Informazione


Intellettuali occidentali e reazionari tibetani


1) APPELLO: Un'indegna campagna di demonizzazione della Repubblica Popolare Cinese è in corso
2) SERGIO ROMANO sul carattere del secessionismo tibetano (CdS 10 aprile 2008)
3) Il politologo Bricmont: Tibet e Kosovo, diritti umani o ingerenza camuffata?
4) Fulvio Grimaldi: "Ivan della Mea, non sai un cazzo"
5) Istruzione ed Università in Tibet. L'Università "Xizang Daxue"
6) La "Sinistra" smarrita nell'Altopiano Tibetano (di Michele Franco, da Contropiano)

(Proseguiamo la rassegna di contributi sul tema dei secessionismi anticinesi. Molti altri articoli sul tema sono raccolti alla pagina:

SEGNALAZIONI: 

NUOVO LIBRO

Tibet and the CIA’s anti-China crusade


Has Tibet become the front line of a new national liberation struggle? Or is something else happening there?

Why weren't the Dalai Lama's slaves freed until 1959?

Why was one of Hitler's top Nazis part of the Dalai Lama's inner circle?

Why did the CIA create a Tibetan contra force beginning in the 1950s?

What are the Dalai Lama's connections to the CIA?

How are the Tibetan poor affected by the Chinese Revolution?
What about the ruling class Tibetans who went abroad?

This collection of articles from Workers World newspaper should be read by everyone who wants to look beyond the anti-China hype about Tibet and understand what's really going on.

WW Publishers, 12 pp, Paper cover, spiral bound
*This pamphlet free with the purchase of Through A Glass Darkly by William Hinton

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Begin forwarded message:

From: CentroStudiTransizioneSocialismo  @yahoogroups.com
Date: March 17, 2008 2:42:00 PM GMT+01:00
Subject: Cina e Tibet 
Da: vilici74


Cari compagni,

In queste ore da destra a manca sono diventati tutti sinologi e
difensori della "causa tibetana". Io più umilmente mi permetto di
segnalarvi questo testo, pubblicato nel 1997 e disponibile in rete
all'indirizzo

http://www.tibetinfor.com/english/services/library/serialise/h_status/menu.htm

Il titolo è "The Historical Status of Tibet, China" edito dalla China
Intercontinental Press
. Data la difficile reperibilità del testo
consiglio vivamente i compagni interessati a farsene una copia.

Sviluppo di una precedente monografia, il testo esamina storicamente
la vicenda del popolo tibetano dai primi contatti durante la dinastia
Tang a oggi, con dovizia di dettagli e con uno spessore raramente
riscontrabile nella pubblicistica occidentale sull'argomento.

Di particolare interesse il capitolo 5 relativo alla costruzione del
mito dell'"indipendenza tibetana" e il capitolo 8 relativo al rispetto
dei diritti umani in Tibet sotto il regime lamaista feudale, ma nel
complesso tutto il libro è interessante.

Con saluti comunisti,
Paolo Selmi


CHINA TIBET INFORMATION CENTER

The Historical Status of Tibet, China


Introduction
Chapter I:Relations Between the Han and the Tibetans During the Tang and Song Dynasties
Chapter II:Relations Between the Emperor of the Yuan Dynasty and the Princess of Dharma of the Sagya Sect of Tibetan 
(1)Godan and Sapan 
(2)Kublai and Pagba 
Chapter III:Ming Dynasty's Policy of Enfieffment and Tribute-Related Trade 
Chapter IV The Sovereign-Subject Relationship Between the Qing Dynasty Emperor and the Dalai Lama
(1)Emperors Shunzhi and Kangxi With the 5th Dalai Lama
(2)Emperor Kangxi, Yongzhen and Qianlong With the 6th and 7th Dalai Lama 
(3)Emperor Qianlong, Jiaqing, Daoguang and Tongzhi With the 8th-12th Dalai Lama 
(4)Emperors Guanxu and Xuantong With the 13th Dalai Lama 
Chapter V British Invasion and the Birth of the Myth of "Tibetan Independence"
(1)First British Invasion 
(2)Second British Invasion 
(3)British Move to Cultivate Pro-British Forces in Tibet 
Chapter VI Tibet is Not an Independent Political Entity During the Period of the Republic of China
(1)Yuan Shi-kai and the 13th Dalai Lama 
(2)The Bankrupt "Simla Conference" and the Invalid Convention 
(3)The Tibetan Army's First Eastward Invasion 
(4)Around the Gansu Delegation's Entry Into Tibet 
(5)The 13th Dalai Lama Awakens

(6)Gongjor Zhongnyi and the Tibet Office in Nanjing

(7)The Tibetan Army's Second Eastward Invasion 
(8)The Demise of the 13th Dalai Lama and Huang Musong's Entry Into Tibet 
(9)The Reincarnation of the 13th Dalai Lama and Wu Zhongxin's Entry Into Tibet 
(10)Dagzha Comes to Power and the Razheng Event 
(11)Tibetan Delegates at the Asian Relations Conference 
(12)Visits by the Tibetan "Commercial Delegation" 
(13)July 8 Event 
Chapter VII The Founding of the People's Republic of China and the Peaceful Liberation of Tibet
(1)The Chinese Communist Party's Policy for Nationlities and Policy for Peaceful Liberation of Tibet 
(2)PLA Troops Who Serve the Tibetans Whole-Heartedly 
(3)The Local Government of Tibet Refused Peace Talks and the PLA Was Forced to Fight the Qamdo Battle 
(4)The Signing of the 17-Article Agreement and the Peaceful Liberation of Tibet 

Chapter VIII Armed Rebellion in Tibet Opposed the Democratic Reform Through Which Serfs Win Human Rights
(1)The Tibetans Enjoyed No Human Rights Under Their Feudal Overlords in Old Tibet 
(2)The Reactionary Ruling Class in Old Tibet Refused ti Grant Human Rights to the Broad Masses of Tibetans 
(3)Armed Tibetan Rebels Barbarously Violated Human Rights 
Chapter IX Tibetan People Acquired Ultimate Human Righes Through Quelling of Rebellion and Conducting the Democratic Reform
(1)Putting Down the Armed Rebellion 
(2)Democratic Reform 
Chapter X Tibetan Institutes Regional National Autonomy and Needs No "Self-Determination" 
Chapter XI The 14th Dalai Lama's Illegal "Government-in-Exile" Is a Destabilizing Factor for Asia 
Chapter XII Achievements in Construction and Development
(1)Economic Construction 
(2)Cultural Construction 
(3)Freedom of Religious Belief 
Concluding Remarks   
Postscript 


=== 1 ===


Un'indegna campagna di demonizzazione della Repubblica Popolare Cinese è in corso

 

Appello

 

Un’indegna campagna di demonizzazione della Repubblica Popolare Cinese è in corso. A dirigerla e orchestrarla sono governi e organi di stampa più che mai decisi ad avallare il martirio interminabile del popolo palestinese e sempre pronti a scatenare e appoggiare guerre preventive come quella che in Irak ha già comportato centinaia di migliaia di morti e milioni di profughi.

Si agita la bandiera dell’indipendenza (talvolta camuffata da «autonomia») del Tibet, ma se questo obbiettivo venisse conseguito, ecco che la medesima parola d’ordine verrebbe lanciata anche per il Grande Tibet (un’area tre volte più grande del Tibet propriamente detto) e poi per il Xinjiang, per la Mongolia interna, per la Manciuria e per altre regioni ancora. La realtà è che, nel suo folle progetto di dominio planetario, l’imperialismo mira a smembrare un paese che da molti secoli si è costituito su una base multietnica e multiculturale e che oggi vede convivere 56 etnie. Non a caso, a promuovere questa Crociata non è certo il Terzo Mondo, che alla Cina guarda con simpatia e ammirazione, ma l’Occidente che a partire dalle guerre dell’oppio ha precipitato il grande paese asiatico nel sottosviluppo e in un’immane tragedia, dalla quale un popolo che ammonta ad un quinto dell’umanità sta finalmente fuoriuscendo.

Sulla base di parole d’ordine analoghe a quelle oggi urlate contro la Cina, si potrebbe promuovere lo smembramento di non pochi paesi europei, quali l’Inghilterra, la Francia, la Spagna e soprattutto l’Italia, dove non mancano i movimenti che rivendicano la «liberazione» e la secessione della Padania.

L’Occidente che si atteggia a Santa Sede della religione dei diritti umani non ha speso una sola parola sui pogrom anticinesi che il 14 marzo a Lhasa sono costati la vita a civili innocenti compresi vecchi, donne e bambini. Mentre proclama di essere alla testa della lotta contro il fondamentalismo, l’Occidente trasfigura nel modo più grottesco il Tibet del passato (fondato sulla teocrazia e sulla schiavitù e sul servaggio di massa) e si prosterna dinanzi a un Dio-Re, impegnato a costituire uno Stato sulla base della purezza etnica e religiosa (anche una moschea è stata assaltata a Lhasa), annettendo a questo Stato territori che sono sì abitati da tibetani ma che non sono mai stati amministrati da un Dalai Lama: è il progetto del Grande Tibet fondamentalista caro a coloro che vogliono mettere in crisi il carattere multietnico e multiculturale della Repubblica Popolare Cinese per poterla meglio smembrare.

Alla fine dell’Ottocento, all’ingresso delle concessioni occidentali in Cina era bene in vista il cartello: «Vietato l’ingresso ai cani e ai cinesi». Questo cartello non è dileguato, ha solo subito qualche variante, come dimostra la campagna per sabotare o sminuire in qualche modo le Olimpiadi di Pechino: «Vietate le Olimpiadi ai cani e ai cinesi». La Crociata anticinese in corso è in piena continuità con una lunga e infame tradizione imperialista e razzista. 

Adesioni

Domenico Losurdo, filosofo
Gianni Vattimo, filosofo
Luciano Canfora, storico
Carlo Ferdinando Russo, direttore della rivista "Belfagor"
Angelo d’Orsi, storico
Ugo Dotti, storico della letteratura italiana
Guido Oldrini, filosofo
Massimiliano Marotta, presidente della Società di studi politici
Federico Martino, storico del diritto
Fosco Giannini, senatore PRC, direttore della rivista “l’Ernesto”
Fausto Sorini, membro del Comitato politico nazionale del PRC, direzione area “l’Ernesto”
Sergio Cararo, direttore della rivista “Contropiano”
Alessandro Leoni, Segreteria regionale toscana PRC
Valter Lorenzi, Rete nazionale “Disarmiamoli!”
Luca Gorlani, educatore, Chiari (BS)
Marco Benevento, Direttivo FIOM Roma Nord
Manlio Dinucci
Luciano Vasapollo, docente Università La Sapienza, Roma
Stefano G. Azzarà, Università di Urbino
Filippo Lai, ricercatore, Cagliari
Pilade Cantini
Vincenzo Simoni, Segretario nazionale dell’Unione Inquilini
Alfredo Tradardi, ISM-Italia
Francesco Zardo, giornalista e scrittore
Marie-Ange Patrizio, psicologa e traduttrice, Marsiglia
Giancarlo Staffolani, Collettivo “B. Brecht”, Veneto orientale
Andrea Fioretti, FLMU-CUB Sirti/assemblea lavoratori autoconvocati
Andrea Martocchia, astrofisico, INAF-IASF Roma
Serena Marchionni, bibliotecaria, Fac. Matematica, Università di Bologna
George Philippou, Atene
Luigi Pestalozza, musicologo
Libero Traversa, della redazione di “Marxismo Oggi”
Sergio Manes, editore (La Città del Sole)
Antonella Ghignoli
Andrea Parti
Aldo Cannas, Cagliari
Hisao Fujita Yashima, professore associato di Analisi Matematica, Università di Torino
Marco Ghioti
Leo Giglio
Armando Gattai, Prato
Niccolò Zambarbieri, Giovani Comunisti di Pavia
Claudio Del Bello, editore (Odradek)
Lin Jie
Mauro Gemma, redazione di Resistenze.org
Antonio Ginetti, Pistoia
Riccardo Fabio Franchi, studente, Bologna

Silvio Marconi, antropologo, operatore di cooperazione allo sviluppo e intercultura, Roma
Francesco Saverio de Blasi, ordinario di Analisi Matematica, Universita' di Roma "Tor Vergata
Claudia Cernigoi, giornalista, Trieste
Z. Shiwei
Edoardo Magnone, chimico, Italy-Japan Joint Laboratory on Nanostructured Materials for Environment and Energy (NaMatEE) and "Research Center for Advanced Science and Technology" (RCAST), University of Tokyo
Rosanna Deste
Marco Costa – PRC, Assessore ai Lavori Pubblici, Comune di Busana (RE)
Fulvio Grimaldi, giornalista
Antonio Casolaro, Caserta
Antonio Caracciolo, ricercatore di Filosofia del Diritto, Università di Roma La Sapienza
Alessandra Orlandini, infermiera, Ancona
Gianni Monasterolo, musicista e poeta
Stefano Franchi, segreteria PRC Bologna
Marina Minicuci, giornalista
Francesco Maringiò, coordinamento nazionale Giovani Comunisti/e
Adriano Benayon, Brasília, Brésil
Francesco Rozza, Caserta
Gian Mario Cazzaniga, professore di Filosofia morale, Università di Pisa
Annie Lacroix-Riz, storica

Simone Bruni, operatore e mediatore socio-culturale per Arci Toscana

Marianna Gorpia, segretario PdCI Empoli
Sergio Ricaldone, redazione della rivista “l'Ernesto”
Luca Sbano
Anna Capecchi
Dante Franchi, capogruppo consiliare PRC Marzabotto (BO)
Rolando Dubini, avvocato del Foro di Milano
Elena Ulivieri, studentessa
Vincenzo Brandi, ricercatore Enea
Emilio Desiderio
Giulietto Chiesa
Yuri Borgianni, Capogruppo PRC Consiglio Comunale Poggibonsi (SI)Loriano Checcucci, Segretario Circolo PRC "G.K. Zhukov", Poggibonsi (SI)
Crocini Rosanna, Pistoia
Comaguer (Comité Comprendre et Agir contre la Guerre), Marseille
Francesco Pappalardo - Medico del lavoro – Piombino
Francesco Romano - RSA Prov. Napoli
Daniel Antonimi, secrétaire international Pôle de Renaissance Communiste en France
Marco Beccari, Roma
Massimo Marcori, Impiegato, Torino
Donato Antoniello, Assessore al lavoro e istruzione del comune di Nichelino (TO)
Artemis Torres, pesquisadora, Brasil
Cesare Allara, Comitato di Solidarietà col Popolo Palestinese di Torino
Massimo Zucchetti, ordinario di impianti nuceari, Politecnico di Torino
Arianna L'Abbate, ricercatrice
Marilisa Verti, giornalista
Walter Ranieri, pittore, Bari
Giuseppe Lanzavecchia, Roma
Clemente Granirei, segretario circolo Lenin PRC NapoliChiara Francesca Mazzei, docente di storia e filosofia
Miriam Pellegrini Ferri Presidente G.A.MA.DI.
Spartaco Ferri, partigiano della Brigata Garibaldi
Paolo Valentini, studente di biologia
Enzo Valentini, segretario G.A.MA.DI.
Stefano Friani, Segreteria PRC Livorno
Luca Rossi, aderente Coordinamento Progetto Eurasia
Francesco Dragonetti, Coordinamento Giovani Comunisti di Bologna
Diletta Marzo, Giovani Comunisti Bologna
Matteo Cavallaro, studente di Scienze Politiche, Torino
Roberto Capizzi, Coordinamento Giovani Comunisti, EnnaAndré Luis Travassos, Ciências Sociais, Universidade Estadual de Londrina - PR

Pino Binda, partigiano comasco, Milano

Enzo Proverbio, antifascista, Milano

...


