
akte na teritoriji Rusije? Ko su njihovi izvrsioci, koje ciljeve oni
svaki put postavljaju sebi i kako se protiv njih boriti? Dopustite,
danas nema ni jednog Rusa koji sebi ne postavlja takva pitanja. Tim pre
sto se mnogi pribojavaju, da uzimanje talaca u Beslanu nije i poslednja
akcija terorista.

Za nestabilnost u Rusiji, na Severnom Kavkazu, zainteresovane su mnoge
snage, ali je veoma slozeno pronaci konkretne narucioce zlocina.

Akcije, slicne uzimanju talaca u Beslanu, korisne su radikalnim
islamistima, koji vec dugi niz godina pokusavaju da se ubace na Severni
Kavkaz i otrgnu ga od Rusije, ili pak da tamo stvore za nju stalno
zariste napetosti i postepeno sire svoj uticaj u pravcu Povolozzja.

Odredjeni interes za destabilizaciju Severnog Kavkaza imaju oni, koji
su zainteresovani za transport kaspijske nafte po juznoj marsruti -
preko Gruzije i Azerbajdzana. Ovde se presecaju interesi i
juznokavkaskih republika, i krupnih zapadnih naftnih kompanija.

Istovremeno, ne sme se zaboravljati ni to, da nestabilnost na Severnom
Kavkazu u odredjenoj meri prozivodi i Zapad, jer to stvara tlo za
vrsenje pritiska na Rusiju.

Nisu tajna ni veze severnokavkaskih ekstremista sa bliskoistocnim
dzihadistima. Jos pocetkom 90-ih godina oni su poceli aktivno osvajati
severnokavkaski prostor, implantirati tamo svoju ideologiju, upucivati
svoje proverene kadrove, kako vojne strucnjake, koji su se kalili u
"vrucim tackama", tako i ideologe.

Izmedju ostalog, poznato je da je jedan od glavnih ideologa cecenskog
dzihada, Saudijac Muhamed Abu Omer Al-Sejf. Dodjossi sa arapskog istoka
cesto su se nalazili i nalaze na celu najubojitijih teroristickih
odreda.
Najpoznatiji medju njima su Hatab i Abul Valid.

Arapi, koji su dosli na Kavkaz, ne veruju bas uvek lokalnom zzivlju,
odnosi koji se uspostavljaju medju njima ne mogu se okvalifikovati
dobrima. One umerenije severnokavkaske islamisticke grupe ne kriju u
privatnim ragovorima svoj odnos prema Arapima. Njima se ne dopada to,
sto oni namecu svoje vidjenje kako treba delovati, staraju se da
promovisu one ljude koji su im po volji, ne fermajuci za to mogu li oni
doneti i realnu korist stanovnistvu, dati doprinos preporodu islamskog
obrazovanja itd. I sto je najznacajnije, Arapi polaze od sopstvenih
arapskih ubedjenja da je neophodno stvaranje islamske drzave, ne
shvatajuci da severnokavkasko drustvo nije spremno na to.

Sa svoje strane, radikalne severnokavkaske grupe mire se sa prisustvom
tudjina, bez obzira na to stro ih cesto iritiraju neumesni ponos i
sumnja Arapa. Medjutim, pragmatizam pobedjuje, jer upravo zahvaljujuci
Arapima kavkaski ekstremisti su dobili dostup finansijskim izvorima.

Do 1999. godine u republikama Severnog Kavkaza aktivno su funkcionisale
filijale razlicitih islamskih humanitarnih organizacija i fondova.
Danas je dokazano da su mnogi od njih bili sponzori teroristickih
grupacija. Izmedju ostalog, preko odelenja saudijske organizacije
"Al-Haramejn" u Bakuu, doznacavana su znacajna sredstva za
severnokavkaske radikalne dzamaate, pocev od Dagestana pa do
Karaccajevo-Ccerkasije.

Posle 1999. godine legalna aktivnost tih fondova na ruskoj teritoriji
je obustavljena. Medjutim, nije moguce zatvoriti sve kanale
finansiranja teroristickih grupacija, jer se pare mogu davati i u
gotovini, ne koristeci se bankarskim uslugama.

