Informazione


La Storia decretata per legge?

1) Altre iniziative segnalate: Firenze 13 febbraio, Napoli 14 febbraio
2) Claudia Cernigoi: Tra Foibe e Risiera, la memoria condivisa (da La Nuova Alabarda)
3) Davide Conti: La storia per legge (da Il Manifesto)
4) Giuseppe Aragno: L’Italia «democratica»: Alessandra Kersevan non ha più diritto di parola
5) FGC-SKOJ-MS: «NO al revisionismo storico sui fatti del confine italo-jugoslavo»
6) Parma: Foibe, blitz degli studenti antifascisti all'Itis di San Secondo (8/2/2014) 


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Firenze, giovedì 13 febbraio 2014
alle ore 21:00 presso il Circolo dei lavoratori di Porta al Prato, ARCI, via delle Porte Nuove 33


FIRENZE ANTIFASCISTA
organizza


NOI RICORDIAMO TUTTO!
incontro e dibattito su revisionismo storico, foibe e confine orientale
con lo storico SANDI VOLK


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Napoli, venerdì 14 febbraio 2014
alle ore 19.00 presso l'ex asilo Filangieri- Vico Maffei 7, Napoli (traversa di San Gregorio Armeno)

Dibattito/Cine Forum
"Non ricordiamo le foibe... Celebriamo la Resistenza!"

Per demistificare il revisionismo storico e la retorica fascista e nazionalista costruita intorno alla vicenda delle "foibe", proponiamo insieme all'ANPI Napoli un'iniziativa pubblica di studio e riflessione. 

Ne discuteremo con:

Giuseppe Aragno, storico;
Bianca Braccitorsi, staffetta partigiana - Consiglio naz. ANPI;
Daniele Maffione, Responsabile ANPI giovani e scuola - Napoli;

- Aperitivo sociale, seguito dalla proiezione del film doc britannico: "Fascist legacy", sui crimini di guerra compiuti dall'esercito fascista italiano.



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TRA FOIBE E RISIERA, LA MEMORIA CONDIVISA

L’istituzione a breve distanza dalla Giornata della Memoria (27 gennaio) del Giorno del Ricordo (10 febbraio), ha di fatto comportato un interessante evoluzione nell’ambito del concetto di “memoria condivisa”.
Vogliamo premettere intanto che bisogna distinguere tra storia e memoria: la storia è una materia scientifica, una raccolta di fatti inequivocabili: le interpretazioni possono poi essere diverse, ma è un dato di fatto, ad esempio, per i fascisti il 28 ottobre (Marcia su Roma) rappresenta una giornata di festa, mentre per gli antifascisti la fine della democrazia, pur trattandosi di un evento unico, così come il 25 aprile, giorno in cui si celebra la Liberazione dal nazifascismo è per i nazifascisti giornata di lutto.
Ciò detto, entriamo nel merito della questione, iniziando da come l’accezione degli storici Raoul Pupo e Roberto Spazzali (che sembra avere ormai fatto scuola) definisce il concetto di “foibe” e di “infoibati”.
Quando si parla di foibe ci si riferisce alle violenze di massa a danno di militari e civili, in larga prevalenza italiani, scatenatesi nell’autunno del 1943 e nella primavera del 1945 in diverse aree della Venezia Giulia e che nel loro insieme procurarono alcune migliaia di vittime. È questo un uso del termine consolidatosi ormai, oltre che nel linguaggio comune, anche in quello storiografico, e che quindi va accolto, purché si tenga conto del suo significato simbolico e non letterale (in “Foibe”, Mondadori 2003).
Dunque accettiamo questa semplificazione, pur non corretta nel suo significato “letterale”, e facciamo alcuni esempi concreti.
Il 27 gennaio commemoriamo nella Risiera di San Sabba i quattro caduti della missione alleata del capitano Valentino Molina: il capitano stesso, il tenente colonnello Francesco Sante De Forti, Guido Gino Pelagalli e la signora Clementina Tosi vedova Pagani, uccisi dai nazisti il 21/9/44.
Il 10 febbraio, come “infoibati”, commemoriamo Alfredo Germani, Remo Lombroni; Ermanno Callegaris e Giovanni Burzachechi, componenti del Gruppo Baldo agli ordini delle SS, che causarono l’arresto e la morte della Missione Molina: furono arrestati dall’Ozna nel maggio 1945 e compaiono in quell’elenco di incarcerati a Lubiana che risultano “fatti uscire” in date specifiche e dei quali non si sa se furono condannati a morte o trasferiti altrove, tranne Callegaris che morì in prigionia.

Il 27 gennaio commemoriamo gli agenti di custodia deportati nei lager, tra i quali, grazie alla testimonianza di due che furono deportati e rimpatriati (Salvatore Leone e Paolo Lopolito) troviamo il nome di Francesco Tafuro che invece vi perse la vita e possiamo anche leggere (sentenza del Tribunale militare di Padova del 25/10/49) che a causare queste deportazioni fu Ernesto Mari, capo degli agenti di custodia, che a Lopolito disse la sera precedente la partenzae: Come vedi ti ho fatto seguire la via dell’agente Leone: domani partirai per la Germania”. Prosegue la sentenza: “il 18 agosto effettivamente Lopolito veniva deportato e dopo avere subito maltrattamenti e digiuno al campo di concentramento, poté rientrare a Trieste, nei primi del maggio 1945 in miserevoli condizioni”.
Inoltre alla vedova dell’agente Tafuro, che era stato deportato in Germania, era stato detto, il 27/4/45 che il marito stava per tornare ed allora “era andata a pregare il Mari stesso perché intervenisse con la sua opera per far tornare suo marito. A tale preghiera il Mari dichiarò che aveva fatto quanto era nelle sue possibilità e che pertanto non poteva più far nulla, che nessuna colpa egli aveva dell’internamento; e poiché la Tafuro, disperata, alzò il tono di voce egli, prendendola per un braccio la minacciò: stia zitta, che se no, la faccio finire in Germania anche lei”. Lo stesso giorno la donna ricevette la comunicazione che il marito era morto in Germania il 3 marzo”.
Ernesto Mari, arrestato in seguito a queste accuse mossegli dai suoi ex sottoposti, fu ucciso e gettato nell’abisso Plutone da un gruppo di criminali comuni infiltratisi nella Guardia del popolo jugoslava, e pertanto viene commemorato ogni dieci febbraio. Inoltre al suo nome è stata intitolata la caserma degli agenti di custodia a Trieste.

Durante il rastrellamento di Boršt, operato il 10/1/45 da un contingente unito di SS ed Ispettorato Speciale di PS, furono uccisi tre partigiani, mentre un terzo, il ventenne Danilo Petaros fu catturato dopo essere stato gravemente ferito, e fu ucciso in Risiera il 5/4/45, quindi è tra coloro che commemoriamo il 27 gennaio. Ma il 10 febbraio commemoriamo, come “infoibati”, diversi responsabili della sua morte e della morte e degli arresti dei suoi compagni: l’agente dell’Ispettorato Mario Fabian, identificato tra coloro che partecipavano alle torture degli arrestati con la corrente elettrica (che sarebbe stato ucciso da partigiani e gettato nella foiba di Basovizza) e gli altri agenti che compaiono nella “foto ricordo” scattata prima del rastrellamento Matteo Greco (infoibato nella Plutone come Mari da infiltrati nella Guardia del Popolo), Dario Andrian (arrestato e scomparso), Francesco Giuffrida e Gaetano Romano, che risultano invece arrestati e condotti a Lubiana.

Fu ucciso in Risiera il poliziotto aderente ai GAP di Trieste Adriano Tamisari, arrestato dall’Ispettorato Speciale di PS, e di una sessantina di agenti di questo corpo commemoriamo la scomparsa il 10 febbraio, in quanto arrestati dagli Jugoslavi. Tra di essi Alessio Mignacca, resosi colpevole di avere ucciso in un tentativo di fuga il partigiano Francesco Potocnik (in via Giulia) e freddato nella casa dello zio il giovane Agostino Trobez (28/10/44) che era appena arrivato dal Vipacco per partecipare alla Resistenza. Assieme a Mignacca l’agente Romano, anch’egli scomparso a Lubiana.
Mignacca, inoltre fu accusato dalla signora Umberta Giacomini, di avere partecipato al pestaggio della stessa, provocandole un aborto (era incinta di quattro mesi), assieme al commissario Collotti (il “capo” della “banda” che da lui prese il nome) e ad altri due agenti, uno dei quali, Domenico Sica, è anche tra coloro che vengono commemorati il 10 febbraio, in quanto arrestato e scomparso a Lubiana.
Un altro “infoibato” che viene commemorato il 10 febbraio è l’agente dell’Ispettorato Mario Suppani, che fu tra i responsabili dell’arresto, e della successiva esecuzione capitale, dell’anziano militante del Partito d’Azione Mario Maovaz, fucilato il 28 aprile 1944; Suppani, che prese parte anche agli arresti di altri esponenti del CLN giuliano (Paolo Reti, ucciso in Risiera, Ercole Miani, don Marzari ed altri che furono invece liberati), fu arrestato dagli Jugoslavi e condotto a Lubiana, scomparso.
Fu arrestato dagli Jugoslavi e condotto a Lubiana anche il responsabile dell’arresto di 64 abitanti di Ronchi deportati nei lager, 25 dei quali non fecero ritorno: Ferruccio Soranzio, che partecipò anche ad altri rastrellamenti nella provincia di Trieste viene commemorato il 10 febbraio, in quanto non risulta avere fatto ritorno in patria.

Questi sono solo alcuni esempi, ma il caso più eclatante di persona che viene commemorata ufficialmente è quello dell’ultimo prefetto di Zara italiana, Vincenzo Serrentino (fondatore del Fascio in Dalmazia, squadrista, ufficiale della Milizia, Direttorio del PFR) che aveva anche svolto il ruolo di giudice a latere (assieme a Pietro Caruso, che fu poi fucilato a Roma alla fine della guerra) del Tribunale Speciale per la Dalmazia (composto, oltre da Caruso e Serrentino dal presidente, il generale Gherardo Magaldi), che si spostava in volo da Roma per emanare condanne a morte ad antifascisti. Denunciato come criminale di guerra alle Nazioni unite, si era rifugiato a Trieste, dove fu arrestato l’8/5/45, sottoposto a processo e fucilato a Sebenico un paio di anni dopo.

La storia è unica, si diceva, ma la memoria è diversa. Così difficile creare una memoria condivisa tra i parenti di Maovaz e quelli di Suppani, però istituendo due giornate diverse per ricordare i diversi morti ci si riesce perfettamente: ecco un altro miracolo italiano!

Febbraio 2014

(Claudia Cernigoi)


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La storia per legge

Davide Conti

su Il Manifesto del 4.2.2014

Giorno del ricordo. Dieci anni fa l’«istituzione» delle celebrazioni, all'insegna delle "larghe intese"

Se per la «seconda repub­blica» quella delle lar­ghe intese rap­pre­senta una for­mula di governo recente la memo­ria con­di­visa, costruita da voti par­la­men­tari bipar­ti­san e bene­detta dal Qui­ri­nale, si è con­fi­gu­rata negli anni come para­digma consolidato. Tutte le date della memo­ria sono state sta­bi­lite a larga con­di­vi­sione, evi­den­ziando come i par­titi nati dal nuovo conio degli anni ’91-’94 abbiano sosti­tuito con un loro calen­da­rio la nar­ra­zione della «prima repub­blica», incen­trata sulla reto­rica cele­bra­tiva della Resi­stenza, con­fi­gu­rando uno spa­zio pub­blico e un qua­dro poli­tico total­mente de-storicizzato come evi­den­ziano le risse segnate da con­fuse sovrap­po­si­zioni che alter­nano «boia chi molla» a «squa­dri­sti», «nuova resi­stenza» a «bella ciao», e che carat­te­riz­zano il dibat­tito tra mag­gio­ranza di lar­ghe intese, destra ber­lu­sco­niana inclusa, e oppo­si­zione gril­lina. Un par­la­mento così dovrebbe riscri­vere la Costituzione. Il tema dell’uso pub­blico e poli­tico della sto­ria non è certo nuovo. In Ita­lia però ha assunto un forma par­ti­co­lare con­trap­po­nendo l’eloquio for­mal­mente pole­mico che ha accom­pa­gnato l’istituzione delle leggi sulla memo­ria ad una com­patta e larga forma di «soste­gno di neces­sità» sui nuovi metodi della divul­ga­zione della sto­ria patria fina­liz­zati a garan­tire reci­proco rico­no­sci­mento e con­cor­dia nazio­nale. Il pas­sag­gio dall’affermazione di que­sto metodo legi­sla­tivo storico-memoriale alla sua esten­sione come prassi nella dimen­sione politico-contingente è risul­tato, in ultimo, quasi consequenziale. Il giorno del ricordo però più di altre date ha diviso. Il Pre­si­dente Ciampi, eletto bipar­ti­san come il Napo­li­tano II°, nell’ottica del ria­dat­ta­mento del discorso civile ai tempi nuovi della «seconda repub­blica» si pro­digò nel costruire una reto­rica neo-risorgimentale imper­niata sul tema dell’unità nazio­nale e del patriot­ti­smo costi­tu­zio­nale, eser­ci­tando una “com­pres­sione” uni­ta­ria delle vicende sto­ri­che del paese che finì per acco­gliere nel pan­theon con­di­viso anche il viag­gio al sacra­rio di El-Alamein e lo spi­rito della legge del ricordo varata durante la sua presidenza. Nel 2007 la prima cele­bra­zione del 10 feb­braio del Napo­li­tano I° si aprì invece con uno scon­tro diplo­ma­tico con l’allora pre­si­dente croato Stipe Mesic che ricordò i cri­mini di guerra fasci­sti in rispo­sta al Qui­ri­nale che aveva par­lato di «puli­zia etnica slava» con­tro gli ita­liani. Con­flitto poi ricom­po­stosi con l’incontro uffi­ciale di Napo­li­tano con i pre­si­denti Türk e Josi­po­vic alla «Narodni Dom» di Trie­ste, incen­diata dai fasci­sti nel 1920, che segnò quan­to­meno una discon­ti­nuità nella nostra rap­pre­sen­ta­zione pub­blica nazionale. Tut­ta­via la divul­ga­zione sto­rica è ampia­mente dele­gata a fic­tion, scoop gior­na­li­stici, spet­ta­coli tea­trali e can­zoni. Così la rico­stru­zione di una que­stione tra­gica e dolo­rosa come le foibe e l’esodo è affi­data ad un pro­flu­vio di espe­dienti nar­ra­tivi ad alta den­sità di pub­blico e pre­sen­tati con l’immancabile man­tra del «final­mente luce sulla sto­ria taciuta» che accom­pa­gna il nuovo lin­guag­gio di tra­smis­sione sto­rica scelto dalla comu­ni­ca­zione poli­tica. Di con­tro resi­ste solido il muro innal­zato sui cri­mini degli «ita­liani brava gente» e sull’impunità garan­tita dalla «repub­blica anti­fa­sci­sta» ai mas­simi ver­tici mili­tari del regio esercito. Come chiosa sull’interpretazione tutta ita­lica della «memo­ria con­di­visa» è sem­pre utile ricor­dare come a tutt’oggi man­chi la pub­bli­ca­zione uffi­ciale, con tanto di tim­bri dello Stato, dei risul­tati della com­mis­sione italo-slovena isti­tuita dai governi di Roma e Lubiana e for­mata in pari rap­pre­sen­tanza da sto­rici dei due paesi. In Slo­ve­nia è stato fatto. Nella rela­zione finale, pub­bli­cata da Edi­tori Riu­niti, si docu­men­tano il «fasci­smo di fron­tiera» degli anni ’20, i cri­mini ita­liani in Jugo­sla­via, la depor­ta­zione di quasi 100.000 jugo­slavi in campi d’internamento fasci­sti, le foibe e le vio­lenze jugo­slave del set­tem­bre ’43 e mag­gio ’45, fino all’esodo degli ita­liani. È pro­ba­bil­mente per que­sto che siamo a ancora in attesa della pre­sen­ta­zione uffi­ciale di quelle carte nel nostro paese. Magari in un pros­simo giorno sta­bi­lito per legge.


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L’Italia «democratica»: Alessandra Kersevan non ha più diritto di parola


06/02/2014 di giuseppearagno

Da giorni ad Alessandra Kersevan, studiosa seria e preparata, che documenta ogni sua ricerca con grande scrupolo e notevole capacità professionale, si sta impedendo di parlare. Avrebbe diritto di farlo, anche se dicesse sciocchezze, ma non è così. In sua difesa, si dovrebbero sollevare tutti, anche gli avversari. Non parla nessuno. La Boldrini, Grasso, Napolitano recitano, predicano, ma assieme pensano a come far passare una legge liberticida contro quello che chiamano «negazionismo», e punta invece a cancellare la libertà di ricerca, di pensiero e di opinione. Ci mancano solo le manette. Verranno anche quelle, temo. Chissà se qualcuno si sveglierà dal sonno e finalmente proverà a dire basta.
So quanto vale Alessandra. Con lei ho scritto un libro e mi permetto di dire che tutti dovrebbero leggerlo,perché è raro trovare tanta chiarezza, una così indiscutibile documentazione su argomenti che si avviano a diventare una sorta di religione di Stato sulla quale è proibito discutere.  Purtroppo non è più facile da reperire, ma non escludo che si possa ristampare.
Sono solidale con Alessandra Kersevan e non ho dubbi: chi vuole che stia zitta è semplicemente fascista. Qui, su questo blog, ha ed avrà diritto di parola. E chi vuole può ascoltarla. E’ solo un’intervista e si vede che è scossa, ma la sua accusa è chiarissima e la faccio mia: in Italia c’è ormai un regime, una vergognosa, vile e intollerabile dittatura.



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FGC-SKOJ-MS: «NO AL REVISIONISMO STORICO SUI FATTI DEL CONFINE ITALO-JUGOSLAVO.»

In questi anni, dalla caduta del socialismo reale nei paesi dell’est Europa ad oggi, abbiamo assistito ad un’ondata di revisionismo storico sui fatti della seconda guerra mondiale che non ha precedenti. Il revisionismo storico ha come principale obiettivo la condanna del comunismo e delle azioni dei partigiani comunisti, contestualmente alla riabilitazione di personalità compromesse con i regimi fascisti e nazisti, l’equiparazione dei partigiani con i militanti fascisti. La crisi economica del capitalismo e l’incapacità di questo sistema di uscire dalle sue contraddizioni, spingono i governi ad aumentare le politiche anticomuniste e le campagne revisioniste, per distruggere nei lavoratori l’idea di un’uscita dalla crisi in senso comunista.

Anche le vicende del confine Italo-Jugoslavo sono state utilizzate a pretesto di questa operazione, al fine di equiparare l’esercito partigiano jugoslavo a quello fascista, nascondendo le responsabilità storiche dell’Italia nel periodo fascista, facendo passare i carnefici per vittime, i liberatori per invasori. Nel 2004 in Italia su pressione delle forze di destra, e con la complice accettazione dei partiti di centrosinistra, è stata istituita la “Giornata del Ricordo” che il 10 febbraio di ogni anno commemora le vittime del confine orientale nelle foibe e gli esuli dai territori istriani e dalmati.

La questione delle foibe, viene completamente manipolata. Le ‘vittime’ processate dai partigiani, (non più di 700 documentate) erano state in buona parte a loro volta carnefici, tanto che i premiati per il Giorno del Ricordo sono in prevalenza militi repubblichini. Il numero delle vittime aumentato decine e decine di volte rispetto alle stime storiche, al fine di equiparare artificiosamente le vicende del confine Italo –Jugoslavo con la portata dei crimini nazi-fascisti. Viene rimosso il legame con il regime fascista della stragrande maggioranza dei prigionieri politici uccisi per rappresaglia, e addebitati ai partigiani delitti comuni al fine di gonfiare arbitrariamente il numero delle vittime, e dare l’impressione di una  guerra etnica contro gli italiani. Così anche le motivazioni e i numeri del famigerato “esodo” sono anch’essi inventati e strumentalizzati. Le autorità Jugoslave, al contrario di quanto viene detto sulla presunta ed inventata pulizia etnica, fecero di tutto per far rimanere la popolazione italiana in Jugoslavia, come negare e ritardare il rilascio dei necessari documenti per l’espatrio. Decine di migliaia di italiani continuarono a vivere in Jugoslavia ed oltre un migliaio addirittura vi emigrò dall’Italia.

Al contrario nulla viene detto dell’italianizzazione forzata, dei campi di concentramento, della sistematica uccisione dei dissidenti politici, della vera guerra etnica che anni prima il regime fascista combatté contro le popolazioni jugoslave dei territori annessi all’Italia. Mentre oggi si criminalizza il ruolo delle forze partigiane italiane e jugoslave che insieme liberarono l’Italia nord orientale dalla schiavitù nazi-fascista, si dimenticano le parole che Mussolini pronunciò riferendosi alla politica da tenere nei confronti delle popolazioni jugoslave nei territori italiani: «Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini dell’Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani». Non si trattava solo di un’affermazione, ma di una precisa politica che lo stato fascista perseguì nei confronti delle popolazioni jugoslave, con l’apertura di campi di concentramento a Kraljevica, Lopud, Kupari, Korica, Brac, Hvar, Rab (isola di Arbe) nei quali furono internati migliaia di prigionieri politici e cittadini che si opponevano alla politica fascista. Parole tradotte in azione dai generali fascisti dell’esercito italiano, come quando il Generale Robotti sosteneva in una circolare militare che «si ammazza troppo poco», riferendosi alla situazione delle province jugoslave.I crimini nazi-fascisti vengono accuratamente nascosti e si tenta di far passare i partigiani italiani e jugoslavi che combatterono gli eserciti del Reich e della Repubblica Sociale Italiana come assassini, eludendo così le responsabilità storiche e politiche del fascismo, che sono responsabili di quanto accadde.

Come organizzazioni giovanili di diversi paesi coinvolti nelle vicende del confine Italo-Jugoslavo, confermando la nostra amicizia e la reciproca solidarietà ed azione comune, ci impegniamo a:

-       Difendere la memoria della lotta partigiana e del ruolo primario dei comunisti nella liberazione dal fascismo, oggi minacciata dal revisionismo e dal tentativo di equiparazione storica tra fascismo e comunismo, aumentando le azioni comuni in difesa della memoria storica e del contributo dei partigiani comunisti jugoslavi ed italiani alle lotte di liberazione nei nostri paesi;

-       Rigettare ogni forma di nazionalismo, rifugio di un capitalismo in crisi, e ogni conflitto tra i nostri popoli, sviluppando a partire dalle nostre organizzazioni la più alta forma di solidarietà e internazionalismo proletario, lavorando assieme affinché i nostri popoli possano vivere un futuro di pace e cooperazione solidale;

-       Diffondere tra le nuove generazioni la memoria storica e insieme ad essa la consapevolezza che solo il socialismo può rappresentare la liberazione reale dei popoli dalla schiavitù e dalla minaccia sempre attuale della guerra, imposta per gli interessi dei monopoli e a danno dei lavoratori e dei popoli.

 Morte al fascismo, libertà al popolo!  - Smrt fašizmu, Sloboda narodu!

FGC – Fronte della Gioventù Comunista (Italia) – SKOJ – Lega della Gioventù Comunista di Jugoslavia (Serbia) – MS – Gioventù Socialista (Croazia)



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Foibe, blitz degli studenti antifascisti all'Itis di San Secondo

Foibe, blitz degli studenti antifascisti all'Itis di San Secondo

Stamattina una trentina di studenti del Kollettivo Giovanile Autogestito sono andati all'Itis di San Secondo con striscioni e volantini per protestare contro l'istituzione del Giorno del Ricordo



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Redazione ParmaToday 8 febbraio 2014

Foibe, blitz degli studenti antifascisti all'Itis di San Secondo

Lunedì 10 febbraio è la Giornata Nazionale per le vittime foibe. Stamattina una trentina di studenti del Kollettivo Giovanile Autogestito sono andati alll'Itis di San Secondo con striscioni e volantini per protestare contro l'istituzione del Giorno del Ricordo. Lo striscione tenuto dai ragazzi recitava 'Contro le menzogne di Stato, ora e sempre antifascisti'. Si sono posizionati all'ingresso ed hanno fatto alcuni interventi al megafono e distribuito volantini agli studenti, che stavano entrando a scuola.

IL VIDEO DELLA PROTESTAhttp://www.parmatoday.it/cronaca/video-blitz-studenti-antifascisti-san-secondo.html

"Non accettiamo -hanno dichiarato gli studenti- che all'interno di questa scuola esistano gruppi dichiaratamente neofascisti che godono dell'appoggio dello Stato e delle Istituzioni. Siamo qui in questo giorno perchè il 10 febbraio i gruppi neofascisti celebreranno il Giorno del Ricordo, istituito nel 2004 per ricordare le cosidette vittime italiane delle Foibe. La verità storica è un'altra: qualche centinaio di italiani erano perlopiù funzionari dell'Amministrazione fascista. La Resistenza popolare jugoslava ha contato anche sull'appoggio di diversi italiani: già questo fatto dimostra che non c'era la volontà di fare una pulizia etnica". 

LA NOTA DEGLI STUDENTI. "Nella mattina dell’8 febbraio alle 8:30 davanti all’ I.T.I.S. di San Secondo, il K.G.A. (KOLLETTIVO GIOVANILE AUTOGESTITO ha effettuato un volantinaggio sul tema delle foibe, denunciando il revisionismo storico messo in atto dai gruppi neofascisti e dallo stato Italiano. Questi ritengono che gli italiani caduti in Jugoslavia siano state vittime dell’odio razziale provato dai partigiani Sloveni. La realtà storica è però tutt’altra il fatto delle foibe che riguardano la morte di alcune centinaia di Italiani per lo più funzionari dell’amministrazione Fascista, si spiegano con l’odio popolare e la rivolta nei confronti del regime Italo - fascista occupante dal ’41 di diversi territori della Ex Jugoslavia rendendosi responsabile di innumerevoli crimini di guerra per attuare il loro progetto di pulizia etnica nei confronti della popolazione Jugoslava mietendo 1.500.000 vittime".