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RISPONDE SERGIO ROMANO

LA PROTESTA TIBETANA I MONACI E LA MODERNITÀ


È giusto invitare le autorità cinesi alla moderazione di fronte alla rivolta dei monaci tibetani, ma non si può pretendere che la Repubblica popolare tolleri che una sua regione sia governata da una teocrazia. La Cina, con l' introduzione del mercato, sta sviluppando a tappe forzate la sua economia (e di conseguenza la società) e la modernizzazione del Tibet è parte integrante del progetto. Il boicottaggio delle Olimpiadi inasprirebbe i rapporti con quella che fra pochi decenni sarà la maggiore potenza economica mondiale. D' altronde non sono affatto convinto che il mancato boicottaggio rappresenterebbe, come molti sostengono, un tradimento dei nostri valori; trovo anzi singolare pretendere, in nome della cultura occidentale, che società e civiltà arcaiche vengano trattate come reperti archeologici da conservare a ogni costo per la delizia di turisti e antropologi. Del resto, è proprio il rifiuto da parte di Stati e culture di uscire dal medioevo per entrare nella modernità che spesso costituisce l' ostacolo maggiore al dialogo e alla coesistenza. 

giorgio.vergili@  fastwebnet.it 

Caro Vergili, 

L a sua lettera coglie un punto a cui l' opinione pubblica occidentale non ha prestato molta attenzione. È possibile che gli esuli tibetani, cresciuti lontano dalla madrepatria, stiano facendo una battaglia democratica per i diritti umani e civili del loro Paese. Ed è evidente che il Dalai Lama si accontenterebbe di un Tibet autonomo, soggetto all' autorità politica di Pechino e tuttavia libero, al tempo stesso, di coltivare le proprie tradizioni culturali e religiose. Ma la violenta rivolta dei monaci a Lhasa e in altre province cinesi dove abitano importanti comunità tibetane, è stata una insurrezione conservatrice. Sappiamo che la Cina ha sempre considerato il Tibet una insopportabile anomalia e ha fatto del suo meglio per alterare la composizione demografica della regione favorendo l' insediamento nel territorio di una nuova popolazione han (così hanno fatto, incidentalmente, molti Paesi europei, fra cui l' Italia, quando si sono impadroniti di terre di confine abitate da minoranze che appartenevano a un diverso ceppo nazionale). Ma fu subito evidente che la Repubblica popolare non avrebbe mai tollerato, all' interno dei propri confini, una Santa Sede del buddismo himalayano, un regime feudale e religioso come quello sorto molti secoli fa sull' altopiano tibetano. La situazione si è ulteriormente complicata quando la grande modernizzazione cinese ha finalmente investito il Paese. Quando visitai il Tibet nel 1981, il rapporto fra i tibetani e l' amministrazione cinese era congelato dallo stato di arretratezza economica della provincia. Gli occupanti e i sudditi sembravano avere concluso una tregua che nessuno, in quel momento, aveva interesse a rompere. Ma lo sviluppo economico, da allora, ha creato turismo, commercio, iniziative industriali. Durante una visita organizzata dal governo di Pechino dopo le agitazioni dello scorso marzo, i corrispondenti stranieri hanno fatto due constatazioni interessanti. In primo luogo si sono accorti che i monaci tibetani, contrariamente alla loro reputazione occidentale, non sono cultori della «non violenza» e ne hanno dato la prova con una furia devastatrice che ha colto di sorpresa le forze di polizia. In secondo luogo hanno compreso che la loro rivolta non era diretta soltanto contro i cinesi, ma anche contro una classe emergente di tibetani che stanno sfruttando i vantaggi della modernizzazione. Quello a cui abbiamo assistito, in altre parole, non è, se non in parte, uno scontro fra democrazia e dittatura. È anche il segno di una frattura sociale che si è aperta all' interno della società tibetana. Non è necessario essere marxisti o anticlericali per osservare che la Cina recita in questa faccenda, sia pure con i modi intolleranti di un regime autoritario, la parte della modernità e che i monaci, come si sarebbe detto una volta, quella della reazione.

Romano Sergio

Pagina 43
(10 aprile 2008) - Corriere della Sera


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Il manifesto, 11 aprile 2008

Il politologo Bricmont: Tibet e Kosovo, diritti umani o ingerenza camuffata?

EMANUELA IRACE

Kosovo. Afghanistan. Iraq. «Giustificare la guerra in nome dei diritti umani è la nuova ideologia imperialista». Lo dice il fisico belga Jean Bricmont, scienziato della politica e professore all'Università di Lovanio, autore del saggio pluritradotto Imperialismo umanitario, che abbiamo incontrato a Roma. E non fa sconti. Né all'Ue, né all'Italia, né agli Usa. Secondo Bricmont, allievo di Chomsky e Russell, «la sinistra sta diventando complice delle più grandi secessioni occidentaliste». Sotto l'unico controllo di chi esporta democrazia made in Usa. 

Lei parla di Paternalismo neo-coloniale. Si giustifica la guerra in nome dei diritti umani?

È cambiata l'ideologia ma il colonialismo è radicato nella mentalità corrente. La guerra è impresentabile all'opinione pubblica. Alle lobbies. Da trent'anni la comunicazione è più sofisticata. Si fa scudo delle battaglie umanitarie. I movimenti femministi. Quelli per la liberazione dei popoli oppressi. Stabilendo così un diritto di ingerenza, che è solo il diritto del più forte. La fine del diritto.

Il modello è l'autonomia. Il diritto all'autodeterminazione dei popoli.

No. Il modello è smembrare. De-costruire i nuovi imperi attraverso la secessione: Cina, Russia, ma anche Serbia. Non si tratta di autonomia per il Tibet, Cecenia e Kosovo. La lotta di indipendenza Nazionale deve passare da una fase militare a una propriamente economica. Senza la quale l'indipendenza politica, statuale, è un contenitore vuoto. L'indipendenza di un paese non si misura solo con il gran o e la tecnologia da cui dipende. L'ideologia di diritti umani che possano scavalcare ogni confine di sovranità, è un' ingerenza camuffata. 

Così la politica estera della sinistra diventa simile a quella della destra. 

Esistono due versioni dell'imperialismo. La destra è per la lotta al terrorismo, per la difesa dei propri interessi sul campo. La sinistra per la violazione dei diritti dell'uomo e del diritto internazionale. Ma così facendo la sinistra è diventata più imperialista della destra classica, ha sostenuto la Guerra in Afghanistan e la secessione del Kosovo. Nelle guerre recenti ha fatto poca opposizione e praticamente nessuna alla minaccia di Bush contro l'Iran. Con la fine del comunismo, l'ideologia dei diritti umani e della democrazia da esportare, ha rimpiazzato il marxismo, il socialismo e la lotta di classe. 

Lei per quale versione propende.

Io sono per il negoziato. Non per aggredire uno stato. La guerra in Iraq è stata una catastrofe umanitaria peggio della Palestina e del Darfur. Cina e Russia hanno screditato la politica degli Stati Uniti. L'Europa no. La Commissione europea, Solana, tutto il mondo sa che il Kosovo è in mano a mafiosi, ma nessuno ha il potere per dirlo. È una catastrofe. Che all'Europa non interessa denunciare. Ma così il diritto internazionale è completamente stravolto.

Una catastrofe senza soluzioni

Finchè si ragiona imponendo la verità non si vuole discutere. Si entra nel campodell'opposizione tra bene e male. Occidente e Islam. Scontro di civiltà. Buoni e cattivi. Ma chi lo decide e perché? Non ci guadagna nessuno. I rapporti di forza sono a vantaggio dell'Occidente. Per mezzi e tecnologia. Se i difensori dei diritti umani fossero coerenti, dovrebbero condannare Usa e Israele. L'Italia ha un ruolo importante in funzione euro mediterranea. Insieme alla Spagna. Potrebbe giocare una funzione di pace e mediazione con il mondo arabo e nel conflitto isrelo-palestinese. Ma gli Stati Uniti osteggiano questa politica. Io sono per stabilire delle relazioni, non per diabolizzare. Ci vuole modestia. Non assolutismo. La Polis greca era democratica con i propri cittadini, ma faceva uso e commercio di schiavi.


=== 4 ===

(A proposito di una "poesia" di Ivan della Mea, pubblicata dal "manifesto" il 20 marzo 2008, a coronamento del suo stracciarsi le vesti bipartisan ed ecumeniche sulla "tragedia del Tibet".)

----- Original Message ----- 
From: Grimaldi Fulvio 
Sent: Friday, March 21, 2008 12:21 PM
Subject: Della Mea Io so

L'autore, che qualche vegliardo ricorda per alcune melense e familistiche canzoncine delm '68, esaurita la vena del cinguettio musicale, si esercita di tanto in tanto in allucinazioni linguistiche, ortografiche, sintattiche su un "manifesto" che con maggiore rigore dovrebbe concedere la sua ospitalità. Ma visto che ci scrivono Giuliana Sgrena (Che schifo questi islamici, Al Qaida è Al Qaida), Rossana Rossanda (Le BR erano le BR, erano interne alla sinistra storica e hanno ammazzato Moro da sole. Il Mose a Venezia è ottima Cosa, Sofri è un martire e un grande intellettuale, votiamo Bertinotti...) e Valentino Parlato (Il boicottaggio della Fiera del libro sionizzata è crimine antisemita), anche della Mea ci può sguazzare.
Anche se standoci, l'uomo dall'ego-mongolfiera (questa volta è riuscito a ripetere "io" trenta volte in trenta "versi") senza dubbio contribuisce al progressivo e inesorabile affondamento del "quotidiano comunista". Con nostro sommo dispiacere, perchè dopo cosa leggiamo? Con chi ce la prendiamo se coloro che al momento resistono sull'orlo della poubelle della storia, poi ci finiscono dentro a raggiungere rifiuti di portata campana quali quelli che, oggi come oggi, sbavano alle porte del parlamento?

Parafrasando, in virtù di una boria giulianferrariana, nientemeno che Pasolini, questa fattucchiera della lingua italiana, per la quale Dante avrebbe inventato un girone più profondo di quello dei traditori, ripete per trenta volte, autentico cilindro da preghiera tibetano, "io so". E con questo proclama mosaico scende la montagna e ci confonde tutti nella lacrimosa valle dei nostri irrimediabili "non so". Sa tutto, l'anziano verisificatore, del Tibet, dei potenti del mercato e degli infami di Cina che lo vogliono uccidere, sa che i soldati cinesi stanno massacrando civili tibetani, sa che l'autodeterminazione è sacra (anche se è di una casta di monaci schiavisti, superstiziosi e pedofili) e che le olimpiadi non s'hanno da fare.
Questo bombardamento di "io so", che ricorda Bush quando farnetica di consapevolezze di vittoria, scaturisce da una centrale nucleare alimentata dall'uranio dell'ignoranza fuso con il plutonio della supponenza. Non sa, l'ex-giullare e oggi New Entry New Age, che, a proposito di autodeterminazione, il popolo tibetano come tale non esiste in quanto è un insieme composito di genti che venute dal'Asia Centrale, dalla Valle dell'Indo, dalle foreste birmane, dalla Valle dello Yangzé e dalla Valle del Fiume Giallo. Che questi popoli hanno fatto parte per mille anni delle varie unioni statali cinesi e solo durante 70 anni se la sono fatta da soli. Non sa, il menestrello stazzonato, che il buddismo dei monaci tibetani è solo un sessantesimo - il più astruso e fomentatore di passività - di tutti i buddismi che, a loro volta, rappresentano il 6% delle religioni nel mondo e che fu questo buddismo particolarmente violento e protervo a introdurre nel Tibet una società feudale. Società in cui, fino all'arrivo della rivoluzione cinese (peraltro assai degenerata da Mao in giù), il potere era suddiviso tra l'aristocrazia tibetana (cara a Hitler) e la comunità monacale e che il 90% della popolazione era ridotta in schiavitù, con nobili e monaci padroni della vita e della morte di questi servi della gleba. Un sistema vagheggiato dai poteri imperialisti di oggi e opportunamente travestito in termini New Age, da vascello di spiritualità, nonviolenza, bontà, pacifismo, melasse paracule varie, tali da neutralizzare eventuali obiezioni di sinistri e democratici un po' più occhiuti del canarino "io so". Una spietata dittatura feudale che la Cia avrebbe voluto perpetuare versando al suo portavoce, un equivalente con gli occhi di sguincio di Padre Pio, alcuni milioni di dollari, armandone i paramilitari e infiltrati, quegli stessi che hanno messo a ferro e fuoco i cinesi dei piccoli negozi (sono il 10% della popolazione tibetana, a proposito delle fantasticate alterazioni etniche cinesi attraverso flussi alluvionali di immigrati). 
Prima il Dalai Lama flirtava con i nazisti, nel segno della comune purezza ariana. Poi, vista la mala parata dei cuginetti hitleriani, si aprì alla colonizzazione-protezione britannica, sostituita dopo la seconda guerra mondiale, come ovunque, dagli Usa in funzione anti-rivoluzione cinese. Il rientro della regione nella madrepatria Cina e la restaurazione di una dignità nazionale coerente con la propria storia, promosse il Dalai Lama, fuggiasco dopo il fallito progrom anticinese del 1959, sconfitto dagli stessi tibetani non partecipi dei fasti monacali (e bisognosi del primo ospedale, della prima scuola, della prima strada, della prima ferrovia...), a una specie di papa alternati

(Message over 64 KB, truncated)

Segnaliamo l'aggiornamento delle nostre pagine riguardanti l'irredentismo pan-albanese,
ed in particolare la galleria di immagini sulla storia della Grande Albania nazifascista:

https://www.cnj.it/documentazione/KOSMET/foto.htm


Il testo che segue è un estratto da: "Strani Casi Di Morte A Trieste"
di Claudia Cernigoi, Dossier n.25 a cura de La Nuova Alabarda, 2007

Sui legami tra indipendentismo croato e nazisti esuli in Argentina si veda anche:

IL DOPPIO SUICIDIO DI BARILOCHE 

(La ricostruzione che segue è tratta dagli articoli apparsi sul “Piccolo” nel gennaio 1996: “Si suicidano in Argentina” di C. Barbacini; “Troppi i misteri dietro i due suicidi”, sigla c.b.; “Conferma: suicidati con il gas”, C. Barbacini; “Doppio suicidio, indagini locali”, sigla c.b.; e da “I misteri del croato”, di A. Tagliacarne e F. Longo su “Cuore”, 27/1/06)