Istovremeno, situaciju olakasava okolnost da su mnogi arapski rezimi,
izmedju ostalog Saudijske Arabije, suoceni sa eksplozijom ekstremizma i
terorizma na sopstvenoj teritoriji, poceli preispitivati svoju
politiku. Oni su spoznali da se taktika izvoza ekstremizma, kada su
vlasti precutno stimulisale lokalnu mladezz da ide vojevati u
Avganistanu, u Bosni, na Kosovu i Ceceniji, samo da bi se ratosiljali
problema u sopstvenoj kuci, kao bumerang vraca toj vlasti. I mladjani
Saudijci, koji su "okusili ccari" na vrucim tacckama, vracaju se kuci i
pocinju da predstavljaju opasnost po tamosnju vlast. Zato se danas i
pojavljuje kudikamo vise mogucnosti za saradnju izmedju Moskve i
El-Rijada u sferi suprostavljanja ekstremizmu.

Ocigledno je da bi bez finansijske potpore izvana nivo teroristicke
aktivnosti na teritoriji Rusije bio nizi. Medjutim, ne treba
zaboravljati da cecenski konflikt vec sam po sebi generisse
ekstremizam, a i izvan granica Cecenije, u drugim regionima Severnog
Kavkaza, politicka i socijalna situacija stvara povoljno tle za
pojavljivanje uislamskih grupacija.

Problem je i u tome, sto radikale simpatissu mnogi od onih koji
apsolutno ne dele idejne principe islamista, niti zele da zive u drzavi
kojom bi upravljali ti ljudi. Jednostavno, oni su uspeli da se
pozicioniraju kao nepomirljivi borci protiv korupcije, koja se aktivno
siri u severnokavkaskim republikama, boraca za socijalnu pravicnost.

I zaista, malo je aktivnih dzihadista koji su uvuceni i
diverzionisticko-teroristicke akcije na Severnom Kavkazu, iako je
njihova baza medju omladinom prilicno velika. Tesko je navesti precizne
brojke, jer su proracuni veoma spekulativni. Cak sredinom 90-ih godina,
kada su mnogi islamisticki dzamaati delovali javno, navodjene su
razlicite brojke. Na primer, jedni su govorili da je u Dagestanu
izmedju 2 i 3 procenta stanovnistva uvuceno u rad islamistickih
grupacija ili da ih simpatise, dok su drugi govorili o 10-15 procenata
stanovnistva kavkaskih republika.

Ukoliko procenat simpatizera radikala i zaista dostize 10 procenata, to
je vec opasna tendencija. Eksplozija se moze dogoditi u svakom
trenutku. Za to je dovoljno da se pogorsa socijalno i vojno-politicka
situacija na Kavkazu pa da nastanu zarista novih konflikata. Upravo smo
to uocavali u poslednje vreme u Ingussetiji i u Severnoj Osetiji.

Sem toga, za mnoge kavkaske republike aktuelan je problem smene vlasti.
Na primer, u Dagestanu se sada aktivizira konfrontacija izmedju vlasti
i opozicije uoci prvih direktnih predsednickih izbora, predvidjenih u
2006. godini. Problemi sa prelaskom vlasti mogu nastati i u
Kabardino-Balkariji i u Ingussetiji. U takvim uslovima bez po muke se
moze destabilizovati situacija.

Rzume se, takve oruzane akcije kao sto je zauzimanje skole u Beslanu,
ne izazivaju saosecanje medju stanovnistvom Severnog Kavkaza. To je
bilo ocigledno nakon upada terorista u Dagestan 1999. godine. Kada
dodje do nasilja, narocito ako se radi o teritoriji Kavkaza, vecina
lokalnog zivlja okrece ledja radikalima i proklinje ih. Medjutim, odnos
stanovnistva prema njihovim akcijama ne zaustavlja teroriste.

