Informazione


(the original text, in english:

Independence in the Brave New World Order. NATO's Kosovo Colony
By DIANA JOHNSTONE - February 18, 2008

La version française:
Quand les médias oublient complètement ce qu'ils avaient dit du Kosovo

Quando i media non si ricordano più di ciò che avevano riferito sul Kosovo

di Diana Johnstone
 
18 febbraio 2008
 
testo originale in inglese, “Independence in the Brave New World Order. NATO's Kosovo Colony,
- Il Kosovo: una Colonia della NATO nello Splendido Nuovo Ordine Mondiale”, a
traduzione ed adattamento in francese di Jean-Marie Flémal per Investig'Action 
segnalato da
 
(Traduzione dal francese di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)
 

Dovremmo credere nel Migliore dei Mondi Possibili! La macchina della propaganda occidentale ha girato a pieno ritmo per celebrare l’ultimo miracolo della NATO: la trasformazione del “Kosovo” Serbo in “Kosova” Albanese. 
Attraverso la potenza mediatica, il fatto che gli Stati Uniti si siano impadroniti senza vergogna alcuna di un territorio altrui di grande importanza strategica, per installarvi una gigantesca base militare (Camp Bondsteel), è stato trasformato in una leggenda edificante di “liberazione nazionale”.
Per i pochi sfortunati che si sono resi consapevoli della verità – complicata – sul Kosovo, valgono le parole di Aldous Huxley, che sembrano confarsi al meglio: “Tu conoscerai la verità e la verità ti renderà pazzo.” 
A proposito del Kosovo, la verità rassomiglia a lettere scritte sulla sabbia mentre sta arrivando mugghiando lo tusnami della propaganda.
La verità è disponibile, per esempio in un articolo molto istruttivo di George Szamuely, pubblicato di recente in CounterPunch (www.counterpunch.org/szamuely02152008.html). Frammenti di verità sono rintracciabili a volte nei grandi mezzi di informazione, soprattutto nelle lettere dei lettori. 
Ma, benché io sia priva di speranza su qualsiasi tentativo di opposizione contro questa marea propagandistica, nondimeno mi sia concesso di prendere in esame una sola goccia di questa irresistibile marea: un articolo di cronaca firmato da Roger Cohen, dal titolo “Un nuovo Stato in Europa”, pubblicato il giorno di San Valentino nell’International Herald Tribune. 
 
L'editoriale di Cohen è decisamente tipico del modo sfacciato con cui tratta di Milosevic, della Russia e dei Serbi. Cohen scrive: « Slobodan Milosevic, il dittatore scomparso, ha messo in movimento l’ondata nazionalista ed omicida della Serbia il 24 aprile 1987, quando si era recato in Kosovo per dichiarare che “gli antenati dei Serbi sarebbero stati umiliati” se i Kosovari di etnia Albanese avessero ottenuto partita vinta.» 
Io non so proprio dove Roger Cohen sia andato a pescare questa citazione, ma che non ha alcun riscontro nel discorso che Milosevic aveva pronunciato quel giorno in Kosovo. Ed è cosa sicura che Milosevic non si era recato in Kosovo per esporre proposizioni di questa fatta, ma al contrario per consultare i funzionari della locale Lega dei comunisti della città di Kosovo Polje sulle gravi problematiche economiche e sociali che investivano la provincia. Oltre alla povertà cronica della provincia, alla disoccupazione e alla deplorevole gestione dei fondi per lo sviluppo elargiti dal resto della Jugoslavia, il principale problema sociale consisteva nel permanente esodo dal Kosovo di abitanti Serbi e Montenegrini sotto la pressione dei Kosovari di etnia Albanese.
In quel periodo, di questo problema anche i principali mezzi di informazione occidentali erano costretti a prenderne atto. 
Per esempio, ben prima, il 12 luglio 1982, Marvine Howe scriveva nel New York Times che i Serbi abbandonavano il Kosovo a decine di migliaia sotto la spinta di discriminazioni ed intimidazioni da parte della maggioranza di etnia Albanese: “ Un segretario dell’esecutivo del partito comunista del Kosovo, Beci Hoti, afferma che i nazionalisti Albanesi hanno un piano di azione in due punti, primo, insediare quella che loro definiscono come una repubblica Albanese etnicamente pura, secondo, fondersi con l’Albania in modo da costituire la Grande Albania. Il signor Hoti, un Albanese, esprimeva inquietudini rispetto alle pressioni politiche che costringono i Serbi ad abbandonare il Kosovo: oggi, quello che importa di più è stabilire un clima di sicurezza e creare fiducia.” 
E, sette mesi dopo la visita di Milosevic in Kosovo, a sua volta David Binder riferiva sul New York Times (1novembre 1987): “I Kosovari di etnia Albanese nell’ambito del governo hanno manipolato i fondi pubblici e le regolamentazioni per impossessarsi delle terre appartenenti ai Serbi. Monasteri slavo-ortodossi sono stati attaccati e sono state calpestate e stracciate le bandiere. Sono stati avvelenati pozzi e i raccolti sono stati incendiati. Ragazzi slavi sono stati pugnalati e alcuni giovani di etnia Albanese sono stati incoraggiati dai più vecchi a stuprare le ragazzine Serbe.
In un’intervista, uno dei nazionalisti più radicali fra i Kosovari di etnia Albanese ha dichiarato che il loro obiettivo è la costruzione di una 'Albania etnicamente pura, comprendente la Macedonia occidentale, il Montenegro meridionale, una parte della Serbia meridionale, il Kosovo e la stessa Albania'. 
Man mano che gli Slavi se ne scappano per sfuggire alle violenze prolungate, il Kosovo va trasformandosi in quello che i nazionalisti di etnia Albanese reclamano da tanti anni e, con una particolare insistenza, dopo i tumulti sanguinosi del 1981 scatenati dai Kosovari Albanesi a Pristina, una regione 'etnicamente pura' dal punto di vista Albanese.” 
In effetti Pristina ha costituito il primo esempio di “purificazione etnica” nella Jugoslavia dopo la Seconda Guerra Mondiale. È per questa natura che l’evento ha preso posto nelle pagine del New York Times e di altri mezzi di informazione occidentali, e le vittime della “pulizia etnica” erano i Serbi!
Il culto del “ricordo” è divenuto una religione del nostro tempo, ma certi ricordi sono da meno di altri. Negli anni Novanta, risultava evidente che il New York Times aveva dimenticato completamente ciò che era stato scritto nelle sue pagine sul Kosovo negli anni Ottanta. Perché? Forse perché, nel lasso di tempo, il blocco sovietico si era dissolto e l’unità di una Jugoslavia indipendente e non allineata non corrispondeva più agli interessi strategici degli Stati Uniti.   
 
Ritorniamo alla presenza di Milosevic a Kosovo Polje, il 24 aprile 1987.
Avveniva un incidente, quando la polizia locale (sotto la direzione della Lega dei comunisti, dominata dagli Albanesi) attaccava i Serbi che si erano riuniti per protestare contro l’assenza di protezione legale. È divenuta celebre la frase spontanea che Milosevic a questo riguardo aveva pronunciato: “Nessuno vi dovrà più colpire!”
Se Milosevic avesse avuto l’intenzione di comportarsi da “estremista nazionalista”, avrebbe potuto avvantaggiarsi dell’evento. Ma non si trovano tracce di queste intenzioni attribuite a Milosevic da parte di Cohen.
Nel suo discorso pronunciato in seguito ai delegati locali del partito – e che è disponibile pubblicamente – Milosevic alludeva a questo “increscioso incidente” e prometteva un’inchiesta. Quindi proseguiva, insistendo sul fatto che “noi non dovremmo permettere che le disgrazie della gente siano sfruttate da certi nazionalisti, che qualsiasi persona onesta è tenuta a combattere. Noi non dobbiamo dividere le persone in Serbi e in Albanesi, ma dovremmo piuttosto separare, da una parte, le persone ragionevoli che si battono per la fraternità, l’unità e la parità etnica e, da un’altra, i contro-rivoluzionari e i nazionalisti.”   
Una volta ancora mi ritorna in mente Aldous Huxley : “I fatti non cessano di esistere perché li si ignora.”
Ma Huxley ha anche dichiarato : “Grande è la verità ma, da un punto di vista pratico, più grande ancora è il silenzio sulla verità. Semplicemente per il fatto di non menzionare certi argomenti (...), i propagandisti totalitari hanno influenzato l’opinione pubblica ben più efficacemente di come avrebbero potuto fare ricorrendo alle denunce le più eloquenti.”
 
Il 12 febbraio, a Ginevra, il Ministro Russo per gli Affari Esteri, Sergueï Lavrov, ha tentato di trasmettere ai giornalisti le sue gravi preoccupazioni rispetto al modo in cui gli Stati Uniti hanno affrontato il problema del Kosovo: 
“Qui si sta parlando del sovvertimento all’incontrario di tutti i fondamenti e di tutti i principi del diritto internazionale che, in quanto pilastri dell’esistenza dell’Europa, sono stati ottenuti ed instaurati al prezzo di enormi fatiche e nel dolore, con tanti sacrifici e tanto sangue.
Nessuno è in grado di presentare piani precisi o di azione nel caso di una reazione a catena, quella di future dichiarazioni di indipendenza unilaterali. Stiamo verificando che gli Stati Uniti e i loro alleati nella NATO hanno l’intenzione di muoversi in una maniera disinvolta in una questione di importanza fondamentale. Tutto questo risulta semplicemente inammissibile ed irresponsabile. Sinceramente, non arrivo a comprendere i principi che guidano i nostri colleghi Americani e nemmeno quelli degli Europei che hanno adottato questa posizione”. 
 
Roger Cohen liquida queste considerazioni con qualche parola : “L'orso russo si sta agitando.”
E aggiunge: “La Russia sta lanciando alte grida. Ma ha puntato su un cavallo sbagliato.” Allora, non esistono questioni gravi, non esistono questioni di principio. Solamente “boatos” e la posta in palio.
Ancora, Cohen scrive: “ Milosevic ha gettato i dadi del nazionalismo che induce al genocidio ed ha perso!”. Questa affermazione non è solamente falsa, costituisce anche una metafora grottesca. Milosevic ha cercato di sopprimere un movimento secessionista armato (UCK), sostenuto segretamente e in modo efficace dalla vicina Albania, dagli Stati Uniti e dalla Germania, cosa che ha deliberatamente provocato per reazione l’assassinio, e dei Serbi, e degli Albanesi fedeli al governo. Sull’esempio degli Americani in analoghe circostanze, Milosevic ha troppo confidato sulla superiorità militare, trascurando le finezze diplomatiche. Comunque, lo stesso Tribunale Penale Internazionale dell’Aja per i crimini nella ex Jugoslavia, sponsorizzato dalla NATO, aveva dovuto abbandonare tutte le accuse di “genocidio” in Kosovo contro Milosevic, per la semplice ragione che non esiste l’ombra di una prova per suffragare questo genere di accuse.
 
Milosevic non è più di questo mondo e la Russia è tanto lontana. Ma che dire dei Serbi che vivono ancora nella parte storica della Serbia chiamata Kosovo? Cohen si fa carico di questo problema con poche parole: “Un buon numero dei 120.000 Serbi del Kosovo possono fare fagotto.”
Come faceva rimarcare Aldous Huxley, “lo scopo del propagandista è quello di fare dimenticare ad un gruppo di persone che altri gruppi di persone sono costituiti da esseri umani.”
E, dopo questo, andate voi a dire a quelli di fare fagotto! 
 

Un caso “unico” 

 
La Russia ha messo in guardia contro il fatto che l’indipendenza del Kosovo avrebbe ingenerato un precedente pericoloso, e quindi un incoraggiamento per altre minoranze etniche a seguire l’esempio degli Albanesi e a reclamare la secessione e uno Stato Indipendente. Gli Stati Uniti hanno disprezzato queste preoccupazioni, affermando in maniera netta che il Kosovo costituisce un caso “unico”.
Ebbene sì, il Kosovo costituisce un caso unico, e persino è l’unico riconosciuto dagli Stati Uniti,...fino a quando si presenterà il prossimo “caso unico”. Dal momento in cui i criteri del diritto internazionale sono stati gettati nella spazzatura, ci si è dovuti confrontare solo con “casi unici”, uno dopo l’altro.
Questa “unicità” messa in evidenza dagli Stati Uniti non è nient’altro che una montatura propagandistica, che poggia sulla pretesa “unicità” della repressione da parte di Milosevic di un movimento secessionista armato, che, in effetti, non aveva assolutamente nulla di unico. Si trattava della procedura seguita abitualmente lungo tutto il corso della storia e in tutto il mondo, in tali circostanze. Deplorevole, certamente, ma assolutamente non unica. Comunque dalle caratteristiche nemmeno confrontabili rispetto alle operazioni contro-insurrezionali interminabili e molto più sanguinose messe in atto in Colombia, nello Sri Lanka o in Cecenia, per non parlare dell’Irlanda del Nord, della Tailandia o delle Filippine. E, al contrario delle operazioni anti-insurrezionali portate avanti in Iraq e in Afghanistan, che hanno procurato un numero incomparabilmente maggiore di morti civili, questa procedura veniva applicata da un governo nel pieno diritto, democraticamente eletto dal paese, e non da una potenza straniera.
Questo carattere “unico” è una astrazione propagandistica. Effettivamente il Kosovo è unico, come lo è qualsiasi posto al mondo. Ma per delle ragioni che non hanno nulla a che vedere con il pretesto avanzato dagli Americani, per impadronirsi del Kosovo e trasformarlo in un avamposto dell’Impero.
 
Per capire ciò che rende unico un posto, è necessario interessarsene.
Io non mi sono più recata in Kosovo dopo la guerra della NATO del 1999. In una certa occasione, nell’agosto 1997, ho percorso la provincia a mie proprie spese, in una Skoda sgangherata, giusto per vedere. Percorrere il Kosovo in automobile poteva presentare qualche rischio, in parte a causa del grande numero di cani morti che ingombravano le strade, ma soprattutto per la indecente abitudine da parte dei conducenti locali di sorpassare i veicoli più lenti da ogni lato della strada, e in curva.  Nel nord del Kosovo, proprio all’uscita dalla cittadina di Zubin Potok, questa mania si è concretizzata attraverso una delle sue inevitabili conseguenze: uno scontro frontale – con feriti gravi– che ha bloccato la strada a due corsie per delle ore, durante le quali le ambulanze e la polizia tentavano di porre rimedio alla situazione. 
Nell’impossibilità di proseguire il mio viaggio verso Pristina, sono ritornata a Zubin Potok ed ammazzavo il tempo sulla terrazza ombreggiata di un ristorante ai bordi della strada. Ero la sola cliente e l’unico cameriere, un uomo giovane, alto ed elegante, che si chiamava Milomir, aveva accettato con piacere il mio invito a sedersi con me e a chiacchierare, mentre io sorseggiavo un bicchiere dopo l’altro di un delizioso succo di fragole.
Milomir era felice di scambiare due parole con qualcuno che conosceva bene la città francese di Metz, che aveva visitato quando era studente, e di cui si ricordava non senza commozione. Amava la lettura e viaggiare, ma, nel 1991, si era sposato e oramai aveva due figliolette da mantenere. Le prospettive di lavoro erano limitate, anche se era andato all’università, tanto che non aveva avuto altra scelta che quella di rimanere a Zubin Potok. Quanto all’Europa, anche se era arrivato ad ottenere un visto, (cosa impossibile per i Serbi), non poteva esprimersi in nessuna lingua dell’Occidente se non nella sua lingua madre, il serbo-croato. Aveva studiato il russo (amava la letteratura russa) e l’albanese come le sole lingue straniere. Aveva studiato l’albanese per essere in grado di comunicare con la maggior parte degli abitanti del Kosovo. Ma questa comunicazione risultava faticosa. Milomir era un grande sostenitore di una società bilingue e valutava con favore che tutta la gente del Kosovo dovesse apprendere sia il serbo che l’albanese, cosa che disgraziatamente non avveniva. Tutte le nuove generazioni di Albanesi si rifiutavano di imparare il serbo, preferendogli l’inglese.
La cittadina di Zubin Potok era situata nelle vicinanze della diga costruita sul fiume Ibar, alla fine degli anni Settanta, per ricavarne energia idro-elettrica. Io arrivavo da Novi Pazar e avevo costeggiato il lago artificiale creato dalla diga, e per 35 km avevo cercato invano un posto piacevole per fermarmi. Pensavo che avrebbero dovuto esserci dei villaggi lungo il fiume Ibar, prima della costruzione della diga, e quindi domandai a Milomir informazioni a questo riguardo. Sì, mi rispose, il lago artificiale aveva sommerso una ventina di vecchi villaggi, la cui popolazione era etnicamente mescolata, ma a maggioranza Serba. Le autorità comuniste albanesi di Pristina avevano reinsediato i Serbi, circa diecimila persone, al di fuori del Kosovo, attorno alla città di Kraljevo.
 
Si trattava solo di un piccolo esempio dei provvedimenti amministrativi assunti per ridurre la presenza della popolazione Serba durante il periodo precedente a Milosevic, quando gli Albanesi dirigevano la provincia attraverso il sotterfugio della locale Lega dei comunisti. 
Milomir non si commiserava, ma rispondeva con grande semplicità alle mie domande. Lui non si recava troppo di frequente (prendendo l’autobus, dato che non possedeva una vettura) nella città importante più vicina, Mitrovica, per il timore di essere aggredito dagli Albanesi.                                  Molto semplicemente, tutto questo faceva parte dell’esistenza, in un’epoca in cui, secondo i mezzi di informazione Occidentali, gli Albanesi del Kosovo erano terrorizzati dalla repressione dei Serbi.
Finché noi si chiacchierava, è spuntato un suo amico e la conversazione si era indirizzata sulla politica. Era in corso una campagna elettorale per la Presidenza. I due giovani desideravano conoscere quale fra i candidati reputassi migliore per la Serbia, agli occhi del mondo. Milomir era un estimatore di Vuk Draskovic e il suo amico per Vojislav Kostunica. Nessuno dei due avrebbe immaginato di votare per Milosevic o Seselj, il dirigente nazionalista del partito Radicale. 
 