Nel settembre del 1995 una giornalista triestina, Francesca Longo, intervistò per conto del quotidiano “Liberazione” (organo di Rifondazione comunista), a proposito della situazione della Croazia alla vigilia delle elezioni presidenziali che portarono nuovamente al potere Franjo Tudjman, il ventinovenne Valdi Veselica, croato originario della cittadina istriana di Umago, che viveva da qualche tempo a Trieste.
Così si espresse Veselica: “Mio padre è abituato a tacere (...) si è iscritto all’Hdz (il partito di governo, ndr) per trovare lavoro. Io ho preferito emigrare. Ho fatto le scuole sotto Tito, sono cresciuto con croati, italiani, serbi, bosniaci, sloveni senza alcun problema. Non ci mancava nulla, eravamo tutti fieri di essere cittadini jugoslavi. Ho fatto anche il servizio militare nell’armata (...) sono nato jugoslavo e tale resterò”.
Assieme a Valdi era emigrata a Trieste anche la sua compagna ventiquattrenne Barbara Razman, croata di nazionalità italiana. I due si erano stabiliti nella località di Opicina, frazione di Trieste, dove vivevano in una piccola casetta presa in affitto più o meno all’epoca dell’intervista con la giornalista di “Liberazione”; avevano lavorato, secondo la stampa, lui come cameriere in un ristorante e lei come pulitrice, ma avevano abbandonato queste attività nell’ottobre del 1995 per aprire una società di commercio di tartufi, aragoste, funghi, datteri di mare. Ai primi di dicembre Barbara fu fermata dalla Guardia di Finanza, che le trovò nell’auto 20 chili di tartufi non dichiarati, fatto che le costò una denuncia per contrabbando ed una multa di 20 milioni di lire.
Fin qui nulla di strano. Ma il 14 dicembre 1995 una loro cugina andò dai carabinieri a denunciare che, dopo avere incontrato i due giovani a casa loro il 6 dicembre, non era più riuscita a contattarli: da una settimana non rispondevano al telefono. Un sopralluogo nella casetta verificò che Valdi e Barbara erano spariti nel nulla. “Hanno lasciato i piatti ancora sporchi nel lavello (...) sul tavolo in cucina hanno dimenticato anche il telefono cellulare. Sono saliti sulla loro macchina, una Croma di colore blu targata Treviso e si sono portati via un borsone dove presumibilmente hanno riposto qualche capo di biancheria prima di andarsene per sempre”.
Un vicino di casa disse: “all’inizio di dicembre mi hanno detto che si sarebbero assentati per un paio di giorni ma che sarebbero tornati per sfruttare il momento favorevole alle vendite”.
I corpi senza vita dei due giovani furono invece ritrovati il 30 dicembre in un’auto Fiat 147 presa a noleggio, uccisi dai gas di scarico, nei pressi della cittadina argentina di San Carlos de Bariloche, “nella zona di Colonia Suiza Est, chilometro 25 tra Camino e Bahia Lopez”, praticamente dall’altra parte del mondo rispetto a Trieste. Gli inquirenti argentini ipotizzarono un suicidio “asfissiati a causa del monossido di carbonio con un tubo di gomma collegato con lo scappamento”, ma non fu trovato loro addosso alcun biglietto di spiegazioni, né alcuna lettera, “solo i tagliandi del volo Genova-Buenos Ayres, i passaporti e pochi dollari nelle loro tasche”.
Erano arrivati in Argentina l’11 dicembre ed avevano preso alloggio a Bariloche all’hotel Lagos de la Patagonia.
Un “investigatore” dichiarò alla stampa: “Non abbiamo elementi concreti ma il sospetto è che qualcuno si sia offerto di farli scappare da Trieste in Argentina e che poi li abbia scaricati”. 
Il p.m. Giorgio Nicoli incaricò delle indagini i carabinieri, ma “dal rapporto della polizia argentina risulta che non sia stata effettuata l’autopsia sui due cadaveri e che il magistrato argentino si sia accontentato di un esame esterno delle salme”. Le giornaliste Longo e Tagliacarne riportarono su “Cuore” le dichiarazioni dell’ex dirigente della Squadra mobile di Trieste, Carlo Lorito e quelle del p.m. Nicoli. Il primo avrebbe detto: “dal plutonio ai serpenti, dalle armi di qualsiasi genere all’eroina e all’hashish, dai datteri di mare alla cocaina, sono poche le mercanzie illegali che non passano per questo confine”. Il dottor Nicoli invece avrebbe dichiarato: “per ora il fascicolo è esile e siamo in attesa del rientro delle salme (...) ci può essere di tutto: possono avere avuto una proposta di lavoro non mantenuta e finita tragicamente. O magari si proverà che (...) c’è stata istigazione al suicidio. Oppure, viste le modalità, scopriremo una traccia che porta ai servizi segreti croati. Ma questo non lo scriva”. Come si vede, le giornaliste scrissero anche quello che il magistrato non voleva fosse reso pubblico, pur precisando che non voleva fosse scritto. 
All’epoca di questi articoli (fine gennaio) si era dunque in attesa del rimpatrio dei corpi, ma dopo pochi giorni la notizia sparì dalle pagine dei giornali e non sappiamo se le autopsie siano state fatte, se la magistratura croata fece delle indagini né a quali conclusioni sia giunta quella italiana. 
Una storia tragica ed anche piena di misteri. 
Cosa portò i due giovani, che sicuramente non navigavano nell’oro, a mollare tutto, da un giorno all’altro per prendere un aereo e partire per l’Argentina? Perché avrebbero dovuto accettare la proposta di qualcuno di “farli scappare” (scappare da cosa o da chi?), e perché proprio in Argentina, perché proprio in un posto come Bariloche, una cittadina della quale la maggior parte della gente non conosce neppure l’esistenza? 
Di Bariloche, località turistica nota in Sudamerica per la splendida foresta pietrificata che la circonda, parla la scrittrice Isabel Allende nel suo struggente “D’amore e d’ombra”: posta al confine tra Cile e Argentina, i laghi che costeggiano il confine erano attraversati dagli esuli cileni che fuggivano dalla dittatura prima che i militari prendessero il potere anche in Argentina. Bariloche è una cittadina graziosissima, che sembra trapiantata dalle Alpi germaniche agli antipodi del mondo, una cittadina la cui esistenza è divenuta nota al grande pubblico solo negli ultimi anni perché vi fu arrestato Erich Priebke (e per coincidenza proprio il 25/11/95, poco prima della repentina partenza di Valdi e Barbara). A Bariloche si insediarono nel dopoguerra moltissimi nazisti in fuga dall’Europa e giunti in Argentina con le cosiddette ratlines, che videro la collaborazione di strutture vaticane, neonaziste e dei servizi segreti “occidentali”, con la protezione dell’allora presidente Peròn. Ma non furono solo tedeschi a trovare rifugio in Argentina, c’erano anche fascisti italiani ed ustascia fuggiti dalla Croazia: e, tanto per parlare di coincidenze, ricordiamo che anche attraverso Trieste passava una delle linee di fuga dei nazisti (nel terzo capitolo del libro “Ratlines” (M. Arons e J. Loftus, “Ratlines”, Newton Compton, 1993), dove viene narrata la fuga da Roma del nazista ungherese Ferenc Vajta, leggiamo che all’epoca si ritenne che il rilascio fosse stato “congegnato” dal triestino Fausto Pecorari, segretario generale della Democrazia cristiana ed anche vicepresidente democristiano dell’Assemblea costituente).
Continuiamo con le coincidenze. Dall’8 gennaio 1996 a qualche giorno dopo, un immane incendio ha distrutto quattromila ettari di foresta nel parco nazionale vicino a Bariloche: lo abbiamo letto in due brevissimi trafiletti pubblicati all’epoca su “Liberazione”.
Vi sono poi altre cose che collegano l’Argentina con la Croazia. Ad esempio la notizia (luglio 1997) della messa sotto inchiesta del ministro della difesa argentina Oscar Camillòn per presunta vendita illegale di armi alla Croazia e all’Ecuador (“Ministro della difesa argentina sotto accusa”, su “Liberazione” 17/7/96).
In un testo di Michele Gambino e Luigi Grimaldi leggiamo: “il porto del cementificio di Umago, in Istria: nessuno lo ammette apertamente, ma da quando è iniziata la guerra, embargo o no (...) molte navi sbarcano carichi misteriosi (...) si tratta di mercantili battenti bandiera argentina (...) secondo gli esperti internazionali del commercio delle armi l’Argentina, assieme al Brasile, è uno dei principali esportatori mondiali di armi e attrezzature militari, a questo proposito, a partire dal 1992, alcuni osservatori hanno segnalato la comparsa, tra gli armamenti in dotazione alle milizie croate, del fucile mitragliatore Fal di produzione belga o, su licenza, argentina” (M. Gambino e L. Grimaldi, “Traffico d’armi”, Editori Riuniti 1995, p. 92, 93).
Il porto del cementificio di Umago: cioè la cittadina dalla quale provenivano Valdi e Barbara. Coincidenze?



From:   libreriacalusca  @  yahoo.it
Subject: Domenica 13 aprile ore 16.30 CACCIA ALLO ZINGARO Rom e Gadgi ne discutono insieme
Date: April 10, 2008 5:19:51 PM GMT+02:00

Calusca City Lights & CSOA Cox 18

Via Conchetta 18 Milano


Domenica 13 aprile 2008

ore 16,30


CACCIA ALLO ZINGARO


Attualità della resistenza Rom

nell’occhio del ciclone repressivo e securitario

 

"Pacchetto sicurezza" e "Patto di legalità": cosa sono, cosa comportano, quali sono i loro obiettivi?

Canea razzista, molotov contro i campi, guerra ai poveri, sgomberi a ripetizione, espulsioni... Come contrastare questa ondata di fango?


 

Rom e Gadgi ne discutono insieme


 

Partecipano:

Associazione Carlo Cuomo, campagna "Via Adda non si cancella",

compagni di Torino e Bologna, promotori delle manifestazioni "Rompere il silenzio",

e delegazioni dai vari campi Rom milanesi


 

- Proiezione del documentario "Via Adda non si cancella"

- Mostra fotografica su "I Rom nella Resistenza"




(deutsch / english
Proseguiamo la rassegna di contributi sul tema dei secessionismi anticinesi. Molti altri articoli sul tema sono raccolti alla pagina:

See also:

Newsletter 2008/03/17 - The Olympic Lever

BERLIN/BEIJING(own report) -- Berlin is using the upheaval in the western region of the People's Republic of China to pursue its campaign of attrition against Beijing...


Newsletter vom 17.03.2008 - Der Olympia-Hebel

BERLIN/BEIJING (Eigener Bericht) - Berlin bedient sich der Unruhen im Westen der Volksrepublik China zur Fortsetzung seiner Schwächungskampagne gegen Beijing...


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Der folgende Text in der originellen deutsche Fassung:

Newsletter vom 08.04.2008 - Die Fackellauf-Kampagne

LHASA/BERLIN (Eigener Bericht) - Eine Vorfeldorganisation der Berliner Außenpolitik ist maßgeblich in die Vorbereitung der aktuellen antichinesischen Tibet-Kampagne involviert... Die Unruhen begannen mit mörderischen pogromartigen Überfällen tibetischer Banden auf nicht-tibetische Bevölkerungsteile...


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The Olympic Torch Relay Campaign 

2008/04/08


LHASA/BERLIN (Own report) - Conference reports and the research of a Canadian journalist reveal that a German Foreign Ministry front organization is playing a decisive role in the preparations of the anti-Chinese Tibet campaign. According to this information, the campaign is being orchestrated from a Washington based headquarters. It had been assigned the task of organizing worldwide "protests" at a conference organized by the Friedrich Naumann Foundation (affiliated with the German Free Democratic Party - FDP) in May 2007. The plans were developed with the collaboration of the US State Department and the self-proclaimed Tibetan Government in Exile and call for high profile actions along the route of the Olympic Torch Relay and are supposed to reach a climax in August during the games in Beijing. The campaign began already last summer and is now profiting from the current uprising in the west of the People's Republic of China that is receiving prominent coverage in the German media. The uprising was initiated with murderous pogrom-like attacks by Tibetan gangs on non-Tibetan members of the population, including the Muslim Chinese minority. Numerous deaths of non-Tibetans provoked a reaction of the Chinese security forces.

According to the research by a Canadian journalist, a conference organized by the Friedrich Naumann Foundation (FNSt) gave the impetus to the current anti-Chinese Tibet campaign that violently forced the interruption of the Olympian Torch Relay in Paris last Monday.[1] The conference was the fifth "International Tibet Support Groups Conference," that was held from May 11 - 14, 2007 in Brussels. According to FNSt information this conference was supposed to do nothing other than the four preceding conferences [2] - "coordinate the work of the international Tibet groups and consolidate the links between them with the central Tibetan Government in Exile."[3] The German foundation, which is largely state financed, began the conference preparations in March 2005, and coordinated its plans with the Dalai Lama at his headquarters in the self-proclaimed Tibetan Government in Exile in Dharamsala, India. More than 300 participants from 56 countries, 36 Tibetan associations and 145 Tibet support groups were represented at the conference.

Roadmap

After several days of consultations the conference ended with a concerted "plan of action". The paper is entitled "Roadmap for the Tibet Movement for the Coming Years" covering four areas of interest: "political support for negotiations", "human rights", "environment and development" and "the 2008 Olympic games in Beijing." The results of the conference are directed to the Tibetan people as well as "their supporters around the world."[4] Rolf Berndt, a member of the FNSt's executive council in Brussels, declared that the Olympic Games "are an excellent opportunity" to publicly promote the cause of the "Tibet Movement".[5] The conference participants agreed to make the Olympics the single focus of attack for their activities for the next 15 months.[6] They hired a full-time organizer for their campaign, who has since been directing the worldwide Tibet actions from their Washington headquarters.

State Department

The decisions taken at the conference in Brussels, prepared by the Friedrich Naumann Foundation, are particularly significant not only because of the large number of participants but also because of the influential politicians who helped in their formulation. For example the self-proclaimed Tibetan Government in Exile, which enjoys much prestige among separatists, was represented by its "Prime Minister" Samdong Rinpoche. Also attending was another eminent politician from the Indian Himachal Pradesh state, bordering on the People's Republic of China, where the town Dharamsala is located, the "seat" of the Tibetan "Government in Exile." A brisk interchange takes place between Himachan Pradesh and the Chinese autonomous region of Tibet. Paula Dobriansky, the Undersecretary of State in the US State Department and special coordinator for Tibet questions also participated. She was a member of the National Security Council already in the Reagan Administration, continued her career in the State Department during the administration of President Bush Sr. and since 2001 was again in the US foreign ministry. Ms Drobriansky is considered to be one of the members of the neo-conservative inner circle in the Bush Administration and ranks as a hard-liner capable of imposing policy.

Every Day

As a Canadian journalist learned through his research, the campaign headquarters in Washington, that had been decided upon at the conference in Brussels, has been able to develop rather successful activities. Already at the beginning of August 2007, exactly one year before the opening of the Olympics, a close associate organized a high profile action at the tourist filled Great Wall to the north of Beijing. She maintains close contact to the Tibetan "Government in Exile".[7] Another close associate recently orchestrated the disturbance of the Olympic Torch Relay in Greece, seen on television around the world. The Washington headquarters is orchestrating other "protests" intended to disturb the Torch Relay. The campaign will reach its climax during the Olympic games in August. "We are determined to have non-violent direct action in the heart of Beijing, inside the Games, every day," one activist declared.[8]

Merciless

The anti-Chinese Tibet campaign, initiated under the direction of a German Foreign Ministry front organization (Friedrich Naumann Foundation) and a high-ranking representative of the US State Department, is developing its full efficacy in the aftermath of the uprisings in West People's Republic of China that began only a few days before the start of the Torch Relay. Whereas the German media mainly reported on brutal attacks of the Chinese security forces, eye-witness accounts provide a different picture of what happened. The British journalist, James Miles ("The Economist"), who was in Lhasa from March 12 - 19, reports of pogrom-like attacks by Tibetan gangs on non-Tibetan members of the population of the city, among them the Muslim minority. According to Miles, the shops of Tibetan merchants were marked and left unscathed while all other shops were plundered, destroyed or set afire.[9] In one building alone five textile saleswomen were burned to death. Besides Miles, western tourists also described the attacks on non-Tibetans. One Canadian saw how a group of Tibetans beat a Chinese motorcyclist and proceeded to "mercilessly" stone him. "Eventually they got him on the ground, they were hitting him on the head with stones until he lost consciousness. I believe that young man was killed,'' reported the tourist.[10]

Manipulations

Whereas Miles was describing the reluctant reactions of the Chinese security forces in an interview broadcast over CNN, the German media is using the uprisings as a backdrop to represent brutal Chinese repression. Facts obviously play a subordinate role. In the meantime, television channels and daily journals have had to admit manipulations of pictures. Film sequences with Nepalese policemen beating demonstrators were sold as documentation of alleged Chinese police attacks.[11] The security forces' saving a boy from an attacking Tibetan mob was coarsely labeled a violent arrest. Even Miles' report was editorially presented in a context to focus on Chinese repression. For the purpose of comparison, german-foreign-policy.com documents excerpts of a CNN interview with the British journalist as well as the corresponding passage from a renowned German daily.[12] (Click here.)

Anticipation

The pogrom-like mob-violence not only created the necessary media profile for the current Tibet campaign, initiated with the help of the Friedrich Naumann Foundation, it also permits an insight into the character of Tibetan separatism. The "prime minister" of the Tibetan "Exile Government," who had participated in the formulation of the plan of action at the May 2007 Tibet Conference in Brussels, had already at the end of the 1990s, expounded in the German media on his views of the future of non-Tibetans, who had immigrated to Tibet over the past 50 years. In the case of a successful secession, they will have to "return to China, or if they would like to remain, be treated as foreigners." He explained the planned measures: "they will, in any case, not be allowed to participate in the political life."[13] The prospect of discrimination against all non-Tibetan members of the population was anticipated in mid-March by mobs in their bloody attacks on Chinese and members of the Muslim minority.



[1] Doug Saunders: How three Canadians upstaged Beijing; Globe and Mail 29.03.2008. Die Konferenz wurde von der Friedrich-Naumann-Stiftung in Zusammenarbeit mit der selbsternannten tibetischen Exilregierung und einem interfraktionellen Zusammenschluss des belgischen Parlaments durchgeführt.
[2] Die ersten vier "International Tibet Support Groups Conferences" fanden 1990 (Dharamsala), 1996 (Bonn), 2000 (Berlin) und 2003 (Prag) statt. Bereits die zweite Konferenz wurde von der Friedrich-Naumann-Stiftung organisiert.
[3] Gerhardt kritisiert Belgien nach Absage des Dalai-Lama-Besuchs; www.fnst-freiheit.org 11.05.2007
[4] Brussels Tibet conference roadmap for peace in Tibet; www.tibet.com 14.05.2007
[5] Valedictory Speech, International Tibet Support Groups Conference 5th, Dr. h.c. Rolf Berndt, Executive Director, Friedrich-Naumann-Stiftung fuer die Freiheit,Brussels, 14th May 2007
[6], [7}, [8] Doug Saunders: How three Canadians upstaged Beijing; Globe and Mail 29.03.2008
[9] Transcript: James Miles interview on Tibet; CNN 20.03.2008
[10] Chinese beaten mercilessly - tourists; Herald Sun 19.03.2008
[11] Fotos aus Tibet; Frankfurter Allgemeine Zeitung 24.03.2008
[12] see also Augenzeuge
[13] "99 Prozent der Tibeter vertrauen in Seine Heiligkeit"; Berliner Zeitung 20.10.1997. Ähnlich hat sich erst kürzlich der Dalai Lama geäußert. "Alle Chinesen, die Tibetisch sprechen und die tibetische Kultur respektieren, können bleiben", sagte er einer deutschen Zeitung - mit einer Einschränkung: "sofern es nicht zu viele sind". "China mischt sich auch in Deutschlands Angelegenheiten ein"; Süddeutsche Zeitung 21.09.2007




Dal settimanale croato "NACIONAL" , 25 marzo 2008 

Meglio la tomba che la schiavitu' 

Non e' ancora troppo tardi per la resistenza

scrive: Vedrana Rudan

(original: Bolje grob nego rob
Kada dode NATO, kad u nase luke udu njihovi brodovi, kad se iznad nasih turistickih gradova budu probijali zvucni zidovi, kad nam izdaleka pocnu stizati mladi hrvatski lesevi, kad Hrvatska bude Bushu ono sto je NDH bila Mussoliniju, tko ´ce biti kriv?