Stvar je u tome sto danas na Severnom Kavkazu ne postoji jedinstveni
islamisticki pokret niti postoje vise-manje centralizovane islamisticke
strukture. Pokusaji ujedinjavanja islamskih grupa preduzimani su
sredinom 90-ih godina. Oderdjeni uspeh na tom pravcu postignut je 1999.
godine.
Stvoreni su, na primer, "Islamski dzamaat Dagestana", na celu sa
Bagautdinom, "Kongres naroda Icckerije i Dagestana" i drugi. Nakon
1999. godine, kada su teroristi upali na teritoriju Dagestana i kada su
federalne snage pocele uzvratnu operaciju, sve te strukture su
prakticno unistene. Mnogi njihovi vodje ili su poginuli, ili su se
probili na Kavkaz i presli u druge zemlje.

Danas se preduzimaju pokusaji obnavljanja centralizovanih uislamisickih
struktura. Periodicno se u medijima pominju nazivi novih organizacija.
Izmedju ostalog, "Zdruzzena komanda mudzahedina Dagestana", "Dzamaat
mudzahedina Dagestana", promovissu se prezimena nekih islamistickih
lidera, kao sto je Rabani Halilov, kome pripisuju organizaciju
terioristickih akata u Kaspijsku 2002. godine. Medjutim, te
organizacije i njihovi lideri nemaju znacajniju tezinu cak ni na nivou
Dagestana, a kamo li na citavom Severnom Kavkazu.
Na toj pozadini izdvaja se organizacija "Rijad us-salihiin", na celu sa
Ssamiljom Basajevom. Licno Basajev je svojevrsni etalon za sve
dzihadisticke grupe, ali je tesko kazati koliko je on i realni
rukovlodilac za omanje ekstremisticke celije rasute po svim republikama
Kavkaza. Jer njegovi interesi i interesui sitnih lokalnih grupa
apsolutno se mogu i ne podudarati. I cak prilikom organiacije
zajednikcih akcija medju teroristima mogu nastati razlike.

U svakom slucaju, teroristicke akte vrse one snage, koje pljuju na
simpatije ili antipatije drustva i koje su zainteresovane samo za
realizaciju sopstvene strategije.

Prema tome, i drzava mora imati strategiju borbe protiv terorizma i
ekstremizma. Ocigledno da je potrebno reformisati oruzane strukture
koje se bave borbom protiv terorizma, uspostaviti efiksniju
korodinaciju svih sistema vlasti i slojeva drustva, stabilizovati
socijalnu i politicku situaciju u regionima. A nije na poslednjem mestu
ni borba protiv korupcije.

Po mom uverenju, znacajno je takodje diferencirati prilaz politickom
islamu. Tojest, ne tretirati sve islamisticke grupacije kao neposredne
protivnikje, protiv kojih se treba boriti jedino oruzanim metodama.
Bezuslovno, to nije lako uraditi.

Postoje takozvane umerene islamisticke grupe koje, priznajuci
neophodnost i pozeljnost stvaranja islamske drzave na Severnom Kavkazu,
smatraju da se to ne moze ostvariti uz pomoc nasilja. Takvih na
Severnom Kavkazu ima podosta.

Najpoznatiji lider medju umerenim islamistima u 90-im godinama bio je
Ahmed - Kadi Ahtajev, osnivcc i lider Islamske partije Prepororoda.
Nakon sto se ta organizacija raspala, on je formirao novu -
"Al-Islamija" i delovao na kulturno-prosvetmom planu, kritikujuci rad
radikalnih islamista. On je predskazivao da ce njihov put dovesti do
katastrofe, i pokusavao unapredjivati dijalog sa vlasscu, nikada ne
pozivajuci na njeno nasilnicko svgravanje.

Na zalostr, 1999. godine umereno krilo islamista na Severnom Kavkazu se
raspalo. Ahtajev je umro ranije - jos 1998. godine. Sada neki mladi
islamisti, narocito predstavnici inteligencije, oni koji su
istiovremeno stekli i svetsko, i islamsko obrazovanje, pokusavaju
preosmisliti basstinu Ahtajeva. Ali ipak novih briljantnih figura medju
njima nema.

