Informazione


Roma, venerdì 7 marzo ore 17.30

presso la Casa della Memoria e della Storia

via Francesco di Sales 5 (Trastevere)

 presentazione di


L'occupazione italiana dei Balcani. 

Tra crimini di guerra e mito della "brava gente" (1940-1943) 

di Davide Conti

Odradek, Roma 2008 - ISBN 88-86973-92-6
278 pagine, 18 euro
con documentazione inedita proveniente dall'Archivio di Stato e dal Ministero degli Esteri


intervengono:

Massimo Rendina, Presidente dell'Anpi di Roma e Lazio

Pierluigi Pallante, storico, autore de La tragedia delle Foibe

Maro Clementi
, storico dell'Europa orientale

Davide Conti, dottorando di ricerca Università La Sapienza




Il nuovo vaso di Pandora

1) Si è scoperchiato un nuovo vaso di Pandora :
il Kosovo “Indipendente” e il Progetto per un “Nuovo Medio Oriente”
di Mahdi Darius Nazemroaya

2) “Indipendenza” del Kosovo: Washington insedia una nuova colonia nei Balcani
di Sara Flounders

File audio:
Sara Flounders, co-direttrice dell’International Action Center, ad un Workers World Forum, NYC, 22 febbraio 2008
(AUDIO FILE. Running Time 22:09)


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COMUNICATO DELL'IAC
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(in english: JUGOINFO February 25, 2008)

Giù le mani dalla Serbia!
Fuori gli USA/Nato dai Balcani!
No ad un sistema coloniale degli USA in Kosovo!
 
La realtà consiste in una gigantesca base militare USA e in una totale dominazione –
No all’“indipendenza” del Kosovo!
Manifestanti Serbi dimostrano opposizione resistente alla presa di possesso della loro Terra, in puro stile coloniale, da parte degli USA 
 
La manifestazione di più di 500.000 persone a Belgrado e l’attacco contro l’Ambasciata Statunitense evidenziano quanto profondi siano lo sdegno e la collera per la rapina della provincia Serba del Kosovo. Negli ultimi tre giorni, due posti di confine con il Kosovo sono stati distrutti, uno incendiato, l’altro fatto saltare in aria, e dieci punti vendita della McDonald presi di mira con diversi istituti bancari Occidentali ed altri bersagli detestati. 
I media Occidentali avevano applaudito in modo schiacciante le distruzioni causate dagli USA nel 1999, ed ora hanno la responsabilità di spiegare le ragioni della collera di massa di milioni di persone. Lo sdegno è procurato dal fatto che alla provincia del Kosovo non viene garantita in effetti l’“indipendenza”. Milioni di persone si rendono conto che il riconoscimento dell’“indipendenza” del Kosovo di questa settimana è un tentativo di legittimare la diretta colonizzazione del Kosovo da parte degli USA e di assicurare la permanenza in sicurezza della gigantesca base militare Statunitense nella regione.   
Rispetto alla ipocrita condanna da parte di Washington che manifestanti inferociti hanno preso di mira l’Ambasciata USA, gli Statunitensi dovrebbero ricordarsi che, nel 1999, durante i 78 giorni di bombardamenti USA/NATO sulla Serbia, le bombe USA hanno distrutto l’Ambasciata Cinese. Altre diciannove missioni diplomatiche e consolari sono state danneggiate dai bombardamenti, oltre a 480 scuole e 33 ospedali, strutture sanitarie, impianti di depurazione fognaria, ponti, vie di comunicazione, reti di distribuzione dell’elettricità ed altri obiettivi civili. 
Quindi, il riconoscimento dell’“indipendenza” del Kosovo costituisce l’ultimo passaggio di una guerra USA di riconquista di questa strategica regione.                   
Ma la manifestazione di massa di ieri dimostra che questa manovra sprezzante ed illegale può scatenare un vortice di opposizione e resistenza!
 
Nel corso dei bombardamenti USA/NATO del 1999, l’ International Action Center aveva inviato in Serbia una delegazione, e sulla crisi Balcanica ha pubblicato diversi libri, fra cui  Hidden Agenda: U.S./NATO Takeover of Yugoslavia -  L’agenda segreta: l’assunzione del controllo della Jugoslavia da parte degli USA/NATO;  NATO in the Balkans: Voices of Opposition – la NATO nei Balcani: le voci di chi si oppone; The Defense Speaks for History and the Future – La difesa parla a nome della storia e del futuro – tutti disponibili presso Leftbooks.com.
 
About the IAC - Informazioni sull’International Action Center
 

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Si è scoperchiato un nuovo vaso di Pandora :
il Kosovo “Indipendente” e il Progetto per un “Nuovo Medio Oriente”
 
di Mahdi Darius Nazemroaya
Mahdi Darius Nazemroaya è uno scrittore indipendente, residente ad Ottawa, specializzato in problemi del medio Oriente, ed è un ricercatore associato al Centre Studi sulla Globalizzazione (CRG).
20 febbraio 2008
 
(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)

L’opinione pubblica Occidentale è stata indotta in errore. Gli avvenimenti e i fatti realmente successi sul campo nella ex Jugoslavia sono stati accuratamente manipolati. 
Nel dividere la Jugoslavia, la Germania e gli USA hanno profondamente radicato i loro interessi geo-strategici in quell’area. Ecco che Washington, D.C. e Berlino sono stati i primi governi a riconoscere gli Stati secessionisti, risultato della disgregazione della Federazione Jugoslava.

Le generali implicazioni della “Indipendenza” del Kosovo

La dichiarazione di indipendenza del Kosovo del febbraio 2008 è la chiave verso la legittimazione su scala mondiale della dissoluzione e della disgregazione di Stati sovrani. L’Eurasia è il bersaglio principale. L’“indipendenza” del Kosovo è parte di un programma neo-colonialista con alla base interessi economici e geo-politici. L’obiettivo è di instaurare un Nuovo Ordine Mondiale e di stabilire il controllo egemonico sopra l’economia globale. In questo senso, il Kosovo fornisce lo spartito e la “prova generale” che ora possono essere applicati per la ristrutturazione dell’economia e dei confini del Medio Oriente, secondo il Progetto per un “Nuovo Medio Oriente”.  
Il paradigma ristrutturante che è già stato applicato alla ex Jugoslavia è lo stesso che si intende precisamente per il Medio Oriente, un processo di balcanizzazione e di controllo economico.


La Pseudo-Dichiarazione di Indipendenza del Kosovo

Il 17 febbraio 2008, la Provincia secessionista del Kosovo ha dichiarato unilateralmente la sua indipendenza dalla Repubblica di Serbia. L’indipendenza è stata dichiarata, durante una sessione straordinaria, dal Parlamento Kosovaro e dai suoi organi esecutivi.
Belgrado non aveva avuto più il controllo sul Kosovo dal 1999, quando la NATO aveva scatenato la guerra contro la Serbia per imporre il suo controllo sul Kosovo con il pretesto di ragioni “umanitarie”. 
Il Presidente Fatmir Sejdiu, il Primo Ministro Hashim Thaci, e il Presidente del Parlamento Jakup Krasniqi hanno esaltato l’avvenimento con discorsi dentro e fuori l’aula parlamentare Kosovara. 
Molti della maggioranza di etnia Albanese del Kosovo hanno festeggiato quello che hanno sempre pensato essere uno spostamento in avanti verso la loro auto-determinazione. Invece, la verità della questione è che la dichiarazione dell’indipendenza Kosovara è stata una dichiarazione di “dipendenza” e una camicia di forza imposta al Kosovo da parte di forze colonialiste.  Senza alcun rimorso, i dirigenti Kosovari hanno trasformato il loro territorio in un avamposto degli interessi Franco-Germanici ed Anglo-Americani.
Quindi, il 17 febbraio 2008 ha segnato il giorno in cui il Kosovo è sempre più venuto a configurarsi come un protettorato della NATO-Unione Europea. Seconda l’agenda della cosiddetta “indipendenza”, il Kosovo verrà formalmente amministrato e tenuto sotto tutela da funzionari e da personale di polizia e di truppa della NATO e dell’Unione Europea. 
In realtà, il Kosovo avrebbe potuto ottenere una ben più accentuata indipendenza, come Provincia autonoma, in un accordo di autonomia con la Serbia, come era stato previsto attraverso colloqui bilaterali tra Belgrado e Pristina. La maggioranza dei Kosovari sarebbero stati soddisfatti da tali accordi.
Comunque, le trattative erano destinate all’insuccesso per due ragioni evidenti: 1) i dirigenti del Kosovo sono agenti di interessi stranieri e non rappresentano gli interessi della popolazione Kosovara; 2) gli Stati Uniti e l’Unione Europea erano determinati a istituire e consolidare un altro protettorato nella ex Jugoslavia. 

Kosovo: un’altra fase nella colonizzazione economica della ex Jugoslavia

Una delle figure accademiche di riferimento nel mondo, che ha documentato in tutti gli aspetti la disintegrazione della Jugoslavia per azione straniera e la situazione in Kosovo, è il prof. Michel Chossudovsky.  Egli ha documentato le motivazioni economiche e geo-strategiche, che, come mani che stringono il cappio, hanno procurato il collasso della Jugoslavia e portato il Kosovo ad essere indipendente dalla Serbia. Il suo lavoro ha disvelato le verità nascoste nel retroscena della caduta della Jugoslavia e le tattiche che sono state usate per dividere le nazioni e i popoli che hanno vissuto insieme in pace per centinaia di anni. 
Prima di una discussione ulteriore sul problema del Kosovo, è opportuno lanciare uno sguardo sulla ristrutturazione della Bosnia-Erzegovina. 
La Costituzione della Bosnia è stata scritta da “esperti” Statunitensi ed Europei nella base della Air Force USA a Dayton, Ohio. Chossoduvsky , in modo appropriato, etichetta la Bosnia-Erzegovina come una entità neo-coloniale. Sono le truppe NATO ad avere il controllo sulla Bosnia-Erzegovina, per assicurare in modo stretto l’imposizione di un nuovo modello di struttura di società, politico ed economico. 
Inoltre, la ricerca di Chossudovsky mette in luce il fatto che chi presiede effettivamente il governo Bosniaco, l’Alto Rappresentante, e il Presidente della Banca Centrale della Bosnia sono entrambi stranieri, scelti con attenzione dall’Unione Europea, dagli USA e dal Fondo Monetario Internazionale (FMI).[1] Questa è chiaramente una ri-emanazione di una amministrazione coloniale. Questo modello è stato replicato con qualche variazione anche nelle ex Repubbliche della Federazione Jugoslava. Il maggiore ostacolo alla completa applicazione di questa agenda è la volontà popolare dei cittadini della ex Jugoslavia, in particolar modo dei Serbi.
La Serbia, come un’isola di resistenza, costituisce l’ultimo bastione di indipendenza rimasto della ex Jugoslavia e nei Balcani, ma perfino in Serbia esiste un modus vivendi, per cui la gente ha fatto un contratto parziale di adesione con l’agenda economica straniera, che le consenta di continuare nel suo stile di vita ancora per un po’ di tempo. Comunque, questo accordo non è destinato a durare a lungo.  

Lo stesso modello politico e socio-economico sta per essere applicato nei Balcani e nel Medio Oriente

Il processo applicato all’Iraq non differisce di molto dal modello messo in opera nella ex Jugoslavia. Sono state accentuate le divisioni da catalizzatori esterni, l’economia è stata destabilizzata, è stata innescata la disgregazione nazionale e viene imposto un nuovo ordine  politico-socio-economico. 
Per di più, l’interferenza straniera e l’intervento militare sono stati giustificati sulla base di un falso umanitarismo. Non è una coincidenza che sia stato imposto dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti  un “Alto Rappresentante” a governare l’Iraq sotto occupazione, quindi riproducendo il modello applicato alla Bosnia-Erzegovina, che è caratterizzato da un “Alto Rappresentante” imposto dall’Europa. Lo schema dovrebbe cominciare a diventarci familiare in modo impressionante!
I parallelismi tra Iraq ed ex Jugoslavia sono innumerevoli.
Sull’onda dell’invasione Anglo-Americana dell’Iraq, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno istituito l’Ufficio per la Ricostruzione e l’Assistenza Umanitaria (ORHA), che si è trasformato in seguito nell’Autorità Provvisoria della Coalizione.
Chi si è trovato alla testa di questa Autorità è stato denominato come “Rappresentante Speciale”, “Governatore”, “Inviato Speciale”, perfino “Console”. 
Le giustificazioni per imporre una amministrazione di occupazione in Iraq, come pure in Bosnia-Erzegovina, all’inizio sono state umanitarie e di stabilizzazione nazionale. In realtà, i principali obiettivi dell’Autorità Provvisoria della Coalizione erano di decentralizzare lo stato e di mettere in atto un programma di massicce privatizzazioni delle risorse e delle ricchezze dell’Iraq.  
In Bosnia-Erzegovina, le fratture in questa regione avvenivano su linee etniche e religiose: Serbi, Croati, e Bosniaci; Cristiani e Musulmani. A queste divisioni di varia natura etnico-religiosa bisogna aggiungere le divisioni fra i Cristiani:gli Ortodossi d’Oriente contro i Cattolici Romani. 
Una simile strategia del “divide et impera” è stata applicata anche in Iraq, dove è stato replicato lo stesso modello, sfruttando fratture etniche e settarie: Arabi, Curdi, Turcomanni, Assiri, ed altri; Sciiti contro Sunniti. Proprio come nella ex Jugoslavia, anche il sistema economico Iracheno centralizzato veniva demolito dall’amministrazione di occupazione. Sotto l’occupazione Anglo-Americana e la sua Autorità Provvisoria della Coalizione sono entrate in Iraq compagnie straniere in una seconda ondata di invasione straniera, con presa del potere economico.                                                                     Questo progetto neo-coloniale si basa su due costrutti interdipendenti: uno scenario militare realizzato dalla NATO e un processo di ristrutturazione politica, economica e sociale messo in atto dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea nei paesi occupati, con l’aiuto di leader locali corrotti.
Il “colpisci e terrorizza” della guerra apre la porta alla destabilizzazione, seguita dalla “ricostruzione nazionale” o da un processo di ristrutturazione, che aggredisce sempre le radici culturali e sociali dello stato-nazione preso come bersaglio. Quindi, vengono sistematicamente aggrediti e cancellati i fondamentali aspetti culturali e storici che costituiscono il collante degli stati-nazione occupati.

La Colonizzazione economica del Kosovo 

Gli affari economici del Kosovo sono di esclusiva competenza dell’Unione Europea, in partenariato con gli Stati Uniti. Malgrado le proteste di Belgrado, l’euro è divenuto la moneta ufficiale corrente in Kosovo, già da molti anni prima del 2008. L’utilizzazione dell’euro faceva parte del processo di scorporo della economia Kosovara dall’economia della Serbia e aveva il significato di assunzione del controllo sulla sovranità del Kosovo attraverso strumenti monetari e finanziari. 
La bandiera Kosovara è stata ideata per armonizzarsi con le bandiere della Bosnia-Erzegovina e dell’Unione Europea. Anche lo stendardo della Bosnia è stato disegnato per armonizzarsi con quello dell’Unione Europea. Per molti nei Balcani questi stendardi sono simboli di vassallaggio e di una condizione di protettorato di questi territori. 
Questo processo di dissoluzione, che ha implicato l’utilizzazione della forza militare, è stato il modus operandi in tutta la ex Jugoslavia. Gli attori chiave che stavano dietro a questo processo sono i soliti attori, gli USA, la Germania, la Gran Bretagna e la Francia, che si sono spartiti il bottino della guerra e della colonizzazione economica nella ex Jugoslavia. La NATO e l’Unione Europea sono stati gli agenti di questo processo per conto di queste quattro potenze Occidentali. 

Un precedente illegale, che prepara il terreno allo smantellamento di altri Stati-Nazione 

Nell’ambito del diritto internazionale, è stato scoperchiato un Vaso di Pandora. Ne è fuoriuscita una nuova forma di interferenza che minaccia gli Stati-Nazione. Rispetto alla questione del Kosovo, le Nazioni del mondo si sono divise in due campi: quelle che riconoscono il Kosovo, calpestando il diritto internazionale, e quelle che non ne riconoscono l’indipendenza.   
Rispetto agli avvenimenti in Jugoslavia, si sono innescate profonde implicazioni. Si è reso evidente che la legge della giungla e il principio che “il diritto sta nel potere” sono i veri ideali della politica estera dell’Unione Europea e dell’America. Dalla Somalia, Sudan, ed Iraq, fino alla Federazione Russa e all’Asia Centrale, è stato creato un pericoloso precedente. L’obiettivo è quello di frantumare e dividere. 
Inoltre, l’Unione Europea e la NATO hanno minacciato Belgrado e il popolo Serbo di azioni militari se si fosse tentato di conservare il Kosovo. Alla fine del 2007, in vista dell’indipendenza Kosovara, la NATO si era preparata organizzando manovre belliche. Come ha ammesso la Germania, fin dall’inizio non erano mai stati presi sul serio dalle potenze Occidentali i negoziati per trovare una soluzione. Le manovre militari della NATO per la secessione del Kosovo fanno intendere che i negoziati venivano concepiti solo come un gioco diplomatico, che non avrebbe mai prodotto risultati conclusivi di successo.  Sono significative le globali conseguenze delle interferenze dell’Unione Europea e degli Stati Uniti e il palese disprezzo per le fondamentali norme del diritto internazionale. Nazioni che in tutto il mondo contrastano movimenti secessionisti hanno disapprovato ad alta voce la dichiarazione di indipendenza del Kosovo, mentre hanno espresso le loro preoccupazioni e la loro apprensione a causa dell’appoggio al Kosovo dichiarato entusiasticamente da funzionari  Americani, Tedeschi, Britannici e Francesi. 
La Cina ha protestato per il timore che Taiwan (la cinese Taipei) possa dichiarare l’indipendenza sulla base del precedente del Kosovo. L’Indonesia, Sri Lanka, Sudan, Spagna, la Georgia, la Repubblica dell’Azerbaijan, e la Russia hanno manifestato la loro opposizione, dati i loro movimenti separatisti, come le Tigri Tamil e il gruppo separatista Basco dell’ETA. 

Conseguenze del precedente Kosovaro nella zona Caucasica e nell’ex Unione Sovietica

Sebbene sia evidente in modo assoluto il fatto che il precedente del Kosovo sia internazionalmente privo di legalità, tuttavia Mosca ha utilizzato questo precedente contro la Georgia. L’obiettivo di Mosca è di rafforzare il suo controllo sul Caucaso, area geo-strategicamente importante. La Georgia si era opposta alla pressione degli Albanesi Kosovari per l’indipendenza, a causa dei movimenti secessionisti nelle sue regioni Abkhazia, Ossezia Meridionale e nell’Adjara. Mentre si sono esaurite le istanze separatiste in quest’ultima regione, l’Abkhazia e l’Ossezia Meridionale possiedono eserciti permanenti con stretti legami con Mosca, e in pratica sono indipendenti.   
La Russia argomenta che, se gli USA e l’Unione Europea riconoscono l’indipendenza del Kosovo, allora, sulla base del medesimo principio, deve essere riconosciuta anche l’indipendenza  dell’Abkhazia e dell’Ossezia Meridionale. 
La dichiarazione di indipendenza Kosovara potrebbe presentare implicazioni anche per il Trans-Dniester (regione nota come Transnistria o Transdniestria), una piccola provincia della Moldavia, confinante con l’Ucraina, a maggioranza Russa, che tende al separatismo. 
Gli effetti dell’indipendenza del Kosovo sono stati presi in accurata considerazione anche dai leader dell’Armenia e della Repubblica dell’Azerbaijan, in relazione al conflitto per il Nagorno-Karabakh. Nei casi della Transnistria, del Nagorno-Karabakh, dell’Abkhazia e dell’Ossezia Meridionale, le quattro regioni separatiste ritengono di avere ben più robusti motivi per un riconoscimento ufficiale da parte della Comunità di Stati Indipendenti (C.I.S.), Russia, e Nazioni Unite. 
 
Si prepara un precedente pericoloso per il Medio Oriente ed oltre

I fantasmi di Versailles e gli antichi schemi che il modello applicato in Jugoslavia e nel Medio Oriente ha reiterato ancora perseguitano il genere umano. La dichiarazione del Presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson, apparentemente piena di buone intenzioni, di creare un arco di “autodeterminazioni nazionali” che si allungasse dal Mar Baltico e i Balcani al Medio Oriente, dopo la Prima Guerra Mondiale, sta arrivando a realizzazione. 
Dalla Prima Guerra Mondiale, gli Stati dell’Europa dell’Est e del Medio Oriente di maggior estensione territoriale e più potenti sono stati progressivamente suddivisi in Stati più piccoli e più deboli. Questo processo era parte di un progetto coloniale, che ancora sussiste, per il controllo della zona centrale dell’Eurasia, di vitale importanza.[2]
L’asse portante del processo è il riconoscimento dei nuovi Stati in un ridisegno del Medio Oriente, in totale dispregio del diritto internazionale. La dichiarazione Kosovara di indipendenza dalla Serbia fa parte di una più estesa balcanizzazione post-Guerra Fredda e della disgregazione definitiva della Jugoslavia. La legittimazione dell’indipendenza Kosovara tramite i riconoscimenti internazionali serve ad estendere l’influenza Anglo-Americana e Franco-Germanica su tutta l’Eurasia e il mondo intero. Questo modello è direttamente e strettamente collegato con i prossimi piani per il Medio Oriente predisposti per disgregare paesi come l’Iraq, la Siria, e l’Iran in protettorati frammentati e facilmente controllabili, sotto la direzione dell’Unione Europea, degli Stati Uniti e di Israele.
La Russia e la Cina temono il reale pericolo di piani per dividere i loro territori, come è stato patrocinato da anni dai costruttori Anglo-Americani delle politiche di  Washington, D.C. e di Londra, che tendono a ritornare prima della Prima Guerra Mondiale.
Lo stesso vale per l’Iran, che è preoccupato per uno scenario simile a quello del Kosovo che potrebbe essere predisposto per le sue regioni a predominanza Araba nel Khuzestan.
La dichiarazione di indipendenza è stata presa in considerazione in modo stretto dal Governo della Regione del Kurdistan, nel Nord Iraq.   

