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Ucraina: il criminale avventurismo della Unione Europea

1) INIZIATIVE:
- Trieste 11/3: Ucraina: quale presente, quale futuro per la democrazia in Europa e nel mondo
- Roma 13/3: Unione Europea: Spazio comune o polo imperialista?

2) Il pericoloso avventurismo dei “progressisti” dell'Unione Europea (Sergio Cararo)

3) Il governo tedesco, la CDU della Merkel, hanno costruito l'"avversario" ucraino Klitschko e i leader del suo partito! (AC | solidarite-internationale-pcf.over-blog.net )

4) Buđenje monstruma: uspon ukrajinskog fašizma (Justin Raimondo)

5) Will coup in Ukraine divide U.S. and German imperialism? (Rainer Rupp)

6) German media campaigns for war in Ukraine (Ulrich Rippert, WSWS)

7) Young Communists' Organizations Worldwide: Joint Declaration on Ukraine / Declaracion Comun Ucraina


=== 1: INIZIATIVE ===

Trieste, Martedì 11 marzo 2014
ore 18:30, sala di via Tarabochia n° 3 - I° piano

Ucraina: quale presente, quale futuro per la democrazia in Europa e nel mondo

Introduzione: sen. Stojan Spetič. Conclusioni: Igor Kocijančič.

promuovono: Rifondazione / Prenova - Comunisti Italiani / Slovenski Komunisti


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Roma, Giovedì 13 marzo 2014
ore 17.30, Via G. Galilei, 53

INCONTRO DIBATTITO su 

Unione Europea: Spazio comune o polo imperialista?

- La guerra c’è già. Come si combatte?
- La concentrazione economica in Europa sta producendo una nuova classe dominante;
- la destrutturazione dell’economia europea sta modificando la composizione della classe lavoratrice;
- un doppio standard della politica: una per le classi popolari, l’altra per i poteri forti.

Introduce: Gualtiero Alunni
Intervengono: Collettivo Militant, Franco Russo, Alfonso Gianni, Nunzio D'Erme, Mauro Casadio
Organizza: Rete dei Comunisti - www.retedeicomunisti.org



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Il pericoloso avventurismo dei “progressisti” dell'Unione Europea


•  Venerdì, 28 Febbraio 2014 13:51
•  Sergio Cararo

Sarà bene che nessuno sottovaluti l'atteggiamento con cui l'establishment dell'Unione Europea - ed in particolare il milieu progressista – sta affrontando la crisi in Ucraina.

Nel leggere le prese di posizione e le indicazioni che vengono da Bruxelles e dalle capitali europee, si ha la netta impressione che la ruota della storia stia girando all'indietro per riportare gli scenari nelle zone temporali più inquietanti della storia recente dell'Europa.

Quando il presidente del Parlamento Europeo Schultz afferma senza problemi che intende dialogare con i fascisti ucraini del movimento Svoboda, indica che si è rotto il meccanismo - anche formale- dei “paletti democratici” sui quali è stato edificato quello che ormai si va configurando come un polo imperialista. I presupposti democratici che l'UE ha opposto per anni all'ingresso della Turchia nell'Unione sembrano materia di un'altra epoca. L'abbassamento si era già verificato sulla situazione interna dell'Ungheria oggi governata da movimenti reazionari. Ma è sull'Ucraina che il mito della funzione progressiva dell'Unione Europea si sta rapidamente sgretolando. E con esso si sbriciola ogni residuo di credibilità

Qualche indizio era già leggibile nell'intervista rilasciata dal pacifista, ecologista ed ex ministro degli esteri tedesco Josckha Fischer sul Corriere della Sera, quando affermava che l'Unione Europea deve capire che “difendere i propri interessi non è a costo zero”. L'oltranzismo di Fischer, che avevamo già visto all'opera nell'aggressione alla Jugoslavia nel 1999, è ancora più esplicito in relazione alla crisi ucraina e ai rapporti con la Russia. “La relazione con Mosca sarebbe molto più semplice se l'Unione Europea fosse più forte e assertiva. Al Cremlino si capiscono sempre meglio i rapporti di forza”. Un linguaggio decisamente esplicito.che invita l'Unione Europea a cambiare atteggiamento nei confronti dell'Est europeo.

Poche settimane fa erano stati i ministri della Difesa e degli Esteri tedeschi, alla vigilia della Conferenza per la Sicurezza di Monaco, a far intendere che non basta più essere una potenza economica per diventare una “potenza globale” e che – ad esempio – l'Africa torna ad essere una area di interesse strategico. Sarà un caso ma i soldati francesi ed ora anche “europei” (tra cui 250 soldati tedeschi) sono ormai presenti in tutti i paesi dell'Africa occidentale e centrale.

Ma se l'establishment della maggiore potenza dell'Unione Europea – la Germania – torna a parlare il linguaggio dei rapporti di forza con la Russia e sull'Europa dell'Est, anche i “progressisti” (vedi il circuito de La Repubblica e dei media di area Pd in Italia) si allineano e arruolano nelle ambizioni da potenza globale dell'Unione Europea.

La crisi in ucraina sembra avere un effetto quasi costituente per tali ambizioni. Una tendenza che, a nostro avviso, era già in incubazione nella volenterosa partecipazione delle potenze europee (Germania, Italia, Francia tutte guidate da governi di centro-sinistra) all'aggressione contro la Serbia nel 1999.

Di fronte ai rischi quasi obiettivi di una secessione dell'Ucraina tra le regioni filo-occidentali e quelle filo-russe, il presidente francese Hollande ha affermato che “In Ucraina e' indispensabile garantire una transizione pacifica, oltre all'unita' ed integrita' territoriale del paese” e che Unione Europea e Russia devono collaborare su questo obiettivo.

Bernard Guetta, ad esempio, scrive sulla rivista di area “progressista” Internazionale, che in Ucraina “La questione va risolta alla svelta, e per farlo l’Unione europea deve mettere la Russia con le spalle al muro proponendole una trattativa, anche segreta se necessario, per stabilizzare l’Ucraina ed evitare un’inutile crisi continentale”.

L'Unione Europea dunque sembra attraversata da un demone a doppia faccia. Da un lato la consapevolezza che una rottura con la Russia sarebbe un boomerang sul piano delle forniture energetiche e della destabilizzazione economia dell'Ucraina, dall'altro le crescenti ambizioni ad agire come potenza globale – soprattutto nella propria area di influenza – fa crescere le posizioni interventiste che spingono ad un confronto duro e diretto con Mosca per farle capire che “in Europa l'aria è cambiata”. Il dramma è che questa seconda posizione – come fu per il Mussolini "socialista" e interventista nella prima guerra mondiale – vede impegnato proprio il milieu progressista europeo più che le forze conservatrici, come accade in Jugoslavia quindici anni fa e come accadde in Europa un secolo fa. E' molto più di uno scenario inquietante.



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www.resistenze.org - popoli resistenti - ucraina - 03-03-14 - n. 488

Il governo tedesco, la CDU della Merkel, hanno costruito l'"avversario" ucraino Klitschko e i leader del suo partito!

AC | solidarite-internationale-pcf.over-blog.net
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

01/03/2014

Chi crede a semplici "proteste popolari" in Ucraina? Ogni giorno si rivelano i legami tra i leader della ex "opposizione" pro-europea (ora al governo!) e i vari governi europei, l'UE e gli Stati Uniti.

La Germania dietro le quinte in Ucraina promuove gli interessi dei suoi monopoli, fingendo in pubblico il "dialogo" per voce del Cancelliere Merkel e del nuovo ministro degli esteri Steinmaier.

Come rivela il quotidiano ben informato der Spiegel, lo scorso dicembre la classe dirigente tedesca in generale - e la CDU in particolare - ha puntato sul suo cavallo: l'ex pugile Vitaly Klitschko e il suo partito UDAR (Alleanza per la riforma democratica in Ucraina).

Klitschko, l'uomo di Berlino

Secondo der Spiegel, la CDU della Merkel, ma anche il Partito Popolare Europeo (PPE), riunendo tutti i partiti europei della destra conservatrice (tra cui l'UMP) hanno scelto Klitschko come loro rappresentante in Ucraina per unire l'opposizione e vincere le elezioni presidenziali del 2015.

Ricordiamo che l'UDAR ha conseguito un avanzamento sensazionale nelle elezioni del 2012 passando dallo 0,05% al 14% dei voti, con il grande sostegno dei media, diventando il terzo partito del parlamento del paese, con 34 seggi.

L'UDAR si distingue per il suo populismo contro la corruzione, il liberismo economico e per la sua posizione decisamente pro-europea.

"Klitschko è il nostro uomo, ha un chiaro programma pro-europeo", riferisce der Spiegel, citando un deputato tedesco della CDU, membro del PPE a cui UDAR ha aderito in qualità di membro osservatore nel 2012.

Sappiamo anche che Klitscko ha trascorso la maggior parte della sua carriera pugilistica in Germania. Egli ha sostenuto che, quantunque non sia tedesco: "La Germania è il mio paese d'adozione, adoro la Germania!".

La Fondazione Konrad Adenauer e il PPE: artefici della formazione dei leader del partito di Klitschko!

Gli Uffici del PPE a Bruxelles e Budapest hanno formato il personale di UDAR al lavoro parlamentare e forniscono il sostegno per il passaggio da un "movimento personalistico" a una struttura nazionale di partito.
La Fondazione Konrad Adenauer, strettamente legata alla CDU, gioca un ruolo importante.

Klitschko aveva esplicitamente chiesto l'assistenza dei consiglieri della Merkel nella Fondazione. La Fondazione della CDU ha preparato i politici dell'opposizione ucraina ad assumersi la responsabilità in un programma di "dialogo".

Quattro membri dell'UDAR hanno anche visitato Berlino all'inizio di dicembre per incontrare i deputati e funzionari del Ministero della Giustizia e del Lavoro della CDU.

Klitschko allenato dal capo di gabinetto della Merkel

Il giornale racconta i legami personali tra Klitschko e il personale politico tedesco. Così Ronald Pofalla, capo di gabinetto della Merkel, è diventato il mentore di Klitschko, insegnandogli come combattere le intimidazioni del potere.

Pofalla avrebbe dato consigli a Klitschko su come avrebbe dovuto giocare la sua "integrità" e la "verginità politica" per combattere le voci diffuse dal governo, e l'avrebbe messo a conoscenza della sua esperienza nel sostenere l'opposizione pro-europea in Bielorussia (!).

Infine, Klitschko avrebbe sollecitato il governo tedesco di fare pressione sul presidente ucraino per aggirare la legge che impedisce a chiunque non abbia passato 10 anni in Ucraina di presentarsi alle elezioni, il che l'avrebbe escluso dallo scrutinio.

Secondo der Spiegel, per questo occorre considerare Klitschko un politico serio. Cosa che si sforza di fare il governo tedesco.

Rammentiamo che ai primi di dicembre, il ministro degli Esteri Guido Westerwelle era apparso nelle strade di Kiev, mano nella mano con Klitschko, in solidarietà con i manifestanti pro-europei e contro il governo ucraino.

Apprendiamo che, da un lato M.Westerwelle conosceva già bene Vitaly Klitschko all'epoca della sua carriera pugilistica. Apprendiamo anche che questo incontro è stato accuratamente preparato e assicurato il sostegno da parte degli altri paesi europei.

Ultimamente, gli incontri personali tra il Cancelliere Merkel e Klitschko, si sono moltiplicati.

A Vilnius, alla fine di novembre, aveva discusso lunghe ore con deputati di destra di rango, incontrato il consigliere tedesco degli esteri Christoph Heusgen, ma non ancora Merkel.

A metà dicembre, in occasione della riunione preliminare del PPE prima del vertice UE, è stato invitato dal Cancelliere Merkel ed introdotto presso i vari leader della destra in Europa.

Klitschko preservato dalla Merkel per il 2015?

Infine, più di recente, dopo il rimpasto di governo, Klitschko e Iasteniouk sono stati presenti a Berlino, il 17 febbraio. Hanno ricevuto l'appoggio esplicito del Cancelliere, una promessa di sostegno finanziario per la nuova Ucraina, ma senza sanzioni per Yanukovich.

Secondo il giornale tedesco der Spiegel, la Merkel avrebbe scelto di sostenere Klitschko dopo diverse segnalazioni particolarmente entusiastiche dei suoi consiglieri, Pofalla, Heusgen ma anche Elmar Brok (CDU), descrivendo tutti Klitschko come contraltare dei politici ucraini classici.

Klitschko si sarebbe espresso in maniera sensata, ossia alla "moda europea" (sic), apparendo agli occhi della folla, come un uomo di grande integrità, senza macchia di corruzione.

Klitschko ripete di non avere alcun legame con gli oligarchi ucraini. Tuttavia, il suo partito (con il nome di "Capitale europea"; nulla è per caso) è stato fondato da un ucraino, uomo d'affari di origine georgiana, di dubbia reputazione, Lev Partshaladze.

Inoltre, voci provenienti da fonti attendibili, evocano il finanziamento al partito di Klitschko da parte di uno dei due maggiori oligarchi del paese, Dmytro Fitash, presidente della Federazione degli imprenditori ucraini, patron della produzione di titanio in Ucraina e alla testa di un consorzio finanziario internazionale.

Il nuovo governo non conta Vitali Klitschko, perché secondo alcuni osservatori, Angela Merkel e la Cancelleria tedesca desiderano preservare il "loro uomo" dalla tempesta a venire, in vista delle elezioni del 2015.

Non fatevi ingannare, la "nuova Ucraina" sarà quella dei banchieri, degli oligarchi, dei fascisti e dei gruppuscoli neo-nazisti. Tutti uniti in un sogno europeo che devia verso l'incubo intorno all'"uomo di Berlino", Vitali Klitschko.


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BUĐENJE MONSTRUMA: USPON UKRAJINSKOG FAŠIZMA

Posted by Novi Plamen on March 7, 2014 · Leave a Comment 

Sa očima uprtim u rusku invaziju na Krimu, i izgledima za širenja rata koji bi obuhvatio cijelu Ukrajinu, naša se pozornost skreće sa nečeg što je možda najznačajniji aspekt ove krize: stupanje jednog istinski fašističkog masovnog pokreta u kuloarima moći.


Naši “mainstream” mediji sliježu ramenima pa to opisuju kao prisutnost „malog broja ultra-nacionalista“ na kijevskim prosvjedima, ali to je koješta: ono daleko više nadilazi taj mali broj. Ustvari, aktivisti dviju glavnih fašističkih partija u Ukrajini –Svoboda i “Desni Sektor” – osigurali su glavnu mišićnu snagu potrebnu pobunjenicima da zauzmu ukrajinske vladine zgrade i diljem zapadne Ukrajine.
Svoboda (“Sloboda”) osnovana je 1991. kao Socijalna nacionalna partija Ukrajine. Partija obožava Stepana Banderu, čiji su se sljedbenici borili na strani Nacista tokom Drugog svjetskog rata protiv Crvene armije i ukrajinskih komunističkih milicija. Banderina Organizacija ukrajinskih nacionalista (OUN) imala je direktnu podršku Njemačke: Hitler je želio da oni budu policijski redarstvenici Ukrajine nakon što je Nijemci okupiraju, pa je OUN organizirao volonterske milicije koje su aktivno sudjelovale u Holokaustu. “Židovi Sovjetskog saveza,“ izjavljivali su Banderisti, “su najlojalnije pristalice Boljševičkog režima i avangarda moskovskog imperijalizma u Ukrajini.“ Kad su Nijemci zauzeli Lvov u ljeto 1941., Banderisti su poslali poruku Židovima Lvov-a u obliku pamfleta koji je glasio: “Mi ćemo posložiti vaše glave ispred Hitlerovih nogu“! A tako su i uradili; OUN je djelovao sa SS-om na skupljanju i pokolju 4.000 gradskih Židova. Po slobodnom izboru su im na raspolaganju bili borbena sredstva: sve, od pušaka pa to metalnih šipki.
Kad je Viktor Yushchenko, tijekom svog katastrofalnog mandata kao predsjednik Ukrajine, posmrtno dodijelio Banderi titulu „Heroja Ukrajine“, Evropski parlament je formalno uložio protest: to se ignoriralo.
Vođa Svobode Oleh Tyahnybok, sada najviši autoritet Ukrajinskog parlamenta, je anti-semit koji se ne kaje. Tokom ljeta 2004., održao je govor svojim sljedbenicima nad grobom jednog banderističkog komandira u kojem je izjavio: “Vi ste ti kojih se moskovsko-židovska mafija koja vlada Ukrajinom najviše boji.“ Njegovo visokoparno izlaganje upućivalo je i na “Ćifute” kao najistaknutije protivnike Banderista. Tyahnybok je zbog svojih izjava istjeran iz Parlamenta, ali sadašnja „revolucija“ ga je ponovo instalirala na stari položaj – i to nadmoćnijim nego ikada.
Društvo oko njega je obilno. Aktivisti Svodobe, koji već imaju stolice u Parlamentu, drže ni manje ni više nego osam najviših ministarskih pozicija:
·         Ihor Tenyukh – privremeni ministar obrane i član političkog savjeta Svobode. Bivši komandant Ukrajinske mornarice, tokom 2008. u vrijeme rata Rusije sa Gruzijom, naredio ukrajinskoj ratnoj floti da blokira ulazak Ruskoj mornarici u Sevastopoljskom zaljev.
·         Andriy Parubiy – Šef Savjeta za nacionalnu sigurnost, su-osnivač Svobode još u vrijeme kad je to bila „Socijalno nacionalna“ (hmhm!)partija.
·         Dmytro Yarosh – zamjenik rukovodioca Nacionalnog savjeta za sigurnost, to jest, policije, te osnivač-vođa „Desnog sektora“, militantne neo-nacističke paravojne skupine koja je preuzela odgovornost za sigurnost na Majdanu.
·         Oleh Makhnitsky – Član Svobode i član parlamenta, koji je i glavni javni tužilac.
·         Oleksandr Sych – Parlamentarni zastupnik član Svobode i glavni partijski ideolog, te pomoćnik premijera za ekonomsku politiku.
·         Serhiy Kvit – jedan od vodećih članova Svobode, predviđen da vodi Ministarstvo obrazovanja.
·         Andriy Moknyk – novi Ministar za ekologiju, bio izaslanik Svobode kod drugih evropskih fašističkih partija. Prošle godine sastao se sa predstavnicima violentne neo-fašističke stranke Italije, Forza Nuovo.
·         Ihor Shvaika – agro-oligarh i član Svobode, imenovan je za Ministra poljoprivrede. Jedan od najbogatijih ljudi u zemlji, posjeduje masovne investicije u poljoprivredi što je indikacije izvjesnog sukoba interesa.
Po prvi put od 1933. godine, sljedbenici pokreta koji valorizira (odaje vrijednost) Adolfa Hitlera i propovijeda anti-semitizam ušli su u jednu evropsku vladu. Njemaki nacisti su, isto tako, bili dio jedne „koalicione“ vlade, a drugi članovi su mislili da ih mogu zauzdati pa čak i „pripitomiti“ i spriječiti komunističko preuzimanje vlasti. Tragično su pogriješili – a Sjedinjene Države i njeni evropski saveznici sada idu istim putem u podršci Hitlerovih nasljednika u Ukrajini.
Naravno da većina koja podržava vladu nisu tvrdokorni neo-nacisti: ali to nije ni potrebno da ovo postane presedan za koji će Zapad zažaliti. Nazočnost Svobode i “Desnog Sektora” legitimizira ove pokrete, i to ne samo u Ukrajini. Njemačka je povremeno nastojala zabraniti neo-nacističku Nacionalnu demokratsku partiju, a Britanci su poduzeli pravne mjere protiv Britanske nacionalne partije: hoće li oni sada odobriti ukrajinskoj braći iz tih takozvanih skupina mržnje diplomatsko priznanje i obećanja o političkoj pa čak i vojnoj podršci?
Ono što je zanimljivo oko gore navedenih konkretnih zaduženja je istaknutost koja se daje vođi „Desnog Sektora“, Dmytrou Yaroshu na ključnoj poziciji zamjenika šefa nacionalne policije. Organizacija  “Desni Sektor” proistekla je iz integracije nekoliko ultra-nacionalističkih i otvoreno neo-nacističkih grupica, uključujući tu i “Trident,” Ukrajinski nacionalni obrambeni sabor, “Bijeli čekić“ i “Ukrajinski domoljubi“.  Yorash se „busao u prsa“ na vrhuncu prosvjeda da je njegova grupa nagomilala ogromnu količinu skrivenog oružja, te pošto već imaju vatreno oružje neizbježno je da će oni oblikovati nukleus rekonstituirane policije. Uz visoku popularnost ove grupe i proslavljeni status koji uživaju kao „heroji revolucije“ Yorashovi jurišnici – koji nose crveno-crne oznake Banderista – biti će zaduženi za suzbijanje anti-vladinih „nemira“ i lov na „izdajnike“. Možda će tu ubaciti i malo premlaćivanje homića: nacionalisti mrze homoseksualce koliko i Židove i svakog tko govori ruski.
Victoria Nuland je mislila da može Svobodu i “Desni Sektor” držati izvan vlade, ali za sada joj to nikako ne ide od ruke. A sa izborima predviđenih za 25. svibanj, nacionalisti su dobro pozicionirani preuzeti dobar komad glasova. Arseniy Yatsenyuk, favorizirani kandidat State Departmenta, je cvikeraš i tehnokrat kome nedostaje karizma. Tyahnybok, s druge strane je prirodni demagog.
Bez obzira koliko će dolara američkih poreznih obveznika otjecati preko State Departmenta u riznice Ukrajinskih marioneta od danas pa do 25. svibnja, sav novac na svijetu neće moći zauzdati sile koje su naši intervencionisti pustili u svijet. Vijest da je vođa „Desnog Sektora“ pozvao nikog drugog nego al-Qaedu da pomogne Ukrajini u njenom boju protiv Rusije upravo je pokazatelj koje vrste demona smo pustili sa uzice – ovog puta.
Preveo Slobodan Drenovac


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Will coup in Ukraine divide U.S. and German imperialism?

By Rainer Rupp on March 4, 2014

Rainer Rupp, currently writing for the German daily newspaper Junge Welt, was a high NATO functionary in Brussels from 1977 to 1989, who also reported to the German Democratic Republic’s intelligence service HVA. Workers World managing editor John Catalinotto translated this article to make the voice of a progressive German analyst available for WW readers.

Feb. 28 — The armed coup over the Feb. 22-23 weekend in Kiev, which was with great probability supported by Washington, is momentous in many ways. Within hours the coup trashed the agreement that took so long to be hammered out in discussions led by the European Union and especially by Germany; this agreement involved Moscow and was signed by the Ukrainian opposition parties on the one hand and the government and President Viktor Yanukovych on the other. Thus, not everyone in the West shared in the exuberant joy shown after the overthrow. It has once again become clear that in relation to the Ukraine and Russia, the U.S. and the EU, specifically Washington and Berlin, act according to different and sometimes conflicting agendas.

U.S. commentators who are close to the Obama administration are openly celebrating the coup in Kiev as a successful blow against Moscow, indeed, as tit for tat for the Russian obstruction of U.S. war plans against Syria. They see that Ukraine gives them the potential to turn up or turn down a crisis to impose uncertainty and a strategic distraction on Moscow — if Russia continues to make trouble for the U.S. hegemon as the U.S. tries to enforce its plans for world order. In contradiction to this, the EU, once again led by Berlin, has tried to involve Moscow in coming up with a coordinated, mutually acceptable solution to the crisis in Ukraine, as Germany is particularly concerned with having good economic relations with Russia. For this the EU was denigrated with a contemptuous “f—k the EU” from President Obama’s East Europe and Russian political expert Victoria Nuland.

The German Defense Minister Ursula von der Leyen made the differences between Washington and Berlin clear with her comments at the meeting of NATO defense ministers in Brussels on Feb. 26. She repeatedly stressed that a solution to the crisis in Ukraine could be possible only through cooperation with Moscow: “Russia must be involved; there will be no solution found without Russia,” she said in an ARD [television] news report. She pointed out that there is also a NATO-Russia Council, in addition to the NATO-Ukraine Council. “The solution must be sought in common, both with Russia and with NATO and Europe.”

Demands from relevant German business circles followed the von der Leyen’s comments.

The chairperson of the Committee on Eastern European Economic Relations of the Federation of German Industries, Eckhard Cordes, had complained this week in a statement about the anti-Russian policy of Berlin and demanded that “the EU and Russia together bring the contending parties in Kiev to the discussion table.” Similarly, even the experts of the German Society for Foreign Policy (DGAP) think tank had taken a position in a study published two days before the coup that closer “cooperation between the West and Russia” will also be required in terms of Ukraine. Germany would have to “urge moderation of both camps in Ukraine and the constructive involvement of Russia,” according to the report (see Junge Welt, Feb. 26).

In contrast, as reported Feb. 26 by the European Policy Centre, a think tank in Brussels, British policy advisor Amanda Paul — representative of the neoconservative U.S.-British and European hawks — made demands on the EU with regard to Ukraine “for a tougher line against Putin. The young generation in Ukraine is well educated and is thus needed by the EU.” That’s why the EU must “cease to behave so cowardly, and instead be ready to tackle Russia before the high hopes of many Ukrainians in the EU are disappointed,” said Paul.

Against this background, the very short final declaration — 254 words — allowed the NATO defense ministers, regarding their deliberations on the Ukraine on Feb. 26, to conclude, as was already shown at the NATO summit on the “new strategic concept” in Bucharest in 2008 and in Strasbourg in 2009, once again not to enforce the hard, confrontational line of Washington against Russia. Apart from the verbal pirouettes which aim to whitewash the violent overthrow of the president of Ukraine democratically elected by the majority of the people, it is particularly important what is omitted from the declaration: namely, there are no threats and warnings to Moscow, nor drawing of “red lines.” It is a completely different tone than that which was heard in the last few days from Washington and London. Also there appeared nowhere, not even indirectly, the demand for Ukraine’s joining NATO or the EU. The U.S.-British adventurers could obviously not prevail in Brussels.

At the same time, however, von der Leyen’s position — that is, “No solution without Russia” — is also missing from the defense ministers’ statement, even though it was strongly supported by Spain, among others. Implicitly, however, the text includes a requirement that, should it be fulfilled, would pave the way for an amicable solution with Russia and is contrary to the destabilizing power politics of the U.S. The relevant passage reads: “We stress the importance of a comprehensive political process based on democratic values, respect for human rights, the rights of minorities and the rule of law that meets the democratic aspirations of the entire (!) Ukrainian people.” This would remove the fascist and other ultra-nationalist forces in Ukraine from consideration.

Despite all the difficulties Moscow had in the past with [pro-West neoliberal billionaire] Yulia Tymoshenko as prime minister or Viktor Yushchenko as president of Ukraine, it can work together with them quite satisfactorily, also thanks to the moderating influence of Berlin on Kiev. The great uncertainty is now, however, whether the West will get back under control the extremist forces it unleashed in the Ukraine.


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German media campaigns for war in Ukraine

By Ulrich Rippert 
7 March 2014

So-called liberal German media outlets such as the daily Süddeutsche Zeitung, Die Zeit, which is close to the Social Democratic Party (SPD), and the Green Party-aligned TAZ have responded to the intensification of the crisis in Ukraine with a vehement campaign for war. As though they had received their training in Goebbels’ propaganda ministry, some commentators are openly defending fascist parties, hailing anti-Semitic militias as freedom fighters, and calling for a military strike against Russia.

On Monday, TAZ Russian correspondent Klaus-Helge Donath railed against “Berlin’s cuddly diplomats” in a lead article. He accused the German government of allowing Putin to lead them “around the arena by the nose.” On the title page, an oversized telephone receiver was featured, designed to show that Berlin’s policy was restricted to diplomatic efforts.

The west could no longer allow Putin “to make a fool of them,” TAZ insisted.

Donath explicitly justified collaborating with fascists. “No one disputes that there are influential, radical right-wing forces,” he wrote. “But are there not several groups in the Ukraine as in other European democracies?”

When violent groups overthrew the President in Kiev two weeks ago, Donath defended the Ukrainian fascists, who enjoy close ties to the German government. He described them as “an active part of Ukrainian society,” which had driven forward “the protests of Ukrainian society against a pro-Soviet, kleptocratic autocracy.”

In the same vein, Stefan Kornelius went on the offensive in the Süddeutsche Zeitung. He described the overthrow of Yanukovych as a “revolution” which had to be defended. By contrast, he accused Russian President Putin of knowing only the language of violence, striving for a counter-revolution and being intent on war. Therefore, he had to be forcibly resisted.

That Kornelius dares to describe the fascists as national revolutionaries, in Ukraine of all places, where names like Babi Yar recall some of the worst Nazi crimes, is not only deeply repugnant but also politically criminal.

Yet Kornelius is aware that the right-wing putsch in Ukraine was guided by external forces, above all by the deliberate actions of the German and American governments. He wrote in his comment that the previous power relations in Ukraine were overturned by a “political intervention.”

The course of this political intervention is well known. When Viktor Yanukovych refused last November to sign an association agreement with the European Union (EU), the governments in Washington and Berlin began a systematic campaign of destabilisation. They supported the pro-EU opposition which organised protests against Yanukovych. Along with Yulia Tymoshenko’s Fatherland and Vitali Klitschko’s Udar, both right-wing parties with close ties to Germany’s Christian Democratic Union, the fascist Svoboda party of Oleg Tyahnybok was also included.

The fact that Svoboda employs neofascist symbols, rails against foreigners, Jews, Poles and Hungarians, maintains close ties to the French National Front, and that it was compared with Greece’s Golden Dawn and Hungary’s Jobbik by the World Jewish Congress did not prevent the German and American governments from publicly supporting Tyahnybok.

Kornelius defended this collaboration with the fascists and was supported by his editorial colleague Daniel Brössler. In the same paper, Brössler demanded, “The west has to set limits for Putin.” Brössler demanded that the west had to “establish a state of emergency” for Russia. This meant sanctions at least.

On Wednesday afternoon, Kornelius went one better. In an online comment, he called on the German government “not to accept the facts created by Putin.” Then he posed the question, “Can Russia only be impressed by counter measures if the navy is sent quickly?”

He did not provide a direct answer, but noted that all diplomatic and psychological efforts or the “restricted pinpricks of sanctions” were failing to achieve anything. “A brutal but calculated duel” was necessary. He demanded that decisiveness be answered with decisiveness, leaving no doubt that he was talking about military escalation.

Similar war propaganda came from Eric T. Hansen in Die Zeit. He wrote that although reason, caution and compromise were good virtues, Europe had “to learn power politics.” The article went on: “We convince ourselves that the world works generally on a rational basis, with lots of compromise and consideration.” This is false. “Man is not a moral animal, but an animal of power.” The EU stood at a crossroads, Hansen continued. “Does it have the guts to meet power politics with power politics? Or will it withdraw into the old patterns, like the Germans in the Cold War?”

He wrote of post-war Germany with disdain. “Above all that means peace demonstrations, and statements, and anger, and talk shows. Oh god, the talk shows! All of this is called moral politics, and the emphasis is on moral.”

To leave no doubt about for what he was calling for, Hansen wrote, “Now I know what you’re thinking. Hansen wants to take us to war. But that is the moral politician in you who is speaking. He screams ‘war, never again’ at every opportunity, he can’t do anything else.”

This is explicit. When Hansen ridicules “moral politicians,” he means the replacement of the demand “war, never again,” which became deeply imbedded in the population after two world wars with hundreds of millions of dead, with the call, “we want war again!”

As with Kornelius and Klaus-Helge Donath, Hansen speaks for a super-rich layer at the top, who set the tone in politics and the media, and, as in the 1930s, are crying for war and dictatorship. At that time, many lackeys of the Nazis sat in the editorial offices and at university lecterns.

As one reads such comments, the angry remark of Max Liebermann springs to mind. When he saw the hordes of the SA marching through the Brandenburg Gate in 1933, he said, “I can’t eat as much as I would like to throw up!” But anger and outrage are not adequate to combat the cheerleaders for war. The working class and youth must take up the struggle against war and fascism on the basis of an international, socialist programme.



=== 7 ===

Declaración Común sobre los acontecimientos en Ucrania

Los acontecimientos en Ucrania son particularmente cruciales y peligrosos, en primer lugar para el pueblo y la juventud del país, que están siendo transformados de nuevo en víctimas de los intensos antagonismos entre los EE.UU. y la UE con Rusia para el control de los mercados , de los recursos naturales y de las redes de transporte del país.

La intervención abierta de la UE y EE.UU. y la OTAN, la utilización de los grupos y las organizaciones fascistas, los descendientes de los SS, que propagan el veneno nazi-fascista y el anticomunismo , las persecuciones y la prohibición de partidos políticos, sobre todo contra los comunistas, las leyes racistas que se están preparando en contra de la población de habla rusa y de otras minorías demuestran el carácter de los acontecimientos, se hace descubrir las mentiras sobre el "triunfo de la democracia en Ucrania" .

Los jóvenes - especialmente en Europa - pueden ver con más claridad el verdadero rostro de la UE: se trata de una unión de los capitalistas y de los monopolios de Europa y sirve a sus intereses, por eso la propia naturaleza de la UE es reaccionaria. Es una unión de intervenciones militares, guerras, apoyo de los grupos fascistas, del anticomunismo, ésta es su ideología oficial. Todos aquellos que cultivan las ilusiones de que la UE puede transformarse en una fuerza de paz y estabilidad en favor de los pueblos tienen grandes responsabilidades.

Las Organizaciones Juveniles Comunistas que firman este anuncio:

• Denunciamos la intervención de UE-EEUU-OTAN en los asuntos internos de Ucrania, el apoyo directo que presentan a los grupos fascistas armados y las amenazas de una intervención militar extranjera.
• Expresamos nuestra solidaridad con los comunistas de Ucrania. Denunciamos las persecuciones y los intentos de prohibir el Partido Comunista de Ucrania.

Los jóvenes de la clase obrera y de extracción popular no deben caer en la trampa de los dilemas nacionalistas al elegir un bando entre los antagonismos de aquellos que quieren explotarlos. Por el contrario, los jóvenes tienen interés en la organización y la lucha junto con la clase obrera, para abrir su propio camino: el camino de la lucha en favor de nuestras necesidades actuales, para que la riqueza esté en las manos de aquellos que la producen, para que nos deshagamos de las uniones imperialistas y sus antagonismos.

• Juventud Comunista de Austria KJOe
• Unión de Jóvenes Comunistas Brasil UJC
• Juventud Comunista Avanzando Brasil JCA
• Liga Juvenil Comunista de Bretaña YCL Britain
• Juventud Comunista de Bolivia JCB
• Liga Juvenil Comunista de Canadá YCL Canada
• EDON Chipre
• Jóvenes Socialistas de Croacia
• Jóvenes Comunistas de Dinamarca Ungkommunisterne i Danmark
• Juventud Comunista de Ecuador JCE
• Colectivos de Jóvenes Comunistas de España – CJC
• Unión de Juventudes Comunistas de España - UJCE
• Jóvenes Comunistas de

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(english / deutsch / italiano / more languages)

Strategia della tensione targata NATO a Kiev

0) LINKS

1) "GLADIO" IN KIEV
FR: Les banderistes ont sans doute organisé eux-mêmes les tirs de snipers qui ont massacré opposants et  policiers, révèle le ministre estonien qui ne savait pas qu'on l'écoutait
DE: Regierungsgegner und Polizisten auf dem Maidan wurden von Heckenschützen der neuen ukrainischen Regierung erschossen
EN: The Estonian foreign minister expressed his suspicion that "somebody from the new coalition" in Kiev could have been behind the sniper shootings on the Maidan / Secretive Neo-Nazi Military Organization Involved in Euromaidan Snyper Shootings (F.W. Engdahl / Global Research)
IT: Ucraina: organizzazione militare segreta neo-nazista coinvolta negli spari a Euromaidan (F.W. Engdahl / Global Research) / Cecchini atlantisti hanno sparato dai tetti a Kiev, sia sulla folla che sulle forze dell'ordine, per accendere la miccia della guerra civile

2) Why are Nazi & Confederate flags on display in Kiev? (Sara Flounders, WW)

3) NATO Deploys Troops For War In Ukraine



=== 0: LINKS ===


FLASHBACK: 

Unknown Snipers and Western backed “Regime Change”. A Historical Review and Analysis
By Gearóid Ó Colmáin - 
Global Research 28 November 2011


VIDEOS:

Michel Collon : Ukraine et médiamensonges, comment ne pas se faire manipuler ?
6 mars 2014 - Voir plus loin que le bout de notre nez ? Les médias n'y tiennent pas, on se poserait trop de questions, y compris sur les médiamensonges. Mais si on veut comprendre un conflit comme l'Ukraine, nous devons absolument le mettre en perspective, le voir sur la longue durée. Les médias nous disent que l'Europe et les Etats-Unis réagissent à des manifestations, mais en réalité, l'Ukraine est une cible depuis vingt ans. Michel Collon éclaire les stratégies dont on ne parle pas...

Verschwörung der Medien aufgedeckt: Ukraine/Kiew: Terroristische Akt
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=_EOyz8yS5cc

Ukraine (Doku): Gewalt, Faschismus, Staatstreich: Was unsere Medien verschweigen (Deutsch Untertitel)

Donetsk, 7 marzo: la città dice noi ai fascisti e all'ingerenza imperialista e chiede di poter decidere del suo destino / Донецк!!! Это народ. Это не оплачено Америкой и Германией, как военный переворот в Киеве
VIDEO: http://www.youtube.com/watch?v=pFgrVQ9O6Ic

MERCENARI STATUNITENSI A KIEV
I media ucraini e russi (segue il link al servizio del canale Rossija1) hanno comunicato ieri (5/3) che a Kiev sarebbero arrivati 300 mercenari della statunitense Academi, ex Blackwater Worldwide, una delle maggiori PMC (Private Military Companies). L'area di impiego dei mercenari sarebbe l'Ucraina sud-orientale, dove più forti sono le proteste contro la giunta di Kiev. In queste regioni infatti sono frequenti le prese di posizione delle amministrazioni locali che non riconoscono il nuovo potere centrale, e gli oligarchi nominati governatori dal governo non stanno riuscendo a contenere le proteste.
La Blackwater - Academi è tristemente nota per le stragi compiute contro civili a Falluja e Baghdad e successivamente in Afghanistan. (Fonte: pagina Facebook "Con l'Ucraina antifascista")
VIDEO: ВАЖНЕЙШАЯ ИНФОРМАЦИЯ НА 05.03.2014: Воевать за экстремистов в Киев прибыли наемники из США
http://www.youtube.com/watch?v=OuC9PFXcpfU


ARTICLES:

NATO Coup in Ukraine. “Wag the Dog” Military Deployment in a Crucial Geopolitical Pivot?
By Chris Macavel - Global Research, March 07, 2014

Obama is Escalating the Crisis. US War Ships Sent to the Black Sea (The Voice of Russia)

BBC Now Admits: Armed Nazis Led “Revolution” in Kiev, Ukraine
By Tony Cartalucci - New Eastern Outlook / Global Research, March 07, 2014

The crisis in Ukraine and the historical consequences of the dissolution of the Soviet Union
Peter Schwarz and David North / 7 March 2014

“Democratization” and Anti-Semitism in Ukraine: When Neo-Nazi Symbols become “The New Normal”
By Julie Lévesque - Global Research, March 06, 2014

The fascist danger in Ukraine (J. Hyland, WSWS)

Amid Ukraine crisis, US launches military escalation in Eastern Europe

L'Unione europea e gli Stati uniti complici del fascismo ucraino (Miguel Urbano Rodrigues | resumenlatinoamericano.org)

I comunisti in tutte le regioni dell'Ucraina stanno operando attivamente, anche nelle condizioni più difficili 

U.S. escalates Ukraine crisis (Fred Goldstein, WW)

Don’t forget Ukraine’s communist traditions (Stephen Millies, WW)


PHOTOS: 

There are No Neo-Nazis in Ukraine. And the Obama Administration does not support Fascists
By Prof Michel Chossudovsky - Global Research, February 24, 2014
http://www.globalresearch.ca/there-are-no-neo-nazis-in-the-ukraine-and-the-obama-administration-does-not-support-fascists/5370269


AUDIO: 

Another great interview from George Kenney 

Last Saturday evening I interviewed Dr. Stephen F. Cohen about the crisis in Ukraine. Because of timeliness I thought it best to turn this interview around as quickly as possible, so here it is. Steve has been an expert on things Russian for a very long time indeed -- he was a professor at Princeton for about thirty years and taught at NYU for about another ten years after that…

http://www.electricpolitics.com/podcast/2014/02/the_ukraine_blues.html

The Ukraine Blues - February 24, 2014

One feels frighteningly disoriented, hearing an American president support deadly mob violence for what is, essentially, counter-revolutionary change (in the form of IMF austerity). The president's message may be directed at unknown people far away but the effects are certain to be felt here, possibly for generations, as the bindings of what relative peace we have come undone. I was extremely fortunate to be able to talk with Dr. Stephen F. Cohen about the crisis in Ukraine. He's in a tiny minority willing to discuss what's really happening. This is an unscheduled podcast on breaking news. [Audio file reposted at The Nation, here.] Total runtime forty eight minutes. Vae victīs.