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COMUNICATO STAMPA
sulla iniziativa indetta congiuntamente da ANPI e ANVGD a Cadoneghe (PD)


Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - organizzazione non lucrativa di utilità sociale che si fonda su "quegli stessi valori su cui è stato fondato mezzo secolo di vita pacifica e di sviluppo della Jugoslavia, contro ogni secessionismo e contro ogni contrapposizione nazionalitaria od etnicistica, a partire dalla Guerra Popolare di Liberazione alla quale, assieme a tutti gli altri, parteciparono anche migliaia di italiani" (1) - condanna la iniziativa organizzata congiuntamente dall'ANPI regionale del Veneto e dalla ANVGD, annunciata per il 17 febbraio p.c. a Cadoneghe (PD). (2)

L'iniziativa di Cadoneghe, a partire dal titolo "GIORNO DEL RICORDO. CI CHIAMAVANO FASCISTI, CI CHIAMAVANO COMUNISTI; SIAMO ITALIANI E CREDIAMO NELLA COSTITUZIONE", è stata concepita con l'intento di archiviare ragioni e torti della II Guerra Mondiale ovvero equipararne sul piano morale i vincitori e i vinti. Tale posizione - che non è inedita, ma è destinata comunque a rimanere puramente idealistica ed estranea ad ogni principio di concretezza storica - soprattutto offende gli ideali della Resistenza e rappresenta un oltraggio per i suoi caduti. 

Per questa ragione, Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia Onlus sollecita la dirigenza nazionale dell'ANPI a prendere posizione per chiarire all'opinione pubblica se la Associazione Nazionale Partigiani d'Italia può tollerare che al suo interno si promuovano simili percorsi o se viceversa essa mantiene la vocazione e gli scopi per cui è nata, come peraltro appare da numerose encomiabili iniziative di tutt'altro segno che vengono continuamente promosse dalle sezioni locali ovunque sul territorio nazionale. (3) Tale nostra richiesta di chiarimento non è esagerata, visto che analoghi approcci sono già stati fatti a Padova (4) e non solo, e la dirigenza nazionale ANPI oramai non può non esserne a conoscenza.

Scopo fondativo dell'ANPI è infatti quello della promozione e continua riproposizione dei valori dell'antifascismo. Viceversa, l'iniziativa di Cadoneghe è stata co-promossa con quella che, nonostante tutte le possibili "riverniciature", era e rimane la principale organizzazione neo-irredentistica del nostro paese: la Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, rappresentante degli interessi della grande borghesia istriana e dalmata espropriata con la vittoria del socialismo in Jugoslavia, la quale fino ad appena un anno fa manteneva nel suo Statuto la frase seguente:
<< II - SCOPI E FUNZIONI: (…) agevolare il ritorno delle Terre Italiane della Venezia Giulia, del Carnaro e della Dalmazia in seno alla Madrepatria, concorrendo sul piano nazionale al processo di revisione del Trattato di Pace per quanto riguarda l'assetto politico di tali terre… >> (5)
Tale esplicita contestazione degli accordi del Trattato di Pace è in fondo esattamente la ragione per cui il Giorno del Ricordo è stato istituito, con manovra "bipartisan" attraverso la Legge n.92 del 2004, fissandolo non a caso al 10 Febbraio, a richiamare il 10 febbraio 1947, giorno in cui quel Trattato fu sottoscritto. Con il Trattato di Pace l'Italia regolava i propri conti (almeno in parte) con l'intera comunità internazionale - non solamente con la Jugoslavia - per i crimini e i danni commessi a seguito della aggressione contro la Jugoslavia e gli altri paesi vicini. La scelta della data del Giorno del Ricordo è stato un atto simbolico di delegittimazione e contestazione di quel Trattato: per questo motivo non solo gli antifascisti ma più in generale le persone amanti della pace dovrebbero, o avrebbero dovuto, assolutamente opporsi alla istituzionalizzazione di tale ricorrenza.
L'iniziativa di Cadoneghe vede tra i relatori invitati la prof.ssa Adriana Ivanov, figlia di Tommaso Ivanov, che fu coinvolto nelle operazioni dell'esercito fascista in Dalmazia coordinate con i banditi ustascia, e ciononostante "scelse" nel 1950 (sic) di abbandonare le sue terre natali pur di non dover sottostare al nuovo sistema politico e sociale. 

I cittadini italiani sono testimoni da un ventennio, oramai, di reiterati tentativi di costruzione artificiosa di una "memoria condivisa" posticcia, operati con basse finalità di gestione del potere politico da parte di classi dirigenti prive di principi. Tali operazioni revisionistiche hanno intorbidito il confronto politico-culturale al punto da creare legittima frustrazione ed un comprensibile rifiuto della "mala politica" nei cittadini ("anti-politica"). Crediamo che l'ANPI non possa contribuire a tale deriva e che debba viceversa difendere il suo ruolo, specifico e unico, di tutela della memoria partigiana, nell'interesse di noi tutti e delle sorti dell'Italia democratica in generale. Questo non significa negare ai signori Maurizio Angelini e Floriana Rizzetto momenti di libero confronto, se proprio li ritengono necessari, all'interno dei quali assurdamente equiparare i militari del regio esercito fascisti ai partigiani comunisti, purché a tali momenti partecipino solo a titolo privato. 

E' infine del tutto fuorviante sul piano storico la professione di fede alla Carta Costituzionale da parte di ex-fascisti e di ex-comunisti, contenuta nel titolo della iniziativa di Cadoneghe. Bisogna infatti ricordare agli smemorati organizzatori del "Giorno del Ricordo" che la nostra Repubblica e la sua Costituzione nascono esattamente dalla Resistenza al fascismo, cioè negando il fascismo, tant'è vero che nessun fascista face parte della Assemblea Costituente e la Costituzione si fonda sulla discriminante antifascista, riportata a chiare lettere nella Disposizione Transitoria e Finale XII. Viceversa i comunisti sono stati dapprima vittime del fascismo, poi protagonisti della Resistenza in Italia e in Europa, poi co-autori del testo della Carta Costituzionale ed infine partecipanti a pieno titolo della vita politica democratica. 

Il fatto che il dettato costituzionale sia stato spesso e volentieri disatteso e che sia tuttora in atto un tentativo eversivo per stravolgerlo con leggi-truffa è uno dei principali crucci della stessa ANPI, come dimostrano le frequenti, sonore dichiarazioni del presidente Smuraglia.

Per CNJ-onlus, il Direttivo
10 febbraio 2014


NOTE:

(1) Dallo Statuto dell'Associazione "Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia – organizzazione non lucrativa di utilità sociale” (2007): https://www.cnj.it/documentazione/documento_costitutivo.htm#statuto


(3) Anche solo limitandoci alle iniziative promosse da sezioni ANPI su questi stessi temi proprio negli stessi giorni, registriamo ad esempio:
- l'iniziativa tenuta a Vasto lo scorso 1 febbraio 2014, dal titolo "Parliamo di foibe. In difesa della memoria antifascista", con la partecipazione di C. Cernigoi;
- l'iniziativa tenuta lo stesso giorno a Como sui "Lager italiani", con la partecipazione di A. Kersevan;
- il Presidio Antifascista per la Pace, la Democrazia e la verità storica del 9 febbraio 2014 a Torino;
- l'iniziativa "Foibe e Fascismo" indetta a Parma, assieme ad altri soggetti, per il 10 febbraio 2014;
- l'iniziativa di Bologna, 14 febbraio 2014, "Foibe: un’interpretazione storica", con la partecipazione di A. Kersevan e S. Volk.


(5) Tale articolo è stato riscritto solo a seguito delle modifiche allo Statuto approvate nel corso del Congresso Nazionale di Gorizia del 16 – 18 novembre 2012, tuttavia esso continua ad essere leggibile sul sito internet della associazione: http://www.anvgd.it/images/pdf/anvgd_statuto.pdf  . Il fatto che la esplicita rivendicazione irredentistica sia stata cassata alla vigilia delle "grandi manovre" che sono ormai in atto e che rischiano di compromettere anche l'ANPI, non rallegra bensì inquieta ulteriormente perché tali modifiche dell'ultimo minuto evidenziano una modalità di procedere purtroppo tipicamente italiana, sotterranea, furbesca, massonica o comunque opportunistica. Sulle radici irredentistiche della ANVGD si veda anche: https://www.cnj.it/documentazione/IRREDENTE/anvgd.htm .

(francais / italiano)

La Siria vittima di "amici" falsi

1) Bosnia: dal narcotraffico alla Siria (M. Tatarević, 21 maggio 2013)
2) Kosovo : arrestations de « volontaires pour la Syrie » de retour au pays (13 novembre 2013)
3) Fa paura il ritorno a casa dei ribelli balcanici in Siria (S. Giantin, 20 dicembre 2013)
4) I pacifisti turchi accusano: Presentato alle Nazioni Unite un rapporto sui crimini di guerra commessi contro il popolo siriano (solidarite-internationale-pcf.over-blog.net/14/01/2014)
5) Un Nouvel Israël dans le Nord de la Syrie (Bahar Kimyongür)
6) La guerra dei Saud contro la Siria (Bahar Kimyongür)
7) Fra Alitalia e Al Qaeda, l’ Italia negli “Amici della Siria” (Marinella Correggia, Marco Palombo)


Leggi anche:

Siria, ‘l’attacco con armi chimiche non fu opera di Assad’. Chi ha mentito chieda scusa
di Giulietto Chiesa | 18 gennaio 2014
Plusieurs articles de BAHAR KIMYONGÜR:

La Syrie loyaliste : grand vainqueur de la Bataille de Montreuxhttp://www.mondialisation.ca/la-syrie-loyaliste-grand-vainqueur-de-la-bataille-de-montreux/5366411

L’arrestation d’une maman belge en Turquie, à qui la faute ?

France : élites et médias versent dans les fantasmes conspirationnistes
http://www.michelcollon.info/France-elites-et-medias-versent,4439.html

Belges en Syrie : Ni angélisme, ni diabolisation, juste la réalité
http://www.michelcollon.info/Belges-en-Syrie-Ni-angelisme-ni.html

Rapport sur les « crimes de guerre commis contre le peuple syrien » : les pacifistes turcs accusent
http://www.michelcollon.info/Rapport-sur-les-crimes-de-guerre.html

Pour en connaître davantage, voici le livre de Bahar Kimyongür :
Syriana, la conquête continue

Voici quelques témoignages de Syriens que nous n’avons pas souvent l’occasion d’entendre :
http://www.youtube.com/watch ?v=rr13TFvWq10
http://www.youtube.com/watch ?v=jra2o603Bi4
http://www.youtube.com/watch ?v=ACZAIuxDDPc
http://www.youtube.com/watch ?v=114zELUhH2Y
Montreux - Bouthaina Shaaban, conseillère d’al-Assad, répond à Kerry et aux mensonges des opposants


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Bosnia: dal narcotraffico alla Siria

Majda Tatarević 
21 maggio 2013


I servizi segreti internazionali lo affermano da un po' di tempo. Mujaheddin starebbero partendo dalla Bosnia per combattere in Siria. Il settimanale bosniaco Dani ha seguito le tracce di uno di loro
(Tratto da Dani , pubblicato il 25 aprile 2013, selezionato e tradotto da Le Courrier des Balkans e Osservatorio Balcani e Caucaso)

Bajro Ikanović, un wahabita di Hadžići, si è recato in Siria nel 2012 per combattere come volontario. Dalla sua storia si apprende un po' più sul movimento wahabita in Bosnia di quanto non si faccia dalle informazioni contenute nei rapporti ben documentati dei servizi segreti stranieri. Poco prima di partire per la “Jihad” in Siria Ikanović si era vantato di buone connessioni con mujaheddin dell'Afghanistan, della Cecenia e dell'Iraq, che l'avrebbero potuto “aiutare”.
Come impone la regola wahabita Bajro Ikanović ha dovuto raccogliere dei soldi per mantenere la propria famiglia prima di partire: ha quindi chiesto ai “fratelli” di aiutarlo, discretamente. Aveva inoltre bisogno di fondi per finanziare il suo viaggio. Secondo nostre informazioni lo stesso capo della comunità, Nusret Imamović, si è dimostrato molto generoso.
Secondo le nostre fonti, pochi giorni dopo essere arrivato in Siria, Bajro Ikanović è stato ferito. Aveva raggiunto un gruppo locale specializzato in razzie: di computer, portatili, stampanti, lettori DVD e altri materiali. Problema: un altro gruppo ha voluto rimpiazzarli. I rivali si sono affrontati con le armi automatiche e Bajro Ikanović sarebbe stato colpito mentre tentava di proteggere il bottino.
Gravemente ferito, ha rischiato di vedersi un arto amputato. I suoi “fratelli” siriani gli hanno allora suggerito di rientrare a casa. Ma in Bosnia Erzegovina non ha alcuna assicurazione sanitaria che gli permetta di pagarsi cure così costose. Ha quindi preferito farsi accogliere in un ospedale riservato alle vittime del regime di Bashar Al-Assad, gestito da alcune Ong e finanziato da aiuti internazionali.


Un trafficante convertito al wahabismo

L'avventura di Bajro Ikanović potrebbe essere nulla di più che la storia di qualcuno che ha cercato di trarre profitto dalla tragedia della guerra, e non contribuisce certo a rinnovare l'immagine dei bosniaci, a volte accusati di essere mujaheddin, a volte terroristi islamici o membri di Al-Qaeda... ma soprattutto è una storia che racconta di un passato difficile.
Infatti, secondo la polizia bosniaca, Bajro Ikanović si guadagnava da vivere grazie al traffico di stupefacenti prima di convertirsi all'Islam. La prima volta che si è fatto il suo nome è stato nel 2005: era stato arrestato assieme ad altri wahabiti a seguito di un'operazione di polizia. Erano accusati della preparazione di un attentato in un paese europeo. La polizia ha trovato nell'appartamento dei suoi complici 20 kg di esplosivo, detonatori e armi. Condannato a 8 anni di prigione, Bajro Ikanović si è visto scontare la pena a 4 anni e mezzo in appello.
Nel giugno del 2009 ha beneficiato della condizionale dopo aver trascorso due terzi della pena in una prigione di Zenica. Il fatto che gli sconti di pena possano essere applicati anche a casi di terrorismo è evidentemente uno dei problemi principali della legislazione bosniaca.
Questo è particolarmente vero nel caso di Ikanović: immediatamente dopo la sua uscita di prigione, fa la conoscenza di Imad Al Husin, più conosciuto con il nome di Abu Hamza, uno dei capi dei mujaheddin bosniaci. Abu Hamza è stato anche lui arrestato nel 2008 per terrorismo e trasferito nel centro di detenzione di Lukavica. La procedura per la sua estradizione in Siria è stata bloccata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nel febbraio del 2012.


Legami privilegiati

Alla fine del 2010 Bajro Ikanović dà vita a casa sua a una scuola per wahabiti. In quel momento fa appello ai suoi “fratelli” per ingrandire la propria abitazione. Ma i vicini di casa, spaventati dall'aggressività dei suoi “allievi” hanno avvertito la polizia, che li ha obbligati a trasferirsi. Ikanović ha poi affermato di volersi trasferire a Gornja Maoča, l'enclave wahabita in Bosnia, dove avrebbe potuto allontanarsi da tutti quei "Kafirs" (infedeli) e “Vlaščine”, termine peggiorativo per designare i serbi. In realtà non si sposta da Hadžići.
Infine inaugura un centro di disintossicazione per alcolizzati e tossicomani in una fattoria del paese. Accoglie soprattutto membri della comunità wahabita. Ma questo centro non è che una copertura. Il suo vero lavoro è quello di “esattore” per conto di Dragan Stajić Sijalić, il primo nome sulla lista del crimine organizzato in Bosnia Erzegovina, secondo il ministero degli Interni bosniaco.
Ikanovic avrebbe lavorato anche per Naser Orić, antico capo bosgnacco a Srebrenica e per Naser Kelmendi, uno dei più importanti narcotrafficanti dei Balcani. Quando Kelmendi è stato obbligato alla fuga dalla Bosnia nel settembre del 2012 (è stato arrestato di recente in Kosovo, ndr) Bajro ha chiesto protezione, senza successo, a Naser Orić.
Ikanović avrebbe così deciso di andare a combattere in Siria.
Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea.


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Koha Ditore

Kosovo : arrestations de « volontaires pour la Syrie » de retour au pays


Traduit par Nerimane Kamberi

Publié dans la presse : 13 novembre 2013

Plusieurs personnes ont été arrêtées ces derniers jours au Kosovo pour « terrorisme et intolérance religieuse et raciale », lors d’une opération de la police menée à Pristina et Gjilan/Gnjilane. Ces individus sont soupçonnés d’avoir des liens très étroits avec des citoyens du Kosovo partis se battre en Syrie, au sein du Front Al Nosra.

Par Vehbi Kajtazi

Genc S. a combattu en Syrie, son nom de guerre est Abu Hafs Al Albani. Il a été arrêté le 6 novembre par la police du Kosovo. D’autres personnes ont aussi été interpellées lors d’une opération menée à Pristina et à Gjilan/Gnjilane, où des armes et des explosifs ont été découverts.


Quatre individus, Valon Sh., Musli H., Ardian M. et Nuredin S. ont été arrêtées. Ces hommes sont soupçonnés de terrorisme, et d’intolérance religieuse et raciale. Un autre homme, Bekim M., est soupçonné d’avoir participé à l’agression, le 3 novembre à Pristina, de deux citoyens américains, membres d’une organisation chrétienne, qui distribuaient des brochures religieuses.

Selon nos informations, les personnes arrêtées auraient des liens très étroits avec certains combattants partis en Syrie. Ces derniers auraient rejoint le Front Al Nosra, une organisation considérée comme « terroriste » par les Nations-Unies, les États-Unis et la Grande-Bretagne. Cent cinquante Kosovars combattraient au sein de ce groupe, lié à Al-Qaïda. Trois d’entre eux ont été tués.

Selon nos sources, de plus en plus de citoyens du Kosovo partent vers la Syrie. Jusqu’à présent, rien n’a été fait pour les en empêcher. Selon certaines administrations d’État, ces combattants représentent pourtant un danger pour le pays. Les services secrets estiment que les volontaires qui se battent en Syrie ont certainement été endoctrinés « pour faire la guerre sainte » et qu’ils pourraient entreprendre des actions terroristes une fois rentrés au pays.

L’organisation humanitaire turque IHH organiserait le recrutement des Albanais. Selon l’agence iranienne FARS, le dernier groupe d’Albanais à être parti vers la Syrie comptait quatre-vingt-dix personnes. Depuis Tirana, ils ont rejoint Istanbul par le vol 1078 de la compagnie Turkish Airlines, le 30 juin 2013. Ils n’ont pas combattu aux côtés de l’Armée syrienne libre, mais ont rejoint des groupes liés à Al Qaïda.



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• BALCANI

20. 12. 2013 - IL PICCOLO
STEFANO GIANTIN


    Fa paura il ritorno a casa dei ribelli balcanici in Siria


«I cittadini del Kosovo non devono impegnarsi in guerre in giro per il mondo». E il Paese non diventerà «un’oasi sicura» per radicali islamici ed estremisti, la recente promessa della presidentessa kosovara, Atifete Jahjaga. «Non dobbiamo abbassare la guardia, consapevoli che quello terroristico è un contagio possibile laddove ci sono forti ragioni per ideologizzare le minoranze», l’allarme lanciato dal ministro della Difesa italiano, Mario Mauro, subito dopo la visita a Pristina, a inizio settimana.

Due dichiarazioni di alto profilo che lasciano intendere che la questione, sempre più presente sulle pagine dei giornali locali, dei giovani balcanici finiti in Siria a combattere nelle file dei ribelli preoccupa, nei Balcani e oltre. Nessuna sorpresa. Un rapporto dei servizi di sicurezza tedeschi, reso pubblico da “Der Spiegel” già a ottobre, ha confermato che più di un migliaio di «jihadisti» europei «combattono oggi in Siria», quattro volte in più rispetto a fine 2012. Tanti arrivano dal Kosovo, circa 150, ma sono un centinaio anche i bosniaci. Secondo alcune stime della polizia di Belgrado, sarebbero invece una cinquantina quelli partiti dalla regione serba del Sangiaccato. Tutti giovani, spesso appena maggiorenni, reclutati da organizzazioni islamiste ultraradicali. Chi ha abboccato alla loro esca è stato il giovane serbo Mirza Ganic, 19 anni, ex studente modello di Novi Pazar, da mesi in Siria. Giovane assurto agli onori delle cronache dopo aver minacciato di morte via Facebook uno dei vicepremier serbi, Rasim Ljajic, e il ministro bosniaco responsabile della Sicurezza, Fahrudin Radoncic, due «puttane dell’Occidente». Ganic che in Siria combatte con il nome di battaglia di “Ebu Sheheed” e che usa i social network per raccontare la sua quotidianità di ribelle. E per promettere che continuerà a battersi, una volta a casa. «Triste» vedere «come funziona oggi la Bosnia», uno dei tanti commenti del giovane, «in prigione chi l’ha difesa, i criminali di guerra liberi». «Ma non importa più». Un giorno «torneremo» dalla Siria, forse per risolvere la situazione con metodi non pacifici.

Promessa da prendere tuttavia con le molle. Oltre all’episodio dell’attacco all’ambasciata Usa a Sarajevo nel 2011 e alla bomba alla stazione di polizia di Bugojno, nessun grave atto terroristico di matrice islamica è stato registrato in Bosnia e nei Balcani negli anni passati. Ma il pericolo non va sottovalutato, spiega al Piccolo il professor Vlado Azinovic, forse il massimo esperto nei Balcani di sicurezza e terrorismo e autore di “Al Qaeda in Bosnia: Myth or Present Danger”. «Non ci sono prove che persone che hanno combattuto in Siria abbiano commesso crimini in Europa o in Bosnia una volta rimpatriate e una ricerca su combattenti stranieri coinvolti in guerre passate ha svelato che solo uno su nove è stato implicato in qualche crimine» in tempo di pace, esordisce Azinovic. Nondimeno, è gente «addestrata militarmente, radicalizzata ideologicamente, potrebbe in teoria essere assoldata da organizzazioni criminali e terroristiche» e in generale «dobbiamo considerarli come un ragionevole pericolo».

Un pericolo ancora più serio in Bosnia, Paese «disgregato socialmente, eticamente ed economicamente», una «società dove principi e valori» che esistevano prima della guerra «sono scomparsi e dove questi individui hanno la possibilità di diventare modelli per le giovani generazioni, facili da radicalizzare». Così, quando i Ganic torneranno in Serbia, Bosnia e oltre saranno «pericolosi non solo dal punto di vista della sicurezza, ma anche sotto la veste sociale, perché il loro impatto e la loro influenza potrebbero essere molto forti». Ma chi sono i guerriglieri balcanici? Ci sono due generazioni, «quella dei veterani della guerra in Bosnia, al tempo radicalizzati da combattenti stranieri arrivati da Paesi arabi, oggi 40enni, che in Siria continuano la loro guerra santa». Il problema sono però «i teenager», illustra Azinovic. Giovani che arrivano «da famiglie povere, sono senza lavoro e con una formazione limitata, scappano dalla povertà». La religione, come al solito, è la facciata, «ideologia legittimante usata per giustificare la violenza». Violenza che qualcuno di essi, tornato un giorno a casa, potrebbe reimportare.

«I combattenti stranieri sono stati in Bosnia un ostacolo alla pace e lo saranno anche in Siria, saranno un problema per la Siria e per i loro Paesi d’origine» perché è gente per cui «la guerra non ha fine e quando saranno espulsi» dal Medio Oriente «cercheranno un modo per continuare a combattere altrove». O per scappare ancora da una quotidianità di pace, disoccupazione e speranze zero che a volte fa più paura di una guerra.



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www.resistenze.org - osservatorio - lotta per la pace - 20-01-14 - n. 482

I pacifisti turchi accusano: Presentato alle Nazioni Unite un rapporto sui crimini di guerra commessi contro il popolo siriano

AC | solidarite-internationale-pcf.over-blog.net/
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

14/01/2014

L'accusa: 45 avvocati, giornalisti, parlamentari, sindacalisti, artisti turchi hanno pubblicato e trasmesso alle Nazioni Unite un rapporto (*)  che condanna i "crimini contro il popolo della Siria", che riferisce delle azioni dei gruppi jihadisti e della guerra di aggressione contro la Siria.

L'"Associazione turca per la Pace" e gli "Avvocati per la giustizia" preparano da diversi mesi un rapporto preliminare per intentare procedimenti penali contro i criminali di guerra in Siria e i loro sostenitori. Intendono adire i tribunali turchi e soprattutto la corte internazionale. Il rapporto è stato presentato alla Commissione d'indagine indipendente dell'ONU sui crimini commessi in Siria.

L'idea è quella di creare l'equivalente del Tribunale Russell per i crimini di guerra in Vietnam nel 1960, proseguito per le guerre in Iraq e in Palestina, per giudicare i crimini commessi dall'imperialismo.

A loro credito, gli avvocati e i giornalisti turchi conoscono molto bene il terreno: sia perché esperti delle regioni di confine turco, o come partecipanti di gruppi di inchiesta in visita in Siria o in quanto reporter di guerra in Siria.

Gli avvocati turchi si basano sullo "Statuto di Roma" previsto dalla Corte penale internazionale (CPI) e classificano i crimini commessi in Siria in tre tipi: crimini di aggressione, crimini di guerra e crimini contro l'umanità.

Il primo ordine di crimini fonda l'accusa, gli altri due sono strettamente collegati alle attività delle bande criminali in Siria.

Una guerra di aggressione: un crimine contro il popolo della Siria

L'accusa posa sul concetto di "guerra di aggressione", riconosciuta in un emendamento dello Statuto di Roma del 2005, che riguarda di norma uno Stato aggressore.

Tuttavia la definizione comprende "l'invio, a nome di uno Stato, di bande, gruppi armati, truppe irregolari o mercenari per intraprendere una lotta armata contro uno Stato".

Così per l'Associazione per la Pace, si tratta in primo luogo di denunciare gli istigatori, i cosiddetti "Amici della Siria", riuniti a Tunisi nel mese di febbraio 2012 e a Doha nel giugno 2013, che hanno da subito riconosciuto il Consiglio nazionale siriano, sostenendo in tal modo la ribellione armata.

Nella lista degli imputati, spiccano cinque nomi: Stati Uniti, Arabia Saudita, Qatar, Israele, Turchia.

Non sorprende affatto il coinvolgimento statunitense, sostiene l'Associazione, ricordando i piani per eliminare qualsiasi ostacolo al progetto del "Grande Medio Oriente", passando per Iraq, Siria e infine Iran. Gli USA dialogano con i gruppi armati, i gruppi di coordinamento, forniscono comprovato sostegno finanziario e logistico.

L'Arabia Saudita dal canto suo, cerca di isolare l'Iran e creare una Siria sunnita sotto il protettorato saudita. Lo stato sta investendo miliardi per armare i combattenti, formarli e guidarli direttamente in vista degli obiettivi di potenza regionale.