 
Quando arrivera' la NATO, quando nei nostri porti entreranno le loro navi, quando sopra alle nostre citta' turistiche si rompera' il muro del suono, quando da lontano incominceranno ad arrivare le salme dei giovani croati, quando la Croazia sara' per Bush quello che l'NHD (Stato Indipendente di Croazia 1941-1945) fu per Mussolini, di chi sara' allora la colpa?
 
 
I professori e gli studenti della facolta' di Filosofia a Zagabria con mio grande entusiasmo hanno alzato la voce contro l'inserimento della Croazia nella NATO. Siccome tra i nostri politici, i fascisti americani e i principali media croati esiste un legame segreto, la voce della ragione croata si sente appena. Percio' sentiamo dire in continuazione che in aprile, se Dio ci dara' la salute, riceveremo l'invito per entrare nella ben nota coalizione per la diffusione della democrazia. E' essenziale, decisivo sapere quello che pensano gli studenti ed i professori della facolta' di Filosofia. Ecco le ragioni per cui sono contrari all'adesione alla NATO. Non vogliono che la Croazia da pedina si appiccichi all'imperialismo delle "corporations" angloamericano. Gli USA, prepotenti globali, hanno ammazzato piu' di un milione di iracheni sin dall'inizio dell'occupazione, sostengono i terroristi in tutto il mondo, buttano giu' tutti i governi dissenzienti dei piccoli paesi del mondo, depredano finanziariamente i paesi poveri tramite il FMI e la WTO. Se entreremo nella NATO, i nostri posteri si vergogneranno nello stesso modo in cui alcuni paesi oggi si vergognano del loro passato nazista. La Croazia e' scossa dal carovita, la situazione finanziaria va peggiorando, con l'entrata nella NATO la Croazia sara' esposta ad ulteriori grandi spese aggiuntive, necessarie per adeguarsi agli standard (non sempre logici) della NATO. Si calcola che l'entrata nella NATO per alcuni anni ci costera' almeno 10 miliardi di kune (1 euro circa = 7 kune, ndt)! Gia' ora, anche se non e' nella NATO, la Croazia sostiene l'occupazione americana e lo sfruttamento dell'Afghanistan, percio' saranno li' nel 2008 circa 300 soldati croati. Per i loro salari quest'anno si spenderanno come minimo 10 milioni di euro. Ci aspettano anche altre "missioni".
 
Il governo ci inganna quando dice che con la NATO saremo piu' sicuri. La verità è tutt'altra. Dai vicini non ci viene alcuna minaccia. Però i terroristi islamici sapranno risponderci per la partecipazione dei nostri soldati alle operazioni della NATO. Se contiamo che la Croazia sarà difesa dalla NATO, ricordiamoci come è andata la difesa di Srebrenica, Vukovar... I capi della NATO hanno in programma di trasferire la maggiorparte delle basi dalla Germania occidentale nei nuovi paesi membri, perciò a Cerklja in Slovenia, vicino alla frontiera croata si sta ristrutturando l'aeroporto per accogliere gli aerei NATO, benchè alla Slovenia sia stato promesso che lì non  costruiranno basi. Vogliamo davvero queste basi della NATO vicino a Pola, Spalato, Zara o Zagabria, come vanno annunciando? Gli studenti ed i professori della Facoltà di Filosofia di Zagabria nella loro Lettera aperta spiegano che la domanda da porre non è: "Deve la Croazia entrare nella NATO?", ma piuttosto: "Cosa succederà se la Croazia non entra nella NATO?". La loro risposta è: niente. Ma saremmo più sicuri, non getteremmo milioni al vento, la nostra coscienza sarebbe più pulita; perciò essi invitano il pubblico croato ad alzare la voce contro l'entrata della Croazia nella NATO. Questo è quanto. Tutti quelli cui sta a cuore il futuro della Croazia e ai quali è sufficientemente odioso il "silenzio croato", dopo aver letto di questa iniziativa di studenti e professori contro la NATO potranno gridare con grande felicità:  alleluja! finalmente i saggi di questo paesello hanno alzato la loro voce e scritto e firmato la loro protesta. Per la felicità delle generazioni future. Non sono gli unici. Altri giovani stanno preparando la raccolta delle 450.000 firme che costringeranno questo sfacciato governo ad indire un referendum sull'entrata della Croazia nella NATO. Sono orgogliosa che nel mio paese viva gente che ragiona con la propria testa e che pensa al futuro dei nostri figli. È terribile che non gli si dia spazio nei media affinchè la loro voce arrivi anche a coloro che non navigano avventurosamente su Internet.
 
Devo ammettere, conoscendo i media che contano e soprattutto la TV croata e il nostro servile governo, cui sta ben poco a cuore il destino dei cittadini di questo paese, che la voce coraggiosa degli studenti e professori della Facoltà di Filosofia dell’Università di Zagabria non giungerà lontano. Ma ugualmente non dovremmo rinunciarci. Una volta la gente si mobilitava contro la guerra e l’ingiustizia, anche se la rivolta non veniva ripresa dalla TV, perdendo anche la propria vita. Perchè allora stiamo tutti zitti? Siamo ancora in tempo. Organizzamoci! Attiviamoci per i nostri figli, per i nostri genitori. Distribuiamo volantini nelle case. Bussiamo alle porte dei vicini. Attacchiamo manifesti nelle scuole. Usciamo sulle strade. Portiamo striscioni. Noleggiamo megafoni. Scendiamo in piazza Jelacic (ex Piazza della Repubblica a Zagabria, ndt), appropriamoci delle piazze di tutte le città e i villaggi croati. Questo è il nostro paese. Esso non appartiene ne' a Mesic (odierno presidente della Croazia, ndt) ne' a Sanader (primo ministro, ndt), ne a Seks (Ministro della giustizia, fu scoperto nel 1991 dalle autorità jugoslave mentre organizzava la guerra di secessione attraverso sporchi traffici, ndt), ne' a Jandrokovic, ne' ai criminali che vogliono costruire la base militare vicino a Dubrovnik. Non è ancora chiaro che non abbiamo più niente da perdere? Ci hanno tolto tutto, firmando il patto con l’America sequestreranno anche l’ultimo spiraglio di orgoglio ancora accesso in noi. Possiamo noi dormire sonni tranquilli soltanto perchè laggiù alcuni studenti e professori stanno strillando per noi?
 
Potrà la loro coraggiosa voce lavare la nostra coscienza quando sarà la volta di un futuro infame? Quando arriveranno nei nostri porti le navi NATO, quando le nostre città si trasformeranno nei loro bordelli e le nostre figlie in prostitute, quando sopra le nostre bellissime città turistiche si udirà il rombo della perforazione del muro del suono, quando incominceranno ad arrivare i cadaveri dei nostri giovani soldati nelle bare rivestite della bandiera americana, quando la Croazia diventerà per Bush quello che la NDH (Stato indipendente croato, nazifascista, 1941-1944, ndt) fu per Mussolini, chi sarà il colpevole? Mesic? Sanader? Qualcuno sa dire prontamente chi fu a regalare pezzi di Croazia all’Italia? Ed il suo nome è essenziale? Possiamo addossare a Pavelic tutte le colpe? Oppure, volenti o nolenti, dobbiamo riconoscere che i suoi crimini furono sostenuti dai nostri avi, i croati silenziosi, vili, dei quali oggi ci vergogniamo... La storia si ripete. E di nuovo stiamo zitti, noi miserabili, e gioiamo perchè tra qualche settimana il nostro paese sarà visitato dall'Hitler del 21.mo secolo, noto anche per una tra milioni di sue frasi geniali: “La maggiorparte delle entrate viene dall'estero”. Nel nostro caso Bush si è sbagliato: queste entrate vengono dal nostro paese. Forse siamo ancora in tempo per dire NO a questo Hitler, noi silenziosi eredi dei muti seguaci di Pavelic, noi futuri omicidi dei nostri figli.




Riceviamo e volentieri giriamo la seguente segnalazione:
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PuntoRadio Cascina (PI) e Progetto TARGET
presentano

SOPRA LE TESTE DI BELGRADO

78 giorni di bombardamenti umanitari raccontati da chi stava sotto

trasmissione radiofonica in diretta su PuntoRadio 91.1 - 91.6 FM

dal 25/3 al 28/6/2008, dal lunedi al giovedi alle ore 15:30

autore, regia, interprete: Mario Mantilli

Sopra le teste di Belgrado - Il bombardamento "umanitario" della NATO sulla Serbia è durato 78 giorni. Mario Mantilli ripercorre i lunghi mesi dell'aggressione raccontando la vita quotidiana di un popolo costretto a sopravvivere sotto le bombe, fiaccato da un lungo embargo e dal pregiudizio internazionale.
Dopo 9 anni esatti il racconto, giorno per giorno, degli avvenimenti drammatici della crisi del Kosovo del 1999, quasi un radiogiornale di informazione quotidiana trasmesso in ritardo, fuori tempo massimo...

Mario Mantilli - attore, drammaturgo, regista, nato a Pisa il 24 aprile 1977. Allievo regista presso la Scuola d'Arte Drammatica "Paolo Grassi" di Milano. Ideatore, autore e responsabile del progetto Target - Belgrado 1999 (www.progettotarget.com).

Contatti: Punto Radio 91.1 - 91.6 FM
56021 Cascina (PI) - Via Lungo Le Mura, 155
www.puntoradio.fm - tel. 050-710071 - email:redazione @ puntoradio.fm

Il programma può essere ascoltato anche in streaming e scaricato in podcast



(english / italiano)


PARTITO SOCIALISTA DEI LAVORATORI DELLA CROAZIA

Zagabria, 22 marzo 2008

COMUNICATO

SUL RICONOSCIMENTO DEL KOSOVO DA PARTE DELLA REPUBBLICA DI CROAZIA

La secessione del distretto della Regione Autonoma di Kosovo e Metohija dal resto del paese di cui è parte, secondo le direttive di USA, NATO ed UE, è da considerarsi flagrante violazione della Legge internazionale, della Dichiarazione ONU nonché della Risoluzione della Commissione Badinter ed è perciò da valutare come un precedente serio e minaccioso che potrebbe dar luogo a nuovi conflitti nella regione, così come in altre zone nevralgiche, ovunque essa venga presa a modello per questioni nazionali irrisolte e per realizzare in modo forzoso aspirazioni territoriali.

La secessione del Kosovo potrebbe non essere vista come espressione del diritto dei popoli all'autodeterminazione ed alla secessione, poichè gli albanesi hanno già un loro Stato, e gli albanesi che vivono in Kosovo hanno i loro legittimi diritti esercitati nel quadro di un'ampia autonomia. L'indipendenza del Kosovo potrebbe eventualmente essere accettata con il consenso di ambo le parti, ma non certo come atto unilaterale.

Inoltre la secessione del Kosovo è una ovvia conseguenza delle tendenze imperialistiche, e soprattutto degli interessi economici e politici degli USA, che si atteggiano a poliziotto mondiale e a padroni dell'ordine mondiale capitalistico; e perciò un tale Stato frutto di imposizione e vassallaggio non può garantire la realizzazione di interessi legittimi del popolo albanese.

Per questi motivi riteniamo che il Kosovo-Metohija sia una parte inalienabile della Repubblica di Serbia e neghiamo valore alla Risoluzione della Repubblica di Croazia che riconosce questa creazione recente, con implicazioni potenzialmente assai negative sulle mutue relazioni nazionali e regionali anche all'interno della stessa Croazia. 

Il Responsabile per le Relazioni Internazionali: Vladimir Kapuralin                                                                          

Il Presidente: Ivan Plješa      



Begin forwarded message:

From: Vladimir Kapuralin 
Date: April 6, 2008 12:23:28 PM GMT+02:00
Subject: Statement of SWP of Croatia


SOCIJALISTICKA RADNICKA PARTIJA HRVATSKE

SOCIALIST WORKERS' PARTY OF CROATIA

Zagreb, 22. III 2006


STATEMENT

REGARDING THE REPUBLIC OF CROATIA´S RECOGNITION OF KOSOVO

 

The Autonomous Kosovo and Metohia District´s secession from the main country in accordance with directives issued by the USA, NATO and EU, is considered glaring violant of International law, the OUN Declaration, as well as the Badminter Committee´s Resolution and therefore is percepted as a serioous and threatening precedent that could erupt in new conflicts within the region, as well as in other neuralgic zones wherever it might get patterned aiming at unsolved national issues and territorial aspirations enforced realization.

Kosovo secession could not be regarded as peoples right to selfdetermine and secede, since Albanians have alredy had their country, and Albanians living in Kosovo have their legitimate rights fully effectuated through wide autonomy. The independence of Kosovo could be eventually accepted by both poples´ consent, but unilaterally by no means.

Besides the secession of Kosovo is obviously a consequence of imperialistic tendences, but above all the economical and political interest of the USA, casting the world´s policeman and the patron of international capitalist order, therefore that obtruded and vassal state can not trusty guarantee Albanian people legitimate interests´ accomplishment.

Thereupon our consideration is that Kosovo and Metohia is an inalineable part of the Republic of Serbia and we deny Resolution of the Republic of Croatia on that recent creation´s recognition, anticipating that act could bring some negative implications onto mutual national and regional relations within Croatia itself too.

 

Responsible for International Relations                                           President

Vladimir Kapuralin                                                                           Ivan Plješa      




Oscurantismo tibetano

(Proseguiamo la rassegna di contributi sul tema dei secessionismi anticinesi. Molti altri articoli sul tema sono raccolti alla pagina:

1) Mi dispiace, ma non mi commuovo per il Dalai Lama! (di Massimiliano Ay)
2) Il Dalai Lama: "Dico no all’omosessualità. E Bush mi piace"(2006)


=== 1 ===


www.resistenze.org - popoli resistenti - cina - 22-03-08 - n. 220

Mi dispiace, ma non mi commuovo per il Dalai Lama!

 

di Massimiliano Ay

 

Un treno veloce collegherà a breve il Tibet al resto della Cina: l’arrivo della piena modernità agita chi coltiva progetti restauratori per quella regione del mondo in cui da cinquant’anni anche le donne finalmente vanno a scuola. C’è da constatare come a volte i fumi di certi incensi siano volti, più che alla purificazione dello spirito, all’annebbiamento della comprensione degli avvenimenti. Certo si è sempre contro violenza e repressione, ma che cosa è successo in Tibet? Gruppi di nazionalisti tibetani hanno assaltato non i luoghi del potere politico, ma i negozi dei commercianti cinesi. Morti e feriti si sono verificati tra tibetani e cinesi. Può tutto questo essere ricondotto alla solita tesi dei cattivi cinesi e dei poveri monaci? Credo di no! Siamo tutti d’accordo nel chiedere al governo cinese moderazione nella gestione dell’emergenza, ma l’isteria del “Free Tibet” spopola sui media occidentali facendo passare informazioni palesemente distorte per abituare l’opinione pubblica a vedere nella Cina il futuro nemico dell’Occidente: prima c’erano i sovietici, ora gli integralisti islamici, fra un po’ i cinesi, che oltre a dirsi comunisti sono anche dannatamente capaci sul fronte economico, ponendo seri problemi al dominio nordamericano. La Sinistra occidentale, come spesso accade, ormai del tutto disarmata da quel metodo scientifico di analisi che è il marxismo, si lascia prendere da facili emozioni pseudo-umanitarie e si scaglia senza riflettere contro il bastione cinese che non si arrende al mondo unipolare. La storia della “repressione” è però un’altra e va raccontata anche se è impopolare.

 

Riabilitare i nazi... 

La storia di quella terra la conosciamo in parte grazie al film “Sette anni in Tibet”. Un film di parte, basato sul libro di un certo Heinrich Harrer, un nazista austriaco che durante la seconda guerra era in amicizia con l’artistocrazia tibetana: il colonialismo hitleriano infatti in quel periodo era in competizione con quello inglese. Un film incentrato sul racconto di un nazista che viene sdoganato e lodato nella sale cinematografiche e nelle scuole dei nostri paesi democratici: che grande esempio di civiltà!

 

Il santone 

E in tutta questa storia campeggia una figura spirituale amata da tutti gli occidentali in cerca di una identità “alternativa”: il Dalai Lama, che vive di un vitalizio finanziario gentilmente concessogli dal governo di Washington. Il suo metodo viene definito gandhiano, nonviolento e pacifista. Strani aggettivi per uno che sosteneva i bombardamenti della NATO contro la Jugoslavia! Ma al di là di ciò, questo signore è ben strano, è contro l’aborto e denuncia i gay, è nostalgico di un sistema dove vigeva la schiavitù, dove non si consideravano le donne quali esseri umani ma le si facevano dormire con gli animali, dove si gestiva una società autoritaria e teocratica basata sulle caste, dove le scuole non esistevano così come gli ospedali, e dove i figli dei contadini erano registrati come oggetti appartenenti al monaco di turno. Non è neppure necessario definirsi maoisiti per capire che i contadini tibetani hanno sostenuto l’Armata Rossa nel 1950, accogliendo con soddisfazione la ridistribuzione delle terre e l’abolizione della società feudale, piuttosto che il Dalai Lama che vive(va) a spese degli altri. Le riforme di Mao hanno portato all’innalzamento dell’età media della popolazione, alla costruzione di una rete viaria e di una rete educativa primaria e professionale in cui la lingua d’insegamento è il tibetano. Perché non si dice cosa era il Tibet prima della Rivoluzione? Da quando dei democratici – ancorché non comunisti – si mettono a difendere una società autocratica come quella lamaista? Perché non si dice che il Dalai Lama fu costretto ad andarsene anche a seguito di una rivolta popolare contro la schiavitù?