Zubin Potok, attualmente

 
Io non ho alcuna idea dove siano andati a finire Milomir, sua moglie, le sue due bambine, ed anche il suo amico. 
Zubin Potok è la municipalità più ad ovest nel Kosovo settentrionale, con una popolazione predominante Serba. Da Internet, ho appreso che la popolazione della municipalità di Zubin Potok (compresi i villaggi circostanti) è quasi raddoppiata dopo il mio passaggio. Attualmente rasenta i  14.900 abitanti, compresi i 3.000 Serbi profughi interni (originari da altre regioni del Kosovo, dove la maggioranza Albanese li ha cacciati dopo l’arrivo della NATO), i 220 rifugiati Serbi provenienti dalla Croazia e 800 Albanesi. L'Assemblea locale è dominata da una maggioranza schiacciante del Partito Democratico di Serbia, di Kostunica, ma comprende anche due rappresentanti degli Albanesi del Kosovo.  
Fino a questo momento, le scuole, gli ospedali, e gli altri servizi pubblici, e in definitiva tutta l’economia locale, hanno continuato a funzionare grazie in gran parte ai sussidi di Belgrado. La dichiarazione Albanese di indipendenza del Kosovo sta creando una crisi, vista la pretesa che sia posto un termine alla concessione vitale di questi aiuti, anche se un “Kosovo indipendente” si dimostra incapace di rimpiazzarli. Per di più, gruppi di nazionalisti Albanesi dichiarano che Zubin Potok “è Albanese” e che deve essere “liberato dalla presenza Serba”. Questo si può vedere su You Tube, e questi Albanesi utilizzano come simbolo la Statua della Libertà e minacciano i Serbi attraverso musiche rap in Albanese. 
L'Unione Europea sta per intervenire in modo da imporre la legge e l’ordine. Ma l’“ordine” che pretende di assicurare è quello stesso che vorrebbero imporre i nazionalisti Albanesi.
Cosa potrà significate tutto questo per persone come Milomir e la sua piccola famiglia?
Per Roger Cohen, la risposta è facile: “Fate fagotto!”
La Serbia, comunque sia, ospita già il numero più imponente di rifugiati in Europa, le vittime delle “pulizie etniche” in Croazia e in Kosovo. E i Serbi non possono ottenere ne’ visti ne’ lo status di rifugiati nell’Europa occidentale. Sono stati etichettati come “cattivi soggetti”. Solo i loro nemici possono essere catalogati come “vittime”.
 

Prima e dopo

 
Prima della guerra e dell’occupazione della NATO, il Kosovo era tuttavia una società multietnica. L'accusa di “apartheid” era molto semplicemente un elemento della propaganda albanese, visto che i dirigenti Albanesi aveva scelto di utilizzare questo termine, pesante di significati, per descrivere l’effettivo loro boicottaggio dei Serbi e delle istituzioni Serbe. Qualsiasi azione di polizia nei confronti di un Albanese, qualsiasi fosse la ragione, che si trattasse di ribellione armata o di un reato ordinario, veniva descritta come una “violazione dei diritti dell’uomo” attraverso la rete di comunicazioni Albanesi sui diritti dell’uomo, finanziata dal governo degli Stati Uniti.
Si trattava di una situazione paradossale: i governi di Serbia e Jugoslavia consentivano ad un “governo del Kosovo”, separatista ed illegale, sotto la direzione di Ibrahim Rugova, di tenere banco nel centro di Pristina e di ricevere regolarmente i giornalisti stranieri per regalar loro sproloqui maligni sul modo in cui il Kosovo veniva oppresso da questi orribili Serbi.   
Ma le leggi erano le stesse per tutti i cittadini, c’erano Albanesi in seno al governo locale e nella polizia e, se si verificavano casi di brutalità poliziesche (e qual’è il paese dove non ce ne sono?), gli Albanesi, quanto meno, non avevano nulla da temere dai loro vicini Serbi.  
Invece, in quello stesso periodo, erano i Serbi che avevano paura degli Albanesi. Bisognava essere lontani dal Kosovo per credere seriamente che fossero gli Albanesi che vivevano sotto la minaccia di una “pulizia etnica” (o addirittura di un “genocidio”). Un progetto simile era molto semplicemente e manifestamente fuori di proposito. Erano i Serbi ad avere paura, che parlavano di inviare i loro bambini in posti sicuri, ammesso che ne avessero avuto i mezzi, o che si ripromettevano di restare coraggiosamente, “qualsiasi cosa fosse avvenuta”.  
Più tardi, nel marzo del 1999, quando la NATO cominciò a bombardare il Kosovo, gli Albanesi fuggirono a centinaia di migliaia e la loro fuga temporanea dal teatro della guerra fu presentata come la giustificazione dei bombardamenti che l’avevano provocata.
Allora, la stampa mondiale non si preoccupò minimamente di parlare anche dei Serbi e di tutti gli altri che ugualmente erano stati costretti a fuggire dai bombardamenti.   
 
Nel 1987, in Kosovo, e in particolare a Pristina e a Pec, avevo potuto osservare un comportamento di gruppo curioso, che mi ricordo di avere visto solamente nei cortili per la ricreazione delle scuole del Maryland della mia infanzia.  Una frotta di bambini si riunisce e, con l’aiuto di segni diversi e di un minimo di parole, fanno sapere ad altri esterni al gruppo di volerli escludere e dileggiare. Ho visto degli Albanesi comportarsi nello stesso modo con dei Serbi isolati, e specialmente con delle donne anziane. Questa sorte di vessazioni veniva praticata senza violenza, nel 1987, ma questo non fu più il caso dopo l’occupazione del territorio da parte della NATO. La violenza fu incoraggiata quando la NATO suggellò ufficialmente la sua approvazione dell’odio degli Albanesi nei confronti dei Serbi, e questa ufficialità, furono precisamente le bombe della NATO a fornirla, nella primavera del 1999. 
Sicuramente, ci saranno ben stati dei Serbi che odiavano gli Albanesi! Ma nella mia esperienza limitata e data dal caso, quello che mi colpiva era l’assenza di odio verso gli Albanesi nei Serbi che ho incontrato. La presenza del timore, sì, ma non dell’odio. E molte considerazioni mi hanno lasciato perplessa.  Ad esempio, suor Fotina, del monastero di Gracanica, aveva una spiegazione molto cristiana della cosa. “Noi cerchiamo di aiutare gli Albanesi nel prendersi cura dei loro numerosi bambini, e purtroppo loro si rivoltano contro di noi. Deve essere il modo con cui Dio punisce noi Serbi per il fatto che ci siamo scostati dal cristianesimo all’epoca del comunismo.” La suora biasimava i suoi concittadini Serbi piuttosto che gli Albanesi. 
 
Comunque, il... castigo divino non si è limitato solo ai cristiani. Nel punto più meridionale del Kosovo vive una antica popolazione denominata i Gorani, gli uomini delle montagne, che sotto l’Impero Ottonano, come la maggior parte degli Albanesi, si erano convertiti all’Islam. Ma la loro lingua è il Serbo, e questo, per gli Albanesi, è inaccettabile. Le valutazioni variano, ma tutti sono concordi nel dire che per lo meno due terzi dei Gorani sono dovuti scappare dopo “la liberazione” del Kosovo da parte della NATO.
Le pressioni e le intimidazioni sono state esercitate in forme diverse.
Certi Albanesi si sono installati nelle case temporaneamente  abbandonate dai Gorani, che erano emigrati in Austria e in Germania per guadagnare il denaro che avrebbe loro assicurato una pensione di vecchiaia. 
Le autorità Albanesi, con la protezione della NATO, si sono inventati i modi per privare i bambini Gorani dell’insegnamento in lingua Serba.
Nella principale cittadina Gorani di Dragash, una banda di Albanesi ha attaccato il centro sanitario e ha costretto gli operatori medici alla fuga. 
In seguito, lo scorso 5 gennaio, una potente esplosione ha distrutta la banca di Dragash. Si trattava dell’ultima banca Serba ancora autorizzata ad operare nel Kosovo meridionale, che serviva soprattutto a trasferire le pensioni che consentivano ai Gorani del posto di sopravvivere.
 

Come di abitudine, il crimine rimane impunito

 
Nel novembre 2007, David Binder, che scriveva sulla Jugoslavia per conto del New York Times, prima di farsi espellere in quanto sapeva e parlava troppo a riguardo, ha redatto un articolo (*) su una lunga inchiesta commissionata dalla Bundeswehr, l’esercito Tedesco, sulle condizioni nel Kosovo.
L’esistenza di questo rapporto prova che, per quanto si pretenda pubblicamente che il Kosovo sia “pronto per l’indipendenza”, i governi Occidentali sono assolutamente consapevoli che questo non è il caso. Fra le altre cose, Binder scrive:
“Gli autori ufficiali dell’inchiesta, Mathias Jopp e Sammi Sandawi, hanno passato sei mesi ad intervistare 70 esperti e a studiare sodo sulla letteratura attualmente disponibile relativa al Kosovo per preparare il loro lavoro. Secondo la loro analisi, le agitazioni politiche e gli attacchi della guerriglia degli anni Novanta sono sfociati in cambiamenti fondamentali che vengono individuati nel ‘mutamento delle strutture sociali degli Albanesi Kosovari’. Ne è derivata una ‘società da guerra civile’, in cui le persone sono inclini alla violenza, senza grande istruzione e facilmente influenzabili, dove è possibile fare enormi salti sociali nell’ambito di una soldataglia raccogliticcia su due piedi.
Ci si trova in presenza di una società mafiosa, che poggia sull’occupazione dello Stato da parte di elementi criminali.” 
Secondo la definizione degli autori, “le attività criminali in Kosovo sono gestite da organizzazioni messe in piedi a colpi di pacchetti di milioni di euro, che sono dotate di esperienza di guerriglia e di capacità esecutive in campo spionistico.” Essi citano un rapporto dei servizi di intelligence Tedeschi in cui si prendeva atto dei “collegamenti molto stretti fra i dirigenti di punta della classe politica e quelli della classe criminale”; e fanno i nomi di Ramush Haradinaj, Hashim Thaci e Xhavit Haliti come dirigenti compromessi, “protetti sul piano interno dall’immunità parlamentare e su quello estero dalle legislazioni internazionali”.
Gli autori parlano anche, non senza disprezzo, del Comandante dell’UNMIK, (la Missione delle Nazioni Unite per il Kosovo), dal 2004 al 2006, Søren Jessen-Petersen, che tratta Haradinaj come un “amico stretto e personale”. Lo studio critica severamente gli Stati Uniti per avere “incoraggiato l’evasione di criminali” in Kosovo e di “impedire agli inquirenti Europei di operare”.
L’inchiesta fa nello stesso modo il punto sui “centri di detenzione segreti della CIA” a Camp Bondsteel e denuncia l’addestramento di natura militare, alla Statunitense, che la famigerata agenzia DynCorp impone alla polizia Albanese del Kosovo, con l’autorizzazione del Pentagono. 
In una nota annessa, si cita un ufficiale non identificato che avrebbe detto del Comandante Aggiunto (Statunitense) dell’UNMIK: “Il compito principale di Steve Schook consiste nell’ubriacarsi una volta alla settimana con Ramusj Haradinaj”.
 

Chi se ne va e chi resta

 
Schook è stato trasferito dall’UNMIK, i cui compiti stanno tuttavia per essere ripresi arbitrariamente dall’Unione Europea. La “missione” dell’UE consiste in una sorta di governo coloniale che, in compagnia della NATO,  prevede di governare un territorio Albanese di fatto ingovernabile. Ed infatti, movimenti di patrioti Albanesi armati stanno già preparando la loro prossima “guerra di liberazione” contro gli Europei. 
Quindi, dopo i Serbi, i Rom, i Gorani, anche gli Europei saranno obbligati a “fare fagotto”? Solo gli Americani sembrano sicuri di restare ! Installati con tutti i comfort nella loro gigantesca base di  Camp Bondsteel, gli Statunitensi controllano le vie di comunicazione strategiche dalla Serbia alla Grecia e, incidentalmente, forniscono alla massa di Albanesi Kosovari disoccupati delle opportunità di lavoro, in particolare in impieghi subalterni e pericolosi al servizio delle forze americane in Iraq o in Afghanistan.   
La realtà di questa sfacciata occupazione di un territorio è sotto gli occhi di tutto il mondo. Su questo argomento ho scritto io, ha scritto Binder, ha scritto Szamuely e ugualmente l’hanno fatto tanti giornalisti e scrittori Tedeschi. Anche i Russi, i Greci, i Rumeni, gli Slovacchi e tanti altri sanno di che si tratta. Ma, in questo che è il migliore dei mondi possibili, come viene presentato dal Nuovo Ordine Mondiale, questa realtà non esiste in via assoluta. La gente non sa nulla ! 
Lascio l’ultima parola a Aldous Huxley : 
“Molto spesso, è possibile venire a capo dell’ignoranza. Noi non sappiamo, perché noi non vogliamo sapere!”

 

Diane Johnstone è l’autrice di  “Fools' Crusade: Jugoslavia, Nato, and

Western Delusions – La Crociata degli Inganni: Jugoslavia, Nato e Allucinazioni Occidentali” pubblicato da Monthly Review Press.

 
(* Il contenuto dell’articolo di Binder può essere letto su http://www.balkanalysis.com/) 
 



dello stesso autore:

SECESSIONE UNILATERALE DEL KOSOVO:
l’asservimento della Serbia obiettivo delle potenze imperialiste
di Andrea Catone - Direttore del “Centro studi sui problemi della transizione al socialismo”
su Gramsci Oggi - marzo 2008


Kosovo - le potenze imperialiste preparano la soluzione finale 
di Andrea Catone - tratto da "La Montaigne" 2/2005



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Dopo l’indipendenza del Kosovo. Imperialismo e questione serba

di Andrea Catone

su L'ERNESTO del 12/03/2008


Approfondimento di Andrea Catone



La dichiarazione di “dipendenza”

Il 17 febbraio 2008, con la dichiarazione unilaterale di indipendenza approvata dall’assemblea del Kosovo – organismo sorto sulla base dei provvedimenti adottati dall’amministrazione ONU del Kosovo(UNMIK nell’acronimo in inglese) - si chiude formalmente la fase iniziata con i bombardamenti della NATO nella primavera 1999 e la successiva imposizione di un protettorato ONU-NATO sulla provincia serba, avallato – ma non nella misura estesa e totale che poi si è verificata – dalla risoluzione del Consiglio di sicurezza delle NU 1244/99, successiva all’armistizio di Kumanovo (3 giugno 1999), in base al quale l’allora piccola Jugoslavia, la RFJ composta dalle due repubbliche di Serbia e Montenegro, doveva accettare, dopo 78 giorni di violenti e micidiali bombardamenti terroristici sulla popolazione civile e le infrastrutture essenziali, che le sue forze armate abbandonassero il Kosovo alle truppe NATO e di contingenti di altri paesi delle NU.

Questo atto, palesemente contrario alle norme di diritto internazionale che si basano sul riconoscimento dei confini degli stati esistenti e che condannano secessioni unilaterali, è stato platealmente sostenuto dal presidente USA, George Bush, che il 10 giugno 2007 a Tirana,durante la conferenza stampa, espose la sua posizione in modo molto chiaro e determinato: “Il Kosovo deve essere indipendente. Il momento è adesso”. Agli USA si accodano, senza particolari distinguo, i principali paesi della UE, salvo la Spagna, che si affrettano a riconoscere diplomaticamente il nuovo stato, connotato, in diversi rapporti di organismi internazionali come il principale centro di traffico europeo di esseri umani, donne ridotte in schiavitù, armi, droga.

Il governo Prodi, nonostante sia dimissionario e debba quindi occuparsi costituzionalmente solo degli affari correnti, nonostante una mozione a fine novembre 2007, approvata “trasversalmente” dal parlamento (dalla Lega nord alla sinistra), impegnasse il governo a spingere per il proseguimento delle trattative sullo status “al fine di arrivare a una soluzione condivisa” tra Serbia e leadership albanese-kosovara, e mentre le commissioni parlamentari stanno ancora discutendo, proponendo di rinviare la decisione al nuovo governo dopo le elezioni di aprile, è tra i primi, insieme con Francia, Regno Unito e Germania, a riconoscere ufficialmente il Kosovo. Così Massimo D’Alema, che nel 1999 da presidente del consiglio, violando la costituzione della repubblica (articolo 11), aveva fatto partecipare il nostro paese all’aggressione terroristica della NATO contro la Serbia col pretesto di una “guerra umanitaria” per difendere la popolazione albanese del Kosovo, nel 2008, da ministro degli esteri, legittima l’amputazione del 15% del territorio della Serbia (che ad essa apparteneva prima ancora della formazione del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nel 1918), riconoscendo implicitamente che l’aggressione della NATO del 1999, che ha distrutto la Serbia per portarla “indietro di mezzo secolo”, come dichiarava il capobanda delle operazioni NATO, il generale Wesley Clark, non aveva alcuno scopo “umanitario”, ma era una volgare guerra di aggressione per strappare un territorio a un paese e imporvi il proprio controllo con un governo quisling, non diversamente da quello che nella storia del XX secolo faceva Adolph Hitler o l’imperialismo colonialista. 