La sincronizzazione di altri eventi mondiali con l’indipendenza del Kosovo: coincidenza?

Ancora una volta, l’“Arco di Instabilità” viene esasperato e turbato. In Pakistan si profilano all’orizzonte minacce di guerra civile e pericoli di balcanizzazione. Nel Levante, uno dei dirigenti massimi degli Hezbollah, Imad Mughniyeh, è stato assassinato in Siria con un’autobomba, come quelle che hanno ammazzato uomini politici Libanesi.  Molto probabilmente, Imad Mughniyeh è stato assassinato dal Mossad, il servizio di spionaggio di Israele. Verosimilmente sono stati coinvolti anche i servizi  degli USA, Giordania, Arabia Saudita, Francia e Germania. Non è un segreto che questi servizi di intelligence hanno collaborato tutti assieme in Libano contro  Hezbollah e sono nel retroscena degli attentati per far fuori i dirigenti di Hezbollah. Il tempismo dell’assassinio genera pesanti sospetti. Infatti, l’assassinio di Mughniyeh è arrivato proprio prima dell’anniversario dell’uccisione di Hariri e avrebbe potuto favorire le intenzioni di chi voleva ulteriormente galvanizzare le tensioni politiche in Libano e creare una divisione settaria fra i Musulmani Libanesi. Israele ha negato qualsiasi coinvolgimento con l’assassinio, ma ora manifesta il proposito di un nuovo conflitto con il Libano, in corso di pianificazione opportuna per accusare Hezbollah di averlo scatenato con l’aiuto della Siria e dell’Iran.
Il far esplodere molteplici contrasti e crisi può essere il mezzo per accerchiare e avviluppare la periferia più occidentale della Russia all’interno di un arco di conflitti, o in altre parole può esistere un deliberato tentativo di saturare di tensioni l’“Arco di Instabilità” per paralizzare la Russia e gli altri attori sul campo visti come oppositori dei progetti strategici..   

Una soluzione preconfezionata: il sovranazionalismo?

I dirigenti della Serbia stanno puntando su una azione di equilibrio fra gli interessi del loro popolo e gli interessi stranieri. Il popolo Serbo è contrario ai progetti stranieri nella sua terra, ma la attuale classe al potere è la progenie della Rivoluzione di Velluto, scattata nel 2000, appoggiata e finanziata dall’Occidente, per spodestare Slobodan Milosevic. Una larga parte della dirigenza di Belgrado sostiene i programmi stranieri ed è stata cooptata nel progetto neo-liberista di ristrutturazione dei Balcani. Il fatto che gli Stati Uniti e l’Unione Europea siano divenuti i più importanti partner finanziari della Serbia dopo la Guerra del Kosovo è una evidente prova testimoniale di tutto ciò.                                                                                                                              Molto probabilmente stanno per essere presentati, come soluzione all’indipendenza del Kosovo, il sovranazionalismo o l’ingresso nell’Unione Europea o una più larga struttura sovranazionale, sia per la Serbia che per il Kosovo.
Una soluzione del tutto identica può essere presentata anche per un Medio Oriente balcanizzato mediante progetti tipo Unione Mediterranea. Come risposta all’unificazione di Cipro, può essere imposto ancora il sovranazionalismo nell’ambito dell’Unione Mediterranea.
Ritornando alla Serbia e al Kosovo, molti dei leader della Serbia si stanno opponendo alla secessione del Kosovo, ma questo è solo di facciata, per raccogliere le simpatie dell’opinione pubblica Serba. Questi stessi leader hanno assunto caute posizioni sulla questione e sono orientati verso un’integrazione con l’Unione Europea. Per loro, il sovranazionalismo è una soluzione!  

Alla vigilia del Nuovo Ordine Mondiale: benvenuta la legge della giungla! 

Mentre l’Unione Europea preme per superare le divisioni etniche e nazionaliste all’interno dei suoi membri, nel caso del Kosovo e di altre regioni si comporta nella maniera opposta.
La Guerra Civile Americana non è stata contrassegnata dalla gloria, visto che gli Stati dell’Unione hanno combattuto una guerra per costringere con la forza gli Stati Confederati all’interno dell’“Unione Americana”?
Qualsiasi sia il caso, l’ipocrisia dell’Unione Europea e degli Stati Uniti nelle relazioni internazionali è messa in risalto dal riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo.
Soprattutto, si straccia il diritto internazionale mediante un cumulo di falsità e a motivo del proprio interesse, e non secondo principi sinceri o sollecitudini nei confronti del popolo Kosovaro.
Rispetto al Kosovo, la Repubblica Turca di Cipro Nord è di gran lunga più legittimata ad essere riconosciuta in base al funzionamento e alla completezza delle sue istituzioni.
Benché vi siano strumenti sicuri e stabili per indirizzare pacificamente le aspirazioni dei Baschi e dei Catalani nei Pirenei e dei Fiamminghi nella regione del Belgio delle Fiandre, ciò nonostante questi movimenti separatisti vengono ignorati.  
La maggioranza Armena nel Nagorno-Karabakh ha dichiarato l’indipendenza il 10 dicembre 1991. Eppure, questa Repubblica secessionista e auto-determinatasi non gode dell’appoggio ne’ degli Stati Uniti ne’ dell’Unione Europea, a differenza del Kosovo.
 Cosa hanno di diverso Cipro Nord, l’Ossezia Meridionale, l’Abkhazia, la Repubblica del Nagorno-Karabakh, e la Transnistria dal  Kosovo? Questa è la risposta: gli interessi Anglo-Americani e Franco-Germanici, rappresentati dall’Unione Europea e dalla NATO, sono le forze che stanno dietro all’“eccezionalità” dell’auto- determinazione, le stesse forze che hanno consentito ai Nazisti di ritenere di poter colonizzare l’Europa dell’Est e il Centro Eurasiatico impunemente.
 I dirigenti Americani e dell’Unione Europea avevano considerato che i Serbi moralmente non erano più a lungo idonei a gestire i problemi in Kosovo. Forse lo sono i governi degli Stati Uniti,     Germania, Francia e della Gran Bretagna, dopo anni di bagni di sangue e di cumuli di menzogne? Forse che sono più credibili?  Se le loro considerazioni si fondano su qualche principio morale, allora qual’è la loro posizione nei confronti dei Palestinesi? Forse Israele ha qualche idoneità morale per tenere soggetti i Palestinesi? Eppure, siamo in presenza di una occupazione che continua da tanto tempo! Per ironia, non sono proprio le truppe Serbe ad occupare il Kosovo, ma le truppe e i carro-armati della NATO!
 

Mahdi Darius Nazemroaya è un collaboratore abituale di  Global Research.
 
NOTE
[1] Michel Chossudovsky, The Globalization of Poverty and the New World Order, (Montreal, Global Research, 2003), pp.257-277.
[2] Mahdi Darius Nazemroaya, The “Great Game:” Eurasia and History of War, Global Research, December 3, 2007.
 
 
 
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“Indipendenza” del Kosovo: Washington insedia una nuova colonia nei Balcani

di Sara Flounders 

articolo pubblicato il 21 febbraio 2008  in http://www.workers.org/

The original english text:
Washington gets a new colony in the Balkans
By Sara Flounders - Feb 21, 2008

(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)

Nel valutare la recente “dichiarazione di indipendenza” del Kosovo, una Provincia della Serbia, e il suo immediato riconoscimento come Stato da parte degli Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna e Francia, è importante conoscere tre assunti.
 Primo, il Kosovo non ha conquistato l’indipendenza o anche solo un minimo di autonomia amministrativa. Il Kosovo verrà governato da un Alto Rappresentante e da istituzioni designate dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea e dalla NATO.  Un viceré, secondo il vecchio stile coloniale, e degli amministratori imperialisti controlleranno la politica estera ed interna. L’imperialismo Statunitense ha semplicemente consolidato nel cuore dei Balcani il suo diretto controllo su una colonia totalmente soggetta e dipendente. 
Secondo, l’immediato riconoscimento del Kosovo da parte di  Washington conferma ancora una volta che l’imperialismo USA straccerà ogni trattato od accordo internazionale, anche se sottoscritto dagli stessi Stati Uniti, compresi accordi redatti ed imposti con la forza e con la violenza ad altri. Il riconoscimento del Kosovo è in diretta violazione di una norma internazionale, nello specifico della Risoluzione 12444 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che i dirigenti della Jugoslavia furono costretti a firmare alla fine di 78 giorni di bombardamenti della NATO sul loro paese, nel 1999.   Comunque, questo accordo imposto ribadisce l’“impegno di tutti gli Stati Membri alla sovranità e alla integrità territoriale” della Serbia, una Repubblica di Jugoslavia. 
Il riconoscimento illegale del Kosovo di questa settimana è stato condannato da Serbia, Russia, Cina e Spagna.  
Terzo, la dominazione imperialista USA non porterà benefici al popolo sotto occupazione. Il Kosovo, dopo nove anni di occupazione militare diretta della NATO, ha una sconcertante percentuale di disoccupazione del 60%, ed è divenuto un centro del traffico internazionale di droga e delle organizzazioni della prostituzione in Europa. Le miniere, una volta attivissime, gli stabilimenti, le fonderie, i centri di raffinazione, e i movimenti per ferrovia di questa piccola area industriale ricca di risorse sono completamente inattivi. Le risorse del Kosovo, sotto l’occupazione della NATO, sono state privatizzate a forza e svendute alle grandi imprese multinazionali dell’Occidente. Ora, quasi l’unica possibilità di impiego consiste nel lavorare per l’esercito di occupazione USA/NATO o per qualche agenzia dell’ONU. L’unica grande struttura creata in Kosovo è quella di Camp Bondsteel, la più grande base Statunitense costruita in Europa nel corso di una generazione. Naturalmente, è l’Halliburton che ha ottenuto il contratto per i dispositivi di sicurezza del campo, per le condutture strategiche per il petrolio e per le linee di trasporto dell’intera regione. 
Dal momento che gli USA e la NATO hanno assunto il controllo del Kosovo, più di 250.000 Serbi, Rom e appartenenti ad altre nazionalità sono stati espulsi dalla Provincia Serba. Quasi un quarto della popolazione Albanese è stato costretto ad abbandonare il paese alla ricerca di un lavoro.

Come insediare una amministrazione coloniale

Consideriamo il piano mediante il quale è avvenuta l’“indipendenza” del Kosovo. Non solo si sono violate le Risoluzioni dell’ONU, ma è stata imposta anche una struttura decisamente colonialista, del tutto simile al potere assoluto tenuto da L. Paul Bremer nei primi due anni di occupazione Statunitense dell’Iraq. Chi ha imposto questo progetto colonialista? Responsabili sono state le stesse forze che hanno operato per il disgregamento della Jugoslavia, per i bombardamenti della NATO e per l’occupazione del Kosovo. 
Nel giugno 2005, il Segretario Generale dell’ONU Kofi Annan nominava l’ex Presidente Finlandese Marti Ahtisaari come suo Inviato Speciale per condurre le trattative sullo status finale del Kosovo. Difficilmente si può affermare che Ahtisaari poteva comportarsi da arbitro neutrale di fronte all’intervento USA in Kosovo. Ahtisaari è Presidente emerito del Gruppo di Crisi Internazionale  (ICG), un’organizzazione fondata dal multimiliardario George Soros, che sponsorizza gli interventi di espansione della NATO ad aprire nuovi mercati in favore degli investimenti degli Stati Uniti e dell’Unione Europea.  Il Consiglio dell’ICG comprende due funzionari chiave Statunitensi, responsabili dei bombardamenti sul Kosovo, il Gen. Wesley Clark e Zbigniew Brzezinski.
Nel marzo 2007, Ahtisaari presentava al nuovo Segretario Generale dell’ONU Ban Ki-moon la Proposta Comprensiva per la Risoluzione dello Status del Kosovo.
I documenti che stabiliscono la nuova forma di governo per il Kosovo sono disponibili a  unosek.org/unosek/en/statusproposal.html. Una sintesi è disponibile sul sito Web del Dipartimento di Stato degli USA a state.gov/p/eur/rls/fs/100058.htm 
Ad amministrare il Kosovo verrà incaricata una Rappresentativa Civile Internazionale (ICR) costituita da funzionari USA e dell’Unione Europea. In Kosovo, questa istituzione incaricata può revocare qualsiasi provvedimento, revocare le leggi e rimuovere dall’incarico chiunque. La ICR eserciterà un totale e decisivo controllo sui Dipartimenti delle Dogane, delle Imposte, del Tesoro e sul Sistema Bancario.
 L’Unione Europea insedierà una Missione Europea per le Politiche sulla Sicurezza e Difesa  (ESDP), mentre la NATO costituirà una Presenza Militare Internazionale. Entrambe queste Istituzioni assumeranno in Kosovo il controllo sulla politica estera, sulla sicurezza, sulla polizia, sul sistema della giustizia, su tutti i tribunali e le carceri, e avalleranno l’immediato e completo diritto di accesso a qualsiasi attività, procedura o documentazione.
Queste Istituzioni e la ICR  avranno la voce determinante in capitolo su quali crimini dovranno essere perseguiti e contro chi; le decisioni potranno da loro essere rovesciate o annullate.
La più grande prigione in Kosovo viene insediata nella base USA Camp Bondsteel, dove i prigionieri possono essere incarcerati senza imputazioni, senza supervisione o patrocinio legale.   Allora, il riconoscimento dell’“indipendenza” del Kosovo costituisce l’ultimo passaggio di una guerra USA di riconquista, che è stata inesorabilmente perseguita per decenni.  

Divide et impera

I Balcani sono stati una vivace mescolanza di culture, religioni e di molte nazionalità oppresse. La Federazione Socialista di Jugoslavia, istituita dopo la Seconda Guerra Mondiale, comprendeva sei Repubbliche, nessuna delle quali aveva il predominio sulle altre. dThe Balkans has been a vibrant patchwork of many oppressed nationalities, cultures and religions. La Jugoslavia era nata ereditando antagonismi che erano stati sfruttati continuamente dai Turchi Ottomani, dall’Impero Austro-Ungarico, dagli imperialismi Britannico e Francese con le loro interferenze, seguiti dall’occupazione Nazista Tedesca e Fascista Italiana durante la Seconda Guerra Mondiale.
 In questa guerra, le popolazioni Serbe e gli Ebrei hanno dovuto subire le più gravi perdite. Contro l’occupazione Nazista e tutte le ingerenze straniere veniva forgiato un potente movimento di resistenza guidato dai comunisti, costituito da tutte le nazionalità che avevano dovuto subire nei modi più diversi. Dopo la liberazione, tutte le nazionalità veniva coinvolte e cooperavano nella costruzione della nuova Federazione Socialista.
In 45 anni, la Federazione Socialista di Jugoslavia, da una regione impoverita, sottosviluppata, di tipo feudale, ricca di antagonismi, si trasformava in una nazione stabile con una struttura industriale, alfabetizzata completamente, e con un servizio sanitario per tutta la popolazione.
Con il collasso dell’Unione Sovietica, agli inizi degli anni Novanta il Pentagono immediatamente pianificava l’espansione aggressiva della NATO attraversa l’intera regione. Dappertutto venivano incoraggiate e finanziate le forze di destra, conservatrici, filo-capitaliste. Quando l’Unione Sovietica veniva disgregata in Repubbliche separatiste, indebolite, instabili, antagoniste, la Federazione Socialista di Jugoslavia cercava di resistere a questa ondata reazionaria.
Nel 1991, mentre l’attenzione del mondo si focalizzava sui bombardamenti USA che devastavano l’Iraq, Washington appoggiava, finanziava ed armava movimenti separatisti di destra nelle Repubbliche di Croazia, Slovenia e Bosnia della Federazione Jugoslava. In violazione di accordi internazionali, la Germania e gli USA fornivano un immediato riconoscimento a questi movimenti secessionisti e approvavano la creazione di diversi mini-stati di natura capitalista. Allo stesso tempo il capitale finanziario Statunitense imponeva pesanti sanzioni economiche alla Jugoslavia per indurre alla bancarotta la sua economia. 
In questo stesso periodo, nella provincia Serba del Kosovo iniziava il rifornimento di armi e di denaro al movimento secessionista di destra UCK. Il Kosovo non era una repubblica distinta all’interno della Federazione Socialista di Jugoslavia, ma una provincia della Repubblica Serba. Storicamente, la provincia era stata il centro dell’identità nazionale dei serbi, ma con una popolazione Albanese sempre più crescente.
Washington dava inizio ad una feroce campagna propagandistica accusando la Serbia di mettere in atto operazioni di genocidio di massa contro la maggioranza Albanese del Kosovo. I media Occidentali erano pieni di storie di fosse comuni e di stupri brutali. Funzionari Statunitensi sostenevano che erano stati massacrati dai 100.000 ai 500.000 Albanesi. Durante l’amministrazione Clinton, i dirigenti USA/NATO proponevano un oltraggioso ultimatum, che la Serbia accettasse immediatamente l’occupazione militare e consegnasse tutta la sovranità sul Kosovo o affrontasse il bombardamento NATO dei suoi paesi, città e infrastrutture. Quando, dopo un tavolo di trattative a  Rambouillet, Francia, il Parlamento Serbo respingeva le richieste della NATO, iniziavano i bombardamenti.
In 78 giorni, il Pentagono sgangiava 35.000 bombe a frammentazione (cluster bombs), effettuava migliaia di scariche di proiettili radioattivi all’uranio depleto, insieme a missili distruggi bunker e missili Cruise.  I bombardamenti hanno distrutto più di 480 scuole, 33 ospedali, numerose cliniche sanitarie, 60 ponti, assieme ad impianti  industriali, chimici, e farmaceutici e la rete di distribuzione elettrica. Il Kosovo, la regione che presumibilmente Washington era determinata a liberare, subiva la maggiore distruzione. Alla fine, il 3 giugno 1999, la Jugoslavia veniva costretta a firmare un cessate il fuoco e ad accettare l’occupazione del Kosovo.
Ci si aspettava di trovare cadaveri sepolti in fosse comuni in ogni dove, ma le squadre

(Message over 64 KB, truncated)


GLI ORFANELLI DELL'IMPERO OTTOMANO


Chi altri poteva riconoscere la "Kosova" subito, entusiasticamente, se non i terroristi wahabiti della Cecenia, anche loro sul libro paga di Washington? (I. Slavo)



Radio Free Europe/Radio Liberty
February 19, 2008

EXILED CHECHEN LEADERSHIP HAILS KOSOVA INDEPENDENCE DECLARATION

[The same US government propaganda outlet - Radio Free
Europe/Radio Liberty - that for a decade now has
obligingly and unvaryingly spelled Kosovo as Kosova
(see example below) has over the same period of time
and longer referred to alleged Chechen
government-in-exile figures by the titles they've
bestowed upon themselves: President, foreign minister,
prime minister, etc., while just as regularly
referring to the the official president of Chechnya as
a strongman, so-called president, etc.
Note at the bottom of this transparent plug piece that
the "foreign minister of Chechen Republic Ichkeria" is
interviewed by Radio Free Europe as though he is what
he claims to be.
The above for anyone who still believes that Kosovo is
a unique case, in any context.

In a statement released on February 17 and posted on
chechenews.com, Usman Ferzauli, who is foreign
minister of the unrecognized Chechen Republic Ichkeria
(ChRI), hailed the declaration of state independence
by Kosova, adding that the ChRI "does not question the
right of the people of Kosova to distance themselves
from a state that engaged in terror against them." 

The statement went on to make the point that the
people of Chechnya have waged an analogous struggle
for 14 years against "the most aggressive and
militarized state in the world"....
....
The statement reaffirms the aspiration of the ChRI
leadership to freedom and independence, but also its
commitment to abiding by the laws of war and its
readiness for peaceful dialogue. 
....
The statement concludes by arguing that the
confrontation between Russia and the Chechen people
has become irreversible, and that it is "immoral and
criminal" even to entertain the thought that Chechnya
could be reintegrated into the Russian Federation,
given that "it is impermissible to sacrifice universal
human rights to political expediency." 

In a February 18 interview with RFE/RL's North
Caucasus Service, Ferzauli differentiated clearly
between Chechnya, on the one hand, and the
unrecognized republics of Abkhazia and South Ossetia
on the other. 