 

L’invasione fu davvero invasione? 

Si dice comunemente che la Cina maoista invase il Tibet. E giù tutti a gridare che anche i comunisti sono dei colonialisti. A dire il vero, però, il Tibet è da quasi mille anni una provincia cinese: solo dopo il 1949, anno della costituzione della Cina rivoluzionaria, gli Stati occidentali, USA in testa, iniziarono a interessarsene (in funzione anti-Pechino), creando in seguito degli eserciti controrivoluzionari. Come diceva bene il 9 gennaio 2000 sul quotidiano “Il Manifesto” Enrica Collotti Pischel: “Non ha alcun senso dire che la Cina conquistò il Tibet (...); nel 1950 le forze di Mao completarono in Tibet il controllo sul territorio cinese; nel 1951 fu raggiunto un accordo con il Dalai Lama per la concessione di un regime di autonomia. Verso il 1957, nel pieno dell'assedio statunitense alla Cina, i servizi segreti inglesi e americani fomentarono una rivolta dei gruppi di tibetani (...); i cinesi repressero certamente la rivolta con pugno di ferro: nelle circostanze internazionali nelle quali si trovavano e nel loro contesto etnico non era razionale pensare che si comportassero diversamente. (...) Sullo sfondo della rivolta, il Dalai Lama dichiarò decaduto l'accordo per il regime autonomo e fuggì con la maggioranza della classe dirigente tibetana in India, dove costituì un proprio governo in esilio e il proprio centro di propaganda. (...) Recentemente la CIA (...) ha ammesso di aver finanziato tutta l'operazione della rivolta tibetana.” Ma allora, la Cina popolare cosa ha fatto di tanto “riprovevole”? Non solo ha portato diritti sociali ai contadini tibetani che prima erano schiavi del Dalai Lama, ma ha concesso al Tibet uno statuto di autonomia che garantisce la loro lingua, la loro cultura e la loro religione.

 

Una strategia imperialista 

Usciamo dal discorso buonista cui siamo abituati: sappiamo che il “dividi et impera” è una strategia tipica dell’imperialismo, utilizzata spesso dagli USA, i quali stretti da recessione e declino, operano per frantumarne l’unità della Cina e fomentare guerre civili etniche con gruppi terroristici appositamente addestrati e una asfissiante propaganda unita a qualche messaggio religioso. Si alimentano quindi i nazionalismi e gli integralismi religiosi non solo in Tibet, ma anche nello Xingian (provincia cinese a maggioranza turca): questa strategia l’abbiamo già vista applicata nella ex-URSS e nella ex-Jugoslavia, paesi che per quanto criticabili sotto determinati aspetti, erano sovrani e favorivano un mondo multipolare. Eppure, nonostante questi fatti, tutto viene confuso con quello che è diventato un dogma: il “diritto all’autodeterminazione dei popoli” che nel caso concreto è orchestrato all’estero! Per dei comunisti vale il metodo marxiano di analisi dello stato di cose presenti. Non vedere come certi princìpi, nell’evoluzione della realtà, possano diventare strumenti reazionari, significa abbandonare di colpo ogni base filosofica materialista-dialettica.

 

Massimiliano Ay
Membro del Comitato Centrale del Partito Svizzero del Lavoro / Partito Comunista del Ticino


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ESTERI

IL MATRIMONIO È UNA DELLE VIE ALLA FELICITA’

Il Dalai Lama: dico no all’omosessualità. 
Il sesso è procreazione

«Uccidere Bin Laden significa creare altro odio. Guerra sbagliata in Iraq, però Bush mi piace»

3/4/2006 

A Dharamsala, vecchio avamposto britannico nel Nord dell’India, migliaia di tibetani esiliati cercano rifugio presso il loro leader, il Dalai Lama. Qui arrivano anche centinaia di occidentali, con la loro guida Lonely Planet, per dare un’occhiata al guru. Un’ereditiera australiana sovrappeso di nome Heidi Gudrun si lamenta: «Per quindici anni ho cercato di perdere peso. Ho perso due mariti, mi hanno cucito lo stomaco. Il Dalai Lama è la mia ultima speranza». Il destino peculiare del Dalai Lama è di fare da guru tanto per le ereditiere australiane sovrappeso quanto per dieci milioni di buddhisti tibetani perseguitati. Il suo status di divinità risale all’età di due anni: i monaci che lo trovarono a giocare in una fattoria nel Nord Est del Tibet lo portarono nella capitale Lhasa, dove fu riconosciuto come reincarnazione del Buddha dopo aver individuato la tazza per bere e la dentiera del precedente Dalai Lama nel palazzo di Potala.

Pur essendo vissuto da monaco per tutta la vita, il Dalai Lama vede nel matrimonio una delle vie maestre per la felicità. «Troppe persone in Occidente hanno rinunciato al matrimonio - dice -. Non si rendono conto che si tratta di sviluppare reciproca ammirazione, profondo rispetto, fiducia, e consapevolezza dei bisogni di un altro essere umano. Le relazioni che vanno e vengono con facilità rendono più liberi ma meno appagati».

Pur essendo noto per i suoi punti di vista umani e tolleranti, il Dalai Lama è sorprendentemente critico nei confronti dell’omosessualità. È male, dice, per un buddhista. «No assoluto. Senza sfumature. Una coppia gay mi è venuta a trovare, cercando il mio appoggio e la mia benedizione. Ho dovuto spiegar loro i nostri insegnamenti. Una donna mi ha presentato un’altra donna come sua moglie: sconcertante. Al pari dell’uso di certe pratiche sessuali fra marito e moglie. Usare gli altri due buchi è sbagliato». A questo punto il Dalai Lama si volge al suo interprete per assicurarsi di aver utilizzato le parole inglesi corrette per discutere di questa delicata materia. L’interprete annuisce in maniera appena percettibile. 

«Un amico occidentale - riprende il Dalai Lama, infervorandosi - mi ha chiesto che male possa mai venire da due adulti consenzienti che fanno sesso orale, se a loro piace. Ma lo scopo del sesso è la riproduzione, secondo il buddhismo. Gli altri buchi non creano vita. Non posso condonare questo genere di pratiche». Si mette a ridere quando quando cambio argomento e gli parlo dei tentativi occidentali di accedere a una maggiore spiritualità attraverso lo yoga, i massaggi e l’agopuntura. «Queste sono solo attività fisiche - dice -. Per essere più felici bisogna passare meno tempo a pianificare la propria vita, e accettare di più quello che viene».

Il Dalai Lama è stato criticato per essersi troppo concesso alle lusinghe dell’Occidente: frequenta troppo le celebrità, dicono i suoi detrattori, ed è troppo disponibile a farsi fotografare su riviste frivole accanto alla duchessa di York o personaggi del genere. «C’è chi mi trova una brava persona, e c’è chi crede che io sia un ciarlatano: ma sono solo un monaco» dice con un largo sorriso. «Non ho mai chiesto a persone come Richard Gere di venire a trovarmi, ma sarebbe assurdo fermarle. Ci vengono tibetani, indiani, malati di Aids, persone religiose, politici, attori e principesse. Il mio atteggiamento è dare a ognuno un po’ del mio tempo: se posso contribuire in qualche modo alla loro felicità, ne sono felice a mia volta». Molte donne occidentali che si mettono in fila per essere benedette gli dicono di non voler parlare con lui di niente di particolare. «Incontro donne che in passato hanno abortito perché pensavano che un figlio avrebbe rovinato le loro vite. Un bambino sembrava loro insopportabile, ma adesso sono diventate più vecchie e incapaci di concepire. Mi sento così triste per loro». Il Dalai Lama dice loro che hanno bisogno di riscoprire la forza interiore. «L’Occidente oggi è debole, non sa fronteggiare le avversità e ha poca compassione per gli altri. Ma le persone possono trovare la maniera per contrastare le forze negative. Se invece si sovraccaricano di responsabilità riguardo ai loro problemi personali, diventano sempre meno fiduciose». Il Dalai Lama non crede che si debba necessariamente essere religiosi per avere una vita ricca di significato. «Però bisogna avere una morale e puntare a sviluppare le qualità basilari dell’umanità. Io non voglio convertire la gente al buddhismo, tutte le grandi religioni, se interpretate correttamente, hanno lo stesso potenziale di bene»

Tuttavia la religione si è fatta cattiva, ci sono fanatici che predicano l’odio... «Il fondamentalismo è terrificante perché è basato sull’emozione anziché sulla ragione. Impedisce alle persone di pensare da individui e di perseguire il bene del mondo. Questo nuovo terrorismo è stato provocato soprattutto da invidia e frustrazione nei confronti dell’Occidente, che in tv appare così sviluppato e di successo. Alcuni leader fuori dall’Occidente usano la religione per reagire a tutto questo». I terroristi, dice il dalai Lama, vanno trattati umanamente, «altrimenti il problema si aggraverà. Se c’è un Bin Laden oggi, presto ne avremo dieci. Terrificante. Uccidi dieci Bin Laden e l’odio si diffonderà».

Che cosa pensa della guerra in Iraq? «Il metodo è stato violento. La violenza dà risultati imprevedibili, può produrre un’infinità di altri problemi» risponde il Dalai Lama, a cui la religione vieta di uccidere anche solo una zanzara. 

Benché non approvi la guerra in Iraq, il Dalai Lama ammira il presidente Bush. «È un uomo schietto - dice -. Nel nostro primo incontro mi trovai davanti a un vassoio pieno di biscotti. Il Presidente mi offrì immediatamente quelli che gli piacevano di più e da quel momento ci siamo intesi. Nella visita successiva Bush non se la prese quanto io fui perentorio riguardo alla guerra. E nella terza occasione, alla casa Bianca, fui sorpreso dalla sua conoscenza del buddhismo».

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Al Consiglio superiore della magistratura
 
Al Consiglio della magistratura militare
 
Loro sedi
 
 
Premessa

Nell’ambito della missione Pesd in Kosovo, il Ministero per gli affari esteri ha chiesto la disponibilità di magistrati ordinari e militari. A quella richiesta (cd. call for contribution), è stato dato corso offrendo ai magistrati la possibilità di partecipare alla selezione.
Lo scopo del presente quesito – nel rispetto per le scelte individuali dei singoli magistrati e per le loro professionalità – è richiamare l’attenzione su alcune caratteristiche della missione Pesd in Kosovo, e sollevare alcune perplessità giuridiche e istituzionali. La missione in Kosovo, che la nota del Ministero per gli affari esteri del 14.1.2008 qualifica per dimensione «superiore ad ogni altra operazione civile Pesd in corso», si inserisce in una crisi locale ma con ampie ripercussioni internazionali. Esiste la possibilità che quella missione leda principi del diritto internazionale e del diritto italiano.

 
La posizione dell’Unione Europea

Il Consiglio dell’Unione Europea il 10.4.2006 ha previsto «a possible EU crisis management operation in the field of rule of law and possible other areas in Kosovo», con l’obiettivo di una pianificazione in vista di una transizione in Kosovo, e precisamente di «a smooth transition between selected tasks of the United Nations Interim Administration Mission in Kosovo (Unmik) and a possible EU crisis management operation in the field of rule of law and other areas»[1].

Successivamente, il 14.9.2006 il Consiglio dell’Unione Europea ha istituito un gruppo di lavoro in vista di una successiva missione in Kosovo[2].

Il 4.2.2008 il Consiglio dell’Unione Europea, nominando lo European Union Special Representative (Eusr) in Kosovo, ha stabilito: «The mandate of the Eusr shall be based on the policy objectives of the EU in Kosovo. These include to play a leading role in strengthening stability in the region and in implementing a settlement defining Kosovo's future status, with the aim of a stable, viable, peaceful, democratic and multi-ethnic Kosovo, contributing to regional cooperation and stability, on the basis of good neighbourly relations; a Kosovo that is committed to the rule of law and to the protection of minorities, and of cultural and religious heritage»[3].

Il 4.2.2008 il Consiglio dell’Unione Europea ha anche istituito la European Union Rule of Law Mission in Kosovo, Eulex Kosovo, stabilendone i compiti: «Eulex Kosovo shall assist the Kosovo institutions, judicial authorities and law enforcement agencies in their progress towards sustainability and accountability and in further developing and strengthening an independent multi-ethnic justice system and multi-ethnic police and customs service, ensuring that these institutions are free from political interference and adhering to internationally recognised standards and European best practices»[4].

Il 16.2.2008 il Consiglio dell’Unione Europea ha deciso l’inizio della European Union Rule of Law Mission in Kosovo, Eulex Kosovo. Secondo il provvedimento, «The mission, which will be conducted under the European security and defence policy (Esdp), will assist Kosovo authorities, judicial authorities and law enforcement agencies in their progress towards sustainability and accountability and in further developing and strengthening an independent multi-ethnic justice system and multi-ethnic police and customs service, ensuring that these institutions are free from political interference and adhering to internationally recognised standards and European best practices»[5].

Nessuno di questi provvedimenti dell’Unione Europea fa esplicito riferimento alla creazione di uno Stato del Kosovo, ma con la promessa di assistenza – in cui si nomina il Kosovo ma non la Serbia, da cui il Kosovo il 16.2.2008 ancora non aveva dichiarato l’indipendenza – per la creazione di sistemi indipendenti nel campo giudiziario, doganale e di polizia, i provvedimenti dell’Unione Europea hanno oggettivamente incoraggiato il distacco del Kosovo.

Un documento importante in tema di strategia di sicurezza europea, e quindi in tema di Pesd, è Un’Europa sicura in un mondo migliore. Strategia europea in materia di sicurezza, Bruxelles 12.12.2003[6] (noto anche come «documento Solana»), a cura dell’Ufficio del segretario generale del Consiglio dell’Unione Europea e alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune. A proposito dei Balcani, vi si legge: «Grazie ai nostri sforzi in concertazione con gli Stati Uniti, la Russia, la Nato e altri partner internazionali, la stabilità della regione non è più minacciata dall'incombere di un grave conflitto», e «Dovremo continuare a lavorare per rendere più strette le nostre relazioni con la Russia, che rappresenta una componente di primaria importanza per la nostra sicurezza e la nostra prosperità». Ma più in generale il documento dice: «Siamo impegnati nella salvaguardia e nello sviluppo del diritto internazionale. Il quadro fondamentale in cui si collocano le relazioni internazionali è la Carta delle Nazioni Unite. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha la responsabilità primaria del mantenimento della pace e della sicurezza internazionali. Rafforzare le Nazioni Unite e dotarle dei mezzi necessari perché esse assolvano alle loro responsabilità e agiscano con efficacia rappresenta una priorità dell'Europa». La missione Pesd in Kosovo, malgrado ciò che il documento Solana si riprometteva, non è stata concertata con la Russia, ed anzi gravi frizioni proprio con la Russia sono seguite alla dichiarazione di indipendenza del Kosovo ed al suo riconoscimento da parte di alcuni Stati europei. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu non è stato coinvolto prima della dichiarazione di indipendenza del Kosovo, e l’integrità territoriale della Serbia ha subìto un’offesa, con compromissione del diritto internazionale e delle relazioni internazionali.

 

Il dovere della pace

Già dopo la prima guerra mondiale, il Trattato di Versailles del 28 giugno 1919[7], all’art. 227, accusando l’imperatore di Germania di «Supreme offence against international morality and the sanctity of treaties», tratteggia il crimine contro la pace. Prevedendo a suo carico un processo – mai svolto – il Trattato impone: «In its decision the tribunal will be guided by the highest motives of international policy, with a view to vindicating the solemn obligations of international undertakings and the validity of international morality. It will be its duty to fix the punishment which it considers should be imposed».
Successivamente – dopo il tentativo costituito dal progetto Shotwell, Outlawry of Aggressive War – il Trattato di Parigi del 27 agosto 1928[8] (cd. Patto Kellogg-Briand) afferma la proibizione assoluta della guerra come strumento di politica. Nelle premesse del Trattato (Treaty between the United States and other Powers providing for the renunciation of war as an instrument of national policy) gli Stati aderenti si dichiarano «Deeply sensible of their solemn duty to promote the welfare of mankind», e convinti che sia tempo di una «frank renunciation of war as an instrument of national policy» e che «all changes in their relations with one another should be sought only by pacific means and be the result of a peaceful and orderly process». All’art. 1 le parti dichiarano solennemente a nome dei loro popoli di condannare il ricorso alla guerra («The High Contracting Parties solemly declare in the names of their respective peoples that they condemn recourse to war for the solution of international controversies, and renounce it, as an instrument of national policy in their relations with one another»). Al Trattato di Parigi aderiscono oltre sessanta Stati, fra cui l’Italia, che gli dà esecuzione con il r.d.l. 31.1.1929 n. 154.