Che la “dichiarazione di indipendenza” del Kosovo sia in realtà una dichiarazione di dipendenza dagli USA e dalla NATO, e dalla UE solo in quanto indissolubilmente legata ad USA e NATO (che rimane lo strumento principe dell’egemonia militare e politica degli USA, nel momento in cui il dollaro perde vistosamente posizioni nei confronti dell’euro), appare evidente anche ad una superficiale lettura del testo e del contesto in cui l’evento si colloca: nelle piazze di Pristina migliaia di bandiere USA oscurano anche quelle del neo inventato stato del Kosovo. Essa sembra scritta (e lo è con ogni evidenza) dai giuristi della NATO. Sin dal preambolo la dichiarazione1 si preoccupa di rispondere alle obiezioni - sollevate da tutti i più seri esperti di diritto internazionale ed espresse con grande forza dalla Russia - che la secessione unilaterale del Kosovo possa aprire il vaso di Pandora dei secessionismi (nelle repubbliche ex sovietiche di Georgia e Moldavia, ma anche in diversi paesi della UE, in primis di baschi e catalani in Spagna). Essa ripete la litania, reiterata senza fantasia dalla coscienza sporca delle cancellerie occidentali, che “il Kosovo è un caso speciale che sorge dal disfacimento non consensuale della Jugoslavia e non costituisce un precedente per qualunque altra situazione”. Perché scrivere esplicitamente questo? Una “normale” dichiarazione di indipendenza, quali quelle prodotte dalle lotte di indipendenza nazionale e anticoloniale nel XX secolo rivendicherebbe invece il proprio diritto come diritto di tutti i popoli all’autodeterminazione e non si preoccuperebbe comunque di rimarcare il proprio caso speciale. Si esprime poi riconoscenza al “mondo” che “nel 1999 è intervenuto togliendo a Belgrado il governo del Kosovo e ponendo il Kosovo sotto la gestione ad interim delle Nazioni Unite”. Ma che il mondo degli ascari albanesi di Pristina si riduca alla NATO è detto chiaramente al punto 5 in cui si invita quest’ultima a “mantenere il ruolo di guida della presenza militare internazionale in Kosovo” e si dichiara l’impegno ad una piena collaborazione degli albanesi con essa. Al punto 6 si manifesta l’impegno “all’integrazione europea ed euro-atlantica”. L’unica Europa che gli uomini di Thaci riconoscono è l’Europa legata a doppio filo con gli USA, è l’euro-atlantismo, è l’Europa americana. 


Il primo successo internazionale degli USA dopo il 2003

Non può sfuggire che con la dichiarazione unilaterale del 17 febbraio e col riconoscimento del nuovo narcostato da parte dei principali paesi della UE, che, pur non potendo adottare, per l’opposizione di alcuni stati membri, una risoluzione comune, fornisce il principale supporto all’operazione con la missione Eulex - la più grande e costosa missione europea -, la politica estera degli USA colga il primo significativo successo dopo cinque anni di difficoltà e fallimenti: divisione del fronte imperialista per la guerra all’Iraq nel 2003, mancato controllo del territorio iracheno e afghano per la forte resistenza di gruppi armati legati alla popolazione; notevole capacità politica e militare dimostrata da hezbollah in Libano contro l’aggressione israeliana nell’estate 2006; significativi processi di emancipazione dal dominio economico e politico nordamericano in America Latina guidati dal Venezuela e da Cuba; nuovo peso internazionale assunto dalla Russia di Putin, che rovescia la politica di cedimenti e svendita del paese dell’ubriacone Eltsin; intenso sviluppo della Cina e possibili processi di alleanza tra i più grandi e popolosi paesi del mondo, India, Cina, Russia.

In nessuna parte del mondo – e forse neppure nel suo stesso paese – la bandiera a stelle e strisce è osannata come in Albania e Kosovo, in nessuna parte del mondo vi sono tanti segnali di servile sottomissione agli USA, cui si dedicano strade, ristoranti, botteghe e supermercati, come in Kosovo. Dove trovare dei quisling più solerti? Quale zona più sicura per istallare la più grande base militare d’Europa (Camp Bondsteel) rivolta a un tempo verso Russia e Medioriente? 

Ma col colpo gobbo dell’indipendenza del Kosovo gli USA non si assicurano soltanto il controllo di un territorio di importanza strategica – sia militare che economica, per il passaggio delle pipeline -, essi piegano la UE alla propria strategia, dimostrano al mondo di essere ancora leader del campo imperialista, gli unici a poter dettare l’agenda e ad imporre le loro soluzioni. La UE invece mostra ancora una volta di non poter avere una politica estera comune, ma, soprattutto, di essere, con i suoi principali paesi, subordinata agli USA. E, per giunta, di dover pagare a caro prezzo questa subordinazione. Agli USA il controllo militare e la leadership politica, alla UE le spese esorbitanti del mantenimento delle missioni internazionali in Kosovo, cui si aggiungeranno quelle della nuova missione Eulex. 


Le potenze imperialiste e la Serbia

In realtà, nei Balcani, a partire dagli anni ’90, vi è un interesse principale dell’intero campo imperialista, che ha operato potentemente per “balcanizzare” l’area, favorendo la frantumazione della Jugoslavia e la formazione di ministati che, per la loro dimensione economica e militare, fossero totalmente dipendenti dai paesi imperialisti, dei quali sarebbero divenuti i maggiordomi. Anche qui, nulla di nuovo sotto il sole. Così si mosse anche la politica hitleriana. 

L’unico popolo che, per la sua consistenza, la sua tradizione storica di resistenza e lotta per l’indipendenza, è considerato ostacolo alla marcia verso est nei Balcani è quello serbo (i serbi sono i primi a cominciare nell’800 il risorgimento nazionale contro il dominio ottomano nei Balcani e a costituirsi come stato indipendente; respingono nel 1914 l’ultimatum dell’Austria, nel 1941 quello di Hitler e nel 1999 quello della NATO, pagando sempre un prezzo altissimo). Per questo peccato di “orgoglio” nazionale e di resistenza, i serbi, le potenze imperialiste oggi, al pari degli imperi centrali agli inizi del ‘900, mirano a distruggere la Serbia: Serbien muss sterbien. 

Si comprende così che la questione del Kosovo, ben prima di essere una questione di “diritti umani” violati, o della convivenza tra etnie, è la questione dell’imperialismo che mira ad indebolire e sottomettere, bombardandolo e amputandolo, un paese che, nonostante vistosi cedimenti e tradimenti di buona parte del suo ceto politico, non è ancora considerato affidabile per fare il maggiordomo delle grandi potenze. La lunga storia del Kosovo e le sue vicende interne che hanno visto il confrontarsi dei popoli serbo e albanese ben prima dell’ascesa di Milosevic al governo della Serbia – e che furono utilizzate dall’imperialismo nazifascista nella conquista dei Balcani con l’annessione del Kosovo all’Albania occupata da Mussolini, per ingraziarsi i fautori della Grande Albania disegnata dalla Lega di Prizren – sono solo il pretesto di cui le potenze imperialiste si sono servite per la conquista dei Balcani. 

Imperialismo UE a base tedesca e imperialismo USA hanno marciato insieme alla distruzione della Serbia. Le divergenze sono state secondarie, molto sostanziali le convergenze. Certo, la UE, che maschera il suo imperialismo dietro la facciata del diritto e delle regole, avrebbe preferito, anche nella sua componente tedesca più serbofobica, non uscire ulteriormente dalla legalità internazionale (dopo che i principali paesi che la costituiscono avevano scatenato la “guerra umanitaria” del 1999), e si è mossa per convincere il governo serbo a dare il suo assenso alla secessione del Kosovo in cambio della promessa di un non molto lontano ingresso di Belgrado nell’Unione. In tal modo la secessione sarebbe stata consensuale e non sarebbe sorto alcun problema di legalità internazionale, come invece è apertamente esploso oggi, con conseguenze in prospettiva devastanti, soprattutto per il progetto di statualità europea. La secessione del Kosovo col consenso di Belgrado sarebbe stata la prova della piena malleabilità della Serbia, della sua disponibilità a sottomettersi finalmente ai peggiori diktat, e avrebbe avuto come contropartita il suo ingresso subalterno, da maggiordomi di seconda classe, nell’Unione europea. 

La questione dello status del Kosovo e della sua soluzione finale, infatti, non può essere compresa se non come una carta - forse la principale per l’altissimo valore simbolico e storico che ha questa terra nella costituzione dell’identità nazionale serba – della partita intrapresa dalle potenze imperialiste per sottomettere definitivamente la Serbia e inglobarla da serva e minore nel loro sistema economico, politico, militare. Un esame sinottico di quanto accade in Kosovo e in Serbia dopo il 1999 e ai rapporti tra Serbia, UE, NATO, USA in questi ultimi anni può forse chiarire nodi e implicazioni di questa partita. Proveremo a disegnare schematicamente le sue fasi: 


1. Giugno 1999 – ottobre 2000. Bastonare in tutti i modi la Serbia fino a che non si istalli al potere un governo affidabile per l’Occidente

Demolita dalle bombe NATO, tradita da El’cyn e Cernomyrdin, la Serbia deve piegarsi all’ingresso delle truppe NATO in Kosovo, ottenendo però, con la risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza (10.6.1999), il chiaro riconoscimento che la provincia è parte integrante della RFJ (di cui la Serbia, quando si scioglierà l’unione col Montenegro, rappresenta la continuità statale2). Con un’interpretazione molto estensiva della 1244 l’UNMIK (acronimo di United Nations Interim Administration Mission in Kosovo), l’organismo creato dalle N.U. per l’amministrazione provvisoria della provincia, ne assume tutti i poteri, sostenuta militarmente da un altro organismo, la KFOR (Kosovo Force), forza militare internazionale a guida NATO, responsabile di ristabilire “l'ordine e la pace”. Sotto lo sguardo complice di quasi 50.000 militari NATO l’UCK albanese scatena il terrore contro serbi e rom: uccisioni, sequestri di persona, distruzione di abitazioni e saccheggi spingono oltre 200.000 persone ad abbandonare la provincia e cercare rifugio in una Serbia demolita dalle bombe e assediata dall’embargo. Il francese Kouchner (oggi ministro degli esteri) quale “governatore” del “protettorato ONU” opera sin dall’inizio per creare istituzioni amministrative totalmente separate da Belgrado, in conformità con il disegno USA di staccare dalla Serbia il Kosovo, dove hanno costruito la più grande base militare, Camp Bondsteel. 

In Serbia c’è ancora il “dittatore” (democraticamente eletto in un sistema pluripartitico, dove la maggior parte dei media sono dell’opposizione) Milosevic, demonizzato dai media occidentali per aver avuto il torto di voler difendere il suo paese dall’aggressione NATO. Nessun mezzo viene risparmiato per rovesciare lui e il suo partito, SPS, che gode di un ampio consenso tra i lavoratori e nei sindacati: dalla pressione economica, politica, militare ai delitti mirati contro importanti esponenti dell’establishment serbo, dalla creazione di organizzazioni pseudo democratiche di mercenari pagati dagli USA (prima fra tutte Otpor) e di numerose e ambigue ONG, al sostegno ai partiti di opposizione. Con un’azione ben programmata e orchestrata (un modello che vedremo all’opera anche in successive “rivoluzioni arancione” a Tbilisi e Kiev) che combina propaganda, manifestazioni di piazza e azione di commando ben addestrati, il 5 ottobre 2000 – prima che si andasse al ballottaggio per il secondo turno – il parlamento è assalito e devastato e Milosevic si dimette, lasciando il posto al candidato della DOS (opposizione democratica serba) Vojslav Kostunica. Le sedi dei partiti socialisti e della sinistra vengono saccheggiate, picchiati e feriti i militanti socialisti e i rappresentanti sindacali, bloccati e sequestrati i beni del SPS, che deve affrontare una violenta ondata repressiva. 


2. Ottobre 2000-dicembre 2003. La Serbia potrebbe diventare un buon maggiordomo dell’Occidente

Tutta la regia del colpo di mano di ottobre è delle centrali USA e NATO, che hanno in Djindjic più che in Kostunica, che si presenta come difensore dell’interesse nazionale, il loro uomo di riferimento. Comincia la fase in cui l’Occidente agita dinnanzi alla “nuova” Serbia la carota degli aiuti economici e di una possibile integrazione nella UE, ma a condizione che la Serbia dia prova di essere “democratica”, cioè totalmente prona ai voleri di Washington e dei comandi NATO. Il primo, più plateale prezzo da pagare, è la consegna all’Aja (28 giugno 2001) del presidente Milosevic, cui Kostunica aveva invece dato ampie garanzie di rimanere in patria. Nel 2002 la RFJ costituisce una commissione per coordinare la cooperazione con il Tribunale Penale Internazionale per l'ex-Jugoslavia (ICTY) e inizia a emettere ordini di arresto per persone accusate di crimini di guerra rifugiate entro i suoi confini, mentre comincia all’Aja (12 febbraio 2002) il processo contro Milosevic. 

La UE impone inoltre a Belgrado (marzo 2002) di trasformare la Jugoslavia in una unione col Montenegro, guidato dal mafioso filoamericano Djukanovic, cui la Germania ha già fornito i marchi (e poi gli euro) per rompere l’unità monetaria (e poi l’unità statale) con Belgrado. Un altro colpo al ruolo della Serbia, paese che va distrutto. Nel febbraio 2003 muore ufficialmente la RFJ e nasce uno strano stato che rimarrà in vita, come era prevedibile, solo tre anni. 

Ma intanto il nuovo governo serbo guidato da Djindjic, che continua a dare prova di buona volontà e sottomissione all’Occidente e non solleva la questione del Kosovo, né si preoccupa delle condizioni miserrime in cui vivono nel suo territorio 200.000 profughi dal Kosovo (oltre alle altre centinaia di migliaia dalla Bosnia e dalla Croazia), ottiene la carota dell’ammissione al Consiglio d'Europa e chiede di aderire al programma Partnership for Peace, anticamera per l’ingresso nella NATO. 

Tra il 2002 e il 2003 si verifica una seria incrinatura tra le potenze imperialiste. Non in merito ai Balcani, ma all’opzione USA di una nuova guerra contro l’Iraq. La Serbia vive di riflesso questa contraddizione, quando la UE, vestiti i panni della legalità internazionale, si oppone all’impunità pretesa dagli USA per crimini commessi dalle loro truppe o personale civile fuori del territorio statunitense. Il governo USA chiede anche alla Serbia di firmare l'accordo sulla non consegna dei cittadini americani al Tribunale penale internazionale, mentre Bruxelles invita a non farlo, rammentando, per bocca di Peter Schieder, presidente dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, che la Serbia e Montenegro è "un paese che un giorno diventerà membro della UE e che per questo dovrebbe avvicinarsi agli standard europei"3. 

L’influenza USA sul governo serbo si fa molto forte, al punto da coinvolgere indirettamente il paese nella guerra contro l’Iraq. Un articolo del settimanale belgradese Vreme4 (sull’attendibilità della fonte non si può però mettere la mano sul fuoco) rivela che nell'imminenza della guerra all’Iraq sono stati consegnati agli americani moltissimi dati su strutture irachene di importanza strategica, come basi militari e marittime, aeroporti e bunker sotterranei, alla cui progettazione e realizzazione la Jugoslavia (allora repubblica federativa socialista) aveva collaborato negli anni ‘80. Zoran Djindjic è legato piuttosto all’imperialismo tedesco, che per la prima volta, insieme con la più politicamente determinata Francia, manifesta un aperto dissenso con gli USA. Il 12 marzo 2003, una settimana prima dell’aggressione anglo-americana all’Iraq, viene assassinato in pieno giorno davanti al palazzo del governo serbo. 

Dopo questo delitto eccellente e mai veramente chiarito (almeno per il ruolo avuto in esso dai servizi segreti inglese e statunitense), il governo è retto da Zivkovic, che proclama lo stato d’emergenza, mette agli arresti diecimila persone e mostra ottime relazioni con gli USA. L'influenza di Londra e Washington in questo momento si ingrandisce a tal punto rispetto a quella della UE che gli ambasciatori britannico e americano controllano pienamente persino l'azione dell'arresto degli assassini di Djindjic. Nella tarda primavera del 2003 a Belgrado si accelerano fortemente le riforme dell'esercito e dei servizi serbi di informazione, sotto supervisione britannica e americana. È la pressoché totale infiltrazione e distruzione dall’interno di un esercito che aveva conservato, anche nella piccola Jugoslavia, capacità e professionalità acquisite nel periodo della Jugoslavia di Tito. Zivkovic dichiara che la Serbia gode delle migliori relazioni con gli USA degli ultimi 50 anni e a fine luglio si reca in visita in USA per una settimana, dove si impegna ad epurare il partito democratico (DS) degli elementi non filoamericani e, insieme col ministro degli esteri Goran Svilanovic, offre a Condoleezza Rice e Colin Powell un contingente di circa mille militari serbi e montenegrini alle forze americane di Enduring Freedom per combattere in Afghanistan5: Può essere considerato quindi un buon maggiordomo degli USA. I media filogovernativi di Belgrado annunciano la nuova "partnership strategica" fra gli USA e la Serbia. 

Gli Stati Uniti, dal canto loro, lasciano intendere che non sosterranno l'indipendenza del Kosovo, richiesta dai loro figliocci dell’UCK, e garantiranno la sicurezza dei serbi prima di decidere dello status politico finale della provincia. Si rinnovano i rapporti commerciali interrotti con la introduzione (maggio 1992) delle sanzioni contro la RFJ e gli USA divengono i maggiori investitori in Serbia, favoriti dalla svendita delle imprese di stato che i governi antisocialisti e antipopolari della DOS (Djindjic e Zivkovic) hanno intrapreso: nel 2003 la Phillip Morris acquista la fabbrica di tabacco di Nis per 605 milioni di euro, mentre la US Steel mette le sue zampe sull’unica acciaieria serba, a Smederevo, per soli 205 milioni di euro e licenzia immediatamente circa 1.000 lavoratori, imponendo una paga oraria di 0,40 dollari all’ora, che passerà a 1 dollaro solo dopo un epico sciopero generale durato settimane, che coinvolge l’intera città. Alcuni analisti politici credono a questa svolta strategica dei rapporti serbo-americani, ritenendo che Washington, messa di fronte alla difficoltà di posizionare le proprie truppe in tutto il mondo, necessita della stabilità balcanica per ritirare le forze dal Kosovo e dalla Bosnia ed Erzegovina, e distribuirle in punti più importanti come l’Iraq. D’altra parte, al vertice di Salonicco del 21 giugno 2003, la Serbia è inclusa tra i potenziali candidati per l’accesso alla UE.

La questione del Kosovo non è in questi anni 2001-2003 tra le priorità dell’agenda politica dei nuovi leader serbi. 

L’UNMIK procede nella sua opera di costruzione di istituzioni affatto nuove che nulla abbiano a che fare con Belgrado, gettando le premesse per una futura definitiva secessione statale. Tuttavia la questione del futuro status della provincia non è chiusa. Il 15 maggio 2001 il nuovo rappresentante speciale del segretario generale, il danese Hans Haekkerup, subentrato al precedente “governatore” Kouchner, promulga il “Quadro costituzionale per un governo autonomo provvisorio in Kosovo”. Nel novembre 2001 si svolgono le elezioni per la prima Assemblea legislativa, alle quali partecipa in massa, su sollecitazione di Koštunica e del governo di Belgrado, anche la comunità serba: la “Coalizione per il ritorno” (Povratak) ottiene l’11,34% con 89.400 voti. 