Per quanto riguarda il Qatar, ha sostenuto la ribellione armata sin dall'inizio, ha ospitato l'incontro di Doha nel giugno 2013. All'epoca il Primo Ministro del Qatar ha dichiarato che il "sostegno armato era l'unico modo per raggiungere la pace". Da allora ha misurato la sua posizione, cercando una conciliazione tramite l'Autorità palestinese.

Infine, l'intervento di Israele non si è limitato a sostenere i gruppi armati: consegna di automezzi ai ribelli, minizioni all'uranio impoverito, soccorso ai combattenti negli ospedali israeliani, progetto di intervento internazionale coordinato da Israele.

La Turchia, in quanto base arretrata della ribellione armata, è il primo paese sul banco degli imputati

Ma è sulla Turchia che il dossier è più dettagliato, trovandosi la sua politica imperialista neo-ottomana sempre più in contrasto con la cosiddetta "politica di zero problemi con i vicini", che aveva precedentemente determinato relazioni pacifiche con la Siria.

La Turchia ha ospitato la nascita del Consiglio nazionale siriano nel mese di agosto 2011, nel maggio 2012 ha sospeso le relazioni diplomatiche con la Siria, escluso i diplomatici siriani.

Infine, nel settembre 2012, Erdogan aveva anche confidato al Washington Post che la Turchia ha fornito supporto logistico ai ribelli, aggiungendo, in analogia con l'intervento americano in Iraq: "Dobbiamo fare quello che è necessario, e lo faremo".

Gli atti di concreta cooperazione tra Turchia e ribelli sono centinaia: i ribelli utilizzano la Turchia come base arretrata di ripiegamento e circuito di rifornimento privilegiato.

Basta ricordare che le basi di addestramento del cosiddetto Esercito libero siriano si trovano nella provincia turca di confine di Hatay, che i campi profughi si rivelano essere le basi di ripiegamento degli jihadisti e che, infine, la Turchia è il paese di transito per le armi dal Golfo.

E' sempre più probabile che sia attraverso la Turchia che i ribelli siano stati in grado di dotarsi di un equipaggiamento chimico, cosa indicata in una lettera di 12 ex alti funzionari dei servizi segreti degli Stati Uniti al presidente Obama.

Ultimo scandalo in ordine di tempo, il 15 dicembre scorso è stato rivelato che secondo un'indagine dell'ONU, dal giugno 2013 una quantità non inferiore alle 47 tonnellate di armi e munizioni sono circolate tra la Turchia e la Siria!

Lo Stato turco ha volontariamente fatto del confine una zona di non-diritto, dove prosperano i traffici di ogni tipo (armi, automezzi). I controlli alle frontiere sono impossibili, il confine è appannaggio delle milizie islamiste, delle bande di teppisti e dei trafficanti di ogni genere.

Tuttavia, il governo turco controlla le informazioni di vitale importanza. Gli avvocati forniscono l'esempio di quel jihadista turco (Burak Yazici) morto in Siria, che le autorità turche avevano individuato ma fatto passare per combattere il regime di Assad.

Gli jihadisti di Al Qaeda pattugliano le strade delle città della Turchia meridionale. Human Rights Watch è indignato dall'ipocrisia turca che "accorda un rifugio sicuro a dei criminali di guerra, persone che hanno violato i diritti umani".

Il 7 novembre ultimo scorso, è stato trovato un camion pieno di lanciarazzi, bombe e armi fabbricate nello stabilimento di Konya in Turchia, destinato alla Siria, guidato da Heysem Topalca, combattente in Siria ma mai indagato... perché vicino ai servizi segreti turchi.

L'"Esercito del crimine": sei gruppi terroristici per un'unica ondata di terrore sotto il pretesto della religione

Al-Qaeda, Esercito libero siriano (ELS), jihadisti e oppositori di tutte le risme: chi sono i ribelli siriani? Chi sono i criminali che agiscono agli ordini dei capi di questa guerra di aggressione contro il popolo siriano?

L'associazione divide questi criminali in sei gruppi, con separazioni complesse e mutevoli. Ha sottolineato che l'ESL e Al Qaeda dirigono questi gruppi, anche se non ritengono siano organizzazioni deboli dal punto di vista strutturale, orbitanti attorno a nuclei combattenti abbastanza addestrati.

Solo le forniture di armi saudite, coordinate dalla CIA, hanno potuto unire per un po' questi gruppi, intenti a regolare le loro rivalità per spartirsi il bottino.

Tra l'altro distinguere le bande prossime all'ESL o ad Al Qaeda è spesso impossibile, operando spesso insieme. Per esempio: Osman Karahan, un avvocato turco che lavorava per Al Qaeda, è morto ad Aleppo nel giugno 2012 mentre combatteva per l'ESL.

Primo gruppo jihadista in Siria: il Fronte islamico siriano, che conta tra 13 e 20.000 uomini, basato sulla Brigata Ahrar Al-Sham. Questo gruppo ha importanti legami con la Turchia, l'Iraq, è collegato con l'ESL e opera soprattutto nelle regioni curde.

Secondo gruppo, il Fronte di Liberazione Islamico, con cinque brigate: quella di Tawhid ad Aleppo legata all'ESL, la Farouk ad Aleppo e Homs vicina alla Turchia, le brigate islamiche (Damasco) e Al Haq (Homs) legate all'Arabia Saudita. Infine, la quinta brigata Suquour al-Sham, vicina ad Al Qaeda, finanziata dal Qatar. Quest'ultima conta 3.000 combattenti, la brigata dell'Islam 10.000.

Terzo gruppo: Ghuraba al-Sham costituito da un gran numero di cittadini turchi e specializzato, naturalmente, negli attacchi contro le zone curde.

Quarto gruppo: la brigata dei martiri di Idlib, sempre più controllata dall'organizzazione islamista radicale Suquour al-Sham finanziata dal Qatar, legata ad Al-Qaeda. La brigata Al-Resul, un'altra organizzazione islamista radicale, istituita e sostenuta dal Qatar.

Si noti che organizzazioni coinvolte oggi nei combattimenti non sono basate in Siria, ma in Libano o in Iraq, come la Brigata Abdullah Azzam, una organizzazione salafita basata in Libano, vicina ad Al Qaeda o Jund al-Sham composta da jihadisti palestinesi.

Si può anche pensare all'Esercito iracheno libero, recentemente formato da persone vicine all'ex presidente iracheno Tarik Al Hashimi. La maggior parte di questi gruppi operano direttamente con al-Qaeda.

Quinto gruppo e non ultimo, il Fronte Al-Nosra, organizzazione fondamentalista islamica che ha giurato fedeltà ad Al Qaeda nel mese di aprile 2013. Da giugno 2013 si stimano 70 attentati commessi da questa organizzazione terroristica, che tende a prendere il sopravvento nella ribellione.

Si può anche aggiungere infine lo Stato Islamico in Iraq e Sham (ISIS), forte a Homs, Ar-Raqqah e Azez, le cui truppe conducono regolarmente attacchi contro i curdi e vanno e vengono dalla frontiera turco-siriana, e anche giordana.

Crimini di guerra, crimini contro l'umanità: una lunga lista di martiri del popolo siriano

Gli avvocati turchi indicano almeno 19 casi di crimini di guerra secondo lo Statuto di Roma e 10 casi di crimini contro l'umanità riconosciuti dall'articolo 7 dello Statuto (le due definizioni sono spesso confuse nella cosiddetta guerra civile in Siria).

Omicidi e massacri: L'Associazione fornisce come prova il caso di 22 attacchi mortali, soprattutto attraverso bombardamenti, direttamente attribuiti ai gruppi ribelli e da loro rivendicati.

Tra i più importanti, si può ricorda l'autobomba esplosa il 28 novembre 2012 in un quartiere multietnico, popolato da cristiani e drusi, a Jaramana. Risultato: 34 morti e 83 feriti.

Il 29 gennaio 2013, sono stati trovati 80 corpi, la maggior parte bambini, le mani legate dietro la schiena, lungo il fiume Quiq ad Aleppo, regione controllata dall'ESL.

Infine, il 21 febbraio 2013, una serie di esplosioni rivendicate da Al Qaeda, a Damasco, con 161 morti e 500 feriti.

Sterminio di gruppi razziali e religiosi: gli attacchi contro le minoranze religiose (cristiani, sciiti) o etniche (curdi, drusi, alawiti) si moltiplicano. Basti citare gli attacchi alle comunità alawita e curda a Latakia.

I militanti di Al-Nosra hanno attaccato otto villaggi il 4 agosto in Latakia. Dopo il bombardamento, gli jihadisti hanno terminato il massacro con asce, coltelli e machete. Centinaia di morti: tutti gli abitanti del villaggio di Hrrata sono morti, 12 sopravvissuti a Nabata.

A Balluta, gli jihadisti hanno prima massacrato i bambini radunati nella piazza del paese, poi gli adulti. Secondo il rapporto di Human Rights Watch, 190 persone sono state trucidate, ma le cifre potrebbero essere sottostimate.

Armi chimiche: il loro uso è dimostrato, almeno per l'attacco nella regione orientale di Guta, Damasco, il 21 agosto. Mentre la Siria di Assad è stata frettolosamente accusata dell'attacco, i fatti indicano una direzione diversa.

La Russia aveva già sottolineato che i missili erano stati lanciati da una zona sotto il controllo di Liwa al-Islam, milizia islamica. Nel mese di maggio 2013, l'esercito siriano aveva già trovato su soldati di Al-Nosra campioni di gas sarin o altre armi di distruzione di massa più raffinate.

Più tardi, nell'ottobre 2013, l'esplosione di una bomba al confine turco, in una zona controllata dai curdi presso Ras al Ayn, potrebbe essere stata accompagnata da armi chimiche a giudicare dai sintomi di avvelenamento di alcuni combattenti e dal fumo giallo dell'esplosione.

Non dimentichiamo che anche Carla del Ponte, membro della Commissione d'inchiesta delle Nazioni Unite, ha confermato che non vi era alcuna prova che il governo siriano avesse usato tali armi, ma poteva essere il caso dei ribelli siriani.

Gli attacchi contro edifici scolastici, religiosi, culturali: sono frequenti, più di 2.000 scuole sono state distrutte nei combattimenti. Nel gennaio 2013, l'ospedale francese di Aleppo è stato vittima di un attentato con autobomba firmato Al-Nosra.

Il 28 marzo 2013, l'Università di Damasco è stato vittima di un attacco di mortaio che ha mietuto 15 persone e ferite 20. Il 21 marzo, la moschea di Eman si è trovata nel mirino durante la preghiera del venerdì, l'imam, pro-Assad, Sheikh Mohammed Said Ramadan al-Buti è stato ucciso, così come altre 42 persone.

I più grandi monumenti della ricca storia siriana, censiti dall'UNESCO, sono stati pesantemente danneggiati, depredati: si può pensare al [castello medievale] Krak dei Cavalieri, Palmyre, alla vecchia città di Damasco, agli edifici di Aleppo, al bazar di Al-Madinah o alla Grande Moschea di Aleppo.

Molestie sessuali e stupri: è stato dimostrato che Al Qaeda e le organizzazioni collegate all'ESL hanno stuprato migliaia di donne e bambini. Secondo la ONG "Donne sotto assedio" vi sono prove che nel 2012 vi sono stati 100 casi di stupro, l'80% nei confronti di donne o ragazze. Le cifre sono grossolanamente sottovalutate.

Tutte le denunce di "Avvocati per la giustizia" in Turchia non hanno portato ad alcuna azione concreta contro i criminali di guerra e contro i loro complici.

Eppure l'attacco islamista a Reyhanli, sul confine turco-siriano nello scorso maggio che ha mietuto 46 persone, ha risvegliato la coscienza del popolo turco. Questo è stato il punto di partenza della "ribellione di giugno", che ha scosso il regime autoritario di Erdogan, ora vacillante sotto il peso degli scandali.

Ora, gli avvocati amanti della giustizia, i giornalisti amici della pace, i parlamentari desiderosi di verità si rivolgono all'opinione pubblica internazionale: bisogna esprimere un grande movimento di solidarietà con il popolo siriano, vittima di una guerra di aggressione. Che la verità sia detta e la giustizia sia fatta contro i criminali di guerra che infuriano in Siria!

* Il rapporto completo (in inglese) è disponibile al link: http://pwlasowa.blogspot.fr/2014/01/war-crimes-committed-against-people-of.html


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Un Nouvel Israël dans le Nord de la Syrie

Bahar Kimyongür
 
Après le colon juif d'Europe en Palestine, voici le colon musulman d'Europe en Syrie. 
 
27 JANVIER 2014 

Depuis le siècle dernier, les peuples sémites du Palestine subissent un colonialisme de peuplement, celui des juifs d'Europe non sémites. 
 
Depuis deux ans, nous observons un phénomène similaire en Syrie: le colonialisme de peuplement des musulmans d'Europe non sémites.
 
Qu'ils soient d'origine maghrébine, pachtoune ou des Européens "de souche", ces musulmans quittent la Belgique, la France, l'Angleterre ou l'Allemagne par milliers pour aller s'installer dans le Nord de la Syrie.
 
S'ils débarquent parfois avec femmes et enfants, certains fondent une famille sur place en se mariant avec une ou plusieurs Syriennes.
 
Dans les quartiers chics d'Alep, notamment à Kafr Hamra, il existe aujourd'hui plusieurs colonies de musulmans européens, notamment des communautés de Belges comme me l'ont rapporté plusieurs témoins.
 
Contrairement à ce que l'on pourrait penser, ces colons d'un genre nouveau passent plus de temps à vivre leur foi à travers des cours de religion et des séances de prière qu'à combattre.
 
Leur idéologie est pourtant le takfirisme et leur drapeau, celui d'Al Qaïda. Ils disent détester les Juifs et Israël pour ce qu'ils font aux Palestiniens. Pourtant, eux-mêmes font pareil aux Syriens.
 
En fait, takfiristes et sionistes ont plusieurs points communs. En voici quelques-uns:
 
Pour drainer du sang neuf depuis l'Europe vers la Palestine, les colons juifs encouragent une ancienne pratique religieuse, l'alya, c'est-à-dire la migration des Juifs vers leur "Terre sainte".
 
Pour drainer du sang neuf depuis l'Europe vers la Syrie, les colons musulmans encouragent une ancienne pratique religieuse, la hijra, c'est-à-dire la migration des musulmans vers leur "Terre sainte".
 
Les colons juifs d'Europe occupent les terres et les maisons des Palestiniens.
 
Les colons musulmans d'Europe occupent les terres et les maisons des Syriens.
 
L'idéologie des colons juifs d'Europe, le sionisme, est une déviation politique sectaire et violente du judaïsme.
 
L'idéologie des colons musulmans d'Europe, le takfirisme, est une déviation politique, sectaire et violente de l'islam.
 
Comme les colons juifs d'Europe en Palestine, les colons musulmans d'Europe en Syrie s'érigent en peuple élu et considèrent l'Autre comme un citoyen de seconde zone voire comme un sous-homme.
 
Pour le colon juif de Palestine, le monde est divisé entre les siens et les goys, c'est-à-dire les non-juifs
 
Pour le colon musulman de Syrie, le monde est divisé entre les siens et les kouffars, c'est-à-dire les non-musulmans.
 
Le projet politique du colon juif d'Europe: créer Eretz Israël, le Grand Israël du Roi David qui va du Nil à l'Euphrate avec Jérusalem pour capitale.
 
Le projet politique du colon musulman d'Europe: faire renaître le califat omeyyade dont la capitale fut Damas.
 
La pratique du colon juif d'Europe: judaïser la Palestine à outrance alors qu'elle était partiellement juive avant la création d'Israël.
 
La pratique du colon musulman d'Europe: islamiser la Syrie à outrance alors qu'elle est déjà majoritairement musulmane. 
 
Avant la création d'Israël, juifs, chrétiens et musulmans de Palestine vivaient en harmonie.
 
Avant la création de l'émirat d'Al Qaïda en Syrie, juifs, chrétiens et musulmans de Syrie vivaient en harmonie.
 
Depuis la déclaration de Balfour de 1917, la Palestine musulmane, juive et chrétienne est sous occupation sioniste.
 
Depuis le printemps arabe de 2011, la Syrie musulmane, juive et chrétienne est sous occupation takfirie.
 
Par conséquent, la libération de la Palestine et de la Syrie nécessite de résister contre les deux fléaux de la région: le sionisme et le takfirisme.


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Cet article en langue francaise:
La guerre des Saoud contre la Syrie
Par Bahar Kimyongür - Mondialisation.ca, 23 janvier 2014

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La guerra dei Saud contro la Siria


gennaio 26, 2014

Bahar Kimyongür, Global Research, 23 gennaio 2014


Qualsiasi osservatore del conflitto siriano desideroso di saperne di più sulla rivolta anti-regime avrà qualche difficoltà a poterlo fare, data l’inflazione di gruppi armati, oramai oltre un migliaio. La guerra fratricida in cui sono sprofondate le principali milizie jihadiste dall’inizio dell’anno, evidenzia la confusione particolare su ruolo ed evoluzione di al-Qaida nel conflitto. Eppure, al di là delle rivalità economiche e territoriali, la stessa ideologia e la stessa strategia le uniscono e le collegano a un attore chiave nella guerra siriana: il regno dell’Arabia Saudita.


Il wahhabismo siriano prima della guerra
Il movimento religioso fu fondato circa 250 anni dal predicatore estremista Muhammad bin Abdul Wahhab nel Najd in Arabia Saudita, non è una moda apparsa improvvisamente in Siria e favorevole alla primavera araba. Il wahhabismo ha una forte base sociale nei siriani che da diversi anni vivono in Arabia Saudita e altre teocrazie della penisola araba. In Siria, gli immigrati del Golfo sono singolarmente chiamati “sauditi” perché al loro ritorno a casa vengono confusi con i veri sauditi. La maggior parte di tali emigranti di ritorno, infatti, sono impregnati di puritanesimo rituale, di costume, familiare e sociale che caratterizza i regni wahhabiti (1). Ma il wahabismo siriano è anche  composto da predicatori salafiti espulsi dal regime di Damasco e ospitati dai regni del Golfo. Nonostante la distanza e la repressione, questi esuli poterono mantenere le reti d’influenza salafite nelle loro regioni e tribù originali. La proliferazione dei canali satellitari wahhabiti in Siria ha rafforzato la popolarità di alcuni esuli siriani convertitisi al “tele-coranismo”. Il più rappresentativo di questi è probabilmente Adnan Arur. Esiliato in Arabia Saudita, lo sceicco della discordia (fitna) com’è soprannominato, anima diversi programmi su Wasal TV e Safa TV, dove ha reso popolari i discorsi anti-sciiti e anti-alawiti, tra cui quello in cui chiede di “macellare gli alawiti e gettarne la carne ai cani.” 

(Message over 64 KB, truncated)


(english / italiano)

L'Ucraina che resiste ai fascisti e all'aggressione imperialista

1) BABIJ JAR. 1941: l’occupazione nazista di Kiev (Zambon Editore)
2) L'Ucraina che resiste ai fascisti e all'aggressione imperialista (Flavio Pettinari)
3) Ukraine and the pro-imperialist intellectuals (Alex Lantier)


=== 1 ===

Da: < zambon @zambon.net>
Oggetto: L'Ucraina.doc
Data: 05 febbraio 2014 11:00:02 CET

L’Ucraina è attualmente sconvolta da una marea montante di “ribellione popolare” che sembra mobilitare l’intera popolazione della parte occidentale del Paese che, come già ai tempi della Rivoluzione arancione, segue le “indicazioni” delle centrali di potere europee, cioè tedesche. Alcuni personaggi si sono posti alla testa della rivolta; tra essi primeggia la figura di Vitali Klitschko, l’uomo di fiducia della Fondazione Konrad Adenauer (la stessa che, nel tentativo di stroncare i movimenti di indipendenza dell’Africa nera, aveva a suo tempo finanziato squadre di tagliatori di teste addestrate nella repubblica razzista del Sudafrica per seminare il terrore tra la popolazione dei territori liberati del Mozambico).
Allo scopo di rendere comprensibili le radici profonde dei fatti che si stanno oggi svolgendo, potrà essere utile leggere il libro Babij Jar (di Anatolik Kuznetsov, ed. Zambon 2011), un libro che descrive il comportamento della popolazione ucraina all’indomani dell’invasione nazista del 1941 e che in particolare analizza i contrasti che si verificano all’interno di una famiglia dove convivono il vecchio padre anticomunista da un lato, che esulta per l’arrivo dei tedeschi “che metteranno ordine e faranno giustizia premiando chi vive del proprio lavoro”, e la figlia dall’altro lato, il cui marito si dà alla macchia e combatte con i partigiani dell’Armata Rossa.
Anche oggi c’è a Kiev identificazione con l’Occidente e opposizione al mondo slavo, di cui gli stessi Ucraini sono parte, ammirazione per i Tedeschi e incondizionata disponibilità a credere – esattamente come allora – alla loro propaganda “convincente”, anche perché supportata, ieri, dalla violenza armata e, oggi sostenuta soltanto, per il momento, da generosi finanziamenti agli intrepidi “patrioti”. La storia si ripete: da un lato l’Ucraina occidentale agricola, cattolica, sottomessa già dai tempi dell’Impero austro-ungarico ai valori della “civiltà” europea; dall’altro lato l’Ucraina orientale industrializzata, ortodossa e bolscevica.

Anatolij Kuznetsov
BABIJ JAR
1941: l’occupazione nazista di Kiev

A cura della redazione italiana della Casa editrice Zambon
Introduzione di Adriana Chiaia
Formato: cm 13x21
Pagg. 240
Prezzo: 12.00 euro
isbn 978-88-7826-65-4

Nel quadro dell’occupazione nazista di Kiev, durata più di due anni, la testimonianza dell’autore, a quei tempi un ragazzo di dodici anni, descrive il massacro di decine di migliaia di ebrei, di combattenti dell’Armata Rossa, di comunisti, di cittadini ucraini e di altre nazionalità, catturati nei rastrellamenti o presi in ostaggio, i cui corpi venivano gettati nell’enorme burrone di Babij Jar, nei pressi della città.
L’autore offre inoltre uno straordinario e contraddittorio panorama di personaggi positivi e negativi: partigiani e collaborazionisti, resistenti e delatori, solidali e profittatori, generosi e gretti, uomini, donne e bambini, strappati alla quotidianità del passato e costretti ad arrabattarsi per sopravvivere alla guerra con la sua sequela di atrocità, bombardamenti, distruzioni, saccheggi, fame e miseria materiale e morale.
Il libro è stato arricchito dalla sezione “Lineamenti di storia” composta di due schede. La prima tratta del diritto all’autodecisione dei popoli nella concezione del Partito comunista (b) e nella prassi del potere sovietico.
La seconda ripercorre le vicissitudini dell’Ucraina, dalla rivendicazione dell’autonomia al patto costitutivo dell’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche, inserendole nel loro contesto storico.
In appendice uno scritto di Il’ja Erenburg e stralci di un documento della Commissione governativa sulle distruzioni e le atrocità commesse dagli invasori tedeschi nella città di Kiev. (Processo di Norimberga).

INFO: zambon @zambon.net - www.zambon.net


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L'Ucraina che resiste ai fascisti e all'aggressione imperialista

4 Febbraio 2014 

di Flavio Pettinari per Marx21.it


Nelle ultime due settimane abbiamo assistito ad un’escalation significativa dell’impegno internazionale dei tre capibastone dell’opposizione ucraina - Klichko, Tjagnibok e Jacenjuk: la presenza alla recente conferenza di Monaco, gli incontri con il senatore repubblicano statunitense John McCain (e, per par condicio, con il segretario di Stato USA, il democratico John Kerry), alcune delegazioni occidentali a Kiev. Il tutto mentre la piazza di Kiev, assieme a quella delle altre città, va perdendo il tenore di “manifestazione di massa” lasciando spazio agli sparuti gruppi dell’ultradestra - coloro che non si riconoscono neanche in Svoboda (e infatti non sono mancati scontri e tafferugli tra quest’ultimo partito e gruppi come il Pravyj Sektor). Lo stesso Klichko, il 31 gennaio, attraverso l’ufficio stampa del suo partito, Udar, ha dichiarato che questi gruppi estremisti “operano per screditare l’opposizione” e “saranno identificati e condannati”. (sic!).1

L’impressione è quella che i tre leader dell’opposizione si siano resi conto del loro calo di popolarità e vogliano tentare un pericoloso colpo di coda, coinvolgendo apertamente (anche perché l’ingerenza straniera in Ucraina è ormai un segreto di Pulcinella) gli sponsor europei e statunitensi: recentemente la stampa ucraina ha fornito i primi risultati di alcune inchieste sui finanziamenti alle organizzazioni d’opposizione, con tanto di numeri di conto corrente e intestatari. Torneremo sopra questo argomento, per il momento accenniamo solo che si tratta di decine di milioni di dollari incassati settimanalmente dai nazionalisti.2

Il crollo di partecipazione alle manifestazioni è ben raffigurato in questa mappa, aggiornata al 27 gennaio:
http://www.marx21.it/images/mappe/ucraina_map.jpg
Oltre all’area metropolitana di Kiev, dove i partecipanti alle manifestazioni superano mediamente le 5mila unità, è evidenziata la regione di Ivano-Frankivsk, l’oblast’ tristemente nota dove l’estrema destra di Svoboda e il resto dell’opposizione hanno occupato i palazzi dell’amministrazione statale varando delle norme per la messa fuorilegge del Partito Comunista d’Ucraina e del Partito delle Regioni (il partito di appartenenza del Presidente Yanukovich). Altre regioni in cui si registra una significativa presenza media di manifestanti sono quelle di Lvov, Chernihiv e Chmelnyckij (dai 500 ai duemila) mentre il resto dei capoluoghi del paese vede scendere in piazza meno di 500 persone - pochi, ma spesso bene organizzati militarmente.

La diminuzione generalizzata del numero dei partecipanti ai “majdan locali” non ha però tranquillizzato né i partiti della sinistra (Partito Comunista in testa), né il Partito delle Regioni (forte prevalentemente nell’est del paese), né l’opinione pubblica, che temono, oltre un colpo di stato spalleggiato dall’estero, anche le incursioni dei fascisti nei capoluoghi locali: esemplare è il caso di Zaporozhie, dove il 26 gennaio i fascisti (provenienti prevalentemente da fuori regione) hanno tentato di assaltare la sede regionale del Governo, per essere poi respinti dalla popolazione. Proprio Zaporozhie è diventata celebre negli ultimi due giorni perché su iniziativa del comitato regionale del PCU è stata organizzata la Milizia, annunciata nelle sedute del consiglio comunale del capoluogo e del consiglio dell’oblast’, rispettivamente dal segretario regionale Vitalij Mishuk e dal consigliere Elena Semenenko.