Lo statuto del Tribunale militare internazionale (cd. Tribunale di Norimberga), allegato all’atto che lo istituisce, ossia all’Accordo di Londra dell’8 agosto 1945, prevede, oltre ai crimini di guerra ed a quelli contro l’umanità, i crimini contro la pace. Li definisce l’art. 6 (a): «Crimes against peace: namely, planning, preparation, initiation or waging of a war of aggression, or a war in violation of international treaties, agreements or assurances, or participation in a common plan or conspiracy for the accomplishment of any of the foregoing».

La sentenza di Norimberga definisce la guerra essenzialmente un male, e insiste sul fatto che la guerra di aggressione non è solo un crimine internazionale, ma è il crimine internazionale supremo. Secondo la sentenza, «War is essentially an evil thing. Its consequences are not confined to the belligerent states alone, but affect the whole world. To initiate a war of aggression, therefore, is not only an international crime; it is the supreme international crime differing only from other war crimes in that it contains within itself the accumulated evil of the whole». (così Judgment of the International Military Tribunal for the Trial of German Major War Criminals - The Common Plan or Conspiracy and Aggressive War).

Con la risoluzione 95 dell’11.12.1946[9] l’Assemblea generale dell’Onu ha confermato i principi di diritto internazionale riconosciuti dallo statuto del Tribunale militare internazionale, cd. Tribunale di Norimberga («affirms the principles of international law recognized by the Charter of the Nürnberg Tribunal»). Inoltre, su incarico dell’Assemblea generale (risoluzione 177 del 21.11.1947[10]), nel 1950 la Commissione di diritto internazionale dell’Onu ha stabilito il testo dei Principi di diritto internazionale riconosciuti nello statuto e nel giudizio del Tribunale di Norimberga (cd. Nürnberg principles, Principi di Norimberga).

L’Assemblea generale dell’Onu (risoluzione 488 del 12.12.1950[11]) ha preso atto dei Nürnberg principles e ha incaricato la Commissione di predisporre il Draft Code of offences against the peace and security of mankind. Il Draft Code è stato predisposto nel 1954. L’art. 1 ribadisce la responsabilità delle persone fisiche: «Offences against the peace and security of mankind, as defined in this Code, are crimes under international law, for which the responsible individuals shall be punished». L’art. 2 elenca i fatti che costituiscono offesa alla pace e alla sicurezza dell’umanità, fra cui:

 

(2) Any threat by the authorities of a State to resort to an act of aggression against another State.
(5) The undertaking or encouragement by the authorities of a State of activities calculated to foment civil strife in another State, or the toleration by the authorities of a State of organized activities calculated to foment civil strife in another State.
(6) The undertaking or encouragement by the authorities of a State of terrorist activities in another State, or the toleration by the authorities of a State of organized activities calculated to carry out terrorist acts in another State.
(9) The intervention by the authorities of a State in the internal or external affairs of another State, by means of coercive measures of an economic or political character in order to force its will and thereby obtain advantages of any kind.
(10) Acts by the authorities of a State or by private individuals committed with intent to destroy, in whole or in part, a national, ethnic, racial or religious group as such…
(13) Acts which constitute:
(i) Conspiracy to commit any of the offences defined in the preceding paragraphs of this article; or
(ii) Direct incitement to commit any of the offences defined in the preceding paragraphs of this article; or
(iii) Complicity in the commission of any of the offences defined in the preceding paragraphs of this article; or
(iv) Attempts to commit any of the offences defined in the preceding paragraphs of this article.
 
Particolare importanza, proprio a tutela della pace, hanno dunque sia il divieto di fomentare un conflitto civile in un altro Stato (civil strife), sia il divieto di ingerenza nei suoi affari interni.
Un lungo lavoro ha portato alla formulazione della Declaration on Principles of International Law concerning Friendly Relations and Co-operation among States in accordance with the Charter of the United Nations, approvata con la risoluzione dell’Assemblea generale dell’Onu 2625 del 24.10.1970[12]. Nel suo preambolo, oltre a ribadire lo scopo del mantenimento della pace internazionale e delle buone relazioni fra gli Stati, la Dichiarazione afferma che quello scopo prescinde dai sistemi politici, economici sociali, e dai livelli di sviluppo («irrespective of their political, economic and social systems or the levels of their development»). Inoltre, ribadisce il divieto di ingerenza negli affari di un altro Stato («the practice of any form of intervention not only violates the spirit and letter of the Charter, but also leads to the creation of situations which threaten international peace and security»), e sottolinea l’importanza del principio di autodeterminazione per la pace («the subjection of peoples to alien subjugation, domination and exploitation constitutes a major obstacle to the promotion of international peace and security») e per il diritto internazionale («the principle of equal rights and self-determination of peoples constitutes a significant contribution to contemporary international law»).
Nell’ambito del principio di non intervento (the principle concerning the duty not to intervene in matters within the domestic jurisdiction), la Dichiarazione vieta l’intervento negli affari di un altro Stato per qualsiasi ragione («No State or group of States has the right to intervene, directly or indirectly, for any reason whatever, in the internal or external affairs of any other State»), ed afferma il diritto inalienabile di scelta del sistema politico, economico, sociale e culturale, senza interferenze («Every State has an inalienable right to choose its political, economic, social and cultural systems, without interference in any form by another State»). Nell’ambito del principio di autodeterminazione dei popoli (the principle of equal rights and self-determination of peoples), afferma che i popoli sono legittimati all’autodeterminazione, contro le azioni che lo offendono («In their action against, and resistance to, such forcible action in pursuit of the exercise of their right to self-determination, such peoples are entitled to seek and to receive support in accordance with the purposes and principles of the Charter»).
La Dichiarazione è stata preceduta da altre risoluzioni dell’Assemblea generale, nello stesso ambito: la 1815 del 18.12.1962[13], la 1966 del 16.12.1963[14], la 2103 del 20.12.1965[15] (successiva all’interessamento a questi principi da parte della seconda conferenza dei Paesi Non Allineati, svolta al Cairo nel 1964), la 2181 del 12.12.1966[16], la 2327 del 18.12.1967[17], la 2533 dell’8.12.1969[18].
Il punto 3 del testo approvato nel 1970 afferma che i principi della Carta dell’Onu incorporati nella Dichiarazione costituiscono principi fondamentali del diritto internazionale. Lo conferma il fatto che le risoluzioni 1966 del 1963 e 2103 del 1965 richiamino la risoluzione dell’Assemblea generale 1505 del 12.12.1960[19] sulla codificazione del diritto internazionale. Quest’ultima richiama a sua volta le risoluzioni dell’Assemblea generale 1236 del 14.12.1957[20] e 1301 del 10.12.1958[21]. La prima sottolinea l’importanza della pace fra gli Stati «irrespective of their divergences or the relative stages and nature of their political, economic and social development»; la seconda invita gli Stati a rivolgersi all’Onu per la soluzione pacifica delle controversie.
La risoluzione 3314 del 14.12.1974[22] dell’Assemblea generale dell’Onu definisce l’aggressione, a seguito del lavoro di un comitato istituito con la risoluzione 2330 del 18.12.1967[23] dell’Assemblea (Special Committee on the Question of Defining Aggression). Dopo aver osservato nel preambolo che «aggression is the most serious and dangerous form of the illegal use of force, being fraught, in the conditions created by the existence of all types of weapons of mass destruction, with the possible threat of a world conflict and all its catastrophic consequences», la risoluzione del 1974 definisce l’aggressione come «the use of armed force by a State against the sovereignty, territorial integrity or political independence of another State, or in any other manner inconsistent with the Charter of the United Nations». L’art. 5 vieta l’aggressione, in ogni caso: «No consideration of whatever nature, whether political, economic, military or otherwise, may serve as a justification for aggression», e precisa la natura del crimine di aggressione: «A war of aggression is a crime against international peace. Aggression gives rise to international responsibility».
L’art. 5 dello statuto della Corte penale internazionale (Convenzione di Roma, 17.7.1998), include il crimine di aggressione (the crime of aggression) fra i crimini più gravi (the most serious crimes) su cui la Corte ha giurisdizione.

In tema di tutela della pace, e di rispetto delle singole nazionalità europee e dei singoli poteri pubblici locali, ha rilevanza anche la Carta di Nizza del 7 dicembre 2000. Secondo il suo Preambolo, «I popoli europei nel creare tra loro un’unione sempre più stretta hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni». Inoltre, «L’Unione contribuisce al mantenimento e allo sviluppo di questi valori comuni, nel rispetto della diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli europei, dell’identità nazionale degli Stati membri e dell’ordinamento dei loro pubblici poteri a livello nazionale, regionale e locale».

La Carta di Nizza ha efficacia anche nel diritto interno italiano. Della Carta ha tenuto conto più volte la Corte costituzionale: sent. 8.11.2006 n. 394 del 2006; sent. 23.10.2006 n. 393 del 2006; sent. 3.5.2006 n. 190 del 2006; sent. 24.10.2002 n. 445 del 2002; sent. 11.4.2002 n. 135 del 2002. Della Carta ha tenuto conto anche la Cassazione in sede penale: Cass. SS. UU. 30.1.2007, dep. 5.2.2007 n. 4614; Cass. 15.11.2006, dep. 15.1.2007 n. 564; Cass. SS. UU. 26.3.2003, dep. 13.5.2003 n. 21035. La stessa Cassazione ha tenuto conto della Carta anche in sede civile: Cass. 5.3.2003, dep. 6.4.2004 n. 6759; Cass. 5.3.2003, dep. 6.4.2004 n. 6760; Cass. 20.12.2001, dep. 10.12.2002 n. 17564. Anche gli statuti di alcune Regioni italiane, contengono riferimenti alla Carta di Nizza.

Il ripudio della guerra è stato accolto fra i principi fondamentali della Costituzione italiana, e la primaria importanza della pace come valore costituzionale è stata ribadita dalla Corte costituzionale[24].

 

La risoluzione 1244, gli Accordi di Rambouillet, l’autogoverno provvisorio

La risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu 1244 del 10.6.1999[25] aveva l’obiettivo di risolvere «the grave humanitarian situation in Kosovo, Federal Republic of Yugoslavia», e – pur prevedendo «the establishment, pending a final settlement, of substantial autonomy and self-government in Kosovo, taking full account of annex 2 and of the Rambouillet accords (S/1999/648)» – riaffermava «the commitment of all Member States to the sovereignty and territorial integrity of the Federal Republic of Yugoslavia…». Quindi, malgrado una previsione di autonomia, la risoluzione non prevedeva il distacco del Kosovo dallo Stato di cui faceva parte (prima la Repubblica federale di Jugoslavia, poi la Serbia), ma anzi tutelava l’integrità di quest’ultimo. 

Anche negli Accordi di Rambouillet[26], cui faceva più volte riferimento la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu 1244 del 10.6.1999, le premesse ribadiscono «the commitment of the international community to the sovereignty and territorial integrity of the Federal Republic of Yugoslavia». Negli stessi Accordi, l’art. 1.2 dell’Interim Agreement for Peace and Self-Government in Kosovo dispone che «The national communities […] shall not use their additional rights to endanger the rights of other national communities or the rights of citizens, the sovereignty and territorial integrity of the Federal Republic of Yugoslavia…». E fra le premesse della Constitution, si esprime il desiderio di «establish institutions of democratic self-government in Kosovo grounded in respect for the territorial integrity and sovereignty of the Federal Republic of Yugoslavia».

Il Constitutional Framework for Provisional Self-Government in Kosovo del 15.5.2001[27] prevede: «Kosovo is an entity under interim international administration which, with its people, has unique historical, legal, cultural and linguistic attributes. Kosovo is an undivided territory throughout which the Provisional Institutions of Self-Government established by this Constitutional Framework for Provisional Self-Government (Constitutional Framework) shall exercise their responsibilities». Quindi neppure le norme delle istituzioni provvisorie prevedono che il Kosovo diventi uno Stato, e si limitano invece a configurare una «entity». Oggi, invece, vi è il rischio che la garanzia del Constitutional Framework, secondo cui «No person shall be obliged to declare to which Community he belongs, or to declare himself a member of any Community», venga travolta proprio dalla dichiarazione di indipendenza, che verosimilmente costringerà i serbi del Kosovo a cercare tutela in una più spiccata dichiarazione di identità.

La dichiarazione di indipendenza del Kosovo non è prevista neppure dai provvedimenti dell’Unione Europea, anche se alcuni di essi possono essere interpretati con qualche ambiguità. Infatti, senza programmare il distacco del Kosovo dalla Serbia, sembrano consentire un oggettivo sostegno a quell’obiettivo.

Di fatto, alla dichiarazione unilaterale di indipendenza sono seguiti riconoscimenti di alcuni Stati, fra cui quello dell’Italia, ma non di altri, ed è stata esasperata una conflittualità locale già esistente, creando contrasti internazionali più vasti. La creazione o l’esasperazione di conflitti è ormai da anni il percorso con cui si giunge alla guerra, anche in Europa. Peace-keeping, peace-enforcing, peace-making, unilateralismo interventista (un caso di scambio fra sostantivo e aggettivo), ingerenza umanitaria, guerra umanitaria, intervento umanitario, guerra preventiva, guerra chirurgica, guerra al terrorismo, sono tra le voci più frequenti della recente tassonomia bellica. E purtroppo la dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo, come riportato da tutti gli organi d’informazione, è stata seguita da violenze, incendi, sommosse, anche con perdite di vite umane, e da prese di posizione – fra cui quelle di potenze come la Russia e la Cina – i cui toni perplessi o addirittura ostili inducono alla massima preoccupazione. Non è da escludere che persino alle recentissime, sanguinose vicende in Tibet – pur dipendenti da altre cause – abbia offerto un indiretto contributo politico l’incoraggiamento all’indipendenza del Kosovo.

 

Conclusioni

Appare utile che il Consiglio superiore della magistratura ed il Consiglio della magistratura militare possano riconsiderare la richiesta formulata dal Ministero per gli affari esteri e, tenuto conto degli altri elementi qui indicati, approfondire il tema valutando se sia compatibile con la legalità internazionale la partecipazione di magistrati italiani alla missione in Kosovo.

 

Roma, 21 marzo 2008

                                                  dott. Luca M. Baiada

                                    giudice del Tribunale militare di Roma

 

 

 

                                                  dott. Domenico Gallo

                                 consigliere della Corte di cassazione, Roma

 



[4] eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2008:042:0092:0098:EN:PDF
[8] www.yale.edu/lawweb/avalon/imt/proc/judcont.htm.
[9] accessdds.un.org/doc/RESOLUTION/GEN/NR0/033/46/IMG/NR003346.pdf?OpenElement
[10] daccessdds.un.org/doc/RESOLUTION/GEN/NR0/038/84/IMG/NR003884.pdf?OpenElement
[11] daccessdds.un.org/doc/RESOLUTION/GEN/NR0/060/86/IMG/NR006086.pdf?OpenElement
[12] daccessdds.un.org/doc/RESOLUTION/GEN/NR0/348/90/IMG/NR034890.pdf?OpenElement
[13] daccessdds.un.org/doc/RESOLUTION/GEN/NR0/193/23/IMG/NR019323.pdf?OpenElement
[14] daccessdds.un.org/doc/RESOLUTION/GEN/NR0/186/41/IMG/NR018641.pdf?OpenElement
[15] daccessdds.un.org/doc/RESOLUTION/GEN/NR0/218/66/IMG/NR021866.pdf?OpenElement
[16] daccessdds.un.org/doc/RESOLUTION/GEN/NR0/004/84/IMG/NR000484.pdf?OpenElement
[17] daccessdds.un.org/doc/RESOLUTION/GEN/NR0/236/62/IMG/NR023662.pdf?OpenElement
[18] daccessdds.un.org/doc/RESOLUTION/GEN/NR0/256/67/IMG/NR025667.pdf?OpenElement
[19] daccessdds.un.org/doc/RESOLUTION/GEN/NR0/152/79/IMG/NR015279.pdf?OpenElement
[20] daccessdds.un.org/doc/RESOLUTION/GEN/NR0/120/19/IMG/NR012019.pdf?OpenElement
[21] daccessdds.un.org/doc/RESOLUTION/GEN/NR0/747/45/IMG/NR074745.pdf?OpenElement
[22] daccessdds.un.org/doc/RESOLUTION/GEN/NR0/739/16/IMG/NR073916.pdf?OpenElement
[23] daccessdds.un.org/doc/RESOLUTION/GEN/NR0/236/65/IMG/NR023665.pdf?OpenElement

[24] La Corte cost. (sent. 28.6.1985 n. 193 del 1985), dichiarando l’illegittimità costituzionale del reato di illecita costituzione di associazioni aventi carattere internazionale (art. 273 c.p.), ha rilevato che secondo l’art. 11 Cost. «l'Italia promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte, fra l'altro, allo scopo di ripudiare la guerra... come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, e di affermare (persino limitando la propria sovranità) un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni. Ebbene, l’idea di un “Parlamento mondiale per la sicurezza e la pace” e di una “Confederazione europea dell'ordine giudiziario”, oggetto dell’imputazione, nel processo penale da cui è sorto l’incidente di legittimità in esame, sembra effettivamente corrispondere – indipendentemente dalla sua effettiva efficacia – allo scopo che la Costituzione tutela».