Agli inizi del 2002 il nuovo rappresentante delle NU, il tedesco Steiner comincia ad articolare le linee della politica "standards before status”, sostenendo che senza il raggiungimento delle condizioni minime di rispetto della legge, del funzionamento di istituzioni democratiche, dei diritti delle minoranze non albanesi e di sviluppo economico, non si potrà aprire il negoziato sullo status del Kosovo. A fine maggio 2002 il governo del Kosovo entra in funzione con tutti i suoi ministeri, quando i serbi ottengono, oltre al ministero dell’agricoltura, il posto, che loro preme molto di più, di Coordinatore interministeriale dei ritorni presso il primo ministro. Agli inizi del 2003 l’UNMIK comincia a trasferire un buon numero di competenze di governo a questi ministri, mantenendo per sé alcuni poteri legati alla sovranità di uno stato, quali il ministero degli esteri e alcune funzioni della sicurezza. 

Intanto l’ONU fissa alla metà del 2005 la data in cui si esaminerà il raggiungimento degli standard. Tuttavia, il “governatore” dell’UNMIK, il tedesco Michael Steiner, dichiara che "il Kosovo non farà mai più parte della Serbia"6. Se da un lato la politica ufficiale del rappresentante delle Nazioni Unite in Kosovo è ancora, alla fine del 2003, quella sintetizzata dalla formula “norme prima dello status”7, dall’altro vi sono forze internazionali che, all’interno dei loro disegni strategici sull’assetto dei Balcani, spingono per la piena indipendenza del Kosovo, con la cesura netta di qualsiasi legame con lo stato serbo, facendo così consapevolmente da sponda al nazionalismo esclusivistico albanese, con tutte le conseguenze che ciò comporta per la vita della popolazione serba e delle altre minoranze non albanesi, nonché del patrimonio storico-culturale. Sono personaggi potentissimi, che controllano alcuni tra i principali media dei Balcani, come il magnate George Soros, strettamente legato al National Endowdment for Democracy, o think tank influenti come l’International Crisis Group (ICG) che richiedono l’indipendenza del Kosovo. Il 10 dicembre 2003 viene pubblicato a Pristina “Standards for Kosovo”, e approvato dal consiglio di sicurezza dell’ONU con dichiarazione del 12 dicembre 2003, completato dal “Kosovo Standards Implementation plan” che sarà varato il 31 marzo 2004, dopo i violenti pogrom antiserbi di due settimane prima. 

Nel complesso, in questa fase, il destino dello status del Kosovo, se è senza dubbio già orientato ad una amplissima autonomia da Belgrado, non è però già stato deciso. 


3. 2004. La Serbia è di nuovo inaffidabile. Si scatenano in Kosovo i pogrom antiserbi di marzo

Il quadro politico in Serbia muta radicalmente, in senso letterale… Infatti, le elezioni politiche anticipate del 28 dicembre 2003, provocate dalla caduta del governo Zivkovic - inviso alle masse serbe che popolano sempre di più le piazze con scioperi e manifestazioni, travolto dalle accuse della Del Ponte, che incrimina all’Aja 4 generali serbi, diviso al suo interno, con la DOS oramai in frantumi (il partito democratico serbo, DSS, di Kostunica è in rotta di collisione con il partito democratico, DS, di Djindjic e Zivkovic) – fanno del partito radicale serbo, nazionalista e antiamericano, il maggior partito del paese (col 28% di suffragi). Il partito socialista serbo, SPS, duramente attaccato dopo l’ottobre 2000, non scompare di scena, ma si attesta su uno “zoccolo duro” del 7%, mentre il partito liberaldemocratico e filo-occidentale (DS) è ridotto al 13%, superato dal DSS di Kostunica (18%). È a quest’ultimo, dopo una lunga e critica fase di gestazione, che spetta la guida del nuovo governo serbo (2 marzo 2004), che, senza i filo-occidentali DS, è sostenuto da G17 Plus, una formazione politica liberale costituita soprattutto da economisti, il Movimento per il Rinnovamento Serbo (SPO) di Vuk Draškovic e il partito Nuova Serbia (NS), con l’appoggio esterno dei socialisti. 

Kostunica pone apertamente la questione del Kosovo, chiedendo una sostanziale e ampia autonomia per i distretti popolati dai serbi (la cosiddetta “cantonalizzazione”). Il forte condizionamento dall’opposizione dei radicali serbi, il ritorno nel gioco politico con un peso determinante del partito di Milosevic, che all’Aja difende con fierezza la politica di indipendenza nazionale serba e infiamma gli animi della popolazione, incollata per ore al televisore a seguire l’autodifesa del suo presidente che è tutta un preciso e circostanziato atto d’accusa all’imperialismo della NATO, fanno di nuovo della Serbia un paese non affidabile per l’Occidente. 

A solo due settimane dalla nascita del nuovo governo serbo si scatena (17-20 marzo 2004) in tutti i distretti del Kosovo un violentissimo pogrom contro serbi e rom e altre minoranze non albanesi, lasciate in moltissime occasioni senza alcuna protezione da parte dei corpi militari e di polizia di KFOR, UNMIK, KPS. “Sono stati distrutti impianti, sono stati saccheggiati edifici pubblici, tra cui scuole e dispensari, alcuni gruppi etnici sono stati accerchiati e minacciati e le famiglie cacciate dalle loro case. Villaggi interi sono stati evacuati e numerose case sono state ridotte in cenere dopo la partenza dei loro abitanti. In alcuni casi, gli assalitori hanno tentato di occupare illegalmente le case abbandonate, addirittura di rivendicarne la proprietà. Gli scontri hanno provocato 19 morti – 11 albanesi e 8 serbi del Kosovo - e 954 feriti. Inoltre sono stati feriti 65 poliziotti delle forze internazionali, 58 membri del KPS e 61 membri della KFOR. 730 case appartenenti alle minoranze, principalmente serbi del Kosovo, sono state danneggiate o distrutte. È stato preso di mira il patrimonio culturale e religioso del Kosovo: 36 chiese, monasteri e altri siti religiosi e culturali ortodossi sono stati saccheggiati o distrutti. Alcuni luoghi di culto erano del XIV secolo, due erano classificati dall’UNESCO patrimonio mondiale dell’umanità e un terzo tra i siti di interesse regionale. Sono stati pure danneggiati o distrutti beni dell’UNMIK e della KFOR”8. 

Non abbiamo allo stato attuale documenti che provino una correlazione specifica, un rapporto diretto tra il mutato quadro politico in Serbia e i pogrom organizzati dall’UCK in Kosovo, ma dai rapporti dell’UNMIK e delle numerose ONG, emerge il carattere deliberato e organizzato, non casuale o accidentale, del pogrom. È come se qualche burattinaio esterno, un’accorta regia occulta, avesse deciso di “dare una lezione” ai serbi e di agitare ora minacciosamente la carta della violenza etnica di massa per ottenere la secessione immediata. A rivelarlo è la conclusione politica - apparentemente incomprensibile e paradossale – tratta alcuni mesi dopo dalle cancellerie occidentali: infatti, il pogrom, preceduto e seguito da un ininterrotto stillicidio di omicidi, sequestri e violenze quotidiane contro i serbi del Kosovo, viene interpretato come il segnale che occorre definire al più presto lo status del Kosovo, indipendentemente dal raggiungimento di quegli standard da cui gli albanesi, come gli eventi di marzo mostrano, sono mille miglia lontani. Paradossalmente – ma non tanto, se si legge la questione del Kosovo come parte della politica imperialista verso la Serbia – il pogrom di marzo, invece che spingere alla difesa dei serbi vittime delle violenze albanesi, rovescia la politica standard beforee status. Ora il raggiungimento degli standard minimi di rispetto dei diritti delle minoranze non è più una priorità. 


4. Giugno 2004-febbraio 2008. La carota dell’Europa e il bastone del Kosovo

Dopo tre inutili tentativi, che inducono ad abolire il quorum del 50% per convalidare il voto, a fine giugno 2004 viene eletto alla presidenza di Serbia-Montenegro Boris Tadic, del DS, che, con l’appoggio del partito di Kostunica, supera il radicale Nikolic. La Serbia così si presenta con due teste, quella filo-occidentale di Tadic e quella di difesa nazionale di Kostunica. La prospettiva di adesione alla UE li unisce, la strategia da seguire sul Kosovo li divide. Alle elezioni di ottobre 2004 per il rinnovo dell’assemblea del Kosovo, Tadic, seguendo le pressioni dell’Occidente che intende mostrare la foglia di fico della democratica multietnicità della provincia, chiede ai serbi di partecipare al voto, Kostunica li invita invece, dopo il pogrom di marzo e la fallimentare esperienza della loro partecipazione nelle istituzioni disegnate dall’UNMIK, dove non contano assolutamente nulla, a boicottarle. A dicembre 2004 la nuova assemblea del Kosovo elegge a primo ministro il capoclan dell’UCK e criminale di guerra Ramush Haradinaj.

Il 2005 si apre con l’offensiva a tutto campo sulla secessione del Kosovo. In prima fila è l’ICG9, con il suo rapporto “Kosovo: toward Final Status”10, che propugna come unico sbocco la secessione anche unilaterale e con l’opposizione della Russia (esattamente come avverrà tre anni dopo). Segue ad aprile, preceduta da un grande battage sui principali quotidiani occidentali, il rapporto conclusivo della International Commission on the Balkans11, presieduta da Giuliano Amato. Anch’esso sostiene apertamente la tesi che occorre accelerare il processo di definizione formale di indipendenza del Kosovo, che entro un decennio potrebbe entrare, insieme con la Serbia e gli altri ministati della disciolta federazione socialista jugoslava, nella UE. L’argomentazione di fondo è che la situazione non può più attendere, il tempo sta scadendo, potrebbe presto verificarsi un’esplosione violenta di dimensioni ben maggiori e più cruente di quella del marzo 2004. Assistiamo in quest’argomentazione a un rovesciamento delle posizioni politiche precedenti sostenute, nel silenzio-assenso degli USA, dall’UNMIK e dalla UE, che vedevano nella violenza antiserba scatenata nel marzo 2004 la ragione per rinviare qualsiasi discorso sullo status del Kosovo, poiché mancavano i requisiti minimi di sicurezza e vivibilità per le minoranze serbe, rom, e delle altre etnie non albanesi. 

La politica degli USA e della UE è ora molto chiara: si promette alla Serbia la futura adesione alla UE e le si chiede al contempo un atto, anzi più atti, di sottomissione: non solo la collaborazione col tribunale dell’Aja, costruito ad hoc per mantenere la Serbia sotto una perenne spada di Damocle, ma molto, molto di più: la rinuncia al Kosovo, in spregio della stessa risoluzione 1244/99. 

Quasi contemporaneamente alla pubblicazione ufficiale del rapporto della Commissione sui Balcani, la Commissione europea valuta (12 aprile 2005) che la Serbia sia sufficientemente preparata per negoziare un accordo di associazione e stabilizzazione con la UE; il 25 aprile il Consiglio europeo approva la fattibilità del rapporto e invita la commissione ad emanare le direttive di negoziazione per l’accordo. A fine ottobre il norvegese Kai Eide, nominato dall’ONU per valutare il raggiungimento degli standard, li giudica insufficienti, ma ritiene comunque di dover continuare il processo di definizione dello status… Contemporaneamente iniziano i colloqui ufficiali tra UE e Serbia, alla quale si richiede, al solito, stretta cooperazione col Tribunale dell’Aja.

A novembre 2005, il segretario generale delle N.U. Kofi Annan, dopo 15 mesi di trattative senza esito a Vienna tra serbi e albanesi, nomina il finlandese Ahtisaari per avviare il processo sulla definizione dello status. Il “Gruppo di contatto” (Francia, Germania, Italia, Regno Unito, USA, Russia) elabora i “Principi guida per la risoluzione del futuro status del Kosovo”. Esclude che il Kosovo possa ritornare alla situazione pre-1999, che possa essere diviso, o annesso ad altro stato confinante, e rigetta come inaccettabile qualsiasi soluzione unilaterale o che faccia ricorso all’uso della forza12.

A febbraio 2006 cominciano i negoziati sullo status. Qualche settimana dopo Milosevic viene lasciato (o, per meglio dire, fatto) morire nel carcere dell’Aja (11 marzo 2006). La popolazione serba accorre in massa ai funerali, concedendo l’ultimo tributo al capo che non si è piegato ai diktat degli USA, che si è battuto con onore e dignità davanti ai giudici del tribunale. Ma – sempre coincidenze? – qualche mese dopo (maggio 2006) la Serbia viene punita: i negoziati con la UE sono bloccati perché il paese viene giudicato inadempiente verso l’Aja. 

Ed è già scattata (21 maggio 2006) la trappola del referendum secessionista del Montenegro - sostenuto apertamente dagli USA e più sommessamente dalla UE - che sancisce, col 55,5% dei votanti, la fine dello stato di Serbia-Montenegro: il 3 giugno il parlamento montenegrino dichiara l’indipendenza, il parlamento serbo ne prende atto, confermando la continuità della Serbia come stato successore dell’unione. 

Belgrado deve ora confrontarsi con la stesura di un nuovo testo costituzionale, nel cui preambolo si ribadisce che “la Provincia del Kosovo e Metohija è parte integrante del territorio della Serbia, che gode dello stato di autonomia sostanziale nel quadro dello stato sovrano della Serbia e che da tale condizione della Provincia del Kosovo e Metohija seguono gli obblighi costituzionali di tutti gli organi statali di rispettare e difendere gli interessi statali della Serbia in Kosovo e Metohija e tutte le relazioni politiche interne ed esterne”. Adottato dal parlamento, viene approvato da un referendum popolare il 28-29 ottobre 2006. Intanto, i negoziati sul Kosovo sono in pieno stallo. In realtà non si tratta di negoziati, poiché i kosovaro-albanesi, spalleggiati dagli USA, non vogliono nulla di meno dell’indipendenza.

Non era ancora ufficialmente approvata la nuova costituzione della repubblica di Serbia, che i media legati all’Occidente diffondono le decisioni della “Comunità internazionale” sul Kosovo (e sono ben informati, poiché così accadrà un anno dopo): la provincia serba sarò indipendente, con una supervisione internazionale a guida Ue. Sono gettate le premesse per la futura “missione Eulex”. La UE, ad onta delle illusioni dei filoeuropeisti serbi, è parte determinante e soggetto attivo nella secessione del Kosovo. Al di là di alcune divergenze tattiche o di facciata (la UE, promettendo “l’ingresso in Europa”, si adopera a che la Serbia acconsenta alla secessione), vi è una sostanziale, strategica unità di vedute tra USA ed UE rispetto alla Serbia. Tra i due soggetti imperialisti vi è cooperazione e divisione dei compiti e dei ruoli. La UE in questo caso si sobbarca le maggiori spese della nuova missione internazionale e la copertura “legale” della secessione: un imperialismo ipocrita e leguleio, che cerca di nascondere dietro la vuota retorica dei diritti umani il volto aggressivo e sfruttatore, a fronte dell’imperialismo muscolare, rozzo e diretto degli USA di G. W. Bush.

Le elezioni per il nuovo parlamento del gennaio 2007 confermano i radicali quale maggiore forza politica del paese, ma vedono il partito di Tadic superare Kostunica, che perde consensi.

Intanto riprende in parallelo il consueto giochetto della carota Europa e del bastone Kosovo. Agli inizi di febbraio 2007 l'inviato speciale delle Nazioni Unite Maarti Athisaari presenta il piano sul futuro del Kosovo, già anticipato nei media qualche mese prima. È di fatto la legalizzazione della secessione della provincia serba sotto controllo militare della NATO e giuridico-politico della UE. Contemporaneamente il consiglio europeo invita a riprendere i negoziati col nuovo governo di Belgrado per l’accordo di associazione alla UE, sempre a condizione che la Serbia stia pienamente cooperando col tribunale dell’Aja.

Il 3 aprile si riunisce il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per discutere il piano Ahtisaari, che consiglia l'indipendenza del Kosovo sotto la supervisione internazionale. Non si perviene a nessuna risoluzione, poiché l’unica proposta che gli USA sostengono è la secessione della provincia, cui la Russia si oppone decisamente. Lo stesso scenario si ripeterà in altre riunioni. Sul Kosovo non vi è quindi, fino ad oggi, dopo la dichiarazione di indipendenza unilaterale del 17 febbraio 2008, nessuna risoluzione del consiglio di sicurezza dell’ONU.

A giugno medesimo scenario: quasi contemporaneamente Bush dichiara a Tirana che riconoscerà la proclamazione unilaterale di indipendenza (10 giugno) e la UE riprende i negoziati con la Serbia per l’accordo di stabilizzazione e associazione (13 giugno), che sfociano il 10 settembre nella redazione di un testo che dovrebbe essere firmato formalmente entro il 2008. Ma… come sempre, restano in sospeso la questione del Kosovo e la piena collaborazione con il tribunale internazionale dell'Aia, che potrebbero rallentare il percorso europeo del paese… Il 7 novembre a Bruxelles si fa un ulteriore passo per l’accordo tra Serbia e UE, mentre dopo qualche settimana terminano i negoziati sul Kosovo senza alcun accordo tra le parti.

Le elezioni di novembre in Kosovo assegnano la vittoria ad Hashim Thaci, il filoamericano capo dell’UCK, che preannuncia quale primo punto del suo programma l’immediata dichiarazione di indipendenza, che, con l’appoggio di USA e dei principali paesi UE, viene puntualmente proclamata il 17 febbraio 2008. 


Dopo l’indipendenza del Kosovo, si apre una fase di instabilità nei Balcani

La Serbia, che continua a vivere un “dualismo di poteri” tra Kostunica, capo del governo, e Tadic (riconfermato presidente al ballottaggio del 3 febbraio contro Nikolic del partito radicale), reagisce con grande passione e dignità, protestando nelle piazze, richiamando gli ambasciatori dai paesi che riconoscono il Kosovo come stato, attuando una resistenza civile in Kosovo basata sul rifiuto di riconoscere e partecipare a qualsiasi istituzione del nuovo stato. Ma questa è la linea politica dei radicali, del SPS, che ora Kostunica sostiene coerentemente portandola fino alle estreme logiche conseguenze.