DOWNLOAD: http://www.electricpolitics.com/media/mp3/EP2014.02.24.mp3
LISTEN: http://www.electricpolitics.com/podcast/2014/02/the_ukraine_blues.html


=== 1: "GLADIO" IN KIEV ===

Conversation interceptée entre Catherine Ashton et le ministre estonien des Affaires étrangères : "Les nouveaux gouvernants ont sans doute organisé eux-mêmes les tirs de snipers qui ont massacré opposants et  policiers", révèle le ministre estonien qui ne savait pas qu'on l'écoutait…

http://www.michelcollon.info/Les-nouveaux-gouvernants-ont-sans.html

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In einem vom russischen Geheimdienst abgehörten Telephonbespräch (siehe unten) vom 25.2.14 berichtete der estnische Aussenminister Urmas Paet der EU-Aussenbeauftragten Ashton, dass Regierungsgegner und Polizisten auf dem Maidan von Heckenschützen der neuen ukrainischen Regierung erschossen wurden.
Die Affinität der Regierungen der westlichern Hauptmächte zu Faschisten und Terroristen wurde damit wieder bestätigt. Beim Putschversuch 2002 gegen Hugo Chavez oder z.B. zu Beginn der Proteste in Syrien vor drei Jahren wurde die Situation genau durch solche hinterhältige Methoden aufgekocht. (Kaspar Trümpy, ICDSM Schweiz)
  
-Wortlaut des abgehörten Gesprächs:
http://rt.com/news/ashton-maidan-snipers-estonia-946/
 
-Bestätigung der Echtheit:
http://rt.com/news/estonia-confirm-leaked-tape-970/
 
-Wirtschaftsleute benötigen zuverlässige Informationen:
http://deutsche-wirtschafts-nachrichten.de/2014/03/05/madain-handelten-scharfschuetzen-im-auftrag-der-neuen-koalition/
 
-Ein "Leitmedium" relativiert:
http://www.zeit.de/politik/ausland/2014-03/kiew-ukraine-telefonat-ashton-paet
(Unser "Leitmedium", die NZZ, schweigt bis jetzt vornehm) 
 
-jW informativ wie immer:
http://www.jungewelt.de/2014/03-06/031.php

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Die Kiewer Eskalationsstrategie (GFP, 6/3/2014)

KIEW/BERLIN (Eigener Bericht) - Der estnische Außenminister äußert den Verdacht, "jemand aus der neuen Koalition" in Kiew könne die Scharfschützen-Morde auf dem Majdan veranlasst haben, die dem von Berlin massiv vorangetriebenen Umsturz in Kiew unmittelbar vorausgegangen sind. Dies geht aus einem abgehörten und im Internet veröffentlichten Telefongespräch hervor. Demnach hat Außenminister
Urmas Paet der EU-Chefaußenpolitikerin Catherine Ashton kürzlich berichtet, eine Kiewer Ärztin sei der Auffassung, tödliche Wunden bei Polizisten und Demonstranten wiesen dieselbe Handschrift auf und könnten von denselben Mördern stammen. Dass die Regierung in Kiew bisher keine Untersuchung eingeleitet habe, wecke den Argwohn, Elemente aus ihren Reihen könnten für die Morde verantwortlich sein.
Tatsächlich ist längst durch Videos dokumentiert, dass Scharfschützen auf beide Seiten geschossen haben. In der durch Paets Äußerungen belasteten Umsturzregierung, die weiterhin eine überaus enge Unterstützung durch die Bundesregierung genießt, sind extrem rechte Kräfte stark vertreten - mehrere Politiker von Swoboda, aber auch der Anführer der bewaffneten Milizen auf dem Majdan und der Chef des
paramilitärischen "Pravy Sektor" ("Rechter Sektor"). Beide haben höchstrangige Posten erhalten: Sie amtieren heute als Sekretär bzw. als stellvertretender Sekretär im Nationalen Sicherheits- und Verteidigungsrat der Ukraine, der vom Präsidenten persönlich geleitet wird…

http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/58815

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The Kiev Escalation Strategy (GFP, 6/3/2014)

The Estonian foreign minister expressed his suspicion that "somebody from the new coalition" in Kiev could have been behind the sniper shootings on the Maidan, according to a tapped telephone conversation, which has gone online. Sniper fire had preceded Berlin's massively promoted putsch in Kiev. In the telephone conversation, the Estonian Minister of Foreign Affairs, Urmas Paet, reported to the chief of EU foreign affairs, Catherine Ashton that a medical doctor in Kiev assumes that the mortal wounds to policemen and demonstrators had the same handwriting and could have come from the same assassins. The fact that Kiev's government has yet to initiate an investigation could arouse the suspicion that elements from its own ranks could have been responsible for those assassinations. Videos, in fact, have already documented that snipers had been shooting at both sides. The putschist government, incriminated by Paet's remarks and still enjoying strong German government support, is comprised also of rightwing extremist forces, for example several Svoboda Party politicians, as well as the commander of the armed militia on the Maidan and the leader of the paramilitary "Pravi Sektor" (Right Sektor). Both have been given high-level posts as Secretary and Deputy Secretary in the National Security and Defense Council of the Ukraine, under the personal leadership of the President…


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Ukrainian "freedom fighters" behind snipers in Kiev



Hello!
Whose snipers in Kiev?
 
This is a partial transcript of an intercepted phone call between Estonian foreign minister, Urmas Paet, and European Union high representative for foreign affairs and security policy, Catherine Ashton, which seems to have taken place about 1 March 2014. Paet had visited Kiev briefly, and Ashton asked for his impressions. Paet remarked how low public trust is in the new Ukrainian government. These people have ‘dirty pasts’, he said. Then he talked about ‘Olga’, who is a medical doctor. Ashton had also met her. Olga told Paet how the same snipers killed both civilians and policemen in Kiev. To Ashton’s evident surprise, Paet says ‘… behind the snipers it was not Yanukovitch but it was somebody from the new coalition.’   This transcript, which the Russell Foundation has compiled, is taken from the last three minutes or so of the conversation. The web link to the intercept itself is given at the end.
 
***
 
ASHTON: ... I’ve said to the opposition leaders, shortly to become government, you need to reach out to Maidan, you need to be, you know, engaging with them, you also need to get ordinary police officers back on the streets under a new sense of their role, so the people feel safe. I said to the Party of the Regions’ people you have to go and lay flowers where the people died, you have to show that you understand what has happened here.
 
PAET: Absolutely.
 
ASHTON: Because what you’re experiencing is anger of people who’ve seen the way that Yanukovitch lived, and the corruption, and they assume you’re all the same. And also the people who’ve lost people and who feel that, you know, he ordered that to happen. There’s quite a lot of shock, I think, in the city, a lot of sadness and shock, and that’s going to come out in some very strange ways if they’re not careful. I think all of this we just have to work out, so we’ve done a big meeting here today —
 
PAET: Ok…
 
ASHTON: — to try and get this in place – but yeah, very interesting, your observation.
 
PAET: It is and, well, actually the only politician the people from civil society have mentioned positively was Poroshenko.
 
ASHTON: … Yeah. Yeah.
 
PAET: So that he has some sort of so-to-say trust among all these Maidan people and civil society in fact, and what was quite disturbing, the same Olga told that, well, all the evidence shows the people who were killed by snipers from both sides, among policemen and people from the streets, that they were the same snipers, killing people from both sides.
 
ASHTON: Well that’s… Yeah, that’s…
 
PAET: And then she also showed me some photos, she said that as a medical doctor she can, you know, say that it is the same handwriting, same type of bullets, and it’s really disturbing that now the new coalition don’t want to investigate what exactly happened, so there is now stronger and stronger understanding that behind the snipers it was not Yanukovitch but it was somebody from the new coalition.
 
ASHTON: … I think they do want to investigate, I mean I didn’t pick that up. That’s interesting. Gosh.
 
PAET: Yeah. So this is disturbing that if it starts now to live its own life very powerfully that it already [discredits] from the very beginning also this new coalition.
 
ASHTON: I mean, this is what they’ve got to be careful of as well – that they need to demand great change but they’ve got to let the Rada function. If the Rada doesn’t function then there could be chaos – complete chaos. So that, it’s all, you know, being an activist and a doctor is very, very important but it means you’re not a politician, and somehow they’ve got to come to a kind of accommodation for the next few weeks, with how the country’s actually going to run – and then we get the elections and things can change, and that’s, I think, going to be quite important. I’m planning to go back early next week, probably on Monday, so […]

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Ukraine: Secretive Neo-Nazi Military Organization Involved in Euromaidan Snyper Shootings

By F. William Engdahl - Global Research, March 03, 2014 
21st Century Wire and Global Research

The events in Ukraine since November 2013 are so astonishing as almost to defy belief.

An legitimately-elected (said by all international monitors) Ukrainian President, Viktor Yanukovich, has been driven from office, forced to flee as a war criminal after more than three months of violent protest and terrorist killings by so-called opposition.

His “crime” according to protest leaders was that he rejected an EU offer of a vaguely-defined associate EU membership that offered little to Ukraine in favor of a concrete deal with Russia that gave immediate €15 billion debt relief and a huge reduction in Russian gas import prices. Washington at that point went into high gear and the result today is catastrophe.

A secretive neo-nazi military organization reported linked to NATO played a decisive role in targeted sniper attacks and violence that led to the collapse of the elected government.

But the West is not finished with destroying Ukraine. Now comes the IMF with severe conditionalities as prerequisite to any Western financial help.

After the famous leaked phone call of US Assistant Secretary of State Victoria Nuland with the US Ambassador in Kiev, where she discussed the details of who she wanted in a new coalition government in Kiev, and where she rejected the EU solutions with her “Fuck the EU” comment,[1] the EU went it alone. Germany’s Foreign Minister, Frank-Walter Steinmeier proposed that he and his French counterpart, Laurent Fabius, fly to Kiev and try to reach a resolution of the violence before escalation. Polish Foreign Minister, Radoslaw Sikorski was asked to join. The talks in Kiev included the EU delegation, Yanukovich, the three opposition leaders and a Russian representative. The USA was not invited.[2]

The EU intervention without Washington was extraordinary and reveals the deeping division between the two in recent months. In effect it was the EU saying to the US State Department, “F*** the US,” we will end this ourselves.

After hard talks, all major parties including the majority of protesters, agreed to new presidential elections in December, return to the 2004 Constitution and release of Julia Tymoshenko from prison. The compromise appeared to end the months long chaos and give a way out for all major players.

The diplomatic compromise lasted less than twelve hours. Then all hell broke loose.

Snipers began shooting into the crowd on February 22 in Maidan or Independence Square. Panic ensued and riot police retreated in panic according to eyewitnesses. The opposition leader Vitali Klitschko withdrew from the deal, no reason given. Yanukovich fled Kiev.[3]

The question unanswered until now is who deployed the snipers? According to veteran US intelligence sources, the snipers came from an ultra-right-wing military organization known as Ukrainian National Assembly – Ukrainian People’s Self-Defense (UNA-UNSO).


[IMAGE: Members of UNA-UNSO marching in Lviv.]


Strange Ukraine ‘Nationalists’

The leader of UNA-UNSO, Andriy Shkil, ten years ago became an adviser to Julia Tymoshenko. UNA-UNSO, during the US-instigated 2003-2004 “Orange Revolution”, backed pro-NATO candidate Viktor Yushchenko against his pro-Russian opponent, Yanukovich. UNA-UNSO members provided security for the supporters of Yushchenko and Julia Tymoshenko on Independence Square in Kiev in 2003-4.[4]

UNA-UNSO is also reported to have close ties to the German National Democratic Party (NDP). [5]

Ever since the dissolution of the Soviet Union in 1991 the crack-para-military UNA-UNSO members have been behind every revolt against Russian influence. The one connecting thread in their violent campaigns is always anti-Russia. The organization, according to veteran US intelligence sources, is part of a secret NATO “GLADIO” organization, and not a Ukraine nationalist group as portrayed in western media. [6]

According to these sources, UNA-UNSO have been involved (confirmed officially) in the Lithuanian events in the Winter of 1991, the Soviet Coup d’etat in Summer 1991, the war for the Pridnister Republic 1992, the anti-Moscow Abkhazia War 1993, the Chechen War, the US-organized Kosovo Campaign Against the Serbs, and the August 8 2008 war in Georgia. According to these reports, UNA-UNSO para-military have been involved in every NATO dirty war in the post-cold war period, always fighting on behalf of NATO. “These people are the dangerous mercenaries used all over the world to fight NATO’s dirty war, and to frame Russia because this group pretends to be Russian special forces. THESE ARE THE BAD GUYS, forget about the window dressing nationalists, these are the men behind the sniper rifles,” these sources insist. [7]

If true that UNA-UNSO is not “Ukrainian” opposition, but rather a highly secret NATO force using Ukraine as base, it would suggest that the EU peace compromise with the moderates was likely sabotaged by the one major player excluded from the Kiev 21 February diplomatic talks—Victoria Nuland’s State Department.[8] Both Nuland and right-wing Republican US Senator John McCainhave had contact with the leader of the Ukrainian opposition Svoboda Party, whose leader is openly anti-semitic and defends the deeds of a World War II Ukrainian SS-Galicia Division head.[9]The party was registered in 1995, initially calling itself the “Social National Party of Ukraine” and using a swastika style logo. Svoboda is the electoral front for neo-nazi organizations in Ukraine such as UNA-UNSO.[10]

One further indication that Nuland’s hand is shaping latest Ukraine events is the fact that the new Ukrainian Parliament is expected to nominate Nuland’s choice, Arseny Yatsenyuk, from Tymoshenko’s party, to be interim head of the new Cabinet.

Whatever the final truth, clear is that Washington has prepared a new economic rape of Ukraine using its control over the International Monetary Fund (IMF).


IMF plunder of Ukraine Crown Jewels

Now that the “opposition” has driven a duly-elected president into exile somewhere unknown, and dissolved the national riot police, Berkut, Washington has demanded that Ukraine submit to onerous IMF conditionalities.

In negotiations last October, the IMF demanded that Ukraine double prices for gas and electricity to industry and homes, that they lift a ban on private sale of Ukraine’s rich agriculture lands, make a major overhaul of their economic holdings, devalue the currency, slash state funds for school children and the elderly to “balance the budget.” In return Ukraine would get a paltry $4 billion.

Before the ouster of the Moscow-leaning Yanukovich government last week, Moscow was prepared to buy some $15 billion of Ukraine debt and to slash its gas prices by fully one-third. Now, understandably, Russia is unlikely to give that support. The economic cooperation between Ukraine and Moscow was something Washington was determined to sabotage at all costs.

This drama is far from over. The stakes involve the very future of Russia, the EU-Russian relations, and the global power of Washington, or at least that faction in Washington that sees further wars as the prime instrument of policy.


Writer F. William Engdahl is a geopolitical analyst and the author of “Full Spectrum Dominance: Totalitarian Democracy in the New World Order”.

notes

[1] F. William Engdahl, US-Außenministerium in flagranti über Regimewechsel in der Ukraine ertappt, Kopp Online.de, February 8, 2014, accessed in http://info.kopp-verlag.de/hintergruende/enthuellungen/f-william-engdahl/us-aussenministerium-in-flagranti-ueber-regimewechsel-in-der-ukraine-ertappt.html

[2] Bertrand Benoit, Laurence Norman and Stephen Fidler , European Ministers Brokered Ukraine Political Compromise: German, French, Polish Foreign Ministers Flew to Kiev, The Wall Street Journal, February 21, 2014, accessed inhttp://online.wsj.com/news/articles/SB10001424052702303636404579397351862903542?mg=reno64-wsj&url=http%3A%2F%2Fonline.wsj.com%2Farticle%2FSB10001424052702303636404579397351862903542.html

[3] Jessica Best, Ukraine protests Snipers firing live rounds at demonstrators as fresh violence erupts despite truce, The Mirror UK, February 20, 2014, accessed inhttp://www.mirror.co.uk/news/world-news/ukraine-protests-snipers-firing-live-3164828

[4] Aleksandar Vasovic , Far right group flexes during Ukraine revolution, Associated Press, January 3, 2005, Accessed in http://community.seattletimes.nwsource.com/archive/?date=20050103&slug=ukraine03

[5] Wikipedia, Ukrainian National Assembly Ukrainian National Self Defence, Wikipedia, the free encyclopedia, accessed inhttp://en.wikipedia.org/wiki/Ukrainian_National_Assembly_%E2%80%93_Ukrainian_National_Self_Defence

[6] Source report, Who Has Ukraine Weapons, February 27, 2014, private to author.

[7] Ibid.

[8] Max Blumenthal, Is the US backing neo-Nazis in Ukraine?, AlterNet February 25, 2014, accessed in

http://www.salon.com/2014/02/25/is_the_us_backing_neo_nazis_in_ukraine_partner/

[9] Channel 4 News, Far right group at heart of Ukraine protests meet US senator, 16 December 2013, accessed in

http://www.channel4.com/news/ukraine-mccain-far-right-svoboda-anti-semitic-protests


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Ucraina: organizzazione militare segreta neo-nazista coinvolta negli spari a Euromaidan

- di William Engdahl -


Gli eventi in Ucraina dal novembre 2013 sono così sorprendenti da sfidare quasi la realtà. Il Presidente ucraino legittimamente eletto (secondo tutti gli osservatori internazionali), Viktor Janukovich, è stato abbattuto dalla carica e costretto a fuggire come un criminale di guerra, dopo più di tre mesi di proteste violente e di omicidi terroristici da parte della cosiddetta opposizione. Il suo “crimine”, secondo il capo della protesta, era aver rifiutato l’offerta dell’UE di un’associazione vagamente definita che offriva poco all’Ucraina e di aver favorito un accordo concreto con la Russia che riduceva subito di 15 miliardi di dollari il debito e la forte riduzione dei prezzi d’importazione del gas russo. Washington, a quel punto ha accelerato e il risultato attuale è la catastrofe.
Un’organizzazione militare segreta neo-nazista legata alla NATO avrebbe svolto un ruolo decisivo nei tiri dei cecchini e nelle violenze che hanno portato al crollo del governo legittimo. Ma l’occidente non ha finito con la distruzione dell’Ucraina. Ora il FMI imporrà condizioni gravi quali prerequisiti per un qualsiasi aiuto finanziario occidentale. Dopo la famosa telefonata trapelata tra l’assistente del segretario di Stato USA Victoria Nuland e l’ambasciatore statunitense a Kiev, in cui discuteva i dettagli sul nuovo governo di coalizione a Kiev, respingendo la soluzione dell’Unione europea con il suo “si fotta l’UE”, [1] l’UE è andata avanti da sola. Il ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier, propose che lui e il suo omologo francese, Laurent Fabius, andassero a Kiev per cercare una risoluzione prima dell’escalation delle violenze. Al ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski chiesero di aderire. Ai colloqui di Kiev parteciparono la delegazione UE, Janukovich, i tre leader dell’opposizione e un rappresentante russo. Gli Stati Uniti non furono invitati. [2] L’intervento dell’UE senza Washington era straordinario e rivelava una profonda divisione negli ultimi mesi. In effetti l’UE diceva al dipartimento di Stato degli Stati Uniti, “Fottiti Stati Uniti“, ci penseremo noi. Dopo aspri colloqui i maggiori partiti e la maggior parte dei manifestanti, concordarono nuove elezioni presidenziali per dicembre, il ritorno alla Costituzione del 2004 e il rilascio dal carcere di Julija Tymoshenko. Il compromesso sembrava porre termine al lungo caos e dare una via d’uscita ai principali attori. Il compromesso diplomatico è durato meno di dodici ore. Poi si è scatenato l’inferno. Cecchini sparavano sulla folla il 22 febbraio a Maidan, o Piazza Indipendenza, causando il panico mentre la polizia antisommossa si ritirava nel panico secondo testimoni oculari. Il capo dell’opposizione Vitalij Klishko si ritirò dall’accordo, senza motivarlo. Janukovich fuggì da Kiev. [3]
La domanda senza risposta finora è chi ha schierato i cecchini? Secondo un veteran

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“MAGAZZINO 18”, DEPOSITO DI VECCHI ARNESI

L'operazione che vede da anni i più efficaci e pervasivi media impegnati a veicolare attraverso gli strumenti di divulgazione più popolari ai cittadini italiani la “verità” su quanto avvenuto al confine orientale dopo l'8 settembre e dopo la fine della guerra continua e non pare destinata a fermarsi.

Dopo la versione più estrema e volta a rivalutare scopertamente fascismo e fascisti, rappresentata dalla fiction “Il cuore nel pozzo”, piena di invenzioni ispirate allo sterminio nazista, di stereotipi e luoghi comuni di tipo razzista, di strafalcioni storici e di fascisti repubblichini salvatori degli italiani, con cui l'operazione è stata avviata nel 2004, e dopo che è stato fatto calare un pietoso e provvidenziale silenzio sul preannunciato e mai realizzato film sulle foibe “con ben 13 oscar nel cast” (parlarne avrebbe fatto coprire di ridicolo, se non peggio, un certo mondo delle organizzazioni degli esuli), ora ci ritroviamo con lo spettacolo teatrale – prontamente trasmesso dalla TV di stato - “Magazzino 18”, che è la versione buonista e cerchiobottista della stessa operazione.

Quello di Cristicchi in realtà non è uno spettacolo sull'esodo e le sofferenze di chi lasciò l'Istria e la Dalmazia, ma uno spettacolo che ripropone pari pari le interpretazioni di quanto avvenuto proposte dalle organizzazioni degli esuli: l'unica ed esclusiva ragione dell'emigrazione di massa è stata quella di “rimanere italiani”, espulsi dalle nuove autorità jugoslave per realizzare una fantomatica “Grande Jugoslavia”, una fuga di tutto un popolo di fronte al terrore di venire uccisi e “infoibati”. Una interpretazione che ha l'unica funzione di legittimare la dirigenza delle organizzazioni degli esuli come rappresentante di un popolo (tendenzialmente di TUTTO il popolo “autoctono” dell'Istria). Con una sola chiave di lettura della storia di quelle terre, quella nazionale, che collide però con una realtà storica piena di scelte nazionalmente contraddittorie e in cui un ruolo spesso egemone lo giocò il movimento socialista (e poi comunista) di orientamento profondamente antinazionalista, nelle cui file militavano appartenenti a tutte le nazionalità presenti nella regione. Questo chiave di lettura nazionalista della storia presuppone una controparte “nazionale” che la accetti e faccia propria, anche se da un punto di vista opposto. La fugace citazione dei crimini fascisti e la lettura di un brano in sloveno riguardante il campo di Rab sono una concessione necessaria a non screditare completamente la controparte nazionale slovena, e in particolare gli esponenti della minoranza slovena in Italia impegnati a sostenere l'operazione (lo spettacolo di Cristicchi è stata la prima produzione del Teatro Rossetti di Trieste dopo la nomina a presidente dell'ex parlamentare e sottosegretario PD, lo sloveno Miloš Budin). Si tratta di un gioco delle parti in cui le due interpretazioni e “rappresentanze” nazionali si legittimano a vicenda, escludendo (e criminalizzando) preventivamente qualsiasi prospettiva sovra o internazionale.

Se Cristicchi voleva fare uno spettacolo sull'esodo avrebbe potuto farlo di ben altro spessore, doveva però uscire dal racconto canonizzato. Avrebbe potuto tranquillamente parlare delle violenze che segnarono l'Istria del dopoguerra (magari dando un quadro più ampio e di più lungo periodo dello scontro nazionale, ma anche sociale) e delle loro cause. Avrebbe però dovuto parlare anche della campagna volta a far partire la gente messa in atto proprio dalle organizzazioni degli esuli. Avrebbe dovuto parlare di come non tutti i profughi fossero particolarmente “patriottici” e di come non tutti al loro arrivo in Italia fossero ritenuti egualmente degni di aiuto e assistenza. Di come si tentò di usarli per scatenare la guerra tra poveri sfruttando il loro bisogno di lavorare per utilizzarli come crumiri durante gli scioperi; di come vennero usati per perpetuare la politica di discriminazione nei confronti degli sloveni e perpetuare lo sciovinismo nazionale; dei loro averi rapinati da chi avrebbe dovuto trasportarli nei magazzini del porto di Trieste e altrove; degli scandali legati alla gestione delle risorse loro destinate (ad esempio quelli che riguardarono l'Ente autonomo giuliano in Sardegna e l'Azienda ittico agricola demaniale del Timavo); del controllo poliziesco e delle organizzazioni degli esuli a cui erano sottoposti; dei borghi-ghetto in cui vennero sistemati per tenerli distinti ed estranei a popolazioni ritenute politicamente inaffidabili e pericolose; dei bambini morti per le epidemie scoppiate nei campi in cui erano stati sistemati. Come pure delle proteste che si verificarono. E di tante altre cose ancora. Per farlo avrebbe però dovuto leggere e sentire altre fonti rispetto a quanto raccontano la dirigenza degli esuli, i testimoni interni al mondo delle organizzazioni degli esuli o gli “storici” alla Bernas. Partendo magari da “Storia di un esodo” (del 1980!), passando per “Esuli a Trieste”, “Metamorfosi etniche” e “La memoria dell'esilio”, per i libri di memorie di Vinicio Scomersich “Prima dell'esodo” e “Da Tito a Togliatti”, fino a testi editi dall'IRCI diretto dal suo amicone Delbello, come “Un paese perfetto” di Gloria Nemec. Il quadro si sarebbe certamente complicato, ma forse sarebbe risultato più interessante e vero. Consentendogli di raccontare anche dei gerarchi e gerarchetti fascisti riciclatisi prontamente in rappresentanti dei profughi, anzi, del “popolo istriano, fiumano e dalmata”, e che continuarono a opprimere i loro “rappresentati” come avevano fatto durante tutto il ventennio fascista. Di come gente che coll'esodo aveva nulla o poco a che fare seppe costruirsi una carriera e una posizione di tutto rilievo quali rappresentanti dei profughi. Avrebbe potuto venire a sapere cosa pensassero dell'esodo e delle organizzazioni degli esuli altri profughi DOC, ad esempio Guido Miglia e Riccardo Zanella. Forse si sarebbe accorto che se i comunisti ebbero un atteggiamento del tutto sbagliato in alcuni episodi, non è possibile addebitare a loro, che in Italia erano ben lontani dal potere, la responsabilità della permanenza anche pluridecennale dei profughi nei campi, che ricade invece interamente sulla Democrazia cristiana e sulla dirigenza delle organizzazioni degli esuli, che li costrinsero a ciò per poterli utilizzare per i loro progetti di “bonifica nazionale” o politica di determinati territori e per sfruttarne il disagio a fini clientelari.

Cristicchi avrebbe dovuto chiedersi cosa significasse concretamente in quel momento l'”italianità”, un concetto dal significato tutt'altro che scontato ed univoco. Avrebbe potuto scoprire che per il ceto dominante italiano di allora e per quello dirigente delle organizzazioni dei profughi ancora oggi italianità significa diritto esclusivo al potere politico, al dominio sociale. Avrebbe potuto scoprire che dietro al loro richiamarsi alla discendenza da romani e veneziani si celava la pretesa di essere il popolo eletto, l'unico portatore di civiltà e in quanto tale l'unico legittimato al potere. Magari poteva perfino giungere alla conclusione che buona parte di coloro che se ne andarono non lo fecero “perché non si può vivere senza essere italiani”, anche per il semplice fatto che si trattava di sloveni e croati.

Invece ha deciso di attenersi a quanto gli veniva propinato dalle organizzazioni dei profughi infarcendo lo spettacolo di luoghi comuni, stereotipi, baggianate, errori, forzature e inesattezze, il tutto condito da pressapochismo e supponenza. Che emerge già nella definizione dello stesso protagonista, Persichetti, che di professione farebbe l'archivista. Evidentemente Cristicchi non sa che gli archivisti non si occupano di oggetti (se non in via eccezionale), ma di carte, di documenti. Come non sa che per fare l'archivista ci vuole uno specifico diploma, non basta saper contare e fare elenchi di “robba”. Evidentemente ha le idee confuse, eppure poteva chiedere al suo amico Delbello, laureato in etnografia, e avrebbe saputo che forse per quel tipo di lavoro sarebbe stato più adatto un antropologo o, appunto, un etnografo. Ma è solo l'inizio di una lunga serie di “errori”, omissioni, mistificazioni e forzature che nessuna “licenza artistica” può giustificare e di cui citerò solo gli esempi più eclatanti.

Con tutto il rispetto per quanto hanno passato gran parte dei profughi istriani e dalmati affermare che il loro esodo sia stato “una delle più grandi tragedie vissute dall'Italia” apre la questione di dove collocarla esattamente in una ipotetica classifica di tragedie: prima o dopo la prima guerra mondiale, prima o dopo il fascismo (con l'esodo di circa 100.000 abitanti delle Venezia Giulia annessa), prima o dopo l'esodo di italiani dalle ex colonie africane (numericamente molto più rilevante di quello istriano e dalmata)? Viene anche da chiedersi se in questa classifica vanno inserite solo le tragedie che hanno coinvolto gli italiani come vittime o anche quelle che hanno visto gli italiani nel ruolo di carnefici, come nel caso dei popoli coloniali?

- Per dire che “70 anni fa quelle regioni erano Italia” ci vogliono fonti alla ... Bernas. Perché qualsiasi storico con un minimo di serietà sa che 70 anni fa quelle regioni non erano affatto Italia, nemmeno nella sua versione Repubblica Sociale Italiana, perché dall'ottobre del 1943 erano invece Zona d'operazioni Litorale Adriatico, un territorio anche formalmente separato dalla repubblica di Mussolini e gestito e amministrato da un supremo commissario nazista. Se poi vogliamo proprio fare questo genere di conti possiamo anche dire che quelle regioni furono parte dell'Impero Austro Ungarico per almeno cent'anni (Trieste lo fu dal 1382, quando si “diede” agli Asburgo per evitare di finire nelle grinfie di Venezia!) prima di far parte per circa 20 anni dello stato italiano.

- La citazione della canzone asseritamente tradizionale (“anche le pietre parlano italiano”) denota il tipo di preferenze musicali nutrite dai suggeritori e consulenti di Cristicchi, visto che non si tratta affatto di una parte del testo di una canzone tradizionale, ma di una canzone del gruppo fascio-rock “Hobbit”! Quanto alla lingua delle pietre se ci basassimo su quella lo stato italiano può tornare alla rivendicazione di Nizza, Savoia, Malta e Corsica (dove peraltro una lingua di radice più o meno italiana lo parlano anche le persone), ma anche oltre – che dire del Vallo di Adriano in Britannia, di Leptis Magna in Libia?

- Il movimento irredentista era estremamente minoritario nello stesso schieramento nazionale italiano in Austria. Cristicchi forse non sa che i triestini dimostrarono concretamente il loro “amore” per l'Italia al momento della sua entrata in guerra nel maggio del 1915, quando una folla composta in gran parte da italofoni assaltò e distrusse i simboli del partito filoitaliano, a partire dal quotidiano “Il Piccolo”.

- Dopo la prima guerra mondiale Fiume non fu affatto »ricongiunta all'Italia«, semplicemente perché non ne aveva mai fatto parte prima del 1924! Nel 1920 il Trattato di Rapallo stabilì che Fiume sarebbe divenuta uno stato indipendente e alle successive elezioni il partito autonomista prese il doppio dei voti del blocco di partiti, guidato dai fascisti, che volevano l'annessione all'Italia. Che avvenne solo nel 1924 e dopo che nel 1922 un vero e proprio colpo di stato fascista costrinse all'esilio il presidente autonomista dello Stato libero di Fiume, Riccardo Zanella.

- La storia di queste terre non è solo e non principalmente quella di una sorta di »opposti estremismi« nazionali, non solo perché spesso, come già detto, egemoni erano i socialisti, ma anche perché esisteva una forte asimmetria, visto che il nazionalismo italiano dal 1918 in poi potè (e può, come dimostra anche la vicenda dello spettacolo di Cristicchi) contare sull'appoggio attivo dell'apparato civile e militare dello stato italiano.

- La snazionalizzazione di sloveni e croati non ebbe inizio con il fascismo, ma immediatamente dopo l'arrivo delle truppe italiane nella regione. Andrebbe forse aggiunto che l'atteggiamento delle autorità italiane verso la regione annessa fu di tipo coloniale, contraddistinto da una assoluta sfiducia negli indigeni (tutti!) ritenuti inaffidabili per motivi nazionali e/o sociali. Il fascismo, figlio del tutto legittimo dell'Italia liberale, cercherà di portare a compimento l'operazione di “bonifica nazionale” e di “normalizzazione” della regione che verrà continuata dopo la guerra dalla Repubblica “nata dalla Resistenza”.

- “Il fascismo mostra il suo lato peggiore....” è un po troppo generico. Perché non dire che le persone in carne ed ossa che mettevano in pratica tale »lato peggiore« erano in gran parte “indigeni”, come i vari Cobolli Gigli, Coceani, il senatore Gigante e tanti altri, molti dei quali si riciclarono prontamente in dirigenti delle organizzazioni degli esuli e che sono ancora oggi venerati da quelle stesse organizzazioni come luminosi esempi di patriottismo.

- L'equazione italiano = fascista non era così diffusa e scontata, tanto che anche le organizzazioni nazional-rivoluzionarie slovene, come la Borba, seppero distinguere tra fascismo e italiani e strinsero addirittura accordi di collaborazione con gli antifascisti italiani espatriati. Se tale equazione fosse stata così generale e diffusa come si può spiegare poi che numerosissimi sloveni accettarono di militare in un partito italiano e composto in stragrande maggioranza da italiani, come il PCI ?

- Che dopo l'8 settembre il peggio dovesse ancora venire è vero (anche se quanto accaduto prima non fu uno scherzo e pose le premesse del dopo), ma grazie ai nazisti e ai loro collaboratori sloveni, italiani, croati e di altre nazionalità. La popolazione italiana non si trovò affatto “senza difese”, ma partecipò attivamente al »ribaltone«! I “nemici del popolo” non vennero arrestati (e spesso giustiziati) solo dai “partigiani slavi”, ma anche da quelli italiani!

- Citare il fatto che tra gli “infoibati” ci furono anche comunisti per dimostrare che la repressione si abbatté sugli italiani indiscriminatamente è un argomento classico dell'armamentario delle organizzazioni degli esuli, anche se non supportato da nessun esempio concreto. È però indubbiamente vero che durante la guerra vennero liquidati molti comunisti, ma accadde in Istria come in Italia, Slovenia, Francia e altrove. Accadde però per motivi disciplinari o di tradimento, non di appartenenza nazionale. Che poi tra gli “infoibati” ci fossero anche persone che non c'entravano nulla è indubbiamente vero, ma se non si quantifica il loro numero e non si accerta in quali circostanze furono uccisi e da chi, non si può sostenere che si trattò del progetto di eliminare gli italiani in quanto tali.

- Cose c'è di così scandaloso se la Jugoslavia voleva il confine all'Isonzo? Per un certo periodo fu il confine sostenuto da Mazzini!

- “Occupazione jugoslava” - anche nel resto d'Italia per qualcuno la fine della guerra fu una occupazione da parte delle truppe delle “Potenze alleate ed associate” (tra le quali c'era anche la Jugoslavia con Tito capo del governo): lo fu per i fascisti! E poi, visto che nelle file dell'Esercito popolare di liberazione jugoslavo c'erano parecchi “indigeni” dei territori “occupati” siamo forse di fronte al primo caso nella storia di gente che “occupa” casa sua? - Quanto al racconto dell'uccisione della Cossetto, se dicerie, testimonianze mutanti e mutevoli, voci, fossero state utilizzate per avvalorare racconti riguardanti lo sterminio nazista i primi a impegnarsi a smontarne la credibilità sarebbero stati i ricercatori seri (come avvenuto per le affermazioni sul fatto che i nazisti producessero sapone con il grasso delle loro vittime).

- “Nomi e cognomi di infoibati nero su bianco” - gli elenchi di cui parla comprendono anche ad esempio Antonio Ruffini e Renato Castiglione Morelli, dati per infoibati dagli slavi (Ruffini è anche nell'elenco di coloro alla cui memoria la speciale commissione dello Stato ha attribuito un riconoscimento come infoibato) ma di cui è accertato che sono morti da partigiani, massacrati dai nazifascisti?

- “Non si saprà mai quanta gente è sparita”. Ma come è possibile affermarlo mentre si sostiene che fu proprio il fatto che ad essere infoibate furono tantissime persone a spingere la gente ad andarsene per non fare la stessa fine?

- Strage di Vergarolla – La strage avvenne nel momento in cui era ormai noto sia all'Italia che alla Jugoslavia che la città sarebbe stata assegnata alla Jugoslavia. In tale situazione la Jugoslavia non aveva alcun interesse a inimicarsi l'opinione pubblica mondiale, ne con una strage ne con una partenza di massa della popolazione. A sostenere che siano stati gli jugoslavi a causare la strage furono i servizi segreti italiani e tutto lo schieramento filoitaliano di Pola guidato dal locale CLN. Erano peraltro proprio essi ad avere il maggiore interesse ad attribuire agli jugoslavi la strage per screditarli di fronte all'opinione pubblica mondiale. Ma essa era funzionale anche a “convincere” a partire il maggior numero possibile di abitanti di Pola quale presupposto per poter contestare le scelte della Conferenza di Pace nella prospettiva di una revisione dei confini (CLN di Pola al suo arrivo in Italia cambiò nome in Movimento istriano revisionista). I dati di fatto sono che non si conosce nemmeno il tipo e la quantità degli ordigni (e dell'esplosivo) che deflagrarono e che le autorità Anglo – Americane accettarono di indennizzare le vittime, ammettendo così implicitamente le proprie responsabilità per l'accaduto.