Medjutim, i umereni islamisti sa aspekta nacionalnih ruskih interesa
predstavljaju zabrinjavajucu pojavu. Nema jasnosti da li umereni
islamizam tretirati kao nekakvu protivtezu radikalnom, ili kao prvu
stepenicu na putu ka njemu. Zato drzava i nema strategiju delovanja u
odnosu na politicki
islam, nema resenja - pokusati razvijati dijalog sa umerenim
elementima, jacati ih, racunajuci da ce oni postati protivteza
dzihgadistima ili, obrnuto, njih treba marginalizovati, posto,
ojacavsi, oni mogu stvoriti novu opasnost po vlast. Pitanje nije
reseno, iako u praksi vlast pre koristi taktiku totalnog pritiska na
svako ispoljavanje islamizma, ne deleci njegove pristalice na umerene i
radklane.

Svakako da ne treba zaboraviti da umereni islamisti uzivaju odredjeni
autoritet, i njihov uticaj moze biti upotrebljen da bi se otrgnuo od
terorista makar deo ekstremisticki raspolozene mladezzi.

Sem toga, drzava mora da se ukljuci u proces preporoda islamskog
obrazovanja, pored ostalog da finansira proucavanje svetskih disciplina
u islamskim ustanovama, ako sami muslimani govore da za to oni nemaju
para.

Rusiji je takodje potrebno da stvori solidne islamske skolske ustanove,
u kojima bi predavali i istaknuti strani predavacci. Bolje je da oni
predaju ovde i da se studenti nalaze ovde, u toj socijalnoj sredini,
nego u arapskim ili drugim muslimanskim zemljama, i da potpadaju pod
uticaj druge kulture i druge situacije.

Spisak recepata za borbu protiv ekstremizma i terorizma mogao bi se
nastaviti, ali je problem - kako ih realizovati.


=== 2 ===

CCETVRTI CCECCENSKI PREDSEDNIK

http://www.artel.co.yu/sr/izbor/azija/2004-09-07.html

Moskva, 06. 09. 2004. godine
RIA "Novosti"
Specijalno za Artel - Geopolitiku

Jurij FILIPOV, politicki komentator RIA "Novosti"

Koliko se promenila politicka situacija u Ceceniji nakon sto je na
predsednickim izborima u toj republici pobedio Alu Alhanov? Na prvi
pogled, moze se ucciniti da se nisu dogodile krupnije, principijelne
promene. Jer u toku izborne kampanje Alhanov je sebe promovisao kao
sledbenika promoskovske linije svog prethodnika Ahmada Kadirova, koji
je poginuo u teroristickom aktu 9, maja ove godine. U alhanovskom
predsednickom programu nije moguce pronaci ni jendu inovaciju, koja taj
program sustinski razlikuje od analognog programa Ahmada Kadirova, koji
je objavljen u jesen 2003. godine.

Za sada nema vidljivijih pomaka ni sa aspekta jacanja bezbednosti i
slabljenja vojne konfrontacije u Ceceniji. I u noci kada su brojani
glasovi u republici, kao sto je to i uboicajeno ovde, odjekivala je
paljba.

Pa ipak bi se moglo tvrditi da se u vezi sa pobedom Alhanova ocrtao,
preciznije receno, ocrtava, niz politickih pomaka koji, ukoliko stojeca
iza njih tendenicja ojaca, mogu dovesti do sustinske promene situacije
u Ceceniji.

Prvo, Alhanov je prvi od cetiri cecenska predsednika koji nikada nije
ratovao protiv Rusije sa oruzjem u rukama. Cak stavise, u 90-im
godinama, u jeku rusko-cecenske konfrontacije, kada nije bilo moguce
predvideti ishod, on je ucestvovao u borbenim operacijama protiv
separatista na strani proruski raspolozenih Cecenaca.

Do nedavnih izbora bilo je moguce samo nagadjati koliko u Ceceniji ima
takvih proruskih Cecena. Moskva je izjavljivala da je takvih ljudi
ogroman broj, velika vecina, dok su separatisti Mashadova tvrdili da ih
je ssaccica, mozda desetina ili stotina i da su svi oni - izdajnici
svog naroda.