Il 5 marzo una mozione proposta dai radicali chiede di riprendere i negoziati con la UE a condizione che ad essi la Serbia partecipi integra, senza l’amputazione del 15% del suo territorio rappresentato dal Kosovo. È chiaramente una mossa politica che chiede alla UE di recedere da tutta la politica sinora seguita, è di fatto la proposta di interrompere il percorso di associazione subalterna nella Unione Europea, che ha pesantemente ferito e umiliato la Serbia, è, indirettamente, l’indicazione di un’altra via nelle relazioni mondiali, costruendo un asse privilegiato, economico e politico, con la Russia. I ministri del DSS sostengono la proposta dei radicali, Tadic si oppone. L’8 marzo Kostunica si dimette, il paese è chiamato a breve a nuove elezioni. 

Questa crisi politica serba non è endogena, è stata prodotta dalla politica delle potenze imperialiste che, appoggiando la secessione del Kosovo, hanno scientemente operato per aprire una fase di instabilità politica in Serbia, contro la quale l’attacco e le ingerenze occidentali termineranno solo quando saranno riuscite – se riusciranno - a ridurla pienamente in servitù.






Bologna-Paris 5/4: iniziative sul Kosovo 

1) PARIS: KOSOVO-PALESTINE

2) BOLOGNA: KOSOVO, AUTODETERMINAZIONE O ETERODETERMINAZIONE?


=== 1 ===

PARIS, Samedi 5 avril à 17 H 30

Conférence-débat: KOSOVO-PALESTINE

Kosovo-Palestine : quelles analogies ? – Diana Johnstone
Impérialisme humanitaire – Jean Bricmont

Samedi 5 avril à 17 H 30

Kosovo-Palestine : quelles analogies ? Si les grandes puissances occidentales reconnaissent le Kosovo en tant qu’État, d’aucuns se demandent : pourquoi pas la Palestine ?
Diana Johnstone, auteur de "La Croisade des fous : Yougoslavie, première guerre de la mondialisation", offrira des réponses en mettant en évidence les illusions, les confusions et les mensonges qui entourent cette question. La question est importante pour saisir la nature du néo-impérialisme américain/occidental, et l’emploi contemporain de la vieille maxime, divide ut regnes.
Jean Bricmont, auteur de "L’Impérialisme Humanitaire", soulignera les faiblesses idéologiques de la gauche sur cette question.

La librairie Résistances
4, Villa Compoint
75017 Paris
M° Guy Môquet (ou Brochant)
BUS 31 : Arrêt « Davy-Moines »
Tel : 01 42 28 89 52. Fax : 01 42 28 95 29


=== 2 ===

https://www.cnj.it/INIZIATIVE/bologna050408.htm

KOSOVO: AUTODETERMINAZIONE
O ETERODETERMINAZIONE?

Dalle campagne mediatiche alla secessione, attraverso bombe e "desaparecidos".
Come nell'Europa contemporanea si disfano e si reinventano gli Stati.

SABATO 5 APRILE ORE 15-18
Sala Zodiaco di Palazzo Malvezzi
via Zamboni 13, Bologna

Proiezione di materiali audiovisivi da:

KOSOVO. IL LUOGO DEL DELITTO (2001)
immagini della pulizia etnica scatenata sotto l'egida della KFOR

SEDÌCI PERSONE (C. Veneziano, 2005)
sul bombardamento della RTS, Belgrado 1999

interviene uno degli attivisti fiorentini del movimento contro la guerra
condannati a 7 anni di reclusione per avere contestato la partecipazione dell'Italia alla
aggressione contro la RF di Jugoslavia

Interventi di:

ROSA D'AMICO
Direttrice Storica dell'Arte presso la Soprintendenza per i Beni Storici e Artistici di Bologna:
L'arte serba tra '200 e '300: un patrimonio europeo in pericolo

UGO VILLANI
docente di Diritto Internazionale presso la LUISS di Roma
Il nuovo « Stato del Kosovo » : implicazioni di diritto internazionale

Presentazione del film:

PANCEVO CITTÀ MORTA (A. Martino, 2007)

sulla crisi ambientale nella zona del petrolchimico bombardato dalla NATO nel 1999
intervengono
ANTONIO MARTINO autore del film, regista indipendente
ALBERTO TAROZZI docente di Sociologia all'Università del Molise

PROMUOVONO:

DISARMIAMOLI - Nodo di Bologna - disarmiamoli.bologna @ tin.it
COORD. NAZ. PER LA JUGOSLAVIA - jugocoord @ tiscali.it




(Si tiene nei prossimi giorni - dal 3 al 6 aprile a Salonicco, Belgrado, Zagabria e Bucarest - una iniziativa coordinata di gruppi antimperialisti ed antimilitaristi, promossa dalla Federazione Mondiale della Gioventù Democratica in occasione del vertice NATO di Bucarest, intitolata: 

PER LA PACE NEI BALCANI - CONTRO LE BASI NATO E L'IMPERIALISMO)


From:   skoj
Subject: Balkanska anti NATO akcija-poziv na ucesce
Date: March 31, 2008 2:28:37 AM GMT+02:00


BALKANSKA ANTI NATO AKCIJA

ZA MIR NA BALKANU PROTIV NATO BAZA I IMPERIJALIZMA“.

 

Drugarice i drugovi,
 

Svetska federacija demokratske omladine (WFDY), čiji je SKOJ punopravni član, organizuje veliku Balkansku ANTINATO akciju solidarnosti u periodu od 3. do 6. aprila. 

U akciji učestvuju članovi WFDY iz Evrope, u prvom redu predstavnici bratskih komunističkih organizacija iz Grčke, Kipra, Portugalije, Mađarske, itd.

Akcija će se održati u četiri grada-Solunu (3.april), Beogradu (4.april) , Zagrebu (5.april)  i Bukureštu (6.april). 

Akcija nosi naziv „ZA MIR NA BALKANU PROTIV NATO BAZA I IMPERIJALIZMA“.

Akcija se održava kao odgovor na NATO samit koji će se održati u susednoj Rumuniji. 

Organizatori akcije pored Svetske federacije demokratske omladine su: u Srbiji Savez komunističke omladine Jugoslavije (SKOJ), u Hrvatskoj Organizacija mladih „SOS“ i u Rumunija Socijalistička omladina Rumunije.

Glavne teme biće restauracija kapitalizma na Balkanu i problemi mladih, imperijalistička secesija južne srpske pokrajine, imperijalističko prekrajanje balkanskih granica i produbljivanje nacionalnih konflikata na Balkanu, NATO samit u Rumuniji i sve jače vojno prisustvo NATO-a na Balkanu, jačanje antikomunističke propagande i odgovor omladine i balkanskih progresivnih snaga i druge teme od važnosti za Balkan i prava mladih.

 

Program dešavanja u Beogradu:

11:00        Konferencija za štampu u Sali „Novi svet“, Nemanjina 34, treči sprat

12:00   Miting ispred ambasade SAD13:30      

15:30   Tribina „Opasnost od imperijalističkih  promena granica na Balkanu i odlučan odgovor mladih na Balkanu“ posle čega sledi dokumentarni film o NATO agresiji protiv SRJ 1999. godine

 

Pozivamo sve da uzmu učešće u ovoj velikoj akcji.

 

Međunarodni sekretar

Marijan Kubik

Sekretarijat SKOJ-a, 31. mart 2008. god


____________________________________________________________________________
Savez komunisticke omladine Jugoslavije SKOJ - The League of Yugoslav Communist Youth SKOJ
Nemanjina 34/III , 11000 Beograd - Nemanjina 34/III, 11000 Belgrade, Serbia




(srpskohrvatski / english)

Savez komunisticke omladine Jugoslavije SKOJ - The League of Yugoslav Communist Youth SKOJ
Nemanjina 34/III , 11000 Beograd - Nemanjina 34/III, 11000 Belgrade, Serbia
web: www.skoj.org.yu * e-mail skoj05 @ yahoo.com * skoj @ neobee.net

1) SKOJ: ZA JEDINSTVENI IZBORNI FRONT KOMUNISTA-ANTI IMPERIJALISTA I PATRIOTA /
For the United Front of communists, anti-imperialists and patriots

2) SKOJ: No to the imperialist change of borders in the Balkans

3) SKOJ: Pyrrhic victory of the neoliberal approach


=== 1 ===

SKOJ: ZA JEDINSTVENI IZBORNI FRONT KOMUNISTA-ANTI IMPERIJALISTA I PATRIOTA


Nakon jednostranog proglašenja nezavisnosti Kosova, sprovedenog uz sponzorstvo i podršku zapadnog imperijalizma na čelu sa Sjedinjenim Američkim Državama, građani Srbije će 11.maja glasati na parlamentarnim izborima. 

Brojne nesuglasice među neoliberalnim partijama dovele su do kraja njihove Vlade.

Predstojeći parlamentarni izbori pokazaće još jednom surovu realnost o kojoj je govorio Karl Marks da eksploatatori ugnjetavanima dozvoljavaju da jednom u nekoliko godina rešavaju koji će ih predstavnik ugnjetačke klase u parlamentu predstavljati i tlačiti. U tom smislu u Srbiji je još uvek na snazi jedan od najreakcionarnijih izbornih zakona u svetu čiji je zadatak da onemogući izlazak na izbore autentičnih predstavnika radničke klase.

Savez komunističke omladine Jugoslavije (SKOJ) zahteva odlučan odgovor svih progresivnih levih snaga radi stvaranja jedinstvenog fronta koji će se odupreti buržoaskoj tiraniji i samovolji. Takav front treba da oforme komunisti, anti-imperijalisti i patrioti koji ćæe dići svoj glas protiv imperijalizma i pljačkaškog kapitalizma. Samo ujedinjeni donećemo istinsku slobodu radničkoj klasi i našem narodu!

Buržoazija pripada prošlosti! Napred u socijalizam!

Za socijalizam, do pobede!

 

Sekretarijat SKOJ-a

17. mart 2008.godine

Secretariat SKOJ: For the United Front of communists, anti-imperialists and patriots

 

After the unilateral declaration of independence of Kosovo with the help of western imperialism, under the leadership of the United States, the citizens of Serbia will vote on 11 May 2008 for a new parliament.

Large differences in opinion between the neoliberal parties led to the end of their coalition.  The coming elections show again, the bitter truth that Karl Marx said,  when he realized that the exploiters allow  the exploited once in several years to choose who will represent them in the parliament. 

In this sense, in Serbia is still one of the most reactionary election laws in use, which makes it real representatives of the working class impossible to participate in the elections. The Communist Youth League of Yugoslavia (SKOJ) requires a response of all progressive and left forces and the formation of a united front, which will resist to the bourgeois  tyranny and self-rule. This front must be formed by communists, anti-imperialists and patriots and they have to resist to imperialism and predatory capitalism. Only the united front will give our working class and our people the true freedom!

The bourgeoisie belongs to the past! Forward to socialism! For socialism until victory!

 

The Secretariat of SKOJ

March 28, 2008


=== 2 ===

(na srpskohrvatskom: 

SKOJ: O JEDNOSTAVNOM PROGLASENJU NEZAVISNOSTI KOSOVA I METOHIJE
[JUGOINFO] Februar 29, 2008 )

Secretary SKOJ: No to the imperialist change of borders in the Balkans

 

The SKOJ (Communist Youth League of Yugoslavia) rejects the imperialist change of borders in the Balkans in view of the unilateral and illegal declaration of "independence" of the southern Serbian province of Kosovo, under the patronage of the United States and the European Union.

The proclamation of the independence of Kosovo is unilateral, illegal and contrary to the Constitution of the Republic of Serbia and of Resolution 1244 of the UN Security Council. 

In Kosovo, the imperialists have an occupation policy which will lead to the resistance of the people. The leading foreign companies, which have the domination of the major industries, are led by people who played the major role in the dismantling of Yugoslavia and the secession of Kosovo (Madeleine Albright, former US Secretary of State, William Walker former leader of the OEBS in Kosovo, Bernard Kushner former head of the UNMIK.)

The nine-year occupation policy in Kosovo will destroy all the achievements made during the past five decades as the Kosovo had the support of the whole SFRY. The proof is the fact that 73% of the working population is unemployed, and that half of the unemployed are under 35 years old. In all parts of Kosovo is only a third of electricity generated than in the year 1999. The factories are working either not at all or only with a fraction of their capacity. A major problem for Kosovo is also the organized crime and corruption and the threat of elementary human rights. The main industries are in the hands of the NATO occupiers. 

The existing Situation is not in the interests of the people, it represents only the imperialist-expansionist aims of NATO. The goal of policy, which several international "peace commission" are making, is the further strengthening of the existing situation in accordance with the principle of "divide and conquer". The state organs of the Republic of Serbia have a duty to do everything possible to secure the territorial unity of the country, and have to take all legal, diplomatic, economic and political measures against states that support the unilateral

Declaration of independence of Kosovo. Serbia has the full right and the responsibility to defend its sovereignty and integrity. In contrast to this, all the steps of the Serbian state organs will be just empty rhetoric and the decision of the Government of Serbia on the non-recognition of the Kosovo will end with its nullification.  The recognition of the illegal secession of Kosovo from the EU and the United States have shown the real objectives of the aggression on the Federal Republic of Yugoslavia in 1999. Only the creation of an alliance between the Albanian and Serbian working class in Kosovo and their resistance against the expansionist policies of the United States and the EU will secure lasting peace.

Kosovo is an integral part of Serbia and will remain!

 

The Secretariat of SKOJ

February 17, 2008

 

=== 3 ===

(na srpskohrvatskom: 

SKOJ: PIROVA POBEDA NEOLIBERALNOG KONCEPTA
[JUGOINFO] Februar 29, 2008 )

Secretary SKOJ: Pyrrhic victory of the neoliberal approach

With the help of government media and the support of the Western imperialists headed by the United States, the pro-imperialist presidential candidate, Boris Tadic, president of the Democratic Party (DS) realized his pyrrhic victory. The SKOJ (Communist Youth League of Yugoslavia) draws attention to the fact that these elections were conducted in accordance with rules that prefer bourgeois parties. This is another classic example of discrimination.  Moreover, these elections have shown that the lack of leftist candidates a large part of the epresentatives of socialism voted for the candidate of the Radical Party (RS) Tomislav Nikolic. These were voices of protest against the neo-liberal policies of the Serbian government, which is dominated by the Democratic Party of President Tadic. Tadic is fully in line with the western imperialism, which is against the interests of the working people of our country.  Boris Tadic works with intensity on the accession of our country to the European Union and the criminal NATO military alliance, which made the aggression on the Federal Republic of Yugoslavia in 1999. Serbia's accession to the European Union and NATO is to the interests of our people directly opposite. The states of the European Union and the United States are calling to the separation of Kosovo from Serbia. The NATO has this part of Serbia already occupied.  The pro imperialist and neoliberal policy, of President Tadic, adds the state and the people a lot of harm.  It is therefore in the interest of the working class, that Boris Tadic as short as possible remains in power. The response of the working class of Serbia must decisively and quickly. All progressive and patriotic elements under the leadership of the communists must form a united front against imperialism and neo-liberalism. The SKOJ understands the importance of this step and agitates for the action unity of all progressive and patriotic forces. The first step in this direction is the joint commencement of the progressive and patriotic forces in the local elections. The honest patriots in our latitudes are the communists headed by the NKPJ ( New Communist Party of Yugoslavia). This is the first step in the struggle for the liberation of labour from the capitalist oppression.


The Secretariat of SKOJ
February 3, 2008






L*ernesto – rivista comunista promuove la conferenza-dibattito
 
KOSOVO: TORNA LA GUERRA IN EUROPA?
 
MILANO, mercoledì 2 aprile, ore 20.45
CASA DELLA CULTURA, via Borgogna, 3
 
Introduce
 
Vladimiro Merlin, Consigliere comunale Prc Milano
 
 
Intervengono
 
Tommaso Di Francesco, Redazione de il Manifesto
 
Andrea Catone, Presidente dell’associazione  "Most za Beograd - un ponte per Belgrado in terra di Bari”
 
Luis Del Roio, Senatore Prc-Se, membro del Consiglio europeo

 

Andrea Genovali, Vice responsabile Dipartimento Esteri PdCI

 

Enrico Vigna, Portavoce Forum Belgrado- Italia

 

Jean Toschi Marazzani Visconti, aAutrice de "Il corridoio"-sguardo controcorrente sulle guerre jugoslave degli anni '90

 

Djana Pavlovic, mediatrice culturale Rom-Sinti, della comunità serba di Milano

 

 

Conclude
 
Fosco Giannini, senatore Prc-Se, capogruppo Commissione Difesa al Senato

--- 

Sulla questione del Kosovo si trova in rete moltissimo materiale. Tra i tanti testi di informazione, documentazione, critica, cfr:

Andrea Martocchia, La rimozione della Jugoslavia, https://www.cnj.it/documentazione/rimozione.htm

 

Fosco Giannini , Don Andrea Gallo , Enrico Vigna, L’indipendenza del Kosovo di Bush e perché dobbiamo opporci   (Liberazione, 27/07/2007)

 


Documento della Commissione UE sullo stato di avanzamento al 2007 della Risoluzione 1244 (UNSCR 1244) del Consiglio di Sicurezza dell’ONU sul Kosovo (Trad. di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova). https://www.cnj.it/documentazione/KOSMET/kosovoCEbettio.htm

Neil Clark, Kosovo: una crisi scatenata dall’Occidente (The Australian, 24 dicembre 2007. Neil Clark collabora regolarmente con The Spectator e The Guardian in Gran Bretagna, ed insegna relazioni internazionali all’Oxford Tutorial College.