- L'esodo non era affatto l'unica via, tanto che alcuni tra gli stessi esponenti delle organizzazioni degli esuli (per non parlare dei singoli profughi, alcuni dei quali tornarono anche indietro) a partire dagli anni '60 hanno iniziato a porsi anche pubblicamente la domanda se l'esodo fosse stata la scelta giusta (ad esempio il già citato Guido Miglia).

- Che l'esodo da Pola sia avvenuto senza “un gesto scomposto” si può dirlo solo “dimenticando” l'uccisione, proprio il 10 febbraio del 1947, del generale britannico Robert De Winton da parte della “passionaria fascista” e funzionaria del CLN di Pola e del CLN dell'Istria Maria Pasquinelli.

- Il “terrore di parlare italiano” risulta strano in una situazione in cui gli impiegati pubblici rimasero a lungo quelli dell'epoca fascista, in cui le scuole italiane continuarono ad operare indisturbate e in cui l'italiano era una delle lingue ufficiali della regione.

- I rimasti dovettero confrontarsi con una “lingua sconosciuta” ... che in realtà erano due – sloveno e croato. Ma d'altra parte come pretendere che Cristicchi sappia distinguere tra “tribù più o meno abbaianti lingue incomprensibili“, come ben si espresse in proposito un personaggio tuttora molto apprezzato negli ambienti delle organizzazioni degli esuli, Mussolini? E come potevano degli appartenenti a una civiltà superiore (anzi, l'unica civiltà presente in quelle terre) abbassarsi a impararle, anche se erano presenti in quei posti da qualche centinaio d'anni? Dio mio, che onta, imparare la lingua degli “s'ciavi” (schiavi), come venivano (e in certi ambienti vengono tuttora) chiamati simpaticamente sloveni e croati! Anche se poi, in fondo in fondo, molti delle persone partite “perché non si può vivere senza essere italiani” almeno una delle due, magari nella sua forma dialettale, la conoscevano molto bene.

- Goli otok è una vicenda tutta interna al movimento comunista e non ha nulla a che fare con questioni nazionali. Tanto meno hanno diritto a parlarne i dirigenti delle organizzazioni degli esuli, che sui loro giornali riservarono apposite rubriche per additare al pubblico disprezzo gli “stalinisti” istriani trasferitisi in Italia dopo il 1948, ai quali negarono anche il diritto ad accedere all'assistenza prevista per gli altri profughi.

- »Ognuno ha i suoi scheletri negli armadi« è veramente una riflessione profonda ed originale, non c'è che dire! Però poi cita solo fascisti e comunisti, dimenticandosi delle stragi democristian-amerikane, delle stragi coloniali liberali, dell'esportazione della democrazia, ....

Su una cosa però Cristicchi ha indubbiamente ragione: il suo spettacolo non parla di storia, nemmeno di quella degli esuli.




(Sullo spettacolo si vedano anche le recensioni raccolte o linkate alle pagine: 



(srpskohrvatski / english / italiano / more languages)

Ukraine: Israeli Special Forces Supporting Antisemitic Mob

1) MORE LINKS
2) Rezolucija komunističkih i radničkih partija o događajima u Ukrajini: O fašističkoj opasnosti i organizaciji borbe protiv nje
3) Ukraine: Israeli Special Forces Unit under Neo-Nazi Command Involved in Maidan Riots (M. Chossudovsky)
4) Ucraina, la strategia della tensione (Manlio Dinucci)


=== 1 : MORE LINKS ===

Per aggiornamenti continui si vedano:


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In evidenza:

IL POGROM DI LVOV DEL 1941
Gli autori del massacro sono gli ispiratori delle belve fasciste che oggi imperversano a Kiev e nel resto dell'Ucraina, con il sostegno di UE e NATO 

THE LVOV POGROM OF 1941
A serie of photos of the Jewish pogrom in the city of Lvov (Lviv, Lwow or Lemberg) in Western Ukraine, organised by the Germans and "the Ukrainian people's militia" (the Ukranian Nazi collaborators from so called OUN - Organisation of Ukranian Nationalists)
EXCERPT: The boss of Ukraninan pogromists in the city of Lvov was Yaroslav Stetsko, one of the leaders of OUN, pro-Nazi Organisation of Ukranian nationalists. IN THE PHOTO: Yaroslav Stetsko after WW2. Yes, with George Bush, Sr.  In a Cold war times OUN was supported by US and CIA. As a result - US President  shaking hand to veteran-pogromist of 1941

CIA‘s Use of Nazi Strategy on Ukrainian Right-Wing Nationalists Unabated since Cold War
L'uso della CIA dei nazisti ucraini dalla Guerra Fredda

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Video:

La video registrazione dell'iniziativa svoltasi ad Ancona il 28 febbraio, con la partecipazione, tra gli altri, del Professor Domenico Losurdo

Решения народного вече Донбасса. Срочно! Репост! [Manifestazioni di massa a Donetsk, Donbass, censurate dai media italiani]
http://www.youtube.com/watch?v=fiEVK27-5oM

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Testi:

Diciamo tutta la verità su chi sta provocando la guerra ai confini della Russia (Mauro Gemma)
http://www.marx21.it/internazionale/area-ex-urss/23707-diciamo-tutta-la-verita-su-chi-sta-provocando-la-guerra-ai-confini-della-russia.html

L’histoire cachée des FEMEN (Olivier Pechter, 3 mars 2014)

The Crimean Conflict

Petro Simonenko: senza referendum per l'integrazione nell’UE, l’Ucraina è ora sull'orlo della secessione 
http://www.marx21.it/internazionale/area-ex-urss/23710-petro-simonenko-senza-referendum-per-lintegrazione-nellue-lucraina-e-ora-sullorlo-della-secessione.html

Во Львове появились фашисткие листовки «Тут живут москали» [Sulle porte di alcune alcune case e appartamenti di Lvov i fascisti del Pravyj Sektor affiggono manifestini come quello che vedete qui. C'è scritto "Qui vivono moskali", termine dispregiativo per indicare gli abitanti di Mosca, o per esteso, per indicare russi o persone di origine russa. Si tratta di gravissime provocazioni a sfondo razziale, simili a quelle della Germania nazista e dell'Italia fascista.]
http://continentalist.ru/2014/03/vo-lvove-poyavilis-fashistkie-listovki-tut-zhivut-moskali/


US media escalates propaganda offensive on Ukraine

The U.S. has Installed a Neo-Nazi Government in Ukraine (M. Chossudovsky)

Эмир Кустурица: Россия должна защитить русских, которые живут на Украине [Emir Kusturica: "La Russia deve difendere i russi, che vivono in Ucraina"]
http://glagol.in.ua/2014/03/03/emir-kusturitsa-rossiya-dolzhna-zashhitit-russkih-kotoryie-zhivut-na-ukraine/

Fermiamo i guerrafondai dell'Euromajdan!

I fascisti ucraini chiedono aiuto agli estremisti islamici

“Правый сектор” обратился к лидеру чеченских террористов с просьбой о помощи [Il capo di banderovcy Jarosh chiede appoggio al terrorista ceceno Dokka Umarov nella "comune lotta contro la Russia". Ricordiamo che uno dei capi del Pravyj Sektor ha lottato a fianco dei terroristi ceceni nella seconda metà degli anni '90]

US-backed Ukrainian regime mobilizes reserves, threatening war with Russia


U.S. imperialism’s new Cold War and Ukraine

U.S., EU out of Ukraine! Stop Washington’s threats!


Войска НАТО высадились во Львовской области
Truppe NATO arrivano nella regione di Lvov

The Massive PSYOP Employed against Ukraine by GCHQ and NSA
Le massicce PSYOP contro l’Ucraina da parte di GCHQ e NSA


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Isto pročitaj:

NE FAŠIZACIJI UKRAJINE! Nova komunistička partija Jugoslavije (NKPJ) sa zabrinutošću gleda na najnovije događaje koji su potresli Ukrajinu i prete da ovu zemlju odvuku u haos i rat

IZRAŽAVAMO SOLIDARNOST S KOMUNISTIMA I RADNIČKOM KLASOM UKRAJINE. Pismo solidarnosti koje je NKPJ uputila Komunističkoj partiji Ukrajine (KPU) i Savezu komunista Ukrajine (SKU)

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http://www.advance.hr/vijesti/rezolucija-komunistickih-i-radnickih-partija-o-dogadajima-u-ukrajini-o-fasistickoj-opasnosti-i-organizaciji-borbe-protiv-nje/

Rezolucija komunističkih i radničkih partija o događajima u Ukrajini:
O fašističkoj opasnosti i organizaciji borbe protiv nje

 Niz komunističkih, socijalističkih i radničkih partija Ukrajine i regije izdao je proglas o aktualnim događanjima u Ukrajini, prenosimo tekst u cijelosti:

"Politička kriza u Ukrajini je dostigla fazu neposredne borbe za vlast. Ishod te borbe počeo se rješavati u korist najreakcionarnijih, buržoasko-nacionalističkih i otvoreno pro-fašističkih sila.

Sadašnja kriza u Ukrajini je manifestacija žestokog sukoba unutar vladajuće buržoaske klase, napad krupnog financijskog i industrijskog kapitala Ukrajine, s ciljem preuzimanja vlasti i preraspodjele imovine koja je prethodno bila u rukama provladinih kapitalista. U toj borbi, na jedan ili drugi način uključeni su i zapadni i ruski kapital. Bez sumnje, predvodnici svjetskog imperijalizma, a posebno SAD i EU (u njoj prije svega Njemačka), kao i Rusija, žele okrenuti trenutnu kriznu situaciju u Ukrajini u svoju korist. Sadašnja izravna intervencija pod vodstvom SAD i EU u unutarnja pitanja Ukrajine je bez presedana: financiranjem takozvane opozicije, izazivanjem i pomaganjem u organiziranju pokušaja državnog udara, političkim i gospodarskim pritiskom sve do otvorenog pokušaja sastavljanja nove Vlade Ukrajine i nametanja osobe koja bi trebala biti postavljena za budućeg predsjednika Republike.

Ova politika vodećih imperijalističkih sila je očito nastavak nekažnjenih imperijalističkih agresija protiv Jugoslavije, Iraka, Libije, sadašnje intervencije protiv Sirije i drugih arapskih i afričkih zemlja, blokade i prijetnje Kubi, Venecueli, Sjevernoj Koreji, Iranu, te prakse korištenja "mekih" državnih udara primjenjene u nekoliko zemalja Latinske Amerike. Ta politika je manifestacija jednog od glavnih ekonomskih obilježja imperijalizma: borba za podjelu svijeta između imperijalističkih sila, što je karakteristično za monopolistički kapitalizam u svim njegovim etapama razvoja. U današnjim uvjetima imperijalizam poprima sve karakteristike svojstvene fašizmu: neposredna teroristička diktatura povezana sa rukovodstvom najreakcionarnijih i najšovinističkijih elemenata financijskog kapitala, u punom skladu s definicijom Kominterne.

Međutim, pored ove vanjske intervencije treba znati da je politika dotad vladajućega klana krupne buržoazije, na čelu s "Partijom regija" i njezinim pulenom predsjednikom Janukovičem, nastavila i pogoršala grabežljivu politiku njegovih prethodnika (Kravčuka, Kučme i Juščenka), dovela je do pogoršanja životnih uvjeta radničke klase i svih radnih ljudi i do čudovišnog povećanja korupcije. Sve je to dopustila "oporba" kako bi oživjela svoje napade i koristila u borbi za vlast zajedno sa svojim konkurentima: najmračnijim i najreakcionarnijim elementima, ali i velikom dijelu društva, sve do fašističke i nacističke desnice.

U pravilu, borba kapitalista za vlast, kao i borba sa bilo kojom krizom, ima tendenciju slabljenja vladajuće klase, koja stvara uvjete za jačanje politike rada, politike samih radnika. No, to se nije dogodilo u Ukrajini. Njezina radnička klasa je ušla u krizu idejno razoružana, dezorijentirana i sa podijeljenim organizacijama, bila je talac političara koji su je iskorištavali.Smatramo da je naša dužnost prepoznati i preuzeti odgovornost za slabost komunističkog i radničkog pokreta u Ukrajini i otvoreno reći naše čvrsto uvjerenje da jedan od glavnih uzroka stanja radničkog pokreta u Ukrajini, kao i u Rusiji, te u većini zapadnih zemalja, je najoštrija desna devijacija u komunističkom pokretu, objektivna politika suradnje s buržoaskom klasom, koju već desetljećima provode mnoge velike partije europske ljevice i bliske su joj u političkoj strategiji i taktici.

Kao što je oportunizam u vrijeme vlasti Gorbačova prepustio socijalizam kapitalizmu, danas nasljednici Gorbačova napuštaju svoje pozicije pred napadom fašizma. Radni narod je dezorganiziran i nastavlja se zavaravati parlamentarnim iluzijama i nadom u poštene izbore, pokušavajući stvoriti različite verzije vlada i sindikata lijevog centra, u navodno mogućoj progresivnoj građanskoj državi.

Te iluzije i obmane radnici moraju jasno odbaciti.

Radnička klasa i svi radni ljudi moraju voditi vlastitu klasnu borbu protiv kapitalizma i kapitalističke politike svih vrsta i klanova, za svoju vlast: vlast radnog naroda. Radnički klasni frontovi i proleterski odredi mogu i moraju postati centri antifašističke borbe svih poštenih ljudi i progresivnih snaga u svijetu, jer bez borbe protiv imperijalizma i potpore koje imperijalizam uživa u radničkom pokretu: oportunizma, borba protiv fašizma je isprazna i lažljiva fraza.

Komunisti i radni ljudi svih zemalja moraju biti prvi koji će započeti otpor rastućem fašizmu u Ukrajini, Siriji, u EU, SAD-u, i bilo gdje u svijetu.

Proleteri svih zemalja , ujedinite se!"

Savez Komunista Ukrajine
Ruska Komunistička Radnička Partija
Komunistička Partija Sovjetskog Saveza
Bjeloruska Komunistička Partija Radnika
Socijalistički Pokret Kazahstana
Marksistički pokret "Narodni otpor" (Moldavija)
Komunistička Partija Azerbajdžana
Komunistička Partija Grčke
Komunistička Partija Italije
Savez Revolucionara - Komunisti Francuske
Radnička Partija Mađarske
Partija Bugarskih Komunista
Komunistička Inicijativa Njemačke
Socijalistička Radnička Partija Hrvatske
Nova Komunistička Partija Jugoslavije
Komunistička Partija Bugarske

Ovu rezoluciju, bezrezervno podržava i partija Komunisti Srbije!


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Sull'antisemitismo dell'Euromajdan si veda:

24 febbraio: bombe molotov contro la sinagoga di Zaporozhie
http://zp.comments.ua/news/2014/02/24/132743.html

Ucraina liberata: i Nazi in piazza, gli Ebrei in fuga (Ennio Remondino)

Kiev, fascisti al potere: attacchi a comunisti ed ebrei. Che pensano all’evacuazione (Marco Santopadre)

Testfeld Ukraine. Jüdische Organisationen warnen vor einer neuen Welle des Antisemitismus… (GFP 24.02.2014)

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Ukraine: Israeli Special Forces Unit under Neo-Nazi Command Involved in Maidan Riots

Global Research, March 03, 2014


Under the title “In Kiev, an Israeli army vet led a street-fighting unit”the Jewish News Agency JTA confirms that soldiers from the IDF were involved in the EuroMaidan protest movement under the direct command of the Neo-Nazi Svoboda Party.  The Svoboda Party follows in the footsteps of World War II Nazi collaborator Stepan Bandera.

The leader of the “Blue Helmets of Maidan” is Delta “the nom de guerre of the commander of a Jewish-led militia force that participated in the Ukrainian revolution”. Delta is a Veteran of the notorious Givati infantry brigade, which was involved in numerous operations directed against Gaza including Operation Cast Lead in 2008-2009.

The Givati brigade was responsible for the massacres in the Tel el-Hawa neighborhood of Gaza. Delta, the leader of the EuroMaidan IDF unit acknowledges that he acquired his urban combat skills in the Shu’alei Shimshon reconnaissance battalion of the Givati brigade.


[PHOTO: Delta, the nom de guerre of the Jewish commander of a Ukrainian street-fighting unit, is pictured in Kiev earlier this month. (Courtesy of ‘Delta’)]


According to the JTA report, Delta was in command of a force of 40 men and women including several former IDF veterans. In the EuroMaidan, Delta was routinely applying his skills of urban warfare which he had used against the Palestinians in Gaza.

The Maidan “Street fighting unit” under Delta’s command was involved in confronting government forces. It is unclear from the reports whether the EuroMaidan combat unit was in liaison with IDF command headquarters in Israel:

The Blue Helmets comprise 35 men and women who are not Jewish, and who are led by five ex-IDF soldiers, says Delta, an Orthodox Jew in his late 30s

Delta, who immigrated to Israel in the 1990s, moved back to Ukraine several years ago … He says he joined the protest movement as a volunteer on Nov. 30, after witnessing violence by government forces against student protesters.

“I saw unarmed civilians with no military background being ground by a well-oiled military machine, and it made my blood boil,” Delta told JTA in Hebrew laced with military jargon. “I joined them then and there, and I started fighting back the way I learned how, through urban warfare maneuvers. People followed, and I found myself heading a platoon of young men. Kids, really.”

The other ex-IDF infantrymen joined the Blue Helmets later after hearing it was led by a fellow vet, Delta said.

In a bitter irony, Delta, the commander of the IDF militia unit was taking his orders directly from the Neo-Nazi Party Svoboda:

As platoon leader, Delta says he takes orders from activists connected to Svoboda, an ultra-nationalist [Neo-Nazi] party that has been frequently accused of anti-Semitism and whose members have been said to have had key positions in organizing the opposition protests.

“I don’t belong [to Svoboda], but I take orders from their team. They know I’m Israeli, Jewish and an ex-IDF soldier. They call me ‘brother,’” he said. “What they’re saying about Svoboda is exaggerated, I know this for a fact. I don’t like them because they’re inconsistent, not because of [any] anti-Semitism issue.”

Neither the Tel Aviv government nor the Israeli media have expressed concern regarding the fact that the EuroMaidan protests were led by Neo-Nazis.

With the formation of a new government composed of NeoNazis,  the Jewish community in Kiev is threatened.  This community is described as “one of the most vibrant Jewish communities in the world, with dozens of active Jewish organizations and institutions”. A significant part of this community is made up of family members of holocaust survivors. “Three million Ukrainians were murdered by the Nazis during their occupation of Ukraine, including 900,000 Jews.” (indybay.org, January 29, 2014).

“It’s bullshit. I never saw any expression of anti-Semitism during the protests”

In a bitter twist, the Blue Helmet IDF unit in the EuroMaidan has been the object of praise by the Israeli media. According to Ariel Cohen of the Washington based Heritage Foundation: “The commanding position of Svoboda in the revolution is no secret”. The participation of Israeli soldiers under Neo-Nazi Svoboda command does not seem to be an object of concern:

On Wednesday, Russian State Duma Chairman Sergey Naryshkin said Moscow was concerned about anti-Semitic declarations by radical groups in Ukraine.But Delta says the Kremlin is using the anti-Semitism card falsely to delegitimize the Ukrainian revolution, which is distancing Ukraine from Russia’s sphere of influence.

“It’s bullshit. I never saw any expression of anti-Semitism during the protests, and the claims to the contrary were part of the reason I joined the movement. We’re trying to show that Jews care,” he said.

See Svoboda and Right Sector militants honoring Stepan Bandera(image below)

Bandera was a Nazi collaborator involved in the Third Reich’s Einsatzgruppen (Task Groups or Deployment Groups) . These “task forces” were paramilitary death squads deployed throughout the Ukraine.


[PHOTO: Neo-Nazis Honoring Stepan Bandera]


The JTA article can be consulted at www.jta.org/2014/02/28/news-opinion/world/in-kiev-an-israeli-militia-commander-fights-in-the-streets-and-saves-lives

Copyright © 2014 Global Research

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In Kiev, an Israeli army vet led a street-fighting unit

By Cnaan Liphshiz February 28, 2014 1:30pm



[PHOTO: Delta, the nom de guerre of the Jewish commander of a Ukrainian street-fighting unit, is pictured in Kiev earlier this month. (Courtesy of ‘Delta’)]

(JTA) — He calls his troops “the Blue Helmets of Maidan,” but brown is the color of the headgear worn by Delta — the nom de guerre of the commander of a Jewish-led militia force that participated in the Ukrainian revolution.
Under his helmet, he also wears a kippah.
Delta, a Ukraine-born former soldier in the Israel Defense Forces, spoke to JTA Thursday on condition of anonymity. He explained how he came to use combat skills he acquired in the Shu’alei Shimshon reconnaissance battalion of the Givati infantry brigade to rise through the ranks of Kiev’s street fighters.
He has headed a force of 40 men and women — including several fellow IDF veterans — in violent clashes with government forces.
Several Ukrainian Jews, including Rabbi Moshe Azman, one of the country’s claimants to the title of chief rabbi, confirmed Delta’s identity and role in the still-unfinished revolution.
The “Blue Helmets” nickname, a reference to the U.N. peacekeeping force, stuck after Delta’s unit last month prevented a mob from torching a building occupied by Ukrainian police, he said.
“There were dozens of officers inside, surrounded by 1,200 demonstrators who wanted to burn them alive,” he recalled. “We intervened and negotiated their safe passage.”
The problem, he said, was that the officers would not leave without their guns, citing orders. Delta told JTA his unit reasoned with the mob to allow the officers to leave with their guns.
“It would have been a massacre, and that was not an option,” he said.
The Blue Helmets comprise 35 men and women who are not Jewish, and who are led by five ex-IDF soldiers, says Delta, an Orthodox Jew in his late 30s who regularly prays at Azman’s Brodsky Synagogue. He declined to speak about his private life.
Delta, who immigrated to Israel in the 1990s, moved back to Ukraine several years ago and has worked as a businessman. He says he joined the protest movement as a volunteer on Nov. 30, after witnessing violence by government forces against student protesters.
“I saw unarmed civilians with no military background being ground by a well-oiled military machine, and it made my blood boil,” Delta told JTA in Hebrew laced with military jargon. “I joined them then and there, and I started fighting back the way I learned how, through urban warfare maneuvers. People followed, and I found myself heading a platoon of young men. Kids, really.”
The other ex-IDF infantrymen joined the Blue Helmets later after hearing it was led by a fellow vet, Delta said.
As platoon leader, Delta says he takes orders from activists connected to Svoboda, an ultra-nationalist party that has been frequently accused of anti-Semitism and whose members have been said to have had key positions in organizing the opposition protests.
“I don’t belong [to Svoboda], but I take orders from their team. They know I’m Israeli, Jewish and an ex-IDF soldier. They call me ‘brother,’” he said. “What they’re saying about Svoboda is exaggerated, I know this for a fact. I don’t like them because they’re inconsistent, not because of [any] anti-Semitism issue.”
The commanding position of Svoboda in the revolution is no secret, according to Ariel Cohen, a senior research fellow at the Washington D.C.-based Heritage Foundation think tank.
“The driving force among the so-called white sector in the Maidan are the nationalists, who went against the SWAT teams and snipers who were shooting at them,” Cohen told JTA.
Still, many Jews supported the revolution and actively participated in it.
Earlier this week, an interim government was announced ahead of election scheduled for May, including ministers from several minority groups.
Volodymyr Groysman, a former mayor of the city of Vinnytsia and the newly appointed deputy prime minister for regional policy, is a Jew, Rabbi Azman said.
“There are no signs for concern yet,” said Cohen, “but the West needs to make it clear to Ukraine that how it is seen depends on how minorities are treated.”
On Wednesday, Russian State Duma Chairman Sergey Naryshkin said Moscow was concerned about anti-Semitic declarations by radical groups in Ukraine.
But Delta says the Kremlin is using the anti-Semitism card falsely to delegitimize the Ukrainian revolution, which is distancing Ukraine from Russia’s sphere of influence.
“It’s bullshit. I never saw any expression of anti-Semitism during the protests, and the claims to the contrary were part of the reason I joined the movement. We’re trying to show that Jews care,” he said.
Still, Delta’s reasons for not revealing his name betray his sense of feeling like an outsider. “If I were Ukrainian, I would have been a hero. But for me it’s better to not reveal my name if I want to keep living here in peace and quiet,” he said.
Fellow Jews have criticized him for working with Svoboda.
“Some asked me if instead of ‘Shalom’ they should now greet me with a ‘Sieg heil.’ I simply find it laughable,” he said.
But he does have frustrations related to being an outsider: “Sometimes I tell myself, ‘What are you doing? This is not your army. This isn’t even your country.’”
He recalls feeling this way during one of the fiercest battles he experienced, which took place last week at Institutskaya Street and left 12 protesters dead.
“The snipers began firing rubber bullets at us. I fired back from my rubber-bullet rifle,” Delta said. “Then they opened live rounds, and my friend caught a bullet in his leg. They shot at us like at a firing range. I wasn’t ready for a last stand. I carried my friend and ordered my troops to fall back. They’re scared kids. I gave them some cash for phone calls and told them to take off their uniform and run away until further instructions. I didn’t want to see anyone else die that day.”
Currently, the Blue Helmets are carrying out police work that include patrols and preventing looting and vandalism in a city of 3 million struggling to climb out of the chaos that engulfed it for the past three months.
But Delta has another, more ambitious, project: He and Azman are organizing the airborne evacuation of seriously wounded protesters — none of them Jewish — for critical operations in Israel. Azman says he hopes the plane of 17 patients will take off next week, with funding from private donors and with help from Ukraine’s ambassador to Israel.
One of the patients, a 19-year-old woman, was wounded at Institutskaya by a bullet that penetrated her eye and is lodged inside her brain, according to Delta.
“The doctor told me that another millimeter to either direction and she would be dead,” Delta said. “And I told him it was the work of Hakadosh Baruch Hu.”


Cnaan Liphshiz is JTA's news and features correspondent in Europe. Based in the Netherlands, he covers the mosaic of cultures, languages and traditions that is European Jewry. Born in Israel, he used to work as foireign news editor for Ma'ariv and as a reporter for Haaretz.


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Ucraina, la strategia della tensione

di Manlio Dinucci | da il Manifesto, 4 marzo 2014

La guerra per il controllo dell’Ucraina è iniziata: con una possente psyop, operazione di guerra psicologica, in cui vengono usate le sperimentate armi di distrazione di massa. Le immagini con cui la televisione bombarda le nostre menti ci mostrano militari russi che occupano la Crimea. Nessun dubbio, quindi, su chi sia l’aggressore. Ci vengono però nascoste altre immagini, come quella del segretario del partito comunista ucraino di Leopoli, Rotislav Vasilko, torturato da neonazisti che brandivano una croce di legno. Gli stessi che assaltano le sinagoghe al grido di «Heil Hitler», risuscitando il pogrom del 1941. Gli stessi finanziati e addestrati per anni, attraverso servizi segreti e loro «Ong», dagli Usa e dalla Nato. Lo stesso è stato fatto in Libia e si sta facendo in Siria, utilizzando gruppi islamici fino a poco prima definiti terroristi.

Dieci anni fa documentavamo sul manifesto (v. In Ucraina il dollaro va alle elezioni, 2004) come Washington avesse finanziato e organizzato, attraverso «Ong» specializzate, la «rivoluzione arancione» e l’ascesa alla presidenza di Viktor Yushchenko, che voleva portare l’Ucraina nella Nato. Sei anni fa, descrivendo l’esercitazione militare «Sea Breeze» tenuta dalla Nato in Ucraina all’insegna della «Partnership per la pace», scrivevamo che «la “brezza di mare” che spira sul Mar Nero preannuncia venti di guerra» (v. Giochi di guerra nel Mar Nero, 2008).

Per capire cosa stia succedendo in Ucraina non basta il fermo immagine di oggi, ci vuole tutto il film. La sequenza dell’espansione ad Est della Nato, che in dieci anni (1999-2009) ha inglobato tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia prima alleati dell’Urss, tre dell’ex Urss e due della ex Jugoslavia; che ha spostato le sue basi e forze militari, comprese quelle a capacità nucleare, sempre più a ridosso della Russia, armandole di uno «scudo» anti-missili (strumento non di difesa ma di offesa). Ciò, nonostante i ripetuti avvertimenti di Mosca, ignorati o derisi come «sorpassati stereotipi della guerra fredda».

La vera posta in gioco, in questa escalation, non è l’adesione dell’Ucraina alla Ue, ma l’annessione dell’Ucraina alla Nato. Quella Usa/Nato è una vera e propria strategia della tensione che, al di là dell’Europa, mira a ridimensionare la potenza che ha conservato la maggior parte del territorio e delle risorse dell’Urss, che si è ripresa dalla crisi economica del dopo guerra fredda, che ha rilanciato la sua politica estera (v. il ruolo svolto in Siria), che si è riavvicinata alla Cina creando una potenziale alleanza in grado di contrapporsi alla superpotenza statunitense. Attraverso tale strategia si spinge la Russia (come venne fatto con l’Urss) a una sempre più costosa corsa agli armamenti, con l’obiettivo di fiaccarla accrescendone le difficoltà economiche interne che gravano sulla maggioranza della popolazione, stringendola alle corde perché reagisca militarmente e possa essere messa al bando dalle «grandi democrazie» (da qui la minaccia di escluderla dal G8).

La rappresentante Usa all’Onu Samantha Power, paladina della «responsabilità di proteggere» spettante agli Stati uniti per diritto divino, ha chiesto l’invio di osservatori Osce in Ucraina. Gli stessi che – guidati da William Walker, già agente dell’intelligence Usa in Salvador – nel 1998/99 fecero da copertura alla Cia in Kosovo, fornendo all’Uck istruzioni e telefoni satellitari per la guerra che la Nato stava per lanciare. Per 78 giorni, decollando soprattutto dalle basi italiane, 1100 aerei effettuarono 38mila sortite, sganciando 23 mila bombe e missili. La guerra terminò con gli accordi di Kumanovo, che prevedevano un Kosovo largamente autonomo, presidiato dalla Nato, ma sempre all’interno della Federazione jugoslava. Accordi stracciati nel 2008 con l’autoproclamata indipendenza del Kosovo, riconosciuta dalla Nato. Quella che oggi accusa la Russia di violare in Ucraina il diritto internazionale.



(srpskohrvatski / english / italiano)

Verso il 15.mo anniversario… DO NOT FORGET

1) ОБЕЛЕЖАВАЊЕ 15. ГОДИШЊИЦЕ АГРЕСИЈЕ НАТО ПАКТА / 15th ANNIVERSARY OF NATO AGGRESSION AGAINST F.R. YUGOSLAVIA 
Il programma delle iniziative previste a Belgrado per il 15.mo Anniversario della aggressione NATO 
2) 15-year anniversary of NATO aggression on Yugoslavia (J. Robles / Voice of Russia)
3) Nada ammalata per le bombe (Elena Cardinali / L'Arena)


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Originalni tekst na s-h-om:

ОБЕЛЕЖАВАЊЕ 15. ГОДИШЊИЦЕ АГРЕСИЈЕ НАТО ПАКТА
понедељак, 24 фебруар 2014

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15th ANNIVERSARY OF NATO AGGRESSION AGAINST YUGOSLAVIA (SERBIA AND MONTENEGRO)


NOT TO FORGET

Fifteen years have passed since the beginning of NATO aggression against Serbia and Montenegro (24 March 1999). This aggression resulted in the loss of 4,000 human lives, including 88 children, and 10,000 people were severely wounded. Over two third of these victims were civilians. How many human lives have been lost in the meantime due to the consequences of weapons with depleted uranium, as well as of remaining cluster bombs, will hardly ever be established.

Breaching the basic norms of international law, its own founding act as well as constitutions of member countries, NATO was bombing Serbia and Montenegro during 78 days continuously destroying the economy, infrastructure, public services, radio and TV centers and transmitters, cultural and historical monuments. NATO bears responsibility for polluting the environment and endangering the health of present and future generations. Economic damage caused by the aggression is estimated at over USD 120 billion. War damage compensation has not yet been claimed, and judgments ruled by our court, by which the leaders of aggressor countries were convicted for the crimes against peace and humanity, were annulled after the coup d’état in 2000.

Governments of aggressor countries seized and occupied the Province of Kosovo and Metohija, and then formally delivered it to former terrorists, separatists and international organized crime bosses. An American military base was established in the Province – “Bondstill”, one of the largest beyond the U.S. territory.

After the aggression, over 250,000 Serbs and other non-Albanians have been forced out the Province of Kosovo and Metohija; even today, 15 years later they are not allowed to return freely and safely to their homes. Ethnic cleansing and even drastic change of ethnic population structure are tolerated by so called international community if only to the detriment of Serbs. The remaining Serbian population in the Province of about 120.000 continues to live in fear and uncertainty. Attacks upon Serbs, detentions and killings, including liquidations of their political leaders, have been continuing up to these days, and nobody is held responsible.

NATO aggression against Serbia and Montenegro (FRY) in 1999 is a crime against peace and humanity. It is a precedent and a turning point towards global interventionism, arbitrary violation of the international legal order and the negation of the role of the UN. The “Bondstill” military base is the first and crucial ring in the chain of new American military bases reflecting strategy of expansion towards East, Caspian Basin, Middle East, towards Russia and its Siberia natural resources. Europe has thus got overall militarization and the new edition of the strategy “Drang nach Osten” (“Thrust to the East”). Destabilization and the tragic developments in Ukraine are just the most recent consequence of that strategy.

15 years after objectives of US/NATO military aggression continue to be pursued by other means. Serbia has been blackmailed to de facto recognize illegal secession of its Province of Kosovo and Metohija through so called Brussels negotiations. The most of the puppet states of the former Yugoslavia are much dependant on and indebted to the leading NATO/EU countries, their financial institutions and corporations so that they could hardly be considered independent states but rather neo-colonies. There is no stability in the Balkans, redrawing of borders has not ended, overall situation is dominated by devastated economy, unemployment, social tensions and misery. Europe, particularly its south-east regions, are experiencing profound economic, social and moral crisis.

During and after the aggression, 150 Serb monasteries and churches built in the Middle Ages were destroyed. Killed or abducted were some 3,500 Serbs and other non-Albanians, and fates of many of them have not been established until today. Not even one of the thousands of crimes against Serbs in Kosovo and Metohija got a court clarification. Even such terrorist crimes as was blowing up the “Nis-express” bus on 16 February 2001, when 12 people were killed and 43 wounded, neither the murder of 14 Serb farmers reaping in the field in Staro Gracko, on 23 July 2009 remained without thorough investigation, be it by UNMIK, be it by EULEX, or by any other of so many structures of the so called international community.

The Swiss senator, Dick Marty, revealed documented report on trafficking in human organs of Serbs abducted in Kosovo and Metohija. The Parliamentary Assembly of the Council of Europe, the oldest European democratic institution, adopted his Report as the official CE document. Although all factors stand verbally for an efficient investigation and bringing the perpetrators to justice, for many years now there have been no results whatsoever. The documentation on human organ trafficking submitted to The Hague Tribunal had been – destroyed!

The Belgrade Forum for a World of Equals, with support of other non-partisan and independent associations from Serbia, from the region and from the Serb Diaspora throughout the world, are organizing a number of activities under the common title “NOT TO FORGET”, with the aim to remind domestic and international public of human loss, destructions and other consequences of NATO aggression.

On Friday, 21 March 2014 at 6 p.m., in Sava Conference Centre, Belgrade (Milentija Popovica No. 1) an opening ceremony will launch a photographic exhibition presenting consequences of NATO aggression.

On Saturday, March 22 and on Sunday, March 23rd, 2014, International conference “Global Peace vs. Global Interventionism and Imperialism” will be held (Sava Conference Centre. Conference starts at 10 a.m. Some 100 prominent personalities from all over the world have confirmed their participation.

On Monday, March 24th, 2014, at 09.30 a.m., the International Memorial Marathon Belgrade-Hilandar will start in front of Saint Sava Church.

The same day, at 11 a.m., civic associations, representatives of Serb Diaspora, guests from abroad and individuals will lay flowers at the monument to children - victims of the aggression, in the Tašmajdan park, and the same day at 12 a.m. flowers will be laid at the Monument to all victims of the aggression, Friendship park, Ušće, New Belgrade.

THE BELGRADE FORUM FOR A WORLD OF EQUALS
THE VETERANS ALIANCE OF SERBIA (SUBNOR)
THE CLUB OF GENERALS AND ADMIRALS OF SERBIA


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15-year anniversary of NATO aggression on Yugoslavia

John Robles - 27 February 2014

In March 1999, at the direction of the United States of America, NATO engaged in its first act of illegal aggressive war, beginning what can only be called the “dark age of intervention” in which we are living today. The fact that NATO was allowed to get away with the aggression on Serbia and Montenegro emboldened US/NATO and the US military industrial intelligence banking complex and since that day, under a doctrine of Responsibility to Protect, Humanitarian Interventionism, Preventive War and then the all encompassing “War on Terror”, US/NATO have proceeded to destroy country after country and do away with leaders that they have not found to be submissive enough to their will.

The events of 9-11-2001 were a watershed moment for the geopolitical architects and served as a catalyst to allow them to expand their military machine to every corner of the world and invade countries at will and conduct operations with complete disregard for international law and accepted international norms.
In light of the 15th Anniversary of the NATO aggression the Belgrade Forum for a World of Equals and other independent Civic associations in Serbia will hold an international conference from the 21st to the 24th of March 2014. The conference will gather 100 prominent intellectuals from all over the world, in addition to those from Serbia, Montenegro, the Republica Srpska and 10 to 15 guests from Russia, including Academician and retired Russian Army General Leonid Ivashov. The conference will also include the participation of the Veterans Alliance of Serbia and the Club of Generals and Admirals of Serbia.