Nakon predsednickih izbora mozemo kazati da je istina, kao sto to cesto
biva, negde na sredini. Za Alhanova je glasalo preko 320 hiljada ljudi
- a to, razume se, nije nekakvih "stotinak" onih koji su protiv
cecenske nezavisnosti, vec vise od polovine cecenskih biraca. Ali ne i
velika vecina, kako bi to zelela Moskva. Ali jeste vecina.

Sada ti ljudi po prvi put u poslednjih petnaest godina imaju mogucnost
da se aktivno politicki udruzuju i da u svojoj republici deluju u sklau
sa svojim pogledima, na celu sa novoizabranim liderom koji ima veoma
velika ovlascenja.

Mnogo stosta zavisice od toga, koliko ce Alhanov uspeti da ubedljivo
dokaze, da je njegova proruska orijentacija zaista vredela toga, da se
nje pridrzava tokom svih petnaest godina cecenske zbrke.

I ovde je potrebno ukazati nadrugi politicki pomak, koji bi mogao da
kardinalno utice na situaciju u Cecenskoj republici. Nije vazno toliko
to sto Alhanov, kao i oni koji ga podrzavaju u Ceceniji, zauzima
prorusku poziciju, koliko je od sustinskog znacaja to, sto i Moskva, sa
svoje strane, prihvata i odobrava njegove inicijative.

O tome da ce prihodi od realizacije cecenske nafte ostajati u
republici, mnogo je govorio, obracajuci se ruskim vlastima, predsednik
Kadirov. Slicni motivi prozimali su i izjave lidera cecenskih
separatista, predsednika Mashadova, dok je on komuniicrao sa Kremljom
90-ih godina.

Mashadov je, medjutim, proglasen zloccincem. Kadirov se, pak, bez
obzira na to sto je cesto priman u Kremlju, ipak nije izborio za to.
Alhanov u tom pogledu ima mnogo vise uspeha. Jos pre predsednickih
izbora njegov predlog o obnovi Cecenije uz pomoc prihoda ostvarenih
izvozom republicke nafte naisao je na podrsku predsednika Rusije
Vladimira Putian. Sem ociglednih ekonomskih i finansijskih prednosti za
Ceceniju, to ukazuje i na to da novi cecenski predsednik Alhanov ima u
Kremlju ne jednostavno privremene saveznike, sa kojima je kontakt
uspostavio slucajno, vec istomisljenike sa kojima se moze i treba
izgradjivati dugorocna politika.

Kako ce se pokazati i do cega ce dovesti navedeni politicki pomaci
pokazace vreme. Na razvoj politicke situacije u Ceceniji i do dana
danasnjeg veliki uticaj cine sluccajnosti. Jedna jedina mina sa
daljinskim upravljanjem ovde moze porusiti sve ono, u pravcu cega su
cecensko drustvo i politicari isli mesecima i godinama.

Pa ipak, politicke promene u Cecenije su ocigledne. I tendencija se
nastavlja.

Vier Jahre danach, katastrophale Bilanz im Kosovo

[ Catastrofico è il bilancio di 4 anni di occupazione coloniale del
Kosovo-Metohija da parte della NATO: a tracciarlo è nientepopodimeno
che l'ex direttore dell'Istituto federale tedesco per gli Studi
sull'Oriente... Più sotto, la traduzione in lingua tedesca di un
articolo di M. Markovic sullo stesso tema, da noi già fatto circolare. ]


1. Katastrophale Bilanz im Kosovo
Sollen Serben wieder zurück? Interview mit Prof. Dr. Wolf Oschlies
vormaliger Leiter des Bundesinstituts für ostwissenschaftliche Studien
(J. Elsässer / Junge Welt)

2. Kosovo - Vier Jahre Danach (Milos Markovic / ARTEL)


=== 1 ===

17.09.2004

Interview
Interview: Jürgen Elsässer

Katastrophale Bilanz im Kosovo: Sollen Serben wieder zurück?

jW sprach mit Prof. Dr. Wolf Oschlies

* Prof. Dr. Wolf Oschlies war Leiter des Bundesinstituts für
ostwissenschaftliche Studien, das 2000 mit der Stiftung Wissenschaft
und Politik verschmolzen wurde. Beide Institutionen wurden bzw. werden
von der Bundesregierung finanziert und genutzt.