Riportiamo estratti dalla Dichiarazione del gruppo consiliare del Partito Comunista di Ucraina alla sessione del Consiglio Comunale di Zaporozhie (31 gennaio 2014):

[...] A causa della situazione politica estremamente tesa in Ucraina, ai tentativi dei gruppi radicali filo-fascisti di impadronirsi con la violenza del potere statale, all’occupazione degli edifici delle amministrazioni statali regionali, dei ministeri e dei dipartimenti, alle sommosse, agli atti di vandalismo contro i monumenti ai dirigenti di governo del periodo sovietico, contro le tombe dei soldati della Grande Guerra Patriottica - il paese è sull'orlo dello scontro civile.

Le manifestazioni di massa sotto gli edifici dell’amministrazione statale regionale di Zaporozhie e i tentativi di occuparli con l'assalto del 26 gennaio 2014 da parte di militanti provenienti dalle regioni occidentali dell’Ucraina ci dicono che tutta questa infezione è strisciata fino alla regione di Zaporozhie. Le persone non capiscono - perché il Presidente non agisce? Perché il garante della Costituzione ha cessato di essere il garante della pace e della tranquillità civili? Perché il governo non vuole proteggere se stesso e il suo popolo?


[...]

(le organizzazioni aderenti alla Milizia, NdT) hanno avviato la costituzione nella nostra città del Consiglio della Milizia (in seguito, Consiglio) il cui obiettivo principale sarà il controllo dell'ordine pubblico nella città, la creazione di squadre di intervento rapido contro le rivolte di massa, il contrasto all’occupazione degli edifici amministrativi, agli atti vandalici e così via.

Il Consiglio intende opporsi a qualsiasi forma di restauro del fascismo e di giustificazione dei crimini commessi dai terroristi dell’OUN-UPA (Organizzazione dei nazionalisti ucraini – Esercito Insurrezionalista Ucraino, collaborazionisti dei nazisti, NdT) e simili. Il Consiglio sarà un’organizzazione pubblica non paramilitare e indipendente da tutte le forze politiche. Può essere membro dell’organizzazione qualsiasi cittadino o ente pubblico su base volontaria.

Facciamo appello al popolo della regione di Zaporozhie, alla direzione della città e della regione a sostenere l'iniziativa per la creazione di questa formazione pubblica. Invitiamo tutti i cittadini interessati della regione di Zaporozhie a unirsi alle schiere della Milizia.
[...] 3

Il 30 gennaio, la Milizia, in maniera analoga a quanto fatto a Zaporozhie, ovvero durante una seduta del Consiglio comunale, era stata presentata a Stahanov, città operaia di circa 90mila abitanti nella regione di Lugansk. Il primo segretario della locale organizzazione del Partito Comunista e consigliere comunale Viktor Sinjaev ha chiesto la messa fuori legge dei partiti fascisti, primo fra tutti Svoboda, e ha delineato la struttura organizzativa della Milizia che raccoglie operai, giovani e cosacchi.4

Il 31 gennaio, anche nel capoluogo Lugansk è stata presentata (da Maksim Chalenko, primo segretario cittadino del PCU) la Milizia locale. Chalenko ha spiegato che la Milizia ha la sua base presso la sede regionale del PCU e conta su 200 militanti, coordinati in modo da poter rispondere e respingere in breve tempo eventuali attacchi fascisti, inclusi gli assalti agli edifici della pubblica amministrazione. Chalenko ha informato che in ogni angolo della città vivono dei comunisti, che hanno il compito di monitorare la situazione e sono preparati ad agire in caso di necessità.5

Torneremo in articoli successivi a seguire l’evoluzione delle Milizie che si stanno costituendo su iniziativa dei comunisti, anche in occasione della marcia antifascista che si terrà a Zaporozhie, come anche in altre località, l’8 febbraio.

Il 1 febbraio, a Kharkov, su iniziativa del popolare governatore della regione, Mihail Dobkin e del Partito delle Regioni, è stato fondato il movimento “Fronte Ucraino”, alla presenza di oltre 6mila persone. Gli obiettivi del movimento, il cui nome richiama le gesta della resistenza contro i nazifascisti durante la seconda Guerra Mondiale, sono “sbloccare l’isolamento informativo dei cittadini dell’Ucraina occidentale”, “sgomberare senza condizioni tutti gli edifici amministrativi e i luoghi occupati”, “indire il referendum per cancellare l’immunità dei parlamentari” ecc.

Il Fronte Ucraino ha adottato dei colori che sono ormai il segno distintivo di tutto il movimento “antimajdan”, ovvero il nero e l’arancio (accompagnati dalla stella rossa) originari del nastro dell’Ordine di San Giorgio ma arrivati alle nuove generazioni poiché adottati dall’URSS di Stalin a simboleggiare la vittoria contro la Germania nazista.

Lo scontro con il Majdan è infatti non solo uno scontro politico, ma anche uno scontro a colpi di contrapposti riferimenti storici6: da una parte il collaborazionista Bandera e l’OUN-UPA, dall’altra parte i partigiani, l’Armata Rossa, e gli stessi Lenin e Stalin, e questi anche per i non comunisti: a Lutsk, Ucraina occidentale, il 3 febbraio, per celebrare i 70 anni dalla liberazione della città, è stato inaugurato proprio un busto di Stalin.7

Con l’eccezione di Odessa dunque, dove la popolazione è scesa in piazza in massa contro i fascisti già il 25 gennaio (un compagno del luogo mi riferisce che i cittadini di Odessa erano 5mila, i banderovcy al massimo 200), nel resto del paese si sono generalmente seguite fino allo scorso fine settimana le raccomandazione delle forze dell’ordine, ovvero evitare le provocazioni ed evitare di “mettere in difficoltà” le forze speciali del Berkut.

Volendo tratteggiare l’evoluzione della situazione delle ultime settimane, dal punto di vista della reazione popolare alle violenze del Majdan e della nascente mobilitazione popolare, ciò che risalta è il fatto che i comunisti abbiano saputo interpretare la volontà della popolazione progressista, stanca dell’attendismo del Presidente Yanukovich, e come essi siano riconosciuti, assieme ad alcuni esponenti del Partito delle Regioni (che però ha una certa connotazione filo-russa, anche di carattere “etnico”) come una forza credibile politicamente e capace di contrastare i fascisti anche sul piano del confronto diretto, nelle piazze. Non è un caso, quindi, che le sedi del Partito Comunista d’Ucraina siano colpite da frequenti attentati (la sede di Sinferopoli è stata vandalizzata il 29 gennaio, ultima in ordine di tempo) e che vi siano reiterati tentativi da parte di Svoboda per metterlo fuorilegge.

Da comunisti, e conseguentemente internazionalisti, non possiamo non ammirare il coraggio dei compagni ucraini e, con esso, la lungimiranza e la concretezza della loro battaglia politica, condotta nel Parlamento come nelle cittadine periferiche. 

Da comunisti, non possiamo non sostenere la loro lotta che è una lotta anche contro le ingerenze di carattere imperialista dell’Unione Europea - ingerenze che sono la proiezione esterna della politiche antioperaie attuate entro i confini comunitari.

NOTE

1 http://ei.com.ua/news/397137-klichko-poobeshhal-privlech-k-otvetstvennosti-aktivistov-pravogo-sektora.html
2 http://vremia.ua/rubrics/zakulisa/5321.php
3 http://www.kpu.ua/zaporozhskie-kommunisty-sozdayut-narodnoe-opolchenie/
4 http://www.kpu.ua/luganshhina-kommunisty-staxanova-sozdayut-narodnuyu-druzhinu-i-trebuyut-zapretit-vo-svoboda/
5 http://www.kpu.ua/luganskie-kommunisty-sformirovali-narodnoe-opolchenie-dlya-otpora-boevikam/
6 A gennaio tra l’altro è stata celebrata una ricorrenza estremamente significativa: i 360 anni del Trattato di Perejaslav che sancì la fine del dominio della Confederazione Polacco-Lituana sui territori polacchi e l’inizio del protettorato russo su di essi. Bohdan Chmelnyckij, atamano dei cosacchi ucraini, fu il condottiero della rivolta contro la Rzeczpospolita.
7 http://lenta.ru/news/2014/02/03/monument/


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Ukraine and the pro-imperialist intellectuals

5 February 2014

The “Open letter on the future of Ukraine” issued by a group of Western academics and foreign policy operatives is a vile defense of the ongoing far-right protests in Ukraine supported by Washington and the European Union (EU). It peddles the old lie, repeated over nearly a quarter century of imperialist wars and interventions in Eastern Europe since the dissolution of the USSR in 1991, that US and EU policy is driven only by a disinterested love of democracy and human rights.
It states, “The future of Ukrainians depends most of all on Ukrainians themselves. They defended democracy and their future 10 years ago, during the Orange Revolution, and they are standing up for those values today. As Europeans grow disenchanted with the idea of a common Europe, people in Ukraine are fighting for that idea and for their country’s place in Europe. Defending Ukraine from the authoritarian temptations of its corrupt leaders is in the interests of the democratic world.”
The identity of the imperialist powers’ local proxies demolishes the open letter’s pretense that the imperialist powers are fighting for democracy. They are relying on a core of a few thousand fascistic thugs from the Right Sector organization and the Svoboda Party to topple the Ukrainian regime in a series of street protests, replace it with a pro-EU government hostile to Moscow, and impose savage austerity measures. Washington and the EU are not fighting for democracy, but organizing a social counterrevolution.
In November, Ukrainian President Viktor Yanukovych backed away from plans to integrate Ukraine into the EU and push through tens of billions of dollars in social cuts against workers to pay back Ukraine’s debts to the major banks. Fearing an explosion of mass protests, he accepted a bailout from Russia instead. The far-right opposition redoubled its efforts, as dueling anti-government and anti-opposition protests spread in Ukrainian- and Russian-speaking parts of the country, respectively.
While EU intervention threatens Ukraine with social collapse and civil war, the open letter stands reality on its head, presenting the developments in Ukraine as a threat to the EU: “It is not too late for us to change things for the better and prevent Ukraine from being a dictatorship. Passivity in the face of the authoritarian turn in Ukraine and the country’s reintegration into a newly expanding Russian imperial sphere of interests pose a threat to the European Union’s integrity.”
In fact, neither Ukraine nor Russia has threatened to attack the EU. It is Ukraine—with its energy pipeline network, strategic military bases, and heavy industry—that is emerging as a major prize in an aggressive thrust by US and European imperialism to plunder the region and target Russia. While US and European imperialism threaten to attack Moscow’s main Middle East allies, Syria and Iran, they are threatening Russia’s main Eastern European ally, Ukraine, with regime change or partition.
The drive to impose untrammeled imperialist domination of Eastern Europe, which began after the restoration of capitalism with escalating NATO interventions and wars in Yugoslavia in the 1990s, is at a very advanced stage. It is setting into motion the next campaign, for regime change and ethnic partition in Russia, where Washington is studying a variety of ethnic groups—from Chechens, to Tatars or Circassians—whose grievances can be mobilized against Moscow.
This is raised quite directly in leading sections of the Western press. TheFinancial Times of London wrote Sunday, “Mr. Yanukovych and Mr. Putin are leaders of a similar type and with a similar governing model. If Ukrainians push the man in Kiev out of power, Russians might wonder why they should not do the same to the man in the Kremlin.”
By aligning themselves with the US-EU drive to dominate Eastern Europe, the signatories of the open letter are embracing what historically have been the aims of German imperialism. Berlin twice invaded Ukraine in the 20th century, in 1918 and 1941. Significantly, imperialism’s proxies in Ukraine today are the political descendants of Ukrainian fascists who helped carry out the Ukrainian Holocaust as allies of the Nazis—whose policy was to depopulate Ukraine and prepare its colonization by German settlers through mass extermination.
Now, at this year’s Munich Security Conference, top German officials stated that Berlin plans to abandon restrictions on the use of military force that it has obeyed since the end of World War II.
The disastrous consequences of the Soviet bureaucracy’s self-destructive policies and the light-minded approach of Mikhail Gorbachev as he moved to dissolve the USSR—believing that the concept of imperialism was a fiction invented by Marxism—are emerging fully into view.
Trotsky warned that the dissolution of the USSR would not only restore capitalism, but also transform Russia into a semi-colonial fiefdom of the imperialist powers: “A capitalist Russia could not now occupy even the third-rate position to which czarist Russia was predestined by the course of the world war. Russian capitalism today would be a dependent, semi-colonial capitalism without any prospects. Russia Number 2 would occupy a position somewhere between Russia Number 1 and India. The Soviet system with its nationalized industry and monopoly of foreign trade, in spite of all its contradictions and difficulties, is a protective system for the economic and cultural independence of the country.”
This is the agenda being laid out by imperialism and its fascist proxies: to return Russia and Ukraine to semi-colonial status through internal subversion, civil war, or external military intervention. Processes are being set into motion that threaten the deaths of millions.
Mobilizing the working class in struggle against imperialist war and neocolonial exploitation is the central task in Eastern Europe. Due warnings must be made. In the absence of such a struggle, given the bankruptcy and unpopularity of the region’s oligarchic regimes, there is every reason to think that determined fascist gangs—supported by imperialist governments and given political cover by pro-imperialist academics and diplomatic operatives—will succeed in toppling existing regimes.
This underscores the reactionary role of the signatories of the open letter. Some are top diplomats or “non-governmental” imperialist operatives—such as former foreign ministers Ana Palacio of Spain and Bernard Kouchner of France, or Chris Stone and Aryeh Neier of the US State Department-linked Open Society Institute of billionaire George Soros. Most, however, are academics and intellectuals who are lending their names to give credibility to far-right reaction in Ukraine, through a foul combination of learned ignorance and historic blindness.
Some of the names on the list of signatories evoke regret—such as Fritz Stern, a historian who was once capable of writing seriously on historical questions.
Others, like that of postmodernist charlatan Slavoj Zizek, come as no surprise. They only confirm the alignment of affluent sections of the middle class with imperialist brigandage, and the reactionary role of pseudo-left thought in training mouthpieces for imperialism.
After decades of intellectual war on Marxism in universities and the media, cultural life is in a disastrous state. Hostile to the Marxist conceptions of imperialism and of material interests driving its policies, these layers are left unmoved by imperialist crimes—the destruction of Fallujah during the US occupation of Iraq, or the drone murder campaign in Afghanistan. Their pens spring into action, however, when EU politicians excite their moral glands by denouncing regimes targeted for imperialist intervention. They can be led by the nose, even behind fascists, with a few empty invocations of human rights.

Alex Lantier




Arezzo 12 febbraio 2014

FOIBE
IO RICORDO... TUTTO!!

La verità contro il revisionismo storico


mercoledì 12 febbraio 2014
Ore 21:30, presso Centro Giovani “Onda d'urto”
via F. Redi - Arezzo

visione del film:

OCCUPAZIONE IN 26 IMMAGINI
di Lordan Zafranović


Il film analizza l’occupazione italiana e tedesca della città di Dubrovnik in
Dalmazia, scandagliando mentalità e comportamenti delle varie componenti del
nazifascismo: gli italiani tra prepotenza e vigliaccheria, i tedeschi spietati, i
collaborazionisti croati accecati dal nazionalismo...


organizzano:
ANPI                   CAAT              CNJ onlus






Protiv revisionizma u Srbiji

0) Stenografske beleške i dokumenta suđenja Draži Mihailoviću
1) Beograd 7/2: ПРОТЕСТ ПРОТИВ РЕХАБИЛИТАЦИЈЕ ДРАЖЕ МИХАИЛОВИЋА 
2) САМО  БРАНИМО ВЕЋ  ОДАВНО ДОКАЗАНО (SUBNOR 11. јул 2013)
3) LAŽLJIVA REZOLUCIJA I REHABILITACIJA IZDAJNIKA DRAŽE NEĆE PROĆI (NKPJ 20. jul 2013.) 


O istom temu procitaj:

Рехабилитација Драже Михаиловића:
ОТВОРЕНО ПИСМО СУБНОР СРБИЈЕ ДОМАЋОЈ И СВЕТСКОЈ ЈАВНОСТИ
SUBNOR, 19. март 2012.
http://www.subnor.org.rs/rehabilitacija-draze-mihailovica/#more-1209

DRAŽA ZLIKOVAC!
SKOJ, 23. mart 2012. godine



=== 0 ===

Segnaliamo che sono disponibili presso CNJ-onlus alcune copie del volume

IZDAJNIK I RATNI ZLOČINAC DRAŽA MIHAILOVIĆ PRED SUDOM
Stenografske beleške i dokumenta sa suđenja Dragoljubu-Draži Mihailoviću

(atti del processo contro Draza Mihajilovic, Belgrado 1946)

trascrizione in caratteri latini effettuata a cura della Fondazione "August Cesarec" di Zagabria, 2011
(original na čirilici: Beograd, Savez Udruzenja Novinara FNRJ-e 1946).

Prezzo di copertina: 140 kune / 20 euro incluse le spese di spedizione per chi si rivolge a CNJ-onlus


=== 1 ===

Petak, 7 februara 2014. - 10:00 sati
Виши суд, Београд, Тимочка 15 (Црвени крст, испод Београдског драмског позоришта) 

ПРОТЕСТ ПРОТИВ РЕХАБИЛИТАЦИЈЕ ДРАЖЕ МИХАИЛОВИЋА 

Драге другарице и другови, 
наставља се процес рехабилитације народног издајника, по злу чувеног четничког вође - Драгољуба Драже Михаиловића. 
НКПЈ - СКОЈ вас позивају да дођете да заједно поручимо буржоаским властима да прекрајање/фалсификовање историје неће проћи. 
РЕХАБИЛИТАЦИЈА НЕЋЕ ПРОЋИ! 

Savez Komunističke Omladine Jugoslavije 



=== 2 ===



САМО  БРАНИМО ВЕЋ  ОДАВНО ДОКАЗАНО


Пре неки дан је, како смо вас већ, уважени читаоци, обавестили на овом порталу, Председник Републике Томислав Николић примио, на своју иницијативу, делегацију СУБНОР-а Србије на челу са председником проф.др Миодрагом Зечевићем.

Председник Републике је предложио и да СУБНОР своје иницијативе и гледања стави, како се то каже, на папир.

СУБНОР сматра, такође, да је и за ширу јавност, а посебно за преко 100.000 чланова организације, корисно и потребно да има увид.

 Текст који је пред вама упућен је Председнику Републике Томиславу Николићу, затим председнику Народне скупштине Небојши Стефановићу, премијеру Ивици Дачићу, првом потпредседнику Владе Александру Вучићу, потпредседнику Владе и ресорном министру Јовану Кркобабићу, министрима Млађану Динкићу и Николи Селаковићу.

Текст СУБНОР-а Србије у целости овако гласи.

 

СУБНОР – ЗАШТО  И  КАКО

СУБНОР Србије је нестраначка, антифашистичка и хуманитарна организација, усмерена према држави, а не политичким партијама;

СУБНОР се идентификује са народноослободилачким покретом и Народноослободилачком борбом народа Србије 1941-1945. године, њеним антифашистичким, моралним, идеолошким, политичким и националним вредностима и доприноси победи над фашизмом. Ту почиње и завршава се СУБНОР. Не бранимо, не својатамо, нити заступамо новостворену послератну државу, нити присвајамо њене резултате;

СУБНОР има организацију у свим општинама и градовима Србије, повезане у окружне и покрајинске организације, које чине јединствену организацију на нивоу Србије. Према евиденцији, има око 100.000 чланова;

У оквиру општинских удружења налазе се месне организације у оквиру највећег броја насеља  и секције бораца ратних јединица;

На нивоу организовања, поред индивидуалног постоји и колективно чланство. На нивоу Републике, колективни чланови су одређене инвалидске организације, Београдски форум за свет равноправних, Клуб генерала и адмирала, Удружење пилота и падобранаца, Удружење акцијаша, Резервне војне старешине, Извиђачи и други. Многи чланови ових удружења имају и индивидуално чланство у СУБНОР-у;

Чланови СУБНОР-а су и, поред учесника НОР 1941-1945. и учесника у одбрани земље од агресије 1999. и њихових потомака, припадници ЈНА из ратних сукоба 1990-1992. у одбрани СФРЈ и припадници  ратних сукоба 1992-1995, и њихови потомци, сви људи антифашистички и патриотски опредељени и поштоваоци НОБ, под условом да прихватају Статут СУБНОР-а, чувају углед и достојанство организације и раде на остваривању  циљева удруживања;

Традиција, социјално-здравствена заштита бораца и инвалида, међународна сарадња, информативно-издавачка и научна делатност, правно-организациона и кадровска изградња организације и поверена јавна овлашћења су оквир и  послови којим се бави организација.


Шире апсолвирање питања које је СУБНОР покренуо у разговору са Председником Републикe Томиславом Николићем 5. јула 2013.године

 

1. Дан устанка народа Србије

Седми јул, по оцени СУБНОР-а, није само датум, није ни село Бела Црква, то је историја, датум који представља историјско одређење народа  Србије, кључни датум ратне историје Србије 1941-1945.  Почетак је оног што се догађало и догодило у ратној Србији. Он је истовремено и ослобођење Србије од фашистичке окупације и победа, јер без њега не би било ослобођења, били бисмо од другог ослобођени. Тог дана није пуцао брат на брата, већ борац за слободу на окупатора, јер да су браћа не би пуцали један на другог.

Непризнавање овог датума је непризнавање почетка догођене ратне историје Србије. Постоји покушај групе квази-историчара да изнађу други датум за дан почетка оружане борбе устаничког народа Србије и тиме омаловаже ту борбу и фалсификују историјску истину за рачун одређених наручилаца.

По мишљењу СУБНОР-а, власт мора да смогне снаге да сазна и призна ко се за време четворогодишњег рата борио против окупатора и домаћих сарадника, ко је ослободио Београд, ко се борио у Пријепољу, на Кадињачи, Сутјесци, Неретви, Сремском фронту, ко је ратовао четири године по Београду, Шумадији, Србији, ко је зауставио немачку армаду из Грчке да се пробије кроз Србију и споји са немачким снагама у одбрани Немачке 1944. године, ко су 305 хиљада партизана који су погинули у борби против окупатора и њихових сарадника у Југославији и 437 хиљада рањених, коме су савезници признали треће место у Европи и четврто у свету за допринос победи против  фашизма и да то јавно призна и каже.

Због Србије и света садашња власт треба да се поноси партизанском борбом и њеним доприносом победи над фашизмом. Треба 7.јулу да врати статус државног празника, сачува сећање на оне који су гинули по градовима, селима и пољима Србије борећи се за слободу, убијани по казаматима од окупатора и његових сарадника из српских редова и терани на присилни рад у земљи и Европи. На тај начин и сама власт добија поштовање, јер се поистовећује са онима који су отишли у народну легенду, историју и сећање, а свет признао допринос те борбе.

Било би непријатно за Србију и њену власт да се понови случај претходног Председника Републике да на обележавању годишњице ослобођења Београда „не зна“ ко је 1944. године ослободио тај град, ко се четири године у Србији и Југославији борио против фашистичких окупатора и његових сарадника да му  чак двапут то треба да каже председник стране државе који је дошао на обележавање годишњице ослобођења Београда. После смо били –  што би рекао хумориста – „много изненађени и увређени“ кад антифашистички свет Србију сматра државом која рехабилитује фашистичку прошлост и због тога је не позива на обележавање славних годишњица победе над фашизмом.

 

2. Рехабилитација ген.Михаиловића и колаборације

По мишљењу СУБНОР-а, оцена једног покрета, државе, институције и личности заснива се на основу општих показатеља а не детаља. Детаљи служе да се изврши корекција или појасне неке опште оцене. Из тих разлога оцена четничког, односно Равогорског покрета и ген.Драгољуба Михаиловића, мора се створити на основу општих чињеница и њиховог доприноса или одмагања борбе против фашистичког окупатора и у ослобођењу окупиране земље.

Чињеница да статус антифашиста четници нису од бивше актуелне власти добили због отпора према окупатору и борби за ослобођење земље, већ због односа избегличке Владе Краљевине Југославије, коју су били прихватили савезници, а она их преименовала у Војску Краљевине Југославије у отаџбини. Та војска, изузев кратко време 1941. године, није се борила против окупатора, већ се све време рата у сарадњи са окупаторима и квислиншким формацијама или самостални борила против ослободилачког покрета. На састанку са Немцима, новембра 1941.године, тада још пук. Михаиловић је рекао „да је борба против њих дело његових непослушних команданата и да он не стоји иза тога“. Фактички то је био колаборацонистички покрет а формално имао је до 12.септембра 1944. године легитимитет војске избегличке Владе Краљевине Југославије у отаџбини.

Сарадња четника са италијанским окупатором је од првог дана, са Немцима већ од новембра 1941. године, а са квислинзима од самог почетка у Србији, а у НДХ  од почетка 1942. године. То је била политика и понашање четника за све време окупације. Искакања неких четничких команданата, супротна општој политици четника, строго су кажњавана.

Равногорски покрет никад није позвао народ на устанак и борбу против фашистичких окупатора и домаћих квислинга. „Устанка се треба чувати као живе ватре“, речи су Васића, заменика ген.Михаиловића. Девиза је била „устанак кад дође време“, али то време никада није дошло. Четници (Војске Краљевине Југославије) завршили су војнички са окупатором и квислинзима у планинама Босне.

Злочини чињени народу који се борио против окупатора и његових сарадника по монструозношћу су исти  као они који су правиле усташе према Србима, Ромима и Јеврејима. Допринос четника одржавању окупације и економске пљачке Србије је огроман – то доказују и бројна немачка документа.

Одрицање савезника од четника није било политичка игра неких личности, већ чињеница да четници нису хтели да се боре против фашистичких окупатора и њихових сарадника, а сарађивали су са окупаторима и квислинзима, борили се против оних који се боре на страни савезника и што су чинили злочине над својим народом  у корист окупатора.

Бивша власт је донела Закон о рехабилитацији оних које су казнили победници (партизани), али и савезници, које се остварује као рехабилитација квислиништва и колаборације и ратне фашистичке прошлости у Србији. До сада су рехабилитоване у Србији све политичке личности из Србије које су биле против партизана који су се борили за ослобођење земље од окупатора и бројни они који су, као припадници колаборационистичких и квислиншких формација, чинили злочине према свом народу, а оспорена је покренута правна рехабилитација жртава и злочина које су они чинили.  За последњих 12 година деловањем бивше тзв. демократске власти оспорени су антифашизам и антифашистичка борба народа Србије и Србија сврстана у ред поражених у антифашистичкој борби народа у Другом светском рату.