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Una sessantenne serba colpita da leucemia dopo la guerra si sta curando al Policlinico di BorgoRoma

Nada ammalata per le bombe

L'ARENA Quotidiano di verona
Lunedì 24 Febbraio 2014

Migliaia di serbi contaminati dalla«pioggia» di radiazioni caduta nel 1999

Elena Cardinali

È venuta a Verona dalla Serbia a curarsi la leucemia contratta dopo essere stata contaminata dalle radiazioni delle bombe all’uranio impoverito sganciate sul suo Paese nel 1999. Furono 77 giorni di incursioni aeree della Nato. Oggi la popolazione serba paga ancora le conseguenze di quella guerra, frettolosamente archiviata dalle cronache, in termini di malattie morti per cancro e leucemie.
Nada V., 60 anni, è una di loro. Un anno e mezzo fa scoprì di essere affetta da una forma acuta di leucemia. L’unica speranza di sopravvivenza era un trapianto di midollo osseo e cure specifiche. Così, informata da un connazionale, Zoran, di 54anni, pure lui ammalatosi di leucemia e salvato grazie alle cure degli specialisti del Policlinico di BorgoRoma, è approdata a sua volta nell’ospedale scaligero. A raccontare la sua odissea è un’amica e connazionale, Biljana Dautovic, che dal 1991 vive a Verona, a Ca’ di David, con il marito.«Nada è stata per circa un anno e mezzo a casa mia, dentro e fuori l’ospedale», racconta, «e ora si trova in una struttura d’accoglienza per malati. Lei ha fatto il trapianto di midollo l’anno scorso ma deve ancora sottoporsi a cure specifiche. Per potersi pagare l’ospedale ha venduto anche la casa in Serbia ma probabilmente l’importo ricavato non sarà sufficiente a pagare tutto. Deve dare all’ospedale 80.000 euro e non ha tutta la somma. Devo dire che Nada è stata trattata con grande professionalità dai medici e dagli infermieri. Ripete spesso di aver avuto fortuna a capitare in un posto come Verona, dove è stata circondata di umanità. Farà il possibile per pagare quello che deve ma se potesse trovare qualche aiuto, dico io, sarebbe un gesto straordinario».
A queste preoccupazioni, continua Biljana, per Nada si aggiunge quella, molto grande, del figlio disabile di 35 anni, in coma vegetativo persistente, che ha in casa. E tutta la sua speranza è di riuscire a vivere ancora qualche anno per consentire al figlio di restare il più a lungo possibile a casa prima di essere confinato in una struttura per cronici dove, con tutta probabilità, non riuscirebbe a sopravvivere più di tanto.
Zoran, il paziente salvato, è riuscito ad affrontare le spese perchè la sorella si è sobbarcata un oneroso mutuo. «In Serbia Zoran era finito in ospedale con altri 17 ammalati come lui», racconta Biljana. «Lui è riuscito a trovare la strada per venire a Verona ma tutti gli altri suoi compagni di sventura sono morti tutti nel giro di poco tempo».
Biljana è stata una testimone dei bombardamenti della Nato. «Vivevo a Kraljevo, nella Serbia centrale. La sera del 23 marzo del 1999 la città fu sconvolta da una botta tremenda, come se ci fosse il terremoto. Invece erano i missili della Nato sparati contro il vicino aeroporto militare. A Belgrado in quegli stessi giorni quei missili hanno devastato tutto, ponti, case, fabbriche, anche il giornale locale. In 77 giorni ci hanno scaricato addosso una pioggia di bombe all’uranio impoverito e poi hanno utilizzato anche altre bombe, molte delle quali sono rimaste inesplose nel terreno. Ci sono milioni di metri quadri di Serbia ancora da bonificare ma del nostro destino sembra non interessarsi nessuno. Della Serbia si parla pochissimo. È un Paese in ginocchio, dove la gente deve pagarsi tutto, dove non si trovano le medicine per curarsi. L’alternativa è il mercato nero, e quello se lo può permettere solo chi ha un po’ di soldi».
Oggi in Serbia, dice Biljana che segue costantemente le vicende del suo Paese, «si prevedono altri 40.000 malati di tumore. Nel 2001 i malati di leucemia erano più di trentamila e nel 2012 più di 37.000. Solo quest’anno si prevedono almeno 22.000 vittime di leucemie e tumori».


--- COMMENTI:

A. Tarozzi: << Se si tratta di leucemia ho qualche dubbio che la colpa sia del DU [uranio impoverito] che produce per lo più Linfoma di Hodgin. Più credibile che sia la conseguenza del bombardamento di depositi di sostanze tossiche […] La precisione in questo caso è quanto mai opportuna ad evitare le ''smentite'' ipocrite del caso. >>

G. Vlaic: << Sono più che d'accordo con Alberto. Non credo che si faccia cosa saggia nell'indicare sempre e comunque il DU come sorgente di tutti i possibili tumori, dobbiamo ricordarci che i bombardamenti sugli stabilimenti industriali hanno sversato in atmosfera e nelle falde schifezze di tutti i tipi. Il caso dei lavoratori della Zastava morti di tumore al fegato due-tre anni dopo aver rimosso le macerie dimostra che non è stato il DU… >>

Sui bombardamenti contro le industrie e i depositi chimici, sui bombardamenti al DU e sull'uso di altre armi e modalità di guerra proibite da parte dei paesi della NATO, inclusa l'Italia, nel corso della aggressione della primavera 1999, finalizzata a smembrare ciò che restava della Jugoslavia ed a strapparle la provincia del Kosovo creando un narco-Stato sotto tutela coloniale, si veda la documentazione alle nostre pagine dedicate: 
ATTI DEL CONVEGNO "TARGET" (Vicenza 2009) ED ALTRA DOCUMENTAZIONE: https://www.cnj.it/24MARZO99/2009/TARGET/ATTI/atti.html




La guerra, tendenza strutturale del capitalismo

1) Milano 9/3: L'Europa, che non vogliamo
2) La strada della guerra (Jorge Cadima)
3) La nuova strategia di guerra della Nato (Manlio Dinucci)


VEDI ANCHE: 

VIDEO: Il Capro espiatorio

How to Make a Bad Situation Worse
An expert at Berlin's Institute for International and Security Affairs (SWP) is warning against an expansion of German-European military missions…
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58725

Wie man schlechte Situationen verschlimmert
Ein Experte der Berliner Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP) warnt vor einer Ausweitung deutsch-europäischer Militäreinsätze…
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/58809


=== 1 ===

La UE sta agendo come forza imperialista nei confronti di numerosi Paesi: in medio oriente (Siria), in Africa (la Libia, il Mali, il Centrafrica, etc) e nella stessa Europa orientale (già in Jugoslavia ora in Ucraina e altri paesi ex URSS). Queste azioni sono azioni di guerra, alcune volte palesi altre mascherate, minando la sovranità nazionale, portando morte, miseria e distruzione ai popoli di questi Paesi. Riceviamo e volentieri vi inoltriamo l'invito a questa interessante iniziativa:

L'Europa,
che non vogliamo

domenica 9 marzo 2014
alle ore 15.30
presso la Casa Rossa
via Monte Lungo 2  - Milano
[MM1 Turro]

Relazioni di

Michele D’Arasmo   Ex console onorario di Bielorussia
Spartaco Puttini     Ricercatore
 
seguirà
aperitivo popolare in sostegno alla causa
 
via Monte Lungo 2 – Milano [Metropolitana MM1 Turro]
per info:
cell. 3383899559 - e-mail lacasarossamilano@...
web casa-rossa.blogspot.it


=== 2 ===


La strada della guerra

di Jorge Cadima | da “Avante”, settimanale del Partito Comunista Portoghese
Traduzione di Marx21.it

Dall'Ucraina al Venezuela, dall'Africa e dal Medio Oriente ai mari della Cina, si moltiplicano i segnali che la tendenza predominante delle potenze imperialiste è per la guerra generalizzata, l'autoritarismo più violento e il fascismo. Sia attraverso l'aggressione aperta e diretta, sia attraverso gruppi di mercenari al soldo, gli imperialismi in crisi sistemica sono in guerra aperta contro i popoli e in guerra mascherata tra loro, come ancora recentemente ha dimostrato la telefonata della “diplomatica” degli Stati Uniti Victoria Nuland al suo ambasciatore a Kiev. Nella lotta contro governi che si azzardano a dar prova di sovranità, ricorrono a paleo-fascisti, il cui legame diretto con le orde naziste della II Guerra mondiale nessuno può contestare. Come i il fondamentalismo religioso più retrogrado e reazionario è apprezzato in Libia e in Siria, anche l'antisemitismo dei fascisti ucraini diventa “europeo” e “democratico”. La signora Nuland ha confessato in una Conferenza Internazionale delle Trattative patrocinata dalla Chevron (13.12.13) che negli ultimi 20 anni gli USA hanno speso più di cinque miliardi di dollari per sovvenzionare la sovversione in Ucraina. Mentre sono ritirati gli aiuti alimentari ai nordamericani in condizione di fame perché “non hanno denaro”.

Chi pensa che ciò sia un'esagerazione farebbe bene ad ascoltare qualcuno che viene dal cuore del sistema e ne conosce le viscere, sebbene sia oggi un dissidente. Paul Craig Roberts (PCR) ha fatto parte dei governi di Ronald Reagan ed è stato vicedirettore del Wall Street Journal. Oggi scrive che “l'Unione Sovietica rappresentava un ostacolo al potere degli USA. Il collasso sovietico ha consentito l'offensiva neo-conservatrice per l'egemonia mondiale degli USA. La Russia sotto Putin, la Cina e l'Iran sono gli unici ostacoli all'agenda neo-conservatrice. I missili nucleari della Russia e la sua tecnologia militare trasformano la Russia nel più forte ostacolo militare all'egemonia degli USA. Per neutralizzare la Russia, gli USA hanno infranto accordi […], hanno allargato la NATO a parti prima integranti dell'impero sovietico […] e Washington ha modificato la sua dottrina della guerra nucleare per permettere un attacco nucleare iniziale. […] L'esito probabile dell'audace minaccia strategica con cui Washington si sta confrontando con la Russia sarà la guerra nucleare” (14.2.14). Con il titolo “Washington spinge il mondo verso la guerra”, PCR scrive (14.12.13): “la guerra fatale per l'umanità è la guerra con la Russia e la Cina a cui Washington sta spingendo gli USA e gli stati fantocci di Washington nella NATO e in Asia. […] L'unica ragione per cui Washington vuole installare basi militari e missili alle frontiere della Russia è per negare alla Russia la possibilità di resistere all'egemonia di Washington. La Russia non ha minacciato i suoi vicini e […] è stata estremamente passiva di fronte alle provocazioni degli Stati Uniti. Ciò sta cambiando […] ed è evidentemente chiaro al governo russo che Washington sta preparando un attacco iniziale demolitore contro la Russia. […] L'atteggiamento militare aggressivo di Washington nei confronti della Russia e della Cina rivela un'auto-fiducia estrema che solitamente conduce alla guerra”. Sull'Ucraina, scriveva PCR già mesi fa (4.12.13): “L'UE vuole che l'Ucraina aderisca perché l'Ucraina possa essere saccheggiata, come lo sono state la Lettonia, la Grecia, la Spagna, l'Italia, l'Irlanda e il Portogallo. […] Gli USA vogliono l'adesione dell'Ucraina per potervi posizionare basi missilistiche contro la Russia”.

L'ex governante di Reagan non riconosce che l'ostacolo decisivo al bellicismo imperialista è la lotta dei popoli. Ma è più lucido di molti che si dichiarano “di sinistra”, quando avverte la Cina e la Russia contro illusioni e concessioni. “E' poco probabile che la Cina si lasci intimidire, ma potrebbe essere insidiata se la sua riforma economica aprisse l'economia cinese alla manipolazione occidentale” dice PCR (4.12.13), che mette in guardia anche dalla “quinta colonna” di “laureati che gli USA programmano di far tornare in Cina”. Ed è caustico con la tolleranza della Russia e dell'Ucraina “che scioccamente hanno permesso che un grande numero di ONG finanziate dagli USA agissero come agenti di Washington sotto la copertura di “organizzazioni per i diritti umani”, “costruttori della democrazia”, ecc” (14.2.13). Le illusioni sulla natura dell'imperialismo e sul tradimento di aspiranti impiegati ricchi si pagano caro. I popoli del mondo hanno già pagato un prezzo sufficientemente elevato.


=== 3 ===

RIUNITI A BRUXELLES I MINISTRI DELLA DIFESA

La nuova strategia di guerra della Nato 

Manlio Dinucci
su Il Manifesto del 28 febbraio 2014

Una Pinotti raggiante di gioia, per la sua prima volta alla Nato (il sogno di una vita), ha partecipato alla riunione dei ministri della difesa svoltasi il 26-27 febbraio al quartier generale di Bruxelles. 
Primo punto all’ordine del giorno l’Ucraina, con la quale –  sottolineano i ministri nella loro dichiarazione – la Nato ha una «distintiva partnership» nel cui quadro continua ad «assisterla per la realizzazione delle riforme». Prioritaria «la cooperazione militare» (grimaldello con cui la Nato è penetrata in Ucraina). I ministri «lodano le forze armate ucraine per non essere intervenute nella crisi politica» (lasciando così mano libera ai gruppi armati) e ribadiscono che per «la sicurezza euro-atlantica» è fondamentale una «Ucraina stabile» (ossia stabilmente sotto la Nato). 

I ministri hanno quindi trattato il tema centrale della Connected Forces Initiative, la quale prevede una intensificazione dell’addestramento e delle esercitazioni che, unitamente all’uso di tecnologie militari sempre più avanzate, permetterà alla Nato di mantenere un’alta «prontezza operativa ed efficacia nel combattimento». Per verificare la preparazione, si svolgerà nel 2015 una delle maggiori esercitazioni Nato «dal vivo», con la partecipazione di forze terrestri, marittime e aeree di tutta l’Alleanza. La prima di una serie, che l’Italia si è offerta di ospitare. 

Viene allo stesso tempo potenziata la «Forza di risposta della Nato» che, composta da unità terrestri, aeree e marittime fornite e rotazione dagli alleati, è pronta ad essere proiettata  in qualsiasi momento in qualsiasi teatro bellico. Nell’addestramento dei suoi 13mila uomini, svolge un ruolo chiave il nuovo quartier generale delle Forze per le operazioni speciali che, situato in Belgio, è comandato dal vice-ammiraglio statunitense Sean Pybus dei Navy SEALs. 

La preparazione di queste forze rientra nel nuovo concetto strategico adottato dall’Alleanza, sulla scia del riorientamento strategico statunitense. Per spiegarlo meglio è intervenuto a Bruxelles il segretario alla difesa Chuck Hagel, che ha da poco annunciato un ridimensionamento delle forze terrestri Usa da 520mila e circa 450mila militari. Ma, mentre riduce le truppe, il Pentagono accresce le forze speciali da 66mila a 70mila, con uno stanziamento aggiuntivo di 26 miliardi di dollari per l’addestramento. Gli Usa, spiega Hagel, «non intendono  più essere coinvolti in grandi e prolungate operazioni di stabilità oltremare, sulla scala di quelle dell’Iraq e l’Afghanistan». È il nuovo modo di fare la guerra, condotta in modo coperto attraverso forze speciali infiltrate, droni armati, gruppi (anche esterni) finanziati e armati per destabilizzare il paese, che preparano il terreno all’attacco condotto da forze aeree e navali. La nuova strategia, messa a punto con la guerra di Libia, implica un maggiore coinvolgimento degli alleati.

In tale quadro il ministro Pinotti ha ricevuto l’onore di avere a Bruxelles un colloquio bilaterale col segretario Hagel che, si legge in un comunicato del Pentagono, «ha ringraziato la Pinotti per la sua leadership e per il forte contributo dell’Italia alla Nato, inclusa la missione Isaf». Hagel ha anche espresso il solenne «impegno di continuare a cercare modi per approfondire la relazione bilaterale con l’Italia». C’è da aspettarsi quindi ancora di più dalla «relazione bilaterale» con gli Usa, oltre agli F-35, al Muos di Niscemi, al potenziamento di Sigonella e delle altre basi Usa sul nostro territorio, all’invio di forze italiane nei vari teatri bellici agli ordini di fatto del Pentagono. Soprattutto ora che ministro della difesa è Roberta Pinotti, la cui «leadeship» ha contribuito a far salire l’Italia al decimo posto tra i paesi con le più alte spese militari del mondo: 70 milioni di euro al giorno, secondo il Sipri, mentre si annunciano nuovi tagli alla spesa pubblica. 
 



(english / italiano)

Ukraine: Neo-Nazi Criminal State Looming

1) INIZIATIVE sul golpe euro-fascista in Ucraina ad ANCONA - ROMA - MESSINA
2) La Clinton-Pinchuk Connection (Manlio Dinucci)
3) Ukraine: Neo-Nazi Criminal State Looming (Oriental Review / Global Research)
4) The geopolitical dimensions of the coup in Ukraine (Peter Schwarz / WSWS)
5) DICHIARAZIONE CONGIUNTA DEI PARTITI COMUNISTI E OPERAI sui recenti sviluppi in Ucraina (su proposta di KKE e DKP)
6) NATO expansion a new ‘Drang Nach Osten’ Doctrine – FM Živadin Jovanović (2nd Part of a VoR interview)
7) TUTTO SCORRE E PASSA. Una minuscola smagliatura nell'apparato di disinformazione strategica della RAI…


READ ALSO / LEGGI ANCHE:

ECCO CHI SONO I GRUPPI D’ASSALTO DELLA RIVOLTA DI KIEV
Ecco la foto del gruppo della Gioventù Nazionalista Ucraina, che ha partecipato ad un corso di addestramento di “terrorismo diversivo”, sotto la guida di istruttori NATO, in un campo militare della base militare atlantica in Estonia, nell’estate del 2006. Alcuni di loro sono stati arrestati proprio in queste settimane per gli scontri a Kiev… 
IL PARADOSSO UCRAINO, NAZIONALISTI ED ESTREMA DESTRA PER L’ UNIONE EUROPEA
Marco Palombo / redazione SibiaLiria

L’UCRAINA È LA NUOVA JUGOSLAVIA
Di ilsimplicissimus (Alberto Capece Minutolo), 7 febbraio 2014

I SOLDI USA PER L’UCRAINA
Di ilsimplicissimus (Alberto Capece Minutolo), 25 febbraio 2014

US, EUROPE STEP UP THREATS AGAINST RUSSIA OVER UKRAINE
By Stefan Steinberg (WSWS), 28 February 2014

RUSSIA UNDER ATTACK
By Paul Craig Roberts, February 14, 2014



=== 1: INIZIATIVE ===


*** ANCONA - 28 febbraio 2014:

ore 17, presso la sede ANPI
Via Palestro 6, Ancona

UCRAINA:
L'UNIONE EUROPEA, LA NATO
E UNA CRISI CHE PUO' ALLARGARSI
AL CUORE DELL'EUROPA

introduce: Fabio Pasquinelli
segr. Federazione PdCI Ancona

Intervengono:

Domenico Losurdo
filosofo, pres. Associazione Marx21

Alessandro Leoni
PRC Toscana, direttivo rivista "Essere Comunisti"

Fausto Sorini
segreteria nazionale PdCI, resp. Dip. Esteri

pdcimarche.wordpress.com


*** ROMA - 4 marzo 2014:

ore 17.30, via Giolitti 231 (Staz. Termini) 

UCRAINA: IL VOLTO FASCISTA DELL'UNIONE EUROPEA

con: Marco Santopadre, Collettivo Militant, Giulietto Chiesa

Organizzano: Rete Dei Comunisti, Collettivo Militant 

Mentre Washington scatena l'ennesima manovra destabilizzante per indebolire il governo venezuelano e giustificare un intervento internazionale contro Caracas, l'UE non esita a utilizzare la manovalanza fascista per mettere le mani sull'Ucraina. L'UE si rappresenta come baluardo della libertà e del progresso, ma nel suo "cortile di casa" l'imperialismo europeo si comporta esattamente come quello a stelle e strisce, utilizzando forze paramilitari di estrema destra e xenofobe per imporre i propri interessi egemonici attraverso un vero e proprio golpe.
Così come negli anni '90 in Jugoslavia, l'establishment dell'UE rischia di provocare un'ennesima guerra civile su basi etniche e religiose, spaccando l'Ucraina e portando il conflitto con Mosca a livelli di non ritorno. Intanto la troika - UE, BCE e FMI - si appresta a stringere il cappio attorno all'Ucraina e ad imporre privatizzazioni e sacrifici in cambio della concessione di "aiuti" che il popolo ucraino pagherà molto cari.

evento facebook: https://www.facebook.com/events/1398751650388335/


*** MESSINA - 7 marzo 2014:

ore 17:00, presso il sindacato Orsa (Stazione Marittima – Salone dei Mosaici – Messina) 

Assemblea preparatoria della manifestazione antifascista

L’EUROPA PRECIPITA VERSO IL FASCISMO

In Ucraina è caccia all’uomo. Dall’aggressione avvenuta alla Verhovnaja Rada contro il gruppo comunista, ad opera dei parlamentari fascisti si è passati al tentativo di eliminazione fisica dei cittadini che ancora credono nella sovranità del loro Paese.
I nazi-fascisti, che fanno da sponda alla formazione di un nuovo governo apertamente reazionario, continuano a incendiare, saccheggiare e colpire le sedi, gli uomini e le donne che non si sottomettono alle loro aspettative.
Tali azioni sono accompagnate da una ondata estremamente pericolosa di isteria anticomunista e antisemita, dalla distruzione ovunque dei monumenti a Lenin e della Grande Guerra Patriottica, dagli attacchi dei banditi alle sedi del partito comunista a Kiev e in altre città, dall’ incendio della casa del segretario Petro Simonenko, dal terrore morale e fisico contro i comunisti, dalle richieste di vietare le attività del Partito Comunista dell'Ucraina e, persino, all’incendio di una sinagoga a di Kiev.
Nel contempo l'Occidente, interferendo apertamente e sfacciatamente negli affari interni di quel paese, sostiene le azioni delle forze di destra (dal momento che esse sono indirizzate a un serio cambiamento della situazione geopolitica in Europa e nel mondo, alla distruzione dei secolari legami economici, culturali e spirituali dei popoli russi e ucraini, degli altri popoli fratelli della ex Unione Sovietica) e puntano a fare dell'Ucraina un protettorato di USA, UE, NATO, del Fondo Monetario Internazionale e delle varie corporazioni multinazionali.
Negli stadi italiani si vedono simboli e segni di chiara matrice fascista e organizzazioni di estrema destra si danno appuntamenti pubblici a sostegno della repressione.
Il capitalismo occidentale foraggia i fascisti per realizzare il sogno di banche e banchieri sostenuti con il sangue del popolo.
Siamo indignati e non possiamo stare inermi davanti allo spudorato sostegno che l'Unione Europea neo-imperialista, la Nato, i nazi-fascisti di Forza Nuova, di Alba Dorata e del British National Party stanno dando alla sovversione .
Un compito gravoso ci aspetta. Chi può e vuole svolgere una funzione positiva, lo faccia adesso. Non c’è tempo da perdere, bisogna agire subito assumendoci ognuno le proprie responsabilità.
L’appello è ai democratici, agli antifascisti, ai giovani partigiani per una grande manifestazione antifascista a Messina.
E nel contempo si invitano i membri del Parlamento italiano ed europeo che intendono restare fedeli alla loro coscienza antifascista di fare tutto quello che è in loro potere per indurre le istituzioni nazionali e internazionali ad una pressione politico-diplomatica volta ad arrestare la corsa verso il precipizio.
NO PASARAN!

Azione Antifascista Messina

http://www.marx21.it/italia/antifascismo/23656-leuropa-precipita-verso-il-fascismo.html


=== 2 ===

La Clinton-Pinchuk Connection

Manlio Dinucci 
su Il manifesto del 23/02/2014

Al tavolo di Kiev in cui è stato negoziato l'accordo formale tra governo, opposizione, Ue e Russia non sedeva ufficialmente alcun rappresentante della potente oligarchia interna che, legata più a Washington e alla Nato che a Bruxelles e alla Ue, spinge l'Ucraina verso l'Occidente. Emblematico il caso di Victor Pinchuk, 54nne magnate dell'acciaio, classificato dalla rivista Forbes tra gli uomini più ricchi del mondo.

La fortuna di Pinchuk inizia quando nel 2002 sposa Olena, figlia di Leonid Kuchma, secondo presidente dell'Ucraina (1994-2005). Nel 2004 l'illustre suocero privatizza il maggiore complesso siderurgico ucraino, quello di Kryvorizhstal, vendendolo alla società Interpipe, di cui il genero è comproprietario, per 800 milioni di dollari, circa un sesto del valore reale. La Interpipe monopolizza in tal modo la fabbricazione di tubazioni in acciaio. Nel 2007 Pinchuk costituisce l'EastOne Group, società di consulenza per investimenti internazionali, che fornisce alle multinazionali tutti gli strumenti per penetrare nelle economie dell'Est. Diviene allo stesso tempo proprietario di quattro canali televisivi e di un popolare tabloid (Fatti e commenti) con una circolazione di oltre un milione di copie. Non trascura però le opere di bene: crea la Victor Pinchuk Foundation, considerata la maggiore «fondazione filantropica» ucraina.

È attraverso questa fondazione che Pinchuk si collega ai Clinton, sostenendo la Clinton Global Initiative stabilita da Bill e Hillary nel 2005, la cui missione è «riunire i leader globali per creare soluzioni innovative alle sfide mondiali più pressanti». Dietro questo altisonante slogan c'è lo scopo reale: creare una rete internazionale di potenti appoggi a Hillary Clinton, la già first lady che, dopo essere stata senatrice di New York nel 2001-2009 e segretaria di stato nel 2009-2013, tenta di nuovo la scalata alla presidenza. La fruttuosa collaborazione inizia nel 2007 quando Bill Clinton ringrazia «Victor e Olena Pinchuk per la loro vigorosa attività sociale e l'appoggio fornito al nostro programma internazionale». Appoggio che Pinchuk concretizza con un primo contributo di 5 milioni di dollari, cui ne seguono altri, alla Clinton Global Initiative. Ciò apre a Pinchuk le porte di Washington: assume per 40mila dollari al mese il lobbista Schoen, che gli organizza una serie di contatti con influenti personaggi, compresa una dozzina di incontri in un anno, tra il 2011 e il 2012, con alti funzionari del Dipartimento di stato. Ciò favorisce anche gli affari, permettendo a Pinchuk di aumentare le esportazioni negli Stati uniti, anche se ora i metallurgici della Pennsylvania e dell'Ohio lo accusano di vendere sottocosto tubi di acciaio negli Usa.

Per rafforzare ulteriormente i legami con gli Stati uniti e l'Occidente, Pinchuk vara la Yalta European Strategy (Yes), «la più grande istituzione sociale di diplomazia pubblica nell'Europa orientale», il cui scopo ufficiale è «aiutare l'Ucraina a svilupparsi in un paese moderno, democratico ed economicamente potente». Grazie alla grossa disponbilità finanziaria di Pinchuk (che solo per festeggiare il suo 50° compleanno in una località sciistica francese ha speso oltre 6 milioni di dollari), la Yes è in grado di tessere una vasta rete di contatti internazionali, che diventa visibile nel meeting annuale organizzato a Yalta. Vi partecipano «oltre 200 politici, diplomatici, statisti, giornalisti, analisti e dirigenti del mondo degli affari provenienti da oltre 20 paesi». Tra questi emergono i nomi di Hillary e Bill Clinton, Condoleezza Rice, Tony Blair, George Soros, Jose Manuel Barroso, Mario Monti (che ha partecipato al meeting dello scorso settembre), ai quali si affiancano personaggi meno noti, ma non per questo meno influenti, tra cui dirigenti del Fondo monetario internazionale. Come ha spiegato Condoleezza Rice al meeting Yes 2012, «le trasformazioni democratiche richiedono tempo e pazienza, richiedono appoggio dall'esterno così come dall'interno». Un'ottima sintesi della strategia che l'Occidente adotta sotto il manto dell'«appoggio dall'esterno» per favorire le «trasformazioni democratiche». Una strategia ormai consolidata, dalla Iugoslavia alla Libia, dalla Siria all'Ucraina: infilare cunei nelle crepe che ogni stato ha, per scardinarne le basi sostenendo o fomentando ribellioni antigovernative (tipo quelle a Kiev, troppo puntuali e organizzate per essere considerate semplicemente spontanee), mentre si scatena una martellante campagna mediatica contro il governo che si vuole abbattere. Per ciò che riguarda l'Ucraina, l'obiettivo è di far crollare lo stato o spaccarlo in due: una parte che entrerebbe nella Nato e nella Ue, un'altra che resterebbe maggiormente collegata alla Russia. In tale quadro si inserisce la Yalta European Strategy dell'oligarca, amico dei Clinton.


=== 3 ===


Ukraine: Neo-Nazi Criminal State Looming

Global Research, February 24, 2014

“There are many who do not know they are fascists
but will find it out when the time comes.”
Ernest Hemingway, For Whom the Bell Tolls

After signing a void agreement on “crisis settlement” on Friday, the situation in Ukraine has rapidly got out of control of its signatories and “witnesses”. No provisions of this document were fulfilled. The legitimate authorities fled (or tried to flee) the country, the governmental buildings in Kiev are taken by the revolutionary mob. The radicals are dictating the new rules to façade opposition “leaders” who desperately try to bridle theMaidan.

What happened to Ukraine on February 21, 2014 is essentially a criminal coup committed by the radical armed anarchists and Ukrainian Nazis who have been enjoying a comprehensive financial, military, diplomatic and even religious support and instigation from the Western power groups for the last two decades. Many of Ukraine’s cities are now falling into the chaos of lootings, unprovoked violence, lynch law and political repressions.

The first signs of upcoming chaos were clearly seen as the Ukrainian authorities wavered at the three-month siege of the centre of Kiev by the radical guerrilla elements from Galicia and local criminal gangs. They watched silently when furious fanatics were burning unarmed riot police Berkut officers alivelynching them and pulling out their eyes. They did nothing to stop frantic “freedom fighters” from storming regional administrationshumiliating the officials and looting police and military arsenals in the West Ukraine. They were paralyzed when unidentified snipers were cool-bloodily killing militia personnel, protesters and casual passer-bys from the roofs of Kiev’s buildings. They even declared amnesty (twice!) to those guilty of the brutal crimes against policemen and public order. Thus Yanukovych’s regime itself paved the way for a sinister ghost of the war-torn Libya to come to Ukraine.

Is the guerrilla side a self-organized and self-indoctrinated popular movement tired of a corrupt and inefficient state? That is hardly the case.

Since the collapse of the Soviet Union the international power groups have invested billions of the Federal Reserve notes (aka US$) into Ukrainian “pro-democratic” NGOs and politicians. While preaching “Ukrainian commitment to the European choice and democratic values” in the meantime they clearly saw that there is no short-term historical perspective for making Ukraine a state hostile to Russia, which is evidently the final goal of the globalist Eastern policy. The stakes were placed on the ultranationalist elements in the Western Ukraine and in the Uniate Church, a minority religious Greek-Catholic community of the Eastern rite, created by the Holy See in XVI century in a desperate attempt to weaken close ties of Rzeczpospolita’s Orthodox with Moscow. Since the early 1990s the Uniates enjoyed silent support of the newly-independent central authorities in Kiev. Theit tactic was to aggressively occupy Orthodox cathedrals on the canonic territory of the Moscow Patriarchate. The last thing the Uniate clergy used to preach in the occupied churches for all these years was the Christian call for repentance and peace. Instead they propagated a new crusade against the Orthodox and directly instigated and justified race-motivated prosecutions and even killings, acting exactly like radical jihadist preachers of the militant pseudo-Islamic sects. Suffice to watch a “Sunday sermon” by Mykhailo Arsenych, the clergyman from a local Uniate church in Ivano-Frankovsk region, Ukraine saying: “Today we are really ready for a revolution.The only effective methods of combat are assassination and terror! We want to be sure that no Chinese, Negro, Jew or Muscovite will try to come and grab our land tomorrow!”


The products of such indoctrination were not long in coming. A number of NATO-sponsored training centers for the Ukrainian ultranationalist militants were opened on the territory of the Baltic states immediately after they joined NATO in 2004. The detailed photo report on a Ukrainian group taking a course of subversive activities at a NATO training center in Estonia in 2006 is available here (texts in Russian).

Abundant financial and human resources were directed to bolster the paramilitary units of the radical UNA-UNSOSvoboda and other ultranationalist organizations in the Ukraine. Since 1990s these thugs were participating in the Chechen and Balkan wars on the side of radical Wahhabi (!) militants and committing war crimes against captured Russian and Serbian soldiers and civilian population. One of the notorious guerilla fighters of the Ukrainian origin in Chechnya, Olexander Muzychko (aka criminal leader Sasha Biliy) today is heading a brigade of “Pravyi Sector”, the radical militant driving force of the ongoing coup d’état in Kiev. According to his “official” biography (linkin Russian), in 1994 he was awarded by the then top commander of terroristIchkeria enclave Dzhohar Dudayev with the order “Hero of Nation” for “outstanding military successes against Russian troops”. His “military skills” were quite specific: he used to lure the Russian units operating in remote Chechen locations to guerilla ambushes. Then he personally participated in tortures and beheadings of the captured Russian soldiers. After returning to the Ukraine in 1995, he led a criminal gang in Rovno. Eventually he was prosecuted and sentences for 8 years term for kidnapping for ransom and attempted assassination of a Ukrainian businessman. He entered politics after release from prison in late 2000s.

After the end of Chechen and Balkan wars the British and American private military contractors were routinely recruiting Ukrainian mercenaries for operations in Afghanistan, Iraq, Syria and elsewhere.The Britam Defense scandal revealed the way and scale of how the Ukrainian personnel of the private military contractors were used in provocative clandestine actions to meet Western political goals in the Middle East. Many of them were sent to Kiev to make the job they are paid for – to target both policemen and protesters on “Euromaidan” from the roofs of surrounding buildings.

The real leaders of the protest have already clearly expressed their radical views to the European press (read e.g. the interview with the Pravyi Sector leader Dmitro Yarosh and several recent Guardian’s publications here and here).

That is the sort of people the half-hearted European politicians are about to deal with in the Ukraine. These fanatics are the real authority in today’s Kiev seized by the marauding mobs. They have torn the Friday’s agreement signed by four Ukrainian “leaders” and three European officials before the ink was dry on this paper. Their treatment of Yulia Timoshenko after her emotional speech on the Maidan Saturday night has clearly shown that her nomination de facto head of failing Ukrainian state would be their decision. Latest Western advice to financially support Ukraine with the IMF and the EU funds suggest that they have chosen to buy the loyalty of the ultranationalists for the transition period. Therefore, the ongoing Western policy of appeasement towards the radical insurgents in Kiev very much resembles the Anglo-American connivance in Hitler’s accession to power in Germany in 1933 and the rise of the Third Reich. But if the Western elitist groups suppose that the Neo-Nazi project that they have carefully cherished and supported in Ukraine for decades, would be controlled by political means and set against Russia, they are deadly wrong.After facing furious resistance and blowback at the East and South of the Ukraine, the radical Nazi ideological avalanche encouraged by the illusion of success in Kiev would inevitably enter the degrading European political landscape where the neo-Nazi and hooligan outbreaks are already a notable destabilizing factor. Their established links with the Islamist underground in Europe add another sinister dimension to the murky European future.

Is it the price the Europeans are ready to pay for bringing its eastern neighbors into the “family of civilized nations”?



[IMAGE: Olexander Muzychko today in Kiev (left) and in Chechnya in 1994. ]


=== 4 ===


The geopolitical dimensions of the coup in Ukraine

By Peter Schwarz 
27 February 2014

“When the Soviet Union was collapsing in late 1991, Dick wanted to see the dismantlement not only of the Soviet Union and the Russian empire but of Russia itself, so it could never again be a threat to the rest of the world,” wrote former US Secretary of Defense Robert Gates in his recently published memoirs. Gates was referring to the then-Secretary of Defense, and later US Vice President, Dick Cheney.

The statement sheds light on the geopolitical dimensions of the recent putsch in Ukraine. What is at stake is not so much domestic issues—and not at all the fight against corruption and democracy—but rather an international struggle for power and influence that stretches back a quarter of a century.

The Financial Times places the recent events in Ukraine in the same light. In an editorial on February 23, it wrote: “For a quarter of a century this huge territory perched precariously between the EU and Russia has been the object of a geopolitical contest between the Kremlin and the west.” In 2008, a clumsy attempt by President George W. Bush failed to draw the former Soviet republics of Ukraine and Georgia into NATO, “But the Maidan revolution now offers a second chance for all parties to reconsider the status of Ukraine on the fault line of Europe.”

The dissolution of the Soviet Union in December 1991 was an unexpected gift to the imperialist powers. The October Revolution in 1917 had removed a considerable part of the world’s surface from the sphere of capitalist exploitation. This was regarded as a threat by the international bourgeoisie, even long after the Stalinist bureaucracy betrayed the goal of world socialist revolution and murdered an entire generation of Marxist revolutionaries. In addition, the economic and military strength of the Soviet Union presented an obstacle to US world hegemony.

The dissolution of the Soviet Union and the introduction of the capitalist market created conditions for the social wealth created by generations of workers to be plundered by a handful of oligarchs and international finance. The social gains made in the field of education, health care, culture and infrastructure were smashed and left to decline.

This was not enough, however, for the US and the major European powers. They were intent on ensuring that Russia could never again threaten their global hegemony, as is made clear in the above cited statement of Dick Cheney.

By 2009 the US-dominated NATO military alliance had absorbed into its ranks almost all of the East European countries that had once belonged to the sphere of influence of the Soviet Union. But attempts to incorporate former Soviet republics into NATO failed—with the exception of the three Baltic states Estonia, Latvia and Lithuania—due to resistance from Moscow. Ukraine, with its 46 million inhabitants and its strategic location situated between Russia, Europe, the Black Sea and the Caucasus, invariably was at the centre of these attempts.

As far back as 1997, former US National Security Advisor Zbigniew Brzezinski wrote that without Ukraine, any attempt by Moscow to rebuild its influence on the territory of the former Soviet Union was doomed to fail. The core thesis of his book The Grand Chessboard is that America’s capacity to exercise global primacy depends on whether America can prevent the emergence of a dominant and antagonistic power on the Eurasian landmass. (See: “The power struggle in Ukraine and America's strategy of domination”)

In 2004 the US and the European powers supported and financed the “Orange Revolution” in Ukraine that brought a pro-western government to power. The regime rapidly broke apart, however, due to internal strife. The attempt in 2008 to draw Georgia into NATO by provoking a military confrontation with Russia also failed.

Now the US and its European allies are intent to use the putsch in Ukraine to once again destabilize other former Soviet republics as well and draw them into their own sphere of influence. In so doing they risk an open armed conflict with Russia.

Under the headline “After Ukraine, the West Makes Its Move for the Russian Periphery,” the Stratfor think tank, which has close links to the US secret services, writes: “The West wants to parlay the success of supporting Ukraine’s anti-government protesters into a broader, region-wide campaign.”

“A Georgian delegation is currently visiting Washington, and the country’s prime minister, Irakli Garibashvili, is scheduled to meet with U.S. President Barack Obama, Vice President Joe Biden and Secretary of State John Kerry this week,” Stratfor reports. Moldovan Prime Minister Iurie Leanca is also scheduled to visit the White House for a meeting with US Vice President Joe Biden on March 3. “High on the agenda of both visits are the countries’ prospects for Western integration—in other words, how to bring them closer to the United States and the European Union and further from Russia.”

Lilia Shetsova from the US foundation Carnegie Endowment for International Peace (sic) in Moscow, also argues that the coup in Ukraine be extended to other countries and Russia itself. “Ukraine has become the weakest link in the post-Soviet chain,” she writes in a comment for the Süddeutsche Zeitung. “We should keep in mind that similar upheavals in other countries are possible.”

Shetsova stresses a feature of the Ukrainian revolution that she wants to retain at all costs: the mobilization of militant fascist forces. “Yanukovych’s downfall is essentially due to the ‘radical elements’ on the Maidan, including among others, the Right Sector, which have become a serious political force.” She continues: “Ukraine’s future will depend on whether the Ukrainians can maintain the Maidan.”

The “radical elements” which Shetsova wants to retain at all costs are armed fascist militias, which base themselves on the vilest traditions of Ukrainian history: the pogroms and mass murder of Jews and Communists carried out during the Second World War. The future role of these fascist militias will be to terrorize and intimidate the working class.