Eduardo Montes de Oca, Kosovo: nuova colonia? (Rebelion, in Resistenze,  31/01/2008)


Sara Flounders, Kosovo’s ‘independence’ - Washington gets a new colony in the Balkans, http://www.workers.org/2008/world/kosovo_0228/


Jorge Luis Herrera del Campo, Ieri il Katanga, oggi il Kosovo! Il denaro sempre! (Juventud Rebelde, 01/03/2008, www.juventudrebelde.cu/internacionales/2008-03-01/katanga-ayer-kosovo-hoy-y-el-dinero-siempre/)

 

Comunicato della Rete nazionale Disarmiamoli!: Kosovo: un altro tassello della diplomazia di guerra italiana. (www.disarmiamoli.org)

 

Dichiarazione del Consiglio Mondiale della Pace (WPC) riguardo la provincia serba del Kosovo [World Peace Council (WPC) - www.wpc-in.org/newsstatements/  trad. it. www.resistenze.org 26-02-08 - n. 216]
 
Forum Belgrado Italia. La Serbia che resiste!, in www.resistenze.org
 
Kurt Köpruner, Vom intakten Jugoslawien zur Terror-Region Kosovo, Eurasisches Magazin 31.07.2007, http://www.eurasischesmagazin.de/artikel/?artikelID=20070710

 

Andrea Catone, Secessione unilaterale del Kosovo: l’asservimento della serbia obiettivo delle potenze imperialiste, n° 0 Marzo 2008 www.gramscioggi.org



http://liste.bologna.social-forum.org/wws/arc/forum/2008-03/msg00365.
html

L’ESCLUSIONE DEL POPOLO ROM a Vag 61 il 28 e 29 marzo 2008 Vag61

From: Vag61 <info@...>
To: forum@...-forum.org, info@...
Subject: L’ESCLUSIONE DEL POPOLO ROM a Vag 61 il 28 e 29 marzo 2008
Date: Wed, 26 Mar 2008 13:04:33 +0100


*AI MARGINI DELLE PERIFERIE DEL MONDO*

*L'ESCLUSIONE DEL POPOLO ROM*

Una due giorni di storia e cultura "romanì" a VAG 61

*VENERDÌ 28 MARZO*

*ore 21,30 - ROM CABARET*

*con DIJANA PAVLOVIC*

Dijana Pavlovic è una rom serba nata a Vrnjacka Banja nel 1976. Dopo
aver
studiato all'Accademia di Arte Drammatica di Belgrado, nel 1999 si è
trasferita a Milano dove lavora come attrice e mediatrice culturale.
Dopo
essere stata candidata nella lista di Dario Fo alle elezioni comunali
di
Milano, attualmente è l'unica candidata rom in Italia per le elezioni
della
Camera.

In Italia, dalla stagione 1999/2000 ad oggi, dopo aver ottenuto la
"Segnalazione di merito" al "Premio Teatrale Hystrio", ha recitato in
diversi spettacoli in lingua italiana tra cui:"Le lacrime amare di
Petra Von
Kant" di Fassbinder, al Teatro Elfo di Milano, regia di F. Bruni e E.

De Capitani ; "Le serve" Genet , al Teatro Out Off di Milano, regia di
L.Loris; " La felicità coniugale" di Anton Cechov, al Teatro Parenti
di
Milano, regia di R. Trifirò .

Ha partecipato a diversi serial televisivi e ad alcuni film tra cui:
"Provincia meccanica" di Stefano Mordini; "Una ragazza d'oro" di
Tatiana
Olear (a Milano Spazio Zazie in Aprile).

Dijana Petrovic in questi giorni è stata vicino ai rom sgomerati dal
campo
della Bovisa a Milano (400 persone tra cui 150 bambini), ma i giornali
hanno
parlato di lei per la sua candidatura. Il manifesto, in un'intervista
ha
fatto emergere le ragioni della sua scelta. Già dal titolo "Destra e
sinistra giocano sulla pelle dei rom", risulta chiaro quale sia il
pensiero
di Dijana: "Dopo lo sgombero di Opera di un anno e mezzo fa e la
vicenda che
ne è seguita è difficile tornare indietro, e la responsabilità è
innanzitutto della politica. Quell'episodio è stato l'apice di una
folle
campagna di disinformazione sui media e di giochi politici sulle
spalle dei
rom, e dei deboli in generale, per alimentare campagne elettorali che
cavalcano le peggiori paure della gente. A destra come a sinistra.

La paura del diverso cresce anche tra le persone di sinistra. Ma sono
i
dirigenti che la sfruttano per fare propaganda . A Roma Veltroni ha
combinato un disastro, ha fatto continui sgomberi, se ne è vantato e
ha
proposto la ghettizzazione dei rom in quattro megacampi recintati
fuori dal
raccordo anulare. Peggio della Lega. E poi ha ispirato il decreto per
le
espulsioni dei rumeni dopo il tremendo omicidio della signora
Reggiani. Un
provvedimento folle perché è stata una risposta inadeguata sull'onda
dell'emozione per un assassinio che ha dei responsabili precisi, non
un
popolo intero".

Chi però ha trattato la sua candidatura come un fenomeno da baraccone
è
stato il sito del Corriere della Sera che con un incipit che pare
rubato a
un'invettiva di Libero ha scritto: "Dopo la pornostar Cicciolina e il
transgender Luxuria, arriva una nuova candidatura provocatoria per il
parlamento italiano: la zingara Dijana Pavlovic ".

*ore 22.30 - proiezione del film*

*PRETTY DYANA (45')*

*Regia: BORIS MITIC*

Nel bel mezzo di un quartiere dormitorio c'è un'enorme, dimenticata
chiesa
ortodossa in costruzione. La chiesa si affaccia, dall'autostrada, su
di un
campo di zingari fuggiti dalla guerra in Kosovo. Degli strani veicoli
entrano ed escono dall'accampamento… Niente a che vedere con la mano
di Dio,
si tratta di pura magia gitana che mostra un eclatante esempio di
attivismo
sostenibile. Considerate solitamente come un prestigioso oggetto da
collezionisti, le classiche automobili Citroën vengono qui trasformate
in
futuristiche macchine ecologiche alla Mad Max. Tutto tranne il motore
viene
rimosso dallo chassis, un improvvisato cassone sul retro, e il resto
dipinto
con colori splendenti e decorato con buffi gadgets. Così bello, che
anche i
bambini piccoli vogliono guidare. Uno sguardo intimo osserva quattro
famiglie rom da una "favela" di Belgrado che si guadagnano da vivere
vendendo cartoni e bottiglie che raccolgono con le loro "risorte"
Dyane.
Questi moderni cavalli sono più efficaci dei carrelli, ma cosa più
importante – sono sinonimo di libertà, speranza e stile per I loro
proprietari artigiani … Perfino le batterie della macchina sono usate
come
generatori di energia per avere luce, guardare la TV e ricaricare i
cellulari! Praticamente il sogno di un alchimista. Ma la polizia non
sempre
trova divertenti questi strani veicoli.

Biografia: Boris Mitic nasce nel 1977 nel sud della Serbia. Crede di
essere
un filmmaker autodidatta dal momento in cui riesce a trovare i soldi
per
comprarsi una videocamera decente. Studente per propaganda,
giornalista per
professione, documentarista per convinzione. Sceneggiatore nel tempo
libero.
Figlio di un onesto diplomatico, unico artista nell'intero albero
genealogico. Dopo alcune guerre e qualche melodramma
transcontinentale, si è
stabilito a Belgrado. Gioca a calcio e a basket (playmaker se
possibile),
anche a scacchi, ma non ha progetti per il futuro. Filmografia: "The
size of
the bottle" (doc,2003); "Santa's not dead" (doc, 2004); "Pretty Diana"
(doc,
2004); "Unmik Titanik" (2004)

*SABATO 29 MARZO*

*Ore 16.30 -Presentazione del libro*

*"ALLA PERIFERIA DEL MONDO - IL POPOLO DEI ROM E DEI SINTI ESCLUSO*
*DALLA
STORIA"*

di D'isola - Sullam - Baldoni -Baldini - Frassanito

a cura della Fondazione Roberto Franceschi Onlus

UN LIBRO NATO A SCUOLA

Giorno della memoria, 27 gennaio 2002: gli studenti affollano l'aula
Magna
del Liceo Classico C. Beccaria di Milano e ascoltano le relazioni
degli
oratori. Alcuni liceali vengono a sapere, per la prima volta, che
mezzo
milione di zingari è morto nelle camere a gas: uno sterminio
dimenticato,

insieme a quello degli omosessuali e dei Testimoni di Geova. Viene
organizzata una serie di incontri e dal materiale raccolto nei
seminari
nasce l'idea del libro, i cui autori "orali" e materiali (ma non
unici) sono
quattro studenti del suddetto liceo. Supportato dalla curiosità, dalle
conoscenze progressivamente acquisite e dalla conseguente indignazione
morale degli studenti, il libro vuole assolvere nel contempo al dovere
dell'informazione e della denuncia.

Le popolazioni dei rom e dei sinti da sempre perseguitate, emarginate,
prive
di diritti sono il soggetto di questo libro.
Dalla conoscenza all'etica della responsabilità alla pratica dei
diritti per
il popolo maltrattato: con ciò i percorsi della Fondazione Roberto
Franceschi e dell'Istituto nazionale per la storia del movimento di
Liberazione in Italia si sono incrociati, stringendo un sodalizio il
cui
centro riguarda la cittadinanza, il riconoscimento dei diritti
universali e
la denuncia delle pesanti responsabilità storiche che l'Europa, e non
solo,
ha verso il popolo Rom.

GLI AUTORI

Isabella D'Isola - Professoressa di Filosofia e Storia presso il Liceo
Classico C. Beccaria di Milano; dal 2001 comandata presso l'Istituto
Nazionale per la storia del movimento di Liberazione in Italia. Si
occupa di
didattica della storia in archivio e di bioetica.

Mauro Sullam - Studente del Liceo Classico C. Beccaria di Milano, III
liceo,
a.s. 2002/2003

Giulia Baldini - Studentessa del Liceo Classico C. Beccaria di Milano,
III
liceo, a.s. 2002/2003

Guido Baldoni - Ex studente del Liceo Classico C. Beccaria di Milano,
diplomato nell'a.s 2001/2002. Attualmente iscritto al I anno della
Facoltà
di Lettere Moderne dell'Università degli Studi di Milano.

Gabriele Frassanito - Studente del Liceo Classico C. Beccaria

*Ore 20.00 - CENA TRADIZIONALE RUMENA, con cibi preparati da uomini e
donne
della comunità rom di Bologna.*

*Ore 21.30 -La scrittrice MILENA MAGNANI, autrice del romanzo "Il
circo
Capovolto" e NAJO ADZOVIC, presidente della associazione "Nuova Vita"
(operante nel campo rom Casilino '900 a Roma) e autore del libro "Rom,
il
popolo invisibile",*

presentano il documentario

"LACRIME DI MEMORIA" (18')

regia Giulia Zanfino

fotografia Andrea Foschi

montaggio Valentina Zaggia

Traduzioni Najo Adzovic

E' il viaggio di una giovane ragazza, che sui libri di storia legge
dell'olocausto degli ebrei. Il padre (Najo) le ha parlato anche del
porrajmos, l'olocausto dei rom in cui persero la vita circa 500 mila
zingari
europei. Così la giovane ragazza parte alla ricerca di testimonianze
nel
Campo di Casilino '900.

Il racconto prende le sembianze di un viaggio nel passato, come
metafora
alla ricerca della memoria che per i rom è molto preziosa, dato che
gran
parte della loro cultura si tramanda per via orale. La giovane ragazza
costruisce la sua ricerca storica raccogliendo testimonianze dagli
anziani,
custodi di un mondo che sta scomparendo.

Il film si chiude con uno spaccato sul genocidio di Srebrenica (una
pagina
dolorosa, caratterizzata da una pulizia etnica spietata, sotto gli
occhi di
un mondo indifferente).

*Ore 22 - Presentazione del documentario*

*di CATHERINE BOYLE e GIANLUCA DI SANTO*

*"VOCI DAL GHETTO" (25')*

Nel film prendono la parola alcuni abitanti della mahala" (ghetto) Rom
della
città di Samokov in Bulgaria, spiegando le loro difficoltà davanti
alla
mancanza di infrastrutture e di possibilità di lavoro.

Oltre agli autori, sarà presente anche VESKA ILIEVA, una signora Rom
della
città di Samokov che ci ha partecipato alla realizzazione del
documentario.

Nell'ambito della serata verrà allestita anche una MOSTRA FOTOGRAFICA,
a
cura dei fotografi di WTP, sul ghetto Rom di SAMOKOV. --



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Cividale del Friuli 4 aprile 2008

ore 20.00 c/o sala Società Operaja g.c.

proiezione del documentario:

 

Grecia, appunti sui danni causati dall'occupazione italiana.

 

 

Saranno presenti alla proiezione:

Amalia Kolonia – Università Statale di Milano

Piera Tacchino – Regista



DVD (96'), Italia 2005
Realizzato da: Tamara Bellone, Nietta Fiorentino, Ghiorgos Korras, Piera Tacchino
Montaggio: Monica Affatato
Disegni: Paolo Golinelli

Con testimonianze di:
Tàkis Benàs, Pànos Gheorgòpoulos, Demétrio Livieràtos, Chrìstos Kostòpoulos,
Evànghelos Manghiòsis, Gheòrgos Papadìskos, Stèfanos Ritsàkis, Adéla Tsoukià, Pànos Tsoukià
Contributo di:
Costanzo Preve

 

 

Il videodocumentario, costruito sulla base delle testimonianze dei diretti protagonisti della stagione della occupazione e della Resistenza greca, è un esempio di autoproduzione di altissimo livello. Il risultato è straordinario sia dal punto di vista della ricostruzione storica, sia da quello del montaggio e della sintassi filmica, sia per le tecniche usate: l'alternare prese dirette con filmati d'epoca, disegni, musiche e fotografie insieme a sguardi, presi in tempi diversi (allora ed oggi) nei luoghi dove i fatti si sono svolti.
Oltre ad illustrare i crimini commessi dall'occupante italiano in Grecia, il video ripercorre la storia della Grecia dal 1940 al 1952, illustrando in particolare l'epopea drammatica del movimento partigiano locale, che dovette combattere, di volta in volta, contro gli italiani, contro i tedeschi, contro le altre truppe di occupazione ed i collaborazionisti locali, poi contro la destra nazionalista appoggiata dagli angloamericani. Un documento che spicca per qualità e spessore tra i migliori realizzati in Italia sulla Resistenza all'estero.

 

  

 

Organizzano:

ANPI
ISKRA
LIUMANG

 

Aderisce all’iniziativa

SOMSI

 
 

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----- Original Message -----

From: Paolo C.
Sent: Wednesday, March 19, 2008 2:34 PM
Subject: Fw: PRESENTAZIONE LIBRO A VICENZA

 
Salve. Sperando di fare cosa gradita, invio l'invito alla presentazione del mio libro a Vicenza mercoledì 26 marzo (in allegato il volantino completo).

PolVice 

N.B.: CHI FOSSE INTERESSATO AD ORGANIZZARE ALTRI INCONTRI CON LA PRESENTAZIONE DEL LIBRO E LA MIA PRESENZA E' PREGATO DI RISPONDERE A QUESTO MESSAGGIO INDICANDO UN RECAPITO TELEFONICO.

La foiba dei miracoli - indagine sul mito dei "sopravvissuti"

 

mercoledì

26 marzo ore 20.15

Pol Vice

presenterà il suo libro a VICENZA

nell’aula magna dell’I.T.I.S. "A. ROSSI"

via leg. Gallieno 52

con l’intervento di

ALESSANDRA KERSEVAN

coordinatrice di RESISTENZASTORICA – seguirà dibattito

 

PRIMAVERA 2005: Graziano Udovisi, maestro in pensione ex tenente della Milizia Difesa Territoriale e rastrellatore di partigiani in Istria, sua terra natale, viene premiato nella manifestazione degli Oscar della Rai come "uomo dell'anno" per un'intervista da lui rilasciata a Minoli e più volte trasmessa nel corso degli anni. Racconta che nel 1945 è riuscito a salvarsi dalla foiba in cui è stato gettato, salvando nel contempo un suo commilitone... ESTATE 1945: Giovanni Radeticchio, milite della M.D.T., racconta alle autorità di Trieste di essersi salvato dalla foiba in cui è stato gettato, di essersi salvato da solo, e che in questa foiba è morto... Graziano Udovisi. ESTATE 1945: Graziano Udovisi, ricercato come criminale di guerra, per evitare l'arresto fugge a Padova con una carta d'identità falsa... Queste contraddizioni sono solo le punte emergenti di uno strano intrigo che in questo dopoguerra ha visto coinvolti: ex repubblichini rastrellatori di partigiani, agenti della X Mas, democristiani neoirredentisti, la Curia di Trieste, giornalisti e comunicatori massmediatici, storici compiacenti e istituzioni dello Stato italiano. Il tutto nel nome delle "terre perdute" dell'Istria e della Dalmazia e con l’uso spudorato degli strumenti di comunicazione di massa. Il come, il perchè e il chi di queste trame sono l'oggetto de "La foiba dei miracoli", la minuziosa indagine storica di Pol Vice. Questo libro è il risultato di una ricerca esemplare che il gruppo di Resistenza storica offre a tutti coloro che non si accontentano delle "verità ufficiali" diffuse sistematicamente da alcuni anni, in occasione della cosiddetta Giornata del Ricordo, sulle drammatiche vicende del confine orientale. "La foiba dei miracoli", infatti, è in realtà un trattato di "foibologia": una dimostrazione puntuale di come un vero e proprio progetto mediatico di falsificazione della storia sia stato costruito ed imposto all’opinione pubblica (pur con alterne fortune, ma in sostanziale continuità dall'immediato dopoguerra ad oggi), da forze politiche sociali ed economiche tuttora dominanti nel nostro Paese.