СУБНОР сматра да би рехабилитација ген.Михаиловића, команданта четника (Војске Краљевине Југославије у отаџбини) и вође Равногорског покрета, која је у току, имала несагледиве негативне последице по односе унутар Србије и односе са новонасталим државама сецесијом СФРЈ, јер четнички није био српски, већ југословенски покрет. Имао би и велике међународне импликације јер би представило Србију у свету као противника антифашистичке борбе и антифашистичке опције. То би изазвало жесток отпор свих на подручју бивше Југославије и велике импликације и у Србији и у свету.

Не видимо ни један разлог да се Србија тако понаша и негира свој допринос победи над фашизмом коју јој је свет признао и подигао је на пиједестал антифашистичке борбе у Другом светском рату. Не треба заборавити да су ген. Михаиловић и четнички покрет били најкориснији сарадници немачког окупатора у Србији.

 

3. Враћање  Титовог споменика у Ужицу и однос према Титу

КПЈ је била илегална и ван закона партија у Краљевини Југославији. Окупацијом Краљевине Југославије престале су да постоје и делују све политичке партије, а Љотићев покрет претворио се у војну формацију у саставу Гестапоа. Ни једна партија није подржала устанак и борбу народа против окупатора, позвала народ на устанак, нити као партија била део устанка и НОП.

Та пасивност грађанских партија према борби народа претворена је у мржњу изавист према КПЈ која је позвала народ на устанак и водила народноослободилачку борбу до победе. После завршетка рата обновљене су грађанске партије, постале су део Народног фронта, а касније се утопиле у Социјалистички савез, али се њихов стварни политички однос није никад објективно променио према НОП-у и тековинама народноослободилачке борбе.

Три су пароле пласиране од КПЈ на почетку устанка које су биле и остале кључне за све време рата: „Братство-јединство“, „Борба против окупатора и његових и помагача“ и „Равоправост народа“, касније и борбене пароле „Борба за достојанственији и срећнији живот људи“ и „Равоправност народности, односно националних мањина“.

Победом над фашизмом остварена је једна од ових парола, а остале су оствариване за све време постојања социјалистичке Југославије. Данашње време  показује да ни једна од постојећих политичких партија у Србији не прихвата званично ове пароле и све имају према КПЈ и Титу као генералном секретару КПЈ однос које су имале грађанске партије у Краљевини Југославији. Ни једна постојећа партија не признаје оно што је постигла после рата Југославија под вођством КПЈ (СКЈ) и Тита у изградњи земље, стварању достојанственог живота људи, очувању самосталности и независности земље и заједничког суживота југословенских народа и народности и стварању несврстане међународне политике. Признање антифашистичких савезника доприносу победи над фашизмом и улога Тита и КПЈ у борби југословенских народа у тој победи ни једна партија, нити тзв. демократска власт, није признала и испоштовала, све су то оспоравале.

Према мишљењу СУБНОР-а, Тито је историјска личност, признат у свету као један од великана борбе против фашизма и државник светских размера у ХХ веку. СУБНОР не оспорава политичке грешке и потезе настале у изградњи суживота народа и народности у периоду постојања социјалистичке Југославије, али историјска оцена се не ствара по детаљима већ на основу општих чињеница и резултата. Ако се оцењује целина, борба за ослобођење земље била је успешна и у свету призната. Друштвени систем, достигнут живот и слобода људи у њој и статус земље у свету био је жеља и сан многих европских, азијских, афричких и јужноамеричких држава и народа који су то оправдано  везивали за Тита и КПЈ.

СУБНОР сматра да однос према Титу Србија треба да промени, не само зашто што друге новонастале државе бивше СФРЈ то нису никада ни спориле, већ због себе, мишљења грађана и међународних односа. Тито се не мора глорификовати али се мора уважавати, не може се игнорисати личност коју је свет признао и признаје. Нужно је због Србије вратити споменик, дати улицу, не представљати га у уџбеницима и свести људи као негативну личност и антисрбина, нека то историја оцени. Србија треба да покаже поштовање према човеку кога је светска историја уврстила у великане ХХ века.

У том смислу је и предлог СУБНОР-а да се споменик Титу у Ужицу, који се налази у запећку музеја, врати на Трг где му је и било место, тада Титовом Ужицу.

Мислимо да је немогуће Тита одвојити од признавања антифашизма, четворогодишње народноослободилачке борбе, доприноса који је дат победи над фашизмом и створеног угледа у свету. Нужна је његова, по гестовима, тиха рехабилиација у Србији.

 

4. Помирење зараћених страна у Србвији из Другог светског рата

СУБНОР сматра да је ово изузетно сложено питање и да захтева веома одговоран прилаз. Мора се знати разлог, потреба, сврха, могућност и последице. Ко се мири, шта се мири, ко су миротворци, да ли је то промена  историјске стварности, може ли неко да се мири у име и без одобрења другог. То су само нека питања која се постављају.

Једно је помирење међу државама, које има резултат само ако је реципрочно, друго је помирење између покрета, племена и појединаца унутар једне државе. Треће је амнестија и помиловање које је израз воље државне, политичке и војне моћи победника.

Помирење међу државама, посебно суседних, по мишљењу СУБНОР-а, је потреба и нужно везано за нормализацију односа у интересу обе земље. Државе не мењају оно што је било, то препуштају историји, али обећавају да то што је било неће оптерећивати савремени живот и бити препрека за остваривање сарадње и разумевању у садашњости и будућности. Ово помирење може да се манифестује политчким изјавама (декларације), уговорима о пријатељству или понашањем које прошлост ставља у други план – то је државна потреба и политика у стварању добросуседних односа. Не оспорава се оно што је било, нити мења, само се, обећава да оно што је било у историјској прошлости неће оптерећивати међусобне односе и текући живот држава.

Други облик помирења је опраштање за учињено. То је унутрашња потреба суживота, политика државе и израз њене моћи. Изражава се кроз амнестију (општи акт) и помиловање (појединачни акт). Амнестија је општи акт који се односи на понашање које је било супротно националном интересу неодређеног броја лица. То је истовремено акт опраштања и помирења.

Држава Југославија створена или обновљена у току и после победе над фашистичким окупатором, амнестирала је све грађане Југославије за учешће за време рата у војним квислиншким и колаборационистичким јединицама што су се борили против НОВ и ПОЈ; све који су били припадници управног и судског апарата окупатора; и сва лица која су сарађивала са окупатором и квислиншким и колаборационистичким формацијама, осим лица која су чинила ратне злочине и припаднике усташког и љотићевог покрета. То су акти које су доносили највиши органи власти између новембра 1944. до августа 1945. године и значила  су опраштање,  помирење и рехабилитација.

По мишљењу СУБНОР-а, помирење ратних страна у Србији 1941-1945. године могуће је само мењањем историјске улоге ратних страна и променом односа окупатора према тим странама. То би значило да није било квислинштва и колаборације, да ту окупатор није имамо никакву улогу и да сада те две стране треба помирити и признати им исти допринос у ослобођењу земље од окупатора. Држава у том случају, супротно историјским мерилима, мења историјску стварност. Тај акт нема правну вредност. Било би исто као кад би власт донела одлуку да река Морава не протиче кроз Србију. Она својом одлуком не може да промени оно што је било.

Нова генерација може да има позитиван или негативан однос према претходној генерацији и њеном делу, али не може да мења односе унутар те генерације и оно што се унутар ње догодило, поготово да мири зараћене стране у тој генерацији, јер то није њено природно право. Покушај мењање односа унутар страна претходне генерације и њихово помирење је историјска бесмислица јер се то догодило и прошло. Прошлост треба оставити историји. То није потреба историје и те генерације, већ потомака и поштовалаца српског квислинштва и колаборације из веома видљивих разлога, пре свега због моралног терета историје за издају, а и из лукративних разлога.

Помирење које се налази у интересу друге генерације не може да помири  партизане са четницима, балистима, недићевцима, муслиманском милицијом и љотићевцима. Живи партизани немају мандат јер су га искористили 1944-1945. године, а ово што се данас ради нема никаквог историјског ефекта и значаја за ту генерацију. Савремена генерација треба да решава проблеме садашњег живота и да отвара простор младој генерацији и остави на миру оно што је прошлост створила.

То је покушај потомака колаборације да издају претворе у патриотизам и изједначе по националној вредности и доприносу дело једне и друге стране. Циљ је анулирање одговорности за злочине учињене у корист окупатора против свог народа и изједначи антифашизам и фашизам по друштвеном вредновању. У таквој релацији нема одговорности за Бањицу, клање, казамате специјалне полиције, сарадњу са окупатором, злочине учињене у корист окупатора против свог народа,  борбу против покрета који се бори за ослобођење земље, итд. Одговорност таквих и те стране не постоји. Њихово кажњавање проглашено је за злочин, а они који су их казнили – злочинцима.

 

5. Дан Републике

СУБНОР је, полазећи од односа власти према републиканском облику владавине и државном уређењу, покренуо поступак пред Владом Србије да Скупштина  установи Дан Републике као значајан државни празник.

По мишљењу СУБНОР-а, у Србији – поред уставно легално изабраног Председника Републике – постоји у државно-политичком животу монарх, престонаследник не зна се којег престола, његово краљевско височанство и величанство, краљевски савет и други органи као и отворена и организована противуставна активност, посебно неких партија и конефсија, за повратак монархије. На жалост, све то се обавља уз обилату апанажу државе за одржавање активности краљевске куће, породице и организације.

Такво својеврсно представничко двовлашће у републиканском облику владавине ствара неповољну слику о Србији и у земљи и у свету и  чини је недефинисаном па и неозбиљном и у националним и међународним односима.

Садашњи политички естаблишмент ако има амозитет према 29.новембру, датуму кад је 1945. године проглашена Република као облик владавине у Југославији, нека узме датум кад је Србија 1946. године донела Устав и декларисала се као Република. СУБНОР мисли да би се на тај начин разрешила  монархистичка шарада и отклониле оправдане примедбе за непоштовање постојећег Устава и кршење на које не реагује држава. Испада да се подржава политички и правно такво стање, поготово што држава финансира такву противуставну делатност.

 

6. Однос према СУБНОР-у

Однос према једној организацији опредељује се према ономе што она ради и њеном друштвеном и политичком профилисаности и значају.

У периоду од распада СФРЈ деведесетих до данас, СУБНОР је пролазио кроз разне фазе односа са државним и политичким партијама. У периоду деведесетих и доминације СПС, СУБНОР је политички био некритички везан за СПС што се негативно одразило на укупни друштвени и политички однос према СУБНОР-у.

Променама извршеним 2000.године настоје свеопшти обрачун – политички, друштвени и правни са СУБНОР-ом. Припадници НОП-а се криминализују, антифашизам негира и омаловажава, допринос победи над фашизмом се не признаје, рехабилитују се квислинштво и колаборација са фашистичким окупатором, лица кажњена за злочине против народа у корист окупатора рехабилитују се и правно и политички и проглашавају за часне националне посленике, а припадници НОП (партизани) криминализују, проглашавају злочинцима и окривљују за све и свашта. Законска заштита бораца се умањује, а материјална законска обавеза према СУБНОР-у као организацији се ускраћује и умањује у односу на друге организације.

Доносе се закони којим се четници признају за антифашисте и о рехабилитацији којим се произвољно рехабилитују на хиљаде сарадника окупатора и његових домаћих сарадника између којих и лица која су чинила ратне злочине. Измишљају се чињенице о морбидним  масовним злочинима и неделима партизана и тврдње од текућих историчара да је у бројним местима Србије од партизана стрељано више лица него што су та места имала становника. Средства јавног информисања су у функцији и ударна снага у пласирању те политике.

Власт у Србији између 2000-2012.године све је учинила да рехабилитује фашистичку прошлост у Србији, што је довело да светска јавност индентификује Србију као земљу у којој се рехабилитује фашизам и оспорава антифашизам. У том периоду претвара се један колаборационистички покрет (четници) у антифашистички, а са њим обухвата све квислиништво и колаборацију, јер су њихове јединице биле у задњој години рата стављени под четничку команду.

Променом власти 2012. политичка клима према антифашизму, антифашистичкој борби, НОП и партизанима, вредновање нашег доприноса победи над фашизмом тихо се и постепено мења. Што је позитивнији однос према антифашизму, то је толерантнији однос према СУБНОР-у, мада то није до краја међусобно повезано када су у питању услови рада СУБНОР-а који су неповољни и не постоји потребно разумевање. Највећи домет промене је одлука да се од ове године 7.јули обележава у државној режији.

Органи државе имају коректан однос када је у питању  надлежно борачко министарство. Коректан однос имамо и са службама Министарства одбране. Имамо протоколарне односе  са још неким министарствима, али без неког стварног ефекта. Имамо коректан однос са Преседником Републике и његовим кабинетом.

Дискутабилан је однос са Министарством правде, које је у протеклом периоду било носилац негативне државне политике према антифашистичкој борби, партизанима и НОП-у. То Министарство, на челу са Хоменом и Маловићком, ангажовало је један број идеолошки острашћених историчара и било носилац и аниматор рехабилитовања колаборације и фашистичке прошлости у Србији.



Verso il 10 Febbraio tra censure, intimidazioni, scomuniche

1) MILANO: Attacco frontale PD / La Repubblica contro la storica Claudia Cernigoi per "lesa mitologia delle foibe"
2) COMO: Il sindaco PD si allinea ai nazisti e si oppone alla iniziativa dell'ANPI / Il Corriere della Sera rincara e attacca anche il sito Diecifebbraio.info
3) COMO: Lager italiani, un successo l'incontro con Alessandra Kersevan / Una grande lezione di storia / Intervista


Sulle censure imposte dalla lobby istriano-dalmata si veda anche:

“NON FATELI PARLARE”

Giorno del Ricordo 2013 a Montebelluna

Verona 12/2/2013: Gli squadristi schierati con il Rettore contro la iniziativa FOIBE TRA MITO E REALTA’


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Da La Repubblica - sez. Milano

autore: Franco Vanni
4 febbraio 2014

Rifondazione invita una revisionista 

il Ricordo delle foibe diventa un caso


NEL giorno del Ricordo, in cui si commemorano le vittime delle foibe e l’esodo giuliano-dalmata, Rifondazione comunista organizza un incontro con la storica Claudia Cernigoi, nota per le posizioni revisioniste sui massacri di italiani in Venezia Giulia e Dalmazia a partire dal 1943. E lo fa in una sede istituzionale: l’iniziativa si terrà infatti lunedì prossimo, 10 febbraio, nell’aula del consiglio di Zona 3 in via Sansovino 9. «Nessuna provocazione — assicura Renato Sacristani, dirigente di Rifondazione e presidente del parlamentino di quartiere, eletto nelle liste di Sinistra per Pisapia — abbiamo deciso di organizzare l’incontro con Cernigoi, studiosa che stimiamo, per bilanciare la faziosità dell’iniziativa che simultaneamente si svolgerà allo spazio Oberdan». Nella sala di Porta Venezia è prevista la lettura di “La Foiba dei Colombacci”, testimonianza autobiografica in forma di racconto della diaspora e dell’esilio in patria di Luigia Matarrelli, maestra elementare presso il Provveditorato di Pola.
La decisione di invitare Cernigoi — che riduce i massacri delle foibe a «mistificazione storica, trasmessa dalla propaganda nazifascista attraverso la guerra fredda fino al neoirredentismo» — solleva polemiche e critiche. Per Riccardo De Corato, consigliere comunale di Fratelli d’Italia, «fare parlare Cernigoi proprio nel giorno del Ricordo, per di più senza contraddittorio, è una provocazione inaccettabile. Destra e sinistra non c’entrano: nelle foibe morirono migliaia di persone, non 400 come Cernigoi va ripetendo, con la sola colpa di essere italiane». Il Partito democratico, che in consiglio di Zona si è opposto alla concessione della sala, da giorni preme sull’alleato di giunta perché il convegno sia spostato in un’altra sede. Lo staff del sindaco fa sapere che Giuliano Pisapia non intende commentare l’iniziativa, e che come ogni anno da quando è stato eletto, il 10 febbraio parteciperà alla cerimonia ufficiale di commemorazione delle vittime dei massacri delle foibe.
Nel convocare l’incontro su Facebook, Rifondazione comunista scrive: «Il 10 febbraio è il Giorno del Ricordo. Da quando è stata istituita questa ricorrenza, il tema certamente drammatico degli “infoibati” è utilizzato in maniera strumentale dalla destra come strumento di revisionismo storico sulla Resistenza». Il giorno del Ricordo è solennità civile nazionale istituita per legge nel 2004, e dal 2005 viene celebrata ogni anno il 10 febbraio. Nel 2007 il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel ribadire «il valore fondante della Resistenza e le responsabilità fasciste nella Seconda guerra mondiale», invitò tutte le amministrazioni pubbliche a celebrare il giorno del Ricordo, «per non dimenticare quello che fu un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo che assunse i sinistri contorni di una “pulizia etnica”». Nello stesso anno fu l’Unione europea a criticare formalmente il presidente croato Stipe Mesic, che in polemica con Napolitano sosteneva posizioni del tutto simili a quelle della storica Cernigoi.

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LA RISPOSTA DI CLAUDIA CERNIGOI:

Egregio signor Direttore, ho letto l’articolo di Franco Vanni su La Repubblica di oggi, e sono rimasta letteralmente basita del tono con il quale sono stata descritta.
“La storica (…) che definisce “mistificazione” i “massacri tra il 1943 ed il 1945”; poi sono definita “revisionista” (che di per se stesso sarebbe anche un termine corretto, dato che ho rivisto buona parte delle affermazioni prive di riscontro storico che da decenni vengono ribadite come se fossero oro colato, ma nel contesto dell’articolo assume un significato negativo dei miei lavori di ricerca), “riduzionista”, come se mi fossi limitata a “ridurre” qualcosa invece di analizzarlo criticamente.
Così inoltre nel testo si legge che Cernigoi “riduce i massacri delle foibe” a “mistificazione storica, trasmessa dalla propaganda nazifascista attraverso la guerra fredda fino al neoirredentismo”.
Mi domando: il giornalista ha letto qualcosa di quanto ho scritto oppure si è limitato a copiare (non correttamente, tra l’altro) il sottotitolo del mio primo studio sulle foibe, risalente ancora al 1997, “Operazione foibe a Trieste”, il cui sottotitolo esatto era “come si crea una mistificazione storica: dalla propaganda nazifascista attraverso la guerra fredda fino al neoirredentismo”.
La mistificazione storica riguarda la propaganda creata intorno a questo periodo storico, non le “foibe” in quanto tali, come si comprende benissimo leggendo quanto ho scritto, ed ancora meglio è spiegato nello studio successivo “Operazione foibe tra storia e mito”, pubblicato nel 2005. Viene riferito come dato di fatto incontrovertibile l’intervento di Riccardo De Corato (è uno storico? un ricercatore?) che “nelle foibe” sarebbero morte migliaia di persone “con la sola colpa di essere italiane”, e non le 400 che avrei detto io. A parte che io non “vado ripetendo” che gli infoibati sarebbero stati 400 (nei miei studi ho spiegato i termini della questione, che non sto qui a ripetere per motivi di spazio) ma non comprendo perché il giornalista abbia pubblicato quanto detto da altre persone e non mi abbia contattata per chiarimenti, come era rimasto d’accordo con gli organizzatori dell’incontro, prima di scrivere frasi che presentano negativamente il mio lavoro, che è frutto di decennali ricerche negli archivi italiani ed esteri, di analisi accurata di quanto pubblicato in precedenza e di interviste con testimoni dei fatti.
Chiedo pertanto che il quotidiano da Lei diretto mi dia l’opportunità di chiarire quanto su di me pubblicato in modo non corretto e sminuente del mio lavoro, che sembra finalizzato a giustificare la negazione dell’uso della sala per un’iniziativa culturale, come se io fossi una persona non degna di parlare di determinati argomenti.

Ringraziando per la cortese attenzione, attendo riscontro

Cordiali saluti

Claudia Cernigoi
Iscrizione n. 262 d.d. 2/6/1981 albo giornalisti Friuli Venezia Giulia.


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Sulla conferenza di Alessandra Kersevan sabato 1° febbraio a Como si veda anche:


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http://www.contropiano.org/politica/item/21921-como-il-sindaco-pd-obbedisce-ai-fascisti-di-militia-e-sfratta-l-anpi

Como: il sindaco Pd obbedisce ai fascisti di Militia e sfratta l’Anpi

•  Lunedì, 03 Febbraio 2014
•  Marco Santopadre

La notizia è di quelle gravi, gravissime. E la dice lunga sulla degenerazione di un partito che solo in campagna elettorale continua a predicare un antifascismo strumentale che poi nega ogni giorno.

Sabato pomeriggio la locale sezione dell’Anpi di Como e l’Istituto di Storia contemporanea “Pier Amato Perretta” avevano organizzato un incontro pubblico con la storica Alessandra Kersevan all’interno della sala delle conferenze della Circoscrizione 1. Un incontro all’insegna di quel recupero della memoria storica che lo stato italiano afferma di promuovere e difendere addirittura attraverso l’istituzione di giornate ad hoc. L’incontro mirava a ricordare che “Tra il 1941 e l’8 settembre del 1943, il regime fascista e l’esercito italiano misero in atto un sistema di campi di concentramento in cui furono internati decine di migliaia di jugoslavi: donne, uomini, vecchi, bambini, rastrellati nei villaggi bruciati con i lanciafiamme. Lo scopo di Mussolini e del generale Roatta, l’ideatore di questo sistema concentrazionario, era quello di eliminare qualsiasi appoggio della popolazione alla Resistenza jugoslava e di eseguire una vera e propria pulizia etnica, sostituendo le popolazioni locali con italiani”.
Ma ai fascisti di Militia l’iniziativa volta a ricordare le responsabilità del regime fascista italiano nelle persecuzioni dei popoli della Yugoslavia occupati ed aggrediti durante l’invasione italiana e tedesca non è piaciuta. Niente di nuovo, si dirà. Senonché il sindaco di Como Mario Lucini, espressione di una giunta di coalizione tra Partito Democratico, Sel (!) e alcune liste civiche ha deciso di obbedire al diktat di quelli di Militia – che accusano Kersevan di “spiccato negazionismo sul dramma delle foibe” – e quindi decide di sfrattare l’iniziativa negando il salone della circoscrizione.
L’amministrazione di Como si è nascosta dietro una sorta di par condicio tra associazioni partigiane e antifasciste ed organizzazioni di estrema destra. Siccome nei giorni scorsi il salone della circoscrizione era stato negato ad una iniziativa di celebrazione di un esponente del regime nazista allora non lo si può concedere neanche alla “parte avversa”.
Di qui il forzato trasloco della conferenza, che alla fine si è tenuta nel salone Bertolio con qualche elemento in più di consapevolezza sull’attualità dei valori dell’antifascismo. 

Sul loro sito quelli dell'Associazione Culturale Militia cantano vittoria. 

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Perché le parole della Kersevan sono inaccettabili

MERCOLEDÌ 05 FEBBRAIO 2014

Fa ancora discutere il caso scoppiato lo scorso fine settimana
La lettera di un docente del Volta e quelle morti oltraggiate dalla ricercatrice


Gentilissimi, non so se faccio bene a scrivervi, ma se non lo avessi fatto sentirei di aver mancato a un mio dovere professionale. 
Sono un insegnante di storia e filosofia del Liceo classico Alessandro Volta di Como, cultore di storia e autore di alcuni testi divulgativi. La conferenza di Alessandra Kersevan non era sulle foibe e il libro che ha scritto non parla di foibe, dunque come si spiegano le pagine di notizie polemiche di ieri e oggi? Come mai sul giornale di oggi non c’è la cronaca della conferenza ma solo la foto? Ho assistito alla conferenza come faccio sempre quando arriva a Como qualcuno che parla di storia, soprattutto del Novecento, e ho anche registrato col mio Ipod l’intero intervento della Kersevan, perciò sono in grado di provare quello che affermo. Sarei grato di avere spiegazioni, citazioni o fonti in cui si possa leggere che la Kersevan, apparentemente una persona pacata e obiettiva (nel senso dell’obiettività storica), neghi le foibe, le riduca a fenomeno marginale o offenda i caduti sotto i colpi della violenza titina.
Cordialmente,
Paolo Ceccoli


Gentile professore, ha fatto benissimo a scriverci, tanto che la sua lettera merita la dovuta attenzione. E qualche risposta.
La prima è relativa all’oggetto della conferenza organizzata da Anpi e Istituto Perretta. Come potrà accertare rileggendo l’articolo pubblicato sul “Corriere di Como” di sabato scorso, nessuno ha mai scritto che Alessandra Kersevan avrebbe parlato delle foibe. Al contrario, era specificato in maniera inequivocabile che il titolo, e dunque il contenuto dell’intervento, avrebbero riguardato altro argomento. Per questo motivo, ossia per il fatto che l’evento in sé esulava dai dati di cronaca, centrati sull’aspra polemica che la figura stessa della Kersevan suscita in una notevole parte dell’opinione pubblica sul tema specifico delle foibe, non è stato dato resoconto puntuale della conferenza in sé. 
Chiariti questi due punti, veniamo alle “tesi” di Alessandra Kersevan sulle foibe. 
Chi scrive, legge per esempio in questa frase dell’autrice - “Commemorare i morti nelle foibe significa sostanzialmente commemorare rastrellatori fascisti e collaborazionisti del nazismo. Per gli altri morti, quelli vittime di rese dei conti o vendette personali, c’è il 2 Novembre” - un oltraggio indegno alle centinaia di civili italiani e non (ma se fossero decine non cambierebbe nulla) gettati nelle fosse carsiche dai soldati comunisti di Tito. Di più: in quelle parole si coglie una disumana e inaccettabile divisione tra morti di serie A e morti di serie B, che va ben al di là dei torti e delle ragioni che pure la Storia ha già affermato. E che, invece, insinua nemmeno velatamente il concetto che un cadavere, o persino un prigioniero di guerra in vita, possa tutto sommato “meritare” o meno ogni oltraggio a seconda della divisa che indossava. 
Aggiungo. Sul sito “diecifebbraio.it” è riportato il titolo di un’intervista concessa il primo febbraio scorso dalla Kersevan all’emittente radiofonica “Radiazione” (con contenuto scaricabile). Ebbene, il titolo - riferito alla ricorrenza del 10 Febbraio - è questo: “Il giorno della menzogna”. Proprio come la peggiore propaganda negazionista della Shoah titola molti dei suoi più ignobili scritti. Ecco, chi scrive pensa che - al di là di un revisionismo storico legittimo, quando serio - coloro che aderiscono senza battere ciglio a una qualunque iniziativa che bolli in maniera apodittica e preconcetta i drammi delle foibe o della Shoah con la parola “menzogna” possano fare una cosa sola: vergognarsi.
Emanuele Caso


Nella foto:
La ricercatrice storica Alessandra Kersevan, contestata da più parti perché ritenuta revisionista, quando non proprio negazionista, delle foibe


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Sulla conferenza di Alessandra Kersevan sabato 1° febbraio a Como si veda anche:

VIDEO 
prima parte: http://www.youtube.com/watch?v=iYJJGyiDdV4#t=55
seconda parte: http://www.youtube.com/watch?v=V4exkreWJ8w
terza parte: http://www.youtube.com/watch?v=pgrBvSFP4rw

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Nonostante un'allucinante campagna mediatica ampiamente disinformativa e nonostante l'incompresibile negazione all'ultimo momento da parte del sindaco di Como della sala della Circoscrizione n. 1, oltre centoventi persone hanno assistito con attenzione ed interesse alla conferenza con la storica Alessandra Kersevan di sabato 1 febbraio dal titolo: Lager italiani - pulizia etnica e campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi 1941-1943

Ringraziamo la relatrice prof.essa Kersevan, l'Istituto di Storia P.A. Perretta per la collaborazione e il comitato soci Coop per aver messo a disposizione la sala.