He claimed those two territories "do not want to be
free. They want to annex territory from Georgia and
join Russia. We know that 80 or 90 percent of those
people have Russian passports, so this would be
nothing other than the classic annexation of Georgian
territory, and of course we are against that." LF


Source: Posted by: "Rick Rozoff"

Tue Feb 19, 2008 4:04 pm (PST) - http://groups.yahoo.com/group/yugoslaviainfo/message/8463





È appena uscito il nuovo libro:
 
La foiba dei miracoli - indagine sul mito dei "sopravvissuti"


di Pol Vice

ed. KappaVu - Udine 2008

PRIMAVERA 2005: Graziano Udovisi, maestro in pensione ex tenente della Milizia Difesa Territoriale e rastrellatore di partigiani in Istria, sua terra natale, viene premiato nella manifestazione degli Oscar della Rai come "uomo dell'anno" per un'intervista da lui rilasciata a Minoli e più volte trasmessa nel corso degli anni. Racconta che nel 1945 è riuscito a salvarsi dalla foiba in cui è stato gettato, salvando nel contempo un suo commilitone... ESTATE 1945: Giovanni Radeticchio, milite della M.D.T., racconta alle autorità di Trieste di essersi salvato dalla foiba in cui è stato gettato, di essersi salvato da solo, e che in questa foiba è morto... Graziano Udovisi. ESTATE 1945: Graziano Udovisi, ricercato come criminale di guerra, per evitare l'arresto fugge a Padova con una carta d'identità falsa... Queste contraddizioni sono solo le punte emergenti di uno strano intrigo che in questo dopoguerra ha visto coinvolti: ex repubblichini rastrellatori di partigiani, agenti della X Mas, democristiani neoirredentisti, la Curia di Trieste, giornalisti e comunicatori massmediatici, storici compiacenti e istituzioni dello Stato italiano. Il tutto nel nome delle "terre perdute" dell'Istria e della Dalmazia e con l’uso spudorato degli strumenti di comunicazione di massa. Il come, il perchè e il chi di queste trame sono l'oggetto de "La foiba dei miracoli", la minuziosa indagine storica di Pol Vice. Questo libro è il risultato di una ricerca esemplare che il gruppo di Resistenza storica offre a tutti coloro che non si accontentano delle “verità ufficiali” diffuse sistematicamente da alcuni anni, in occasione della cosiddetta Giornata del Ricordo, sulle drammatiche vicende del confine orientale. Come abbiamo già dimostrato con precedenti studi, quali "Operazione foibe tra storia e mito" di Claudia Cernigoi, e "Revisionismo storico e terre di confine", a cura di Daniela Antoni, intorno a quei fatti sta funzionando una propaganda forsennata, che prescinde da qualsiasi seria analisi storica e documentale e che ha come scopo preciso quello della riabilitazione del fascismo. Con le nostre ricerche ci proponiamo di offrire materiali per contrastare questa deriva revisionistica. “La foiba dei miracoli”, infatti, è in realtà un trattato di “foibologia”: una dimostrazione puntuale di come un vero e proprio progetto mediatico di falsificazione della storia sia stato costruito ed imposto all’opinione pubblica (pur con alterne fortune, ma in sostanziale continuità dall'immediato dopoguerra ad oggi), da forze politiche sociali ed economiche tuttora dominanti nel nostro Paese.
La lettura di questo libro è necessariamente complessa, perchè complessa è la vicenda studiata, ma chi avrà la pazienza di fare il percorso di lettura, analisi e confronto di documenti suggerito dall'autore, avrà alla fine la soddisfazione di scoprire i meccanismi profondi con cui il potere può manipolare, a proprio uso e consumo, l'immaginario collettivo.
 
Argomento: Ricerca come Resistenza
Formato libro: 17*24 cm - 256 pp
Prezzo libro:
18.00 €

Le ordinazioni si possono fare contattando direttamente l'editrice Kappa Vu s.r.l. (via Bertolo, 4 - 33100 Udine), tel. 0432 530540, fax 0432 530140, o via e-mail: info@...

Trovate maggiori informazioni sulla collana "Resistenza Storica" e sulle edizioni KappaVu nel sito www.kappavu.it


La prossima presentazione pubblica del libro sarà a Trieste giovedì 6 marzo, alle ore 17.30 presso il Circolo della Stampa


CHI FOSSE INTERESSATO AD ORGANIZZARE INCONTRI DI PRESENTAZIONE DEL LIBRO ALLA PRESENZA DELL'AUTORE E' PREGATO DI SCRIVERE A pol.vice@... INDICANDO UN RECAPITO TELEFONICO.




(francais / english)

S. Flounders: Serbian resistance to U.S. NATO role

1) In Serbia: Mass resistance to U.S. NATO role
2) Kosovo : Pourquoi il n'y aura en fait aucune indépendance


Also listen:

Kosovo, Serbia and Washington's imperialist agenda

Sara Flounders, co-director of the International Action Center, at a Workers World Forum,
NYC, Feb. 22, 2008.
(AUDIO FILE. Running Time 22:09)

http://www.workersdaily.org/podcast/audio/sf22Feb2008.mp3



=== 1 ===

http://www.workers.org/2008/world/serbia_0306/

In Serbia

Mass resistance to U.S. NATO role

By Sara Flounders
Published Feb 28, 2008 10:25 PM


In the final analysis, history is never decided by resolutions, laws or proclamations.

It is decided by explosive mass movements that churn up from below in response to
intolerable conditions and outrageous events.

---
On Feb. 24 hundreds gathered in front of the White house to oppose the latest U.S. attack
on Serbia, organized by the STOP (Stop Terrorizing Orthodox Peoples) Coalition. Major
protest demonstrations were held in Geneva and Zurich, Switzerland; Vienna, Austria;
Athens, Greece; Vicenza, Italy; Montreal and Toronto; Cleveland and Chicago. This week
demonstrations will continue, including a major demonstration in front of the U.N. on
March 2 from 2 to 4 p.m.
---

An angry and enormous demonstration—estimates range from a half million to well over a
million people—in Belgrade, the capital of Serbia, on Feb. 21 has changed the terms of the
debate about Kosovo.

Following this colossal outpouring in opposition to Washington's theft of the Serbian
province of Kosovo, thousands of people in Belgrade stormed the U.S. Embassy and set
fires in it. The British, German, Croatian, Belgian and Turkish embassies were also
attacked. Western franchises, including 10 McDonalds plus Nike stores and 50 other
outlets, along with bank windows, were targeted by angry youths. There were nights of
running street battles with riot police.

Thousands demonstrated at border crossings between Serbia proper and Kosovo. Two
border crossings were destroyed, one by fire, the other in an explosion. All these actions
sent a sharp message—that the U.S. decision to establish a direct colony in Kosovo by
recognizing its "independence" would be challenged by an explosive movement that has
gone much further than just the official Serbian government statement of opposition.

An article in the New York Times of Feb. 25 worried that Washington may have
underestimated the Serbian response. It said that policy makers in Washington and
Brussels fear that the angry opposition may be "destabilizing for the entire region."
Entitled "Serbian Rage in Kosovo: Last Gasp or First Breath?" the article reflected many
other news commentaries: "The world is waiting to see whether the riots on Thursday were
the final spasm of anger in Serbia or the first tremor in a new Balkan earthquake."

Of course, it is the danger of a new Balkan earthquake that U.S. corporate power fears.

It certainly appears that the U.S. government has once again underestimated opposition to
its criminal policies. Washington had considered that its long-announced decision to
recognize a new mini-state in the Balkans could not be opposed. It was considered a fait
accompli.

Although Kosovo might for a time lack official U.N. endorsement, it was thought that
quick recognition by the U.S. and European Union, along with funding and continued
stationing of international forces, would overwhelm Serbian opposition.

Washington is so used to having its arrogant way and violating international agreements—
even the terms that the U.S. itself dictated on NATO expansion, borders and national
sovereignty—that it is shocked to find serious opposition.

Certainly many politicians in Serbia, anxious for Serbia to join the EU, were not disposed
to make more than a symbolic opposition. But the angry response of the entire Serbian
population has changed the very ground under this latest imperialist land grab.

Struggle heating up

EU staff and other forces are now withdrawing from the northern part of Kosovo, around
the town of Mitrovica, which has been divided between areas that are either majority
ethnic Serbs or majority ethnic Albanians. Other national groupings also live in Kosovo. All
have been historically oppressed, recently by Western European and U.S. imperialists,
earlier by feudal empires.

At the bridge over the Ibar River in Mitrovica, there has been a weeklong standoff between
the Kosovo Police Service, a multi-ethnic force, and U.N. police. The KPS police have
refused to serve under the new Kosovo-declared state. Dozens of busloads of protesters
have come to the border of the province to support rallies against Kosovo's separation.

Meanwhile U.S./NATO forces, called KFOR, have moved to seal the border with armored
vehicles and tanks to halt an influx of potential protesters.

Once again the challenge in Europe to the crushing backward drag of U.S. imperialism,
whose threats and pressures have undone numerous socialist states, including Yugoslavia,
has come from the Serbian mass movement.

Solidarity demonstrations all across Europe, Canada and the U.S. were held on Feb. 24,
and were to continue through the week.

For many the very hypocrisy of the U.S. position alerted them to its having a more sinister
motive than wanting to grant independence to Kosovo. After all, the U.S. has refused to
allow the independence of Puerto Rico despite more than 100 years of struggle, yet it was
the first country to recognize Kosovo's independence from Serbia—on the very day that
the unilateral declaration was made.

International opposition

Both Russia and China, which hold veto power on the U.N. Security Council, made it clear
that they would not allow the U.N. to endorse the forcible theft of Kosovo from Serbia.
They expressed grave concern about the dangerous precedent it set in further fracturing
nation states around the world that are targeted by imperialist intervention.

The unilateral declaration was a direct violation of the U.N. Charter, other international law
and even the terms of U.N. Security Council Resolution 1244, drafted by the U.S. after 78
days of bombing Serbia in 1999. Despite the lack of U.N. approval, the U.S., Germany,
France and Britain recklessly went ahead with the recognition of Kosovo.

Opposed to the recognition are Serbia, Russia, China, Spain, Greece, Venezuela, Bolivia,
Portugal, Slovakia, Malta, Bulgaria, Romania, Cyprus, Sri Lanka and Armenia. A number of
other countries have not yet made a decision, despite intense U.S. pressure.

President Hugo Chávez said Venezuela would join other countries in condemning the
declaration. "This cannot be accepted. It's a very dangerous precedent for the entire
world," he said.

Bolivia also refused to recognize Kosovo's independence. President Evo Morales compared
Kosovo separatists to the leaders of four eastern resource-rich Bolivian states who have
U.S. encouragement in demanding greater autonomy, in an effort to fracture and halt
progressive changes coming from the federal government.

On Feb. 22, Russian envoy to NATO Dmitry Rogozin said on state-run Vesti-24 television
that Kosovo's split from Serbia was the result of an "imperialistic American effort to divide
and rule."

Rogozin made an ominous warning that could hardly be ignored. He said that the Russian
military might get involved if all the EU nations recognize Kosovo as independent with
U.N. agreement. If that happens, Russia "will proceed from the assumption that to be
respected, we have to use brute military force."

On Feb. 24 Russian Foreign Minister Sergei Lavrov was in Belgrade with current Deputy
Prime Minister Dmitri Medvedev, who is Vladimir Putin's likely successor as president.
They came to make Russia's position clear.

Medvedev said, "It is unacceptable that for the first time in the post-war history, a
country which is a member of the United Nations has been divided in violation of all
principles used in resolving territorial conflicts.

"We proceed from the understanding that Serbia is a single state with its jurisdiction
spanning its entire territory and we will stick to this principled stance in the future.

"It is absolutely obvious that the crisis that has happened and is the responsibility of those
who have made the illegal decision will unfortunately have long-term consequences for
peace on the European continent."

Medvedev signed an agreement to build a section of South Stream gas pipeline through
Serbia. The line will carry Russian gas through the Balkans to the Mediterranean Sea. A
business agreement between Serbia's national oil company, NIS, and OAO Gazprom, the
Russian energy giant, was also consolidated.

Kosovo is not independent

It is essential to explain again and again when discussing this issue of U.S. recognition of
Kosovo's "independence" that Kosovo has not gained a shred of self-determination or
even minimal self-rule, even on paper.

Unless this is continually explained and repeated, many political activists who defend self-
determination for oppressed nations might naively support "independence" for Kosovo.

The plan under which Kosovo becomes "independent" establishes an old-style colonial
structure in its rawest form. Kosovo will actually be run by an appointed High
Representative and by administrative bodies appointed by the U.S., the EU and NATO—the
U.S.-commanded military alliance.

Imperialist administrators will have direct control over all aspects of foreign and domestic
policy. They have control over the departments of Customs, Taxation, Treasury and
Banking. They control foreign policy, security, police, judiciary, all courts and prisons.
These appointed Western officials can overrule any measure, annul any law, and remove
anyone from office in Kosovo.

Several possible schemes are at the root of this latest flagrant U.S. violation of
international law. Separating Kosovo from Serbia further fractures the entire region. This
has been U.S. policy toward the Balkans, Eastern Europe and the former Soviet Republics
since the 1991 collapse of the Soviet Union. As weak, divided, warring mini-states, their
opposition to U.S. corporate domination becomes more difficult.

The recognition of Kosovo also divides and frays relations in the EU Washington is certainly
not opposed to sowing dissension among forces that are both allies and imperialist
competitors. The U.S. has fractured the EU over this, because one-third of its 27 members
are against this move.

Setting up a government in Kosovo where the U.S. has full authority to write the laws and
treaties also consolidates the Pentagon's continued hold on a major new military base in
Kosovo—Camp Bondsteel. It also provides unlimited access and, most important, a
transfer of ownership of the rich resources of the region, including oil and gas which has
just been discovered.

Camp Bondsteel

A massive new U.S. military base—Halliburton-built Camp Bondsteel—is the Pentagon
anchor in the region. Near the Macedonian border, it covers more than 1,000 acres and
comprises more than 300 buildings. It overwhelms tiny Kosovo, a province smaller than
the state of Connecticut.

The location was chosen for its capacity to expand. There are suggestions that it could
replace the U.S. Air Force base at Aviano in Italy.

Thousands of U.S./NATO troops can be comfortably stationed there. The base can easily
house its 7,000 U.S. military forces, along with thousands of private contractors. U.S.
military personnel leave Bondsteel in helicopters or large heavily armed convoys.

The camp is located close to vital oil pipelines and energy corridors that are now under
construction, such as the U.S.-sponsored Trans-Balkan oil pipeline and what is known as
energy Corridor 8.

The U.S. began planning the building of Camp Bondsteel long before its bombing of
Yugoslavia in 1999, according to Col. Robert L. McClure, writing in Engineer: The
Professional Bulletin for Army Engineers. Another document, "U.S. Army Engineers in the
Balkans 1995–2002," is available online and contains photos and descriptions of the base
plans. (web.mst.edu)

At Camp Bondsteel there is the most advanced hospital in Europe, theaters, restaurants, a
water purification plant, laundries and shops along with a mass of communication
satellites, antennae and menacing attack helicopters.

The people who live in the area surrounding the camp suffer from 80 percent
unemployment. Halliburton subsidiary Kellogg Brown and Root pays Kosovo workers, when
it hires them, a meager $1 to $3 per hour. More than 25 percent of the Albanian Kosovo
population has been forced to emigrate abroad in order to send home remittances to their
families.

Under the U.S. occupation, more than 250,000 Serbs, Roma, Turks, Goranies and other
peoples of this rich, multi-ethnic province have been forced out of Kosovo and are not
permitted to return.

Rich resources in Kosovo

U.S. corporations are well aware of the rich resources of Kosovo. There are extensive
mines for lead, zinc, cadmium, lignite, gold and silver at Stari Trg, along with 17 billion
tons of coal reserves. The once state-owned Trepca mining complex was described by the
New York Times of July 8, 1998, as "the most valuable piece of real estate in the Balkans."
It included warehouses, smelting plants, refineries, metal treatment sites, freight yards,
railroad lines and power plants. Before the 1999 U.S./NATO bombing, followed by the
occupation of Kosovo, it was the largest uncontested piece of wealth in Eastern Europe not
yet in the hands of U.S. or European capitalists.

And they are still fighting over who will get to exploit it. Since NATO forces occupied
Kosovo, almost this entire mining and refining center has been closed down. It sits idle
while the many nationalities who once worked there have been dispersed.

Now an even greater source of newly discovered wealth is making Western corporations
anxious to have an uncontested grip on the province.

On Jan. 10 Reuters reported that Swiss-based Manas Petroleum Corp. had announced that
Gustavson Associates LLC's Resource Evaluation had identified large prospects of oil and
gas reserves in Albania, close to Kosovo. The assigned estimates of the find are up to
2.987 billion barrels of oil and 3.014 trillion cubic feet of natural gas.

Clearly U.S. corporations feel they have a big stake in the region. They have made many
backroom deals and secret promises to Germany, France and Britain to gain their
acquiescence.

But this is a good time to remember how ripe for the picking Iraq looked to Halliburton
and Exxon in 2003. It seemed easy to get the compliance of many countries, even if
Washington couldn't secure a U.N. Security Council vote despite its lies to that body.

The U.S. is hardly the first empire to underestimate the power of an aroused mass
movement to overturn its plans. Imperialist arrogance and overreach can lead to serious
miscalculations.

People in every struggle for full rights and national sovereignty have an interest in
defending and standing in solidarity with the heroic resistance that the people of Serbia
have shown in the past week. This struggle could open a new day of resistance to U.S.
corporate rule across Eastern Europe and the Balkans.

Sara Flounders was in Yugoslavia during the 1999 U.S./NATO bombing to expose these
devastating attacks on the civilian population. She is a co-author and editor of "NATO in
the Balkans" and "Hidden Agenda: U.S./NATO Takeover of Yugoslavia," available at
Leftbooks.com.


Articles copyright 1995-2007 Workers World. Verbatim copying and distribution of this
entire article is permitted in any medium without royalty provided this notice is preserved.

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=== 2 ===

The original english text:
Washington gets a new colony in the Balkans

By Sara Flounders - Feb 21, 2008

http://www.workers.org/2008/world/kosovo_0228/
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5923

---

http://www.michelcollon.info/articles.php?dateaccess=2008-02-
28%2010:51:04&log=invites

Kosovo : Une nouvelle colonie pour Washington, un contrat juteux pour Halliburton

Pourquoi il n'y aura en fait aucune indépendance

Sara Flounders

Lorsqu'on examine de près la toute récente « déclaration d'indépendance» de la province
serbe du Kosovo et la reconnaissance immédiate de cette dernière en tant qu'État par les
États-Unis, l'Allemagne, la Grande-Bretagne et la France, il importe avant tout de savoir
trois choses.

Primo, le Kosovo n'obtient aucune indépendance ni la moindre autodétermination. Il sera
gouverné par un haut représentant et des institutions désignés par les États-Unis, l'Union
européenne et l'Otan. Une espèce de vice-roi à l'ancienne et des administrateurs
impérialistes détiendront le contrôle sur sa politique étrangère et intérieure.
L'impérialisme américain a tout simplement renforcé son contrôle direct sur une colonie
intégralement dépendante située au cœur des Balkans.

Secundo, la reconnaissance immédiate du Kosovo par Washington confirme une fois de
plus que l'impérialisme américain entend enfreindre absolument tous les traités ou
accords internationaux qu'il a signés jusqu'à ce jour, y compris les accords qu'il a sortis
lui-même et imposés à d'autres par la force et la violence.

La reconnaissance du Kosovo constitue une violation directe d'une telle loi, en l'occurrence
la Résolution 1244 du Conseil de sécurité des Nations unies, que les dirigeants de la
Yougoslavie ont été forcés de signer pour mettre un terme aux 78 jours de
bombardements subis par leur pays en 1999. Même cet accord imposé stipulait « la
garantie par tous les États membres de la souveraineté et de l'intégrité territoriale » de la
Serbie, une république de la Yougoslavie.

La reconnaissance illégale du Kosovo, cette semaine, a été condamnée par la Serbie, la
Russie, la Chine et l'Espagne.

Tertio, la domination par l'impérialisme américain ne rapporte rien au peuple occupé.
Après neuf années d'occupation militaire directe par l'Otan, le Kosovo a un taux de
chômage atterrant de 60 %. Il est devenu la plaque tournante du trafic international de
drogue et des réseaux de prostitution en Europe.

Les centres industriels (mines, usines, fonderies, raffineries) et les chemins de fer jadis
très actifs de cette petite région riche en ressources sont tous à l'arrêt, aujourd'hui. Sous
l'occupation de l'Otan, les ressources du Kosovo ont été privatisées de force et vendues à
de grosses multinationales occidentales. Les rares emplois du Kosovo consistent presque
uniquement à travailler pour l'armée d'occupation des États-Unis et de l'Otan ou pour les
agences des Nations unies.

La seule construction importante au Kosovo s'appelle Camp Bondsteel. C'est la plus grosse
base américaine construite en Europe depuis une génération. Évidemment, c'est
Halliburton qui a décroché ce contrat. Camp Bondsteel contrôle les routes stratégiques du
pétrole et autres voies de transport de toute la région.

Plus de 250.000 Serbes, Rom et personnes d'autres nationalités ont été chassés de cette
province serbe depuis qu'elle est passée sous le contrôle des États-Unis et de l'Otan.
Quasiment un quart de la population albanaise a également été forcée de s'en aller afin
de chercher du travail ailleurs.

La mise en place d'une administration coloniale

Examinons le plan que le Kosovo doit suivre pour accéder à son « indépendance ». Non
seulement il viole les résolutions de l'ONU, mais il prévoit également une structure tout à
fait coloniale. Il est similaire au pouvoir absolu détenu par L. Paul Bremer au cours des
deux premières années de l'occupation de l'Irak par les États-Unis.

Comment ce plan colonial a-t-il vu le jour ? Il a été proposé par les mêmes forces
responsables de la dislocation de la Yougoslavie, des bombardements de l'Otan et de
l'occupation du Kosovo.

En juin 2005, le secrétaire général des Nations unies, Kofi Annan, faisait de l'ancien
président finlandais Marti Ahtisaari son envoyé spécial chargé de diriger les négociations à
propos du statut final du Kosovo. Ahtisaari n'est pas vraiment un arbitre impartial, quand
il s'agit de l'intervention américaine au Kosovo. Il est président émérite du Groupe
international de crise (ICG), une organisation financée par le multimilliardaire George
Soros et soutenant l'expansion et l'intervention de l'Otan en même temps que l'ouverture
des marchés aux investissements américains et européens.

Le conseil d'administration de l'ICG comprend deux personnages officiels américains clés,
responsables des bombardements au Kosovo : le général Wesley Clark et Zbigniew
Brzezinski. En mars 2007, Ahtisaari a transmis sa Proposition complète de résolution des
statuts du Kosovo au nouveau secrétaire général des Nations unies, Ban Ki-moon.

On peut lire les documents de mise en place d'une nouvelle forme de gouvernement au
Kosovo sur unosek.org/unosek/en/statusproposal.html.
Un résumé est également disponible sur le site Internet du département d'État (=
ministère des Affaires étrangères) américain : state.gov/p/eur/rls/fs/100058.htm

Un représentant civil international (RCI) sera désigné par les officiels américains et
européens en vue de superviser le Kosovo. Ce fonctionnaire pourra rejeter ou annuler
n'importe quelle mesure ou loi et déboulonner n'importe qui de ses fonctions, au Kosovo.
Le RCI pourra exercer le contrôle entier et final sur les départements des douanes et des
taxes, ainsi que sur le trésor et la banque.