 

 

 

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Kosovo: dichiarazioni di comunisti e democratici  di tutto il mondo

(in ordine cronologico inverso)

1) Comunicato ufficiale dell’Incontro dei Movimenti per la Pace nei Balcani
2) Ieri il Katanga, oggi il Kosovo! Il denaro sempre! (J. Luis Herrera del Campo)
3) Dichiarazione del Consiglio Mondiale della Pace (WPC) riguardo la provincia serba del Kosovo
4) I comunisti russi e la situazione nel Kosovo
5) "Belgrado muova l'esercito e non ceda al ricatto della Ue". Parla Borislav Milosevic
6) I comunisti greci contro il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo


=== 1 ===


www.resistenze.org - osservatorio - lotta per la pace - 09-03-08 - n. 218

da World Peace Council - www.wpc-in.org/Events/Balcanmeeting/

 

Riceviamo da Iraklis Tsavdaridis, Segretario esecutivo del Consiglio Mondiale della Pace (WPC), il comunicato rilasciato al termine dell'importante riunione di Salonicco

 

Comunicato ufficiale dell’Incontro dei Movimenti per la Pace nei Balcani

 

Salonicco 1-2 marzo 2008

 

L’Incontro dei Movimenti per la Pace nei Balcani, tenutosi a Salonicco nei giorni 1-2 marzo 2008, su iniziativa del Comitato Greco per la Distensione Internazionale e la Pace (EEDYE) con l'appoggio del Consiglio Mondiale della Pace (WPC) - e che ha visto la presenza dei rappresentanti di dieci organizzazioni da otto paesi della regione (Grecia, Serbia, Croazia, Turchia, Cipro, Bulgaria, Romania, e Ucraina) e di una delegazione del Consiglio Mondiale della Pace (WPC) - si è concluso con la pubblicazione di un Comunicato ufficiale di cui elenchiamo i punti:

 

a. Stiamo attraversando un periodo difficile e pericoloso per i popoli in generale e per quelli dei Balcani in particolare. Preoccupa la situazione nei Balcani, a Cipro e più in generale nei paesi nostri vicini. La nostra regione è nell’occhio del ciclone. I Balcani costituiscono un punto d’accumulo dei contrasti tra i diversi imperialismi, perché la regione ha particolare importanza sia per la presenza di oleodotti che garantiscono l’approvvigionamento di petrolio e gas naturali che soddisfano la domanda di energia dell'Unione europea, sia per il suo valore geostrategico come punto di transito verso il Medio Oriente ed il nord Africa. Così la sua importanza è considerevole per tutte le grandi potenze. Un esempio di questa battaglia tra interessi diversi è il gasdotto di Burgas-Alexandroupolis, sostenuto dalla Russia e il gasdotto di AMBO, da Burgas al porto albanese di Valona, sostenuta dagli Stati Uniti. L'UE sta promovendo i suoi interessi spedendo le proprie truppe in Kosovo, mentre ha già una presenza militare nel resto del Balcani.

 

b. La dichiarazione unilaterale di "indipendenza"della provincia serba del Kosovo, con il premuroso appoggio di Stati Uniti, Nato e Unione Europea, minaccia di dare il via ad una serie di nuove tensioni, cambi di confine, nuovi focolai di destabilizzazione ed una nuova serie di guerre e di interventi imperialistici. Viola i principi di base della Carta fondativa delle Nazioni Unite, il documento finale dell’OCSE e le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, particolarmente la 1244/99. La secessione non rappresenta una soluzione ai bisogni e alla povertà delle persone che vivono in Kosovo. A prescindere dalla loro origine etnica, ai lavoratori della regione continueranno a mancare i diritti fondamentali, poiché il loro stato è un protettorato della Nato. Il nazionalismo che è stato fomentato diverrà un'arma mortale puntata contro tutto i popoli balcanici, e costituisce un precedente negativo per le altre regioni.

 

c. Esprimiamo la nostra solidarietà al popolo cipriota che affronta vis a vis la pressione esercitata dagli Stati Uniti e dai suoi alleati europei perché venga imposta una soluzione inaccettabile, sopra ed oltre i principi del diritto internazionale e dell'ONU. Così, devono essere intensificate la lotta e la solidarietà con il popolo cipriota per dare vita a una Federazione unificata e indipendente delle due zone in accordo con le decisioni dell’ONU e con i colloqui ad alto livello, senza basi e truppe straniere, una patria comune per turco-ciprioti e greco-ciprioti, senza “garanti” né “protettori”.

 

d. Riguardo al problema nelle relazioni tra Grecia e FYROM (ex Repubblica Jugoslava di Macedonia), noi sosteniamo la comprensione tra i popoli e i paesi, indipendenti e contro gli arbitrari interventi imperialisti, senza nazionalismo ed irredentismo e nel rispetto dei confini esistenti e della sovranità di ciascuno stato. All'interno di questa configurazione, una soluzione congiunta potrebbe essere trovata per il problema del nome del paese.

 

e. È ovvio che per noi non sia sufficiente preoccuparsi, ma occorre piuttosto opporsi attivamente agli interventi imperialisti nei Balcani e alla secessione del Kosovo. Noi dobbiamo insistere maggiormente affinché le basi e le truppe NATO si ritirino dalla regione balcanica. Solo così la sovranità e l’indipendenza di ciascun paese sarà assicurata, attraverso lo sviluppo dell'amicizia e della solidarietà fra i popoli. Le minoranze possono essere dei ponti di amicizia piuttosto che essere manipolate come strumento dei piani imperialisti. Dobbiamo manifestare la nostra risolutezza nel non permettere un’ulteriore variazione nei confini balcanici. Dobbiamo unire i popoli, le nazioni ed i gruppi etnici dei Balcani in una grande lotta comune, per rifiutare la dipendenza e lo sfruttamento capitalista.

 

I popoli dei Balcani potranno aspirare ad un brillante futuro soltanto se metteranno da parte il nazionalismo per sostituirlo con un fronte antimperialista unito e per la pace. In questo contesto condanniamo le recenti operazioni militari turche in Iraq settentrionale, che servono solamente gli interessi delle forze imperialiste. Esigiamo la loro fine immediata.

 

Noi chiediamo che:

 

-        la "indipendenza" del protettorato del Kosovo non sia riconosciuta dai governi dei nostri paesi

 

-        le truppe Nato ed UE lascino il Kosovo ed il Balcani

 

-        tutte le basi militari straniere delle potenze imperialiste siano rimosse dalla regione.

 

Incontro dei Movimenti per la Pace nei Balcani, Salonicco 1-2 marzo 2008

 

Lista dei partecipanti
 
Grecia
“Comitato Greco per la Distensione Internazionale e la Pace (EEDYE)”
Vera Nikolaidou, Segretario Generale del EEDYE, MP
Grigoris Petropoulos, Segretario Organizzativo
Nikos Zokas, membro della Segreteria
 
Serbia
“Forum Belgrado per un Mondo di Eguali”
Zivadin Jovanovic, Presidente Forum Belgrado, ex Ministro degli Esteri
“Comitato Anti-NATO di Serbia”
Ljubislav Krunic, membro del comitato
Miroslav Lazovic, membro del comitato
 
Croazia
“Forum Antifascista di Croazia”
Vladimir Kapuralin, membro del comitato
 
Cipro
“Consiglio della Pace di Cipro”
Aris Georgiou, Presidente
 
Grecia
“Movimento per la Difesa Nazionale” KETHA
Ioannis Ntouniadakis, Ammiraglio in pensione
 
Bulgaria
“Consiglio Nazionale per la Pace bulgaro”
Ivan Dimitrov, Segretario organizzativo
Philip Philipov, Segretario generale
 
Romania
“Consiglio della Pace romeno”
Constantin Cretu, Presidente
 
Ucraina
“Unione antifascista di Ucraina”
Goergii Buiko, Segretario
 
Turchia
“Associazione per la Pace di Turchia”
Murat Akad, membro del comitato
 
Consiglio Mondiale della Pace
Thanassis Pafilis, Segretario generale
Iraklis Tsavdaridis, Segretario esecutivo
 
Traduzione dall’inglese per www.resistenze.org a cura del Forum Belgrado Italia


=== 2 ===

www.resistenze.org - associazione e dintorni - forum di belgrado - italia - 03-03-08 - n. 217

 

Ieri il Katanga, oggi il Kosovo! Il denaro sempre!

 

Jorge Luis Herrera del Campo 

01/03/2008

 

Il mondo balcanico è complicato. Per capire bene le cause delle sue attuali circostanze si deve conoscere la sua storia millenaria e la matrice delle forze che hanno influenzato questa parte del mondo, questa penisola che costituisce una frontiera religiosa, etnica, geografica e culturale. Principio e fine di due mondi. Ricchezze naturali. Popoli buoni e laboriosi e dalla presenza millenaria, che risale fino a 40.000 anni di storia. Spazio in cui, quelli che volevano costruirsi una egemonia in Europa, sono arrivati da conquistatori.

 

Winston Churchill disse che i Balcani producono più storia di quella che possono digerire. Altri gli hanno imposto l’etichetta terribile di “polveriera d’Europa”, senza però mai dire chi era che metteva la polpevere, la miccia e il fiammifero, e che alla fine producono sangue e lacrime.

 

Viviamo in un mondo molto complesso, che si allontana, un colpo dopo l’altro, da quel mondo bipolare nato dopo la seconda guerra mondiale, quello che volle evitare altri 50 milioni morti.

 

Ma l’attuale mondo unipolare mina, giorno per giorno e con premeditazionem i principi che sono base e garanzia delle istituzioni internazionali e della convivenza pacifica tra i popoli. Principi stabiliti come espressione di una volontà internazionale di evitare quegli orrori.

 

Quel mondo è iniziato con Reagan, ma alcuni dicono che è iniziato con Rooswelt, un esempio tipico di come si smontano le società di diritti civili e politici keynesiani all’interno dei paesi sviluppati. Ed era così anche con l’era neoliberale del democratico Clinton.

 

L’anestetico è la guerra al terrorismo.

 

La sovranità e l’autodeterminazione degli Stati sul territorio nazionale, il diritto alle risorse all’interno di quel territorio, la non ingerenza nelle questioni interne e l’autodeterminazione, sono come pietre che ostacolano il percorso su cui vogliono portare l’umanità

 

L’autodichiarata indipendenza del Kosovo, spinta dagli USA con l’appoggio delle principali potenze dell’Unione Europea, tra l’altro, è un’evidente azione di questo smantellamento del diritto che patiscono le istituzioni internazionali.

 

Stabilire il precedente di imporre alla comunità internazionale un nuovo Stato sulla base dello squartamento del territorio di uno Stato riconosciuto, membro dell’ONU e di altri organismi multilaterlai, usando come giustificazione un criterio etnico e la qualifica di un governo (quello di Slobodan Milosevic), che non era già più al potere, colpisce pericolosamente le basi su cui poggia la configurazione di Stati nazionali sorti come risultato della seconda guerra mondiale, e pone molti paesi alla mercè di interpretazioni casuali, fuori dalla legalità internazionale riconosciuta.

 

L’indipendenza del Kosovo è un atto di forza, nel senso che si basa sulla reinterpretazione di un accordo del Consiglio di Sicurezza, che avviene a margine dello stesso Consiglio di Sicurezza e che genera azioni contrarie a quanto stabilito senza aver modificato lo stesso Consiglio.

 

Per maggiore burla, quelli che lo attuano dichiarano che si fa sulla base di quanto accordato precedentemente dall’ONU. Qunidi, si stabilisce che un gruppo di Stati, oppure uno solo, con la forza dell’apparato bellico sufficiente allo scopo, può reinterpretare una risoluzione di un organismo internazionale ed agire contro quanto stabilito in precedenza.

 

Questo modo di comportarsi dei potenti non è nuovo. Ricordiamo quando l’Europa “civilizzata” si è lanciata con i suoi mercenari e il suo potere economico contro il Congo di Patricio Lumumba, quel promettente leader africano, che si fidava dell’ONU. Lo assassinarono, e crearono, grazie alle manipolazioni dele potenze occidentali, lo stato fantoccio del Katanga, un modo per mettere le mani sule ricchezze minerarie della zona.

 

Le forze che hanno imposto l’indipendenza del Kosovo sono gli stessi interesi globali che hanno distrutto la Yugoslavia. Sono quelli che vogliono un clima di inimicizia tra l’Europa e la Russia, Quelli che con questo passo corteggiano il mondo islamico, per poter attaccare quei musulmani (avendoli indeboliti) che non accettino i loro diktat.

 

Evidentemente, le multinazionali non hanno patria, e l’esistenza delle patrie dà loro fastidio, soprattutto se sono difese. Vogliono mano libera.

 

Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org di FR


=== 3 ===


www.resistenze.org - popoli resistenti - serbia - 26-02-08 - n. 216


da World Peace Council (WPC) - www.wpc-in.org/newsstatements/


Dichiarazione del Consiglio Mondiale della Pace (WPC) riguardo la provincia serba del Kosovo

 

Il Consiglio Mondiale della Pace denuncia la nuova scalata nello sviluppo della “scacchiera imperialistica” dei Balcani, con l’unilaterale dichiarazione “d’indipendenza” del Kosovo.

 

Sin dai bombardamenti della NATO nel 1999, sotto i quali - durante 78 giorni di brutale aggressione contro i popoli della Yugoslavia - migliaia di civili innocenti persero la vita, l’obiettivo delle forze imperialiste e dei loro apparati di guerra nella regione fu chiaro.

 

Separare e controllare l’intera area, negando e violando sistematicamente le leggi internazionali ed i diritti dei popoli. Un risultato dell’imposizione della forza fu la Risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, sulla cui base l’ONU diede mandato alla NATO per garantire e controllare attraverso la KFOR la pace nel Kosovo. Ma proprio questa “Risoluzione 1244”, in virtù della quale la NATO ha “de facto” governato un protettorato, dichiara in modo preciso che il Kosovo rimane una provincia della Yugoslavia, di cui la Serbia oggi è il successore legale.

 

Oggi, mentre la NATO è pronta a consegnare i poteri all’Unione Europea, siamo testimoni di un nuovo atto di flagrante violazione della sovranità di uno stato indipendente, del diritto internazionale e delle relative risoluzioni ONU.

 

Il Kosovo, sia come “terra della NATO” che come “terra dell’Unione Europea”, è una tra le più sfacciate prove della cinica ed inumana politica di Stati Uniti, Unione Europea e NATO nei Balcani.

 

Il Consiglio Mondiale della Pace esprime solidarietà ai popoli della ex Yugoslavia e fa appello alle forze amanti della pace nell’area affinché si uniscano e si coordino in azioni comuni contro i piani imperialistici.

 

In questo senso, il Consiglio Mondiale della Pace sostiene e promuove l’Incontro dei Movimenti per la Pace dei Balcani e delle aree vicine, che si terrà in Grecia nella città di Salonicco l’1-2 marzo 2008.

 

Il Segretariato del Consiglio Mondiale della Pace

 

Traduzione dall'inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare 


=== 4 ===


www.resistenze.org - popoli resistenti - serbia - 25-02-08 - n. 216

 
I comunisti russi e la situazione nel Kosovo

 

Dichiarazione di Ivan Melnikov, primo vicepresidente del PCFR

 

In relazione alla proclamazione unilaterale dell’indipendenza della provincia serba del Kosovo, avvenuta il 17 febbraio, su richiesta dei media il primo vicepresidente del PCFR Ivan Melnikov ha commentato gli sviluppi della situazione:

 

“Il Comitato cittadino di Mosca del PCFR e i deputati comunisti della Duma di Stato hanno organizzato un presidio davanti all’ambasciata USA per protestare contro il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo. Stiamo seguendo con la massima attenzione gli attuali sviluppi nei Balcani.

 

Il PCFR è convinto che il tentativo di riconoscimento unilaterale del Kosovo, a cui stiamo assistendo in questo momento, è un episodio che ci allontana dai confini di quanto è consentito dalla pratica accettata internazionalmente, e che assume un autentico carattere di provocazione.

 

Le forze, che vogliono avallare questa avventuristica indipendenza, sono interessate a che tale operazione avvenga rapidamente, senza che l’opinione pubblica abbia la possibilità di rispondere: il carattere della cosiddetta “indipendenza” è filo-americano, e tutto il territorio è costellato di bandiere degli USA.

 

Le conseguenze sono sostanzialmente tre. La prima: un altro tentativo di disgregare il territorio dell’ex Jugoslavia, privando la Serbia di una sua parte storica e, allo stesso tempo, di spingere i serbi ad uscire dal proprio territorio. La seconda conseguenza: la creazione di un precedente, in grado di provocare una serie di situazioni analoghe in tutto il mondo, anche nelle forme più pericolose. La terza, e più importante: è stata lanciata una sfida all’ordine mondiale, emerso dopo la Seconda guerra mondiale, dal momento che non è stata presa nella benché minima considerazione la posizione dello stesso Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Inoltre occorre anche prestare attenzione a un altro fatto: tra i paesi, che sostengono l’indipendenza del Kosovo ci sono quelli che hanno scatenato la guerra all’Iraq e che, fino a questo momento, hanno sparso il sangue dei popoli del Medio Oriente.

 

La Russia, a nostro parere, deve continuare sulla linea del non riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo e condurre di conseguenza un lavoro comune con coloro che condividono il nostro punto di vista, e con coloro, il cui punto di vista potrebbe modificarsi (…)

 

Per quanto riguarda l’atteggiamento della nostra politica nei confronti delle repubbliche non riconosciute, è certo che, in questa nuova situazione, non possiamo rimanere immobili, anche se non dobbiamo assumere lo stesso comportamento di coloro che violano le regole internazionali. Il PCFR propone le seguenti azioni concrete. Il primo passo: riconoscere i risultati dei referendum sull’autonomia e l’indipendenza delle repubbliche non riconosciute sul territorio dell’ex URSS. Secondo passo: concludere con esse trattati di sostegno reciproco e la stipula di accordi di collaborazione militare, da cui derivi che, in caso di aggressione da parte di terzi, queste repubbliche potranno essere difese. E solo qualora dovessimo verificare che la questione del Kosovo non presenta sbocchi, il passo successivo potrebbe essere rappresentato dalla nostra apertura nei confronti della questione relativa al desiderio di unirsi alla Russia che queste repubbliche hanno manifestato.

 

In ogni caso ciò che il mondo attende dal nostro paese sono azioni concrete. Meditate, ma decise, esse rappresentano l’unico modo per bloccare la revisione dell’ordine mondiale esistente che sta avvenendo in nome degli interessi degli USA e dei suoi alleati.