F: Das Kosovo wird seit über fünf Jahren von der UN mit Hilfe der
NATO-geführten Streitmacht KFOR verwaltet. Welche Bilanz ziehen Sie?

Katastrophal. Alles hat sich vom Schlechten zum Schlimmeren entwickelt.
Der größte Teil der Nicht-Albaner wurde vertrieben, über 200000
Menschen. 1200 Menschen wurden ermordet, vor allem Serben und Roma.

F: UNMIK, die UN-Mission für Kosovo, gibt eine wesentlich niedrigere
Zahl an.

Die Zahl der Ermordeten stammt von Zoran Zivkovic. Der damalige
serbische Premier, ein durchaus pro-westlicher Politiker, gab sie im
Oktober 2003 bei einer serbisch-albanischen Konferenz in Wien im
Beisein von EU-Spitzenpolitikern bekannt.

F: NATO und UN rechnen sich als Erfolg an, daß die während des Krieges
1999 geflüchteten Albaner zurückgekehrt sind.

Und wie! Nach Berechnung der Belgrader Regierung betrug die
Rückkehrrate 120 Prozent. Bekannt ist, daß mit den Flüchtlingen auch
»Plünderungs-Touristen« kamen. Auch das Buch des Tschechen Martin
Dvorák, eines früheren UNMIK-Mitarbeiters, steht gegen die geschönten
Erfolgsbilanzen.

F: Im Westen wird immer wieder vor großserbischem Nationalismus
gewarnt. Aber wie steht es mit den großalbanischen Bestrebungen?

Die finden sich nicht nur in den Erklärungen der angeblich aufgelösten
UCK oder ihres Nachfolgers ANA, sondern auch in einem Manifest der
Albanischen Akademie der Wissenschaften und Künste in Tirana, das unter
dem Titel »Ausgangspunkte für eine Lösung der albanischen nationalen
Frage« veröffentlicht wurde. Das älteste Balkan-Volk, die Albaner,
brauche demnach seinen »ethnisch reinen« Staat, zu dem auch das Kosovo,
Teile Südserbiens, Mazedoniens, Montenegros und Nord-Griechenlands
gehörten. Apropos UCK: Sie wurde zum kleineren Teil in das Kosovo
Protection Corps überführt und zum größeren Teil intakt gelassen. Diese
Strukturen spielten eine entscheidende Rolle bei der Gewaltwelle im
März dieses Jahres.

F: Welche Perspektive sehen Sie?

Die Aussichten sind nicht sehr positiv. Im von NATO und UNMIK
proklamierten Frieden laufen bereits drei Kriege, und ein vierter ist
möglich. Erstens findet schon jetzt ein albanisch-albanischer Krieg
statt: In den letzten Monaten wurden etwa 40 Funktionäre der Partei
Ibrahim Rugovas von UCK-Terroristen umgebracht. Zweitens läuft der
Krieg der Albaner gegen die Serben und andere Minderheiten. Drittens
hat der Krieg gegen KFOR und UNMIK begonnen. »Unabhängigkeit oder
Krieg« lautet seit Jahren der Kampfruf in der kosovo-albanischen
Presse. Wenn die NATO abzieht, kommt es zum vierten Krieg: Dem der
Balkan-Staaten Griechenland, Mazedonien, Bulgarien und
Serbien-Montenegro gegen die Albaner. Der großalbanische Nationalismus
bedroht sie alle.

F: Was wäre die Alternative?

Holt die Serben wieder rein ins Kosovo! Laut UN-Resolution 1244 sollte
schon vor Jahren »eine vereinbarte Zahl jugoslawischen und serbischen
Personals die Erlaubnis zur Rückkehr erhalten«, um im Kosovo
Sicherungsfunktionen zu übernehmen. Für die segensreichen Wirkungen
serbischer Sicherheitskräfte gibt es einen Präzedenzfall: Im Herbst
2000 griff die UCK im Presevo-Tal an, außerhalb des Kosovo, in der
entmilitarisierten Sicherheitszone an der Südgrenze Serbiens. Die KFOR
reagierte rasch: Die Sicherheitszone wurde an Serbien zurückgegeben,
serbisches Militär rückte ein, und der Spuk war zu Ende. Warum ist
dergleichen nicht längst im Kosovo geschehen?