L'union européenne installera une mission de politique sécuritaire et défensive (PSDE) et
l'Otan, de son côté, assurera une présence militaire internationale. Ces deux corps
désignés auront le contrôle de la politique étrangère, de la sécurité, de la police, de la
justice et de tous les tribunaux et prisons. Ils bénéficient en outre d'une liberté d'accès
immédiate et totale à toutes activités, opérations ou documents au Kosovo.

Ces corps et le RCI auront le dernier mot à propos des délits et des personnes pouvant
faire l'objet de poursuites; ils peuvent rejeter ou annuler toute décision qui aura été prise.
La plus grosse prison du Kosovo se trouve à la base américaine, Camp Bondsteel, où des
personnes sont détenues sans la moindre accusation, sans surveillance ou représentation
judiciaire.

La reconnaissance de « l'indépendance » du Kosovo n'est que la dernière étape d'une
guerre américaine de reconquête poursuivie sans relâche depuis des décennies.

Diviser pour régner

Les Balkans ont toujours été un assemblage hétéroclite de nombreuses nationalités,
cultures et religions opprimées. La Fédération socialiste de Yougoslavie, apparue après la
Seconde Guerre mondiale, comprenait six républiques dont aucune n'avait la majorité. À
sa naissance, la Yougoslavie était nantie d'un héritage issu des antagonismes
inlassablement exploités par les Turcs ottomans et par l'Empire austro-hongrois, puis des
ingérences de l'impérialisme britannique et français et, enfin, d'une occupation fasciste
par les Allemands et les Italiens durant la Seconde Guerre mondiale.

Le peuple serbe subit des pertes très importantes, au cours de cette guerre. Un puissant
mouvement de résistance dirigé par les communistes et composé de toutes les
nationalités ayant souffert de diverses façons, s'était constitué contre l'occupation nazie
et toute intervention de l'extérieur. Après la libération, toutes les nationalités coopérèrent
et s'engagèrent dans la mise sur pied de la nouvelle fédération socialiste.

En 45 années et, alors qu'au départ elle ne couvrait qu'une région appauvrie, sous-
développée et en proie à de fréquents conflits, la Fédération socialiste de Yougoslavie
allait se développer en un pays stable doté d'une base industrielle, de soins de santé et
d'un système d'enseignement accessible à toutes la population.

Avec l'effondrement de l'Union soviétique au début des années 1990, le Pentagone sortit
immédiatement des plans prévoyant l'expansion agressive de l'Otan vers l'Est. Diviser
pour régner, telle devint la politique américaine dans l'ensemble de la région. Partout, des
forces procapitalistes de droite furent financées et encouragées. Dans le même temps que
l'Union soviétique fut émiettée en plusieurs républiques séparées, affaiblies, instables et
généralement en conflit, la Fédération socialiste de Yougoslavie tenta de résister à cette
vague réactionnaire.

En 1991, alors que l'attention du monde se concentrait sur les bombardements
dévastateurs de l'Irak par les États-Unis, Washington encouragea, finança et arma les
mouvements séparatistes de droite dans les républiques de Croatie, de Slovénie et de
Bosnie de la Fédération yougoslave. En violation des accords internationaux, l'Allemagne
et les États-Unis reconnurent rapidement ces mouvements sécessionnistes et
approuvaient la création de plusieurs mini états capitalistes.

En même temps, le capital financier américain imposa de sévères sanctions économiques à
la Yougoslavie, afin de mettre son économie en faillite. Washington décida alors que
l'Otan était la seule force à même de ramener la stabilité dans la région.

L'armement et le financement de l'UCK, un mouvement d'extrême droite, dans la province
serbe du Kosovo, débutèrent à la même période. Le Kosovo n'était pas une république
distincte de la Fédération yougoslave, mais une province de la république de Serbie.
Historiquement, il avait été l'un des foyers de l'identité nationale serbe, mais avec une
population albanaise qui n'avait cessé de croître.

Washington lança une véhémente campagne de propagande prétendant que la Serbie
menait elle-même une campagne de génocide massif contre la majorité albanaise du
Kosovo. Les médias occidentaux ressassèrent à l'infini des histoires de fosses communes,
de viols et de brutalités en tout genre. Des fonctionnaires américains prétendirent même
qu'entre 100.000 et 500.000 Albanais avaient été massacrés.

Sous l'administration Clinton, des fonctionnaires des États-Unis et de l'Otan sortirent un
ultimatum outrageant: la Serbie devait accepter immédiatement une occupation militaire et
renoncer à toute souveraineté sur le Kosovo, sans quoi elle allait devoir affronter le
bombardement par l'Otan de ses villes, villages et infrastructures. Lors des négociations
qui eurent lieu à Rambouillet, en France, le Parlement serbe vota le refus des exigences de
l'Otan et les bombardements commencèrent.

En 78 jours, le Pentagone largua 35.000 bombes à sous munitions, utilisa des milliers de
projectiles radioactifs contenant de l'uranium appauvri, ainsi que des obus perceurs de
bunkers et autres missiles de croisière. Les bombardements détruisirent plus de 480
écoles, 33 hôpitaux, de nombreux dispensaires de soins, 60 ponts, en même temps que
des sites industriels, des usines chimiques, des centrales électriques et la totalité du
réseau d'électricité. Ce fut le Kosovo, c'est-à-dire la région que Washington était censé
libérer, qui subit les pures destructions.

Finalement, le 3 juin 1999, la Yougoslavie fut forcée d'accepter un cessez-le-feu ainsi que
l'occupation du Kosovo.

S'attendant à découvrir des cadavres partout, des équipes médicolégales originaires de 17
pays de l'Otan et organisées par le tribunal de La Haye pour les crimes de guerre,
retournèrent en tous sens le Kosovo occupé. L'affaire prit tout l'été 1999 mais les équipes
ne découvrirent que 2108 corps, et de toutes nationalités. Certains avaient été tués par les
bombardements de l'Otan, certains au cours de la guerre entre l'UCK et la police et
l'armée serbes. Par contre, les équipes médicolégales ne découvrirent aucune fosse
commune et en purent produire la moindre preuve de massacre ou de « génocide ».

Ce démenti surprenant de la propagande impérialiste provient d'un rapport rendu public
par la principale accusatrice du Tribunal pénal international pour l'ancienne Yougoslavie,
Carla Del Ponte. Il fut publié, mais sans publicité aucune, dans le New York Times du 11
novembre 1999.

La propagande rabique de génocide et les histoires de fosses communes étaient aussi
fausses que les allégations futures prétendant que l'Irak possédait et fabriquait des «
armes de destruction massive ».

Via des guerres, des assassinats, des coups d'État et des embargos économiques,
Washington est parvenu aujourd'hui à imposer une politique économique néolibérale à la
totalité des six anciennes républiques yougoslaves et à les briser pour en faire des mini
états instables et appauvris.

L'extrême instabilité et la pauvreté effarante que l'impérialisme a apportées à la région
constitueront à longue échéance les semences de son propre effondrement. L'histoire des
réalisations de la Yougoslavie au moment où elle jouissait d'une véritable indépendance,
de souveraineté dans l'unité et d'un développement socialiste se réaffirmera d'elle-même
dans le futur.


Traduit par Jean-Marie Flémal pour Investig'Action
24/02/2008, Workers.org
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Sara Flounders, codirectrice de l'International Action Center, s'est rendue en Yougoslavie
durant les bombardements américains de 1999 et elle a rédigé des rapports dénonçant les
attaques américaines contre des cibles civiles. Elle est coauteur et éditrice des ouvrages : «
Hidden Agenda-U.S./NATO Takeover of Yugoslavia » (L'agenda caché des États-Unis et de
l'Otan à propos de la reprise de la Yougoslavie) et « NATO in the Balkans » (L'Otan dans
les Balkans).

(il testo originale del Comunicato Stampa del CNJ: 
ITALIA E BALCANI. UNA PERFETTA CONTINUITÀ CON LE POLITICHE DEL FASCISMO
si può leggere alla pagina: https://www.cnj.it/POLITICA/cnj2008.htm )


SAOPSTENJE ZA STAMPU

CNJ ONLUS:

ITALIJA I BALKAN: DANAS ISTO KAO U VREME FASIZMA

Februara 2003. pisali smo 
« glasanje u Saveznoj Skupstini Jugoslavije upriliceno 4. februara 2003. jeste zapravo kruna revansistiickg zlocinackog plana uperenog protiv tog naroda i njegove zemlje, plana koji se na krajnje ocigledan nacin sprovodi pocev od 1990. Taj su plan po nalogu Zapada ostvarili nedostojni politicarai, a takvi su svi danas na vlasti u republikama nekadasnje Jugoslavije. Vremenski plan treba smestiti u raspon izmedju 5. novembra 1990. kada je kongres SAD doneo zakon 101/513 o direktnoj finansijskoj pomoci svim toboze demokratskim a u stvari revansistickim i secesionistickim novokomponovanim strankama zarad rasturanja Jugoslavije; i tog 4. februara kada je formalno stvorena drzavna zajednica Srbija i Crna Gora, a Jugoslavija izbrisana iz politicke karte Evrope.
[...] Tvorevina je bila namenski kratkog veka, iscrpljujuci sopstvenu svrhu komadanjem sopstvene suverene drzave i vestackim stvaranjem raskola medju bratskim narodom. Jasno, zloglasni K. Solana, koga pamtimo po tome sto je dirigovao bombardovanjem Jugoslavije 1999. zdusno ce pljeskati novorodjenoj drzavici. A sta se drugo moze ocekivati od kuma ? Svekoliko otvoreno ili lose prikrivano zadovoljstvo kako takozvane medjunarodne zajednice tako i domacih politicara, nije dovoljno da zamagli istinski cilj zlocinacke politike koju Zapad vodi poslednjih godina, pocev od protivzakonitog priznavanja secesionistickih republika, pa nadalje. Tom politikom su izazvali neizrecive patnje, jeziva razaranja i bolna stradanja neduznog stanovnistva, prekrajajuci granice Balkana i stvarajuci sebi poslusne drzavice kojima ce otimati prirodna bogastva i izrabljivati radnu snagu, bas kao u vreme naci-fasizma. Zavadjali su bratske narode kojima su koreni i kultura zajednicki, da bi vladali njima vojnickom cizmom.
Za nas iz Nacionalne Koordinacije za Jugoslaviju (CNJ) sav taj zlokobni lanac dogadjaja nije nista drugo do ocigledan zlocin protiv covecnosti koji neometeno traje i kome se kraj ne sagledava, ali za koji treba da odgovarajut svi vinovnici »(1)

Ocekivano cepanje drzavne zajednice Srbija i Crna Gora, upriliceno je vec maja 2006. stvaranjem mafijaske drzavice Crne Gore, uz pomoc laziranog referenduma, sto nije sprecilo ni zemlje Nato pakta ni EZ da je netrepnuvsi priznaju. Eto i otimanja Kosova danas, cime je stvorena samo jos jedna mafijaska drzavica.

Necemo se ovde upustati u razmatranje predstojece etape tog zlocinackog lanca, uostalom, redovno objavljujemo analize i vesti sa jugoslovenskog prostora i vezano za taj prostor u pisanoj ili kakvoj drugoj formi (2). A to stoga sto je na ovom mestu daleko celishodnije sagledavanje stanja u Italiji kao i ocena politike koju nasa vlastita zemlja vodi, nezavisno od toga sto je nas glavni cilj blize upoznavanje i negovanje prijateljstva sa drugim narodima. Time sto je nasa Koordinacija prisutna na citavom nacionalnom prostoru Italije, na kome deluje svojim angazmanom za mir, smatramo da u prvom redu treba da obratimo paznju na ono sto se desava pred nasim sopstvenim ocima u neposrednom okruzenju.

Ocigledne su pogubne posledice neodgovorne politike rezima nase zemlje, kako na domacem, tako i na medjunarodnom planu. Uporne izjave Dalemine da ce Italija u svakom slucaju priznati nezavisno Kosovo, cinicne su i nedopustive sa stanovista medjunarodnog prava i Povelje S B OUN, nespojive su sa demokratijom i principima miroljubive koegzistencije medju narodima.

Do srzi podeljena vlada u ostavci priznaje nezavisno Kosovo, jer toboze « Kosovo valja brze-bolje priznati jer ce u protivnom italijanski vojnici u sastavu medjunarodnih snaga ostati bez politickog i diplomatskog pokrica za dejstva na terenu »(3) Gde to uopste pise da nasa vojska mora da dejstvuje na terenu? Jasno je sta se iza brega valja! Finansijski magnat i vodj « saveza za novo Kosovo » B. Pacoli dao je izjavu za stampu u kojoj istice da je « do kasno u noc sa italijanskim ambasadorom radio na samom dokumentu o proglasenju nezavisnosti. »(4)

U toj ujdurmi, dakle, uloga Italije jeste od prvorazrednog znacaja, kao uostalom i 1999. kada smo sluzili kao aerodrom za sletanje i uzletanje bombardera sto su sejuci smrt, razarali mostove, gradske trgove, stambene zgrade i fabrike jugoslovenske federacije. Na stotine je stradalo! Niko, medjutim od vinovnika tog zlocina nije pozvan na odgovornost posto su po starom mafijaskom obicaju uvrezenom u nasoj zemlji, sve uredno podnete tuzbe u samom postupku minirane. Nasa zemlja slovi za demokratsku iako netremice sprovodi u delo politiku ozloglasenog naci-fasistickog rezima s pocetka cetrdesetih.

Danas kao i tada, Kosovo je pod italijanskom i okupacijom preostalih vele-sila. Danas kao i tada, raspirivanje velikoalbanskog iredentizma ima za cilj stvaranje potcinjenih drzavica.
Danas kao i tada u izgledu je velika Albanija, cime ce biti ugrozeni legitimni interesi najmanje tri evropske drzave.

Danas isto kao u vreme fasizma, Italija netremice suruje sa najokorelijim zlikovcima sirom medjunarodne politicke scene. Tridesetih godina obucavala je ustase za atentat na kralja da bi rasturila Kraljevinu Jugoslaviju. Danas cini isto to manipulisuci svojim novim sticenicima, ubicama takozvane OVK, krijumcarima droge i svakojakog naoruzanja, trgovcima belim robljem, sa krvnicima i sopstvenog naroda koga su unazadili najblaze receno barem za sto godina, time sto su ponovo zaveli « kanun » i sto su se uortacili sa najogrezlijim bandama iz Avganistana, kao i sa mafijom i kamorom iz Italije.

Na domacem planu, danas kao nekad, vojna osvajanja i ratove pravdaju toboznjim dusebriznistvom i velikodusnoscu, a u stvari, neosporno je zatajio svaki vid demokratske kontrole.(5) Od 1999. naovamo potpuno smo se navikli na sistematicno i flagrantno krsenje Ustava. Narod se vise ni zasta ne pita zato sto je protiv rata i sto zahteva povlacenje vojske koja nemilice guta ionako mrsav drzavni budzet.

Kako fasisti nekad, tako ovi danas nipodastavaju medjunarodne institucije. Svojevremeno to je bilo Drustvo Naroda, dans je to OUN cija je Rezolucija 1244 netremice pogazena! Cak je i EZ dovedena u pitanje stvaranjem razdora u sopstvenim redovima. Vrli ministar spoljnih poslova Francuske, Kusner, bez dlake na jeziku rece da « sto se priznavanja nezavisnosti Kosova tice, neka svako slobodno postupi kako mu drago » 

Danas kao nekad fasisticki rezim, vlada vodi politiku neprijateljskih odnosa sa susednim narodima: ne samo da uporno i nasumice ponizava Srbe i Srbiju, vec i prema Hrvatima ispoljava iredentisticke teznje. (6)

Na osnovu svega iznetog jasno je da ovih poslednjih 15 godina Italija na Balkanu vodi politiku koja se ni po cemu ne razlikuje оd imperijalisticke i agresorske politike nekadasnjeg fasistickog rezima. Као Кооrdinacija gradjana angazovanih sirom Italije za dobrobit mira i prijateljstva medju narodima, izrazavamo duboku uznemirenost i strepnju u pogledu na buducnost krajne bremenitu neizvesnostima.

(Italijanska) Nacionalna Koordinacija za Jugoslaviju
Februar 2008.

(2) Pogledati celokupnu dokumentaciju sabranu na stranici, kao i arhivsku gradju informativnih dnevnih biltena CNJ: https://www.cnj.it/ http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/ 
(3) Pogledati clanak i video-zapis: 
(4) pogledati dnevne listove Corriere della Sera i La Stampa od 17/02/2008 
(5) Poslanicki dom, sednica n. 252, 29. novembra 2007.: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5793 




en français, à lire et voire aussi:

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Michel Chossudovsky - USA et UE collaborent avec la maffia
"Un terroriste", disait Washington à propos du nouveau "premier ministre". Oui, mais c'est "notre" terroriste...


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Les rebelles de l'ALK s'entraînent dans des camps terroristes 
Par Jerry Seper - THE WASHINGTON TIMES - Le 4 mai 1999 



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L'important n'est pas ce que les médias disent, mais ce qu'ils ne disent pas
Quelques instruments pour comprendre le Kosovo :

Jeu "Vrai ou Faux ?"
Un test-média sur le Kosovo :
Vérifiez par vous-même l'état de vos connaissances et comment l'info a été manipulée.
En ligne sur notre site.

Film Les Damnés du Kosovo
Par Vanessa Stojilkovic et Michel Collon
Témoignages inédits sur le nettoyage ethnique actuel et l'occupation de l'Otan. Comment la guerre contre la Yougoslavie et ses médiamensonges ont préparé l'Irak et l'Afghanistan. 
9 euros. 77 minutes. Existe en français, anglais, espagnol, néerlandais, serbo-croate...

Vidéo Débat Otan, Kosovo et médias
Avec Jamie Shea (Otan), Michel Collon et Olivier Corten (Université Libre de Bruxelles)
La seule fois que le porte-parole officiel de l'Otan a accepté un débat public, il a fini par le regretter... 
7 euros.

Vidéo Uranium appauvri - Les victimes parlent
Venus de neuf pays, victimes, experts et journalistes d'investigation témoignent des effets de ces armes terribles employées en Irak, Bosnie, Kosovo, Afghanistan...
80 minutes, 7 euros.

Livre Monopoly - L'Otan à la conquête du monde
Par Michel Collon
Pourquoi l'Europe a marché avec les Etats-Unis dans la guerre contre la Yougoslavie. Les enjeux économiques et stratégiques cachés. La plus réussie des campagnes de propagande de guerre. Faiblesses de la gauche face aux guerres dites 'humanitaires'.
Epuisé en français, 14 documents présentés gratuitement sur le site.
Disponible en anglais, espagnol, néerlandais, russe, serbo-croate.

Livre Poker menteur
Par Michel Collon
Les Etats-Unis à la conquête du monde. Alliances et rivalités.
Epuisé en français. 21 documents présentés gratuitement sur le site.
Disponible en anglais, espagnol, néerlandais.

Infos et commandes : lila.investigation @ gmail.com


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Le Kosovo et la géopolitique des Balkans

par Pierre Hillard*

La proclamation unilatérale de l’indépendance du Kosovo a été mise en scène par les médias atlantistes comme une victoire des peuples à disposer d’eux-mêmes. Rien de plus fallacieux, rappelle Pierre Hillard : cette décision n’a pas été prises par les intéressés, mais par l’Allemagne et les Etats-Unis. Au demeurant, le Kosovo « indépendant » n’est pas souverain et son activité économique légale se limite à héberger la plus moderne des bases militaires US implantée sur le continent européen, camp Bondsteel.


28 FÉVRIER 2008

Depuis
Paris (France)



L’indépendance du Kosovo, le 17 février 2008, marque un tournant dans les Balkans. Une forêt de drapeaux albanais, états-uniens et anglais claquait dans les rues de la nouvelle capitale, Pristina. Ça et là, un « Danke Deutschland » (« merci l’Allemagne ») décorait les frontons de plusieurs bâtiments rappelant le rôle incontournable de Berlin dans la naissance du nouvel État. La reconnaissance de la dernière province de la fédération yougoslave semble clore le démantèlement de ce pays commencé au début de la décennie 1990. En fait, la destruction de cette fédération entre dans un vaste plan de recomposition territoriale et économique des Balkans en liaison avec la Mer noire et le Proche-Orient.

La Yougoslavie doit être détruite

La destruction de ce pays est due à l’Allemagne. En effet, dès les années 1970, les autorités politiques bavaroises sous la direction du ministre-président Franz-Josef Strauss ont organisé de multiples contacts avec les dirigeants slovènes et croates. Il s’agissait de détacher économiquement les États du Nord de la Yougoslavie afin de les intégrer à l’économie occidentale, en premier lieu l’Autriche et l’Allemagne. L’instrument qui a permis à Berlin d’entamer la désintégration de ce pays est passé par une « Communauté de travail » (Arbeitsgemeinschaft), Alpen-Adria [1]. Créée le 20 novembre 1978, cette Communauté regroupe différentes régions issues de différents pays. Outre la Bavière, on y retrouve des régions suisses, autrichiennes et italiennes. À cela, il faut y ajouter depuis la chute du Mur de Berlin les régions hongroises, mais aussi les provinces du Nord de l’ancienne Yougoslavie. Forte d’une superficie de 306 000 km2, cette entité territoriale se dégageant progressivement de l’autorité des différents États prend en charge des domaines comme l’aménagement du territoire, les transports ou encore l’agriculture. Cette dynamique se renforce d’autant plus en raison de l’action de l’Association des Régions Frontalières Européennes (l’ARFE), institut germano-européen, dont l’objectif déclaré est de transformer les frontières nationales en simples tracés administratifs [2].