[25] daccessdds.un.org/doc/UNDOC/GEN/N99/172/89/PDF/N9917289.pdf?OpenElement.
[26] documents-dds-ny.un.org/doc/UNDOC/GEN/N99/168/81/img/N9916881.pdf?OpenElement.


(Iniziamo con questo articolo una serie di contributi sul tema dei secessionismi anticinesi. 

Non è per mera urgenza di cronaca che ci addentriamo in questo tema: da anni abbiamo messo in evidenza come gli strumenti utilizzati dai paesi imperialisti per spaccare la Cina e ricolonizzarla siano spesso analoghi a quelli già usati per squartare la Jugoslavia, e non solo: dall'Iraq alla Russia, le consorterie occidentali sostengono apertamente il differenzialismo etnico o pseudo-etnico e quelle minoranze bigotte, oscurantiste, fasciste, razziste e reazionarie utili a destabilizzare ed applicare il "divide ed impera".
In questo gli imperialisti si giovano dello zelo di certa intellettualità sciovinista occidentale ignorante sulle questioni strutturali ma carica di "estremismo dei diritti umani". Questi "intellettuali di servizio" non sono solo accademici o giornalisti ben pagati: ci sono purtroppo anche militanti di una "sinistra" ingenua, privata di valori, radici o memoria storica e fattuale, ma imbevuta di idealismi astratti ed irrazionalismo "new age" fino all'odio fanatico.

I passati articoli sul tema dei secessionismi anticinesi sono raccolti alla pagina:
A cura di I. Slavo)


Per il popolo del Tibet e contro il feudalesimo lamaista

di Jose Antonio Egido *


Cosa era il Tibet prima dell'avvento del socialismo?

Il Tibet è uno dei luoghi più remoti del pianeta. E' un altopiano nel cuore dell'Asia, separato dal sud Asia dalle più alte montagne del mondo, l'Himalaya. Sei catene montuose dividono la regione in valli isolate. Il Tibet era appartenuto alla Cina da circa 700 anni, ma la mancanza di comunicazioni l'aveva isolato dalla Cina e dal mondo.

Il buddismo penetrò nel Tibet nel secolo VII [1]. Il principe Strong-tsan-gampo, artefice dell'unità del Tibet, usò questa religione nella sua opera di unificazione. Per molto tempo il buddismo fu la religione dell'aristocrazia feudale mentre il popolo praticava riti di sciamani e di clan (religione Bon o Bon-po).

A partire dal secolo IX il buddismo si diffuse nel popolo sotto la forma mahayana. All'inizio del secolo X il partito antibuddista sostenuto dalla vecchia aristocrazia feudale diede vita a persecuzioni contro i buddisti. Ma i buddisti riuscirono ad assassinare il re Lang-darma e vincere.Nel secolo XI il buddismo vinse definitivamente sotto la forma di una nuova corrente denominata tantrismo. Durante i secoli XI e XII furono costruiti in Tibet numerosi monasteri buddisti con una moltitudine di monaci denominati lama. Nel 1271 Kublai Khan, fondatore della dinastia mongola degli Yuan (1270-1370), nominò ministro degli affari civili e religiosi il capo della setta buddista più importante del Tibet. La dinastia cinese dei Ming, che regnò dal 1368 al 1644, protesse similmente la religione buddista ma attuò una politica di frammentazione del paese che la indebolì. Sorse una corrente buddista riformatrice che impose una disciplina monacale severa e l'obbligo portare vestiti e protezioni gialle. Tutto il potere si concentrò nelle mani di due gerarchi supremi: il Panchem-rimpoche e il Dalai-rimpoche (futuro Dalai Lama). Entrambi furono dichiarati incarnazioni delle divinità buddiste più venerate.

Nominalmente l'autorità massima del Tibet era rappresentata dagli imperatori cinesi che riscuotevano le tasse e nominavano funzionari incaricati prelevarle, però i gerarchi buddisti avevano localmente molta influenza. Nel 1639-1640 il mongolo Gushi assassinò il principe locale e trasferì tutto il potere secolare al Dalai Lama. All'inizio della dinastia dei manchú la Cina ristabilì la relativa sovranità sul Tibet ma il potere reale rimase nelle mani del Dalai Lama e, pricipalmente, nelle mani dei lama supremi che lo circondavano. Nel Tibet si affermò una forma particolare di regime feudale nella quale i grandi signori (monaci e secolari) dominavano una massa di contadini privati dei diritti e il potere politico era monopolizzato dai gerarchi buddisti. Al vertice della gerarchia c'era il Panchem-Lama considerato padre spirituale del Dalai Lama che era quello che esercitava il potere temporale. Un autore cinese ha scritto che "solo 626 persone possedevano il 93% della terra e della ricchezza nazionale e 70% dei yakes [2] nel Tibet. Fra loro 333 erano capi dei monasteri e autorità religiose e 287 autorità secolari (contando la nobiltà e l'esercito) e sei ministri di gabinetto [3]. La classe alta era formata da circa il 2% della popolazione e il 3% erano i loro agenti: soprintendenti, amministratori della loro proprietà e comandanti dei loro eserciti privati. L' 80% erano servi, il 5% gli schiavi e 10% erano monaci poveri che lavoravano come contadini per gli abati e pregavano. Nonostante la presunta regola lamaísta della non violenza questi monaci erano frustati continuamente.

Oggi, l'attuale Dalai Lama si presenta al mondo come un uomo sacro al quale non interessano le cose materiali. La realtà è che era il proprietario principale dei servi del Tibet. Secondo la legge era proprietario di tutto il paese ed i relativi abitanti. In pratica la sua famiglia disponeva di 27 proprietà immobiliari, 36 prati, 6.170 servi e 102 schiavi.

Le orribili condizioni di vita delle masse popolari.

La vita dei servi di tibetanos prima di 1949 era breve e durissima. Tanto gli uomini che le donne lavoravano nelle mansioni più sacrificate e nel lavoro forzato, chiamato ulag, per 16 o 18 ore al giorno. Dovevano dare ai proprietari (che non lavoravano) il 70% della raccolta. Non potevano usare le stesse sedie, le stesse parole, né gli utensili dei proprietari. Erano puniti con le frustate se toccavano una certa cosa del proprietario. Non povano sposarsi né lasciare una proprietà senza permesso del padrone. I servi e le donne erano considerati animali parlanti che non avevano diritto di guardare in faccia i padroni. L'esperto studioso del Tibet A. Tom Grunfeld riferisce di una una figlia dei proprietari i cui servi la alzavano per farla salire e scendere le scale [4]. Gli schiavi erano percossi, non li nutrivano e li uccidevano di lavoro. Nella capitale Lhasa i bambini si compravano e si vendevano.

La parola donna, kimen, significava stato inferiore di nascita. Le donne dovevano pregare "che io abbandoni questo corpo femminile e rinasca come uomo". I gerarchi religiosi impedivano loro di alzare gli occhi oltre il ginocchio di un uomo. Era comune bruciare le donne per essere "streghe", spesso perché esse praticavano i rituali della religione Bon. Partorire gemelli era prova che una donna si era accoppiata con uno spirito malvagio e nella campagna era frequente che bruciavano la madre e i gemelli appena nati. Un uomo ricco poteva avere molte spose e un nobile con poca terra doveva dividere una donna con i propri fratelli.

Il popolo ha sofferto costantemente di freddo e di fame. Prima della liberazione nel Tibet non c' era elettricità nè strade nè ospedali né quasi scuole. Molti servi diventavano malati a causa della denutrizione mentre alcuni monasteri accumulavano ricchezze ed bruciavano quantità elevate di alimenti come offerte. La maggior parte dei neonati moriva prima di compiere un anno. La mortalità infantile nel 1950 era del 43%. Il vaiolo colpiva un terzo della popolazione e nel 1925 sterminò 7 mila abitanti di Lhasa. La lebbra, la tubercolosi, il gozzo, il tetano, la cecità, le malattie veneree e le ulcere causavano grande mortalità. La speranza di vita nel 1950 era di 35 anni.

Le superstitioni diffuse dai monaci li convincevano ad essere contro agli antibiotici. Essi dicevano ai servi che le malattie e la morte erano causati dai peccati e che l'unica maniera di prevenire le malattie era pregare e dare i soldi ai monaci.

I signori feudali mantenevano il popolo nell'ignoranza più completa per meglio sottometterlo e per lavargli il cervello. Nel 1951 il 95% della popolazione era analfabeta. La lingua scritta serviva solo per il culto religioso.

Il sistema feudale impediva lo sviluppo delle forze produttive. Non permetteva l'uso degli aratri di ferro, estrarre il carbone, pescare, cercare, né realizzare innovazioni sanitarie di nessun tipo. Non c' erano nè comunicazioni nè commercio né nessuna industria pur elementare. Mille anni prima, quando il buddismo è stato introdotto, si calcola che nel Tibet vivevano 10 milioni di persone, ma nel 1950 ce n'erano solo due o tre milioni.

Come è arrivato il Socialismo nel Tibet?

Il partito comunista della Cina (PCC) si pose un problema rispetto al Tibet: il tremendo ritardo e la dominazione feudale rendeva impossibile lo scoppio di una ribellione dei servi senza un aiuto esterno. Ma era necessario intervenire nel Tibet prima che si trasformasse in un fortezza della controrivoluzione da dove le classi dominanti cinesi abbattute, i signori feudali locali e l'imperialismo potessero mettere in pericolo la giovane Repubblica Popolare Cinese (RPC). I feudali lamaisti erano stati compiacenti con i colonialisti britannici che entrarono a Lhasa nel 1904 dall'India e con il tentativo nordamericano di riconoscere il Tibet "indipendente" nel 1949 con una rappresentanza all'ONU. L'esperienza pratica lasciava prevedere che, come in altri posti, la classe dominante locale si sarebbe alleata con le forze imperialistiche per combattere il nemico comune, la rivoluzione socialista trionfante.

I comunisti sapevano che la rivoluzione non può essere esportata in un altro paese con le baionette di un esercito occupante ed è per questo che si adoperarono con tatto e prudenza per creare le condizioni di un movimento rivoluzionario ben radicato nelle masse popolari tibetane. L'esercito popolare di Liberazione (EPL), esercito di contadini rivoluzionari forgiati durante 20 anni di combattimenti e diretti dal PCC, avanzò verso le pianure tibetane nell' ottobre del 1950

Nel Chambo sconfisse facilmente l'esercito inviato dai feudali tibetani ma là arrestò la sua avanzata e trasmise loro un messaggio con una proposta: Se il Tibet si fosse integrato nella Repubblica popolare cinese (RPC) il governo dei proprietari dei servi (chiamato di Kashag) avrebbe potuto continuare a governare nel tempo sotto la direzione del governo centrale popolare. I comunisti non avrebbero abolito le pratiche feudali né avrebbero preso misure contro la religione fino a che la popolazione non avesse sostenuto i cambiamenti rivoluzionari. L' EPL avrebbe protetto le frontiere per evitare un intervento imperialistico. Il governo feudale accettò la proposta e firmò "l'accordo dei 17 punti" che riconosceva la sovranità cinese e si applicava nelle zone suttomesse al Kashag e non in altre zone tibetane, dove viveva la metà della popolazione [5]. I 26 di ottobre del 1951 l' EPL entrò pacificamente a Lhasa guidato dal generalei Zhang Guojua.

La cospirazione controarivoluzionaria dei lamaisti nobili.

Logicamente i feudali non accolsero i comunisti con le braccia aperte, ma cominciarono a cospirare per provare a perpetuare il loro sistema di dominazione. Fecero il possibile per rendere nemico ai lòro servi l' EPL: sparsero voce che i comunisti usavano il sangue dei bambini tibetani come combustibile per i loro camion, li accusavano di "uccidere i cani" per eliminare i cani rabbiosi che terrorizzavano la gente,... Determinati monasteri furono trasformati in centri di attività controrivoluzionaria e in magazzini segreti di armi che la CIA nordamericana inviava dall'India. La CIA stabilì un centro di addestramento degli agenti tibetani nel campo Hale delle Montagne Rocciose in Colorado per la sua grande altitudine. Inoltre tibetani mercenari furono addestrati nelle basi yanki di Guam e di Okinawa [6]. Complessivamente gli USA hanno addestrato militarmente 1.700 tibetanos durante gli anni 50 e 60.

L'EPL aveva l'ordine rigoroso di rispettare la popolazione, la sua cultura e le sue credenze, persino i suoi timori superstiziosi che non potevano essere sradicati rapidamente. I servi furono sorpresi quando furono contrattati per una paga per costruire una strada che collegasse il Tibet con le province centrali. Parecchi servi giovani furono incoraggiati ad istruirsi negli istituti per le minoranze nazionali nelle città dell' est della Cina e imparare la lettura, la scrittura e la contabilità. Cominciarono ad arrivare merci che migliorarono la vita della popolazione come tè e fosforo, arrivarono i primi telefoni, telegrafi, trasmettitori e le presse e le prime scuole. Nel 1957 6.000 allievi frequentavono 79 scuole primarie. Gruppi di medici cominciarono a trattare e curare la gente compresi i nobili e le mentalità cominciarono a cambiare.

I latifondisti feudali videro in pericolo il loro potere ed organizzarono le prime ribellioni armate nel 1956. Nelle zone in cui vigeva l'accordo dei 17 punti i comunisti incoraggiavano i servi a smettere di pagare il fitto ai monasteri ed ai nobili, la qualcosa esasperava questi ultimi. Nel marzo del 1959 avvenne una ribellione in grande scala sostenuta dalla CIA che che inviò i suoi agenti addestrati e lanciò carichi di munizioni e di mitragliatrici dai velivoli C-130 dell'aeronautica nordamericana. I monaci e i loro agenti armati attaccarono la guarnigione dell' EPL a Lhasa. I comunisti risposero non solo militarmente ma pricipalmente politicamente. Mille studenti tibetani ritornarono rapidamente dagli istituti per le minoranze nazionali per partecipare ad una grande campagna di cambiamenti rivoluzionari.

La sconfitta del feudalesimo nel Tibet.

Il governo del Kashag che aveva sostenuto la ribellione fu sciolto. In tutte le regioni si crearono degli organi di potere chiamati "uffici per reprimere la sommossa". Il nuovo governo si chiamò "comitato preparatorio per la regione indipendente del Tibet". Fu abolito l'ulag, il lavoro forzato e la servitù. Gli schiavi dei nobili furono liberati. I conspiratori principali furono arrestati. La donna fu liberata dalla poligamia e della poliandria. I servi smisero di pagare l'affitto ai monasteri e la metà di questi dovettero chiudere. I nomadi di un isolato accampamento chiamato Pala si levarono in armi contro il partito del Dalai Lama [7].La giornalista britannica Sara Flounders scrive che "milioni di contadini poveri si mobilitarono per espellere gli antichi latifondisti" [8]. I servi anziani hanno ricevuto 20 mila scritture e bestiame della terra, decorati con le bandierine rosse e l'immagine del presidente Mao.

Dopo la sconfitta della ribellione, il Dalai Lama numero 14, chiamato Tenzin Gyatso, fuggì in esilio accompagnato da 13 mila persone della nobiltà e dell'alto clero lamaista con i propri schiavi, guardie armate e carovane dei muli caricati di ricchezze. La CIA lo trasformò in un simbolo della guerra contro la rivoluzione socialista ed il Partito Comunista. Il Dalai Lama istituì nella città dell'India di Dharamsala "un governo in esilio". A partire dal 1964 figura nella lista dei salariati della CIA che gli assegnò un importo annuale di 180 mila dollari nel quadro di un programma per demolire i regimi comunisti. Il suo "governo" riceveva annualmente 1.7 milione dollari. Durante gli anni 90 continua a ricevere i soldi della CIA.

Da allora questo reazionario continua ad avere un grande supporto dalla lobby anticinese nordamericana, dall'industria di Hollywood che produce le pellicole della propaganda a suo favore [9], dalla Fondazione Nazionale per la Democrazia (schermo della CIA) che finanzia il Fondo Tibet, la radio Voce del Tibet e la campagna internazionale per il Tibet. Nel 1987 fu ricevuto dalla commissione "dei diritti umani" del senato nordamericano. Nell' agosto del 1999 il Dipartimento di stato nordamericano organizzò la sua visita a New York.