It took just a few hours for the reactionary social content of the upheaval in Ukraine to become clear. The “European values ” allegedly brought to the country by overthrow of the old regime consist of massive attacks on the already impoverished working class. As a condition for loans the country urgently needs to prevent impending bankruptcy, the IMF is demanding the floating of the exchange rate of the hryvna, a brutal austerity program and a six-fold increase in the price of household gas prices.

The floating of the country’s currency will lead to raging inflation, a corresponding increase in the cost of living, and the destruction of any remaining savings by ordinary Ukrainians. The austerity program will be primarily directed against pensions and social spending and the increase in gas prices will mean that many families cannot heat their homes.

Ukraine is to be reduced to a country where well-trained workers and professionals earn wages far below those currently paid in China. This is of especial interest for Germany, Ukraine’s second largest trading partner (after Russia) and, with a volume of $7.4 billion, the second largest investor in the country.

While for the United States the isolation of Russia stands in the foreground, Germany is interested in the economic benefits of Ukraine, which it has already militarily occupied twice, in 1918 and 1941. It wants to exploit the country as a cheap labor platform and use it to drive down wages in Eastern Europe and Germany even further.

According to statistics compiled by the German Economic Institute, labor costs in Ukraine are at the low end of the international scale. At €2.50 per hour worked, average labor costs (gross wages plus other costs) for workers and clerical employees are already well below those of China (€3.17), Poland (€6.46) and Spain (€21.88). In Germany, an hour of labor costs €35.66, i.e 14 times as much.

The Ukrainian Statistical Office estimates the average monthly wage at 3,073 hryvna (€220). Academics are also very poorly paid.

Former President Yanukovych himself was a representative of Ukrainian oligarchs. He only turned down the Association Agreement with the EU because he feared he would not politically survive the social consequences. Now his downfall serves as a pretext to introduce a level of poverty and exploitation totally incompatible with democratic norms and will lead to new social uprisings. It is precisely in order to suppress future social unrest that the fascist militias are to be retained.



=== 5 ===

www.resistenze.org - pensiero resistente - movimento comunista internazionale - 26-02-14 - n. 487

Dichiarazione congiunta dei Partiti comunisti e operai sui recenti sviluppi in Ucraina (su proposta di KKE e DKP)

Dichiarazione sugli sviluppi reazionari in Ucraina

Firmatari in calce | solidnet.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

26/02/2014

I recenti e drammatici sviluppi in Ucraina non rappresentano la "vittoria della democrazia" da parte di presunti "rivoluzionari", come viene descritta dai mass media di Stati uniti ed Unione europea, ma sono uno sviluppo pericoloso, soprattutto per lo stesso popolo ucraino.

Le forze politiche reazionarie, eredi ideologiche dei nazisti, sono salite politicamente in "superficie" con l'assistenza dell'Ue e degli Usa. Queste sono le forze che oltre a distruggere le sedi dei loro avversari, hanno in programma le persecuzioni politiche e la messa al bando di partiti, soprattutto nei confronti dei comunisti, e una legislazione razzista a scapito della popolazione di lingua russa, come quella in vigore da 20 anni nei paesi del Baltico "europeo", con il palese sostegno politico dell'Ue.

I Partiti comunisti e operai firmatari di questa dichiarazione congiunta:

Esprimono la loro solidarietà e sostegno ai comunisti di Ucraina, innanzitutto a quelli che in molti casi sono andati per le strade a difendere i monumenti di Lenin e antifascisti, divenuti "bersagli" della "pulizia" ideologica della storia portata avanti dai gruppi nazionalisti-fascisti armati.

Denunciano gli Usa e l'Ue per il loro coinvolgimento palese negli affari interni dell'Ucraina, per il sostegno diretto che hanno fornito e stanno fornendo ai gruppi fascisti armati, sostenendo il revanscismo storico contro l'esito della II Guerra mondiale, convertendo l'anti-comunismo in politica ufficiale, come abbellendo i gruppi fascisti, la loro ideologia e attività criminale, promuovendo la divisione del popolo dell'Ucraina con persecuzioni pianificate nei confronti della parte russofona.

Sottolineano la pericolosità delle posizioni delle forze opportuniste, che seminano illusioni sulla possibilità che possa esistere un'altra e "migliore Ue", " un diverso e migliore accordo d'associazione dell'Ue con l'Ucraina". L'Ue, come ogni unione capitalista inter-statale, è un'alleanza predatoria dal carattere profondamente reazionario, non può diventare filo-popolare, ma essa agisce e continuerà ad agire contro i diritti dei lavoratori e dei popoli.

Notiamo che gli sviluppi in Ucraina sono connessi all'intervento dell'Ue e degli Usa, sono il risultato della forte competizione tra queste potenze e la Russia per il controllo dei mercati, delle materie prime e delle reti di trasporto del paese. Tuttavia il popolo ucraino, come tutti gli altri popoli d'Europa, non ha interessi a schierarsi con l'uno o l'altro imperialista, con l'una o l'altra alleanza predatoria.

Gli interessi della classe operaia e degli strati popolari dell'Ucraina consistono nell'impedire di essere "intrappolati" in logiche di divisione nazionalista, sulla base di particolarismi etnici, linguistici e religiosi, e nel dare la priorità ai loro comuni interessi di classe, al tracciare il loro percorso di lotta di classe, per i loro diritti e per il socialismo. Il socialismo continua ad essere più opportuno e necessario che mai. Questa è la prospettiva da cui affrontare qualunque unione capitalista inter-statale, per spianare la strada ad un'economia e una società che non operino sulla base del profitto, ma sulle necessità dei lavoratori.

Partito Comunista d'Albania 
Tribuna Democratica Progressista, Bahrain 
Partito dei Lavoratori del Bangladesh 
Partito Comunista del Canada 
Partito Comunista in Danimarca 
Partito Comunista Tedesco 
Partito Comunista Unificato di Georgia 
Partito Comunista di Grecia 
Partito Comunista Giordano 
Partito Comunista del Messico 
Partito Comunista di Norvegia 
Partito Comunista di Polonia 
Partito Comunista Portoghese 
Partito Comunista della Federazione Russa 
Partito Comunista Operaio di Russia 
Partito Comunista dell'Unione Sovietica 
Nuovo Partito Comunista di Jugoslavia 
Partito Comunista di Svezia 
Partito Comunista di Turchia 
Unione dei Comunisti di Ucraina
 
Partiti non sulla lista Solidnet

Partito del Lavoro d'Austria 
Polo della Rinascita Comunista in Francia


=== 6 ===

The following is the second part of a Voice of Russia interview with former Yugoslav FM Živadin Jovanović


Download audio file: h

(Message over 64 KB, truncated)



Unused Opportunities for Peace?


Heinz Loquai


Kosovo - A Missed Opportunity for a Peaceful Solution to the Conflict?

The Kosovo Verification Mission was a big challenge for the OSCE - the
most difficult operational task that it has had to deal with since its founding.
Linked to this Mission was the hope for a peaceful solution of the Kosovo
conflict. Did it have any chance at all of meeting the expectations attached to
it? Was the use of military force in the final analysis inevitable in order to
prevent a humanitarian catastrophe?
This article undertakes to provide answers to these questions. Of course it
represents no more than an initial effort, written mainly from an OSCE perspective.
There must be further studies if we are to have a full picture of the
development of this conflict.


The Holbrooke-Milošević Agreement

Background:

For a long time the Kosovo conflict stood in the shadow of the war in Bosnia-
Herzegovina. It was not dealt with in the Dayton Peace Agreement of 14
December 1995 because at that time it was not yet so virulent, no quick solution
seemed possible and any attempt at one would have put at risk the urgent
ending of the Bosnian war.
Resistance on the part of the Kosovo Albanians against Serbia's policy of oppression,
for a long time peaceful, had enjoyed no success. At the beginning
of 1998, the "Kosovo Liberation Army" (KLA, also known as UCK) began to
carry out attacks against Serbian security forces and civilians and against Albanian
"collaborators". Their goal was to win Kosovo's independence from
the Federal Republic of Yugoslavia (FRY) through guerrilla warfare. The
KLA carried out its operations from villages located in the vicinity of the Albanian
border and in central Kosovo inhabited mainly by Albanians. The
Yugoslav security forces struck back, often with disproportionate violence.
The civilian population as is customary in this kind of warfare were misused
as living shields by the partisans and thus suffered as well. They fled from
the areas where fighting was going on. In June 1998 the KLA had 30 to 40
per cent of the territory of Kosovo under their control. The Serbian special
police who were brought in, occasionally supported by the army, intensified
their operations in summer 1998 and drove the KLA back.
The United Nations Security Council intervened in the conflict through its
Resolution 1160 of 31 March 1998. In this Resolution it condemned both the
excessive force used by Serbian police forces and "all acts of terrorism by the
Kosovo Liberation Army". Both parties to the conflict were called upon to
enter into a political dialogue without preconditions. With a wealth of initiatives
and conversations at the highest level, the OSCE tried to stop the violence
and promote a political solution. However, the attempt to establish an
OSCE mission in Kosovo failed due to resistance from the FRY. It wanted
first to renew Yugoslav participation in the OSCE, which had been discontinued
in 1992. But the United States and Albania opposed this with particular
vehemence in Vienna. The Balkan Contact Group, the European Union
and Russia also joined the search for a political solution. NATO, too, had
taken up the Kosovo problem in early 1998 and over the summer had produced
a barrage of threats which, however, were directed exclusively against
the Yugoslav leadership.
In September and at the beginning of October 1998 the situation reached the
crisis point. In mid-September and later in that month the number of refugees
was estimated at 300,000 of whom about 50,000 were living out in the open,
mostly in forests. On 23 September 1998 the United Nations Security
Council passed Resolution 1199. What was new in it was a sharper condemnation
of the violence being used by the Yugoslav side, concern over an impending
humanitarian catastrophe, and the assertion that the worsening of the
situation in Kosovo constituted a threat to peace and security in the region.
This meant that the conflict had taken on a new character for the UN.
In the United States pressure was being applied by the media at this time to
bring about a military intervention in Kosovo. But Russia had declared unambiguously
that it would not vote for any UN resolution that provided for
the use of military force. A number of European countries also had reservations
about NATO action without a mandate from the UN Security Council.
And in Bonn a change of government was about to take place.
In this situation, the American diplomat, Richard Holbrooke, the master
builder of the Dayton Peace Agreement, undertook along with his colleague
Christopher Hill a final effort to work out a political solution with the Yugoslav
leadership. During his talks in Belgrade he urged NATO to increase the
military pressure on Yugoslavia by threatening to intervene. Indeed, on 24
September 1998 NATO had already threatened Yugoslavia with air attacks in
unmistakable terms. On 13 October 1998, the day on which the Holbrooke-
Milošević agreement was concluded, the NATO Council authorized the Secretary-
General of the Alliance to begin "air strikes" against the FRY, in other
words to start a war. In the opinion of participants at the negotiations in Belgrade
these impending air strikes were an unmistakable threat of war causing
the Yugoslav leadership to concede to the agreement.
The Most Important Provisions of the Agreement and Its Further
Development

The Holbrooke-Milošević agreement is a political framework agreement that
sets forth certain essential points. The most important results of this agreement
were:

- The deployment of an OSCE mission, the Kosovo Verification Mission
(KVM), with up to 2,000 unarmed, international "verifiers" (this concept
was important to Holbrooke in order to emphasize the more active role
of verifiers as compared with simple observers). The Mission was to be
responsible for verifying compliance with UN Resolution 1199, supervising
elections in Kosovo, and providing support in building institutions
and setting up a police apparatus. Not specified in the agreement but important
for developing a climate of trust and security, the ubiquitous
presence of the OSCE in Kosovo was supposed to create an international
public in Kosovo and persuade the refugees to return.
- The creation of an air surveillance system to supplement the observation
activity of the OSCE using manned aircraft and unmanned spacecraft.
This system, to be operated by NATO, was supposed to be stationed outside
of Yugoslavia, in Macedonia.
- A declaration of commitment by Belgrade to conclude an agreement
with the Kosovo Albanians by 1 November 1998 providing for extensive
self-government of Kosovo within the Yugoslav state in accordance with
the terms of Resolution 1199.

This basic agreement had to be supplemented by separate specific understandings
in order to be implemented. Thus agreements were concluded in
quick succession on 15 October 1998 between NATO and the FRY, with regard
to the air surveillance system, and between the OSCE and the FRY on
16 October, with respect to the OSCE Mission. The Yugoslav side turned out
to be co-operative in these follow-up negotiations, so that the agreements
were reached in a very short time. During the negotiations, the Yugoslav side
repeatedly demanded that NATO's threat of war be withdrawn. But the threat
potential remained and may well have hastened the negotiating process.

Assessment of the Agreement

The agreement of 13 October 1998 was the last chance to avert a war. Without
an accord, NATO would have started the air war against the FRY on 17
October 1998. Now there was widespread relief that it had once again proved
possible to prevent a war. And so, many participating States at the meeting of
the OSCE's Permanent Council on 15 October expressed a favourable view
of the agreement. Albania also gave its approval in principle on this occasion
but pointed out that the Albanian government still regarded the stationing of
NATO troops in Kosovo as a necessity. The Kosovo Albanians were dissatisfied
because they had not been involved in the negotiating process and the
result seemed to push their goal - a Kosovo independent of the FRY - a long
distance away. They had hoped that NATO military action, which they still
favoured, would hasten the move towards independence. The United States
had demonstrated once again that it could also get results at the negotiating
table; it saw its view confirmed that a credible threat of military action could
bring about desired political results and all in all it welcomed the fact that
NATO had emerged stronger from this crisis.
Holbrooke had indeed managed to extract substantial concessions from the
Yugoslav President. Milošević accepted a strong OSCE presence in Kosovo,
something which he had always made dependent on certain conditions in the
past, even when much smaller numbers of personnel had been involved. The
verifiers were assured of complete and unimpeded freedom of movement.
The FRY accepted responsibility for their security. It undertook to provide
administrative support to the OSCE Mission in carrying out its responsibilities,
to set up liaison offices and to co-operate with the Mission. The army
and the police were to inform the OSCE of troop movements. Military forces
and special police in Kosovo were to be reduced to a certain strength. This
was worked out in detail on 25 October 1998 in a special agreement between
NATO and the Yugoslav General Staff.
This new responsibility represented a quantum leap for the OSCE with regard
to operational tasks. For a long time it had established and led only small
missions of up to 25 members. With the Missions to Bosnia and Herzegovina
and to Croatia the number of personnel went up to 400 for the first time. The
deployment of up to 2,000, and occasionally even more, international staff,
along with several hundred local employees, far exceeded the planning and
leadership capacity of the OSCE's small staff in Vienna. And time was of the
essence! The OSCE had to show the flag quickly in Kosovo and cover the
region with a dense surveillance network. This would only be possible if the
OSCE participating States quickly reinforced the Vienna staff with qualified
personnel, speedily provided experts and verifiers for use in Kosovo, supplied
equipment and vehicles, and expanded the Organization's financial resources.
It is a simple fact that the OSCE does not - as NATO does - have
troops available on short notice and experienced leadership staffs; rather, it
has to ask the participating States for the personnel in connection with each
operational task individually, select the people and train them. This is no big
problem for small missions, but in the case of one the size of the Kosovo
mission it would take months if the normal routine were used. There was
general agreement, however, that the time immediately after conclusion of
the agreement would be of decisive importance for any lasting success.
Thus the OSCE was at a crossroads. If it succeeded in mastering the terribly
difficult task in Kosovo it would emerge strengthened and with enhanced
prestige from this test. A failure of the OSCE Mission would inevitably result
in a lessening of the OSCE's significance in the system of international organizations.

Organization and Increase in Staff at the Kosovo Verification Mission

The basic outline of the organizational structure of the OSCE Mission was set
forth in the agreement between the FRY and the OSCE. However, the agreement
provided for enough organizational flexibility so that the structure could
be adapted to the requirements of the task. The Mission was divided into:

- a headquarters in Priština,
- five regional centres in fairly large cities,
- field offices in small towns and communities,
- groups of verifiers working out of the field offices,
- a training centre, and
- a liaison office in Belgrade to maintain contact with the Yugoslav government.

There were Yugoslav liaison officers to facilitate co-operation between the
Yugoslav government and the OSCE.
The United States had already presented its views on the Mission's structure
and working methods on 16 October in Vienna. This unexpectedly rapid
presentation of their standpoint caused a certain unease amongst a number of
countries. Although the American speakers described their ideas as suggestions,
the polished and detailed presentation gave a clear indication of the
American desire to control proceedings for which the other countries had as
yet no definite conception. American resolve was further reflected in the fact
that on 17 October 1998, i.e. before the OSCE Permanent Council had even
officially adopted the decision to establish the Mission, and without prior
consultation with other countries - which is the usual practice in making such
appointments - the American diplomat William Walker had been named
Head of the Verification Mission by the Chairman-in-Office of the OSCE,
the Polish Foreign Minister, Bronisław Geremek. The Europeans, who had
also been interested in the top job, were left with the deputy positions. A
Frenchman, Gabriel Keller, became First Deputy. An Englishman, a Russian,
an Italian and a German were chosen as additional Deputies.
On 17 October a 13-man OSCE delegation was already in Belgrade to work
with the Yugoslav side in preparing the deployment of the Mission. NATO
started its air surveillance on the same day.
On 25 October 1998 the Permanent Council of the OSCE made its formal
decision on the establishment of the Kosovo Mission, the way having been
paved by the adoption of Resolution 1203 by the UN Security Council on the
previous day.
Under the circumstances, it was clear that it would not be possible for the
verifiers to show up on the scene immediately. In order to have limited
monitoring, an agreement was reached with the FRY to temporarily expand
Diplomatic Observer Missions that had been set up in summer of 1998. They
were to carry out surveillance activity on behalf of the OSCE and later be absorbed
into the OSCE Mission. Thus there was a limited international presence
on the scene, at least for a transitional period.
On 16 November 1998 in Kosovo, there were 60 OSCE employees in the
headquarters and in the training centre as well as nearly 300 members of the
Diplomatic Observer Mission, of whom about 60 per cent were Americans. A
month later the Mission had grown to 803 members although almost half of
them were local employees (drivers, interpreters, secretaries and the like).
Approximately one third of the international personnel were verifiers in the
area to be observed. Taken together with the remaining 200 diplomatic observers,
they were still far too few to ensure a permanent presence even at the
most critical points. On 16 February 1999 - i.e. five months after conclusion
of the agreement between the OSCE and the FRY - the number of international
OSCE workers had climbed to 934, still less than half of the target figure.
Shortly before the Mission was withdrawn, on 18 March 1999, about 65
per cent of the agreed-upon maximum number of members had been reached.
This unsatisfactorily slow growth in personnel corresponded to delays in
other areas. The security of OSCE personnel was of major concern to the
countries that sent them and to the OSCE itself. Yugoslavia had, to be sure,
agreed to guarantee the security of this personnel. But their rescue system
was not very efficient in emergencies. Hence Switzerland made a rescue helicopter
available to the OSCE, but despite intervention at the highest levels
the Yugoslav government refused to let the helicopter enter the country,
pointing instead to its own rescue system. Appeals by the OSCE to participating
States for a mobile medical core and medical vehicles went unanswered
for a long time. A team of German medics was the first to arrive, but
not until 7 December.
Armoured vehicles, which because of the danger of mines and of armed attacks
provided important protection to personnel, represented a further problem.
From the beginning diplomatic observers had had such vehicles - about
one for every three people. The OSCE Mission did not receive its first vehicle
of this kind until the end of November 1998 and by the end of December
had about 40 of them - one for every seven verifiers!
On 2 December, at the OSCE's Ministerial Council in Oslo, the German Foreign
Minister criticized the OSCE in unusually sharp terms. Fischer stated:
"We are not unaware of the difficulties in setting up the KVM. Nevertheless,
we are worried about its slow progress, its lack of transparency and the application
of unequal standards in the choice of personnel. The planning proc-
ess has scarcely begun for some of the core responsibilities of the KVM. This
is particularly true with regard to the police." In principle the Foreign Minister
was right. However the German government had only a few days before
that, i.e. on 25 November, decided to deploy 40 police officers!
There is no doubt that there were organizational gaps and other weaknesses
in the staff organs of the OSCE. Nor was the leadership style of the American
Head of Mission particularly helpful to the rapid construction of the Mission.
He did not arrive in Kosovo until three weeks after his appointment. Because
he had reserved all decisions on organization and personnel for himself, there
were repeated delays. Experienced candidates often had to spend some weeks
waiting before finally being accepted. Even so, the main problem lay with the
participating States themselves where there was often a huge gap between
verbal support for the OSCE and the contributions actually made in personnel,
material and financial resources. Nor did the new German government
give the impression that it attached top political priority to the Kosovo Mission.
Governments which later sent thousands of soldiers to Kosovo with
heavy equipment obviously had problems making a few hundred unarmed
verifiers rapidly available.

Events in Kosovo from October 1998 until March 1999

The objective here is not to provide a chronological account of all events.
Rather, our attention will be focused first on the initial weeks after conclusion
of the Holbrooke-Milošević agreement, because key accents were set
during that time. Second, we shall attempt to provide an accurate picture of
the immediate pre-war period, i.e. from the beginning of March 1999 until
the outbreak of war. The highly detailed daily reports of the OSCE are the
main source.
On 29 September 1998 the Serbian leadership declares that the KLA has been
defeated. On 6 October 1998 the picture in Kosovo is as follows: Police control
points have been reduced in number; the special police are hardly visible;
the military forces have been almost entirely withdrawn into their barracks;
army units not belonging to the Priština-Corps, which is permanently stationed
in Kosovo, are being transferred to barracks outside of Kosovo. Refugees
are returning to their villages, hesitantly thus far, and are beginning to
prepare for winter there. Only a few refugees are still seen out in the open,
although the supply situation remains critical. However, in those places
where the Serbian military and police have pulled back the KLA are returning.
They are using northern Albania as a base for attacks against the Serbs
and also as a place for withdrawal. The Yugoslav side has obviously started
to meet the requirements of UN Resolution 1199. The KLA, with word and
deed, is working against it.

After conclusion of the Holbrooke-Milošević agreement the picture does not
change much. On 17 and 18 October the KLA carry out a number of raids
against Yugoslav security forces. Four policemen and two soldiers are killed
in the process. On 20 October the KLA abducts two Tanjug correspondents.
KLA leaders call for a continuation of the armed struggle. Yugoslav troops
from Priština are transferred to the areas where KLA operations are concentrated.
The Serbian police remain present in many places, but they are less
visible. At the end of October the situation continues to be ambiguous. The
Yugoslav side still appears to be on course in fulfilling UN requirements. The
Yugoslav army has withdrawn a large portion of the troops that were to leave
Kosovo. Police forces have also been reduced. Their control points are now
manned only by traffic police. Refugees are returning to their places of residence
in larger numbers. But the KLA is filtering back as well, using refugee
camps for protection; it continues to attack Yugoslav security forces and has
regained control over a number of villages. Members of the KLA express
their disappointment that NATO has not yet intervened but are confident that
they can still bring this about. On 23 October, after pressure has been put on
him by EU ambassadors, the Albanian leader Ibrahim Rugova speaks out
publicly for the first time in favour of the Holbrooke-Milošević agreement
and calls on the armed Kosovo-Albanian groups to exercise restraint.
In mid-November the overall situation is outwardly calm but there is tension
in certain regions. Most of the refugees have returned. The Yugoslav side is
obviously determined to observe the agreement for the most part while the
KLA is expanding and reinforcing its positions, again and again attacking the
police and the army in guerrilla warfare style. By this time the KLA is better
armed and equipped, has reorganized itself and is taking over sovereign responsibilities
in the areas it controls. The Serbian side complains that there
are still no OSCE verifiers on the scene. Representatives of the Serbian security
forces warn that they cannot tolerate the present situation much longer.
They themselves have to comply with the limitations of the agreement while
the KLA is operating without interference.
A tense calm continues to prevail until the end of November with scattered
incidents in very limited areas. As of 20 November there are no more refugees
living in the open; international assistance has begun to arrive on a large
scale. The KLA is continuing to mount attacks from the protection of villages.
The diplomatic observers, who are still the only OSCE presence on the
scene, are much more than passive onlookers. Their presence strengthens the
sense of security of the civilian population; they exercise a moderating influence
on the parties to the conflict and mediate in the event of disputes. Cooperation
between the diplomats and the Serbs and Albanians is generally
good.
After the beginning of December developments, which have hitherto been for
the most part favourable, no longer continue that way. On 2 December Belgrade
sends a memorandum to the OSCE charging that international organi-
zations and representatives of certain countries are maintaining contact with
"terrorists, killers, kidnappers and other criminals calling themselves KLA".
On 5 December the general staff of the KLA declares that they stand firm to
their commitment to "the just fight towards the creation of our independent
and democratic state". Rugova states at a press conference that the stationing
of NATO troops in Kosovo would ensure lasting security. The armed encounters
between the Serbian police and the KLA grow in number. The Serbian
civilian population in Kosovo becomes hostile towards international assistance
organizations, which they reproach for giving one-sided help to the
Albanians. The deputy commander of police in Kosovo on 15 December expresses
his growing disappointment. He says he is trying to keep the "terrorists"
under control but the international community is reinforcing them.
The American Christopher Hill and the Austrian Wolfgang Petritsch are not
making headway in the political negotiations they are trying to conduct. On
18 November Hill had declared in Vienna that it was realistic to expect Belgrade
and the Kosovo-Albanian side to find a provisional political solution
before Christmas. On 7 December Hill's proposal is rejected by the Albanians
as unacceptable. In the Permanent Council of the OSCE Petritsch expresses
the view on 16 December that the prospects for substantial steps towards a
political solution are not good at the present time. According to Petritsch, the
central problem remains the divisions on the Kosovo-Albanian side. And this
is not so much a question of arguments over substance as of personal differences.
Petritsch also asserts, all Kosovo-Albanian representatives continue to
stand uncompromisingly for independence.
On 11 December the OSCE carries out its first weapons inspection of the
Yugoslav army without finding anything significant to take exception to.
More inspections follow.
On 14 December there is a serious incident in the vicinity of the Albanian
border. The Yugoslav army stops 140 armed Albanians on their way into
Kosovo, shoots 36 and takes nine prisoners who are later freed. On the same
evening two men shoot indiscriminately in a bar frequented by young Serbs
in Peć, killing six students and seriously wounding three.
At this time protests by Kosovo Serbs against the OSCE begin. It and, in particular,
the United States are accused of supporting the KLA and of doing
nothing to clear up the whereabouts of 2,000 Serbs the KLA is supposed to
have abducted and imprisoned. These protests are later directed against the
leadership in Belgrade as well; the Yugoslav and the Serbian President are
given an ultimatum to come to Priština.
The time from mid-December 1998 until the end of February 1999 is characterized
by stagnation in the political negotiating process in Kosovo and by
a growing number of armed encounters - for the most part initiated by the
KLA and met by the Yugoslav police and army with a disproportionate use
of force. Working conditions become more difficult for the OSCE verifiers.
There are new movements of refugees in the fighting zones. Both sides com-
ply less and less with the Holbrooke-Milošević agreement. Again and again
the OSCE is able to intervene and de-escalate the situation, stabilizing it to a
certain - although very tense - level. But in the absence of a political solution
there does not appear to be any likelihood of lasting control over the conflict.
But there are many encouraging events as well. On 25 January 1999, Head of
Mission Walker reports in Vienna that the people in Kosovo are coming more
and more to realize that the Mission is a useful institution. For example, it
had protected Serbian electricians when they were carrying out necessary repairs
on the destroyed electrical facilities in Kosovo-Albanian villages. And
it had mediated in the question of whether to open schools. On 15 February
1999 the buildings of the colleges of law, economics and pedagogy are given
back to the Albanian academic authorities in Priština. (Albanian students had
been excluded since 1991.) Clear progress in ensuring the due process of legal
proceedings is ascribed to the presence of OSCE human rights experts.
In the middle of January 1999 NATO had already started to give thought to
how pressure on the Yugoslav side could be increased. The use of NATO
ground troops in Kosovo was discussed in the North Atlantic Council as was
the possibility of an ultimatum tied to a threat of air attacks. On 1 February,
in the Permanent Council of the OSCE, the United States called for arrangements
to withdraw the OSCE observers quickly in the event of threatened
NATO strikes. France opposed such measures, however, since negotiations
were still determining the logic of events. On 6 February, negotiations begin
in Rambouillet.
At the end of February and the beginning of March 1999 increased preparations
for war by the Yugoslav army are detected. Reservists are called up,
weapons are issued to civilians, bridges are primed to be blown up, troops are
regrouped and transferred out of barracks to field exercises and stationed in
the regions near the borders to Albania and Macedonia. There is no doubt
that these activities are a violation to the agreement. The Serbian justification
- that these were measures to protect against the threat of a NATO attack -
cannot from a military point of view be denied. As a consequence of a growing
military presence and increasingly frequent heavy fighting the Albanian
civilian population start to leave their villages again. There are reports from
Albanian villagers on the plundering of their houses by Serbian soldiers.
The final reports of the OSCE Mission in Kosovo between 15 and 18 March
1999 permit the following summary: the armed disputes are local and of limited
duration; they are concentrated in the areas around Priština and Mitrovica.
The Yugoslav army is bringing in new troops and expanding the defence
positions on the border to Albania and Macedonia. The Kosovo-Albanian
civilian population leave territory being fought over but return to their
villages when the danger is past and start reconstruction work. There has
been considerable violation of the October agreements by both sides. Developments
are again moving towards a crisis. On 19 March 1999 the negotiations
in Paris are broken off.

On the same day the OSCE Chairman-in-Office, now the Norwegian Foreign
Minister Knut Vollebæk, decides on the recommendation of Head of Mission
Walker to withdraw the OSCE Mission from Kosovo. The justification is that
the security of Mission members can no longer be guaranteed and the Mission
can no longer fulfil its responsibilities. The actual situation in Kosovo
does not support this rationale, however. For example, the OSCE reports on
18 March: the situation in the region remains generally tense, but calm. On
this day the OSCE carries out 120 patrols with no difficulty. The main reason
for the decision to withdraw the Mission before NATO air attacks began was
no doubt to protect international verifiers from exposure to Serbian violence.
President Bill Clinton also explains the planned air attacks in a speech on 19
March. The decision had obviously already been made. On 18 March, in Vienna,
Russia had continued to argue that the Mission should remain in
Kosovo because it was the only stabilizing factor there. But the withdrawal
on 20 March 1999 begins anyway. At 12 o'clock the last OSCE vehicle
crosses the border into Macedonia. Following the example of the OSCE, the
employees of other international organizations also withdraw from the province.
Kosovo is largely free of international control and assistance.

The events show that there certainly were opportunities for a peaceful solution
of the Kosovo conflict. The opportunity was ready to be grasped between
the middle of October and the beginning of December 1998. During
those weeks the Federal Republic of Yugoslavia had been steering a course
towards peace. The doves in that country had obviously got the upper hand.
The Kosovo Albanians ought to have been brought or forced onto the same
course. A rapid and omnipresent deployment of the OSCE Mission would
have been able to secure the path to peace. Neither succeeded.
But even thereafter there were frequent periods of relative calm and opportunities
for a peaceful solution of the conflict still existed. Beginning in December
1998, however, the hawks were circling once again. Both parties to
the conflict escalated their use of force. The KLA felt that it was close to the
goal that it had so doggedly pursued - a NATO attack against the Federal Republic
of Yugoslavia. The Yugoslav hard-liners had been seeking to eliminate
the KLA and its entire infrastructure. Neither had much consideration
for the civilian population, which was used for the purposes of each side.
However, there is no evidence that a carefully prepared and systematic plan
to drive out the Kosovo-Albanian population existed before the beginning of
the air attacks. The OSCE had always been able to contain the conflicts and,
on a case-by-case basis, to bring about a fragile stability.
After the end of January 1999, however, the pressure for a military solution
through NATO, with the United States in the lead, became ever stronger. It is
clear that the United States wanted to end the conflict quickly. NATO's
credibility appeared to be at stake. And all of this just a few weeks before the
NATO summit in Washington celebrating the 50th anniversary of the Alliance.
This was another reason why the time for a negotiated solution became
very short. What happened afterwards was, more and more, determined by
the logic of war.
Those who ultimately decided to begin the air attacks must have known that
the Yugoslav leadership would do everything possible to destroy the KLA,
using all resources and without regard for the civilian population, and that the
Yugoslav army, police and bands of soldiers who were no longer under international
observation - and even more inflamed by the air attacks - would
commit acts of violence against the Albanian civilian population. It ought to
have been equally clear that the NATO air attacks would require weeks in
order to bring about a real weakening of the Yugoslav military potential. A
horrible humanitarian catastrophe following the beginning of the air attacks
was in fact quite predictable.
In view of this predictability, the question remains why the small risk of continued
negotiations and of giving peace a chance was not taken and why, instead,
the high risk that war necessarily entailed was chosen. This question,
however, will have to wait some time for a convincing answer.




(srpskohrvatski / italiano)

La UE consegna l'Ucraina ai nazisti e alla guerra civile

0) INIZIATIVE SEGNALATE a Pisa, Ancona, Messina
1) Come la Nato ha scavato sotto l’Ucraina / Kako je NATO potkopao Ukrajinu (Manlio Dinucci)
2) Ucraina liberata: i Nazi in piazza, gli Ebrei in fuga (Ennio Remondino)
3) Si sta fingendo di non vedere l'Ucraina in preda alle violenze delle squadracce fasciste (Flavio Pettinari)


=== 0: INIZIATIVE SEGNALATE ===


Come la Nato ha scavato sotto l’Ucraina

di Manlio Dinucci | da il manifesto, 25 febbraio 2014

«Ben scavato, vecchia talpa!»: così Marx descriveva il lavoro preparatorio della rivoluzione a metà Ottocento. La stessa immagine può essere usata oggi, in senso rovesciato, per decrivere l’operazione condotta dalla Nato in Ucraina. 
Essa inizia quando nel 1991, dopo il Patto di Varsavia, si disgrega anche l’Unione Sovietica: al posto di un unico stato se ne formano quindici, tra cui l’Ucraina. Gli Stati Uniti e gli alleati europei si muovono subito per trarre il massimo vantaggio dalla nuova situazione geopolitica. Nel 1999 la Nato demolisce con la guerra la Federazione Iugoslava, stato che avrebbe potuto ostacolare la sua espansione a Est, e ingloba i primi paesi dell’ex Patto di Varsavia: Polonia, Repubblica ceca e Ungheria. Quindi, nel 2004 e 2009, si estende a Estonia, Lettonia, Lituania (già parte dell’Urss); Bulgaria, Romania, Slovacchia; Slovenia e Croazia (repubbliche della ex Iugoslavia) e Albania. 
L’Ucraina – il cui territorio di oltre 600mila km2 fa da cuscinetto tra Nato e Russia ed è attraversato dai corridoi energetici tra Russia e Ue – resta invece autonoma. Entra però a far parte del «Consiglio di cooperazione nord-atlantica» e, nel 1994, della «Partnership per la pace», contribuendo alle operazioni di «peacekeeping» nei Balcani. 
Nel 2002 viene adottato il «Piano di azione Nato-Ucraina» e il presidente Kuchma annuncia l’intenzione di aderire alla Nato. Nel 2005, sulla scia della «rivoluzione arancione», il presidente Yushchenko viene invitato al summit Nato a Bruxelles. Subito dopo viene lanciato un «dialogo intensificato sull’aspirazione dell’Ucraina a divenire membro della Nato» e nel 2008 il summit di Bucarest dà luce verde al suo ingresso. Nel 2009 Kiev firma un accordo che permette il transito terrestre in Ucraina di rifornimenti per le forze Nato in Afghanistan. Ormai l’adesione alla Nato sembra certa ma, nel 2010, il neoeletto presidente Yanukovych annuncia che, pur continuando la cooperazione, l’adesione alla Nato non è nell’agenda del suo governo. 
Nel frattempo però la Nato è riuscita a tessere una rete di legami all’interno delle forze armate ucraine. Alti ufficiali partecipano da anni a corsi del Nato Defense College a Roma e a Oberammergau (Germania), su temi riguardanti l’integrazione delle forze armate ucraine con quelle Nato. Nello stesso quadro si inserisce l’istituzione, presso l’Accademia militare ucraina, di una nuova «facoltà multinazionale» con docenti Nato. Notevolmente sviluppata anche la cooperazione tecnico-scientifica nel campo degli armamenti per facilitare, attraverso una maggiore interoperabilità, la partecipazione delle forze armate ucraine a «operazioni congiunte per la pace» a guida Nato. 
Inoltre, dato che «molti ucraini mancano di informazioni sul ruolo e gli scopi dell’Alleanza e conservano nella propria mente sorpassati stereotipi della guerra fredda», la Nato istituisce a Kiev un Centro di informazione che organizza incontri e seminari e anche visite di «rappresentanti della società civile» al quartier generale di Bruxelles. 
E poiché non esiste solo ciò che si vede, è evidente che la Nato ha una rete di collegamenti negli ambienti militari e civili molto più estesa di quella che appare. Lo conferma il tono di comando con cui il segretario generale della Nato si rivolge il 20 febbraio alle forze armate ucraine, avvertendole di «restare neutrali», pena «gravi conseguenze negative per le nostre relazioni». La Nato si sente ormai sicura di poter compiere un altro passo nella sua espansione ad Est, inglobando probabilmente metà Ucraina, mentre continua la sua campagna contro «i sorpassati stereotipi della guerra fredda».