Le prélude à la sécession de la Slovénie et de la Croatie commença en 1987 quand l’État yougoslave se trouva au bord de la faillite dans l’incapacité d’honorer ses dettes. Cette situation obligea le gouvernement du pays à se placer sous les fourches caudines du Fonds monétaire international (le FMI). Ce fut le commencement de la fin. En effet, le gouvernement allemand en profita pour arguer du fait que la Slovénie et la Croatie, régions plus riches par rapport à celles du Sud, avaient plus de chance d’entrer dans l’Union européenne (à l’époque la CEE). Ce chant de sirène eut l’effet escompté. En juin 1991, les deux républiques du Nord yougoslaves déclarèrent leur indépendance. Cette dernière fut reconnue expressément par le ministre des Affaires étrangères allemand, Hans-Dietrich Genscher en décembre de la même année. Sa détermination entraîna celle des autres pays européens allumant ainsi le brasier yougoslave. En fait, l’action déterminante de l’Allemagne en faveur du démembrement de l’État yougoslave fut précédée en juillet 1991 par Alpen-Adria qui, lors d’une session plénière le 3 juillet 1991, déclara : « Les membres de la communauté de travail d’Alpen-Adria suivent avec une grande inquiétude l’escalade de la violence en Yougoslavie menaçant la paix en Europe (…). Ils considèrent comme de leur devoir d’agir, dans le cadre de leurs possibilités, au fait que le droit à l’autodétermination des peuples de Yougoslavie soit reconnu et que les décisions émanant d’organes démocratiquement élus soient respectées. Ils soutiennent avant tout les efforts démocratiques et non-violents des États membres de Slovénie et de Croatie à réaliser leurs droits à l’autodétermination. Ils sont convaincus que ces républiques ont le droit de revendiquer l’indépendance, la liberté et la solidarité au sein de la Communauté de travail Alpen-Adria » [3]

L’éclatement de la Fédération yougoslave aboutit à l’émergence de multiples unités indépendantes. Les accords de Dayton, signés en 1995, ont fixés temporairement les frontières de ces nouvelles entités nées dans le sang. Cependant, l’affaire n’était pas close avec le cas kosovare. Cette province autonome serbe, véritable foyer de la civilisation de ce pays, s’est vue peuplée progressivement de musulmans en provenance d’Albanie. Réclamant une indépendance face à Belgrade, les représentants albanais du Kosovo ont reçu un soutien complet de la part de l’Union fédéraliste des communautés ethniques européennes (l’UFCE), institut européen mais en fait allemand promouvant une organisation ethnique de l’Europe. Bénéficiant de l’appui d’un haut fonctionnaire du ministère de l’Intérieur allemand [4], l’UFCE a soutenu totalement les revendications kosovares [5]. Réunie sous l’appellation « Union des Kosovars », cette dernière a reçu un appui de Berlin tout en ayant son siège aux … États-Unis dans l’État de l’Illinois [6]. L’intervention militaire de l’OTAN, en mars 1999, fit plier la République yougoslave qui désormais se vit imposer une réorganisation de son espace géographique.


Les Balkans, zone de transit

La grande « faute » du président serbe Milosevic aux yeux des mondialistes est d’avoir refusée de rentrer dans l’organisation politique et financière prônée par la communauté euro-atlantique. En fait, la destruction de la Yougoslavie a permis une complète réorganisation de l’espace politique, économique et militaire. Sitôt la guerre de 1999 terminée, les États-Unis se sont lancés dans la construction d’une base militaire au Kosovo, la plus moderne et la plus importante d’Europe : Bondsteel. Pouvant abriter jusqu’à 7 000 soldats, cette base ultra-moderne est en mesure de surveiller l’ensemble du territoire balkanique, mais aussi la Mer noire et la Turquie. Premier employeur de Kosovars, cette présence états-unienne fidélise le tout nouveau gouvernement indépendant à Pristina. En termes plus clairs, le Kosovo est une annexe du territoire américain en Europe. Cette volonté états-unienne de s’impliquer dans cette zone s’explique en raison de l’importance cruciale de l’acheminement des hydrocarbures en provenance de la Mer Caspienne, plus exactement de Bakou. Parmi les nombreux oléoducs et gazoducs, nous pouvons relever le transbalkanique Burgas-Vlore, le BTC (Bakou, Tbilissi-Ceyhan), Blue Stream, Nabucco, … en concurrence avec le gazoduc russe, Southstream.

La politique états-unienne consiste à contrôler les Balkans, en passant par l’Asie centrale jusqu’au Proche-Orient. Cela passe obligatoirement par une balkanisation de toute cette zone selon la bonne vieille tradition « divisez pour mieux régner ». La parcellisation de l’Europe en raison de l’application des textes germano-européens se double de la volonté d’éclater les États du Proche-Orient en une multitude d’entités ethniques et religieuses. Cette ambition a été présentée officiellement par la revue militaire AFJ (Armed Forces Journal) en juin 2006 sous la plume de Ralph Peters, ancien officier du renseignement. En fait, ces travaux s’appuient largement sur ceux de l’islamologue britannique Bernard Lewis très proche des néo-conservateurs [7]. L’importance de sécuriser l’acheminement du pétrole et du gaz entre le Proche-Orient et les Balkans explique aussi la volonté de mettre sur pied une eurorégion de la Mer noire. Ce concept a été particulièrement développé lors de multiples réunions entre le très influent Bruce Jackson, proche des milieux néo-conservateurs, et les instances européistes. Comme le rappelle avec clarté le représentant états-unien : « La Mer noire est la nouvelle interface entre la communauté euro-atlantique et le grand Moyen-Orient » [8]. Par conséquent, on comprend plus aisément toute l’importance d’une indépendance du Kosovo qui, par l’intermédiaire de sa base US, sera pour Washington un véritable porte-avion quadrillant l’ensemble de cette zone.

Les événements précipitant le Kosovo vers l’indépendance avaient été annoncés lors des colloques réunissant les députés du Parlement européen et ceux du Congrès des États-Unis. En effet, dans le cadre du Transatlantic Legislators Dialogue (TLD), une réunion du 18 au 21 avril 2006 à Vienne annonçait déjà la couleur. Comme le présente le rapport final du TLD : « La délégation américaine se concentre sur la question du Kosovo et indique que la semi-indépendance du Kosovo n’est pas le bon choix. C’est l’autodétermination qui devrait être appliquée, et que la Serbie doit devenir un pays normal, pleinement intégré dans la communauté internationale ». Cette même délégation états-unienne précise « qu’il y a, bien entendu, un problème plus vaste : chaque langue, chaque dialecte doit-il disposer d’un drapeau et d’un pays indépendant ? » [9]. En tout cas, c’est un peu tard pour y penser.

La reconnaissance de la souveraineté du Kosovo par les principales puissances occidentales est un véritable tournant dans les relations internationales. En effet, suite à la guerre de 1999, la résolution 1244 du Conseil de sécurité affirmait reconnaître l’intégrité du territoire serbe, Kosovo inclus, ce dernier bénéficiant d’une forte autonomie. La violation flagrante de cette résolution laisse le droit international en miettes. A quoi bon rédiger des résolutions qui seront piétinées ? Qui plus est, la reconnaissance de ce nouvel État ouvre largement la boîte de Pandore. Que répondre aux autres régions en Europe et partout dans le monde souhaitant obtenir leur indépendance ? Dans l’esprit du mondialisme, ennemi des États-nations, l’émergence de cet État préfigure une chute de dominos en série destructeurs de l’intégrité territoriale de nombreux pays. On aurait voulu faire exprès que l’on ne s’y serait pas mieux pris. Mais justement, il faut croire que les Al Capone du mondialisme l’on fait en toute connaissance de cause. En ce début de XXIè siècle, aucun pouvoir humain n’est en mesure d’arrêter la construction de la Tour de Babel.



Docteur en science politique. Dernier ouvrage publié : La marche irrésistible du nouvel ordre mondial


[1] Pierre Hillard, Minorités et régionalismes, Paris, éditions François-Xavier de Guibert, 4è édition, p. 242 et suivantes.

[2] Ibid., p. 235.

[3] Ibid.,

[4] Ibid., pp. 184, 336 et 373.

[5] Ibid., p. 152.

[6] Ibid., p. 374 (la liste totale de ces mouvements indépendantistes est présentée à partir de la 2è édition).

[7] Sur l’origine de ce document, lire L’Effroyable imposture 2, par Thierry Meyssan, éditions Alphée, 2007, pp. 217-224.

[8] Pierre Hillard, La marche irrésistible du nouvel ordre mondial, Paris, Editions François-Xavier de Guibert, novembre 2007, p. 61.

[9] Ibid., p. 65.




(english / deutsch / srpskohrvatski / italiano)

Schweiz / Kosovo

1) Kosovo: Dick Marty warnt vor Parteinahme gegen Serbien (21.02.2008)
2) Daniel Vischer: SCHWEIZ DARF KOSOVO JETZT NICHT ANERKENNEN (23.2.08)
3) Geneva: Thousands rally against Kosovo independence (24.2.2008)
4) Serbia recalls envoy to Switzerland in reaction to Kosovo recognition (2008-02-28)


Nonostante commenti sfavorevoli e proteste, compreso il richiamo dell'ambasciatore serbo, la Svizzera ha annunciato di riconoscere lo "Stato del Kosovo". Questa mossa criminale, dal punto di vista del diritto internazionale, appare in effetti molto legata a questioni interne: il piccolo paese ospita più di centomila kosovari albanofoni, nella categoria provvisoria di richiedenti asilo, o permesso umanitario. Tutto questo ora cambierà: con il riconoscimento del Kosovo da parte della Svizzera, la comunità kosovara dovrà andarsene... (segnalato da DK)

http://www.tanjug.co.yu:86/RssSlika.aspx?10366

Švajcarska priznala nezavisnost Kosova 

ŽENEVA, 27. februar (Tanjug) - Švajcarska je danas priznala Kosovo i Metohiju i saopštila da će uskoro uspostaviti diplomatske i konzularne veze sa srpskom pokrajinom koja je jednostrano proglasila nezavisnost 17. februara...


=== 1 ===

Kosovo: Marty warnt vor Parteinahme gegen Serbien

Bern. sda/baz. Der Präsident der Aussenpolitischen Kommission des Ständerats Dick Marty (FDP/TI) warnt vor einer raschen Anerkennung des Kosovo. Dass sich Aussenministerin Calmy-Rey frühzeitig für die Unabhängigkeit ausgesprochen hatte, bezeichnete Marty als Fehler.
«Ich habe nie verstanden, weshalb sich Aussenministerin Micheline Calmy-Rey schon vor zwei Jahren für die Unabhängigkeit ausgesprochen hat», sagte Marty in einem Interview mit dem «Tages- Anzeiger» vom Donnerstag.
«Vermutlich hat sie den Bundesrat vorgängig nicht konsultiert, und das Parlament schon gar nicht», sagte Marty. «Jedenfalls haben wir die Serben verärgert, mit denen wir eine besondere Beziehung pflegen».

Gegen Parteinahme

Er verwies darauf, dass Serbien im Internationalen Währungsfonds und der Weltbank zur Stimmrechtsgruppe der Schweiz gehört und sich aus Protest gegen die Anerkennung des Kosovo zusammen mit anderen Staaten aus der Gruppe zurückziehen könnte. «Es wäre angesichts der Bedeutung unseres Finanzplatzes schlimm, wenn die Schweiz ihren Sitz verlöre», sagte Marty.
«Wenn wir Kosovo schnell anerkennen, nehmen wir Partei, ohne dass wir etwas davon haben», warnte der Tessiner Ständerat: «Wenn uns unserer Neutralität noch etwas bedeutet, müssen wir vorsichtig sein». Er übte auch Kritik an der Haltung seiner Partei.
Die FDP habe sich zusammen mit der SP für eine baldige Anerkennung ausgesprochen, «ohne die Problematik genügend zu vertiefen».

«Kosovo ist nicht bereit»

«Kosovo ist überhaupt nicht bereit für die Unabhängigkeit», warnte Marty. Er zeichnete ein düsteres Bild der Lage in der bisherigen serbischen Provinz - die wirtschaftliche Lage sei desaströs, die Arbeitslosigkeit enorm.
Zudem sei Kosovo heute eines der grössten Zentren der organisierten Kriminalität. «Nichts ist besser geworden unter der internationalen Verwaltung. Diese hat versagt», sagte Marty: «Ich frage mich, welche Garantien es wirklich für die Minderheiten der Serben und der Roma gibt».
Der Bundesrat will in einer der nächsten Sitzungen über die völkerrechtliche Anerkennung des Kosovo entscheiden. Vor dem Entscheid will der Bundesrat die Meinung der Aussenpolitischen Kommissionen (APK) der Räte einholen. Die Konsultationen finden am Donnerstag in der ständerätlichen und am Freitag in der nationalrätlichen APK statt.

BaZ, 21.02.2008


=== 2 ===

PERSOENLICHE STELLUNGNAHME ZUM KOSOVO: 

SCHWEIZ DARF KOSOVO JETZT NICHT ANERKENNEN

Ich vertrete in dieser Sache keine Partei. Ich bin mithin auch kein
serbischer Parteigänger, als der man bald einmal hingestellt wird, folgt man
nicht einem verbreiteten auch links-grünen mainstream. Ich bin im Vorstand
der Gesellschaft Schweiz Islam, vertrete mithin in der Schweiz die
Interessen der Kosovo Albaner bezüglich Religionsfreiheit, Schulförderung
etc.. Hingegen war ich nie der Meinung, die Serben trügen an der Zerstörung
Jugoslawiens die massgebliche Schuld, sie beruhte vielmehr auf einer
Verkettung sehr vieler Ursachen. Innerhalb der grünen und linken Szene in
diesem Lande beschlägt dies eher einen Minderheitsstandpunkt, das stimmt.   


Zur Frage der Anerkennung der Unabhängigkeit, stehen folgende Ueberlegungen
im Vordergrund:

-Eine Unabhängkeitserklärung mit völkerrechtlicher Relevanz kann nicht
einseitig erfolgen. Die des Kosovo erfolgte zur Unzeit und gegen die
Beschlusslage der massgeblichen völkerrechtlichen Institutionen. Für die
Unabhängigkeit gerade zum jetzigen Zeitpunkt gibt es nicht eine
völkerrechtlich legitime Voraussetzung. Was völkerrechtlich gilt, kann nur
nach rechtspositivistischer Auffassung geklärt werden - es gelten die in
Kraft stehenden durch die zuständigen Organe des Völkerrechtes erlassenen
Rechtssätze. 

- Die nötigen Voraussetzungen der UNO liegen nicht vor. Das Argument, die
UNO sei nicht handlungsfähig wegen des Vetos Russlands und auch Chinas,
sticht nicht. Die Grundlagen der UNO gelten in allen anderen Fällen auch.
Ein Sonderrecht, wenn andere Staaten in Vetoposition sind, für sich
abzuleiten, gehört seit langem zur Spezialität  der amerikanischen (und
israelischen) Aussenpolitik und ist neu ein besonderes Markenzeichen der
Bush Administration, für welche die UNO gar nicht existiert - siehe
Golfkrieg, Iran- und Israelpolitik. Für Grüne, die sich als Vorreiter des
Völkerrechts verstehen, kann dies nicht Massgabe sein.  

- Die Unabhängigkeitserklärung wäre nie erfolgt, wäre die Regierung Thaci
von den USA nicht auf Grund eigener strategischer Interessen - und später
einem Teil der EU - Sarkozy war anfänglich zurückhaltend, nun hat er
endgültig mit der gaullistischen Tradition Frankreichs gebrochen - geradezu
zu diesem Schritt gedrängt worden. Dass die Schweiz in diesem unrühmlichen
Spiel mit mischelte, ist ein Kapitel für sich.

- Von einer europäischen Dimension zu sprechen, ist unpräzis und evoziert
falsche historische Voraussetzungen. Im Kosovo kumulieren gegen Russland
gerichtete handfeste amerikanische Militär- und Oelinteressen: Gas- und
Oel-Pipeline vom kaspischen Meer in das Mittelmeer, neuer Militärstützpunkt
mit 6'000 GI's. 

- Das Selbstbestimmungsrecht war für die USA bislang ohnehin noch nie
massgeblicher Faktor ihrer Aussenpolitik, rekurrieren sie darauf, dient dies
einzig der Kaschierung eigener Hegemonialpolitik. Europa seinerseits
bekundet heute aus eigenen Sicherheits- und Rohstofinteressen keinerlei
Interesse an alter und vor allem an neuer Militärpräsenz der Amerikaner in
Europa. Diese richtet sich gegen die neuen Realitäten der Gewichte der
Weltpolitik bezüglich der Aufteilung der Ressourcen und zielt auf die
weitestmögliche Ausschaltung Russlands und indirekt auch Chinas in der
Rohstoffpolitik. Die amerikanische Kosovo Politik ist diesbezüglich mit
ihrer Iranpolitik identisch. 

- Es war nota bene auch nicht die EU, die die USA zum Sonderstatus im Kosovo
eingeladen hätte. Von einer europäischen Zukunftsperspektive in
Ex-Jugoslawien zu sprechen, tönt zwar gut, verkennt aber die Entwicklung
seit 1990. Das postjugoslawische Staatengebilde kann bei bestem Willen nicht
als positiver Ausfluss einer Friedenspolitik der EU charakterisiert werden.
Die Zerschlagung Jugoslawiens zielte auf die Zerschlagung eines
multiethnischen Staates, wofür endogene, hauptsächlich aber eben auch
exogene Konstellationen massgeblich waren.

- Deutschland und alsbald die damalige EU, waren an der Zerstückelung
Jugoslawiens, für die es keinen Grund gab, schon gar nicht einen
europäischen, von allem Anfang an beteiligt. Vorerst schien es, als ginge es
um eine neue Grenzziehung Europas entlang der Grenze der Drina, mithin eine
Ausgrenzung des christlich orthodoxen Teiles entlang der ehemaligen Grenzen
Oesterreich- Ungarns - die Brücke von Ivo Andric lesen. Die von Deutschland
erzwungene vorschnelle Anerkennung Kroatiens und Sloweniens setzten ein
falsches Fanal, eigne wirtschaftliche Interessen waren fraglos mit im Spiel.
Fast machte es zudem den Anschein, als sei Deutschland wieder in die
Position weiland Bismarck's zurückgefallen. Die neuen antiserbischen Töne
glichen sich fast wörtlich an jene der Bismarck Zeit an. 

- Damit verband sich das Interesse der USA, die Einflusssphäre Russlands zu
schwächen. Der Kosovo war an der Seite Kroatiens, des Hauptfeindes der
Serben, was sich auf Grund der eigenen Unterdrückungssituation, die niemand
leugnet, wiederum von selbst verstand. Die amerikanischen Sonderinteressen
eines neuen möglichen Stützpunktes in geopolitisch zentraler Lage kamen
zusätzlich hinzu.   

- Natürlich entwickelte sich eine Eigendynamik, bei der die serbische
Politik zum Debakel wesentlich mit beitrug, sie kann indes nicht als haupt-
oder gar alleinschuldig angesehen werden. Nachdem die Schranken gefallen
waren, war jede "Volksgruppe" auf ethnische Säuberung des von ihr
reklamierten Territoriums aus, die christlich orthodoxen Serben, die
katholischen Kroaten und die muslimischen Bosnier, nun auch die muslimischen
Kosovo Albaner (s.u.). 

- Dass das damals nicht gesehen wurde, erscheint auf Grund des Jubels nach
dem Fall der Mauer als noch einigermassen verständlich, es heute einfach
auszublenden, macht eine Analyse im mindesten unvollständig. Richtig ist:
die Geschichte darüber ist noch nicht geschrieben - was umso mehr zur
Vorsicht gegenüber Einseitigkeiten mahnt. Aber es mehren sich gewichtige
Stimmen der Kritik am blinden Vorgehen Deutschlands und der EU - zum
Beispiel jene Helmuth Schmidts.

- Deshalb ist es aus zwei Gründen falsch, die europäische
Zukunftsperspektive, die durch die Unabhängigkeit des Kosovo's forciert
würde, in den Vordergrund zu stellen. Zum einen, weil der Kosovo vornehmlich
eine nicht auf europäische Interessen ausgerichtetes "US-Protektorat" ist
und weiterhin sein wird. Zum anderen, weil die EU bislang keine glaubwürdige
Perspektive für alle Länder Ex Jugoslawiens entwickelt hat.  


- Zudem: die Spanier wissen, warum sie gegen die sofortige Anerkennung sind,
obgleich die EU nie die Unabhängigkeit Katalaniens oder des Baskenlandes
gegen Spanien anerkennen würde. Das gleiche gilt für Nordirland. Die EU
verfügt bezüglich einseitiger Unabhängigkeitswünschen mithin über überhaupt
keine einheitliche Strategie. 

- Die Anerkennung des Kosovo's erfolgt heute nur, weil die EU gegenüber den
USA einmal mehr ins Hintertreffen geraten ist, und zu eigenständigen
Lösungen nicht fähig war. Nicht die EU hat den Gang der Entwicklung
diktiert, sondern die USA! Insofern ist es gerade nicht so, dass die
Europäer hier ihre eigene Situation klären, sie werden vielmehr zu
"Geklärten". 

- Als Randnotiz:  Wer würde in der Schweiz eine einseitige
Unabhängkeitserklärung des Jura ohne Einbettung in ein Abkommen mit der
Eidgenossenschaft hinnehmen, obgleich objektiv die drei Voraussetzungen für
die Unabhängigkeit objektiv ebenfalls erfüllt wären. 

- Mit der Anerkennung des Kosovo als unabhängiger Staat werden früher oder
später alle nicht albanischen Minderheiten de facto vertrieben. Die
Staatsgründung basiert mithin de facto auf ethnischer Säuberung, um die zu
verhindern anfänglich der Westen in den Krieg zog - in der Essenz sind sie
nun fast durchgängig verwirklicht, pikanterweise ist heute Serbien (ohne
Kosovo) der Staat mit den meisten ethnischen Minderheiten.  

- Den gegenteiligen Beweis hätten die jetzige kosovarische Regierung und die
Schutzmächte erbringen können und müssen. Ihr diesbezügliches Versagen ist
eklatant. Nun zu bekennen, sich für die Rechte der Minderheiten vehement
einzusetzen, ist bestenfalls gut gemeint, vorgebracht, weil natürlich dieser
Schwachpunkt von niemandem negiert werden kann. Die Realpolitik der
Beteiligten hat ihn aber negiert. Wer den Kosovo in seiner forcierten
Unabhängigkeit bestärkt, nimmt die Vertreibung in Kauf.