Mentre a Cantù si è data ospitalità ad un gruppo di nazifascisti a Como si vieta uno spazio pubblico per un' iniziativa dal contenuto informativo e culturale voluta dall'Istituto di Storia nella pienezza del suo compito e dall'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia nella legittima funzione rivolta a tenere viva la memoria. Chi non è venuto all'incontro ha perso una lezione sulla storia che riguarda noi italiani.

I contenuti di questa conferenza sono apparsi culturalmente interessanti e didatticamente formativi. La storia del confine orientale con la ex Jugoslavia si rivela, nei saggi della Kerseveran, complessa e piena di dettagli inediti e documentati.

Si dovrebbero incentivare iniziative come questa in modo da contrastare l'ipocrito atteggiamento di nascondere i crimini fascisti e lasciare, i più, nell'ignoranza di credere che "Mussolini aveva bonificato l'Agro Pontino" e "Costruito pochi chilometri di autostrada", sottacendo le atrocità commesse nei confronti di altri popoli per una assurda voglia di conquista mai, per altro, realizzata e mai giudicata sino in fondo.

Anpi sezione di Como "Perugino Perugini"


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Kersevan / Una grande lezione di storia

Nel salone Bertolio della Cooperativa di via Lissi a Rebbio la storica Alessandra Kersevan ha ricostruito in un’approfondita conferenza nel pomeriggio di sabato 1 febbraio le vicende connesse all’occupazione fascista delle regioni della ex Yugoslavia, legate soprattutto all’internamento di un numero grandissimo di civili, uomini e donne, vecchi e bambini, in campi di concentramento italiani tra 1941 e 1943.

L’incontro, organizzato dalla Sezione di Como dell’Anpi e dall’Istituto di Storia Contemporanea Pier Amato Perretta, avrebbe dovuto tenersi – com’è noto – alla Circoscrizione n. 1 di Albate se il Comune non avesse ritirato all’ultimo momento la concessione della sala. Il trasferimento non ha nuociuto alla partecipazione, anzi: oltre cento persone hanno affollato il salone Bertolio. Un pubblico attento e partecipe, intenzionato a capire.

E se alle persone presenti si fosse aggiunto anche qualcuno di quelli che in questi giorni hanno accusato la studiosa di “negazionismo” riguardo alla vicenda delle foibe, avrebbe avuto la misura di quanto si è sbagliato.

Dopo le parole di premessa di Nicola Tirapelle della Sezione di Como dell’Anpi e l’attenta introduzione di Elisabetta Lombi, dell’Istituto di Storia Contemporanea, che ha fornito i dati essenziali del volume Lager italiani – recentemente pubblicato appunto dalla studiosa -, Alessandra Kersevan ha ricostruito la storia dell’area intorno al “confine orientale” dalla prima guerra mondiale fino a tutta la vera e propria occupazione fascista. Una regione estremamente complessa, in cui era evidente una realtà plurinazionale (italiana, slovena, croata, ma anche tedesca e rumena) e che l’annessione all’Italia cercò subito di omologare a una pretesa italianità. Su queste vicende ha operato una profonda rimozione, quando non una vera e propria censura: Alessandra Kersevan ha ricordato solo due esempi, ma estremamente significativi: il documentario della Bbc Fascist legacy, realizzato alla fine degli anni Ottanta, acquistato e tradotto dalla Rai ma mai trasmesso, e poi soprattutto il documento finale della commissione storica italo-slovena istituita dai governi dei due Paesi e che avrebbe dovuto essere ratificato dai rispettivi governi, cosa che è avvenuta per la Slovenia ma non per l’Italia.

La data cardine per le specifiche vicende legate ai campi di internamento italiani è il 6 aprile 1941, con l’inizio della aggressione al regno di Yugoslavia e la seguente occupazione, che fu gestita con ossessiva attenzione alla repressione delle vere e presunte forme di resistenza da parte degli abitanti. L’intera città di Lubiana, per esempio, venne trasformata nella notta tra 22 e 23 febbraio 1942 in un immenso campo di concentramento con la costruzione di un reticolato tutt’intorno all’abitato, lungo ben 32 kilometri, e la suddivisione del territorio urbano in zone divise da filo spinato. Si procedette quindi all’internamento dei maschi adulti che vennero “selezionati” per categorie, a cominciare dagli studenti, evidentemente ritenuti i più pericolosi. A seguito di questa vera e propria pulizia etnico-politica i luoghi di detenzione sul posto si dimostrarono rapidamente insufficienti e vennero quindi allestiti veri e propri campi di concentramento in Italia (in Friuli – in primo luogo a Gonars -, in Veneto, ma poi anche in Liguria, in Umbria, in Toscana, in Lazio) e sulle isole dalmate. Alla fine, in condizioni disumane, furono circa 120 mila le persone slovene, croate, montenegrine deportate e internate, di queste non meno di 4500 (secondo le stime più prudenti), ma forse almeno 7000, morirono.

Alessandra Kersevan ha raccontato questi accadimenti in una narrazione pacata, ma implacabile: ha citato cifre, mostrato immagini provenienti dagli archivi militari italiani, smontato false attribuzioni e interpretazioni, letto messaggi inviati dall’interno dei campi e documentati dalle commissioni provinciali della censura fascista, ricostruito un contesto storico che dovrebbe essere noto e che invece è stato artatamente occultato dall’ufficialità.

Ha poi risposto alle domande del pubblico, attento e partecipe, come si è detto. Non si è sottratta nemmeno al pretesto delle polemiche che purtroppo l’accompagnano da tempo e che l’hanno accolta anche a Como: il tema delle foibe. A proposito del quale, ha allargato il contesto di spiegazione, sottolineando che in quella regione la guerra è stata particolarmente dura, fin dal primo conflitto mondiale, e che la guerra non può lasciare che strascichi di guerra e violenza (come è stato sottolineato anche dall’intervento di Celeste Grossi). Lungi dal ridimensionare la drammaticità delle vicende legate alle foibe, ha chiesto uno sforzo di approfondimento, di studio, un impegno anche da parte delle istituzioni per chiarire le reali dimensioni del fenomeno, tuttora oggetto di forzature polemiche, per riuscire a sottrarlo definitivamente a istanze nazionalistiche (e di nuovo ha richiamato la paradossale vicenda della commissione di storici italo-slovena istituita e poi “abbandonata” dal governo italiano) e soprattutto per riuscire a inquadrarlo in una prospettiva storica che non può essere chiusa sul solo periodo seguente alla seconda guerra mondiale e alla fine del fascismo.

Alla fine, tra tutte le persone presenti, è stata forte la consapevolezza di aver imparato molte cose. [Fabio Cani, ecoinformazioni]


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Kersevan/ Intervista


Abbiamo chiesto alla storica Alessandra Kersevan di ribattere alle accuse e agli oltraggi alla sua professionalità di ricercatrice che sono derivati dalla paradossale vicenda della conferenza per la quale il sindaco di Como ha negato a Anpi e Istituto Perretta una sala comunale. Leggi nel seguito del post l’intervista rilasciata, prima della conferenza di sabato 1 febbraio, dalla Kerservan  a Jlenia Luraschi.

C’è chi la accusa di revisionismo, cosa risponde? Credo che la storia, quando è ricerca storica, debba sempre fare un opera di revisionismo rispetto ai risultati precedenti, altrimenti la ricerca non avrebbe senso, e detta in questo senso la parola revisionista non mi darebbe fastidio. Il problema è che negli ultimi decenni la parola revisionismo è stata usata in un modo politico e di solito veniva usata dalla storiografia resistenziale nei confronti della storiografia di destra che tendeva a reinterpretare la storia della seconda guerra mondiale con la tendenza  a rivalutare il fascismo e a trovare responsabilità a carico dei partigiani. Io in questo senso revisionista non posso essere.

Solo che la storiografia di destra e i politici di destra sono esperti e bravi nel ribaltare il significato delle parole. Hanno fatto delle affermazioni sulla storia del confine  orientale, affermazioni esagerate e non corrispondenti alla verità storica ed alla documentazione. Coloro che invece sono stati attivi sul piano della ricerca e hanno scoperto che i dati che venivano dati sulle Foibe erano sbagliati vengono adesso definiti revisionisti. Evidentemente l’essere revisionisti deriva dal fatto che altri prima sono stati “affermazionisti” senza essersi adeguatamente documentati.

Il problema è poi che i giornalisti travisano a loro volta queste parole affiancando un significato morale  o moralistico e fanno credere che la parola revisionista sia una parola offensiva. Credo che su tutto questo bisogna fare una grande chiarezza

Sulle vicende del confine orientale di cui io mi occupo sono state in questi anni, in particolare dagli anni 90 in poi, fatte ricostruzioni tendenti alla negazione delle responsabilità che il fascismo ha avuto nell’aggressione alla Jugoslavia, nel razzismo verso gli slavi e nei campi di concentramento creati per la popolazione. Quindi si tratta di ristabilire la verità.

Ho smesso di preoccuparmi delle definizioni che mi vengono date e preferisco andare alla sostanza delle cose. Certo che quando i giornali mi attribuiscono frasi che non ho mai pronunciato diventa preoccupante.

Cosa risponde a chi vorrebbe rappresentarla come un’esponente politica e non come una storica? Questa accusa è ingiusta e deriva da esponenti di destra e di estrema destra che sostanzialmente attribuiscono agli altri quello che invece fanno loro. Ho dimostrato con i miei libri, quelli che ho scritto personalmente e quelli che ho pubblicato e quelli del gruppo di ricerca di resistenza storica di cui faccio parte, volumi documentati, basati su una rigorosa e approfondita ricerca, quello che sono. Naturalmente, come tutti gli storici ci assumiamo la responsabilità dell’interpretazione dei dati e dei documenti. Il problema è che da parte dei miei detrattori non viene fatto un necessario e legittimo confronto storiografico, ma viene attuata una vera e propria persecuzione e censura. A me il confronto piace, e mi sono trovata a confrontarmi con chi ha un’altra visione e interpretazione dei documenti, e in questo caso è anche interessante discuterne. Se venissero presentati documenti che mettono in discussione le mie affermazioni, non avrei problemi ad ammetterlo, il fatto è che in tutti questi anni non è mai successo e non è mai stato presentato nulla di nuovo, non sono state fatte reinterpretazione, è stata solo attuata nei nostri confronti una vera persecuzione.

Purtroppo in questa azione di censura nei confronti di una ricostruzione storica seria come quella del confine orientale non sono solo coinvolte espressioni della destra, ma anche una parte della sinistra che, soprattutto negli ultimi anni, ha accettato le versioni che nazisti e fascisti avevano già dato nel 43 e nel 45. [Jlenia Luraschi, ecoinformazioni].





Iniziative a Napoli, Ceggia, Torino, Milano, Rovigo, Bologna

Ricordiamo anche l'iniziativa che si svolgerà
ad Arezzo il 12 febbraio 2014: FOIBE. IO RICORDO... TUTTO!!
OCCUPAZIONE IN 26 IMMAGINI di Lordan Zafranovic


=== NAPOLI 7 FEBBRAIO ===

Venerdì 7 febbraio 2014
ore 17:00, presso la Mensa Occupata
Via Mezzocannone 14 - Napoli

IL MITO DELLE FOIBE 
RISCRIVERE IL PASSATO PER DOMINARE IL PRESENTE

Oltre le amnesie della Repubblica
Oltre la mitologia degli Italiani Brava Gente

intervengono: 
SANDI VOLK - storico
FRANCESCO SOVERINA - storico, direttore dell'Archivio dell'Istituto Campano di Storia della Resistenza
GIUSEPPE ARAGNO - storico

a seguire (ore 21:00): cena

promuovono:
CITY STRIKE (GENOVA)
GAGARIN 61 (TERAMO)
INSURGENT CITY (PARMA)
MENSA OCCUPATA (NAPOLI)
MILITANT (ROMA)



=== CEGGIA (VE) 8 FEBBRAIO ===

ANPI
COMITATO ANTIFASCISTA E PER LA MEMORIA STORICA

Sabato 8 febbraio 2014
presso la Sala consiliare di Ceggia (VE), ore 17:30

conferenza: FASCISMO, FOIBE, ESODO

relatrice: Alessandra Kersevan

Dal 20 al 28 febbraio 2014
presso la Sala consiliare di Ceggia (VE)

esposizione della mostra: FASCISMO, FOIBE, ESODO

inaugurazione giovedì, 20 febbraio 2014 alle pre 20:30


=== TORINO 9 FEBBRAIO ===

Domenica 9 febbraio 2014
Piazza Nazario Sauro - Torino
a partire dalle ore 15:00

ANPI - Associazione Nazionale Partigiani d'Italia
Comitato ANPI Provinciale di Torino - Ente Morale dal 1945

Presidio Antifascista per la Pace, la Democrazia e la verità storica 

Invitiamo tutti cittadini, le associazioni e i soggetti politici che condividano i valori della Resistenza e della Costituzione.

Esposizione mostre fotografiche:
- "Fascismo, foibe, esodo"
 dell'ANED - Associazione Nazionale Ex Deportati Politici dei lager nazisti
- "Testa per dente" del Coordinamento 10 Febbraio

Musica, vin brulè, the caldo

Difendiamo la memoria contro tutti i neofascismi



=== MILANO 10 FEBBRAIO ===

Lunedì 10 febbraio 2014
ore 18:00, presso la Sala del Consiglio di Zona 3
Via Sansovino 9, Milano

INCONTRI CON LA STORIA: LE FOIBE

L'uso strumentale delle foibe come revisionismo storico sulla resistenza da parte della destra

interviene: CLAUDIA CERNIGOI - storica

promuove:
PRC - Circolo Peppino Impastato



=== COSTA (ROVIGO) 12 FEBBRAIO ===

COSTA DI ROVIGO, 12 FEBBRAIO

STORIE DEL CONFINE ORIENTALE
tra fascismo, guerra, foibe ed esodo

Conferenza di ALESSANDRA KERSEVAN

ULTERIORI DETTAGLI A SEGUIRE SU Diecifebbraio.info


=== BOLOGNA 14 FEBBRAIO ===

ANPI Sez. Lame - Bologna

Presenta
Sala Benjamin - Via del Pratello, 53
Venerdì 14 Febbraio 2014, alle h. 20,30.

Foibe: un’interpretazione storica
Questioni del confine orientale italiano

Discussione e dibattito con:
Ermenegildo Bugni – Segretario Provinciale Anpi Bologna
Alessandra Kersevan e Sandi Volk – Storici

A corredo della discussione:
TESTA PER DENTE
mostra in 18 pannelli su materiali di resistenza storica
antifascista e internazionalista
gentilmente concessa da CNJ (Coordinamento Nazionale Jugoslavia)

Lo scopo della mostra è fornire un piccolo strumento didattico e culturale che serva da stimolo per colmare un grave vuoto di in-formazione nella memoria storica collettiva, soprattutto presso i giovani” in occasione della Giornata del Ricordo






Da: "Comitato antifascista e per la memoria storica-Parma" <comitatoantifasc_pr @ alice.it>
Oggetto: contromanifestazione antifascista il 10 febbraio a Parma
Data: 02 febbraio 2014 20:28:01 CET

CONTROMANIFESTAZIONE  ANTIFASCISTA  AL  "GIORNO DEL RICORDO"  IL  10  FEBBRAIO  A  PARMA
Cinema  "Astra"  ore 20.30

Manifestazione antifascista alternativa alla celebrazione del "giorno del ricordo delle vittime delle foibe" il 10 febbraio 2014 a Parma, al cinema "Astra", organizzata da ANPI, ANPPIA, Comitato antifascista e per la memoria storica. La manifestazione, quest'anno alla nona edizione, prevede proiezione di filmati, conferenza, presentazione di libro. Con inizio alle 20.30 sarà proiettato un filmato sul campo di concentramento fascista per jugoslavi di Chiesanuova (Padova) 1942/'43, quindi si parlerà del contributo jugoslavo alla Resistenza Italiana con la presentazione, da parte di Gabriella Manelli presidente ANPI provinciale e di Roberto Spocci presidente ANPPIA provinciale, del libro "I partigiani jugoslavi nella Resistenza Italiana" di Andrea Martocchia segretario del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia, e del contributo italiano alla Resistenza Jugoslava con la conferenza di Eric Gobetti, ricercatore di storia contemporanea, sulla "Divisione Italiana Partigiana Garibaldi". Sulla Divisione Garibaldi saranno pure proiettati filmati a cura dello stesso Gobetti, autore anche di un programma sull'argomento trasmesso da RAI Storia.  Ingresso libero. 


invita all'iniziativa i tuoi amici in Facebook: https://www.facebook.com/events/577738235635406/

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Parma, 10 febbraio 2014
ore 20:30, presso il Cinema Astra - Piazza Volta, 3


FOIBE E FASCISMO (IX edizione)

* filmato sul campo di concentramento di Chiesanuova (PD)

* presentazione del libro I PARTIGIANI JUGOSLAVI NELLA RESISTENZA ITALIANA
di A. Martocchia, segretario Coord. Naz. per la Jugoslavia
con l'Autore, G. Manelli (pres. ANPI) e R. Spocci (pres. ANPPIA)

* filmato sulla Divisione Italiana Partigiana Garibaldi combattente in Jugoslavia

* conferenza: I PARTIGIANI ITALIANI NELLA RESISTENZA JUGOSLAVA
di E. Gobetti, ricercatore indipendente di Storia contemporanea

organizzano
A.N.P.I. -- A.N.P.P.I.A. -- COM. ANTIFASCISTA E PER LA MEMORIA STORICA
ingresso libero



(francais / castellano)


--- castellano ---


¿Dónde está Bernard-Henri Lévy?

Artículo publicado por Vicenç Navarro en la columna “Pensamiento Crítico” en el diario PÚBLICO, 27 de noviembre de 2013

Este artículo critica la selectividad de Bernard-Henri Lévy en sus posturas pro derechos humanos, que siempre coinciden con la política internacional promovida por el gobierno federal de EEUU y la Unión Europea. El artículo también indica el gran silencio de este autor sobre la situación de Libia, que él contribuyó a crear.


Bernard-Henri Lévy tiene muy buena prensa en España, apareciendo con gran frecuencia en las páginas de El País predicando la moralidad de sus causas, que requieren con gran frecuencia intervenciones militares, lo cual explica que algunos intelectuales de la izquierda estadounidense lo califiquen como el moralizador de las guerras, en general, contra el Islam (ver Ramzy Baroud “France’s Sham Philosopher” en CounterPunch, 20.11.13). Presentado frecuentemente en los medios españoles como “el filósofo de Francia”, articula siempre posturas promovidas por el establishment político francés, rodeado siempre de grandes cajas de resonancia que explican su gran visibilidad mediática.

La última gran hazaña de este señor fue su liderazgo (que El País definió como moral) para que la OTAN interviniera en Libia para deponer al coronel Gadafi (basándose en una interpretación tergiversada y manipulada de la famosa Resolución 1973 de Naciones Unidas del 17 de marzo de 2011, que no permitía dicha intervención). Esta intervención se justificó por el supuesto apoyo de los Estados intervencionistas por vía militar (que incluyó desde bombardeos que afectaron a poblaciones civiles, hasta la transferencia de armas) para deponer a un dictador y sustituirlo por fuerzas democráticas que deseaban instaurar una democracia. Considerando la enorme evidencia que existe mostrando el apoyo de tales Estados (EEUU y Francia incluidos) a dictaduras casi medievales en la misma región, esta justificación carecía de credibilidad. Pero ello no inhibió ni frenó al filósofo de Francia en la utilización de dicha justificación. Y lo que es notorio es que repitió constantemente tal justificación con toda seriedad y contundencia, apelando a la moralidad democrática que según él debe caracterizar el comportamiento de las naciones civilizadas. Bernard-Henri Lévy (BHL) utiliza una narrativa llena de imágenes altisonantes, preñadas de gran pomposidad, como corresponde a uno de los intelectuales franceses más galardonados en Francia. El poder es siempre muy cariñoso y agradecido con sus sirvientes. Al servicio de su causa, BHL se trasladó a Libia con todo el aparato mediático y parafernalia teatral “en defensa de las fuerzas democráticas”. Y la intervención militar derrotó al dictador Gadafi.

¿Y qué ha pasado en Libia desde entonces? Gadafi fue un dictador como muchos de los dictadores que hoy existen en aquella parte del mundo, donde la democracia no existe ni siquiera a nivel de ensayo. Pero comparado con Arabia Saudí, Qatar y otros regímenes feudales, Gadafi no era, definitivamente, peor que los gangster que dominan aquellos otros países. La diferencia era que los últimos son fieles sirvientes de EEUU y de la UE, y Gadafi no lo era. Ni que decir tiene que el gran filósofo moralista BHL no prestaba atención a tales detalles, considerados insignificantes en la lucha entre el bien (que él representaba) y el mal (que eran todos los demás).

Pero analizaremos ahora lo que ocurre en Libia. Cualquier observador mínimamente objetivo debe concluir que Libia no es, en absoluto, una democracia, y que la situación actual es un desastre, con unos conflictos entre distintas facciones, entre las cuales están fuerzas de Al Qaeda, que se ha convertido en una de las fuerzas determinantes de los quehaceres de aquel país. Bandas armadas, sin ningún tipo de control democrático, gobiernan los distintos territorios, con asesinatos políticos y con una represión brutal hacia las voces y manifestaciones en contra de la dictadura de esas milicias armadas. Solo en un día (15 de noviembre) 31 personas fueron asesinadas y 235 heridas en una represión contra una manifestación en la ciudad de Trípoli que protestaba contra este régimen de taifas controlado por bandas armadas que atemorizan a la población a fin de defender sus propios intereses.

Y mientras todo esto está ocurriendo, el gran filósofo de Francia (y de El País) permanece callado. En realidad, y tal como señala Ramzy Baroud, lo más parecido a este filósofo son los intelectuales neocons de EEUU, que siempre alientan y exigen intervenciones militares “para defender la democracia”, detrás de cuyo noble objetivo hay intereses financieros y energéticos muy concretos que pronto aparecen, mostrándose como lo que son. Lo cual no inhibe a estos intelectuales a continuar moralizando sobre el deber de los países democráticos de ayudar a las fuerzas democráticas alrededor del mundo, cuando la realidad es precisamente lo contrario de lo que predican. Los mal llamados “gobiernos democráticos” han sido históricamente, y continúan siéndolo, los mayores soportes de los regímenes más dictatoriales existentes en el mundo.

La incoherencia de tales intelectuales, incluyendo “el filósofo de Francia” aparece con toda su crudeza no solo en el caso de Libia, sino también en el caso de Israel. BHL es un gran admirador de las fuerzas armadas de Israel, a las que clasifica como las más morales y democráticas existentes hoy en el mundo, apoyando siempre sus intervenciones militares. Es extraordinario que estas declaraciones se hicieran después de una de las intervenciones militares mas sangrientas e inmorales (de las muchas que han hecho tales fuerzas armadas) en la zona de Gaza en los años 2008-2009 y 2012. La ceguera moral e incoherencia intelectual de Bernard-Henri Lévy no tiene límites, lo cual no es obstáculo para que BHL aparezca, una vez más en El País, moralizando sobre la necesidad de intervenir militarmente en algún lugar del mundo árabe para “defender la democracia”.



--- castellano ---


Pourquoi Bernard-Henri Lévy se tait-il sur la Libye ?

Vicenç Navarro

Les opinions en matière de droits de l'homme de Bernard-Henri Lévy sont marquées par le deux poids deux mesures, ne manquant jamais d'épouser les lignes de la politique internationale menée par le gouvernement fédéral des États-Unis et par l'Union européenne. N'est-il pas étonnant de constater le silence absolu de cet écrivain à propos de la situation en Libye, qu'il a pourtant contribué à créer ?

Bernard-Henri Lévy a très bonne presse en Espagne. Il occupe plus souvent qu'à son tour les colonnes de El País pour prêcher la moralité des causes qu'il défend et qui pourtant impliquent très souvent des interventions militaires, ce qui lui vaut d'avoir été baptisé par certains intellectuels de la gauche américaine le moralisateur des guerres – généralement contre l'islam (1). Présenté dans les médias espagnols comme "le philosophe de France", il ne fait qu'articuler des postures soutenues par l'establishment politique français en exploitant les grandes caisses de résonances pour s'assurer une bonne visibilité médiatique.