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Dinucci Manlio

Kako je NATO potkopao Ukrajinu


»Dobro riješ, stara krtice!« tako je Marx opisao opisivao posao urađen od revolucije u devetnaestim stoljeću. Ista slika može se upotrebiti i danas, u preokrenutom smislu, kako bi se opisalo ponašanje NATO-a u Ukrajini.
Ono je počelo, kad se 1991, nakon propasti Varšavskog pakta, raspao Sovjetski Savez i umjesto jedne jedinstvene države, koja bi bila u stnju spriječiti širenja NATO-a na Istok, došlo do formiranja petnaeat država, a među njima bila je je Ukrajina. Sjedinjene drave i njihovi evropski saveznici smjesta su se pokrenuli, kako bi iskoristili nastalu geopolitičku situaciju. Godine 1999 NATO uništava ratom Jugoslavensku federaciju, državu koja bi eventualno mogla spriječiti prodiranje NATO-a na Istok i u sebe uklapa prve zemelje bivšeg Varšavskog pakta, Češku republiku i Mađarsku. Potom, godine 2004 i godine 2009 NATO će se proširit na Estoniju, Letnoniju i Litvu (koje su prije bile dio Sovjetskog Saveza, pa na Bugarsku, Rumunjsku, Slovačku i Hrvatsku (dio nekadašnje Jugoslavije) te na Albaniju.
Ukrajina, koja se prostirena teritoriju od 600 tisuća kvadratnih kilometara ima ulogu jastuka između NATO-a i Rusije, njom prolaze i energetski koridori između Rusije i Evropske Unije – ostaje međutim autonomna. Ipak postaje dijelom »Vijeća za sjevernoatlansku suradnju« i godine 1994 član organizacije »Patnerstvo za mir« te doprinosi operacijama »peacekeeping« na Balkanu.
Godine 2002 prihvaćen je »Plan akcije NATO-a u Ukrajini« i predsjednik Kučma najavljuje namjeru da uđe u NATO savez. Godine 2005 na tragu »narančastih revolucija« predsjednik Juhačenko pozvan je da prisustvuje summitu u Bruxellesu. Odmah nakon toga uspostavlja se »intenzivan dijalog o o namjeri Ukrajine da uđe u NATO« i 2008 održava se summit u Bukureštu, na kojem je dato zeleno svjetlo za taj čin. Gpdine 2009 Kijev potpisuje sporazum, koji dozvoljava prolaz kroz Ukrajinu sveg materijala potrebnog oružanim snagama u Afganistanu. Sad se čini kako je ulaz Ukrajine u NATO potpuno siguran, ali 2010 novoizabrani predsjednik Janukovič izjavljuje da se, iako nastavlja suradnju, ulazak u nATO ne nalazi na njegovom programu.
U međuvremenu NATO-u je pošlo za rukom da isplete mrežu povezanosti unutar same ukrajinske vojske. Visoki vojni kadrovi već godinama sudjeluju na kursevima usavršavanja NATO-a u NATO Defense College u Rimu i u Oberammegau (Njemačka), gdje se obrađuju teme integracije ukrajinskih vojnih snaga sa NATO-om. U isti okvir ubraja se i stvaranje nove institucije, priključene Vojnoj Akademiji Ukrajine, »multinacionalnog sveučilišta«, na kojem predaju nastavnici iz NATO-a. Značajno se razvila i povećala znanstveno-tehnička suradnja na polju naoružanja, kako bi potpomogla, većim međudjelovanjem, sudjelovanje oružanih snaga Ukrajine u »združenim operacijama mira« pod vodstvom NATO-a.
Osim toga, »budući da mnogi Ukrajinci nemaju dovoljno informacija o ulozi i ciljevima Atlanskog Saveza i zadravaju još uvijek u vlastitom pamćenju stereotipe iz vremena hladnog rata« NATO otvara u Kijevu Centar za informiranje, koji organizira susrete i seminare kao i posjete »predstavnicima civilnog društva« u vrhovnom štabu u Bruxellesu.
I budući da ne postoji samo ono što je javno vidljivo, jasno je da NATO posjeduje mrežu veza u civilnim i u vojnim krugovima daleko veću i širu od onog što izgleda. To potvrđuje zapovjedni ton kojim se generalni sekretar NATO saveza obratio 20 februara ukrajinskim oružanim snagama, upozoravajući ih da »ostanu neutralne«, pod prijetnjom »teških negativnih posljedica za naše odnose«. NATO sada osjeća, da sasvim sigurno već može poduzeti daljnji korak u vlastitoj ekspanziji na Istok, obuhvaćajući vjerojatno polovicu Ukrajine, dok uporno nastavlja svoju kampanju »protiv prevziđenih hladnoratovskih stereotipa«.


=== 2 ===


ENNIO REMONDINO
martedì 25 febbraio 2014

Ucraina liberata: i Nazi in piazza, gli Ebrei in fuga

Pessimo segnale quando la comunità ebraica sceglie la fuga. Quei simboli nazisti sulla piazza di Kiev erano veri.
Uno dei due rabbini capi dell'Ucraina, Moshe Reuven Azman, ha invitato gli ebrei di Kiev a lasciare la città e se possibile il Paese, temendo che gli ebrei della città siano perseguitati nel caos che è seguito agli scontri di piazza guidati da estremisti filo nazisti, denuncia l'israeliano Maariv

di Ennio Remondino

"Ho esortato la mia congregazione a lasciare il centro della città o la Kiev tutti insieme e, se possibile, ad abbandonare anche l'Ucraina" dichiara convinto il rabbino Azman. "Io non voglio sfidare il destino ", ha aggiunto, "Ormai ci sono avvertimenti costanti sulle reali intenzioni di attaccare le istituzioni ebraiche". Secondo il quotidiano "Maariv", Azman ha chiuso le scuole della comunità ebraica ma guida ancora le tre preghiere quotidiane. Anche l'ambasciata israeliana ha raccomandato ai membri della comunità ebraica di limitare al massimo le uscite dalle loro case.

Il segnale più evidente di queste tensioni e minacce, è arrivato ieri quando la sinagoga a Zaporozhye, a sud est di Kiev è stata attaccata con bottiglie incendiarie da sconosciuti. Lo riporta Times of Israel citando il sito 'timenews.in.ua'. La sinagoga -che si chiama Gymat Rosa ed è stata aperta nel 2012- mostra, secondo le foto pubblicate dal sito, tracce di bruciature sulla facciata, ma i danni riportati appaiono limitati. Edward Dolinsky, capo della organizzazione degli ebrei dell'Ucraina: "Abbiamo contattato il ministro degli Esteri perché sia garantita la sicurezza delle nostre comunità".

A Kiev Iulia Timoshenko, l'ex principessa del gas, con la sua nota improntitudine politica ha proposto che il nuovo governo includa "tutti gli eroi di Maidan", la piazza dell'Indipendenza di Kiev centro della rivolta di questi ultimi tre mesi. Cosa che sta creando più di un imbarazzo perché tra le tante formazioni che hanno partecipato alla protesta ci sono anche elementi di estrema destra, come 'Pravii Sektor', un gruppo paramilitare che è stato decisivo negli scontri con la polizia. Il nuovo procuratore generale Oleg Makhnitski, partito ultranazionalista 'Svoboda', parla di provocazioni.

Inizio inquietante per l'Ucraina che dice di guardare all'Europa.


=== 3 ===


Si sta fingendo di non vedere l'Ucraina in preda alle violenze delle squadracce fasciste

25 Febbraio 2014

di Flavio Pettinari per Marx21.it

Dallo scorso venerdì le opposizioni ucraine, colpevoli delle devastazioni di Kiev e di gran parte del paese, si sentono legittimate a compiere ogni genere di azioni.

La stampa italiana ci mostra una commossa Timoshenko che celebra sé stessa con una ridicola sceneggiata sulla sedia a rotelle.

Le istituzioni italiane, che infarciscono ogni frase di parole come “legalità”, celebrano questa oligarca accogliendone amici e parenti, come se si trattasse di chissà quale eroina.

Nuovamente la stampa ci mostra prodi volontari che ripuliscono una Kiev “liberata”.

Vergogna, alle istituzioni e ai pennivendoli che fingono di non vedere cosa sta accadendo in Ucraina!

L’ordine pubblico è stato affidato agli stessi che per mesi hanno terrorizzato Kiev, che hanno organizzato e organizzano spedizioni punitive nelle regioni e nei villaggi.

Le sedute parlamentari che si sono tenute nel fine settimana hanno visto la Verhovna Rada presidiata dai banditi armati di fucili mitragliatori.

I pogrom contro gli oppositori del golpe e contro i comunisti sono all’ordine del giorno: abbiamo diffuso foto e video che testimoniano di cosa sono capaci i membri di Svoboda e i militanti della destra radicale: parlamentari, consiglieri regionali e comunali vengono prelevati dalle loro abitazioni e picchiati in pubblico.

Eppure, nessun esponente delle istituzioni democratiche italiane, nessun propagandista dei diritti umani sta levando la sua voce.

I nostri compagni devono subire ogni giorno, anzi ogni notte perché la vigliaccheria fascista è ovunque uguale e colpisce nell’oscurità, attacchi alle sedi.

Abbiamo comunicato già altrove i fatti di questi giorni: a Chernoghiv, i compagni assediati sono stati costretti ad abbandonare la sede quando i fascisti hanno spaccato i vetri e vi hanno gettato dentro del carburante per incendiare i locali e provocare una strage.

A Kiev, è stato devastato il quartier generale del Comitato Centrale.

A Zaporozhie, mentre i comunisti presidiavano il monumento a Lenin e il Consiglio Cittadino, è stata attaccata la sede del Partito.

Bande armate assaltano i monumenti a Lenin e ai Soldati Sovietici - non per abbattere le statue, ma per intimidire i comunisti e la popolazione democratica, per far vedere “chi è che comanda”.

Questa sera, 24 febbraio, ultima notizia in ordine di tempo, individui mascherati appartenenti alla cosiddetta “autodifesa del majdan” hanno organizzato una spedizione nel villaggio di Gorenka, nei pressi di Kiev, dove si trova l’abitazione del compagno Petro Simonenko. Si sono introdotti nell’abitazione e hanno iniziato a cercare materiale che potesse risultare “compromettente”.

Non avendo trovato nulla, hanno appiccato il fuoco all’abitazione per poi scappare.

I vicini intervenuti hanno ascoltato dalle conversazioni che l’intento dei fascisti era quello di far saltare in aria la casa, in quanto “non avevano trovato nulla di compromettente” da mostrare.

Da due giorni, i media vicini al nuovo potere cercano di spaccare il Partito Comunista, tentando di infangarne la leadership: domenica sera, hanno diffuso la notizia che Simonenko era stato visto a Mosca con alcuni membri del clan di Yanukovitch; oggi hanno diffuso la voce, anche questa falsa, di accordi con il nuovo “presidente” del parlamento.

A questo si aggiunge il progetto di messa al bando del Partito Comunista d’Ucraina (e del Partito delle Regioni), depositato in Parlamento il 23 febbraio, di cui abbiamo diffuso l’immagine (link: https://www.facebook.com/ucrainaantifascista/photos/a.588029701278288.1073741828.587994241281834/589531721128086/?type=1&theater )

Perché questo accanimento contro il Partito Comunista?

Perché il Partito Comunista ha detto chiaramente che in Ucraina non c’è stata nessuna rivoluzione, nessuna liberazione, ma “una feroce lotta tra le due fazioni della stessa classe di sfruttatori, la borghesia oligarchica.”

Perché il Partito Comunista ha detto che le forze che si definiscono nazionaliste, hanno svenduto il paese alle potenze straniere sbandierando lo “spauracchio russo”.

Perché il Partito Comunista denuncia che l’asservimento a USA, UE, NATO e Fondo Monetario Internazionale porterà l’Ucraina alla rovina economica e sociale.

Perché a differenza del Partito delle Regioni, che è in gran parte allo sbando, il Partito Comunista ha chiamato i quadri a serrare le file, alla vigilanza, e i suoi deputati intervengono in parlamento senza temere le intimidazioni e a testa alta.

Sono questi i motivi per cui le bande armate, i teppisti e i parlamentari fascisti vogliono distruggere il Partito Comunista d’Ucraina.

Vorrei chiedere alle personalità delle nostre istituzioni: ricordate come nacque il fascismo in Italia? Quante analogie vi sono, tra l’esperienza del nostro paese e ciò che sta accadendo a Kiev? A cosa servono allora i Giorni della Memoria, le celebrazioni del 25 Aprile, le denunce astratte contro e prevaricazioni e le violenze?

I nuovi capi di Kiev, forti della loro “legittimazione”, di una legge che hanno usurpato, hanno cancellato in una seduta parlamentare il bilinguismo, intendono bloccare le trasmissioni televisive in lingua russa e togliere agli “etnici russi” lo status di cittadino dell’Ucraina: tutto questo è degno della “democrazia europea”?

Sappiamo che i nostri modesti mezzi di informazione in questi giorni hanno visto aumentare enormemente le visite.

In pochi istanti, le notizie che aggiungiamo sulla nostra pagina in sostegno dell’Ucraina (https://www.facebook.com/ucrainaantifascista) vengono lette da centinaia di persone, che diventano migliaia in una manciata di minuti.

Evidentemente le notizie omogeneizzate di Repubblica, Corriere e compagnia iniziano a puzzare di marcio; evidentemente cominciamo tutti ad assaporare i frutti avvelenati dell’imperialismo, a capire che annettere nuovi territori nell’UE non è solo un disastro per quei popoli, ma è un disastro che si ripercuote prima o poi, anche su di noi.









di Piero Purini (guest blogger),
con una postilla di Wu Ming e una breve linkografia ragionata.

[Abbiamo chiesto allo storico Piero Purini  - o Purich, cognome della famiglia prima che il fascismo lo italianizzasse - di guardare il discusso spettacolo di Simone Cristicchi e recensirlo per Giap.
Purini è autore del fondamentale Metamorfosi etniche. I cambiamenti di popolazione a Trieste, Gorizia, Fiume e in Istria. 1914-1975appena ristampato da KappaVu con una prefazione di Jože Pirjevec.
Consigliamo questo libro a chiunque voglia conoscere e capire la storia del confine orientale nel Novecento. L'autore ha scovato, consultato e confrontato non solo fonti "nostrane", come troppo spesso accade, ma anche fonti in lingua tedesca, slovena, croata e inglese.
Per potersi dedicare alla ricerca degli «esodi» e delle migrazioni forzate nella zona che va dal Friuli orientale al Quarnero, Purini è dovuto andare all'Università di Klagenfurt, visto che in Italia aveva trovato solo porte chiuse. Metamorfosi etniche è l'espansione della sua tesi di dottorato.
Piero è modesto e non lo dice in giro, ma un paio di settimane fa lui e Poljanka Dolhar hanno messo in fuga da Radio 3 Marcello Veneziani, e senza nemmeno fargli «Buh!» Cliccare e ascoltare per credere, ma solo dopo aver letto l'articolo qui sotto.
In calce, una nostra postilla su «memoria condivisa» e rimozione del conflitto.
Ricordiamo che sotto il post ci sono due comandi: uno permette di salvarlo in ePub, l'altro lo apre in versione ottimizzata per la stampa.]
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Magazzino 18 di Simone Cristicchi mi è sembrato un’operazione teatrale molto furba con uno scopo politico più che evidente: fornire uno strumento artistico efficace per propagandare la cosiddetta memoria condivisa, tanto cara al mondo politico «postideologico», secondo cui tutti gli italiani devono riconoscersi in una storia comune. Storia comune di cui, fin dal nefasto incontro Fini-Violante del 1998, le foibe e l’esodo sono pietre angolari.


Questa finalità prettamente politica è andata decisamente a scapito del valore artistico dello spettacolo: ne è risultata una pièce teatrale che mette insieme in maniera piuttosto bislacca generi disparati, richiami furbeschi all’immaginario collettivo italiano, imitazioni di spettacoli o film più o meno familiari allo spettatore medio. Un mix nazionalpopolare (a mio avviso piuttosto noioso e stucchevole) in cui troviamo un impiegato romano burino (che risulterà nostalgicamente simile ad alcune macchiette di Alberto Sordi); suggestioni musicali che si ispirano evidentemente a Schindler’s List (a suggerire per l’ennesima volta l’improprio paragone tra l’esodo giuliano-dalmata e la Shoah); imbarazzanti imitazioni di Marco Paolini, sia nella struttura dello spettacolo, sia nella recitazione; discutibili inserti tipo musical (alcuni brani non stonerebbero in film Disney come Pomi d’ottone e manici di scopa Tutti insieme appassionatamente).

Secondo me, proprio l’ultima di queste canzoni – una via di mezzo traAladdin Il re Leone – mostra l’ambiguità che permea l’intero spettacolo. La canzone si intitola Non dimenticare e recita: «Non è un’offesa che cede al rancore / non è ferita da rimarginare / è l’undicesimo comandamento: / non dimenticare».
E’ sottinteso, ciò che non si deve dimenticare è la tragedia delle foibe e dell’esodo, ma per ricordare questi eventi Cristicchi non esita a dimenticarne o trascurarne completamente altri che potrebbero risultare estremamente scomodi per lo scopo del suo spettacolo: appunto la creazione di una memoria collettiva esclusivamente italiana.

Cinque minuti e poi…

Innanzitutto Cristicchi dimentica di contestualizzare storicamente l’esodo. E’ vero che nello spettacolo è stata inserita una scena in cui vengono narrati i suoi antefatti storici, ma questa scena è del tutto assente nel cd allegato al libro e, se non sbaglio, ridotta nella lunghezza in alcune repliche, in quanto – almeno così mi sembra confrontando la trasmissione Rai, il cd e alcuni spezzoni tratti da YouTube – lo spettacolo viene modificato a seconda del luogo dov’è rappresentato.

Tale spiegazione storica è comunque troppo breve (cinque minuti scarsi su uno spettacolo di un’ora e tre quarti), superficiale, inesatta e abbonda di luoghi comuni. Talmente sbrigativa che sembra essere stata inserita al solo scopo di prevenire eventuali accuse di scarsa obiettività e dare un’apparenza bipartisan allo spettacolo.

La complessità etnico-linguistico-nazionale del territorio è liquidata dicendo che «per questo fazzoletto di terra ci sono passati tutti: italiani, austriaci, francesi, ungheresi, slavi». Già con questa descrizione Cristicchi può creare confusione nel pubblico: lo spettatore inconsapevole non sa che in questo territorio c’erano popolazioni autoctone (italiani, sloveni e croati) presenti da secoli, spesso fuse e mescolate tra loro, mentre Austria-Ungheria e Francia furono le entità statali che lo amministrarono.

Anche sul termine «italiani» ci sarebbe da ridire, in quanto, più che di «italiani» si trattava di popolazioni che parlavano il dialetto istroveneto della zona. Probabilmente la maggior parte degli italofoni residenti a Trieste o a Gorizia avevano la percezione di sé come fedeli sudditi asburgici, mentre l’irredentismo era appannaggio di una limitata ma rumorosa minoranza di altoborghesi (che proprio per la loro posizione sociale riusciva ad amplificare a dismisura le tesi favorevoli all’Italia) e di un’altrettanta sparuta minoranza di giovani contestatori che vedevano nel mito dell’Italia la contrapposizione ad un’Austria percepita come vecchia, bigotta ed opprimente. Esisteva anche una comunità di diverse decine di migliaia di persone di lingua tedesca, che risiedeva sul territorio da almeno 120 anni, e una miriade di piccole ma culturalmente vivacissime comunità non italiane: ebrei, serbi, cechi, greci, armeni, svizzeri, rumeni, turchi.

Gli altri esodi prima dell’esodo

Ciò che Cristicchi dimentica è che questo equilibrio e questa (fragile) convivenza non furono interrotte dal fascismo – come sostiene inMagazzino 18 -, ma già dalle autorità militari italiane subito dopo la conquista del territorio nel 1918.

Cristicchi dimentica che con la vittoria nella Grande Guerra l’Italia si annesse un territorio che comprendeva circa 500.000 non italiani.

Cristicchi, che ha voluto scrivere uno spettacolo sull’«Esodo», dimentica che quello giuliano-dalmata non fu il primo spostamento forzato di popolazione di questo territorio: già a partire dal novembre ’18 si verificò una diaspora degli abitanti della zona, che se ne andavano perchè temevano l’arrivo delle truppe italiane o perché la nuova sistemazione politica del territorio impediva loro di poter restare.

Cristicchi dimentica che le autorità militari italiane già nel novembre 1918 chiusero tutte le scuole della comunità tedesca della Venezia Giulia trasformandole in buona parte in caserme;
dimentica che insegnanti tedeschi, sloveni e croati persero il lavoro, furono espulsi o addirittura internati perchè continuavano ad insegnare clandestinamente nelle loro lingue;
dimentica che migliaia di reduci dell’esercito austroungarico non poterono tornare alle proprie case perchè le autorità militari permettevano il rientro ai soli reduci di lingua italiana;
dimentica che già nel primo anno di occupazione (1918-’19) l’intellighenzia culturale slovena e croata (850 persone tra sacerdoti ed insegnanti) venne internata nel Meridione perché rappresentava il veicolo di sopravvivenza della lingua e della cultura delle due minoranze;
dimentica che vi fu una campagna di delazione nei confronti di chi in casa parlava ancora tedesco, o che molti di coloro che erano definiti “austriacanti” (anche di lingua italiana) vennero fatti salire senza troppe cerimonie sui treni e spediti a Vienna o a Graz.
Dal 1918 al 1920 la vox populi locale parlò di oltre 40.000 partenze dalla sola Trieste verso Austria e Jugoslavia.

Cristicchi dimentica (o non sa) che l’esodo da Pola di cui parla nel suo spettacolo fu preceduto da un altro che nel 1918-’19 vide la partenza di oltre un terzo degli abitanti, e che fu questo esodo a rendere la popolazione così compattamente italiana, dal momento che se ne andarono la stragrande maggioranza dei tedeschi e una parte consistente dei croati e degli sloveni.

Cristicchi ignora che nel periodo tra le due guerre oltre 100.000 abitanti della Venezia Giulia partirono per Jugoslavia, Austria o Argentina perché le condizioni del territorio sotto l’Italia erano per loro invivibili;
dimentica – o più probabilmente non sa, perchè la storiografia italiana non ne ha quasi mai parlato – che nel 1919 più di mille ferrovieri tedeschi e sloveni del compartimento di Trieste vennero pretestuosamente licenziati in tronco durante uno sciopero e spediti in Austria e in Jugoslavia per poterli sostituire con personale ferroviario italiano;
dimentica che lo Stato italiano portò avanti una campagna di insediamento di italiani provenienti soprattutto dal Veneto e dalla Puglia per sostituire i non italiani che erano partiti e che dal ’18 al ’31 furono quasi 130.000 gli immigrati nella Venezia Giulia, un numero tale che le autorità dovettero addirittura proibire l’immigrazione nelle nuove province, perché la situazione economica del territorio non permetteva di fornire occupazione a tutti.

I primi immigrati ad arrivare furono 47.000 tra militari, carabinieri, poliziotti, guardie carcerarie, che dovevano imporre un controllo di stampo quasi coloniale alle nuove terre. La militarizzazione del territorio è particolarmente evidente se viene confrontata con la situazione prebellica: prima del conflitto l’Austria manteneva di stanza nel Litorale solamente 25.000 tra soldati e gendarmi, di cui ben 17.000 concentrati a Pola, dove si trovava la più grande base militare della marina austroungarica.
Cristicchi, poi, dimentica (ma più probabilmente ignora) che nel settembre del 1920, per piegare un sciopero, l’esercito cannoneggiò le case del rione “rosso” di San Giacomo, caso unico nella storia d’Italia di uso dell’artiglieria pesante contro un centro abitato in tempo di pace.

L’incendio del Narodni Dom

Nella sua scena di «introduzione storica» Cristicchi parla delle violenze contro i non-italiani (attribuendole tutte al fascismo, ancor prima che il partito fascista esistesse) e cita – giustamente – l’incendio del Narodni Dom, l’enorme casa del popolo, centro culturale e simbolo degli sloveni, dei croati e dei cechi nel centro di Trieste. Cristicchi sostiene che la sua distruzione fu «la prima grande frattura tra gli italiani della Venezia Giulia e la popolazione slovena e croata». Affermazione discutibile, visto che tensioni e violenze ce n’erano già state prima, e che – ad esempio – già in epoca asburgica il principale partito italiano, quello liberalnazionale, aveva ottenuto che a Trieste venisse impedita la costruzione di un liceo sloveno.

[IMMAGINE: L’incendio del Narodni Dom di Trieste, 13 luglio 1920]

Per giunta Cristicchi presenta l’incendio del Narodni Dom come una reazione all’uccisione di due militari italiani a Spalato. La stampa nazionalista dell’epoca aveva però omesso di dire che quei due militari avevano appena mitragliato i partecipanti ad una manifestazione, uccidendone uno, e pure Cristicchi omette questo particolare. Invece, rispetto all’incendio, in un’intervista a Repubblica ha sostenuto che ci sono «dubbi e chiaroscuri» (aggiungendo tra l’altro «Lì è morta una persona soltanto»!), insinuando forse l’interpretazione in voga durante il fascismo secondo cui dal palazzo si sparò e vennero gettate bombe contro gli assedianti, versione già ampiamente smentita dalla stampa non fascista e dalla stampa straniera dell’epoca, nonché da storici titolati e decisamente non sospettabili di simpatie filoslave come Carlo Schiffrer.

Chi ha detto «Italiano = fascista»?

Magazzino 18 descrive le prevaricazioni che il fascismo adottò per legge contro le minoranze:
il divieto di utilizzare lingue straniere nei tribunali e negli uffici pubblici (ma dimentica che gli sloveni riottennero questo diritto solo nel 2001!);
la totale chiusura delle scuole slovene e croate;
la rimozione delle tabelle in lingue slave (ma dimentica che ancor oggi nel centro di Trieste non ci sono le tabelle bilingui per non urtare la sensibilità di qualcuno…);
l’italianizzazione di «molti» cognomi (si parla di 100.000 persone solo a Trieste, mezzo milione in tutta la Venezia Giulia… Solo «molti»?) e quella dei toponimi (con paesi che ancor oggi, nonostante gli esiti di referendum locali, non possono tornare ufficialmente al nome originario perché è necessaria una votazione in parlamento)…
«Gradualmente,» dice Cristicchi, «gli spazi culturali, economici e sociali degli slavi vengono soppressi». Corretto. Ma non sarebbe stato male aggiungere che accanto alle chiusure per legge avvenivano veri e propri pogrom antislavi, con distruzione di tipografie, circoli, case private, negozi. Chi parlava sloveno o croato in pubblico rischiava bastonate, sputi (alcuni zelanti maestri erano usi sputare in bocca agli alunni che non parlavano in italiano), olio di ricino e addirittura olio da motore, come quello che venne somministrato al dirigente di coroLojze Bratuž, che morì un mese dopo.

[IMMAGINE: Lojze Bratuž, italianizzato in Luigi Bertossi. Morto a Gorizia nel 1937 a soli trentaquattro anni. Una squadra fascista lo sequestrò e gli fece bere a forza olio da motore. Il giorno della sua morte, gli amici si radunarono di fronte all’ospedale e cantarono una canzone slovena (gesto proibito dal fascismo), poi fuggirono per non subire violenze a loro volta.]

Cristicchi scrive che il risentimento produsse tra sloveni e croati l’equazione «italiano = fascista». E anche qui c’è una bella dimenticanza. In realtà questa uguaglianza non fu un’invenzione di sloveni e croati, ma per un ventennio fu portata avanti dalla propaganda fascista: proclamando l’entrata in guerra contro l’Etiopia, dal balcone di palazzo Venezia, il Duce aveva enfaticamente affermato: «L’identità tra Italia e fascismo è perfetta, assoluta, inalterabile»Dunque anche qui si attribuisce agli slavi come errore di valutazione una parola d’ordine che invece era ben radicata nell’ideologia fascista e probabilmente gradita a non pochi italiani.

Occupazione fascista e Resistenza

Cristicchi passa poi all’analisi del periodo bellico: cita l’invasione della Jugoslavia, gli incendi di villaggi, i massacri di civili, i crimini di guerra per cui nessuno ha mai pagato, gli ordini delittuosi di Roatta, le migliaia di morti nei campi di internamento, in primis quello di Arbe (anche se attribuisce tutto ciò a Mussolini, quando invece dietro di lui c’era tutto un apparato militare e amministrativo-burocratico che sosteneva le sue avventure belliche al di là dell’appartenenza al fascismo).

Tutto corretto storicamente, ma troppo sbrigativo: quelle che sono le cause principali di foibe e deportazioni sono liquidate in poche frasi. Forse Cristicchi avrebbe potuto ricordare la città di Lubiana, circondata da filo spinato e trasformata essa stessa in un enorme campo di concentramento; avrebbe potuto spiegare come i militari italiani a Podhum uccisero 91 abitanti, ne deportarono 900 e rasero al suolo l’intero paese, non diversamente da quanto i tedeschi fecero a Sant’Anna di Stazzema o a Marzabotto. Avrebbe potuto dire che la Slovenia ebbe un numero di vittime pari al 6,3% della popolazione, addirittura la città di Lubiana raggiunse il 9% di vittime; avrebbe potuto dire che la Jugoslavia contò un milione e centomila vittime su una popolazione di 15 milioni (solo a titolo di paragone l’Italia su 43 milioni ebbe circa 450.000 vittime).

Soprattutto, Cristicchi dimentica (o non sa) che molti di quelli che sfuggirono ai massacri italiani e tedeschi andarono ad ingrossare le fila della resistenza antifascista di Tito.

[IMMAGINE: Partigiani della divisione italiana Garibaldi, inquadrata nel II° Korpus dell’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia.]

I partigiani, nel racconto di Cristicchi, ad un certo punto «scendono dalle montagne dell’interno dove sono accampati» ed iniziano a girare casa per casa alla ricerca delle loro vittime su cui sfogare la propria vendetta.

Cristicchi omette di dire che i partigiani non fecero campeggio in montagna per poi andare ad ammazzare gli italiani: sostennero una lotta durissima contro le forze dell’Asse, contro i nazifascisti e dopo l’8 settembre 1943 contro i tedeschi e contro i collaborazionisti italiani che continuarono a combattere a fianco dei nazisti. Perché anche questo Cristicchi dimentica: che con l’armistizio e la dissoluzione dell’esercito italiano, una parte dei soldati italiani riuscì a tornare a casa, mentre altri si unirono proprio a quelle forze di Tito che sarebbero «scese dalle montagne» per «colpire gli italiani che sono un ostacolo» alla grande Jugoslavia (termine inventato: non è mai esistita una «grande Jugoslavia», a significarne l’espansionismo, a differenza di «grande Serbia», o «grande Germania»).
Altri soldati italiani continuarono a combattere assieme ai tedeschi. Cristicchi dimentica di dire che spesso questi collaborazionisti italiani si incaricarono del «lavoro sporco» (rastrellamenti, torture, esecuzioni), forse facendo – questi sì – odiare gli italiani in quanto fascisti.

Inoltre, quando parla dei partigiani Cristicchi li descrive sempre come «bande», «titini», «ribelli» rimuovendo il fatto che i soldati di Tito non furono bande feroci e selvagge, bensì un esercito che combatteva contro l’Asse e considerato parte integrante delle forze alleate.

Infoibare la storia

L’argomento foibe, poi, è un condensato di luoghi comuni e dimenticanze.

Innanzitutto Cristicchi omette la distinzione tra le cosiddette «foibe istriane» (1943) e le «foibe triestine» (1945). Le prime furono una sorta di jacquerie, di rivolta contadina contro chi aveva detenuto il potere fino ad allora, in cui la rappresaglia politica potè mescolarsi in alcuni casi a vendette personali. Cristicchi esclama: «Sta gente è stata ammazzata in tempo de pace!», ma dimentica che nel settembre ’43 c’era ancora la guerra.

Sulle foibe triestine, Cristicchi sfrutta il solito luogo comune secondo cui tutte le vittime sarebbero state infoibate. Come sa chiunque si occupi anche lontanamente dell’argomento, gli scomparsi del maggio ’45 finiti effettivamente nelle voragini carsiche sono stati una minoranza: qualche decina di persone. Gli altri furono deportati in quanto appartenenti a forze armate che avevano combattuto contro l’esercito jugoslavo, al pari di quanto accadde agli italiani catturati da inglesi, francesi, americani e russi. Le condizioni della prigionia non erano certamente delle più facili (ma i soldati catturati in Russia o in Africa non ebbero condizioni migliori); va detto però che buona parte di chi non aveva responsabilità personali riuscì a tornare.

Per fascisti e collaborazionisti vennero allestiti processi che si conclusero anche con condanne a morte. Il fatto però che le persone venissero liquidate «in quanto italiane» è smentito sia dal fatto che alcuni fascisti colpevoli di crimini vennero liberati dagli jugoslavi che non li riconobbero (il che la dice lunga sulla «terribile efficienza» della polizia segreta jugoslava), sia dai numeri. Cristicchi dà cifre vaghe (500, 5.000, 10.000, 14.000), mentre quasi tutti quelli che sono andati a spulciarsi uno per uno le liste dei “desaparecidos” concordano su un numero tra 1.000 e 2.000 persone. Cifre analoghe a quelle dei morti negli ultimi giorni di guerra a Genova, a Torino o in Emilia. Dove però mai nessuno è stato ucciso «in quanto italiano». Mi sembra dunque che questi numeri siano la riprova numerica del fatto che in queste terre le esecuzioni del maggio ’45 non hanno risposto ad una logica di pulizia etnica, bensì siano state la – purtroppo – fisiologica resa dei conti di un conflitto che era stato atroce e fortemente ideologico.

Se poi si vanno a confrontare le cifre delle vittime a guerra finita in Jugoslavia, si nota come altrove – dove Tito non doveva temere di rendere conto agli alleati – la mano della giustizia partigiana fu estremamente più pesante rispetto alla Venezia Giulia dove sarebbe avvenuta la «pulizia etnica».

Sorvolo sul caso Norma Cossetto, sulla descrizione della foiba (che sembra tratta pari pari dal racconto del sedicente sopravvissuto Graziano Udovisi) e sulla strage di Vergarolla, in quanto Cristicchi le interpreta come avvenimenti sicuri, ma dimentica di segnalare che si tratta invece di singoli episodi sui quali sono cresciuti a dismisura racconti mai corroborati da prove, o al massimo si sono fatte ipotesi investigative.

Davvero «non si può vivere senza essere italiani»?

Rispetto all’esodo è interessante come Cristicchi generalizzi l’esodo da Pola, facendo credere che anche l’esodo dalle altre parti dell’Istria, da Fiume, da Zara, dalla Zona B, dal Muggesano si sia svolto nello stesso modo. La questione è che l’esodo da Pola risponde a tutti i clichés di cui lo spettacolo ha bisogno: la partenza in tempi brevi, le navi, il trasporto delle masserizie, la neve, la bora.

Cristicchi dimentica che l’esodo fu un fenomeno estremamente complesso, che avvenne con modalità e tempi diversi: Zara fu addirittura sfollata ancora durante la guerra a causa dei bombardamenti angloamericani, l’esodo di Fiume si risolse in pochi mesi, l’esodo dalla Zona B si prolungò per anni, dando il tempo agli abitanti di fare una lunga analisi sul se, sul come e sul quando partire; quello del Muggesano coinvolse una popolazione in larghissima parte comunista cominformista che in maggioranza rifiutò l’aiuto delle associazioni dei profughi per non essere strumentalizzata dalla destra o dalla DC.

Soprattutto, Cristicchi dimentica le mille cause di questa complessità. Banalizza affermando che ci fu una causa sola: la gente partì «perché non si può vivere senza essere italiani».

In nome di questa tesi, Cristicchi rimuove il fatto che la Jugoslavia stava realizzando riforme di stampo socialista nell’economia: aveva appena approvato pesanti restrizioni nel commercio privato, imposto la distribuzione delle derrate alimentari attraverso cooperative, pesantemente tassato le rendite finanziarie, attuato una riforma agraria in base alla quale venne proclamata l’abolizione della mezzadria, del colonato e del lavoro agricolo su appalto, assegnato le terre ai contadini che dimostrassero di lavorarle da almeno quindici anni, e infine stabilito il sequestro dei latifondi e la distribuzione delle terre, nonché l’uso collettivo delle macchine agricole, tassando pesantemente le terre incolte ed i terreni oltre determinate superfici.

In un contesto del genere, che qui mi sono limitato a riassumere, è chiaro che tutta una serie di categorie (proprietari immobiliari, commercianti all’ingrosso e al dettaglio, imprenditori, locatori, addetti alla distribuzione ecc.) videro la partenza come l’unica soluzione dei loro problemi, a prescindere da quale paese vi fosse oltre frontiera. Credo che sull’esodo abbia giocato molto di più la paura di un sistema economico-politico demonizzato dal fascismo, dalla chiesa e dall’influente DC che di là dal confine spingeva per la partenza del maggior numero di persone. Non si dimentichi inoltre che per la piccola e media borghesia (quella che oggi viene chiamata middle class) la questione si semplificava in un’equazione molto banale: Jugoslavia = comunismo = miseria, Italia = Stati Uniti = ricchezza.

Un’altra paura che spingeva alla partenza era il sovvertimento di quello che fino ad allora era stato l’ordine sociale: le classi che avevano detenuto il potere venivano ad essere spazzate via da una sorta di tsunami sociale. Operai e braccianti diventavano arbitri dell’esistenza di chi fino ad allora aveva tenuto le redini del sistema sociale e ora non intendeva diventare subalterno agli ex servi. Non dunque fuga per l’italianità, quanto fuga dal socialismo, dal ridimensionamento sociale e dalla (probabile) miseria.

Cristicchi dimentica che le autorità italiane spinsero sotterraneamente all’esodo: attraverso le organizzazioni degli esuli, in Istria si pubblicavano appelli per la partenza e si reclamizzavano i veri e finti vantaggi che i profughi avrebbero avuto in Italia (non si dimentichi che comunque, da un punto di vista economico, l’Istria era una delle zone più depresse del Regno d’Italia e perciò l’esodo poteva essere addirittura allettante). La DC, riuscita ad accreditarsi come la forza politica che maggiormente tutelava i profughi, doveva rendere solida la propria base nelle terre di confine e dopo il 1954 la massa di profughi fu fatta fermare a Trieste, nell’intento da parte del governo di rendere più sicura una città che in realtà molto fedele all’Italia non era mai stata (i due quinti dell’elettorato triestino si esprimevano per partiti favorevoli all’indipendenza). A Trieste i profughi ebbero precedenza nell’impiego pubblico e privato e graduatorie privilegiate nell’assegnazione di case popolari. In Magazzino 18 si dimentica che, con la saturazione del mercato del lavoro e l’impossibilità di accedere ad alloggi, circa 25.000 triestini dovettero optare per l’emigrazione in Australia.

Anche i numeri confutano la tesi che gli esuli siano partiti per mantenere la propria italianità. Cristicchi, prendendo come oro colato il numero canonico di 350.000 profughi (in realtà inventato da Flaminio Rocchi), dimentica che in base al censimento del 1936 il numero di italiani residenti nelle terre perse era di 264.799. Se si dà credito alla cifra di Rocchi, si afferma automaticamente che 85.000 non italiani partirono… per restare italiani!

Non ho grandi considerazioni da fare sul pessimo accoglimento dei profughi a Bologna, salvo ricordare che purtroppo accoglienze di questo genere sono piuttosto frequenti: anche i profughi sloveni dopo la prima guerra mondiale, quando giunsero nei loro luoghi di destinazione in Jugoslavia, vennero spesso accolti con epiteti come lahi– spregiativo di «italiani» – e fašisti, proprio coloro dai quali stavano scappando.

Sulle condizioni dei campi profughi, è indubbio che esse furono terribili, ma solo una minoranza assoluta dei profughi ci visse per dieci anni (come si dice in Magazzino 18): per la maggior parte fu un periodo di transizione relativamente breve: in genere, dopo qualche anno, a volte solo qualche mese, i profughi ottenevano alloggi popolari di buona qualità. A Trieste vennero edificati interi rioni esclusivamente per profughi, come il complesso di Chiarbola con 112 edifici per un totale di 868 appartamenti.

Visita a Goli Otok

Infine due accenni: il «controesodo» e i «rimasti».
Cristicchi dimentica che, tra i cantierini monfalconesi andati in Jugoslavia per «costruire il socialismo», quelli che non abbracciarono la causa del Cominform poterono tranquillamente restare in Jugoslavia. Degli altri solo una minoranza venne arrestata ed internata. La maggior parte potè tranquillamente (e mestamente) tornarsene in Bisiacheria. I monfalconesi che finirono nei gulag della costa adriatica furono una quarantina, a dimostrazione che non ci fu alcun accanimento contro di essi «in quanto italiani», ma solo in quanto irriducibili stalinisti.