- Der Kosovo kann nicht einfach als originärer Sonderfall bezeichnet werden.
Wer dies vertritt, übernimmt einfach den historischen Standpunkt der Albaner
(des Kosovo), der sich - mindestens in dieser Einseitigkeit - kaum
historisch belegen lässt. Völkerrechtlich jedoch war und ist der Kosovo ein
Teil von Serbien. Jede Ethnie, die für sich die staatliche Unabhängigkeit
reklamiert, wird sich zur Legitimation als originären Sonderfall bezeichnen.


- Man kann mithin für oder gegen die Unabhängigkeit des Kosovo sein, aber
man kann nicht im Ernst sagen, die Situation präsentiere sich
völkerrechtlich anders als in Kurdistan, im Baskenland, im Jura oder in
Nordirland. Eine andere Qualität beschlägt das Recht auf einen eigenen Staat
Palästinas. Da geht es nicht um Sezession, sondern um die Beendigung der
Besatzung und die Rückkehrmachung der Massenvertreibung. Immerhin liegt seit
1967 die UNO Resolution 242 vor, weder die USA noch die EU haben sich
indessen bislang ernsthaft zum Handeln gemüssigt gesehen, was nur zeigt, wie
wenig berechtigt diese Staaten sind, sich auf universale Prinzipien zu
berufen.        

- Die Unabhängigkeit des Kosovo's wird früher oder später zur Realität
werden. Es besteht indessen kein Grund, deren einseitigen Forcierung gegen
das Völkerrecht zum Durchbruch zu verhelfen. Das gereichte Europa nicht zur
Stärkung, sondern brächte es in den unrühmlichen völkerrechtswidrigen Sog
der Amerikaner gegenüber dem Rest der Welt. Im jetzigen Jubel geht das
vielleicht unter. Alsbald werden aber die Töne kritischer. 

- Für die Schweiz, die bislang unter Bundesrätin Calmy-Rey in den letzten
zwei Jahren bezüglich Anerkennung eine unrühmliche Rolle gespielt hat, was
von Teilen unserer Fraktion auch öffentlich zum Ausdruck gebracht wurde,
besteht kein Grund zur Anerkennung in den nächsten Tagen. Die Lage der
Minderheiten hat sich nicht geändert, es gibt keinen völkerrechtlichen
Status. Schliesslich stellt sich aber auch die Frage: wie kann ein de facto
Protektorat unabhängig sein? Es ist an der zeit, dass die Schweiz ihre
diesbezügliche Politik überdenkt.

- Es müsste auch ausführlicher dargelegt werden, was die innenpolitischen
Gründe für eine sofortige Anerkennung wären. Ohnehin muss geklärt werden, ob
und wie die bisherigen Sonderbeziehungen der Schweiz im Kosovo
weiterbestehen sollen. Ich verweise auf die Ablehnung der Grünen einer
Weiterführung von Swisscoy - für die SP ist deren Fortsetzung gerade Teil
ihrer Anerkennungsstrategie, was unterschiedliche Ausgangspositionen
markiert!

- Natürlich gäbe es auch zum heutigen Gesicht des Kosovo, eine Mischung
zwischen amerikanischem Protektorat und hypermafiösen Strukturen,
zusätzliches zu sagen. Paradoxerweise ist es die DEA, die amerikanische
Drogenbehörde, welche den Kosovo als einer der weltweit grössten
Drogenumschlagplätze bezeichnet. Niemand soll mithin sagen, mit der
Unabhängigkeit des Kosovo entstehe in Ex Jugoslawien ein zukunftsträchtiger
Staat auf eigenwirtschaftlicher und rechtsstaatlicher Grundlage. 

ALS FAZIT BLEIBT: WER JETZT ANERKENNT, WIDERSETZT SICH DEM VOELKERRECHT, BEGEUNSTIGT DIE VERTREIBUNG VON MINDERHEITEN UND PROTEGIERT EIN PROTEKTORAT DER USA UND VON TEILEN DER EU. 

Seltsamerweise ist für einige die Moral auf der Seite des Kosovo. Was zeigt,
dass eben endlich das Völkerrecht und nicht die Moral vorrangig sein sollte.
Da sind wir wieder beim Streit Luhmann - Habermas.

Daniel Vischer, 23.2.08

(Quelle: Kaspar Truempy)


=== 3 ===


SwissInfo
February 24, 2008

Thousands rally against Kosovo independence

Several thousand Serbs rallied outside the Geneva
headquarters of the United Nations on Sunday to
protest against independence for Kosovo.

Police put the number of demonstrators at between
3,500 and 4,000, while organisers spoke of 8,000.

The demonstrators waved Serbian flags and placards,
and listened to speeches and music.

A smaller demonstration took place in Zurich on
Saturday.

Serbia's ambassador to Switzerland has warned
Switzerland of the consequences of recognising Kosovo.

"Switzerland would put its traditional good relations
with Serbia at risk," if it decided to recognise the
independence of Kosovo, ambassador Dragan Marsicanin
told the newspaper Sonntag. 

He said such recognition would undermine the "basic
principles of Swiss foreign policy, namely neutrality
and respect for international law".

The Swiss government is expected to take a decision on
the matter in the coming weeks.


=== 4 ===


XINHUA (CHINA)

Serbia recalls envoy to Switzerland in reaction to Kosovo recognition

2008-02-28 05:55:06

GENEVA, Feb. 27 (Xinhua) -- Serbia on Wednesday
recalled its ambassador to Switzerland in an immediate
reaction to the country's recognition of Kosovo
independence.

Belgrade's move was taken shortly after the Swiss
government announced its decision to recognize the
breakaway Serbian province as an independent country
and to establish diplomatic relations with it, the
official Swissinfo news website reported.

The Serbian embassy in Bern said the ambassador
recall was only a "first measure."

"Others will follow. The government of Serbia
still has to decide on this issue," embassy counselor
Bozidar Jovanovic was quoted by Swissinfo as saying.

The diplomat noted that Belgrade had recalled its
envoys from all those countries that had recognized
the independence of Kosovo.

In a statement, the embassy said the "unilateral
recognition" of Kosovo's independence was "an attack"
against the sovereignty and integrity of Serbia.

It added that the consequences could be
far-reaching for the stability of the region and for
Europe.




Kosovo: la posizione del teorico nonviolento Galtung

1) Il crimine contro i serbi: l’indipendenza del Kosova (febbraio 2008)

2) LA PROPOSTA DI AHTISAARI PER IL KOSOVO: INGIUSTA E DI OSTACOLO ALLA PACE (maggio 2007)


Rammentiamo che i documenti distribuiti attraverso JUGOINFO non rispecchiano necessariamente le posizioni ufficiali o condivise da tutto il CNJ, ma vengono fatti circolare per il loro contenuto informativo al solo scopo di segnalazione e commento.


=== 1 ===

Il crimine contro i serbi: l’indipendenza del Kosova

Johan Galtung

originale: "The Crime against the Serbs: Kosova Independence", 20 febbraio 2008
Traduzione di Miky Lanza per il Centro Studi Sereno Regis 


Che gli USA fossero i primi a riconoscere questo stato SEPARATISTA c’era da aspettarselo. Da un paese privo di comprensione storica ma pieno di solido egocentrismo da oleodotti, con una base militare enorme, Camp Bondsteel, a Urosevac presso Pristina, come parte dell’accerchiamento di Russia e Cina, così militarista da non poter sostenere la nonviolenza di Rugova ma da dover armare il corpo paramilitare UCK (ELK, Esercito di Liberazione del Kosova) e muovere una guerra illegale alla Serbia nel 1999 usando a questo scopo la loro NATO per far valere la violenza come argomento ultimativo. – tutto questo, di nuovo, era da aspettarselo. E un impero in declino diventa anche più violento e stupido. Il suo presidente attuale fa la sua parte, resta da vedere cosa succederà ancora.
Ma che gran parte dell’UE e qualcun altro stravolgessero il diritto internazionale, aggirando le Nazioni Unite con trucchi escogitati da un ex-presidente finlandese e un primo ministro svedese era inaspettato, non necessario e privo di intelligenza. Ci toccherà convivere per generazioni, per secoli, con il problema così creato. Perché?
Perché lo hanno già fatto. Uno stato diventa membro della comunità internazionale non con il riconoscimento USA – sebbene qualcuno lo preferirebbe – né dell’Assemblea Generale ONU, bensì del Consiglio di Sicurezza ONU. L’Assemblea Generale adottò il piano di divisione della Palestina in una parte araba e una ebraica; Israele dichiarò l’indipendenza, scacciò 710.000 palestinesi – la Nakba, l’orrore – vinse la guerra contro gli stati arabi, ottenendo così un riconoscimento di fatto, grossolanamente sostenuto dalla cattiva coscienza europea e dal desiderio anti-semita di esportare “il problema ebraico” dall’Europa al Medio Oriente.
Allora, che altro hanno in comune Kosova e Israele? Parecchio. L’Europa ospita una cristianità divisa da una pesante dialettica fra le tre confessioni cristiane, con ebraismo e islamismo lasciati al margine. Lo scisma fra cattolici e ortodossi avvenne nel 1054 (con papa Leone IX), come riflesso della divisione dell’Impero Romano nel 395; l’opposizione cattolicesimo- islamismo si verificò nel 1095 con la dichiarazione delle Crociate (papa Urbano II) contro i musulmani, e uccidendo altresì ortodossi (serbi) ed ebrei strada facendo; la divisione fra cattolicesimo e cinque protestantesimi culminò nel 1517 (Martin Lutero); il fronte permanente contro gli ebrei culminò durante la seconda guerra mondiale, a partire da un centro nella Germania nazista al quale si unì gran parte dell’Europa. Un brutto continente.
Le crociate “liberarono” Gerusalemme nel 1099, non per condividerla con gli ebrei fuggiti dopo la distruzione del Tempio nel 70, ma come meta per uno dei due loro più sacri pellegrinaggi (insieme a Santiago de Compostela). Gli israeliani “liberarono” Gerusalemme nel 1967, non per condividerla con i musulmani delle sue parti occidentale e orientale dove si trova la terza moschea più importante (dopo Mecca e Medina), ma per se stessi. E gli albanesi “liberarono” il Kosova non per condividerlo con i serbi ma per se stessi.
Così gli ebrei persero Gerusalemme, i musulmani persero Gerusalemme, e i serbi persero la loro Gerusalemme, i luoghi sacri culla della propria nazione, in Kosovo. E gli ebrei dissero “l’anno prossimo a Gerusalemme”, e i musulmani – non solo i palestinesi – continuano a combattere per la loro Gerusalemme, e i serbi continueranno per la propria, in Kosovo – con la o, non la a all’albanese. Per quanto? Finché vi ritorneranno, per generazioni, per secoli.
Impossessatevi di un territorio qualsiasi e forse ve la caverete. Impossessatevi di un’area sacra e seminerete una ribellione profonda che vi può travolgere. 
Continuiamo a vedere la replica dello scisma del 1054, perfino entro l’ UE. Si risveglia l’Arco Ortodosso, da Mosca-Minsk attraverso mezza Ucraina via Romania-Bulgaria e Serbia, girando a sud attraverso parti di Montenegro-Macedonia, sin giù a Grecia-Cipro, tutti quanti in crescente protesta (con la Spagna che si unisce loro per sue ragioni specifiche). E c’è ben di più in arrivo: se Israele e il Kosova, pur strappando il cuore di altre nazioni, se la cavano sfidando il diritto internazionale, allora altri, pur senza osare calpestare la terra sacra altrui ma con la prospettiva di uno o due veti, si stanno già facendo avanti.
Non che il diritto internazionale sia perfetto. Il veto, sia esso esercitato da Russia e Cina per proteggere la Serbia o dagli USA (34 volte) per proteggere Israele, o da qualunque degli altri “grandi” ivi comprese le piuttosto modeste Gran Bretagna e Francia, è una vergogna. Ma non è per questo che sovvertono il diritto. Il veto è, al momento, legge internazionale, ma nel caso del Kosovo quello non è il loro veto.
L’illegittima paralizzazione dell’ONU da parte USA-UE non rende illegittima l’indipendenza del Kosova, in quanto espressione di auto-determinazione. Ma ci può essere una via d’uscita, per quanto problematica: indipendenza di un Kosova federale, con amplissima autonomia per, grosso modo, tre cantoni serbi, una parziale autonomia per altre nazionalità, prevalentemente per gli albanesi; il tutto inserito in una confederazione ampliabile di Serbia e Kosova; con libero flusso di persone, idee e prodotti ovunque.
Oggi la Serbia respinge l’indipendenza e gli albanesi la federazione. Dopodomani, dopo varie sessioni negoziali, essi potrebbero considerare qualcosa del genere come un male di gran lunga minore.
Ma questa non era la strada percorribile da paesi con grossi interessi, che pensano che il potere sia diritto. Vergogna per loro!


=== 2 ===

LA PROPOSTA DI AHTISAARI PER IL KOSOVO:

INGIUSTA E DI OSTACOLO ALLA PACE

Di Johan Galtung – Hakan Wiberg – Jan Oberg


Sin dal mese di febbraio (2007) questo articolo è stato diffuso a parecchi quotidiani ma è stato stampato solo dallo svedese Aftonbladet e dal danese Jyllands Posten

E’ stato proposto a ciascuno dei seguenti giornali che o non hanno risposto – per la maggior parte – o hanno declinato la proposta: The Guardian (Interventi liberi e servizi speciali), the Wall Street Journal (quale risposta a una lettera a favore dell’indipendenza del Kosovo), The Sunday Teleghaph, The Washington Post, New York Times, International Herald Tribune, Politiken e Berlingske Tidende (Danimarca), Dagens Nyheter (Svezia).

Quale pensate possa essere la ragione per la quale nessuno di questi giornali, che si sono distinti per la loro indipendenza, ha mostrato il minimo interesse per esso?

a)     E’ scritto male.

b)    Gli autori non sanno quello di cui parlano.

c)     Gli autori pensano ci siano altre soluzioni oltre a quella suggerita da potenti governi occidentali, inclusi quelli che hanno bombardato la Serbia e il Kosovo nel 1999.

d)    Gli editori dei giornali non pensano che il problema del Kosovo sia o possa diventare rilevante.

e)     L’articolo critica la copertura data dai media a questo conflitto.

f)     Gli editori sono sovraccaricati di proposte e leggono solo alcuni degli articoli che vengono loro proposti, spesso quelli di persone in vista, potenti e conosciute.

g)     Se questo punto di vista iniziasse a diffondersi, le persone potrebbero iniziare a chiedere se il bombardamento della Nato sia stata la cosa giusta da fare.

h)    Tutti sanno che il caso del Kosovo è unico nella politica mondiale. Non ci sono alternative alla sua indipendenza e, così, non c’è nulla che meriti realmente di essere discusso.

i)      Non viene detto nulla che non sia già stato detto in migliaia di articoli sul Kosovo.

j)      Altre ragioni?

Noi accogliamo volentieri il vostro punto di vista, non solo a proposito dell’articolo ma anche su come pensate che i media si occupino di conflitto, guerra e pace.

 

11 maggio 2007

Il mondo occidentale ha una stampa libera, e una stampa libera può presentare diversi punti di vista. Perché allora la storia del Kosovo è stata è stata rappresentata così uniformemente negli ultimi  15 anni? E perché la proposta di mediazione di Martti Ahtisaari per lo status futuro del Kosovo – e la copertura mediatica data ad essa – è così parziale e non obiettiva?

Un resoconto imparziale dovrebbe includere la prospettiva dei Serbi, dei Rom e delle altre minoranze presenti in Kososvo, non soltanto quella della maggioranza albanese.

E’ certamente vero che la Serbia, sotto Milosevic, represse duramene gli Albanesi del Kosovo. L’altro lato della medaglia è che questi (gli Albanesi del Kosovo – ndt) furono estremamente propensi a una visione nazionalista e secessionista sin dalla loro collaborazione con Mussolini. Quando, nel 1974, Tito diede loro probabilmente la maggiore autonomia di cui qualsiasi minoranza abbia goduto, essa fu vista da molti Serbi come una politica anti – serba, poiché ricompensava la ribellione (degli Albanesi - ndt) avvenuta lo stesso anno. Inoltre, è certamente nobile prendersi cura dei diritti delle minoranze ma la comunità internazionale non si è mai interessata allo stesso modo di analoghe repressioni sui civili serbi in Croazia, Bosnia e Kosovo.

E’ indubbiamente vero che la Serbia ha avuto un potere militarizzato e poliziesco. Ma i resoconti costantemente omettono che la piuttosto riuscita lotta nonviolenta degli Albanesi del Kosovo fu annientata da USA e Germania quando, dal 1993, essi hanno clandestinamente cominciato ad armare gli estremisti albanesi del Kosovo e creato l’UCK (Ushtria Clirimtare E Kosoves o anche KLA – Kosovo Liberation Army), alle spalle del leader del movimento nonviolento Ibrahim Rugova.

E’ sicuramente ragionevole che i governanti serbi debbano essere processati come possibili criminali di guerra. Ma i resoconti costantemente omettono che l’attuale Primo Ministro del Kosovo, Agim Ceku, fu il comandante dell’esercito Croato durante l’operazione della Sacca di Medak nel 1993, dove ogni essere umano vivente e ogni animale fu ucciso; che come tale egli partecipò  alle operazioni con le quali 200.000 cittadini Serbi della Croazia furono scacciati nel 1995.

Ceku fu un leader dell’UCK e la Nato non ha disarmato l’UCK. Il mondo ha voltato i già ciechi occhi da un’altra parte quando 200.000 serbi del Kosovo sono stati espulsi; poi l’UCK provocò una situazione di violenza nel Sud della Serbia e la guerra in Macedonia.

E’ indubbiamente vero che qualcosa come 800.000 Albanesi fuggirono dal Kosovo nel 1999. Essi lo fecero perché a) imperversava la guerra tra le truppe serbe e quelle dell’UCK con i suoi 20.000 ben armati combattenti; b) le armate serbe li mandarono via;  C) le bombe della Nato caddero per 78 giorni. La prova che supportava le argomentazioni di Bill Clinton a giustificazione dei bombardamenti – che Milosevic avesse un piano, simile a quelli di Hitler, per espellere 1,5 milioni di Albanesi, non è mai stata prodotta. La maggior parte dei media amplificarono questa manipolazione psicologica in favore della guerra.

Gli albanesi del Kosovo sono tornati indietro. I serbi no. Così per l’Europa il problema maggiore rispetto ai rifugiati è con la Serbia. E’ un fiasco di proporzioni himalaiane e una sconfitta morale per le Nazioni unite, l’Unione Europea, la Nato e l’Osce – gli attuali governatori del Kosovo – che essi abbiano fallito nel creare le condizioni  per consentire il giusto ritorno dei Serbi, dei Rom  e delle altre minoranze.

E’ sicuramente vero che gli albanesi del Kosovo hanno sofferto. Ma sostenere che questa sofferenza significa a) che la Serbia ha perso la sua sovranità sulla provincia per sempre (una sovranità sottolineata nella Risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite) e b) che il Kosovo deve quindi divenire il secondo stato Albanese indipendente in Europa è di una eccezionalità pericolosa. Che cosa si deve dire allora  a proposito della sofferenza in Tibet, Cecenia, Kurdistan, Palestina, Abkhazia, Ossezia del Sud, Tamil Eelam, nella provincia basca, nell’Irlanda del Nord, nella parte Nord di Cipro, o in Serbia?

Sono tutti destinati a divenire indipendenti passando attraverso i bombardamenti della Nato e la successiva “magica” mediazione di Ahtisaari?

E’ particolarmente bizzarro il caso della Serbia. Nel 2000 i cittadini della Serbia multietnica deposero in modo nonviolento Milosevic, il loro leader durante la guerra. Croati, Musulmani e Albanesi ancora celebrano i loro. Gli attuali leader del Kosovo erano i leader durante la guerra, e noi dobbiamo essere assolutamente sicuri che essi non siano né criminali di guerra  né mafiosi prima di premiarli con uno stato indipendente.

La proposta di Athisaari è stata commissionata da poteri politici privi di capacità professionali di mediazione e di risoluzione dei conflitti. E’ il risultato di lungo periodo di alcuni fatti: che la comunità internazionale non ha mai compreso la complessità della Yugoslavia, che non ha facilitato una soluzione negoziata nei primi anni ’90, quando una soluzione era possibile, che non ha mai utilizzato gli stessi principi per risolvere gli stessi problemi e che ha creduto che la pace potesse emergere ignorando una delle parti in conflitto, bombardando un territorio conteso in modo inaudito ed occupandolo.

Gli avvocati dell’indipendenza del Kosovo avrebbero dovuto usare creatività ed empatia.

Immaginare che Athisaari potesse offrire alla Serbia cose come una compensazione economica per i bombardamenti e le sanzioni patite, un pagamento per poter accettare un Kosovo al di fuori del patrimonio della Serbia, affittato per dare spazio alla gigantesca base americana Bondsteel e con pattuglie di confine serbo – albanesi.

Immaginare che egli potesse suggerire delle negoziazioni circa l’autonomia interna del Kosovo rispetto alle altre regioni della Serbia più a nord, e aperto una via veloce di adesione della Serbia e del Kosovo alla UE.

Immaginare che egli negasse ai leader di guerra oggi presenti in Kosovo l’enorme nuovo esercito che essi vogliono; che destabilizzerà la regione e minaccerà la Serbia e gli altri paesi confinanti.

Prima di incolpare i Serbi e la Serbia per le proteste per il piano di Anthisaari e della politica occidentale, trovate uno stato sovrano i cui leader del tempo di pace non protesterebbero per tale arroganza. Il piano di Anthisaari è ingiusto, non intellettualmente accettabile e non praticabile. In quanto strumento al servizio degli interessi di una miope politica occidentale, esso creerà instabilità, miseria e, molto facilmente, violenza.