F: Sind Sie mit Ihren Expertisen zur Bundesregierung durchgedrungen?

Auf die eine oder andere Weise habe ich Gehör gefunden. Aber im Zuge
der Fusion des Kölner »Bundesinstituts für ostwissenschaftliche
Studien« mit der »Stiftung für Wissenschaft und Politik« wurden die
Kompetenzen der Fachleute beschnitten. Man sagte mir, die
»Balkanschlagseite« und der »Rußlandbauch« in unserer Forschung müßten
beseitigt werden. Das Ergebnis möge jeder selbst beurteilen. Mich geht
es gottlob nichts mehr an.


* Hintergrundbericht dazu folgt in der Wochenendausgabe

http://www.jungewelt.de/2004/09-17/018.php


=== 2 ===

Kosovo - Vier Jahre Danach
http://www.artel.co.yu/de/izbor/jugoslavija/2004-09-18.html

informgraf@ yahoo. com

Milos Markovic, Journalist
Belgrad, 31 August 2004

Über vier Jahre sind vergangen, als am 9. Juni 200 die internationalen
Streitkräfte im Kosovo mit der Absicht einrückten, in diesem Gebiet die
Ordnung herzustellen, das Leben zu normalisieren und
Gleichberechtigung, Freiheit, Demokratie, Menschenrechte und andere
wesentliche zivilisatorische Errungenschaften zu gewährleisten. In
dieser serbischen Provinz befindet sich die größte Konzentration
internationaler Streitkräfte in Europa, der mehre zehntausend Soldaten
angehören, die hauptsächlich von den Mitgliedstaaten der NATO gestellt
werden. Einen dominierenden Einfluss hat Amerika - sowohl was die
Bewaffnung, als auch auch die militärischen und politischen Kompetenzen
betrifft.
Die angebliche Diskriminierung und ethnische Säuberung der im Kosovo
lebenden Albaner dienten bekanntlich Amerika als Vorwand, die
NATO-Bombardierung Jugoslawiens zu organisieren. Nach 78 Tagen
zerstörerischer Bombardierung des Landes, die zahlreiche Menschenopfer
und unschätzbare Sachschäden forderte, ging diese internationale
Aggression unter dem Diktat Amerikas mit dem Kumanovo-Abkommen am 9.
Juni 2000 zu Ende. Kosovo ist im verbleib Serbiens geblieben, aber
unter internationalem Protektorat und ohne Präsenz der serbischen Armee
und Polizei. Doch das Tragische und Wesentliche ist, dass Kosovo auch
ohne Serben geblieben ist, denn etwa 80% der serbischen Bevölkerung
wurde von den albanischen Terroristen vertrieben, die bei allem von den
USA enorme Unterstützung und Hilfe bekamen. Nach der Vertreibung der
Serben aus Kroatien und Bosnien-Herzogowina war das die größte
Fluchtwelle eines Volkes aus seiner jahrhundertealten Heimat.
Nach vierjähriger Verwaltung des Kosovo kann durchaus die dokumentierte
Behauptung aufgestellt werden, dass es sich hierbei um die komplette
Okkupation eines wesentlichen Teils eines angeblich unabhängigen und
souveränen Staates handelt. Die gegenwärtige Lage im Kosovo ist
vielleicht die schwerste in seiner langen und delikaten Geschichte.
Diese Situation ist die wahre Kehrseite der angeblichen westlichen
Zivilisation. Nirgendwo dominieren die Gesellschaft terroristische und
mafiöse Zusammenhänge in solch einem Ausmaß. Das Kosovo wurde zum
größten Drogenumschlagplatz Europas. Das Kosovo ist der größte Markt
für "Mädchenhandel". Das Kosovo ist ein Zentrum internationaler,
terroristischer Kräfte. Das Kosovo wurde zum Symbol für Verbrechen,
Plünderung, Prostitution, Drogen, Morden und die Vertreibung eines
Volkes!
Welchen "Erfolg" die sogenannten internationalen Kräfte im Kosovo zu
verzeichnen haben, belegt u.A. die Tatsache, dass im März dieses Jahres
unter den Augen dieser Kräfte über 150 Kirchen und Klöster -
hauptsächlich im Mittelalter erbaute, kulturgeschichtlich äußerst
wertvolle Gebäude - von albanischen Extremisten zerstört wurden und
größtenteils vollständig ausbrannten. Gleichzeitig wurden tausende
serbischer Häuser in Brand gesteckt und unzählige Gräber geschändet.
Ein größerer Vandalismus und Barbarismus ist kaum vorstellbar. Die
wenigen Serben, die in ein paar Kosovo-Enklaven noch geblieben sind,
leben in äußerster Unsicherheit und Unfreiheit - ihre Kinder werden
z.B. auf dem Schulweg von Gepanzerten Militärfahrzeugen begleitet.
Wo ist die Freiheit, wo die Demokratie, wo der Frieden, wo sind die
Menschenrechte, die vor allem Amerika garantierte?
Kann sich beispielsweise ein Deutscher vorstellen, dass in einem seiner
Bundesländer Deutsche kein elementares Bürgerrecht wahrnehmen dürfen,
während alle Reichtümer - Natrurschätze, Betriebe, Privatvermögen -
sich in Händen von Okkupanten befinden, die mit dem Versprechen auf
Einführung zivilisatorischer Wohltaten einmarschiert sind?
Die Kosovo genannte, serbische Tragödie ist im gewissen Sinne auch eine
Schande Europas, das nahezu gleichgültig zuschaut, wie in einem Teil
Europas die hegemonistischen, amerikanischen Interessen verwirklicht
werden. Es ist wohl niemandem Klar, dass die internationale Mission im
Kosovo nichts gebracht hat, außer tragische Folgen für ein ganzes Volk.
Und die Obrigkeit in Belgrad hat unter dem offensichtlichen
amerikanischen Diktat nahezu keinen Protest erhoben. Das Volk, dessen
Lebensstandart unerträglich ist, scheint betäubt zu sein, sich in einem
Zustand der Niedergeschlagenheit zu befinden. Es scheint, als müssten
die Menschen nach dem Verlust aller Illusionen über die angebliche
Demokratie - die hier zu einer international geförderten Mafiokratie
verkam - erst zu Besinnung kommen.