«Non esiste un monumento, una targa. Niente. Goli Otok non c’è nemmeno sui dépliant», dice Cristicchi. Gli segnalo che i dépliant su Goli Otok ci sono eccome e ci si possono anche fare delle visite di diverse ore. Resterà un po’ deluso, perché quella che lui definisce «per quasi 40 anni la prigione della Jugoslavia» fu un carcere per prigionieri politici per non più di dieci anni. Divenne poi un penitenziario per criminali comuni e negli anni ’70 fu trasformato in riformatorio, in cui i giovani detenuti venivano indirizzati all’attività turistica. Alcuni abitanti della costa mi hanno raccontato che in estate i turisti potevano raggiungere l’isola in barca e mangiare al ristorante del riformatorio, dove i reclusi lavoravano come cuochi e camerieri. Raccontano ancor oggi di piatti di pesce ottimi e prezzi bassissimi. Dal 1988 l’intero complesso è stato chiuso ed è ora fatiscente.

I «rimasti»

Cristicchi parla della triste sorte dei rimasti, ma dimentica che le comunità italiane di Fiume, Rovigno, Capodistria, Pola, Cittanova (anzi, come piace dire a lui storpiando: Rigeca, Rovini, Coper, Pula, Novigrad…) ebbero scuole italiane, bilinguismo, la possibilità di relazionarsi con gli uffici pubblici nella propria madrelingua, circoli culturali, cori, giornali, case editrici, rappresentanti nelle istituzioni politiche ecc.

In conclusione credo che Cristicchi sia il primo a dover rispettare quel suo «undicesimo comandamento»: all’inizio di Magazzino 18 parla di un’«enorme amnesia», ma mi pare che questo spettacolo continui a perpetuare un’amnesia altrettanto enorme su altri aspetti che è assolutamente necessario conoscere per capire la storia.
Non dimenticare, caro Simone.

Anzi, magari la prossima volta, per non dimenticare, cerca di informarti meglio.

Una postilla sulla «memoria condivisa»

Anche noi, finalmente, abbiamo trovato il tempo e lo stomaco di vedereMagazzino 18.

Siamo pienamente d’accordo con il nostro guest blogger quando dice che l’intento dello show è chiaramente politico e tutta l’operazione si inserisce nella costruzione della solita «memoria condivisa» pseudo-pacificatrice.

E’ su quest’ultima che vogliamo aggiungere qualcosa.

La «memoria condivisa» è in realtà smemoria collettiva, una ri-narrazione della storia italiana che finge di voler mettere d’accordo tutti, siano essi oppressori od oppressi; sfruttatori eredi di sfruttatori o sfruttati eredi di sfruttati; nipoti di italiani che combatterono agli ordini di Graziani (cioè di Hitler) o nipoti di italiani trucidati dai nazifascisti.
Non devono più esserci destra e sinistra, ragioni buone e cattive, scelte giuste e sbagliate. Soprattutto, non deve più esserci lotta. A sostituire tutto questo, una marmellata di «opinioni» preventivamente rese innocue, neutralizzate. Tutti abbiamo avuto le nostre vittime, e le vittime sono vittime, i morti sono tutti uguali ecc.

Frasi come «i morti sono tutti uguali» significano in realtà: tutte le storie si equivalgono, una scelta è valsa l’altra, chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato, e chi cazzo siete voi per dirci cosa dobbiamo fare, non ci rompete i coglioni.
I morti saranno forse «tutti uguali» (qualunque cosa significhi), ma sono diverse – a volte opposte e inconciliabili – le cause per cui si muore. Se non si riconosce questo, l’uguaglianza tra i morti è solo una supercazzola per difendere un sistema basato sulla disuguaglianza tra i vivi.

Dopo il riconoscimento delle «buone ragioni» dei «ragazzi di Salò» (ma «italiani di Hitler» sarebbe più preciso), è stata tutta una valanga.
In questo processo il «centrosinistra» ha molte più responsabilità del «centrodestra», che è solo passato dalle porte che gentilmente gli venivano aperte. Non a caso quell’apertura ai repubblichini la feceLuciano Violante.

Per capirci: se a fini retorici dovessimo dare a questo revisionismo storico omologante un nome di persona, sarebbe quello di Giorgio Napolitano, che ne è il massimo propugnatore istituzionale. Che dire di quest’estratto da un suo famoso discorso del 2007, dove ogni frase contiene un falso storico?

«[...] già nello scatenarsi della prima ondata di cieca violenza in quelle terre, nell’autunno del 1943, si intrecciarono “giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e un disegno di sradicamento” della presenza italiana da quella che era, e cessò di essere, la Venezia Giulia. Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una “pulizia etnica”.»

In realtà comincia tutto molto prima degli anni Novanta, con la creazione del mito degli «Italiani brava gente». Un mito che agisce tutti i giorni e ci fa chiudere gli occhi su troppe cose, in primis sul nostro razzismo.

Ma c’è anche più di questo: chi controlla il passato controlla il presente. Imporre un orizzonte fintamente pacificato serve a rendere inaccettabile l’idea del conflitto sociale, e quindi a criminalizzare quest’ultimo quando inevitabilmente si manifesta.
C’è un collegamento diretto tra la «memoria condivisa», le «larghe intese» – che hanno una storia ben più lunga dell’ultimo anno, e prima che parlamentari sono intese economiche e culturali – e l’accusa di «terrorismo» scagliata contro chiunque sia interprete di conflitto, o semplicemente non rimuova l’esistenza del conflitto.
Conflitto che è interno alla società, prodotto dalle sue contraddizioni, dall’incessante attrito degli interessi e bisogni contrapposti. Conflitto intrinseco, endogeno, e quindi endemico.

Con buona pace delle dichiarazioni sul «né destra né sinistra», la rappresentazione di una società senza conflitto interno, dove ogni contraddizione viene sfogata contro presunti nemici esterni (volta per volta i mestatori eredi dello «slavocomunismo», i perfidi indiani che sequestrano i «nostri» marò, «l’Europa» ecc.) è una rappresentazione eminentemente di destra.

[IMMAGINE: Contestazione a Magazzino 18. «La storia non è una fiction, noi ricordiamo tutto». Striscione aperto al Teatro Aurora di Scandicci (FI) la sera del 30 gennaio 2014.]

Contributi e analisi critiche su Magazzino 18 (lo spettacolo e l’operazione mediatica)

Lo.Fi.
Magazzino 18: la storia cucinata alla maniera delle Basse Intese
L’autore ha una storia di famiglia direttamente legata all’esodo istriano, ma non accetta la versione di quella storia propagandata da certe associazioni e lobby di profughi. Le stesse lobby che, per il tramite di Jan Bernas, hanno «imbeccato» Cristicchi e le cui posizioni il cantautore romano ripropone acriticamente nel suo show.

Claudia Cernigoi
Recensione di Magazzino 18
Oltre a questa dettagliata disamina, sul sito diecifebbraio.info c’è una pletora di altri materiali in tema.

Linkiamo anche un articolo di Fulvio Rogantin apparso sul sito triestino bora.la:
Esodo, le parole pesano: Cristicchi e dintorni
L’impostazione dell’articolo è molto discutibile: l’autore è troppo teso in uno sforzo bipartisan, di condanna degli «opposti estremismi», e ogni volta che critica Cristicchi deve mettere sull’altro piatto un’equipollente critica a chi critica Cristicchi, and the other way around. Nondimeno, sullo showman, sulla sua superficialità e inadeguatezza, scrive cose chein linea di massima condividiamo:

«E’ forse troppo offensiva la definizione data dalla Cernigoi [...] di Cristicchi “testa di legno”, certo la sensazione è quella di un autore che si è innamorato del raccontare una tragedia, un Nabucco contemporaneo, si è innamorato dell’impatto emotivo del magazzino 18, ma che non ha capito dall’inizio che chi lo accompagnava nel suo percorso di conoscenza non aveva una visione neutrale degli episodi. Cristicchi appare non capace di poter affrontare il tema, si difende dicendo che ha dato priorità alle storie delle persone, che ad esempio non parla di numeri. Difende il suo diritto a raccontare le storie della gente e d’altra parte a non fare lo storico. Non tiene conto, o forse lo ha scoperto tardi quando la macchina era già in moto, che queste storie sono ancora per molti, a maggior ragione da queste parti, scontro politico, ideologico. Cristicchi anche nelle poche parole che dice mostra di aver colto poco gli equilibri/squilibri sottili del pantano in cui si è ficcato.»

Abbiamo precisato «in linea di massima» perché secondo noi questa descrizione calzava al personaggio fino a qualche mese fa, ma ora non calza più. Sì, probabilmente all’inizio si è mosso per ingenuità e ignoranza, ma dopo…

Noi abbiamo letto le difese di Cristicchi e le sue risposte alle critiche (con tanto di vittimismo arrogante alla Pansa); abbiamo constatato l’uso di miseri escamotages che a noi stessi è capitato di smontare;abbiamo assistito alle cagnare fasciste aizzate da Cristicchi su Facebook contro Claudia Cernigoi (e suo marito). E tutto questo è accaduto prima della contestazione di Scandicci.

Ecco il nostro ponderato parere: l’ignoranza c’è ancora tutta, ma adesso prevale la malafede.

[A proposito: sotto l'articolo di Rogantin c'è l'inferno.]

Molti materiali sulle polemiche intorno a Magazzino 18 si possono trovare sul blog di Marco Barone.

Sull’incendio al Narodni Dom, consigliamo la lettura di questo dossier:
Al Balkan con furore. Ardua la verità sul tenente Luigi Casciana
Casciana è il presunto «martire fascista» di quei giorni. La vicenda è degna del Camilleri di Privo di titolo.

Un’ultimissima cosa, e riguarda i nostri gustibus: noi preferiamo Purini a Cristicchi non solo come fonte su cos’è accaduto al confine orientale, ma anche come musicista. Però, appunto, son gusti nostri.




 

Yugoslav Scenario in Ukraine

1) Ukraine: Leading Russian MP Warns Of Yugoslav Scenario
2) NATO moving east, building 'Roman Empire' in Europe – FM Živadin Jovanović
3) Berlin and Washington foment civil war in Ukraine (Peter Schwarz / WSWS)
SEE ALSO:
Mass Demostration against EU-Fascists in Odessa
Demonstration of inhabitants of Kharkov by the Lenin’s monument as protest against the alliance between CIA-EU and the Ukrainian Nazis
=== 1 ===

Ukraine: Leading Russian MP Warns Of Yugoslav Scenario

Stop NATO
February 19, 2014

1) Leading Russian parliamentarian says opposition organized as a military campaign, warns of repeat of Yugoslav model (ahead of fifteenth anniversary of NATO’s air war against Yugoslavia)
2) Extremists in Western Ukraine escalate violent attacks against government targets
3) Western nations fueling extremist violence in Ukraine: Russian foreign minister
4) Russian official accuses U.S. of acting as puppet master pulling strings on violent extremists
5) U.S. ambassador to Ukraine: Visas for Ukrainian officials annulled, more sanctions to come
6) Russian presidential spokesperson: Ukraine violence entirely the fault of Western-backed extremists
7) Rioters in Western Ukraine seize hundreds of firearms: security service
8) Health Ministry: Death toll climbs to 26, ten police and security personnel
9) Health Ministry: 342 police, 263 others hospitalized
10) 800 injured in Kiev violence, ten police officers shot dead

 

1)

Itar-Tass
February 19, 2014

Russian MP warns against break-up of Ukraine under Yugoslav scenario

MOSCOW: MP Leonid Slutsky, who chairs the Duma committee on the Commonwealth of Independent States and Compatriot Relations, described the situation in Ukraine as “a limit provoked by the radicals, who organized it well in terms of a military campaign”.

Regrettably, the leaders of the Ukrainian opposition are no longer controlling the situation in full. I was their skyrocketing ambitions and the reluctance to agree to a compromise suggested by the Ukrainian authorities that provoked another spiral of pogroms, fires, clashes with 25 civilians, militia and journalists already dead, Slutsky told journalists on Wednesday.

The situation in Ukraine develops, incited by the West that seeks to resolve its geopolitical tasks, but is indifferent to the fate of the whole country and its people. The so-called protest movement has long gone beyond the permissible norms from the point of view of the democratic European values, and has brought the country on the verge of a break-up,” Slutsky said.

“Russia and deputies of the State Duma are prepared to give all the necessary assistance should the fraternal Ukrainian people ask for it.”

“One cannot let the situation in Ukraine develop to the “Yugoslav “scenario. It is necessary to put an end to the bloodshed by all possible means and prevent interference from outside,” Slutsky added.

“It is a pity that the Olympic truce was violated, and that the Ukrainian athletes, who are already urged to quit the Olympic Games, might also become hostages of extremists’ policies,” the deputy noted.

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2)

Russian Information Agency Novosti
February 19, 2014

Fear of Nationwide Turmoil in Ukraine Mounts as Unrest Spreads

KIEV: Violent unrest in Ukraine’s capital has spread to other cities in the former Soviet nation, highlighting geographical divisions and raising fears that civil conflict could spin out of control.

Reported disturbances were concentrated in the major cities of the country’s west, the heartland of Ukrainian nationalism, where there is strong backing for anti-government protesters in Kiev, but it also spread to the east where President Viktor Yanukovych draws his support.

In the Ukrainian city of Lviv, near the country’s border with Poland, mobs reportedly seized administrative buildings and set fire to a military base.

“Go out and use your weapons to protect people – your family, your neighbors, your friends,” Lviv Mayor Andrei Sadovy wrote in a Facebook post addressed to security services Wednesday, the UNIAN news agency reported.

“Be aware that a little aggression on your side against the people with be met with a stronger response. It will be impossible to stop,” he wrote.

Ukraine is deeply divided between its east, where much of the country’s industry is concentrated and people have closer ties with Russia, and the west, which is more orientated toward Europe and where people favor Ukrainian ahead of the Russian language made compulsory in Soviet times.

Violence rippled out in all directions, to both the east and west of the country, overnight from the capital Kiev where protesters and police are locked in a deadly confrontation that has claimed at least 25 lives.

As well as Lviv, the occupation of government buildings by anti-government activists and confrontations with police were reported Wednesday in the western cities of Ivano-Frankivsk, Lutsk, Rovno and Ternopil.

In Ternopil, about 300 activists stormed the regional administration building and set fire to a local police precinct, torching police vehicles and forcing officers exiting from police buildings to kneel in the streets, UNIAN reported.

Activists in west Ukraine have provided strong logistical support and manpower for the protests in central Kiev, which began in November after the government unexpectedly backed off from long-planned agreements to cement closer ties with the European Union. That deal was suspended in favor of forging closer ties with Russia, which has since committed to granting billions of dollars in loans to Ukraine.

The fighting in Kiev has also inspired violence in the country’s east, where Yanukovych was born and where he enjoys his highest levels of support.

The offices of the Batkivshchyna and Svoboda political parties, which have played a key role in organizing the ongoing protests in Kiev, were reportedly attacked with Molotov cocktails overnight by unidentified assailants in the Crimean city of Cherson.

The office of Svoboda, the most overtly nationalist of Ukraine’s mainstream opposition parties, was firebombed in the eastern city of Kharkiv, Ukrainian television channel 24 reported, citing local party members.

Despite strong backing for the ruling Party of the Regions and Yanukovych in eastern Ukraine, pro-government demonstrations have been sporadic and facilitated by strong logistical from the authorities.

The Higher Council of the Crimea, a southern region of the country on the Black Sea with historical Russian ties, issued a statement Wednesday calling on Yanukovych to take decisive steps to bring the situation under control, UNIAN reported.

“We demand that you, as head of state, take concerted action and extreme measures. This is expected by hundreds of thousands of people in the Crimea that voted for you in the presidential elections and who hope for stability,” the regional body said, according to UNIAN.

With the Kiev metro system shut and entry into the capital city restricted, communication links in other parts of the country also appeared to be breaking down.

Anti-government activists blocked the Krakovets border crossing between Ukraine and Poland overnight, lighting fires from piles of tires, UNIAN reported.

Trains between Lviv and Kiev and Ivano-Frankivsk and Kiev were delayed Wednesday morning after reports of explosive material being carried on board, Russian media reported.

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3)

Interfax
February 19, 2014

Number of Western countries responsible for current events in Ukraine by encouraging opposition – Lavrov

KUWAIT CITY:Extremists are to blame for the events happening in Ukraine, however opposition forces, which refused the compromise, and Western countries, which interfered in the domestic affairs of Ukraine, bare some responsibility as well, Russian Foreign Minister Sergei Lavrov said.

“Of course, the blame is on extremists, who tried all these weeks and all these months to bring the situation to such forceful scenario but considerable share of responsibility is also on opposition activists, who refused compromise, gave the authorities demands outside the legal frame and in the end turned out to be incapable to fulfill what has been agreed,” Lavrov said at a news conference following a meeting with his Kuwaiti counterpart.

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4)

RT
February 18, 2014

Moscow accuses US diplomats of ‘puppeteering’ Ukraine

A leading Russian Foreign Ministry official has condemned the US State Department attempts to influence the political situation in volatile Ukraine and warned that such behavior could lead to tragic results.

The United States is trying to impose a “Western vector of development” on Ukraine while camouflaging their intent with calls not to obstruct the free choice of the Ukrainian people, Russian news agencies quoted the ministry’s Aleksandr Lukashevich as saying.

The Russian diplomat called such an attitude “puppeteering”, adding that the recent statement by US State Department spokesperson Marie Harf was a typical example. In the statement, the US gave instructions regarding future actions of the Ukrainian government, Lukashevich said. Such instructions included a demand to stop all cases against the participants in the street riots, and to immediately start to form a multi-party technical government, the Russian official stated.

Such US behavior is very well known and it leads to tragic results, the Foreign Ministry representative emphasized.

Lukashevich also said that the US had apparently started “casting” for future places in the technical Ukrainian government, or at least such a conclusion could be made from a telephone conversation by a top US diplomats that had been made public on YouTube. In the clip that appeared on the internet in early February, Washington’s new top diplomat for Europe, Victoria Nuland, is heard saying “f**k the EU” while speaking with the US Ambassador to Ukraine, Geoffrey Pyat, on how to end the ongoing political crisis in Ukraine. The conversation continues with Nuland suggesting that one of Ukrainian opposition leaders, Vitaly Klichko is not fit for government work and should make way for another candidate, Arseniy Yatsenyuk.

As fresh violence erupted on Kiev’s streets on Tuesday the Russian Foreign Ministry issued another statement. It considers the crisis “a direct result of the permissiveness policy exercised by those western politicians and European structures who were from the very beginning turning a blind eye at the aggressive actions of the radical forces in Ukraine.” The ministry added that such an attitude was encouraging the radicals to escalate the violence and further provoke their opponents.

Russian diplomats again called upon the Ukrainian opposition to abandon threats and ultimatums and start a meaningful dialogue with the authorities in order to take the country out of the deep crisis.

Russian politicians have repeatedly called on their foreign colleagues to abstain from interfering in the Ukrainian political crisis. In January the upper and lower houses of the Russian parliament passed separate declarations that called the civil unrest in Kiev an organized campaign aimed at displacing lawfully elected officials. The Russian MPs also warned that the Ukrainian crisis could have grave consequences for the country’s people, statehood and territorial integrity.

President Vladimir Putin also expressed concern about the political situation in Ukraine in late January but assured that Russia would not cancel its help to the Ukrainian economy and people if Ukraine also honors the agreements.

In mid-December the Russian and Ukrainian presidents agreed on a plan under which Russia is buying $15bn of Ukrainian debt in 2-year bonds and also giving Ukraine a $3.5 billion discount on natural gas purchases on behalf of state-owned Gazprom. Ukrainians will pay $268.5 per thousand cubic meters of natural gas instead of $400, a nearly 33 percent discount.

At a recent government conference Putin spoke of the aid plan and told officials that all contracts with Ukraine must be completely fulfilled. However, the President added that Russia would wait for Ukraine to form a new government before starting to execute its obligations.

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5)

Voice of Russia
February 19, 2014

US annuls visas to Ukrainian officials, new sanctions expected – US diplomat

The United States is considering all means to influence those guilty of using violence in Ukraine, US Ambassador to Kiev Geoffrey Pyatt told reporters on Wednesday.

As to the sanctions, the US has already cancelled visas of some officials, who, as the US thinks, are involved directly in using force at Maidan, Pyatt said.

The US has already said that all instruments of policy are currently on the table, the ambassador said.
Pyatt said he expected Washington to announce new sanctions soon. The US condemns the violence that occurred during the Maidan protests and thinks that the right to peaceful protests should be protected, he said.

Voice of Russia, Interfax

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6)

Itar-Tass
February 19, 2014

Responsibility for events in Ukraine completely on extremists, Dmitry Peskov says

MOSCOW: All responsibility for the current unrest in Ukraine lies squarely on the extremists, Russian presidential spokesperson Dmitry Peskov has said.

“The Russian leadership and president believe that the responsibility for the current developments lies squarely on extremist elements, whose actions can be regarded as a government coup,” Peskov said. “This applies to the seizure of buildings and attempts to lay hands on weapons.”

At the same time he said that “the Russian president’s position is confined to waiting for an early settlement of the situation,” Peskov said, adding that the ways and means of achieving a settlement was Ukraine’s own business.

Peskov said that late last night the Russian and Ukrainian presidents had a telephone conversation. He dismissed as a fake mass media allegations about the contents of what was said.

“Everything that has been published about the contents of the conversation is not true,” Peskov said.

“The Russian president did not give any advice before and is not giving advises to his Ukrainian colleague on what to do. And he does not intend to advise him in the future,” Peskov added.

The presidential spokesperson said that Moscow was maintaining a dialogue with all civilized political forces in Ukraine.

In reply to journalists’ question about extending a second loan tranche he said: “I cannot say anything on the issue yet.”

“Obviously, in the situation when extremists stage what is happening in Ukraine, settlement of this situation is the top priority,” Russian presidential spokesman Dmitry Peskov stated.

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7)

Itar-Tass
February 19, 2014

Rioters in Western Ukraine seize hundreds of firearms – security service

Rioters who stormed the service’s offices in the Ivano-Frankovsk Region and also in the Lvov and Ternopol regions in the west of the country have laid hands on a large amount of weapons

KIEV: A senior official of Ukraine’s Security Service said that rioters who stormed the service’s offices in the Ivano-Frankovsk Region and also in the Lvov and Ternopol regions in the west of the country have laid hands on a large amount of weapons.

According to the service’s deputy chief, Vladimir Poroiko, in Ivano-Frankovsk the attackers seized 268 firearms, including two machine-guns, 92 hand grenades, and about 10,000 cartridges.

“We are trying to track down where the weapons are to leave no chance for them to be used in mass riots,” he said.

Also, Poroiko said that the rioters may have seized some classified information.

“The Security Service is doing its best to ensure the confidential information the rioters may have obtained should not be disclosed,” he said, adding that the information concerned had been received from foreign counterparts.

The main task of the Ukrainian Security Service is now to maintain the country’s security and territorial integrity, and we do hope that the standoff will be defused and an escalation of the conflict prevented.

Earlier in the day the Ukrainian Security Service had announced a decision had been made to launch a nation-wide counter-terrorist operation.

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8)

Interfax-Ukraine
February 19, 2014

Ukraine riots death toll climbs to 26 – Health Ministry

The death toll from the riots in Kyiv has climbed to 26, and 10 of these people are Interior Ministry officials, Ukrainian Health Minister Raisa Bohatyriova said.

“As for the overall number of people who have died or have been killed during these events, this number is 26. Ten of them are Interior Ministry officials and the rest are participants in the events that have taken place in the center of Kyiv,” Bohatyriova said at a press conference in Kyiv on Wednesday.

The Health Ministry reported earlier about 25 fatalities.

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9)

Interfax-Ukraine
February 19, 2014

In Kyiv 263 participants of disturbances, 342 policemen hospitalized – acting Health Minister

As of now, 263 participants of mass disturbances and 342 policemen, mostly with gunshot wounds, are currently is Kyiv medical facilities, acting Ukrainian Health Minister Raisa Bohatyriova said.

“Out of 388 citizens, who sought medical care, 263 participants of mass rallies have been admitted to hospitals and about 160 patients are in serious condition, moderately serious condition and extremely serious condition,” Bohatyriova said at a briefing in Kyiv on Wednesday.

Main injuries are gunshot wounds, she said.

At the same time, 371 law enforcement officers have sought medical care (since yesterday’s events until noon on Wednesday) and “342 people have been hospitalized and, as of 2 p.m. (4 p.m. Moscow time), ten people, including two traffic police officers, have been killed,” Bohatyriova said.

Policemen wounded are in Kyiv hospitals and central hospital of the Interior Ministry and 72 of them have gunshot wounds and 82 are in moderately serious condition and serious condition, the acting minister said.

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10)

Voice of Russia
February 19, 2014

About 800 injured in Kiev clashes – Ukrainian officials

A senior Interior Ministry official said on Wednesday that about 800 people, including 392 police officers, had been injured in current clashes in Kiev.

Oleh Tatarov, deputy head of the ministry’s investigation department, said during a meeting in Kiev with foreign ambassadors that 350 people, both police and civilians, had been hospitalized with injuries.

“Eighty-three law enforcement officials were admitted [to the hospital] with gunshot [sic] wound and are in severe condition,” Tatarov said. He said 10 officers had been shot dead, and that all of them had been killed with “improvised weapons.”

Tatarov said 59 people had been arrested.

Voice of Russia, Interfax

=== 2 ===
21 February

NATO moving east, building 'Roman Empire' in Europe – FM Živadin Jovanović
NATO’s first act of illegal "humanitarian" aggressive war called "Operation Deliberate Force" in 1995 against the Republic Srpska which it got away with and emboldened it to later carry out "Operation Allied Force", the merciless brutal air campaign against civilian targets in the Federal Republic of Yugoslavia. The fact that NATO was allowed to get away with these acts of aggressive war and that the US/NATO architects were allowed to carry out such scenarios emboldened the "alliance" even further and has led to the recent global expansion by NATO and the scores of "regime change" and "resource wars" presented as "humanitarian interventions". The scenario is almost identical every time and is currently being played out in Ukraine. On the 15 year anniversary of the aggression on Yugoslavia, in an exclusive interview, the Voice of Russia spoke to the last Foreign Minister of the Federal Republic of Yugoslavia Živadin Jovanović.
This is John Robles, I’m speaking with Živadin Jovanović. He is the former Foreign Minister of Yugoslavia and the Chairman of the Belgrade Forum for a World of Equals. This is part 1 of a longer interview. You can find the rest of this interview on our website at voiceofrussia.com.
PART 1
Robles: Hello Sir! How are you this evening?
Jovanović: Fine, John. I’m glad to be able to talk for the Voice of Russia.
Robles: Thank you! And it is a pleasure for me to speaking with you. I’ve read a lot of your work. Given your background as the Foreign Minister of the former Yugoslavia, you were the Foreign Minister during the upheavals and the foreign-initiated revolutions that destroyed the country, can you tell us a little bit about the histories, maybe, something we don’t know about and give us your views on what is happening now in Ukraine and in Bosnia etc?
Jovanović: Well, I would like to recall that the Dayton Peace Agreement about peace in Bosnia and Herzegovina was reached in 1995 and the key figure in reaching the peace in Bosnia was Slobodan Milosevic, at the time President of the Republic of Serbia and later on the President of the Federal Republic of Yugoslavia.
I would like to say that his role was widely recognized, at that time, as a peace-maker in the Balkans. And indeed, no one of the other leaders of the former Yugoslav Republics did contribute to reaching peace in the civil war in Bosnia and Herzegovina, as Slobodan Milosevic did. This was repeatedly stated at the Paris Conference which formally marks the signing of the peace agreement and he was hailed by the presidents of the US, of France and many other countries.
But we know now that in Dayton Americans wanted also to discuss the problem of the Serbian southern province of Kosovo and Metohija. And they wanted to include this into the Dayton Negotiations agenda. Slobodan Milosevic and the Yugoslav delegation decisively refused this, even saying that if the Americans want to discuss the internal issue of Yugoslavia, of Serbia, at an international forum, they would not take part in such an exercise.
So, faced with this refusal of Slobodan Milosevic, Americans, first of all, Richard Holbrook (the then State Secretary) and the other officials of the US accepted to discuss only how to reach the peace in Bosnia and Herzegovina. And the peace was really reached in Dayton.
But later on they needed Milosevic in the process of implementing the Dayton peace agreement. Many conferences, many meetings were held all over Europe: in Geneva, in Rome, in Berlin and various other capitals and in Moscow too, as to how secure the implementation of the Dayton Peace Agreement.
All this time Yugoslavia and President Milosevic were needed as a key peace factor. Without Yugoslavia and President Milosevic nobody could imagine reaching the implementation of the Dayton Peace Agreement. But this was also a period when Yugoslavia was freed from UN sanctions, which were based on accusations that Yugoslavia was committing aggression in the Bosnian civil war.
The sanctions were adopted at the Security Council in May 1992 and they lasted until 1995 when the Dayton Peace Agreement was reached. They were afterwards abolished, first suspended and then, finally, abolished. But the USA did not abolish its own sanctions, the so-called "outer wall" of sanctions. That means that the Americans did not allow Yugoslavia to renew its membership in OSCE, in the UN, position in the World Bank, in IMF and many other international organizations.
They kept these tools for the reason that they had other plans. And they didn’t actually forget that Milosevic was not willing to allow treatment of the internal issue of Kosovo and Metohija on the international scene.
So, after the stability in Bosnia and Herzegovina was settled, after Milosevic was not needed any longer to cooperate on Bosnia and Herzegovina, they opened the problem of Kosovo and Metohija.
Well, they not only opened, but they were financing, training and organizing terrorist organization: the so-called KLA. It was not actually only the US who did it, but the American European allies, like Germany, like Great Britain and some other countries were very cooperative in supporting separatist movements and the terrorist organization of KLA in Kosovo and Metohija.
So, they were bringing up this internal problem of Serbia in various international forums and they were actually provoking clashes on the territory of Serbia. Many policemen, many teachers, many soldiers and many Serbian public workers were killed in 1997-1998. And so in 1998 the government did not have any other possibility than to confront the rising terrorism in Kosovo and Metohija.
At that time the US started to initiate negotiations with Milosevic. Richard Holbrook was leading negotiations, tere were rounds and rounds of negotiations. All the time it was clearly seen that Americans are siding and propping up separatism in Kosovo and Metohija, and squeezing Serbia, squeezing Milosevic to accept various conditions that in principle were not acceptable.
So, in June 1998 the American administration actually recognized the terrorist organization called KLA as a "liberation" organization. And we have a witness in British Colonel John Crosland, who was the British military attaché in Belgrade who had (gave) a written a testimony to the Hague Tribunal stating among other things that in June 1998 President Clinton, Richard Holbrook and Madeline Albright decided to overthrow Milosevic and they considered that the KLA (terrorist organization KLA) in Kosovo could be a "tool" in achieving this objective.
John Crosland said: "From that moment onwards it was absolutely irrelevant what we thought about KLA, whether it was a terrorist or a liberation organization, because "the center of power" decided it was an ally."
This organization will later on, when there was a military aggression of NATO against Yugoslavia in March 1999, it turned to be a ground force of NATO. NATO was in the air and KLA was on the ground.
So, we actually see a certain period of preparation of this aggression. Preparations were going on to stigmatize the Government of Yugoslavia with Milosevic as not cooperating, not predictable and authoritarian. And the whole network of western propaganda, of NATO propaganda was repeating what was the position of the State Department and of the Foreign Office in London. The stigmatization was the first stage of preparing the European and international public for what was to follow later.
Then, they staged the so-called massacre of Albanian civilians in Račak, in Kosovo and Metohija. In Račak there was a security action of the security forces of Yugoslavia against units of KLA. And it was announced to the OSCE and to the so-called "international community" that there will be a security operation against the terrorist organization.
And everybody in place, in Kosovo and Metohija and from the international community were informed. And some of them really did observe, some of them even filmed the operation. It was a legitimate operation of the government forces against terrorism.
But nevertheless, the American Ambassador Walker who was in charge of the OSCE mission in Kosovo and Metohija proclaimed: "It was a massacre of civilians!"
This was like a triggering moment for NATO to take action. And this is a detail which was to be repeated in many ways later on.
Before that we had, in Bosnia, the so-called Markale incident when civilians queuing in front of a bakery were bombed and killed and accusations were immediately directed at the Serbs in Bosnia and Herzegovina, while today we have even the military from the former Muslim side and Izetbegović’s side, and Russian experts and other experts from the UN claiming that there was no proof of the Serbian side being involved in that. Everybody says that Muslims had provoked this massacre themselves in order to attribute it to the Serbian "enemy".
We have in Syria, you know, about the Sarin gas and so on.
Robles: If we could, before we get too far along here, because I have a lot of questions, because this is the exact same thing that they’ve done in Libya, in Syria, in Ukraine, now in Bosnia they are trying to do it again, in Egypt... Every country they want to overthrow they do the same thing. They’ll support any terrorist. In Ukraine they are supporting neo-Nazis. It doesn’t matter, as long as they can overthrow the government. In the Middle East they are supporting Al-Qaeda. In Libya, in Syria it is Al-Qaeda terrorists. I agree with you 100%. I’d like to ask you some questions. If you could, give me some more details about… you were the Foreign Minister, you knew what was going on: why and when exactly did they start talking about Kosovo? That appears to be their initial goal – Kosovo – from the beginning.
Jovanović: Exactly!
Robles: Why is that?
Jovanović: Well, I always claimed from the very beginning, it was not for regional or local objectives. It was a matter of geopolitical objectives of the US and of the leading NATO countries.
Recently at one conference in Germany I was asked: "What were the geopolitical reasons for the aggression of NATO on Kosovo?"
I said: "Well it is first of all the realization of the policy of expansion of NATO towards the east. The objective was to make a base for further military expansion towards the Russian borders."
I was even blunt to say that they want to get closer to the resources of Siberia, to the resources of the Middle East, to the Caspian Basin and so on and so forth.
And the people who asked me the question were quite silent after that, they didn’t have any other comments. I think everybody realized that we completely understand the essence of the American strategy.
The American strategy has been tabled in April 2002 at the NATO summit in Bratislava. We have a written document of the German politician Willy Wimmer, who was present at that NATO summit, in the form of his report to the then Chancellor Gerhard Schröder. Willy Wimmer among other things in his report quotes that the American strategist informed the NATO allies in Bratislava in April 2000 that the NATO strategy is to establish a similar situation in Europe as it was in times when the Roman Empire was at the peak of its might.
So, they said from the Baltic to Anatolia in Turkey there should be the same situation as in the era of the Roman Empire. And they quoted some concrete examples. They said Poland should be surrounded by friendly countries. Bulgaria and Romania should be a bridge towards Asia. And Serbia should be permanently kept out of European development.
So, we see that Kosovo was a starting point of a military expansion towards the East. In 1999, exactly 15 years ago the Americans established their military base Bondsteel, which by many political analysts is considered to be the largest American military base in the world outside of the American territory.
Robles: Yet it is!
Jovanović: And if we presume that it is the largest or one of the largest, the question is why it should be based in Kosovo, when Kosovo and Serbia are so small, so tiny places. And there is no explanation from a regional point of view.
You were listening to part 1 of an interview with Živadin Jovanović. You can find the rest of this interview on our website at voiceofrussia.com.
=== 3 ===

Berlin and Washington foment civil war in Ukraine

20 February 2014

Recent events in Ukraine are a warning to the working class. They make clear that political leaders in Washington, Berlin and Brussels are prepared to split the country, drive it into civil war and risk a conflagration across the entire region to achieve their geopolitical goals.

Following the failure of the Ukrainian opposition and its Western supporters to overthrow President Viktor Yanukovych by means of demonstrations and replace his regime with an EU-friendly government, armed fascist gangs are being mobilized to achieve the same aim.

On Tuesday, Kiev witnessed the bloodiest clashes since the protests began three months ago. Twenty-six people, including several policemen, were killed, and some 1,000 were injured when gangs armed with paving stones, guns and firebombs engaged in violent street battles with government security forces.

Even Western media outlets, which have propagandized in support of the opposition, could not entirely ignore the role of ultra-right forces in the violent protests. The Financial Times reported, “Some demonstrators wearing camouflage clothing, military helmets and bullet proof vests responded with what appeared to be hand guns.” The same newspaper wrote: “Right Sector, one of the most militarized protest groups, urged citizens with guns to join the encampment.”

German news channel N24 reported that the “radicals of Right Sector have hijacked the protest movement.” Noting that the group consists of “supporters of ultra right-wing organizations across the country,” it added, “With their faces hidden behind masks or helmets, they attack the police in Kiev with batons and iron bars.”

The US and German governments are supporting these paramilitary neofascist groups in order to increase pressure on Yanukovych and his government. The Frankfurter Allgemeine Zeitung expressed this bluntly. It “no longer matters if it was radical opponents of the regime or the security forces who first resorted to violence on Tuesday,” the paper stated. “Now only one thing can help: the rapid resignation of Yanukovych.”

On Monday, German Chancellor Angela Merkel warmly received Ukrainian opposition leaders Arseniy Yatsenyuk and Vitali Klitschko, but turned down their call for sanctions. After the bloody riots in Kiev, she reversed herself and expressed support for sanctions against the Yanukovych government. In a joint appearance with French President François Hollande, she denounced the security forces in Ukraine for brutality.

Similar comments were made by the US government, which called on the Ukrainian government to withdraw its riot police. “There will be consequences if people cross a line,” President Barack Obama threatened.

The fact that Berlin and Washington are prepared to exploit the services of paramilitary fascist gangs for their own purposes exposes the official propaganda, which states that what is at issue in Ukraine is the rule of law and democracy. In fact, the aim is to replace the regime of Yanukovych with one that will distance itself from Russia, subordinate itself to the European Union and impose brutal austerity policies on the Ukrainian working class.

This is also the aim of the opposition led by Klitschko, Yatsenyuk and Oleh Tyahnybok, whose Svoboda party openly celebrates the Nazi collaborator Stepan Bandera and espouses anti-Semitism and racism.

The battle for Ukraine is part of efforts by the US and the European powers to incorporate all of Eastern Europe into their sphere of influence and isolate Russia. This process began with the restoration of capitalism, continued with the incorporation of the former Eastern Bloc countries and the Baltic States into NATO and the EU, and is now to be extended to large parts of the former Soviet Union.

Ukraine, with its network of energy pipelines, strategically important military bases and heavy industry, is a major target of American and European imperialism. On two occasions in the last century, in 1918 and 1941, German imperialism invaded Ukraine. In World War II, Hitler’s armies massacred millions of Ukrainians.

Ukraine also serves as a base to draw other former Soviet republics into the sphere of influence of the EU. In an article for Carnegie Europe, journalist Judy Dempsey referred to the crisis in Ukraine as “a great opportunity for the EU.” She continued: “Now is the time for the EU to start selling itself, not just in Ukraine but also in Georgia and Moldova.”

The installation of a client regime in Ukraine or imperialist carve-up of the country is ultimately aimed against Russia itself. Various think tanks are studying the ethnic and political tensions that could be exploited to bring about regime change in Russia and dismember that country as well.

The policies pursued by Washington, Berlin and Brussels in Ukraine, with the support of their right-wing and fascist allies, are directed against the social and democratic rights of the working class. They risk civil war and increase the danger of a military confrontation with Russia.

The Ukrainian working class cannot avoid these dangers by supporting the camp of Yanukovych. His regime is corrupt and bankrupt, representing a different faction of oligarchs than those backing the opposition. They all agree when it comes to the looting of public property and the impoverishment and suppression of the working population.