 

Gli autori sono soci Transnational  Foundation for Peace and Future Research, TFF, in Svezia.  www.transnational.org.  Ognuno di essi ha seguito gli sviluppi, e periodicamente operato nei conflitti nella ex Yugoslavia per più di 30 anni.

 



ONE IN 100 / UNO SU CENTO

Behind Bars in America 2008

L'ultimo rapporto del 'Pew's Center on the States' afferma che, per
la prima volta nella storia, più di un adulto ogni 100, negli Stati
Uniti, è adesso in prigione

http://www.pewcenteronthestates.org/report_detail.aspx?id=35904

"A new report by Pew's Public Safety Performance Project details how,
for the first time in history, more than one in every 100 adults
in America are in jail or prison—a fact that significantly impacts
state budgets without delivering a clear return on public safety..."

(segnalazione: DK)


www.resistenze.org - pensiero resistente - imperialismo e globalizzazione - 22-02-08 - n. 216

L’allargamento dell’Europa ai Paesi dell’Est
 
di Cristina Carpinelli - Cespi

 


L’allargamento:

 

L’Unione europea comprende attualmente 27 Stati membri. Dall’Europa a sei (con il Belgio, la Francia, la Germania, l’Italia, il Lussemburgo e i Paesi Bassi) sorta nel dopoguerra, 21 nuovi paesi hanno aderito all’Unione, e cioè: Danimarca, Irlanda e Regno Unito (1973); Grecia (1981); Spagna e Portogallo (1986); Austria, Finlandia e Svezia (1995); Cipro, Malta, Estonia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia[1], Slovenia, Bulgaria e Romania (2004-2007).

 

La Macedonia, la Croazia e la Turchia hanno lo status di paesi candidati[2]. I paesi dei Balcani occidentali attualmente impegnati nel processo di stabilizzazione e di associazione hanno lo status di candidati potenziali. Oltre alla Macedonia e alla Croazia, che sono già paesi candidati, si tratta di Albania, Bosnia Erzegovina, Montenegro e Serbia (compreso Kosovo) come definito dalla risoluzione n. 1244 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Le recenti elezioni in Serbia, che hanno visto l’affermazione del presidente uscente moderato ed europeista Boris Tadic sul candidato nazionalista del partito radicale serbo Tomislav Nikolic, confermano la strada scelta dalla Serbia in direzione dell’UE, tenendo comunque in dovuto conto che il successo di Tadic su Nikolic è una “vittoria di misura” (con il 50,6% di preferenze per Tadic contro il 47,7% di preferenze per l’avversario Nikolic)[3], e che la recente dichiarazione d’indipendenza del Kosovo modifica il quadro dei rapporti tra UE e Serbia, dato che il neo-eletto presidente ha affermato che non intende rinunciare all’integrità territoriale della Serbia.

 

I cittadini, che fanno parte dell’Unione europea sono a tutt’oggi 450 milioni, di cui 75 milioni sono costituiti dagli ultimi ingressi (2004-2007). Un’entità maggiore se comparata a quella degli Usa, che contano attualmente circa 303 milioni di abitanti.

 

La fase di pre-adesione:
 
Dalla contrapposizione tra UE e paesi aderenti al COMECON (Urss compresa) si perviene alla Dichiarazione di Lussemburgo (25 giugno 1988), che apre la strada alla prime relazioni diplomatiche formali tra UE e paesi del COMECON, presupposto della nascita dei primi Accordi detti di “prima generazione” di natura solo commerciale.

 

Dopo la caduta del muro di Berlino, questi Accordi sono stati sostituiti dagli Accordi commerciali e di cooperazione detti di “seconda generazione”. Scopo di questi ultimi non è soltanto quello di favorire le relazioni commerciali con i paesi dell’Europa centro-orientale (Peco), ma anche quello di aiutare questi paesi a trasformare le loro economie da pianificate (o di piano) ad economie di libero mercato. Noto è il “Programma di aiuto alla ricostruzione economica” (Phare - Poland and Hungary: Action for the restructuring of the economy), che è stato il principale strumento di aiuto a favore dei Peco. Avviato nel 1989 per sostenere la ricostruzione delle economie della Polonia e dell’Ungheria, è stato progressivamente esteso all’insieme dei paesi dell’Europa centrale e orientale. Nel 1994 questo programma è stato assorbito dentro gli Accordi Europei ed è diventato uno strumento fondamentale di preadesione. Da allora esso ha inteso sostenere principalmente i paesi candidati nel processo di adozione e di applicazione dell’“acquis” comunitario e prepararli alla gestione dei fondi strutturali. In questa prospettiva si era concentrato su tre priorità:

 

§                     consolidamento delle strutture istituzionali e amministrative (“institutional building”);
§                      
§                     passaggio da un sistema amministrativo di tipo burocratico-accentrato ad uno decentrato tipico della costruzione comunitaria[4];
§                      
§                     finanziamento degli investimenti.
§                      
Dal 1994 le missioni di Phare sono state, quindi, adeguate alle priorità e alle esigenze di ciascun paese candidato. Il Phare è stato completato nel 2000 (con Agenda 2000) dal programma ISPA (Instrument for Structural Policies for pre-Accession) relativo all’ambiente e ai trasporti e dal programma SAPARD (Special Program of Pre-Accession for Agriculture and Rural Development) relativo al settore agricolo.

 

Gli Accordi commerciali e di cooperazione sono stati nel tempo sostituiti dagli Accordi di associazione, che erano composti da una parte commerciale (istituzione di zone di libero scambio tra la Comunità e i paesi associati) e da una parte giuridica (avvicinamento delle legislazioni), e che avevano come obiettivo finale l’ingresso di ognuno degli Stati associati nell’Unione Europa. Successivamente questi Accordi sono stati trasformati in Accordi di associazione rafforzati o Accordi europei, che a differenza dei primi avevano anche come obiettivo la creazione degli organi preposti a seguire l’attuazione dei Trattati di associazione per il raggiungimento dell’obiettivo finale: l’ingresso di ognuno degli Stati associati nell’Unione Europa. Ecco perché gli Accordi europei si possono definire veri e propri strumenti di preadesione. I Peco, che intendevano aderire all’UE, dovevano prima ancora aderire agli Accordi europei. In questi ultimi erano già poste le basi fondamentali per l’ingresso in Europa: a) liberalizzazione degli scambi (attraverso forme di unione doganale che consentissero la libera circolazione di beni, capitali, servizi e persone); b) forme di cooperazione economica e finanziaria finalizzate all’impiego di tutti gli strumenti funzionali alla ristrutturazione dei singoli paesi verso un’economia di mercato; c) sviluppo del dialogo politico mirato a far convergere le posizioni dei vari paesi nel campo della politica estera e della sicurezza comune europea.

 

            Un ulteriore passo verso l’ampliamento si è realizzato con il Consiglio europeo di Copenaghen (21/22 giugno 1993), che ha definito i criteri imprescindibili che ogni Stato candidato all’adesione avrebbe dovuto soddisfare[5]:

 

§                     il criterio politico: la presenza di istituzioni stabili tali da garantire la democrazia, lo stato di diritto, i diritti dell’uomo, il rispetto delle minoranze e la loro tutela;
§                      
§                     il criterio economico: l’esistenza di un’economia di mercato affidabile e la capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale all’interno dell’Unione;
§                      
§                     il criterio dell’“acquis comunitario”[6]: l’attitudine necessaria per accettare gli obblighi derivanti dall’adesione e, segnatamente, gli obiettivi dell’unione politica, economica e monetaria. In sostanza, una piattaforma comune dei diritti e degli obblighi che vincolano l’insieme degli Stati membri nel contesto dell’Unione europea. Ciò ha significato per i Peco l’assunzione di una quantità enorme di atti legislativi da immettere nel proprio ordinamento giuridico per il recepimento dell’“acquis”.
§                      
Nello stesso anno (1993) è entrato in vigore il Trattato di Maastrich, che ha definito tempi, criteri e istituzioni per la creazione della moneta unica europea, e che ha introdotto i tre pilastri dell’Unione Europea:

 

§                     la “Comunità Europea”, che riunisce tutti i trattati precedenti (CECA - Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, EURATOM - Comunità Europea dell’Energia Atomica e CEE - Comunità Economica Europea);
§                      
§                     la Politica estera e di sicurezza comune (PESC), che comprende la Politica estera di sicurezza e difesa (PESD);
§                      
§                     la Cooperazione nei settori della Giustizia e Affari interni (GAI)[7].
§                      
Forte impatto psicologico ha rappresentato l’introduzione della Cittadinanza dell’Unione Europea.

 

Tutto quanto detto ha preceduto la fase del vero e proprio negoziato tra l’UE e i Paesi candidati all’adesione avviatosi dal 1998 e conclusosi nel dicembre 2002 in occasione del Consiglio europeo di Copenaghen, durante il quale è stato stabilito che i Peco (compresi Malta e Cipro) sarebbero entrati nell’UE il 1 maggio 2004:

 

“(...) 3. Il Consiglio europeo svoltosi a Copenaghen nel 1993 ha avviato un processo ambizioso per superare l’eredità del conflitto e della divisione in Europa. La giornata odierna rappresenta una pietra miliare storica e senza precedenti del completamento di tale processo con la conclusione dei negoziati di adesione con Cipro, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica slovacca e Slovenia. L’Unione si rallegra ora di accogliere questi Stati quali membri a decorrere dal 1º maggio 2004. Questo risultato prova la determinazione comune dei popoli dell’Europa a confluire in un’Unione che è diventata la forza trainante per conseguire la pace, la democrazia, la stabilità e la prosperità nel nostro continente. In qualità di membri a pieno titolo di un’Unione fondata sulla solidarietà, questi Stati svolgeranno pienamente il loro ruolo nel dar forma all’ulteriore sviluppo del progetto europeo”[8].

 

Altre tappe importanti precedenti all’ingresso dei Peco e di Cipro e Malta nell’UE sono state: a) la firma nel febbraio 2003 del Trattato di Nizza (2001), con cui sono state individuate le modifiche necessarie per permettere alle istituzioni comunitarie di funzionare anche dopo l’ingresso di 12 nuove Nazioni (Peco, Cipro e Malta, Romania e Bulgaria); b) il referendum popolare d’approvazione del Trattato di adesione all’UE svoltosi nei paesi candidati tra marzo-settembre 2003[9]; c) la Convenzione europea del luglio 2003, che aveva il compito di proporre alla Conferenza intergovernativa (Cig)[10] del 2003-2004 le riforme necessarie per far funzionare l’UE dopo l’allargamento; d) la Conferenza intergovernativa dell’ottobre 2003 - giugno 2004, che ha ratificato i cambiamenti nella struttura istituzionale e giuridica dell’UE necessari per l’integrazione dei nuovi paesi candidati[11].

 

La fase dell’adesione:
 
Benché i dieci paesi (Peco, Cipro e Malta) avessero soddisfatto principalmente i criteri politici e non quelli economici si è arrivati alla scelta dell’accelerazione (del “big-bang”), cioè dell’ingresso simultaneo di quasi tutti i paesi candidati (esclusi Macedonia, Croazia e Turchia). Il 1 maggio 2004 i Peco, Malta e Cipro (greca) sono entrati in Europa.

 

Tra il 10 e il 13 giugno 2004, i 25 Paesi dell’UE hanno eletto i propri rappresentanti al Parlamento europeo. Il livello di astensionismo riscontrato nei nuovi Stati membri è stato elevato, sintomo di apatia e disaffezione accumulate negli anni della transizione. Non è poi così difficile individuarne le ragioni: la consapevolezza ormai ampia e vissuta di una situazione di disagio economico e sociale, d’incertezza sul futuro diffusa un po’ in tutti questi paesi; la convinzione che le politiche neoliberiste ovunque prevalenti ne sono responsabili. Infine una generale insofferenza rispetto alla mediocrità e all’arroganza del ceto politico che gestisce il potere alternandosi. Approfittando di questo appuntamento elettorale, gli abitanti dei Peco hanno espresso innanzi tutto un malcontento rispetto alle politiche dei governanti dei loro paesi, ma anche un certo euroscetticismo, dove sotto lo stesso termine si sono collocate forze diverse. Forze che intendevano difendere le prerogative nazionaliste (con forti accenti populisti e sciovinisti), e forze che dichiaravano il loro “no” nei confronti di un’Europa “thatcheriana”, considerata come una grande area di libero scambio controllata dalle multinazionali occidentali.

 

Certo, l’esito del referendum popolare d’approvazione del Trattato di adesione all’UE svoltosi in questi paesi tra marzo-settembre 2003 era andato complessivamente meglio. Aveva registrato una partecipazione al voto più alta. In Polonia, per il referendum votava il 58,5% dei cittadini, mentre per il parlamento europeo il 20,4%. In Slovacchia, la partecipazione al voto per il referendum era stata del 52,1% contro il 16,6% per il parlamento europeo. Riguardo all’ultimo esito elettorale, degli otto Peco solo la Lettonia aveva avuto una partecipazione sopra la media europea (48,2%), mentre la Slovacchiaraggiungeva la percentuale più bassa (16,6% degli aventi diritto)[12]. Nell’insieme, la partecipazione al voto dei Peco era stata del 26,4% contro una media europea del 45,5%. Va anche detto che la media europea si era nel corso degli anni abbassata: la partecipazione al voto nel 1979 era stata del 63%, riducendosi al 45,5% nel 2004.

 

Oltre alla bassa partecipazione al voto delle europee, in alcuni di questi paesi si sono rafforzati partiti e movimenti decisamente “euroscettici”. Emblematico è il caso della Polonia, dove il Partito dell’autodifesa polacca e la Lega cattolica delle famiglie polacche hanno raccolto molti consensi. L’anno dopo, nell’ottobre 2005, alle elezioni presidenziali (seguite alle elezioni politiche del settembre 2005) è stato eletto Lech Kaczynski. Iniziava l’era degli euroscettici e germanofobi gemelli Kaczynski (Jaroslaw Kaczynski era eletto primo ministro della Polonia il 14 luglio 2006) durata circa 2 anni[13]. Tuttavia, la vittoria nell’ottobre 2007 di Donald Tusk, leader del principale partito di opposizione, Piattaforma Civica, vicino al Partito popolare europeo di cui fa parte anche la cancelliera tedesca Angela Merkel, ha aperto una stagione nuova e più promettente nei rapporti tra la Polonia e l’UE. Per ragioni opposte, significativo è anche il caso della Repubblica Ceca, dove alle elezioni europee del 2004 il partito comunista ha ottenuto il 20,3% dei consensi. La grave situazione interna, determinata anche dalle politiche sollecitate dal FMI e dalla Banca Mondiale e adottate dai governi che si sono susseguiti, hanno favorito il Partito comunista ceco che si era decisamente schierato contro la destra liberista e filo-occidentale. Le elezioni del 2006 hanno visto il ridimensionamento del partito comunista (12,8% - pur rimanendo il terzo partito) e il rafforzamento di un’esasperata campagna interna anti-comunista e sciovinista che già da tempo dilagava in molti Peco. Il governo socialdemocratico di Jiri Paroubek, accusato di malavita e corruzione, lasciava il posto alla destra, cioè a Mirek Topolanek, leader dei Democratici Civici.

 

I Peco si considerano cittadini europei di seconda classe, temono di perdere la loro sovranità nazionale (acquisita dopo anni di subalternità) e di diventare colonie economiche dell’Occidente. Molti di loro si sentono più atlantisti che europeisti. I paesi Baltici a suo tempo avevano aderito alla proposta ventilata da Bush di costruire un “fronte unico in funzione antirussa”. La Nato dell’Est si è sviluppata molto rapidamente. Dalla prima espansione del 1999 - Polonia, Cechia, Ungheria - che ha provocato la forte reazione della Russia, a quelle del marzo 2004 - Estonia, Lettonia, Lituania, che hanno sbarrato la frontiera baltica; Slovacchia, che completava la chiusura dell’Europa centrale; Slovenia e soprattutto Bulgaria e Romania, che sigillavano la frontiera occidentale del Mar Nero, estendendone il controllo Nato dalla Georgia al delta del Danubio.

 

Il 29 ottobre 2004 in una solenne cerimonia a Roma è stato firmato il Trattato costituzionale dell’Unione Europea (abbozzato nella Cig 2003-2004). Contestualmente veniva stabilito che entro due anni tutti gli Stati membri avrebbero dovuto pronunciarsi (in forma diretta - referendaria; indiretta - parlamentare). Il Trattato è stato firmato anche dai paesi candidati: Bulgaria, Romania e Turchia. Parte integrante del Trattato era la “Carta dei diritti fondamentali dell’UE”, sottoscritta da Parlamento, Consiglio e Commissione e proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, che definiva un gruppo di diritti e di libertà di eccezionale rilevanza da garantire a tutti i cittadini dell’Unione. A questo evento sono seguite alcune ratifiche da parte di vari Stati membri.

 

Il 29 maggio 2005 il referendum francese ha detto “no” alla Costituzione Europea (54,87% di “no” contro il 45,13% di “sì”, con un’affluenza alle urne molto alta: 70%). Un colpo decisamente basso per l’Europa, soprattutto se si pensa che la Francia è uno dei paesi fondatori della Comunità europea, aggravato anche dall’esito del referendum olandese (1 giugno 2005) che, con il 61,6% di “no”, bocciava la Costituzione Europea. Si demandava, tuttavia, alla Conferenza intergovernativa di elaborare entro due anni il Testo definitivo del Trattato costituzionale.

 

Il 19 ottobre 2007 il Consiglio europeo informale di Lisbona ha adottato il testo definitivo del Trattato costituzionale, rielaborato nell’ambito di una conferenza intergovernativa, e il 13 dicembre 2007 i capi di Stato e di governo dei 27 Stati membri dell’Unione europea hanno firmato il Trattato di Lisbona, che sostituiva il Trattato costituzionale dell’UE.

 

Il 17 dicembre 2005 è stato approvato il bilancio comunitario 2007-2013 (precedentemente bocciato in giugno), che assegnava l’1,045% del Pil alle spese europee. In quel bilancio, l’impegno di spesa previsto per i fondi strutturali era destinato per il 47% ai Paesi UE-15, mentre per il 53% ai nuovi Stati membri. Questa scelta (la stessa Merkel, il cui ruolo di mediazione aveva consentito l’approvazione del bilancio, rinunciava alle spese previste per i Länder tedeschi) ha sollevato reazioni negative nei paesi dell’Ovest, che non hanno accettato di buon grado la disparità di spesa fra paesi dell’UE prevista dal bilancio comunitario. Per quanto riguarda i tedeschi, il loro ricordo correva ai tempi della riunificazione tedesca, quando i trasferimenti e gli investimenti verso la Germania orientale furono finanziati attraverso l’espansione del debito, facendo salire ad un livello vertiginoso il debito pubblico totale, risanato in parte con l’aumento del prelievo fiscale alle imprese ma soprattutto con i tagli alla spesa sociale.

 

Per quanto riguarda l’adozione dell’euro da parte dei nuovi paesi, i primi che hanno previsto la sua adozione sono stati Slovenia, Estonia e Lituania. Dal 1 gennaio 2007 la Slovenia ha adottato l’euro. Non l’Estonia e la Lituania, a causa dell’eccessiva inflazione, ma che prevedono, insieme con la Lettonia, di adottarlo il 1 gennaio 2010. Dal 1 gennaio 2008 anche Cipro e Malta hanno adottato l’euro. La Slovacchia potrebbe adottare la moneta unica nel 2009, mentre la Polonia nel 2011. Per Ungheria, Repubblica Ceca, Bulgaria e Romania l’adozione è prevista nel 2012-2014.

 

L’ingresso di Romania e Bulgaria:
 
I due paesi figuravano nell’elenco dei paesi candidati stilato a Lussemburgo nel 1997. Tuttavia, mentre gli altri Stati dell’Europa centro-orientale hanno fatto passi avanti tali da portarli dentro l’UE, la Bulgaria e la Romania presentavano un cammino più lento e difficile, dovuto in particolare alla loro critica situazione interna. Le carenze maggiori si sono avute nei settori dello sviluppo agricolo, delle infrastrutture di trasporto e ambientali e nelle politiche occupazionali, nonché nella coesione economico-sociale e nello sviluppo istituzionale connesso all’applicazione dell’“acquis” europeo. In particolare, per la Romania i problemi maggiori hanno riguardato l’adeguamento giuridico ed economico agli standard europei, soprattutto in materia d’imposizione fiscale, giustizia e affari interni. Per la Bulgaria si era rivelata molto critica la situazione del sistema giudiziario. Per queste ragioni è stata rinforzata l’assistenza finanziaria, con circa un 40% in più di stanziamenti nel 2006, per i programmi Phare[14], Ispa e Sapard[15]. Come previsto dal Trattato di adesione all’UE, firmato il 25 aprile 2005, il 1 gennaio 2007 Bulgaria e Romania sono entrate in Europa.

 

Da qui in avanti, tra i Peco saranno compresi anche questi due paesi, pur appartenendo quest’ultimi all’Europa sud-orientale.

 

Alcuni dilemmi dell’Unione Europea a 27:
 
L’allargamento dell’Unione, tradotto in cifre, ha portato, rispetto all’Unione a 15, solo ad un aumento del 5% del PIL comunitario, a fronte di un incremento del 30% della popolazione. Questo perché i nuovi Paesi Membri (NMs) hanno un reddito pro capite medio corrispondente al 47% di quello dell’Unione a 15, cioè meno della metà. La Slovenia rappresenta un caso a sé stante, avendo un Pil pro-capite pari all’82% della media UE-25[16].

 

Non va dimenticato che nel corso degli anni novanta, questi paesi hanno adottato i c.d. piani di aggiustamento strutturale del FMI e della Banca mondiale, le cui politiche di liberalizzazione dei prezzi (terapie-shock) hanno prodotto tassi iperinflativi, cui si è posto rimedio con ricette di stabilizzazione economica e monetaria (demonetizzazione, aumento del prelievo fiscale alle imprese di Stato e delle tasse, tagli alla spesa sociale ecc.), che hanno pesantemente contratto il mercato interno. Si è, inoltre, proceduto alla chiusura delle imprese statali e alla privatizzazione di ampi settori economici, in un momento in cui anche il welfare state subiva un notevole ridimensionamento. Ancora oggi, in Polonia, a seguito della distruzione dell’industria statale e della privatizzazione dell’agricoltura, la disoccupazione è di circa il 15% (è il paese con il più alto tasso di disoccupazione in Europa). Nei Peco più di dieci milioni di posti di lavoro sono andati persi negli anni novanta.