Le dernier exploit de BHL a été son rôle de chef de file (qualifié de moral par El País) pour la promotion d'une intervention de l'OTAN en Libye ayant pour but de renverser le colonel Kadhafi (sur la base d'une interprétation biaisée et tendancieuse de la Résolution 1973 des Nations Unies du 17 mars 2011, qui ne permettait pas une telle intervention). L'intervention a consisté dans l'aide militaire supposée fournie par les États interventionnistes (dont des transferts d'armes ou des bombardements qui ont atteint des populations civiles) pour renverser un dictateur et le remplacer par des forces démocratiques souhaitant instaurer une démocratie. Compte tenu du soutien évident apporté par ces États (y compris les États-Unis et la France) à des dictatures quasi-moyenâgeuses de la même région, cette justification n'était pas crédible. Or, loin de se rétracter, le "philosophe de France" l'a répété encore et encore avec le plus grand sérieux et la plus grande conviction, invoquant la moralité démocratique, qui doit caractériser le comportement de tout pays civilisé qui se respecte. BHL recourt à une rhétorique pleine d'images grandiloquentes et pompeuses, comme il sied à l'un des intellectuels français les plus décorés. Le pouvoir est toujours très affectueux et très reconnaissant envers ses serviteurs. Pour sa cause, BHL s'est déplacé en Libye entouré de tout l'appareil médiatique et de toute la pompe théâtrale "pour la défense des forces démocratiques". L'intervention militaire a effectivement mis à bas Kadhafi.

Et depuis ? Que s'est-il passé en Libye ? Kadhafi était un dictateur comme on en trouve beaucoup aujourd'hui dans cette région où la démocratie n'existe même pas sous forme d'ébauche. Il n'était en définitive pas pire que les gangsters qui dirigent l'Arabie saoudite ou le Qatar, pour ne citer qu'eux, mais contrairement à ces régimes féodaux, il n'était pas à la botte des États-Unis et de l'UE. Inutile de dire que le grand philosophe moralisateur n'accordait pas la moindre attention à ce genre de détails insignifiants pour la lutte entre le bien (qu'il incarnait en personne) et le mal (représenté par tous les autres).

N'importe quel observateur un tant soit peu objectif admet que la Libye n'a rien d'une démocratie et que la situation a tourné au désastre. Des conflits font rage entre différentes factions, dont les forces d'Al-Qaïda, un mouvement qui est devenu l'une des forces déterminantes dans les activités de ce pays. Des bandes armées affranchies de tout contrôle démocratique gouvernent les divers territoires et commettent des assassinats politiques doublés d'une répression brutale à l'encontre des voix et des manifestations hostiles à la dictature qu'elles exercent. À la seule date du 15 novembre, 31 personnes ont été assassinées et 235 blessées à Tripoli dans les manœuvres répressives contre une manifestation de protestation contre ce régime de taifas dirigé par des bandes armées qui terrorisent la population dans le but de défendre leurs propres intérêts.

Et pendant ce temps, le grand philosophe de France (et de El País) ne pipe mot. En vérité, comme le remarque Ramzy Baroud, BHL ressemble grandement aux intellectuels néo-conservateurs américains qui préconisent et exigent sans relâche des interventions militaires "pour défendre la démocratie", un noble projet qui cache des intérêts financiers et énergétiques des plus concrets, lesquels apparaissent soudain au grand jour pour se faire voir tels qu'ils sont. Ces intellectuels ne cessent pour autant de faire la morale à propos du devoir des pays démocratiques de venir en aide aux forces démocratiques dans le monde entier, alors que les faits les désavouent. Historiquement, les bien mal nommés "gouvernements démocratiques" ont été et restent les principaux supports des régimes les plus dictatoriaux.


L'incohérence de ces intellectuels saute aux yeux non seulement dans le cas de la Libye, mais également dans celui d'Israël. En grand admirateur des forces armées de ce pays, qu'il a déclaré être les plus morales et les plus démocratiques du monde, BHL soutient inconditionnellement toutes leurs interventions. A noter que ses déclarations ont été faites au lendemain d'une des interventions les plus sanglantes et immorales menées dans la bande de Gaza en 2008, 2009 et 2012 – et elles ont été nombreuses. La cécité morale et la confusion intellectuelle de Bernard-Henri Lévy n'ont pas de limites, ce qui ne l'empêchera nullement de continuer à noircir les colonnes de El País de ses sermons moralisateurs sur l'urgence d'une intervention militaire quelque part dans le monde arabe pour "défendre la démocratie".

 
Note : voir Ramzy Baroud "France’s Sham Philosopher" à CounterPunch, 20.11.13
Traduction : Collectif Investig'Action
Source : http://www.vnavarro.org/?p=10239





Nützliche Faschisten
 
30.01.2014

KIEW/ZAGREB/BERLIN
 
(Eigener Bericht) - Trotz anhaltender Übergriffe ultrarechter Kräfte in der Ukraine setzt Berlin die Regierung in Kiew weiter massiv unter Druck. Am gestrigen Mittwoch ist zum zweiten Mal ein Polizist ermordet worden. Der Anführer eines faschistischen Zusammenschlusses in Kiew teilt mit, er wolle die "Führung der Revolution" übernehmen. Dessen ungeachtet erklärt der Berliner Außenminister, die bisherigen "Angebote" des ukrainischen Präsidenten - ein Regierungsrücktritt und die Aufhebung neuer Versammlungsgesetze - genügten nicht; weitere Schritte seien notwendig. Nicht zum ersten Mal stützt sich die Bundesregierung auf Aktivitäten auch faschistischer Kräfte, um ein geostrategisches Ziel - in diesem Falle die Abdrängung russischen Einflusses aus der Ukraine - durchzusetzen. Bereits vor 1990 hatte die Bundesrepublik ehemalige kroatische NS-Kollaborateure aus der faschistischen Ustaša gefördert, um Pläne für eine künftige Abspaltung Kroatiens von Jugoslawien voranzubringen. Jugoslawien galt als mögliches Gegengewicht gegen die deutsche Vorherrschaft in Südosteuropa. Auswirkungen der damaligen Stärkung faschistischer Kräfte zeigen sich in Kroatien bis heute.

Die Führung der Revolution
In der Ukraine dauern die Übergriffe ultrarechter Kräfte weiter an. Am gestrigen Mittwoch ist in Kiew zum zweiten Mal ein Polizist ermordet worden. Bereits am Dienstag war in Cherson ein Polizist an Stichwunden gestorben, die ihm Demonstranten zugefügt hatten. In Kiew kündigt jetzt ein Anführer des faschistischen Zusammenschlusses "Rechter Sektor" an, er wolle die "Führung der Revolution" übernehmen.[1] Ein Vertreter der Partei Swoboda, die direkte und indirekte Unterstützung aus Berlin erhalten hat [2], stellt in Aussicht, im Falle einer gewaltsamen Eskalation des Konfliktes die Vereinigten Staaten um militärische Hilfe zu bitten.[3] Im Westen der Ukraine ist es bereits zuvor zu ersten Parteiverboten gekommen: In Ternopil und Iwano-Frankiwsk dürfen die "Partei der Regionen" und die Kommunistische Partei keinerlei Aktivitäten mehr entfalten.

Noch keine Lösung
Trotz der zahlreichen Exzesse, die das faschistische Spektrum unter den ukrainischen Demonstranten verantwortet, bleibt die Bundesregierung bei ihrer Unterstützung der gesamten Opposition. Die bisherigen "Angebote" der ukrainischen Regierung seien noch "nicht belastbar", erklärte Außenminister Frank-Walter Steinmeier am gestrigen Mittwoch; sie seien "ein Einstieg", aber "noch nicht die Lösung".[4] Bei den "Angeboten" handelt es sich um den Rücktritt der Regierung und um die Abschaffung einiger erst kürzlich beschlossener Versammlungsgesetze, von denen manche, so etwa das "Vermummungsverbot", in der Bundesrepublik seit Jahrzehnten in Kraft sind. Forderungen, sie in Deutschland abzuschaffen, werden gleichfalls seit Jahrzehnten ignoriert. Das Ausbleiben jeglicher offener Kritik Berlins an faschistischen Exzessen in der Ukraine deutet darauf hin, dass das Auswärtige Amt ihre Wirkung einkalkuliert - um den Druck auf die Regierung Janukowitsch zu erhöhen. Es wäre nicht das erste Mal, dass die Bundesregierung aus Aktivitäten von Anhängern ehemaliger NS-Kollaborateure Nutzen zieht.

NS-Kollaborateure
Ein herausragendes Beispiel für frühere Fälle, bei denen Aktivitäten von NS-Kollaborateuren von der Bundesrepublik zu geostrategischen Zwecken genutzt wurden, bietet Kroatien, dessen Abspaltung aus dem jugoslawischen Staat von Bonn schon früh gezielt unterstützt wurde. Die Vorgeschichte reicht bis in die ersten Jahre der Bundesrepublik zurück. Damals duldete Bonn politische Aktivitäten einer ultrarechten, auch von einstigen NS-Kollaborateuren getragenen exilkroatischen Community, die sich unter anderem um einen gewissen Branimir Jelić scharte. Jelić, deutscher Präsident eines "Kroatischen Nationalkomitees", behauptete, der "eigentliche" Gründer der faschistischen Ustaša gewesen zu sein. Bundesdeutsche Behörden schrieben dem Mann maßgeblichen Einfluss auf die kroatische Emigration hierzulande zu. Politisch wirksam wurden die alten Ustaša-Seilschaften, die bundesdeutsche Komponente inklusive, als in den 1970er Jahren mit dem "Kroatischen Frühling" die Sezession der Provinz aus dem jugoslawischen Staat zum ersten Mal seit 1945 wieder auf die Tagesordnung kam.[5]

BND und Ustaša
In dieser Zeit begann der Bundesnachrichtendienst (BND), die altbekannten Ustaša-Seilschaften in besonderer Weise zu unterstützen. Der BND pflegte damals enge Kontakte zu einem Kreis um den kroatischen Geheimdienstler Ivan Krajačić, der zu den einflussreichsten Sezessionisten-Zirkeln im damaligen Jugoslawien gehörte; dem Krajačić-Kreis schloss sich in den 1970ern übrigens auch der spätere kroatische Sezessionspräsident Franjo Tudjman an. Der BND arbeitete systematisch darauf hin, die bundesdeutschen Ustaša-Seilschaften in enge Verbindung mit dem Krajačić-Zirkel zu bringen - um die Kräfte zu stärken, denen man es am ehesten zutraute, Kroatien dereinst von Jugoslawien abzuspalten. In den 1980er Jahren, als der spätere deutsche Außenminister Klaus Kinkel BND-Präsident war, seien "in Zagreb alle Entscheidungen in strategischen und personellen Fragen nur noch in Absprache des Zentrums von Krajačić mit BND-Instanzen und Ustaša-Repräsentanten getroffen worden", berichtet der Geheimdienstexperte Erich Schmidt-Eenboom. Laut Schmidt-Eenboom half der BND übrigens auch, in der Bundesrepublik eine Pressekampagne zur Freilassung von Tudjman zu entfesseln, als dieser wegen nationalistisch-revisionistischer Agitation - Tudjman hatte einst die Zahl der Opfer im kroatischen KZ Jasenovac drastisch heruntergerechnet - im Gefängnis saß.[6] In dieser Zeit habe die bundesdeutsche Auslandsspionage, berichtet Schmidt-Eenboom, "zu nahezu allen Persönlichkeiten" Kontakte aufgebaut, "die nach 1990 in Kroatien und Slowenien wichtige politische, publizistische und nachrichtendienstliche Funktionen" innehatten.

Geostrategische Ziele
Als die separatistischen Kräfte, die Bonn zuvor gehegt und gepflegt hatte - darunter Ustaša-Anhänger -, schließlich zu Beginn der 1990er Jahre die Sezession Kroatiens ins Werk setzten, da erhielten sie umfassenden politischen Beistand aus der Bundesrepublik. Sezessionspräsident Tudjman reiste wenige Wochen nach der Zagreber Unabhängigkeitserklärung vom 25. Juni 1991 zu Gesprächen mit Kanzler Kohl und Außenminister Genscher nach Bonn; am 23. Dezember 1991 preschte die Bundesregierung - trotz massiver Warnungen vor einer Eskalation des Krieges in Jugoslawien - mit der Anerkennung Sloweniens und Kroatiens voran. Die Bundesrepublik hatte ein Interesse an der Zerschlagung Jugoslawiens, das politisch und ökonomisch womöglich stark genug gewesen wäre, der deutschen Hegemonie in Südosteuropa etwas entgegenzusetzen - aus diesem Grund war seine Gründung 1918 schließlich von den Siegern des Ersten Weltkriegs befürwortet worden. Ein klares geostrategisches Motiv brachte die Bundesrepublik also dazu, ultrarechte Kräfte zu unterstützen, die in der Tradition von NS-Kollaborateuren standen. Hier liegt eine Parallele zur Ukraine: Die Swoboda-Partei, die sich ausdrücklich in die Tradition des NS-Kollaborateurs Stepan Bandera stellt (german-foreign-policy.com berichtete [7]), ist insofern für Berlin von Nutzen, als sie ebenfalls hilft, ein geostrategisches Ziele zu erreichen - nämlich russische Positionen in der Ukraine zugunsten deutsch-europäischer Interessen zu schwächen.

"Grüß uns den Ante Pavelić!"
Welche Folgen eine Politik, die die Stärkung faschistischer Kräfte billigend in Kauf nimmt, für das betroffene Land haben kann - auch in späteren Zeiten, wenn diese Kräfte von der Bundesrepublik nicht mehr zu strategischen Zwecken benötigt werden -, das zeigt sich ebenfalls am Beispiel Kroatien. Dort haben - unter tatkräftiger Mithilfe der alten Ustaša-Seilschaften - in den 1990er Jahren ultrarechte Positionen in erheblichem Maße an Einfluss gewonnen. Das zeigt sich etwa bei Konzerten des höchst populären Sängers Marko Perković, der im jugoslawischen Zerfallskrieg der frühen 1990er Jahre seine ersten Auftritte hatte und seitdem unter dem Künstlernamen "Thompson" auftritt; "Thompson" lautet der Name eines Maschinengewehrs. Perković/Thompson tritt nicht selten vor Zehntausenden auf, die seinen Liedern lauschen; deren Strophen lauten "Oj, Neretva, fließ abwärts, treib die Serben in die blaue Adria" oder "Leuchtender Stern über Metković, grüß uns den Ante Pavelić!" Pavelić hat für die Ustaša eine Bedeutung, die in etwa derjenigen Banderas für die ukrainische NS-Kollaboration entspricht. Swoboda-Chef Oleh Tjahnybok, der zum von Berlin gestützten Kiewer Oppositionstrio gehört, führte am 1. Januar einen Gedenkmarsch zu Banderas 105. Geburtstag an.[8]

[1] Reinhard Lauterbach: Janukowitsch gibt nach. www.jungewelt.de 29.01.2014.
[2] S. dazu Die Expansion europäischer Interessen.
[3] Reinhard Lauterbach: Streit um die Amnestie. www.jungewelt.de 30.01.2014.
[4] Demonstranten gegen Demonstranten. www.faz.net 29.01.2014.
[5] Ulrich Schiller: Deutschland und "seine" Kroaten. Vom Ustaša-Faschismus zu Tudjmans Nationalismus. Bremen 2010.
[6] Erich Schmidt-Eenboom: Der Schattenkrieger. Klaus Kinkel und der BND. Düsseldorf 1995.
[7], [8] S. dazu Die Expansion europäischer Interessen.



(english / italiano)

Ucraina, chi c'è dietro l'Euromaidan

1) Lettera aperta del PC di Ucraina al movimento comunista, operaio e di sinistra internazionale (29/1/2014)
2) Chi c'è dietro (e dentro) Euromaidan (K. Fokina, Voce della Russia 30/01/2014)
3) Coinvolgimento polacco nel golpe e nell’occupazione dell’Ucraina (A. Korybko, Oriental Review 28/1/2014)
4) StopNATO NEWS: Ukrainian Protests Split World Leaders at Security Conference / Europe Should Condemn Ukraine Riots – Russian Foreign Minister / Munich: U.S. leaders meet with Ukrainian opposition, coordinate regime change plans


VIDEO: 

Giulietto Chiesa sul Primo Canale russo
Ecco le immagini dell'Ucraina che non avete visto sui canali italiani. Giulietto Chiesa sul Primo Canale russo.
Dal programma "Politica", andato in onda sul primo canale della televisione russa il 23 gennaio 2014.

"In Ucraina stanno attuando lo stesso piano di Hitler" 
Vladimir Nikitin, deputato del Partito Comunista della Federazione Russa, 3 Febbraio 2014


=== 1 ===


Lettera aperta del PC di Ucraina al movimento comunista, operaio e di sinistra internazionale

29 Gennaio 2014 
Traduzione dal russo di Flavio Pettinari per Marx21.it

Cari compagni!

L'Ucraina si è aggiunta alla lista dei paesi che sono diventati vittima delle "rivoluzioni colorate". Le riprese degli impressionanti massacri, degli atti di vandalismo, dei disordini e delle occupazioni degli edifici amministrativi in Ucraina hanno fatto il giro del mondo attraverso i mass media.

In numerosi scontri, diverse centinaia di manifestanti e di agenti delle forze dell'ordine sono stati gravemente feriti, così come durante gli attacchi alle forze dell'ordine diversi manifestanti sono stati uccisi. Non dimentichiamoci inoltre dei sequestri di massa di cittadini e delle violenze fisiche contro di loro da parte dei manifestanti radicali.

I recenti avvenimenti hanno distrutto il mito secondo cui nella capitale ucraina si muovono un’opposizione al "regime criminale" composta da "pacifici euromanifestanti".

In realtà, i fatti accaduti sono il risultato della lotta dei clan ucraini per il potere, e in particolare per la carica di Presidente dell'Ucraina. Gli avvenimenti in corso rappresentano di per sé un colpo di stato. Ciò è confermato dalle recenti azioni dell’"opposizione", atte a creare istituzioni di potere parallele in nome del popolo, con atti anticostituzionali, che alimentano ulteriormente lo scontro in Ucraina e costringono le autorità a  misure sempre più radicali.

D’altra parte, merita attenzione  la crescente attività delle forze politiche dell’ultradestra, neonaziste e ultranazionaliste colpevoli di atti di violenza, illegalità e scontri. Queste organizzazioni comprendono in particolare il "Tridente", "UNA-UNSO" (“Assemblea Nazionale Ucraina - Autodifesa Nazionale Ucraina, NdT) , "Pravyj Sektor", il partito "Svoboda", ecc.  Quest'ultimo occupa un ruolo speciale nell’escalation dello scontro, in quanto si tratta di un partito parlamentare, al potere in alcune regioni occidentali, che ha una reale opportunità di continuare a perseguire una politica di sovversione contro l'ordine costituzionale in Ucraina.

Tutte queste organizzazioni sono unite ideologicamente, seguono l'esempio dei complici dei nazionalsocialisti tedeschi Bandera e Shukhevich, e ne utilizzano gli stessi slogan.

Ad esempio, oggi è molto popolare e viene utilizzato spesso lo slogan "Gloria all’Ucraina - Gloria agli Eroi", usato durante la Seconda Guerra Mondiale dai collaborazionisti fascisti ucraini durante la strage dei pacifici abitanti polacchi e ucraini del territorio dell’Ucraina occidentale.

Il Comitato Centrale del Partito Comunista d’Ucraina ha già informato il movimento comunista, operaio e di sinistra di tutto il mondo degli atti di vandalismo, quando i neonazisti hanno distrutto le statue di Lenin e i monumenti di epoca sovietica: ora gli atti di vandalismo vengono commessi addirittura contro i monumenti agli Eroi della lotta contro il fascismo.

Contemporaneamente a tutto questo, diventa evidente il costante coinvolgimento dell’Ucraina in una ancora maggiore escalation di violenza. Con il sostegno informativo e politico di una serie di Ambasciatori degli stati occidentali in Ucraina, così come di politici dell'Europa occidentale, sta diventando sempre più chiaro chi c'è dietro al rinfocolamento del conflitto in Ucraina.

Allo stesso tempo, il Dipartimento di Stato degli USA richiede costantemente che le autorità scendano a negoziare con l'opposizione, ritirino tutte le forze dell'ordine da Kiev e diano la possibilità all’"opposizione" di impadronirsi della sede del governo, come pure di annullare le recenti leggi "antidemocratiche e dittatoriali", approvate dal Parlamento dell'Ucraina.

Eppure queste leggi sono pienamente conformi alle norme democratiche occidentali, di fatto sono la traduzione e sono del tutto identiche alla legislazione vigente nell’UE e negli USA. Ad esempio, in base alle nuove leggi, le organizzazioni sociali ucraine finanziate dall'estero, e che in gran parte hanno contribuito all'allargamento del conflitto, sono obbligate a registrarsi come agenzie estere. Nella legislazione statunitense tale disposizione è in vigore sin dagli anni '30. Il parlamento ucraino ha semplicemente preso in prestito l'esperienza americana.

Le norme di legge adottate che vietano ai manifestanti pacifici di nascondere il volto sono identiche a quelle dell'UE. Così in Germania è considerato di responsabilità penale coprire il volto, indossare il casco, utilizzare degli scudi durante le manifestazioni. In Francia, per le stesse violazioni, sono previsti 3 anni di carcere e una multa di 45.000 euro. Tale divieto vige anche negli Stati Uniti, in Canada e in altri paesi. Per chi infrange le regole dello svolgimento delle manifestazioni pacifiche: in Gran Bretagna è prevista una multa fino a 5.000 sterline e fino a 10 anni di carcere; negli Stati Uniti, ancora 10 anni di carcere  Negli Stati Uniti, colpire o aggredire un agente di polizia può comportare una condanna da 3 a 10 anni di carcere. In Francia, l’occupazione delle carreggiate per qualsiasi scopo e qualsiasi dimostrazione è vietato.

Per un qualche motivo, i politici occidentali, che manifestano indignazione e preoccupazione per la situazione in Ucraina, e anche per l’”irrigidimento” della legislazione dell’Ucraina, non vogliono ricordarsi di questi fatti.

In queste circostanze, il Partito Comunista d’Ucraina ritiene che la responsabilità per le violenze ricada ugualmente sulla leadership del paese, le cui azioni hanno spinto il popolo ucraino a prendere parte alle proteste di massa, e sui leader della cosiddetta "opposizione" , dei raggruppamenti neonazisti dell’ultradestra, delle organizzazioni di militanti nazionalisti e sui politici stranieri che hanno esortato la popolazione alla "radicalizzazione delle proteste" e a " combattere ad oltranza".

Siamo convinti della correttezza delle precedenti iniziative dei comunisti per il Referendum in Ucraina, la cui attuazione avrebbe completamente eliminato la base del malcontento popolare e avrebbe permesso al popolo ucraino di determinare l’indirizzo futuro del proprio sviluppo.

Il Partito Comunista d’Ucraina dichiara la necessità di porre fine all'uso della forza, di garantire la non ingerenza negli affari interni dell'Ucraina degli stati stranieri e dei loro rappresentanti, e di riprendere i negoziati. Allo stesso tempo, eventuali tentativi di creare strutture di potere parallele e incostituzionali non potranno che rafforzare lo scontro e creare una vera minaccia per l'escalation del conflitto verso la guerra civile. Una parte della popolazione sosterrà l'attuale governo, e l'altra sosterrà l'autoproclamatasi cosiddetta “opposizione” e questo porterà inevitabilmente a una finale divisione dell’Ucraina.

In queste circostanze, il Partito Comunista d’Ucraina presenta delle proposte concrete per risolvere la situazione:

- Indire il referendum nazionale sul tema della definizione della politica economica estera di integrazione dell'Ucraina.

- Attuare le riforme politiche, eliminare l'istituzione del presidente e varare una repubblica parlamentare, espandere in modo significativo i diritti delle comunità territoriali.

- Adottare una nuova legge elettorale e tornare al sistema proporzionale per l’elezione dei deputati nazionali.

- Al fine di superare il caos amministrativo e di garantire uno stretto controllo sul governo e sui politici, istituire un organo civile indipendente, il "Controllo Popolare", dandogli i più ampi poteri.

- Realizzare la riforma giudiziaria e introdurre l'istituzione di elezione dei giudici.

Con questa occasione, vi chiediamo di portare il vostro contributo alla riconciliazione nella società ucraina, di sostenere con ogni mezzo possibile le nostre proposte, di aiutarci a far conoscere diffusamente la reale situazione politica in Ucraina.

Vi chiediamo di condannare le azioni estremiste, la propaganda del fascismo, del nazionalismo e del neonazismo in Ucraina, così come l’interferenza esterna negli affari interni dell'Ucraina e l'ulteriore escalation di violenza.

Il Primo Segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista d’Ucraina,

Petro Simonenko


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Chi c'è dietro (e dentro) Euromaidan

Ksenia Fokina, Redazione Online
30.01.2014

Molti percepiscono i pogrom e l’occupazione con la forza di Kiev, la capitale ucraina, come la naturale lotta per la scelta europea. Nel frattempo, questo mercoledì a Kiev è stato ucciso un altro agente di polizia. Un altro omicidio è avvenuto lo scorso venerdì. La responsabilità di questo è stata assunta da un certo esercito insurrezionale ucraino, un gruppo semi-underground, emerso dall’ondata del movimento “Euromaidan”.

Gallonati con simboli neonazisti, delle fasce gialle, nei massicci scontri con la polizia a Kiev sono stati protagonisti principalmente i nazionalisti radicali. Oggi a Kiev stanno operando molte piccole organizzazioni di milizie semi-clandestine radicali, ognuna delle quali persegue il proprio obiettivo. Alla fine del 2013 è apparsa l’unione delle organizzazioni nazionaliste “Settore di Destra”, che ha partecipato con funzioni di coordinamento alla resistenza contro le forze del corpo speciale “Berkut” il 30 novembre scorso, e all'attacco contro l’amministrazione presidenziale del 1 dicembre 2013.

Questa unione include organizzazioni come il “Il Tridente”, “Patriota dell'Ucraina”, “Il Martello Bianco”, l’Assemblea Social-Nazionale, la UNA-UNSO, e altri. La maggior parte di queste è in pessimi rapporti con le forze dell'ordine, i loro membri sono stati coinvolti in omicidi, nella preparazione di atti terroristici, e così via. Nessuno di questi gruppi ha un serio peso, e il loro tentativo di entrare nel parlamento come un blocco unico si è concluso con un fallimento. Fino al “Maidan”, erano sempre stati orientati sull’elettorato locale, e alcuni erano anche stati rappresentati in città e consigli regionali delle regioni occidentali. Il “Maidan” ha dato loro la possibilità di ampliare l'elettorato, spiega l'analista politico Anatolij Lutsenko:

Tutte queste organizzazioni, prima della loro fusione nel “Settore di Destra” avevano sempre avuto gran poco impatto sulla politica ucraina, ed erano solo locali. Erano più concentrati sugli elettori delle regioni occidentali dell'Ucraina. Questi si sono appositamente fusi nel “Settore di Destra” ", al fine di consolidare la propria base elettorale. Di questi, anche gli esperti ne sapevano molto poco. Più o meno si era sentito parlare solo di “Tridente” e UNA-UNSO: si tratta di vecchie organizzazioni, nate negli anni '90.