 

L’Assemblea Federale della Federazione Russa ha già predisposto un documento: la dichiarazione congiunta della Duma di Stato e della Camera del Consiglio della Federazione dal titolo “Le conseguenze della dichiarazione unilaterale d’indipendenza del territorio del Kosovo (Serbia)”. Contiene valutazioni chiare e comprensibili, e in ragione dell’urgenza non abbiamo ritenuto necessario dilungarci in discussioni su questioni secondarie. Anch’io, in qualità di vicepresidente della Duma di Stato, ho firmato questo documento. La dichiarazione è sufficientemente dura, vi si mette in rilievo in modo inequivocabile il ruolo degli USA nella sollecitazione del separatismo kosovaro e pone le premesse per un nuovo tipo di relazioni con gli stati che si sono dichiarati indipendenti nello spazio post-sovietico”.

 

Traduzione dal russo di Mauro Gemma per www.resistenze.org

 


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"Belgrado muova l'esercito e non ceda al ricatto della Ue"

di LEONARDO COEN

su la Repubblica del 18/02/2008

Parla Borislav Milosevic, fratello dell'ex presidente serbo ed ex ambasciatore a Mosca


MOSCA — «Oggi Belgrado dice che non riconosce né riconoscerà mai l'indipendenza del Kosovo, che si opporrà con tutti i mezzi a questa proclamazione, salvo il ricorso alla forza. Personalmente ritengo che sia legittima l'utilizzazione dell'esercito, della polizia e degli strumenti di controllo per difendere il nostro popolo, la sua storia e l'integrità territoriale dello Stato. Riconoscendo il Kosovo, l'Europa non solo ha sbagliato, ha stimolato le attività potenziali dei separatismi e dei secessionismi nel mondo. Gli americani hanno scaricato ogni responsabilità sugli europei, controllano la crisi, tenendosi per sé il comando, le basi militari, l'intelligence». 
Questo il polemico giudizio di Borislav Milosevic. Un parere particolare ed autorevole, perchè non solo è stato l'ultimo ambasciatore jugoslavo in Russia ma è il fratello dell'ex defunto presidente jugoslavo Slobodan Milosevic, di cui ha raccolto l'eredità ideologica. Ha 70 anni, fa il consulente d'affari, vive a Mosca. Le sue analisi politiche sulla questione balcanica sono tuttora molto ascoltate: sia dal Cremlino, sia in patria, negli ambienti nazionalisti.

Ambasciatore Milosevic, il presidente Boris Tadic è filo-europeo. Ma l'Europa ha appoggiato la proclamazione di sovranità del Kosovo. Una situazione difficile da sostenere?
«Non sono molto favorevole a questo governo. Ma sul Kosovo il potere serbo è unito, perché si tratta di una questione nazionale e vitale. Devo dire che ultimamente la posizione delle autorità serba è diventata più patriottica e responsabile. Come Tadic, anch'io sono favorevole all'ingresso della Serbia nell'Europa unita. Ma quale Serbia? Con le sue frontiere riconosciute a livello internazionale o una Serbia saccheggiata?».

Molti politici serbi dicono che la via all'integrazione europea è l'unica strada possibile.
«Non sono d'accordo. Si può aderire all'Ue, senza ricatti, senza le minacce legate al Kosovo o al tribunale delll'Aja. Oppure, si può pensare ad una partnership alternativa con la Russia, la Cina e l'India, o altri paesi. La Serbia è in Europa, c'è sempre stata e ci sarà sempre. Ma entrare nell'Ue ad ogni costo, non è possibile, esiste pur sempre urna cosa che si chiama orgoglio nazionale. Lo stesso penso per l'ingresso nella Nato. Sono contro, come lo è la maggior parte della gente del nostro Paese. Che bisogno c'è d'entrarci, soprattutto dopo i bombardamenti sulle nostre città? Che bisogno c'è di mandare i mostri ragazzi in Iraq, in Afghanistan o di costruire basi Nato sul nostro territorio? Può diventare un boomerang. Meglio il "partneriato per la pace", è più che sufficiente come collaborazione tra la Serbia e la Nato».

Mosca, il vostro alleato storico, si è duramente opposta all'indipendenza del Kosovo. Che farà adesso?


Dalla Rete nazionale Disarmiamoli! www.disarmiamoli.org  3381028120  3384014989 - riceviamo e volentieri giriamo:

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Legge di Iniziativa Popolare sui trattati internazionali, basi e servitu' militari propone

10 - 17 MARZO 2008

SETTIMANA NAZIONALE CONTRO LA GUERRA

RILANCIAMO IN TUTTO IL PAESE LA RACCOLTA FIRME SULLA

LEGGE CONTRO ACCORDI MILITARI, BASI E SERVITU' MILITARI

Il recente decreto "milleproroghe", giustamente definito di guerra, pare abbia messo una pietra tombale sull'argomento. Di missioni militari, delle enormi spese per il sistema militare - industriale italiano, del ruolo centrale giocato dalla diplomazia italiana nel processo di secessione del Kosovo dalla Serbia, della situazione esplosiva in Libano, della guerra in Afghanistan e Iraq non v'è traccia nella campagna elettorale in corso.

L'ultimo decreto-legge di un governo morto servirà  a produrre altra morte. Il Parlamento con voto bipartisan ha varato il rinnovo delle truppe in tutte le missioni militari e relativo finanziamento. Solo 50 parlamentari hanno votato contro, ma non sarà  facile far dimenticare al loro elettorato 20 mesi di scelte belliciste ed aggressive che hanno trasformato la nostra penisola in un avamposto della guerra infinita e la nostra economia in un apparato bellico industriale foraggiato dall'enorme aumento delle spese militari.

Il decreto milleproroghe, votato recentemente da Camera e Senato prevede:

l        euro 279.099.588 per l'operazione UNIFIL in Libano

l        euro 18.107.529 per l'operazione EUROMARFOR per le navi da guerra di fronte al Libano

l        euro 337.695.621 per le truppe in Afghanistan

l        euro 94.000.000 per gli aiuti "umanitari portati dalle truppe italiane nei vari fronti di guerra

l     euro 8.157.721 per la proroga della partecipazione di personale militare impiegato in Iraq in attività  di consulenza, formazione e addestramento delle Forze armate e di polizia irachene.

L'ultima voce di spesa - oltre otto milioni di euro - ci ricorda il coinvolgimento diretto dell'Italia anche nel massacro iracheno, nonostante la strombazzata decisione di "ritiro" ad inizio legislatura. Militari italiani addestrano un esercito, quello iracheno, notoriamente coinvolto in massacri, torture, operazioni di pulizia etnica contro sunniti e palestinesi.

L'attuale muro di silenzio bipartisan su guerre di aggressioni ed occupazioni militari è indicativo della cattiva coscienza di tutte le forze politiche sul tema.

In politica estera esiste un tacito accordo tra tutte le forze politiche di centro destra e di centro sinistra. La guerra non è tema di campagna elettorale. Perchè parlarne ai potenziali elettori?

Per rompere questo muro di complice silenzio promuoveremo dal 10 al 17 marzo (anniversario dell'aggressione all'Iraq) una "SETTIMANA CONTRO LA GUERRA", durante la quale sollecitiamo tutte le realta' coinvolte nella raccolta firme sulla Legge di Iniziativa Popolare sui trattati internazionali, basi e servitu' militari a scendere in piazza con banchetti, iniziative, dibattiti, volantinaggi e quant'altro.

L'obiettivo e' quello delle 20.000 firme in 7 giorni, che ci permetteranno di fare un balzo in avanti verso il raggiungimento dell'obiettivo di PORTARE NEL NUOVO PARLAMENTO LA LOTTA CONTRO LA GUERRA.

Ci auspichiamo che la proposta della "SETTIMANA CONTRO LA GUERRA" venga raccolta da tutto il movimento italiano, da coloro che in questi anni hanno mantenuto salda la barra sulla parola d'ordine del "NO ALLA GUERRA SENZA SE E SENZA MA"

Pretendiamo che si affronti in questa campagna elettorale omologata sull'ipotesi bipolarista il tema del NO ALLA GUERRA , ALLE SUE BASI, ALLE SPESE MILITARI ED ALLE MISSIONI MILITARI ALL'ESTERO

Il Comitato promotore nazionale della

Legge di Iniziativa Popolare sui trattati internazionali, basi e servitù militari

legge-basi@...


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Di seguito le prime iniziative segnalateci per la settimana nazionale contro la guerra.

Segnalateci eventuali altre iniziative inviandoci una mail a info@...
Visitate il sito www.disarmiamoli.org

 

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SETTIMANA NAZIONALE CONTRO LA GUERRA E LE SUE BASI A CALTAGIRONE:

 

Carissimi,
il comitato locale Attac di Caltagirone vi invita a partecipare, Sabato 8 Marzo alle 19.00 in via Gabelle, alla presentazione della Legge di Iniziativa Popolare sui Trattati internazionali, basi e servitù militari lanciata a Novembre da associazioni pacifiste impegnate fattivamente nella lotta alla guerra. Si proietterà il video-inchiesta "Sigonella, Il pericolo annunciato", realizzato dai giornalisti di Rainews24. Vi invitiamo a darne massima risonanza in città.

Mimmo Scollo per Attac Caltagirone

 

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SETTIMANA NAZIONALE CONTRO LA GUERRA E LE SUE BASI A PORDENONE

 

A Pordenone, nei giorni della settimana nazionale contro la guerra,  le ragioni della Legge di Iniziativa popolare su una TV locale.

 

cari compagni, cari amici di DISARMIAMOLI,
VI comunico che martedì 11 marzo, alle ore 19.30 nell'ambito dello spazio concessoci per illustrare i motivi dell'astensione alle prossime elezioni esporremo le ragioni della petizione popolare "disarmiamoli", sul canale tv locale  tpn-Pordenone.

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SETTIMANA NAZIONALE CONTRO LA GUERRA E LE SUE BASI A PISA  

Sabato 15 marzo Borgo stretto ore 17 – 20 Banchetto per la raccolta firme per la legge di iniziativa popolare sui trattati internazionali, le basi e le servitù militari 

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SETTIMANA NAZIONALE CONTRO LA GUERRA E LE SUE BASI A LANCIANO

BANCHETTO il 15-16 marzo 

Sabato 15 marzo alle ore 17.00 e Domenica 16 marzo dalle (11.00 alle 13.00) e dalle
17.00 in poi,si svolgera' in Corso Trento e Trieste a Lanciano un banchetto
informativo contro il decreto "mille proroghe" approvato a fine febbraio
dal parlamento.
Rilanciamo in questa campagna elettorale cristallizzata sul bipartitismo (P.D.e
P.D.L.),il tema del no alla guerra,alle sue basi,alle spese militari e alle missioni
all'estero,a favore delle spese sociali,delle fonti energetiche rinnovabili,dei
salari e delle pensioni.
Durante il banchetto si raccoglieranno le firme per la
"Legge di Iniziativa Popolare sui Trattati Internazionali,Basi e Servitu' Militari".

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SETTIMANA NAZIONALE CONTRO LA GUERRA E LE SUE BASI A MILANO

Il 15 marzo a Milano il Partito Umanista, Mondo senza guerre e molte altre associazioni umaniste organizzano un presidio per il quinto anniversario della guerra in Iraq, componendo la scritta NO WAR
Appuntamento in via Dante alle 15,30.

 

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SETTIMANA NAZIONALE CONTRO LA GUERRA E LE SUE BASI A ROMA

 

L’Ass. Umanista Mondo Senza Guerre organizza un
FORUM PER IL DISARMO e la NONVIOLENZA

Diamo una possibilità alla Pace!

Il 15 Marzo dalle 11.00 alle 19.00 al centro multiculturale "Baobab" in via Cupa, 5
(tiburtuna-viale province)

Presentazioni, tavoli di discussione e dibattiti su:

-    L’Italia in guerra, ruolo dell’Italia nella guerra globale al “terrorismo”

-   Emergenza Nucleare, uso delle armi nucleari come arme “preventive”

-   Binomio Economia-Guerra, cosa nascondono le “missioni di pace”

-   La Forza della Nonviolenza, il fallimento di questo sistema violento e la costruzione di una nuova società che metta l’essere umano come valore centrale.
 
Per partecipare e proporre temi ed interventi :
roma@... – 3355734803


Prime adesioni:
Gruppo giovanile Amnesty Roma, Nella Ginatempo - Rete Semprecontrolaguerra, Stephanie Westbrook, U.S. Citizens for Peace & Justice – Rome, Mario Cocco – Tavola della Pace, Marco Inglessis – Energia per i Diritti Umani, Anita Fisicaro (WILPF), Fabrizio Cianci - Radicali di Sinistra, Nando Simeone – Sinistra Critica

 

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Il COORDINAMENTO CONTRO LA GUERRA VALLE DEL SACCO – Colleferro (RM)

 

nella SETTIMANA NAZIONALE CONTRO LA GUERRA E LE SUE BASI (10-17 Marzo 2008)

 

invita a firmare la
 
PROPOSTA DI LEGGE DI INIZIATIVA POPOLARE SUI  TRATTATI INTERNAZIONALI E SULLE BASI  E SERVITÙ MILITARI

 

a Colleferro nei giorni:

 

15 Marzo – ore 9,00:18,00 – piazzale antistante IPERCOOP
16 Marzo – ore 9,00:13,00 – C.so Filippo Turati (nei pressi piazza dell’ospedale)

 

per info:          mail     nosimmel@...
                        tel.       3356545313

 

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SETTIMANA NAZIONALE CONTRO LA GUERRA E LE SUE BASI A BOLOGNA

 

Domenica 16 marzo
presidio contro la guerra
Dalle 16.00
Via Indipendenza (davanti teatro arena del sole)
Per la proposta di legge di iniziativa popolare

 

Ferma la guerra - Firma la legge

 

Per liberare l’Italia da accordi segreti, basi e servitù militari

 

DISARMIAMOLI!Bologna

 

                       

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SETTIMANA NAZIONALE CONTRO LA GUERRA E LE SUE BASI A ROMA

 

il 18 Marzo dalle 16,00 alle 20,00, nell'Aula 1 della Facoltà di Lettere dell'Università "La Sapienza" di Roma

 

-   Introduzioni e proposte degli studenti contro la guerra

 

-         Presentazione
delle Leggi d'Iniziativa Popolare: "Un futuro senza Atomiche" e
"Basi, Trattati e Servitù Militari" ,
della Campagna "Europe for Peace",
  -   Proiezione del film "Zero- Inchiesta sull'11 settembre" e a seguire dibattito con Giulietto Chiesa

 

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SETTIMANA NAZIONALE CONTRO LA GUERRA E LE SUE BASI A S. GIULIANO TERME (PI)

 

GIOVEDÌ 20 MARZO ORE 21,15 Nel quinto anniversario dell’invasione dell’Iraq
 
PRESSO LA SALA DEL CONSIGLIO COMUNALE DI SAN GIULIANO TERME (PI)
 
Incontro – dibattito sul tema:
BASE U.S.A. DI CAMP DARBY: LA GUERRA SUI NOSTRI TERRITORI

 

Saranno presenti:

 

MANLIO DINUCCI, saggista, esponente del Comitato per la riconversione e lo smantellamento della base USA di camp Darby

 

GIANGIACOMO CLAUDIO, avvocato, estensore della legge di iniziativa popolare sui trattati internazionali, le basi e le servitù militari

 

TAMARA BELLONE, Docente presso il Politecnico di Torino, rappresentante del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia

 

Introduce e coordina l’incontro ANDREA VENTURI, Consigliere comunale della Rete dei Comunisti

 

Iniziativa promossa dalla Rete dei Comunisti

 

Aderisce il Comitato per la riconversione e lo smantellamento della base USA di camp Darby
 


(il volantino di questa iniziativa in formato PDF:
https://www.cnj.it/INIZIATIVE/sgiuliano200308.pdf )


From:   info @ viacampdarby.org
Subject: INIZIATIVA A S. GIULIANO TERME (PI) CONTRO LA BASE U.S.A. DI CAMP DARBY 



Settimana nazionale contro la guerra

 

BASE U.S.A. DI CAMP DARBY:
LA GUERRA SUI NOSTRI TERRITORI
 
GIOVEDÌ 20 MARZO ORE 21,15
Quinto anniversario dell’invasione dell’Iraq
PRESSO LA SALA DEL CONSIGLIO COMUNALE DI SAN GIULIANO TERME (PI)

 

Saranno presenti:

 

MANLIO DINUCCI, saggista, esponente del Comitato per la riconversione e lo smantellamento della base USA di camp Darby

 

GIANGIACOMO CLAUDIO, avvocato, estensore della legge di iniziativa popolare sui trattati internazionali, le basi e le servitù militari

 

TAMARA BELLONE, Docente presso il Politecnico di Torino, rappresentante del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia

 

Introduce e coordina l’incontro ANDREA VENTURI, Consigliere comunale della Rete dei Comunisti

 

Iniziativa promossa dalla Rete dei Comunisti

 

Aderisce il Comitato per la riconversione e lo smantellamento della base USA di camp Darby
 

 

Il Pentagono sta preparando le basi militari U.S.A. sparse nel mondo a nuove guerre.

 

Per mascherare questo obiettivo si tenta di “conquistare i cuori e le menti” delle popolazioni che abitano vicino a queste basi di morte.

 

I militari statunitensi di camp Darby stanno adottando questa politica a Pisa e Livorno, ospitando gli allenamenti del Pisa calcio, scolaresche, tornei sportivi con Sindaci ed Assessori.

 

ANCHE IL SINDACO DI SAN GIULIANO TERME HA PARTECIPATO AD UNA PARTITA DI “BENEFICIENZA” ALL’INTERNO DELLA BASE.

 

DOBBIAMO IMPEDIRE QUESTA CINICA OPERAZIONE DEI MILITARI U.S.A.
ATTA A COPRIRE LA QUOTIDIANA ATTIVITÀ DI GUERRA DELLA PIÙ GRANDE BASE LOGISTICA DELL’ESERCITO STATUNITENSE IN EUROPA.

 

Le basi militari U.S.A. sono una costante minaccia per i paesi occupati e bombardati (Iraq, Libano, Afghanistan, Somalia, ex Jugoslavia) ma anche per i paesi che le ospitano.

 

Le basi militari U.S.A rappresentano un costo enorme per i contribuenti italiani, costretti a pagare per mantenere la loro presenza sui nostri territori.

 

Invitiamo la cittadinanza di San Giuliano Terme ad un INCONTRO PUBBLICO di informazione sulla base USA di camp Darby, sui suoi costi umani ed economici.