 

Per quanto riguarda la Politica agricola comune (PAC), l’estensione delle sue provvidenze alle agricolture dei nuovi Stati membri ha provocato un notevolissimo aggravio per il bilancio complessivo dell’UE[17]. Si è affermata, inoltre, la tendenza ad andare verso una modifica degli equilibri quantitativi della spesa agricola. I pagamenti diretti agli agricoltori e alla gestione del mercato agricolo non sono più prioritari rispetto a quelli finalizzati allo sviluppo rurale e all’ammodernamento delle aziende del settore. Tuttavia, quest’inversione di tendenza è avvenuta in un momento in cui gli effetti dello smantellamento o della riconversione delle aziende agricole da statali a private sui livelli di vita degli agricoltori e, più in generale, della popolazione agricola sono ancora evidenti. Occorre, inoltre, che siano effettivamente applicate le restrizioni temporanee all’acquisto da parte di investitori stranieri di terreni agricoli nei Peco (es: sino al 2014 in Polonia), così come stabilito nei negoziati finali di Copenhagen del 13 dicembre 2002[18].

 

Con l’allargamento sono aumentate le disparità all’interno dell’Unione. La constatazione di queste disparità ha obbligato l’Europa a rafforzare il ruolo dei fondi strutturali europei[19] e, più in generale, delle politiche di coesione. L’UE ha, quindi, deciso di destinare quantità sempre più consistenti del proprio bilancio ai fondi strutturali. Il livello del PIL dei nuovi Paesi membri ha drasticamente abbassato il valore medio del PIL europeo eleggibile ai fondi strutturali. In questo modo, molti paesi (o regioni) occidentali, che prima ricevevano i fondi strutturali, con l’ingresso dei Peco ne sono rimasti esclusi. Infine, la quota di Pil da destinare ai fondi strutturali è cresciuta, poiché sono aumentati i paesi o le regioni da sovvenzionare, anche se minori sono le somme disponibili per ogni paese. Questa situazione ha avuto ripercussioni negative sui paesi dell’UE-15, che avevano già espresso delle preoccupazioni prima ancora che l’Unione si allargasse. Secondo le inchieste ufficiali dell’Euro-barometro dell’Unione europea, la metà dei belgi temeva un rialzo della disoccupazione ed un contributo finanziario più elevato del loro paese (dunque del contribuente) determinato dall’ampliamento europeo.

 

Per il momento i maggiori importatori di beni e servizi sono i Peco, bisognosi come sono di beni d’investimento e di servizi finanziari. Le loro industrie sono infatti più deboli e meno concorrenziali di quelle occidentali. Con il risultato che il debito attuale dei Peco verso le banche europee e americane si aggira intorno ai 165 miliardi di dollari e che la loro bilancia commerciale non è in attivo. Al contrario, la bilancia commerciale dei paesi occidentali con i Peco registra anno dopo anno delle eccedenze. In sostanza, non è l’Europa che finanzia i nuovi paesi membri, ma sono questi che finanziano i paesi ricchi europei. Molte imprese italiane, in particolare del nord-est, hanno investito nei nuovi paesi membri, spostando segmenti della propria attività produttiva in quelle aree. Lo scambio commerciale complessivo dell’Italia con questi paesi ha visto un livello d’esportazioni che nel 2001 ha raggiunto la cifra di 14.476,7 milioni di euro a fronte di 8.587,9 milioni di euro d’importazioni dalla stessa area. Dopo la Germania, l’Italia è il principale esportatore verso i Peco. Per le multinazionali occidentali ciò costituisce un segnale positivo poiché - dicono - contribuisce a creare imprese e nuovi posti di lavoro. In realtà, le pratiche di delocalizzazione (le imprese occidentali hanno in questi anni trasferito o tutto il loro impianto produttivo oppure segmenti della loro filiera produttiva nei nuovi paesi, sfruttando l’occasione data da costi del lavoro competitivi) e di “outsourcing” (le imprese occidentali hanno esternalizzato alcune fasi del processo produttivo, ricorrendo ad altre imprese e/o servizi per il loro svolgimento) adottate dalle multinazionali hanno teso a calmierare la pressione salariale nei paesi occidentali, poiché la merce-lavoro è stata posta su un piano di forte concorrenza, inducendo in quest’ultimi paesi un certo appiattimento al ribasso dei salari dei lavoratori dipendenti, che vedono il proprio lavoro sempre più precario e mal retribuito o addirittura trasferito altrove. Un sondaggio d’opinione dell’Istituto tedesco “Forsa” ha rivelato che più della metà della popolazione tedesca (52%) ha giudicato l’allargamento dell’Europa come un danno. Tre quarti hanno, inoltre, temuto di vedere spostate le opportunità di lavoro verso l’Europa dell’Est. L’allargamento dell’UE ha consentito alle multinazionali e alle grandi imprese l’aumento del commercio, maggiori possibilità d’investimento e di accumulazione del capitale, ma i benefici sull’economia interna dei paesi dell’Europa occidentale è stata assai modesta. In più, sono aumentati i costi che i cittadini di questi paesi (in quanto contribuenti) hanno dovuto sostenere per l’UE (es: PAC, fondi strutturali, mercato del lavoro ecc).  

 

Interi settori delle imprese pubbliche industriali dei Peco sono stati acquistati dai concorrenti occidentali che li hanno chiusi o integrati nel loro gruppo. La banca francese Société Générale ha acquistato la più grande banca ceca, la Komerčni Banka, licenziando metà del personale (senza che gli 8mila dipendenti espulsi scioperassero un solo minuto). La Polonia ha venduto nel 2000, privatizzandola, la Telecom nazionale (Telekomunikacja Polska) alla France Telecom (2000) e nel 2004 la sua banca più grande (PKO BP) ha emesso il 30% delle azioni sul mercato. I maggiori investimenti diretti esteri (occidentali) si sono concentrati laddove è richiesta manodopera a bassa qualifica e a basso costo (per esempio nel settore dell’assemblaggio delle automobili, nell’edilizia, nei trasporti e agricoltura), e dove non ci sono troppi vincoli riguardo al rispetto della clausola sociale (questi sono i settori dove nei paesi dell’Ovest è, a sua volta, concentrata la massima forza-lavoro immigrata clandestina). La Slovacchia è il paese in cui si assembla il più grande numero di automobili per abitante al mondo. La DHL ha investito un progetto per 500 milioni di euro nella Repubblica Ceca. La Philips si è già installata in Ungheria, dove gli stipendi sono cinque volte più bassi che in Europa occidentale, e la Siemens ha previsto la delocalizzazione da cinque a diecimila posti di lavoro.

 

L’“outsourcing” è così distribuito: test e multimedia nella Repubblica Ceca, gestioni di supporto in Ungheria, consulting IT o integrazione di sistemi in Polonia. Per l’“outsourcing” di “processo di mestiere”: centri-chiamate (call-centers) nella Repubblica Ceca, in Ungheria e Polonia; gestione di stipendi e querele, e delle risorse umane in Polonia. Nei Peco più sviluppati le imprese occidentali concentrano compiti ed operazioni di alto livello (sviluppo applicativi di alto livello, outsourcing d’infocenters ecc.), potendo contare su una manodopera qualificata e potendo giustificare costi più elevati. In sostanza, si concentra in queste aree quella che nel gergo economico è definita l’“economia della conoscenza” (ricerca, sviluppo tecnologie avanzate ecc.). In quelli meno sviluppati (es: Bulgaria, Slovacchia, Romania), le multinazionali concentrano, invece, compiti compatibili con prestazioni e competenze low-cost. In sostanza, attuano una vera e propria capitalistica divisione naturale del lavoro. Per il momento, per le multinazionali occidentali è più attraente l’“outsourcing” nearshore, tenuto conto anche di una serie di indici: tasso d’Iva, tasse, stabilità economica e/o politica, eventuali sussidi locali, disponibilità di risorse umane, qualità dell’insegnamento, conoscenze linguistiche, affinità culturali ecc. Ma nel caso l’Est europeo dovesse diventare troppo caro per il lavoro non qualificato o di massa, allora l’“outsourcing” prenderà sicuramente una direzione offshore (ad esempio, verso l’Asia).

 

L’abbattimento delle frontiere ha avuto come conseguenza la diminuzione dei costi di commercio: l’omologazione degli standard tecnici e l’eliminazione dei tempi di attesa alle dogane hanno, infatti, avuto delle ricadute in termini di riduzione di costi e d’incentivazione all’aumento dei commerci. Tuttavia, l’asimmetria negli scambi commerciali tra UE-15 e Peco fa sì che le economie orientali siano dipendenti dalle multinazionali occidentali e siano imperniate su un commercio impari Est-Ovest. L’Europa dell’Est si è trasformata in questi ultimi anni in un vero e proprio paradiso fiscale per le multinazionali. La Repubblica Ceca ha ridotto la sua percentuale di tassazione dal 31 al 24%. La Slovacchia e la Polonia hanno introdotto una tariffa unica del 19% (in Belgio è del 34%). Nelle circostanze attuali, l’estensione dell’Europa non può svolgersi che a favore dei gruppi finanziari e delle multinazionali. Beninteso, qui si è posto soprattutto l’accento sulle multinazionali occidentali, ma negli anni della transizione (e in quelli post-transition) sono sorte anche nei Peco nuove multinazionali, che hanno preferito costruire le loro filiali in varie parti del mondo, con preferenza per l’Asia e l’India. Un’Europa socialmente coesa è possibile solamente bloccando la politica predatrice di tutti questi gruppi finanziari e multinazionali. In un avvenire immediato, la popolazione lavoratrice è ancora di fronte ad una sfida: bloccare il dumping sociale[20] con una lotta solidale sia all’Ovest che all’Est e la sottoscrizione di convenzioni collettive europee per il ripristino dei diritti dei lavoratori e affinché, ad esempio, le delocalizzazioni - alle condizioni attuali - non beneficino del sostegno dei vari Stati.

 

Nei Peco, si è registrata nel tempo una crescita tendenziale del Pil. Dopo un periodo di declino (anni 1992-1993), il Pil ha ripreso costantemente a crescere, pur con una fase di stallo dovuta alla crisi russa (1998-1999). Tuttavia, dentro i singoli Stati la forbice sociale ed economica è macroscopica. In Romania, la crescita è del 7% e lo stipendio medio è di 270 euro, mentre in Bulgaria, che ha uno sviluppo economico del 6,6%, lo stipendio medio è di 170 euro e il salario minimo ammonta a circa 160 leva (80 euro). Un insegnante bulgaro di scuola media superiore guadagna 150 euro al mese, ma un esperto informatico di un’azienda privata può arrivare a guadagnare anche dieci volte tanto. C’è chi guadagna migliaia di euro al mese, soprattutto se lavora in una multinazionale, e che può permettersi di vivere nelle “gated communities” (comunità recintate). Quest’ultime sono dei “parchi di massima sicurezza”, dove vanno a risiedere i cittadini facoltosi. In Bulgaria questi insediamenti isolati e ben sorvegliati sono diventati molto popolari. A Veliko Tarnovo (Bulgaria centrale), da alcuni anni mecca degli immobiliaristi britannici, il gruppo israeliano Tidhar ha fondato nella periferia collinosa una “città satellite” di 60mila mq. dotata di centri commerciali, scuole ecc. Tuttavia, quasi il 50% della popolazione bulgara vive ancora con 2 euro al giorno, mentre in Romania si contano 9 milioni di poveri (40% della popolazione) e un milione e mezzo di persone che vivono in estrema povertà.  

 

Con l’ingresso dei nuovi Stati membri, l’UE ha visto un aumento notevole della mobilità di beni e risorse umane. Tra l’altro, tutti i nuovi paesi membri dell’Unione europea, obbligati dai Trattati ad aderire allo spazio Schengen di libera circolazione delle persone, sono ufficialmente entrati a farne parte nel dicembre 2007. Rimane esclusa Cipro, dovendo ancora risolvere qualche problema con la parte turca dell’isola. Ciononostante, la pressione migratoria proviene quasi tutta dai paesi di recente ingresso nell’UE, poiché pochi sono coloro che hanno guadagnato dalla transizione o post-transizione neoliberista. La maggior parte si è trovata in situazioni drammatiche di vita. In questi paesi c’è ancora molta povertà e grandi sperequazioni di reddito, e ciò spinge le persone più misere ad emigrare, comportando per i paesi di accoglienza costi sociali e sanitari, nonché tassi più elevati di criminalità. Questa migrazione non riguarda però solo i paesi più svantaggiati. Ad esempio, anche in Ungheria le persone giovani e più qualificate in cerca di prima occupazione emigrano quasi tutte verso i mercati occidentali attratte dalle maggiori opportunità di lavoro. La Romania, che conta 22 milioni di abitanti, ha circa 2 milioni di cittadini che lavorano in diversi paesi europei. La massiccia emigrazione di questo paese fa sì che il suo tasso di disoccupazione sia molto basso: 6%, a fronte di una media europea del 7,8%. Dalla Bulgaria, che ha una popolazione di 8 milioni di abitanti, negli ultimi sedici anni sono emigrate un milione di persone. Queste ondate migratorie hanno preoccupato il resto d’Europa, al punto tale che alcuni paesi hanno applicato una moratoria di almeno due anni per il libero accesso di bulgari e rumeni sul loro mercato del lavoro (misure che il presidente rumeno Traian Băsescu ha bollato come “inique e discriminatorie”). Dal canto loro, i governi di Bulgaria e Romania pongono delle resistenze alla fuoriuscita di manodopera autoctona, dato che la grave penuria di forza-lavoro li sta obbligando ad importare lavoratori dall’Ucraina, Moldavia, Turchia, Pakistan, India e Cina. I settori più colpiti sono quello edilizio, sanitario, delle infrastrutture e dell’industria tessile. Anche altre realtà dell’Est, come la Polonia, condividono gli stessi problemi legati all’emigrazione. La Lituania, per fronteggiare la scarsità di manodopera nel settore edile, ha dovuto assumere operai russi e bielorussi.

 

Conclusioni:
 
L’ingressodei Peco (Bulgaria e Romania comprese) nell’UE ha definitivamente sancito la rottura della cortina di ferro e del bipolarismo che ha governato il mondo sino al 1989. La caduta del muro di Berlino ha permesso l’ingresso nell’UE anche di Austria, Svezia e Finlandia precedentemente fuori perché vincolate da una politica di neutralità rispetto all’asse Est-Ovest. Tuttavia, quest’Europa a 27 fatica a trasformarsi in un’entità coesa e identitaria, poiché l’impianto neoliberista e i valori a cui si richiama non funzionano. In un’Europa, infatti, più unita per interessi commerciali e di profitto, prevale l’attenzione al mercato e al profitto, che non opera certo con fini d’inclusione e coesione. Il processo di allargamento è stato, inoltre, realizzato in un’ottica tutta negoziale e intergovernativa, concentrata a che i paesi candidati all’adesione si conformassero a certi criteri economici, politici e giuridici per sviluppare e omologare le loro strutture e sovrastrutture nazionali al modello democratico liberale dei paesi occidentali. Le voci del dissenso sono state totalmente escluse dal consesso diplomatico, poiché le decisioni importanti (compresa la modifica dei Trattati) non sono state prese in seno al Parlamento europeo, che ha poteri assai limitati, ma nelle Cig. E mentre in questi anni, gli europei hanno assistito inerti (o complici) alle lacerazioni e alle diaspore d’interi Stati (come non ricordare i paesi dell’ex Jugoslavia), dall’altro, le stesse dinamiche dell’economia mondializzata, che nei paesi ricchi dell’Occidente è entrata in una fase di seria recessione, impongono ai paesi dell’area euro di allargare a tutti i costi le proprie dimensioni per poter meglio affrontare la concorrenza sui mercati internazionali.

 

Nella Risoluzione n. 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, il Kosovo era già considerato come un’enclave indipendente. Il 17 febbraio 2008 questa provincia ha dichiarato “unilateralmente” la propria indipendenza, con uno stravolgimento totale del diritto internazionale, iniziato con la disgregazione della Jugoslavia e continuato con i bombardamenti Nato sulla Serbia. Gli effetti di destabilizzazione su tutta l’area Balcanica sono stati terribilmente devastanti. L’azione unilaterale del Kosovo potrebbe influire negativamente sulla pace e la stabilità della regione, oltre ad avere un effetto domino all’interno di altri paesi europei (e non europei). Per questa ragione, Spagna e Cipro (rispettivamente con la questione basca e la contrapposizione tra etnia turca e greca) hanno anticipato che non riconosceranno il nuovo Stato. A loro si aggiungono Romania, Bulgaria Slovacchia, Ungheria e Grecia decisamente riluttanti ad accettare l'indipendenza del Kosovo. Fuori dall’UE, dopo Belgrado e Mosca, il fronte dei paesi contrari all’indipendenza si è allargato anche alla Cina. L’UE, impossibilitata a trovare una difficile unità sul problema dell’indipendenza di Pristina, ha lasciato che ogni paese membro esprimesse in tutta autonomia una propria posizione, dimostrando la sua incapacità ad assumere un atteggiamento univoco in materia di politica estera e, quindi, dimostrando ancora una volta la sua inesistenza come entità politica.

 

Milano, 21 febbraio 2008

 


[1] La Repubblica Ceca (che comprende Bohemia e Moravia) e la Slovacchia sono nate il 1 gennaio 1993 dalla divisione pacifica (detta anche di velluto) della Cecoslovacchia, che già dal 1990 aveva assunto il nome di Repubblica Federativa Ceca e Slovacca.
[2] I negoziati di adesione con la Croazia e la Turchia sono stati avviati il 3 ottobre 2005.


Il Comitato promotore nazionale della
Legge di Iniziativa Popolare sui trattati internazionali, basi e servitù militari propone 

10 - 17 MARZO 2008
SETTIMANA NAZIONALE CONTRO LA GUERRA
RILANCIAMO IN TUTTO IL PAESE LA RACCOLTA FIRME SULLA
LEGGE CONTRO ACCORDI MILITARI, BASI E SERVITU' MILITARI

 

Il recente decreto "milleproroghe", giustamente definito di guerra, pare abbia messo una pietra tombale sull'argomento. Di missioni militari, delle enormi spese per il sistema militare - industriale italiano, del ruolo centrale giocato dalla diplomazia italiana nel processo di secessione del Kosovo dalla Serbia, della situazione esplosiva in Libano, della guerra in Afghanistan e Iraq non v'è traccia nella campagna elettorale in corso.
"L'ultimo decreto-legge di un governo morto serve a produrre altra morte. Il Parlamento con voto bipartisan ha varato il rinnovo delle truppe in tutte le missioni militari e relativo finanziamento. Solo 50 parlamentari hanno votato contro per rifarsi il look elettorale in vista del 13 aprile, tentando invano di far dimenticare al loro elettorato 20 mesi di scelte belliciste ed aggressive che hanno trasformato la nostra penisola in un avamposto della guerra infinita e la nostra economia in un apparato bellico industriale foraggiato dall'enorme aumento delle spese militari."

 

Il decreto milleproroghe, votato il 20 febbraio alla Camera e nei prossimi giorni al Senato prevede:
l        euro 279.099.588 per l'operazione UNIFIL in Libano
l        euro 18.107.529 per l'operazione EUROMARFOR per le navi da guerra di fronte al Libano
l        euro 337.695.621 per le truppe in Afghanistan
l        euro 94.000.000 per gli aiuti "umanitari portati dalle truppe italiane nei vari fronti di guerra
l        euro 8.157.721 per la proroga della partecipazione di personale militare impiegato in Iraq in attività di consulenza, formazione e addestramento delle Forze armate e di polizia irachene.

 

L'ultima voce di spesa - oltre otto milioni di euro - ci ricorda il coinvolgimento diretto dell'Italia anche nel massacro iracheno, nonostante la strombazzata decisione di "ritiro" ad inizio legislatura. Militari italiani addestrano un esercito, quello iracheno, notoriamente coinvolto in massacri, torture, operazioni di pulizia etnica contro sunniti e palestinesi.

 

L'attuale muro di silenzio bipartisan su guerre di aggressioni ed occupazioni militari è indicativo della cattiva coscienza di tutte le forze politiche sul tema.
In politica estera esiste un tacito accordo tra tutte le forze politiche di centro destra e di centro sinistra. La guerra non è tema di campagna elettorale. Perché parlarne ai potenziali elettori?

 

Per rompere questo muro di complice silenzio promuoveremo dal 10 al 17 marzo (anniversario dell'aggressione all'Iraq) una "SETTIMANA CONTRO LA GUERRA", durante la quale sollecitiamo tutte le realtà coinvolte nella raccolta firme sulla Legge di Iniziativa Popolare sui trattati internazionali, basi e servitù militari a scendere in piazza con banchetti, iniziative, dibattiti, volantinaggi e quant'altro.
L'obiettivo è quello delle 20.000 firme in 7 giorni, che ci permetteranno di fare un balzo in avanti verso il raggiungimento dell'obiettivo di PORTARE NEL NUOVO PARLAMENTO LA LOTTA CONTRO LA GUERRA.

 

Ci auspichiamo che la proposta della "SETTIMANA CONTRO LA GUERRA" venga raccolta da tutto il movimento italiano, da coloro che in questi anni hanno mantenuto salda la barra sulla parola d'ordine del "NO ALLA GUERRA SENZA SE E SENZA MA"

 

Pretendiamo che si affronti in questa campagna elettorale omologata sull'ipotesi bipolarista il tema del NO ALLA GUERRA , ALLE SUE BASI, ALLE SPESE MILITARI ED ALLE MISSIONI MILITARI ALL'ESTERO

 

Il Comitato promotore nazionale della
Legge di Iniziativa Popolare sui trattati internazionali, basi e servitù militari