Ad unire questi partiti e queste formazioni mezzo banditesche è un marcato orientamento neonazista. L’analista politico ucraino, storico, giornalista, e direttore della filiale ucraina dell'Istituto per i paesi della CSI, Vladimir Kornilov sta seguendo da vicino tutte le strutture emergenti in Ucraina. Secondo lui, la maggior parte dei violenti sono associati al partito parlamentare ultranazionalista “Libertà”.

Lo “spettro” dell’“Euromaidan” è stato organizzato sin dalle prime ore della sua esistenza. Esso si compone di rappresentanti di un certo numero di organizzazioni più piccole, che una volta erano uniti nella cosiddetta Assemblea Social-Nazionale. Non a caso c’è la sovrapposizione con i nazionalsocialisti. Questi appendono ovunque quegli stessi tridenti, che sono il simbolo dei neonazisti europei. Sono inoltre strettamente connessi con il gruppo parlamentare “Libertà”, che è stato a lungo definito ufficialmente il Partito Sociale-Nazionale dell'Ucraina. Dalle prime ore del “Maidan”, questi sono apparsi nelle file con le fasce dell’Assemblea Social-Nazionale, le fasce gialle indossate dai poliziotti collaborazionisti ucraini durante la guerra, e la protezione d’acciaio dell'“Euromaidan”.

Appare chiaro che non c’è piena unità tra i radicali. Così, questo martedì a Lviv, l’edificio che era stato preso dagli attivisti dell’“Euromaidan”, è stato preso d'assalto dai militanti del partito “Libertà”. Il fatto è che uno dei piani è stato occupato dai dei militanti banditi. Diverte il fatto che, oltre agli stemmi rosso-neri dei filonazisti, vi siano anche quelli degli anarchici, non verso lo Stato, ma per l’anti-capitalismo.

Un altro punto interessante è che il coordinamento dei militanti avviene attraverso dei social network russi, aggiunge Vladimir Kornilov.

In ogni città hanno la loro piccola struttura, di tre o quattro persone. A Cherson, per esempio, sono stati arrestati due studenti che hanno ferito un poliziotto, degli attivisti dell’“Euromaidan. Questi hanno formato un’organizzazione chiamata “Nuova Russia”, ma i simboli sono sempre quelli, come di tutti i neonazisti: il 1488, le croci naziste, le svastiche, “Heil Hitler”, e sono tutti coordinati attraverso la rete, cosa più eclatante, è che vengono utilizzati principalmente i social network russi. Cosi, si può trovare il “Settore di Destra”, e anche il gruppo C-14, che ha anche una notevole influenza nel “Settore di Destra” Molti dei rappresentanti di queste piccole organizzazioni convergono negli stadi, perché la parte del leone tra loro la fanno le frange più calde dei tifosi di calcio. Per l’“Euromaidan” possiamo dire che una parte significativa del “Settore di Destra” erano ultras della “Dynamo Kiev”, a cui si sono aggiunti poi quelli di Lviv.

Secondo gli esperti, la più importante organizzazione nazionalista radicale ucraina è “Patriota dell’Ucraina”, cioè la parte militante del partito “Libertà”. Al tempo di Yuščenko, questa godeva del sostegno pubblico, ricevendo ottimi finanziamenti, e i suoi militanti venivano formati ufficialmente in diverse regioni dell’Ucraina, ed erano ben equipaggiati.

“Patriota dell'Ucraina” è l'organizzazione meglio strutturata in questa alleanza, è stata ufficialmente l’ala militante del partito “Libertà”, come lo furono le truppe d'assalto per l’LSDRP a suo tempo. Hanno preso la loro struttura dai loro predecessori ideologici. Allora c’era stato il processo ai terroristi che avevano preparato un attacco terroristico per il Giorno dell'Indipendenza del 2011, hanno recentemente organizzato degli scontri degli attivisti dell’“Euromaidan” con i giudici. Queste persone sono membri dei consigli locali, assistenti dei deputati di “Libertà”. Sedevano con le maglie dell’Assemblea Social-Nazionale dell'Ucraina con le svastiche. Il partito “Libertà” è un partito parlamentare, votato da circa il 10% della popolazione ucraina.

Ci sono anche testimonianze del fatto che il servizio di sicurezza dell'Ucraina prima di Yanukovich avesse contatti con il gruppo “Patriota dell'Ucraina”. Era evidente dal modo in cui erano equipaggiati. Nessuno lo era mai stato così bene. Il gruppo “Patriota dell'Ucraina” ha una vasta rete. La cosa più sorprendente è che il suo centro si trova nella parte orientale dell'Ucraina, nella città di Charkov, che è di lingua russa. Molte persone sono sorprese del fatto che una organizzazione ucraina ultranazionalista sia composta principalmente di nazionalisti ucraini di lingua russa.

Secondo Vladimir Kornilov, il business è spesso finanziato da simili gruppi di militanti:

Dietro a molte di queste organizzazioni ci sono spesso uomini d'affari che hanno bisogno di proventi illegali: questo è un metodo molto popolare di fare affari in Ucraina. In una sola volta questi “affittano” delle forze per le lotte di potere, ora i poliziotti, ora i concorrenti, e così via.

In relazione all'omicidio del poliziotto a Kiev si è creato subbuglio riguardo al cosiddetto Esercito Insurrezionale Ucraino (UPA), che ha rivendicato la responsabilità per il delitto. Ma non è chiaro se questo corrisponda alla realtà. Lo scorso mercoledì è stato ucciso un altro agente di polizia.

/s 


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Coinvolgimento polacco nel golpe e nell’occupazione dell’Ucraina

GENNAIO 30, 2014 
Andrew Korybko (USA) Oriental Review 28 gennaio 2014

La Polonia sfrutta la destabilizzazione dell’Ucraina per espandere la propria influenza in oriente a spese della Russia. Insieme con la Svezia, la Polonia ha lanciato l’iniziativa del partenariato orientale dell’Unione europea, nel 2009. Fu avviata in particolare con lo scopo di ampliare l’influenza di Bruxelles (e Varsavia) negli Stati ai margini dell’Unione. E’ anche un cavallo di Troia della futura espansione della NATO. La Polonia negli ultimi dieci anni manovra per la leadership in Europa, e il partenariato orientale fornisce l’ambita opportunità al Paese di dimostrare la propria importanza ai padroni della NATO e dell’UE. Concentrandosi in particolare sull’Ucraina, avendo la Polonia legami culturali, politici, linguistici e storici unici, soprattutto nell’Ucraina occidentale, brevemente parte della seconda repubblica polacca. La dirigenza politica di Varsavia ha sfruttato tali legami non solo per incoraggiare la frattura interna dell’Ucraina (a scapito della Russia quale partner economico stabile), ma anche per istituzionalizzare il ruolo della Polonia come egemone sub-regionale sulla porzione occidentale.
Un’opposizione istigata
Il governo polacco ha rilasciato aspre dichiarazioni a sostegno dei “manifestanti”, arrivando a dichiarare “piena solidarietà” e annullando così ogni pretesa di imparzialità cui potesse aver aspirato in precedenza. Ora, il primo ministro polacco interferisce direttamente nei tumulti interni. Mentre la rivolta in Ucraina continua a diffondersi ad ovest, il primo ministro Tusk ha parlato al telefono con il leader dell’opposizione Arsenij Jatsenjuk affermando che “Sosteniamo i democratici ucraini nei loro sforzi per raggiungere un accordo giusto e saggio“. La Polonia ha così superato la soglia tra dichiarazioni ufficiali e azioni, il governo polacco vuole che il mondo sappia che ha un dialogo aperti con l”opposizione’, da cui si deduce il livello d’influenza sui suoi dirigenti e il sostegno ufficiale del governo alle loro azioni. È interessante notare che tale rivelazione pubblica del contatto con Jatsenjuk e del sostegno ai suoi “democratici ucraini” renda la Polonia complice del colpo di Stato che il primo ministro ucraino Azarov (dimessosi – OR) sostiene sia in atto nel Paese. Azarov prosegue affermando che “E’ un vero e proprio tentativo di colpo di Stato, e tutti coloro che lo sostengono dovrebbero dire chiaramente ‘Sì, vogliamo il rovesciamento dell’amministrazione legittima dell’Ucraina’, invece di nascondersi dietro manifestanti pacifici.” Dopo aver ufficializzato l’associazione con Jatsenjuk, uno dei coordinatori principali dei disordini, approvando i “democratici ucraini”, la Polonia ha irrevocabilmente dimostrato di sostenere il cambio di regime. Le precedenti provocazioni politiche della Polonia (per non parlare del contatto con Jatsenjuk) non sono ignorate dai cittadini di Kharkov che il 23 gennaio hanno protestato presso il consolato polacco, “chiedendo la chiusura di tutte le missioni diplomatiche polacche in Ucraina, (e definito) il loro personale rappresentanti di una nazione nemica“. Chiaramente, le missioni diplomatiche polacche in Ucraina hanno ormai assunto il ruolo de facto di sostenitori istituzionali del colpo di Stato, divenendo nemici del governo ucraino. Lo stesso vale per la Germania, che ha un rapporto speciale con il suo cittadino e provocatore di UDAR Klishko, che è per la Germania ciò che Jatsenjuk è per la Polonia, un ascaro nella grande lotta geopolitica contro Mosca. La cosa più onesta che Varsavia e Berlino potrebbero fare ora è seguire il consiglio di Azarov e proclamare “Sì, vogliamo rovesciare l’amministrazione legittima dell’Ucraina“, come le loro azioni dimostrano nettamente.
Volere la Galizia
La politica estera della Polonia verso l’Ucraina è stata molto assertiva. Oltre a prendere il timone del partenariato orientale, ha espresso forte sostegno ai destabilizzatori ucraini e mostrato apertamente i suoi legami con Jatsenjuk, oggi guida è tra la coalizione di Paesi che minacciano sanzioni contro l’Ucraina. L’offensiva della Polonia contro il governo ucraino è volta a collocarla nella posizione migliore per entrare in eventuali negoziati multilaterali post-conflitto, una proposta oggi avanzata dall’influente think tank Carnegie Endowment. Nel difendere la loro proposta, gli autori affermano: “Non sottovalutiamo quanto duro abbia lavorato la Polonia per rinnovare iniziativa del partenariato orientale dell’UE. Sikorski e i suoi esperti conoscono la regione estremamente bene, dopo aver trascorso gli ultimi anni lavorando con i leader e i movimenti della società civile in Bielorussia, Georgia, Moldova e Ucraina“. Sikorski e il coinvolgimento del governo polacco, con i già citati leader dei “movimenti della società civile”, indica l’intima associazione con gli organizzatori del colpo di Stato in Ucraina che naturalmente non deve essere sottovalutata. La Polonia vorrebbe ben altro che istituzionalizzare legittimamente la propria influenza sull’Ucraina (soprattutto nella parte occidentale già polacca) ma essere riconosciuta internazionalmente come partecipe ad eventuali negoziati multilaterali per porre fine alla crisi ucraina. Ciò sarebbe un’implicita ammissione della nuova egemonia sub-regionale della Polonia in Europa orientale, e contribuirebbe alla frammentazione regionale del Paese. Le aree nella sfera d’influenza della Polonia graviterebbero maggiormente ad ovest, cementando così la duplice natura dell’attuale identità ucraina. Invece di risolvere le differenze regionali, li aggraverebbe mentre la Polonia incoraggerebbe il separatismo politico, linguistico e culturale ucraino occidentale. Inoltre, probabilmente i manifestanti del covo occidentale (Lvov e dintorni) dichiarerebbero l’autonomia alla pari della Crimea, con Polonia, Germania e UE (leggi NATO) quali garanti del suo futuro statuto giuridico.
Lasciare la Polonia (o qualsiasi Stato occidentale (NATO)) infilarsi in un qualsiasi negoziato post-conflitto sarebbe come lasciare una volpe nel pollaio, legittimando le precedenti violazioni occidentali della sovranità ucraina, radicando l’identità regionale nell’Ucraina occidentale contro il resto dello Stato e, infine, fornendo alla NATO una base nell’Ucraina divisa nel momento politicamente più conveniente, in futuro.

Andrew Korybko master presso l’Università Statale di Relazioni Internazionali di Mosca (MGIMO).
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora


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Russian Information Agency Novosti - February 1, 2014

Ukrainian Protests Split World Leaders at Security Conference

MOSCOW: The ongoing protests in Ukraine divided world leaders attending the 50th annual Munich Security Conference on Saturday.
US Secretary of State John Kerry said that demonstrators in the country “are fighting for the right to associate with partners who will help them realize their aspirations.”
“Nowhere is the fight for a democratic, European future more important today than in Ukraine.”
NATO and EU officials echoed those comments in words of support for the demonstrators.
Russian Foreign Minister Sergei Lavrov, however, urged world leaders to work with the country's leaders to defuse the situation.
“We need fewer slogans right now and more care about the results of efforts being undertaken by the Ukrainian leadership to return the country to a peaceful course.”
Demonstrations in the Ukrainian capital Kiev began in November following the announcement that the country would drop its bid to seek an association agreement with the EU.
On Saturday, Leonid Kozhara, Ukraine’s foreign minister, voiced concerns that the country was becoming caught between competing interests.
“We do not want to be pawns in a geopolitical game,” he said, adding “we do not want anyone to interfere with our strategic partnership with Russia, but we are also drawn towards the European Union."
Russian officials have alleged that the demonstrations are a result of Western meddling in the country’s internal affairs.
The protests turned violent last month after Ukraine’s parliament hastily passed a set of laws curtailing the right to public assembly.
On Friday, President Viktor Yanukovych signed a bill into law that reversed the earlier legislation and opened the door for amnesty for protestors.
Both Lavrov and Kerry stressed that Ukraine need not choose between Russian and European alliances.
“Their futures do not have to lie with one country alone, and certainly not coerced,” Kerry said in an apparent jab at Moscow.
Lavrov said that suggesting Ukraine must choose sides is “an idea from a bygone era.”

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Russian Information Agency Novosti - February 1, 2014

Europe Should Condemn Ukraine Riots – Russian Foreign Minister

MOSCOW: European politicians should condemn the seizure of government buildings by demonstrators in Ukraine, Russia’s foreign minister said Saturday.
“Why are there no voices condemning those who seize government buildings, attack the police and adopt racist and anti-Semitic slogans? Why do European leaders actually encourage such actions, when they would quickly move to punish them at home?” Sergei Lavrov said at the annual Munich Security Conference.
“What would be the reaction from the European Union, if members of the Russian government began to openly express support, including personal visits, to rioters in London, Paris or Hamburg?” he added.
In a statement Monday the EU delegation to Ukraine called on the opposition to “dissociate itself clearly from all those who make use of violence in pursuing their aims.”
The Kremlin has repeatedly accused the US and its allies of meddling in Ukrainian affairs, while Western officials have pointed to what they describe as economic pressure from Russia to force Ukraine to move more tightly into its orbit.
Demonstrations in Kiev erupted in November following an announcement that the country would drop pursuit of closer ties with the EU.
A number of government buildings, including the Justice Ministry in Kiev, have been temporarily occupied by demonstrators during the protests, which have since spread across central and western parts of the country.
On Friday, Ukrainian President Viktor Yanukovych signed a bill into law giving amnesty to demonstrators and canceling unpopular anti-protest laws rammed through parliament two weeks ago.

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Munich: U.S. leaders meet with Ukrainian opposition, coordinate regime change plans

Stop NATO - February 2, 2014
1) Secretary of State Kerry speaks with Ukrainian opposition, renews demand for "European" integration
2) European Parliament to hold extraordinary debate, pass resolution on Ukraine
3) Munich Security Conference: West hosts Ukrainian opposition leaders, who meet with Kerry, McCain, Ashton, Steinmeier
4) Director of National Intelligence Clapper portrays Ukrainian president as desperate, besieged tyrant a la Milosevic, Qaddafi, Gbagbo, Assad, etc., adds Russophobic rant
5) Russian Foreign Minister: By forcing subservient regime on Ukraine, West displays strange view of freedom
6) Interior Ministry claims proof that provocations were planned in advance
7) Georgian car arsonist hired by opposition: Interior Ministry
8) Reason alone for "regime change": Ukraine, Russia sign agreement on Kerch Strait


1)

National Radio Company of Ukraine - January 31, 2014

U.S. Department of State urges opposition to continue peaceful dialogue with authorities

U.S. Secretary of State John Kerry on Thursday spoke by phone with political and civil society leaders in the Ukrainian opposition, underscoring the United States unwavering support for the democratic, European aspirations of the Ukrainian people.
U.S. State Department spokesperson Jen Psaki said this in a press briefing on Thursday, Ukrinform has reported. “This morning, Secretary Kerry spoke by phone with political and civil society leaders in the Ukrainian opposition who have been active in the peaceful movement. The Secretary underscored the United States unwavering support for the democratic, European aspirations of the Ukrainian people, and commended these opposition leaders for speaking out against violence and for their courageous work to defend democracy and advance their goals through peaceful means and dialogue,” Psaki said. 
She also said Kerry praised the progress achieved in the opposition's talks with the government, notably the repeal of the January 16th laws and the commitment to government change. “He urged that these talks continue and pledged continued U.S. support in coordination with the EU, the UN, the OSCE for a peaceful, political resolution to the political crisis which brings those responsible to account, restores human rights, democracy, economic health, and a path to Europe for Ukraine,” the U.S. Secretary of State noted. 
However, Psaki said Kerry underlined his concerns about reports of human rights violations, such as disappearances and killings, and stressed that the United States is pressing the Government of Ukraine to establish a justice commission to investigate these crimes and bring those responsible to justice. Psaki added that Kerry talked to six opposition, political, and civil society leaders.
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2) 

National Radio Company of Ukraine - January 31, 2014

EP to consider urgent resolution on Ukraine next week

The European Parliament next week plans to hold an extraordinary debate and adopt a resolution on the situation in Ukraine, Ukrinform reports referring to the political group of the European People's Party in the European Parliament.
"On Wednesday afternoon a plenary session will debate the deteriorating situation in Ukraine. The resolution will be voted on Thursday," the European Parliament said. At the same time, on January 31, the situation in Ukraine is not put on the agenda of the plenary session of the European Parliament, which will be held on February 3-6 in Strasbourg.
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3)

UNIAN - January 31, 2014

Ukrainian opposition representatives leave for Munich Security Conference

The Ukrainian opposition representatives, in particular chairman of the political council of the Batkivshchyna and the Batkivshchyna faction Arseniy Yatsenyuk, are leaving for Munich today, where they will take part in the 50th jubilee Munich Security Conference.
Within a framework of the conference Yatsenyuk will hold a range of meeting for discussion of ways out of the crisis in Ukraine, the press service of the Batkivshchyna All-Ukrainian Union disclosed to UNIAN. In particular, he will meet with United States Secretary of State John Kerry, United States Senator John McCain, High Representative of the Union for Foreign Affairs and Security Policy Catherine Ashton, President of Germany Joachim Gauck and Frank-Walter Steinmeier.
Within the framework of the measures they will discuss urgent issues of the world and European security, including the situation in Ukraine.
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4)

UNIAN - January 31, 2014

Yanukovych is about to retain power at any cost - Director of National Intelligence of USA

President of Ukraine Victor Yanukovych is about to retain a power at any cost, Director of National Intelligence of the USA James Clapper believes.
He expressed his view concerning the Ukrainian events in annual address to the Senate on estimation of the global risks of the special services of the USA, 5 Kanal reports.
According to opinion of Clapper, for holding on to his post the Ukrainian guarantor is ready to resort to use of force and other actions that do not meet democratic norms.
In his letter to senators Clapper also noted a role of Russia in the Ukrainian confrontation. According to his estimations, financial aid of the Kremlin will prevent a threat of financial crisis in Ukraine in short-term perspective, but will increase the dependence of Kyiv from Moscow.
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5)

RT - February 1, 2014

West’s interpretation of freedom for Ukraine ‘strange’ – Lavrov

Western politicians who advocate freedom of choice for Ukraine, but say this must be a pro-European choice, have a strange interpretation of freedom, Russian Foreign Minister Sergey Lavrov told a security conference in Munich.
Lavrov was responding to numerous statements, including from the European Council President Hermann van Rompuy and NATO Secretary General Anders Fogh Rasmussen, which were voiced just minutes before at the conference. He also criticized Western support for Ukrainian anti-government protests, which he said ignored the darker side of the movements behind the violence there.
“What does the inciting of street protests, which are growing increasingly violent, have to do with promoting democratic principles?” Lavrov said.
“Why do we not hear statements of condemnation toward those who seize government buildings, attack and burn police officers, and voice racist and anti-Semitic slogans? Why do senior European politicians de facto encourage such actions, while at home they swiftly and harshly act to stop any impingement on the letter of the law?”
Lavrov defended the Ukrainian government’s right to stop the violence, citing a 1966 international treaty on basic political rights, which has been adopted by almost all UN members.
“The International Covenant on Civil and Political Rights states that the freedom of expression cannot be illegal and is a basic right. But riots, violent actions give the grounds to limit those freedoms,” he said. “A state must be strong, if it wants to remain democratic.”
Ukraine has been mired in a deep political crisis since November 2013, when President Viktor Yanukovich’s government decided not to sign a free trade agreement with the EU, prompting mass pro-EU integration protests. The demonstrations remained more or less peaceful until January, when the Ukrainian parliament adopted a number of bills giving the government greater powers to restrict mass demonstrations.
Radical opposition activists responded to the legislation with violent attacks on riot police. Several days of clashes ensued, in which hundreds of police officers and protesters were injured. The Ukrainian authorities have since made a number of concessions to the opposition, including the repeal of the controversial anti-protests laws, but the tense ceasefire remains shaky at best.
Many western politicians have been openly supporting the anti-government protests and have criticized the Ukrainian government for its handling of the situation. The latest example came from US Secretary of State John Kerry, who was also speaking at the Munich security conference.
The people of Ukraine "are fighting for the right to associate with partners who will help them realize their aspirations – and they have decided that means their futures do not have to lie with one country alone, and certainly not coerced," Kerry said.
But while condemning police brutality and alleged kidnappings, torture and killings of opposition activists, foreign supporters of the opposition have barely mentioned violence and suspected crimes committed by the radical nationalist opposition.
The West has also criticized Russia for what it calls putting pressure on Ukraine not to integrate with the EU. Moscow denies these allegations, however, and insists that it has been keeping an appropriate distance from the crisis, unlike some western countries meddling in Ukraine’s internal affairs.
One of the accusations over Russia’s alleged pressure on Ukraine is over its decision to offer a $15 billion loan and a discount on gas prices to Kiev. Critics say Moscow “bought” Ukraine’s non-alliance with Europe, but Russia insists that it is simply aiding a brotherly people in a time of need, not Ukraine’s government.
Russian President Vladimir Putin this week said that Russia will provide the loan to whatever government is in Kiev, be it formed by President Yanukovich’s ruling party, or by the opposition. But Russia wants to see a working government following the resignation of outgoing PM Nikolay Azarov’s cabinet, before transferring the next installment.
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6)

National Radio Company of Ukraine - January 31, 2014

Interior Ministry: Batkivshchyna was preparing attack on Maidan protesters

The police have evidence that opposition Batkivshchyna (Fatherland) party was preparing an attack on Euromaidan protesters, Vitaliy Sakal, First Deputy Chief of the Interior Ministry Investigation Department Oleh Tatarov has told reporters on Friday.
"As part of the investigation we are checking the computer equipment seized in Turivska Street, near the office of the Batkivshchyna party. It has turned out that the information on the servers relates to the Batkivshchyna activities and suggests that the massive protests that began in Kyiv on November 21 last year were not spontaneous but planned in advance. I want to note that investigators, based on the available materials, have evidence that use of force was planned during the demonstrations against protesters that could cause a public outcry and undermine the authority of the current government and the president," Sakal said. He also added that now the investigators are checking whether Batkivshchyna representatives have committed a crime under Article 109 of the Criminal Code (actions aimed at forcible change or overthrow the constitutional order or seizure of state power). As reported, the search in the building at 19 b, Turivska Street in Kyiv
(near the Batkivshchyna office) was conducted based upon the court ruling as part of the investigation into criminal proceedings with respect to fraud and official abuse.
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7)

Interfax - February 2, 2014

Kyiv car arsonist says got instructions from opposition

KYIV: Policemen in Kyiv have detained a Georgian national on suspicion of torching cars.
The suspect told the police via an interpreter that he had acted on orders from opposition groups, the Ukrainian Interior Ministry reported on Sunday.
"The suspect claimed that he got acquainted with a man while looking for a job in Kyiv, who offered him 600 hryvni for torching cars. Before fulfilling the 'mission' the two went to the House of Trade Unions on Khreshchatyk, temporarily accommodating the opposition's National Resistance Staff and some of the Miadan movement's services, and rose to the fifth floor. A group of masked men they met gave them the numbers of the cars to be torched, as well as cash and gasoline," the Interior Ministry said.
The suspect was detained when the group set out to fulfill the mission. The others fled, it said.
Reports said earlier that fire services were called 17 times early on January 30 to tackle car arsons, in which 23 cars were damaged or destroyed.
All fires are being probed as arson in which property was destroyed or damaged, the Interior Ministry said.
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8)

ForUm - January 31, 2014

Cabinet approves agreement with Russia on construction of Kerch Strait crossing

The Government of Ukraine approved the Agreement with the Russian Federation on joint actions on launching construction of transport crossing over the Kerch Strait. "The government has approved the Agreement between the Cabinet of Ministers of Ukraine and the government of the Russian Federation on joint actions on organization of construction of transport crossing over the Kerch Strait, signed on Dec. 17, 2013 in Moscow," Oleksandr Vilkul, Acting Vice Prime Minister, has declared, the Information-Analytical Bulletin of the Cabinet of Ministers of Ukraine informs.
According to the document, geotechnical studies are planned for 2014. The parties then will jointly develop a Feasibility Study (FS). The study will include a review of the existing and prospective freight and passenger traffic. Also, the document will determine the type of future transport crossing (bridge or tunnel), the options of design and construction. The developed FS will be used as a basis for a final decision on the prospects for building a transport crossing.
According to Vilkul, the project will be coordinated by the Ministry of Infrastructure of Ukraine and the Ministry of Transport of the Russian Federation, and the physical work will be performed by the State Agency of Automobile Roads of Ukraine and Federal Road Agency of the Russian Federation. According to experts, the construction can last 3 to 4 years.