I settori anti-comunisti occidentali, come il giudice spagnolo Garzón, denunciano pubblicamente la Cina per il presunto "genocidio" commesso nel Tibet dal 1959. Questo "genocidio" compare nella propaganda anticinese ma nessuno ha fornito la più piccola prova. Tali settori sono quelli che spinsero nel 1989 affinché gli fosse assegnato il premio Nobel "della pace"[10], premio che hanno ricevuto criminali di guerra ben noti come il Henry Kissinger, Menahem Beguin e Simón Peres.

Anche se il buddismo proibisce uccidere e tutte le forme di violenza, l'attuale Dalai Lama ha sostenuto calorosamente la guerra della NATO contro la Iugoslavia del 1999. Durante quell'anno a Santiago del Cile si dichiarò contro la persecuzione del criminale Augusto Pinochet.

Egli si trova posizionato perfettamente nel campo degli sfruttatori e dei nemici del popolo. Anche se gode di un' aureola di santità ed è considerato un dio, non è più che uno strumento efficace della controrivoluzione e dell'imperialismo. Per essere accettato dai suoi alleati ha riformato alcune delle tradizioni più orribili ed ha adottato il discorso cinico "dei diritti umani" che ripetono anche gli assassini del governo d'Israele, i militari fascisti colombiani e altri vassalli degli statunitensi, ma il sistema politico che rappresenta è una dittatura religiosa nella quale non esistono diritti politici per le donne né per chi dubita della sua autorità. Per esempio, la setta tibetana dei Shugden formata da cento mila persone esiliate in India che non riconoscono questa autorità è sistematicamente emarginata e perseguitata. Molti occidentali afflitti e disorientati dalla società borghese, si sentono illusamente attratti dal misticismo lamaista, che provoca il beneficio di buoni commerci dei tibetani.

Le autorità cinesi gli offrono di aprire il dialogo in cambio del riconoscimento dell'appartenenza del Tibet alla RPC.

Il Tibet oggi.

Nel 1980 il segretario generale del PCC Hu Yaobang ha visitato Lhasa. Nel settembre del 1987 ebbe luogo a Lhasa un' insurrezione dei monaci nazionalisti che assalirono una stazione di polizia. Nel 1988 ci furono altri disordini. Nella primavera di 1989, nel contesto di un movimento controrivoluzionario in tutta la Cina, sostenuto dall'imperialismo, avvenne una nuova ribellione a Lhasa che portò ad arresti ed alla proclamazione della legge marziale. Nel 1996 e 1997a Lhasa esplosero bombe. La tragedia che hanno conosciuto le popolazioni dell'ex URSS alle quali la controrivoluzione capitalistica ha strappato tutti i propri diritti e che hanno subito guerre civili di devastazione (ci ricordiamo delle guerre di Chechenia, Daguestán, Moldavia, la Georgia, Tayikistán, Nagorno-Karabaj,....) è stata evitata dalla decisa determinazionee del PCC sostenuto dalle masse popolari.

L'accusa che la RPC forza la popolazione a limitare la sua crescita demografica è negata da entrambi gli antropologi nordamericani che abbiamo citato e che hanno fatto indagini nel Tibet nel 1985 e nel 1988 per incarico della National Geographic Society [11]. Le donne tibetane non sono forzate ad avere un unico figlio, come è il caso della maggioranza del popolo cinese.

Il Tibet è oggi una regione indipendente dell' ovest della RPC che, come tutta la parte occidentale del paese, conosce un minore sviluppo economico e sociale rispetto alle province della costa dell'est. Il 15% della popolazione è povero ma solo 3 distretti della regione appartiengonoe ai 63 più poveri della RPC. Un Fondo per la riduzione della povertà nel Tibet sviluppa programmi contro la povertà. Il governo prova a innescare il progresso economico di questa regione. Nel 1967 funzionavano 67 fabbriche in tutto il Tibet; nel 1975 250 aziende producevano beni di consumo di base: pentole a pressione, attrezzi, piccoli oggetti elettrici,... . Nel 1993 c' erano 41.830 piccole imprese. A Lhasa oggi sono attive parecchie fabbriche (di ceramica, di cemento e di birra) e numerosi stabilimenti e officine (tessile, di mobili, tappeti...). E' stata costruita la ferrovia più alta del mondo che mette fine all'isolamento storico tibetano. Dal 1999 al 2020 si prevede di aumentare la produzione elettrica 3 volte e quella industriale 14 volte. Internet permette agli abitanti delle valli più appartate, ubicate a 4.500 metri di altitudine, di collegarsi con il mondo. I militanti comunisti tibetani sono promossi [12]. L' 80% dei quadri dirigenti sono tibetani. La lingua e la cultura tibetana godono di protezione speciale. Si prova a dare impulso al turismo come fonte di sviluppo economico. I contadini tibetani, liberati della servitù feudale, sviluppano nel regime di contratto familiare, le parcelle di terreno che sfruttano per l'agricoltura e il bestiame.

Il PCC considera con ragione che la religione deve essere sottomessa all'ordine sociale socialista [13] e non essere un ariete per la controrivoluzione e la guerra civile come è accaduto nei vecchi paesi socialisti dei Balcani, della Polonia, del Caucaso, dell'Afghanistan e del centro dell'Asia. È per questo che la religione lamaista è autorizzata e rispettata purchè non si trasformi in in un centro organizzato della lotta contro l'ordine socialista che conseguentemente significa appartenenza del Tibet alla RPC.

Le donne tibetane godono di molti più diritti che nell'India, nel Pakistan, nel Nepal e nell'Afghanistan e di moltissimi più diritti che nell'antico Tibet feudale.

Le masse in generale similmente godono di più diritti: nel 1999 c'erano 2.632 medici, 95 ospedali comunali e 770 cliniche. La mortalità infantile è nel 1998 del 3%. La speranza di vita è di 65 anni. C' è un operatore sanitario ogni 200 abitanti. Nel 1997 a Lhasa è stato inaugurato un ospedale moderno. La scolarizzazione dei bambini arriva all' 82% e si realizza in cinese e tibetano. I cittadini cinesi della nazionalità di maggioranza si sono stabiliti nelle città del Tibet e i tibetani emigrano nelle zone più sviluppate alla ricerca di un maggiore benessere economico. E' possibile trovare degli oggetti di arte e decorativi tibetani nelle vie del centro di Chang-Chun, provincia cinese di Jilin (che si trova nella parte opposta della Cina n.d.t.). Ma il Tibet non è "invaso" da 2 milioni di coloni (di etnia) Han (la più numerosa tra le etnie che popolano la vasta Cina, n.d.t.) come dice la propaganda anticinese. Secondo il censimento dell' ottobre 1995 il Tibet conta 2.389.000 abitanti dei quali soltanto il 3.3% è di origine Han [14], meno che nel 1990 che era del 3,7% [15]. Nel 1949 si aveva l' 1% di Han. Secondo un rapporto del servizio di investigazione del congresso nordamericano la popolazione Han nel Tibet era nel 1989 del 5%.

Popolazione tibetana (in milioni) in base ai censimenti fatti dalla RPC.

1964 1982 1990 1995

Regione Autonoma Tibet 1.209 1.706 2.096 2.389

Popolazione tibetana 2.501 3.874 4.593


Jose Antonio Egido.
19 enero del 2004.
(Corregido en marzo 2008).

[1] Serguei Tokarev, Historia de la religión, Editorial Progreso, Moscú, 1990, p.338.
[2] Animales de montaña que parecen vacas peludas.
[3] Han Suyin, Lhasa, the Open City-A Journey to Tibet, Putnam, 1977.
[4] The Making of Modern Tibet, Zed Books, 1987.
[5] Aun hoy la mitad de la población tibetana no vive en el Tibet sino en las provincias de Ganshu, Sicuani y Qinghai.
[6] Chicago Tribune, "La guerra secreta de la CIA en el Tibet", 25 enero 1997, Newsweek,"La guerra secreta en el techo del mundo", 16 agosto 1999 que describe la intervención de la CIA en apoyo a los feudales tibetanos de 1957 a 1965.
[7] Según documentan los antropólogos de la Universidad de Cleveland expertos en Tibet Melvyn C. Goldstein y Cynthia M. Beall en su libro Nomads of Western Tibet,1990.
[8] "La CIA y el Dalai Lama", www.anti-imperialism.net/lai/
[9] Ya en los años 30 produjo "Horizontes perdidos". En 1997 Martin Scorses dirigio "Kundun" considerada una burda falsificación. La película "Siete años en el Tibet" se basa en el libro del nazi austriaco convencido Heinrich Harrer, asesor personal del Dalai Lama.
[10] Este premio, lejos de ser neutral, es concedido por una fundación privada apoyada por el gobierno noruego que representa los intereses de ciertas grandes industrias, que obtiene grandes beneficios de la venta de armas y de las inversiones en Bolsa y que expresa los intereses del capitalismo occidental. Léase "La otra cara de los Premios Nóbel", El País, 21 diciembre 2003.
[11] Dossier elaborado por estos científicos de la revista Asian Survey en 1991.
[12] En 1987 el PCC informó que tenía 40 mil militantes en Tibet.
[13] Véase el informe de Jian Zemin en el XVI Congreso del PCC en el 2003,www.china.org.cn.
[14] Han:nacionalidad ampliamente mayoritaria en China.
[15] Beijing Information, 2 septiembre 1996.
 

* studioso ed esperto dei problemi delle nazionalità, per diversi anni è stato il responsabile esteri di Herri Batasuna

da www.contropiano.org




(Un articolo estremamente critico nei confronti del summit NATO e della visita di Bush, apparso sul periodico croato Nacional)

 

ZLOĆE I POVRĆE

Bolje grob nego rob

Kada dođe NATO, kad u naše luke uđu njihovi brodovi, kad se iznad naših turističkih gradova budu probijali zvučni zidovi, kad nam izdaleka počnu stizati mladi hrvatski leševi, kad Hrvatska bude Bushu ono što je NDH bila Mussoliniju, tko će biti kriv?

Piše: Vedrana Rudan, 24.03.2008. | br. 645

 

Profesori i studenti Filozofskog fakulteta u Zagrebu na moju su veliku radost digli glas protiv ulaska Hrvatske u NATO. Kako između naših političara, američkih fašista i hrvatskih bitnih medija postoji tajna veza, glas hrvatske pameti jedva se čuje. Zato stalno slušamo kako ćemo u travnju, ako nam Bog da zdravlje, dobiti pozivnicu za ulazak u općepoznatu udrugu za širenje demokracije. Bitno je, presudno je znati što o tome misle studenti i profesori Filozofskog fakulteta. Evo najvažnijih razloga zašto su oni protiv ulaska u NATO. Ne žele da se Hrvatska kao pijun priključi anglo-američkom korporativnom imperijalizmu. SAD, svjetski siledžija, ubio je više od milijun Iračana od početka okupacije, podupire teroriste diljem svijeta, svrgava neposlušne vlade malih zemalja, izrabljuju financijski siromašne zemlje putem MMF-a i WTO-a. Ako uđemo u NATO, naši će nas se potomci sramiti onako kao što se neke zemlje danas srame svoje nacističke prošlosti Hrvatsku potresaju poskupljenja, financijska se situacija pogoršava, ulaskom u NATO Hrvatska će biti izložena dodatnim golemim troškovima, nužnima da se prilagodimo NATO-ovim (ne uvijek logičnim) standardima. Procjenjuje se da će nas ulazak u NATO u idućih nekoliko godina stajati najmanje 10 milijardi kuna! Hrvatska već sada, iako još nije u NATO-u, podupire američku okupaciju i iskorištavanje Afganistana te će ondje 2008. biti 300 hrvatskih vojnika. Na njihove će se plaće ove godine potrošiti najmanje 10 milijuna eura. Očekuju nas i druge “misije“.

Vlast nas zavarava da ćemo u NATO-u biti sigurniji. Istina je posve suprotna. Od susjeda nam ne prijeti nikakva opasnost, ali će zato islamski teroristi znati odgovoriti na sudjelovanje naših vojnika u NATO-ovim operacijama. A ako računamo da će Hrvatsku braniti NATO, sjetimo se kako je prošla obrana Srebrenice, Vukovara...Čelnici NATO-a planiraju većinu baza iz zapadne Njemačke prebaciti u nove zemlje članice te se u Sloveniji u Cerklju, odmah uz hrvatsku granicu, preuređuje aerodrom za prihvat NATO-ovih zrakoplova, premda je Sloveniji bilo obećano da se kod njih neće graditi baze. Želimo li doista NATO-ove baze pokraj Pule, Splita, Zadra ili Zagreba, kao što se najavljuje? Studenti i profesori Filozofskog fakulteta u Zagrebu navode u svom Otvorenom pismu kako pitanje koje treba postaviti nije “treba li Hrvatska ući u NATO?“ nego “što će se dogoditi ako Hrvatska ne uđe u NATO?“ Njihov odgovor je - ništa. Dapače, bit ćemo sigurniji, nećemo bacati milijune u vjetar, a savjest će nam biti čista. Oni stoga pozivaju hrvatsku javnost da digne svoj glas protiv ulaska Hrvatske u NATO. I to bi bilo to. Svi kojima je na srcu budućnost Hrvatske i kojima je dosta mrske “hrvatske šutnje“ mogu nakon čitanja ove Inicijative studenata i nastavnika Filozofskof fakulteta u Zagrebu protiv NATO-a uzviknuti presretno, aleluja! Najzad su umni ljudi u ovoj šutljivoj zemljici digli svoj glas, napisali prosvjed i potpisali ga. Za sreću generacija koje dolaze. Nisu jedini. Neki drugi mladi ljudi pripremaju sakupljanje 450 tisuća potpisa koji bi onda ovu besramnu vlast prisilili da o ulasku Hrvatske u NATO raspiše referendum. Ponosna sam što u mojoj zemlji žive ljudi koji misle svojom glavom i koji se brinu o budućnosti naše djece. Strašno je da im se ne daje prilika da preko medija njihov glas dođe i do onih koji ne lutaju bespućima interneta.

Moram priznati, poznavajući naše utjecajne medije, prije svega Hrvatsku televiziju i našu podaničku vlast kojoj je najmanje na duši sudbina građana ove zemlje, hrabri glas studenata i profesora zagrebačkog Filozofskog fakulteta neće se daleko čuti. Pa ipak, ne bismo trebali odustati. Nekad su ljudi prosvjedovali protiv rata i nepravde iako ih na ustanak nije dizala televizija, mnogi su u borbi za pravdu i istinu gubili živote. Zašto šutimo svi mi ostali? Još ima vremena. Organizirajmo se. Uključimo u akciju našu djecu, naše roditelje. Dijelimo letke po kućama. Kucajmo susjedima na vrata. Lijepimo proglase po školama. Iziđimo na cestu. Nosimo parole. Unajmimo megafone. Krenimo na Trg bana Jelačića, zauzmimo sve trgove svih hrvatskih gradova i sela. Ovo je naša zemlja, ona ne pripada ni Mesiću, ni Sanaderu, ni Šeksu, ni Jandrokoviću, ni zločincima koji žele izgraditi vojnu bazu blizu Dubrovnika. Kako nam nije jasno da nemamo što izgubiti? Sve su nam oteli, potpisivanjem pakta s Amerikom otet će nam i posljednji tračak ponosa koji još u nama tinja. Smijemo li svi mi mirno spavati samo zato što tamo neki studenti i profesori umjesto nas vrište?

Može li njihov hrabri glas oprati našu savjest u nekim gadnim, budućim vremenima? Kad dođe NATO, kad u naše luke uđu njihovi brodovi, kad se naši gradovi pretvore u njihove bordele a naše kćeri u kurve, kad se iznad naših prekrasnih turističkih gradova budu probijali zvučni zidovi, kad nam počnu stizati mladi hrvatski leševi u lijesovima odjevenim u američku zastavu, kad Hrvatska bude Bushu ono što je NDH bila Mussoliniju, tko će biti kriv? Mesić? Sanader? Zna li danas itko otprve tko je komade Hrvatske poklonio Italiji? I je li njegovo ime bitno? Smijemo li Pavelića kriviti za sve ili, htjeli ne htjeli, moramo priznati da su njegovu zločinačkom činu kumovali i naši preci, šutljivi Hrvati, kukavice kojih se danas stidimo. Povijest se ponavlja. I opet šutimo, mi bijednici, i radujemo se što će za koji tjedan našu zemlju posjetiti Hitler dvadeset i prvog stoljeća poznat po jednoj od milijun svojih mudrih izreka: “Većina uvoza potječe izvan zemlje.“ U našem slučaju Bush se prevario, o v a j uvoz potječe unutar naše zemlje. Možda još imamo vremena reći Hitleru ne, mi šutljivi nasljednici Pavelićevih šutljivaca, mi buduće ubojice vlastite djece.