Un piccolo passo per Dassaut,
un grande passo per l'Humanitè

Surrealista, la festa del giornale comunista l'Humanité, dove mi son
trovato questo week-end a Parigi. Quando voi avete fatto il pieno, di
stand in stand, di materiale che incita alla lotta di classe per il
progresso sociale, la giustizia e la pace, avete la possibilità di
mettere insieme tutto questo pesante fardello in una borsa di plastica.
Offerta generosamente da... la società di armamenti Dassault, sponsor
ufficiale della festa! Sì, uno degli uomini più ricchi di Francia. Che
per vendere meglio i suoi cannoni ha fatto man bassa di tutti gli
editori e i media francesi che ha potuto. Con una censura ferrea. Un
picolo passo pubblicitario per Dassault, un grande passo verso la
caduta finale per l'Humanité.
Sfortunata coincidenza? No, quando aprite il programma ufficiale della
festa la prima pagina che si presenta ai vostri occhi è una pagina
pubblicitaria per un'altra industria di armamenti: EADS. Con i simboli
di tutte le sue armi che hanno già assassinato ai quattro angoli del
pianeta: l'elicottero da combattimento Eurofighter, il sistema di
spionaggio Gladio, il missile Meteor. Senza dimenticare l'Airbus A400M,
che può trasportare centinaia di soldati Francesi nel cuore dell'Africa
affinché le multinazionali possano continuare a rapinare le sue
ricchezze.
Riassumendo, uno crede di essere ad un volgare salone dell'armamento, e
dubito che i militanti di base siano stati consultati su questo
orientamento. Triste per un giornale il cui fondatore Jean Jaurès disse
all'epoca: "Il capitalismo porta in se la guerra come la nuvola la
tempesta".

Michel Collon

Traduzione di FB

[ na srpskohrvatskom:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3814
en francais:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3812 ]