The only way forward for the working class is to build an independent socialist party that fights for the expropriation of the oligarchy and the nationalization of the banks and corporations, uncompromisingly rejects imperialism and nationalism, and fights for the unity of Ukrainian workers with the workers of Russia, Europe and the rest of the world.

Peter Schwarz

 ===  Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS https://www.cnj.it/ http://www.facebook.com/cnj.onlus/  === * ===


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(deutsch / english / italiano)

Kiev, fascisti al potere: attacchi a comunisti ed ebrei

1) Roma, Corteo a san Giovanni: tra le badanti i neonazisti (Il Manifesto, 24.2.2014)
2) Kiev, fascisti al potere: attacchi a comunisti ed ebrei. Che pensano all’evacuazione (Marco Santopadre, 25/2)
3) UCRAINA, SIRIA, VENEZUELA… SCENDIAMO IN PIAZZA ANCHE CONTRO LA GUERRA (SIBIALIRIA, 21/2)
4) Ucraina, chi ha organizzato la guerra civile? (Giulietto Chiesa, 20/2)
5) Vom Stigma befreit
Am 20. Februar ist der Berliner Außenminister Dr. Frank-Walter Steinmeier (SPD) mit dem ukrainischen Faschistenführer Oleh Tiahnybok in den Räumen der deutschen Botschaft in Kiew zusammengetroffen… (GFP 21.02.2014)
6) Testfeld Ukraine 
Berlin kündigt nach dem Staatsstreich seiner Stellvertreter in der Ukraine weitere Unterstützungsmaßnahmen für sie an… Jüdische Organisationen warnen vor einer neuen Welle des Antisemitismus… (GFP 24.02.2014)
7) U.S., EU, out of Ukraine! (WW Editor, February 21)


PER AGGIORNAMENTI CONTINUI SUL GOLPE EUROPEISTA IN UCRAINA:

VEDI ANCHE:

Chernoghyv, Ucraina - Come ai tempi di Mussolini e Hitler i fascisti sostenuti dall'Unione Europea danno l'assalto alle sedi del partito comunista

VIDEO: Le immagini del colpo di Stato nazista promosso dalla Unione Europea

VIDEO: Guerra Civile Ucraina
di Giulietto Chiesa - Pubblicato in data 19/feb/2014

VIDEO: Odessa, 23 febbraio - Decine di migliaia dicono no al fascismo e ai suoi protettori di NATO e UE 

VIDEO: I cittadini di Kharkov accorrono sotto il monumento a Lenin 
http://www.youtube.com/watch?v=ebbfkKCjHmE

Il golpe è servito, l’Ucraina a rischio secessione (Marco Santopadre)

Appello del Primo Segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista Petro Simonenko ai compagni di Partito 


Medvédev “No se puede negociar con gente armada y con máscaras” + Fotos el rostro del fascismo
http://eladversariocubano.wordpress.com/2014/02/24/medvedev-no-se-puede-negociar-con-gente-armada-y-con-mascaras-fotos-el-rostro-del-fascismo/

L’Ukraine ou comment ne pas se laisser manipuler ? (Nicolas Bárdos-Féltoronyi)
Ukraine and the Rebirth of Fascism (by ERIC DRAITSER)
USA et UE s’allient aux fascistes ukrainiens (Eric Draitser)

Sebastopoli (Ucraina): la popolazione respinge i fascisti

24 febbraio: bombe molotov contro la sinagoga di Zaporozhie

Nel video, il "governo" della città di Rivne. Aleksander Muzyko (Sashko il Bianco), che alla metà degli anni '90 ha combattuto in Cecenia dalla parte dei terroristi islamici. Sfodera il mitra e dice: Volete che deponga le armi? Provate a prendermelo. Chi vuole provare, nessuno? Bene, ascoltate la legge del mio fucile"…


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Corteo a san Giovanni: tra le badanti i neonazisti


—Redazione,  24.2.2014

Crisi ucraina. Manifestazione a Roma delle badanti ucraine, ma spuntano i simboli di Pravyi Sektor


Dome­nica si è svolta nel pieno cen­tro di Roma un’affollata mani­fe­sta­zione di cit­ta­dini ucraini pro­mossa da alcune orga­niz­za­zioni pre­senti in Ita­lia.
Il cor­teo era com­po­sto pre­va­len­te­mente da donne che sven­to­la­vano le ban­diere ucraine, che appa­ri­vano nuove di zecca e da poco distri­buite, e che sono state innal­zate assieme a stri­scioni con­tro Yanu­ko­vich e il governo demo­cra­ti­ca­mente eletto nel 2010.
Nel cor­teo erano pre­senti — tra i più esa­gi­tati — anche molti gio­vani dalla testa rasata, dell’organizzazione di estrema desta, xeno­foba e anti­se­mita, Pravy Sek­tor, che anno­vera nel pan­theon dei pro­pri eroi, oltre all’ultranazionalista Ste­pan Ban­dera, anche la fami­ge­rata divi­sione delle SS ucraine «Gali­zia».
Que­sto drap­pello interno al cor­teo mar­ciava die­tro un grande stri­scione rosso e nero con il logo della loro orga­niz­za­zione, assieme a ban­diere nere con, in bella evi­denza, teschio e tibie.
Il cor­teo lan­ciava slo­gan a nome di «tutta l’Ucraina», ma era in realtà com­po­sto in modo quasi esclu­sivo da per­sone, per­lo­più donne impe­gnate nel lavoro di badanti, pro­ve­nienti dall’Ucraina occi­den­tale e dall’area di Leo­poli, dalla Gali­zia e dalla Buco­vina. Con una nutrita pre­senza di preti e suore «uniati», ovvero cat­to­lici di rito greco-bizantino che rico­no­scono l’autorità del papa, la reli­gione dell’Ucraina occi­den­tale.
Il Vati­cano durante la Guerra fredda ha soste­nuto gli uniati e ha for­mato il loro clero in fun­zione anti­co­mu­ni­sta e anti­so­vie­tica, dando asilo anche a molti di loro che si erano mac­chiati di gravi cri­mini come col­la­bo­ra­zio­ni­sti dei nazi­sti nello ster­mi­nio di ebrei, polac­chi e par­ti­giani.
I preti uniati sono stati atti­vis­simi a piazza Mai­dan, dove si sono par­ti­co­lar­mente distinti, cele­brando messe per i rivol­tosi e par­te­ci­pando ai comizi ed esi­bendo imma­gini e icone sacre. A Leo­poli e in tutta la zona della Gali­zia, molti preti hanno invo­cato la rivolta armata con­tro il regime «giudaico-comunista» di Yanu­ko­vich, come testi­mo­nia il web, you­tube com­preso, che ospita molti degli appelli pro­nun­ciati dai preti uniati. la desti­na­zione della mani­fe­sta­zione era non a caso a piazza San Gio­vanni e l’intento dichia­rato quanto pre­pa­rato era di essere rice­vuti in dele­ga­zione dalle auto­rità della seconda basi­lica romana. Vuoi vedere che la crisi ucraina esplode nelle mani del «povero» Fran­ce­sco I.


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Kiev, fascisti al potere: attacchi a comunisti ed ebrei. Che pensano all’evacuazione

di Marco Santopadre
Martedì, 25 Febbraio 2014 09:47

A Kiev si discute del nuovo governo, che nelle dichiarazioni dei nuovi padroni dovrebbe essere di ‘unità nazionale’, in attesa dei risultati delle elezioni del 25 maggio che si preannunciano fortemente condizionate dalla spaccatura del paese in due e dallo strapotere delle milizie di estrema destra che controllano gli edifici istituzionali e continuano le loro scorribande contro sedi politiche, sindacali e culturali. Dopo aver abolito il bilinguismo concedendo solo all’ucraino lo status di lingua ufficiale in un paese dove per metà della popolazione il russo è lingua madre, ora i deputati nazionalsocialisti (è una definizione che danno di sé stessi, non una nostra forzatura) di Svoboda pretendono la chiusura di tutti i canali televisivi che emettono in russo, ed hanno presentato già una proposta di legge in questo senso mentre alcune emittenti hanno già dovuto cessare le trasmissioni a causa delle minacce. Svoboda e alcune frange dei partiti più ‘moderati’ – Udar e Patria – insistono anche sulla messa fuori legge del Partito delle Regioni e del Partito Comunista.

Finora sono stati proprio i comunisti gli obiettivi preferiti degli squadristi del partito di Tyagnibok e delle milizie di Pravyi Sektor, che continuano ad occupare piazza Maidan e soprattutto ad assaltare e distruggere le sedi dei propri nemici politici.
L’ultima azione quadristica ha preso di mira la casa del segretario del Partito Comunista Ucraino, Petro Simonenko, nel villaggio di Gorenka, vicino a Kiev. Una squadraccia delle cosiddette ‘autodifese di Maidan’, col volto coperto, ha sfondato la porta dell’abitazione di Simonenko ed ha appiccato il fuoco lanciando alcune bottiglie molotov al suo interno.
Ma nel mirino di una estrema destra che sempre spadroneggiare, forte della protezione e della complicità della nuova maggioranza parlamentare, non ci sono solo i comunisti e i sindacati. Anche la consistente comunità ebraica è diventata oggetto di minacce e aggressioni, iniziate del resto già nei mesi scorsi quando numerosi ebrei di Kiev sono stati aggrediti e pestati.

L’ultimo episodio risale a ieri, quando alcune bottiglie molotov sono state lanciate contro la sinagoga di Zaporozhie, località a sud est della capitale, dove nei giorni scorsi i fascisti avevano attaccato la sede del consiglio regionale e poi la sede del partito comunista. La sinagoga - che si chiama Gymat Rosa ed é stata aperta nel 2012 – ha riportato danni limitati. 
Ma nella comunità ebraica ucraina si sta diffondendo un forte timore, tanto che uno dei due rabbini capi del paese, Moshe Reuven Azman , ha invitato gli ebrei di Kiev a lasciare la città e se possibile anche il Paese, temendo l’inizio di una vera e propria persecuzione di massa. Azman ha chiuso le scuole della comunità ebraica e si limita ora a guidare tre preghiere quotidiane ed anche l'ambasciata israeliana ha raccomandato ai membri della comunità ebraica di limitare al massimo le uscite dalle loro case.
Scrive l’inviato della Stampa Maurizio Molinari: “Le preoccupazioni di Gerusalemme riguardano il fatto che «Svoboda» (Libertà) oltre ad avere il 10 per cento dei seggi nel Parlamento ha alle spalle una ventina di formazioni di estrema destra che, nel complesso, arrivano a rappresentare circa il 20 per cento di una popolazione di 46 milioni di abitanti”.
Le autorità israeliane non hanno perso tempo e nel tentativo di sfruttare a proprio vantaggio la situazione determinata dall’ascesa al potere di partiti razzisti e antisemiti hanno inviato a Kiev un ‘team di emergenza’ con l’obiettivo di convincere gli ebrei ucraini a trasferirsi in Israele. La comunità ebraica ucraina censita ufficialmente conta circa 70.000 membri, ma secondo le istituzioni ebraiche sarebbero molti di più, circa 200mila. 
Durante la guerra e l’occupazione nazista, gli ebrei ucraini furono sterminati dai nazisti e dai gruppi nazionalisti ucraini filonazisti a cui oggi si richiamano alcune delle organizzazioni ucraine che hanno assunto il potere dopo il colpo di stato. 


=== 3 ===


UCRAINA, SIRIA, VENEZUELA… SCENDIAMO IN PIAZZA ANCHE CONTRO LA GUERRA

21 FEBBRAIO 2014 
REDAZIONE SIBIALIRIA

Iugoslavia, Libia, Siria, Venezuela, Ucraina…. Il copione è sempre lo stesso. Sparute manifestazioni trasformate da anonimi  cecchini, che sparano indiscriminatamente sulla folla e sulla polizia, per trasformare le “proteste” in massacri. Gigantesche campagne mediatiche, armi e finanziamenti a “ribelli” che fino al giorno prima erano conosciuti come fascisti, jihadisti, gangster…, imposizione di sanzioni, “corridoi umanitari”, No Fly Zone …  

E tutto questo nel silenzio di quello che fu il Movimento contro la guerra che, oggi, persiste nel vedere in queste aggressioni una sublimazione di una qualche “Primavera araba” o “Rivoluzione arancione” . Tutto questo  senza che in Europa quasi nessuna parola di condanna venga pronunciata contro i governi i padroni, la NATO, la BCE … che queste aggressioni conducono per accaparrarsi risorse, giustificare crescenti spese in armamenti,  imporre il loro dominio nel mondo e una militarizzazione nei loro paesi. Così in Germania nei riguardi dell’aggressione all’Ucraina, così in Italia nei riguardi dell’aggressione ieri alla Libia e oggi alla Siria.

Ad aprile è stata convocata a Roma una grande manifestazione contro l’Unione Europea e le sue politiche criminali. Noi chiediamo che tra queste – dopo il davvero scandaloso silenzio su questo argomento che ha caratterizzato le mobilitazioni nazionali del 18 e 19 ottobre 2013 e, ancora prima, quella del 27 ottobre 2012 – sia, finalmente, menzionata la guerra. In primo luogo quella contro la Siria che il nostro Paese sta conducendo, da anni, continuando ad imporre sanzioni ed embarghi, continuando a finanziare e armare i “ribelli”, continuando a partecipare  – insieme ai satrapi delle Petromonarchie -  al Gruppo degli “Amici della Siria”.

Su questo punto Sibialiria intende sviluppare un confronto con i movimenti antagonisti e organizzazioni politiche quali Ross@, Rete dei Comunisti, Rifondazione, Sinistra & Libertà, Movimento Cinque Stelle…

Sibialiria

www.sibialiria.org


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Ucraina, chi ha organizzato la guerra civile?

Giulietto Chiesa

Giovedì, 20 Febbraio 2014 09:28


Come avevo previsto è scoppiata la guerra civile in Ucraina. Mentre scrivo queste righe i morti sono già 25, nella sola Kiev, quasi la metà dei quali sono poliziotti. Si spara dovunque, un giornalista ucraino è stato ucciso, edifici pubblici sono in fiamme, la città è isolata e ogni accesso è impedito.

Non si tratta più di manifestazioni di protesta, di lotta politica. E’ guerra. Le immagini, che in Italia arrivano espurgate (ma chi censura?) – parlo per esempio delle immagini che vanno in onda sulle televisioni russe – mostrano rivoltosi bene organizzati, molti dei quali armati con armi da fuoco di guerra, pistole, lanciafiamme, che vanno all’assalto, occupano edifici amministrativi e statali, i palazzi del potere, che incendiano case con la gente ancora dentro. Il governo della Crimea, repubblica sul Mar Nero, dove c’è la base militare russa di Sebastopoli, ha chiesto perentoriamente a Yanukovic il ristabilimento dell’ordine: primo segno che la Crimea potrebbe staccarsi se la situazione precipitasse. L’est e il nord russofoni al momento tacciono, ma l’ovest e il sud del paese stanno entrando nella rivolta.

Si preannuncia una presa violenta del potere da parte delle opposizioni. Che significherà un bagno di sangue. Il controllo della rivolta è infatti palesemente in mano agli estremisti nazionalisti, alle formazioni paramilitari armate dei “banderovzy” neonazisti.
In queste condizioni il vacillante Yanukovic potrebbe dover ricorrere all’esercito, poiché è evidente che le forze di polizia non sembrano più in grado di ristabilire alcun ordine.

Le cosiddette cancellerie europee, e il Dipartimento di Stato Usa invitano Yanukovic alla moderazione. Il presidente del Parlamento Europeo, Schultz, si dice addolorato per i “dimostranti uccisi” (anche lui guarda solo Euronews e la Cnn). A rendere ridicoli questi inviti e appelli sarebbero sufficienti le immagini che solo le tv russe mostrano, dove la polizia è in rotta o in fuga, o al massimo si difende. Immagini dove abbondano armi da fuoco tra i rivoltosi. Scene indescrivibili, dove gli attaccanti spogliano addirittura un poliziotto a terra, privo di sensi, forse già morto, strappandogli gli scarponi e la giubba. Siamo già molto oltre la protesta politica. Ma, per lui, niente rammarico. Ai nazisti non si chiede moderazione. Essi sono “gli eroici difensori della democrazia europeo-occidentale contro la barbarie russa”.

La vergogna di questa Europa apre una pagina indelebile, che sconvolgerà tutti gli equilibri della sicurezza del vecchio continente. E – lo ripeto – ogni illusione che la Russia assisterà a questa svolta senza reagire sarà saggio abbandonarla. E’ in azione l’Europa della troika. E’ quella Europa, la “loro” Europa,  che ha incoraggiato, preparato, organizzato, finanziato tutto questo. Ed è la terribile, ma purtroppo logica, conclusione della degenerazione irreversibile del progetto democratico europeo. Dico questo a tre mesi dall’elezione del nuovo Parlamento, mentre i sondaggi dicono che il 53% dei cittadini europei “non si sentono europei”. Infatti siamo di fronte alla stessa Europa ingiusta e antipopolare che opprime i più deboli ; quella stessa che mostra il suo volto imperiale ai vicini, mentre digrigna i denti verso la Russia.

Adesso i media ci racconteranno che è tutta colpa della Russia, e di Putin. I cattivi per antonomasia. Premessa per altre provocazioni, che dobbiamo aspettarci nelle prossime settimane, che sicuramente saranno bagnate di sangue.

L’Ucraina va in pezzi e tutti gli equilibri, interni ed esterni sono compromessi. Io grido a gran voce che questa crisi è stata voluta e costruita dall’Occidente. Dunque aspettiamoci altri disastri. America e Europa sono in crisi, in una crisi sempre più grave. Il caos è il modo migliore per occultarla. E’ da quella parte che viene ormai la minaccia di guerra. Noi italiani siamo parte di questa minaccia. Noi, in questa Italia, con un governo ridicolo che in questi mesi non ha detto una sola parola udibile al riguardo, dobbiamo mobilitarci perché il nostro paese si ritragga da questo orrore, che mette a repentaglio anche noi e le nostre famiglie. Dobbiamo chiedere al nostro governo che richiami Bruxelles e la Nato (che sono ormai quasi la stessa cosa) al rispetto delle regole. Non mi faccio illusioni, ma dobbiamo farlo.



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Vom Stigma befreit
 
21.02.2014

KIEW/BERLIN
 
(Eigener Bericht) - Die deutsche Außenpolitik vollzieht eine Zäsur und öffnet sich erstmals für eine demonstrative Kooperation mit Kräften der extremen Rechten. Am 20. Februar ist der Berliner Außenminister Dr. Frank-Walter Steinmeier (SPD) mit dem ukrainischen Faschistenführer Oleh Tiahnybok in den Räumen der deutschen Botschaft in Kiew zusammengetroffen. Unmittelbar flankiert von Tiahnybok stellte Steinmeier sich anschließend für die internationale Öffentlichkeit zu einem offiziellen Presse-Shooting. Wie das Auswärtige Amt auf seiner eigenen Webseite mit einem Bild bestätigt, nahm Tiahnybok, Vorsitzender der rechtsextremen Partei Swoboda, an den mehrstündigen gemeinsamen Verhandlungen über den bewaffneten Umsturz in der Ukraine mit zwei weiteren Oppositionsführern gleichberechtigt teil.
Bekannte Tatsachen
Vor dem jetzigen Verhandlungspartner der deutschen Außenpolitik, dem antisemitischen Rassisten und NS-Wiedergänger Oleh Tiahnybok, hat german-foreign-policy.com in zahlreichen Berichten wiederholt gewarnt.[1] Die Inhalte sind kein Geheimwissen geblieben und wurden auch in anderen Medien mehrmals vermerkt. Trotz der im Auswärtigen Amt bekannten Tatsachen über den vermeintlichen Freiheitskampf der Anführer des bewaffneten Umsturzes hat sich Berlin für einen Weg entschieden, der mit den Verhandlungen zwischen Steinmeier und Tiahnybok sichtbar geworden ist. Zitate aus führenden deutschen Medien zeigen, was Berlin wusste, als es diesen verhängnisvollen Weg des Zusammenwirkens mit den Erben der NS-Kollobarateure, den Mördern an Millionen Polen und Sowjetbürgern, an orthodoxen Russen und jüdischen Ukrainern beschritt. (Das Foto zeigt Tiahnybok unmittelbar rechts neben Steinmeier. Quelle: Reuters.)
"Moskaus jüdische Mafia"
Unter der Überschrift "Klitschkos rechte Hand" schrieb beispielsweise die "Süddeutsche Zeitung" (München) am 7. Februar 2014 über den Berliner Verhandlungspartner Tiahnybok: "Parteichef Tjagnibok beklagte 2004 offen den Einfluss der 'jüdischen Mafia Moskaus' auf sein Land. ... Das Simon-Wiesenthal-Zentrum setzte Tjagnibok im Jahr 2012 auf den fünften Platz seiner Liste der schlimmsten Antisemiten weltweit, der Jüdische Weltkongress bezeichnet seine Swoboda als neonazistisch und stellt sie in eine Reihe mit der griechischen Chrysi Agvi, Goldene Morgendämmerung, und der ungarischen Jobbik." Über Tiahnyboks frühere Partei, die "Sozial-Nationale Partei der Ukraine" (SNPU), schreibt die "Süddeutsche": "Die offizielle Bezeichnung der Partei-Ideologie lautet Sozial-Nationalismus. ... Ungeniert bediente sich die Partei auch der Symbolik des Dritten Reichs. ... Tjagnibok wurde 1998 als Direktkandidat in das Parlament von Lwiw gewählt. Die Stadt gilt bis heute als Neonazi-Hochburg." 2004 transformierte sich die SNPU in "Swoboda" ("Freiheit"); auch diese hielt, wie es in der "Süddeutschen" weiter heißt, unter Tiahnyboks Führung "enge Kontakte zu anderen rechten Parteien, insbesondere zum französischen Front National".[2]
"Rechtsradikale übernehmen die Opposition"
Auch die Friedrich-Ebert-Stiftung (SPD) warnt vor Swoboda, die seit mehr als einem Jahr eng mit den beiden anderen ukrainischen Oppositionsfraktion - "UDAR" (Witali Klitschko) und "Vaterland" (Arsenij Jatsenjuk) - kooperiert. Sie bediene sich "antisemitischer, fremdenfeindlicher und rassistischer Rhetorik", schreibt die Stiftung.[3] Berichte weisen darauf hin, dass vor allem Swoboda von der Radikalisierung der Proteste profitiert. "Rechtsradikale übernehmen Klitschkos Opposition", hieß es schon im Januar; die Partei entwickle sich zum "Auffangbecken für alle Desillusionierten, denen Klitschko nicht radikal genug gegen Janukowitsch vorgeht. Die Gründe für diesen Zustrom sind im Kern dieselben kampferprobten Mittel, die vor mehr als 80 Jahren den Siegeszug der NSDAP in Deutschland vorbereiteten".[4] Tatsächlich handelt es sich um eine Organisation, die nicht nur mit Klitschko, sondern auch mit der deutschen NPD kooperiere. So hat eine Swoboda-Delegation Ende Mai die NPD-Fraktion im sächsischen Landtag besucht. Man wolle die künftige Zusammenarbeit "auf allen Ebenen intensivieren", hieß es anschließend. An der Zusammenkunft war unter anderem der damalige NPD-Parteivorsitzende Holger Apfel beteiligt. Ein Foto zeigt ihn mit einem Funktionär der Swoboda-Partei, deren Vorsitzender sich am Mittwoch gemeinsam mit Steinmeier ablichten ließ.
Erste Parteiverbote
An dem Treffen der Swoboda-Delegation mit NPD-Politikern nahm, wie die NPD berichtet, nicht nur der Abgeordnete Mychajlo Holowko aus der Werchowna Rada in Kiew teil, sondern auch zwei Stadträte aus der westukrainischen Großstadt Ternopil (250.000 Einwohner). In Ternopil hatte Swoboda schon 2009 bei Regionalwahlen gut 35 Prozent der Stimmen erhalten. Der Bürgermeister der Stadt, Sergej Nadal, wollte ursprünglich ebenfalls teilnehmen, musste jedoch kurzfristig wegen anderweitiger Verpflichtungen absagen. Nadal hatte kurz zuvor der NPD-Parteizeitung "Deutsche Stimme" ein Interview gewährt, in dem er äußerte, die "Expansion europäischer Interessen" dürfe "nicht an der ukrainisch-polnischen Grenze haltmachen", sondern müsse "bis an die Grenze Russlands weitergehen". In Ternopil wurde kürzlich - auch dank der Stärke der NPD-Partnerpartei Swoboda - ein zentraler Platz in "Platz der Helden des Euromajdan" umbenannt. Zudem sind erste Verbote für (in Ternopil) oppositionelle Tätigkeiten ausgesprochen worden. So ist es in der Stadt nun verboten, Symbole der "Partei der Regionen" oder der "Kommunistischen Partei" zu zeigen oder für eine der beiden Parteien Aktivitäten zu entfalten (german-foreign-policy.com berichtete [5]). Die Kräfte, die oppositionelle Parteien nicht dulden wollen, sind tragende Kräfte der sogenannten demokratischen Opposition.
Legitimiert
Noch vor wenigen Tagen hat die Friedrich-Ebert-Stiftung darauf aufmerksam gemacht, dass die enge Kooperation nicht zuletzt von Witali Klitschko, einem Zögling der Konrad-Adenauer-Stiftung (CDU), mit Swoboda deren Positionen neue Anerkennung verschafft. Klitschko habe "Swoboda in den Augen der Öffentlichkeit vom Stigma befreit, sie legitimiert", warnt die Stiftung; damit habe er den Eindruck erweckt, "als sei sie als Partner mit anderen Parteien gleichwertig". Die "Süddeutsche Zeitung" bestätigt: "In den vergangenen Wochen stand [Swoboda-Führer, d. Red.] Oleg Tiagnibok in der Tat stets selbstverständlich neben Klitschko und Arseni Jazenjuk von Julia Timoschenkos Vaterlandspartei."[6] Am Mittwoch hat sich die Berliner Außenpolitik der Legitimierung Tiahnyboks und Swobodas angeschlossen.

[1] S. dazu Vaterland und FreiheitEine Revolution sozialer NationalistenTermin beim Botschafter und Nützliche Faschisten.
[2], [3] Hannah Beitzer: Klitschkos rechte Hand. www.sueddeutsche.de 07.02.2014.
[4] Rechtsradikale übernehmen Klitschkos Opposition. www.n-tv.de 22.01.2014.
[5] S. dazu Die Expansion europäischer Interessen.
[6] Hannah Beitzer: Klitschkos rechte Hand. www.sueddeutsche.de 07.02.2014.


=== 6 ===


Testfeld Ukraine
 
24.02.2014
KIEW/BERLIN
 
(Eigener Bericht) - Berlin kündigt nach dem Staatsstreich seiner Stellvertreter in der Ukraine weitere Unterstützungsmaßnahmen für sie an. Kiew könne nun eventuell Finanzhilfen aus Brüssel erhalten, heißt es in Regierungskreisen. Zudem führt eine Delegation des Europaparlaments unter der Leitung des deutschen Abgeordneten Elmar Brok (CDU) in der ukrainischen Hauptstadt Gespräche über das weitere Vorgehen. Die Willkürpraktiken Berlins und seines ukrainischen Personals, die bereits das Vorgehen vor dem Staatsstreich prägten, zeigen einmal mehr, dass die Bundesregierung zu allen Mitteln greift, um ihre geostrategischen Ziele durchzusetzen; in außenpolitischen Kreisen der deutschen Hauptstadt gilt die Intervention in der Ukraine dabei als Testlauf für eine künftige deutsch-europäische Weltpolitik. Im Windschatten der Operationen erstarken faschistische Kräfte weiter: Ein Swoboda-Politiker soll den Posten des Generalstaatsanwalts der Ukraine erhalten. Jüdische Organisationen warnen vor einer neuen Welle des Antisemitismus. Wie der Präsident der Jüdischen Konföderation der Ukraine berichtet, hat sein Verband die westlichen Botschafter in Kiew kürzlich gebeten, sich wegen deren antisemitischer Positionen "von der Swoboda-Partei zu distanzieren" und antisemitische Vorfälle der jüngsten Zeit zu verurteilen. Reaktionen deutscher Stellen, die inzwischen offen mit Swoboda kooperieren, sind nicht bekannt.
Willkürpraktiken
Der Willkürcharakter der Berliner Politpraktiken ließ sich schon bei den Verhandlungen letzten Freitag deutlich erkennen, bei denen es noch um eine Übereinkunft zwischen Opposition und Regierung ging. Gemeinsam mit dem Faschistenanführer Oleh Tiahnybok ("Swoboda"), mit dem "Mann der Deutschen" in Kiew, Witali Klitschko, und mit Arsenij Jatsenjuk zwangen der deutsche Außenminister, sein polnischer Amtskollege und ein französischer Diplomat den ukrainischen Präsidenten Wiktor Janukowitsch, ein "Abkommen" zu unterzeichnen, das eine neue Regierung, eine Verfassungsänderung und vorgezogene Präsidentenwahlen vorsah. Unter welchen Umständen dies geschehen sein muss, lässt die Weigerung des russischen Gesandten Wladimir Lukin erahnen, das Dokument - wie ursprünglich geplant - auch seinerseits zu unterzeichnen. Sogar deutsche Medien behaupten nicht, Lukins Weigerung könne als Freundschaftsdienst für Wladimir Putin eingestuft werden; vielmehr genieße Lukin "unter Menschenrechtlern ... einen guten Ruf"; Human Rights Watch attestiert ihm, "ein gewissenhafter Mensch" zu sein, der "keine Angst vor heiklen Themen hat".[1] Nach der Unterzeichnung des Abkommens unterstellten deutsche Medien dem ukrainischen Präsidenten, er werde es womöglich nicht einhalten. Tatsächlich haben die mit Berlin kooperierenden Protestanführer die Übereinkunft gebrochen - bereits am Samstag, sobald sich nach der Flucht von Janukowitsch die Gelegenheit dazu ergab. Der Bruch geschah per Staatsstreich.
Staatsstreich
Gegen den Staatsstreich vom Samstag hat Berlin, da er prowestliche Kräfte an die Macht gebracht hat, nichts einzuwenden. Präsident Janukowitsch hat sich in der Nacht von Freitag auf Samstag gezwungen gesehen, aus der ukrainischen Hauptstadt zu fliehen; die genaueren Umstände sind immer noch nicht geklärt. Am Vormittag brachten faschistische Milizen den Präsidentenpalast unter ihre Kontrolle. Dann ergriffen die Einheiten des Innenministeriums Partei für die Opposition; zuvor in den deutschen Medien wüst beschimpft, werden sie seither gelobt. Im Rahmen des Staatsstreichs ist inzwischen Präsident Janukowitsch abgesetzt und durch einen Nachfolger aus dem Umfeld der bislang inhaftierten Oligarchin Julia Timoschenko ersetzt worden, die ihrerseits freigelassen wurde. Berlin und Brüssel stellen nach dem Umsturz Finanzhilfen für die bisherige Opposition in Aussicht, die sich nun die Macht in Kiew angeeignet hat. Delegierte des Europaparlaments unter der Führung des deutschen CDU-Europaabgeordneten Elmar Brok haben sich zu Gesprächen über die weitere Entwicklung in die ukrainische Hauptstadt aufgemacht.
"Gegen Kommunisten, Russen und Juden"
Der prowestliche Staatsstreich geht - wie schon längst abzusehen war - mit einer weiteren Stärkung faschistischer Kräfte und einer Steigerung faschistischer Gewalt in der Ukraine einher. So hat laut Berichten ein Funktionär der "Swoboda"-Partei am Wochenende das Amt des Generalstaatsanwalts übernommen. Der "Rechte Sektor", eine extrem rechte Schlägerbande, die angibt, landesweit über rund 5.000 bewaffnete Mitglieder zu verfügen, hat angekündigt, die Proteste fortzusetzen. Einer der Anführer wird mit dem Bekenntnis zitiert, er kämpfe gegen "so lange gegen Kommunisten, Juden und Russen, wie Blut in ihren Adern fließt"; das sei sein "Credo".[2] Dieselbe Zielbestimmung hatten die NS-Kollaborateure der Organisation Ukrainischer Nationalisten (OUN) vorgenommen, als sie an der Seite der Deutschen im Juni 1941 die Sowjetunion überfielen und sich an der Vernichtung des europäischen Judentums beteiligten. Der "Rechte Sektor" begreift die aktuellen Proteste als Kampf gegen russischen Einfluss in der Ukraine; die Zerstörung zahlreicher ukrainischer Lenin-Denkmäler in den letzten Tagen und das faktische Verbot der Kommunistischen Partei in Teilen der Westukraine verdeutlichen den gewalttätigen Antikommunismus der Proteste. Entsprechend sorgen sich jüdische Organisationen um ein Anwachsen auch antisemitischer Gewalt.
"Angst, in die Synagoge zu gehen"
Tatsächlich ist es in jüngster Zeit vermehrt zu Übergriffen gegen Juden in der Ukraine gekommen. So sind bereits im Januar ein Hebräischlehrer und ein Student in Kiew nach dem Synagogenbesuch attackiert worden, berichtet die "Jüdische Allgemeine". Wie Boris Fuchsmann, Präsident der Jüdischen Konföderation der Ukraine, urteilt, ist es "klar", dass Swoboda und andere extrem rechte Kräfte "den Boden dafür" bereiten. "Die Leute haben echte Angst, in die Synagoge zu gehen", berichtet Fuchsmann; dies habe ihm "auch Oberrabbiner Yaakov Bleich bestätigt".[3] Am Samstag hat ein weiterer einflussreicher Rabbiner in Kiew die jüdische Bevölkerung dazu aufgerufen, das Kiewer Stadtzentrum oder gar, wenn möglich, die Stadt zu verlassen, die die Opposition soeben unter ihre Kontrolle gebracht hat. Der Rabbi schildert, Berichte über Pläne, jüdische Einrichtungen zu attackieren, häuften sich. Die israelische Botschaft in Kiew habe den Mitgliedern der jüdischen Gemeinde inzwischen empfohlen, ihre Häuser nicht zu verlassen.[4] Tatsächlich bereiten jüdische Organisationen mittlerweile Hilfsmaßnahmen vor, darunter der Emergency Assistance Fund for Jewish Communities der Jewish Agency, der 2012 nach einem antisemitischen Terroranschlag in Frankreich gegründet worden war.[5]
Keine Reaktion
Die Lage der jüdischen Gemeinden in der Ukraine ist Berlin nicht unbekannt. Wie Feldmann schon im Januar berichtete, hat die Jüdische Konföderation der Ukraine "Briefe an die westlichen Botschafter in Kiew geschickt" und darin angesichts des Erstarkens faschistischer Kräfte gefordert, "sich von der Swoboda-Partei zu distanzieren und sich nicht mit ihren Politikern an einen Tisch zu setzen". Die Botschafter sollten sich "auch entschieden gegen antisemitische Übergriffe äußern", habe es in dem Schreiben geheißen, berichtet Feldmann, der außerdem mitteilt, er habe "in dieser Angelegenheit zusätzlich mit dem Oppositionspolitiker Vitali Klitschko gesprochen".[6] Ohne Erfolg: Klitschko, Berlins Mann in Kiew, kooperiert weiterhin eng mit Swoboda. Auch Berlin hat sich nicht von Swoboda distanziert, sondern die Partei vielmehr aufgewertet, indem Außenminister Frank-Walter Steinmeier ihren Führer Oleh Tiahnybok zu offiziellen Verhandlungen in die deutsche Botschaft lud und sich mit ihm per Foto-Shooting der internationalen Öffentlichkeit präsentierte.[7] Äußerungen deutscher Stellen zu den jüngsten antisemitischen Übergriffen in der Ukraine sind nicht bekannt.
Nur ein Anfang
In Berlin ist unterdessen zu hören, der Machtkampf um die Ukraine könne als Testlauf für die künftige EU-Außenpolitik gelten, die nach dem Willen Berlins aggressiver als bisher auftreten soll. Der aktuelle Konflikt werde zum "Testfall für die Fähigkeit der EU, eine koordinierte Außenpolitik zu betreiben", heißt es beispielsweise [8]; die Ukraine sei "ein Testfeld für eine neue europäische Außenpolitik, die sich einmischt, Risiken eingeht und nicht wegguckt" [9]. Medien bringen bereits spekulativ eine Ausweitung der Unruhen auf weitere Länder in Moskaus Einflussbereich oder gar auf Russland selbst ins Spiel.[10]
[1] Friedrich Schmidt: Mit gutem Ruf. Frankfurter Allgemeine Zeitung 22.02.2014.
[2] "I'll be fighting Jews and Russians till I die": Ukrainian right-wing militants aiming for power. rt.com 23.02.2014.
[3] "Die Leute haben echte Angst". www.juedische-allgemeine.de 24.01.2014.
[4] Ukrainian rabbi tells Kiev's Jews to flee city. www.haaretz.com 22.02.2014.
[5] Jewish Agency promises emergency assistance for Ukrainian Jews. www.haaretz.com 23.02.2014.
[6] "Die Leute haben echte Angst". www.juedische-allgemeine.de 24.01.2014.
[7] S. dazu Vom Stigma befreit.
[8] Mit der Ukraine lebt der alte Ost-West-Konflikt wieder auf. www.wsj.de 19.02.2014.
[9] Der Timoschenko-Bumerang. www.handelsblatt.com 23.02.2014.
[10] U.S. warns Putin against Ukraine grab amid break-up fears. www.reuters.com 23.02.2014.


=== 7 ===


U.S., EU, out of Ukraine!

By Editor on February 21, 2014

The following is a Workers World Party statement on the crisis in Ukraine.

U.S. and European Union imperialism have initiated an offensive against the Ukrainian government. It is part of their attempt to reconquer parts of the former Soviet Union and surround, weaken and destroy Russia.

The corporate media falsely present this conflict as one between the “democratic” West and a popular movement in Ukraine, on one side, and “autocratic” Russia and its supporters in the Ukrainian government on the other. This picture has no relation to the truth.

To overthrow and replace Ukraine’s current government, the Western imperialists are arming and relying on pro-fascist elements that are anti-Russian, xenophobic and anti-Semitic. The U.S./EU-provoked conflict threatens a civil war in Ukraine, or worse.

The corporate media are deceptively comparing the occupation of Maidan in Kiev, Ukraine’s capital, to the Occupy Wall Street movement here. This can confuse some people about the character of the conflict in Ukraine. Far from fighting against the 1%, the Kiev occupiers are fighting for Wall Street and welcome the investment of Western capital in Ukraine.

The pro-Western Ukrainian nationalists are led by racist parties, like Svoboda and the Right Bloc, that are political allies of the National Front in France, the neo-Nazis in Germany and the most reactionary elements on the continent.

The people in the U.S. — especially the youth, workers and those facing oppression here — have nothing to gain from a Western victory over Ukraine and Russia. Regardless of the character of the Putin regime that now heads capitalist Russia, the worst outcome for the workers and the oppressed everywhere regarding the Ukraine struggle would be a victory for U.S. and/or European imperialism.

U.S. and European imperialist banks and corporate power aim to make Ukraine an open market for exports of goods and capital investments. The bosses want access to more low-wage labor so they can bring down wages even further and eliminate workers worldwide.