Informazione
la coscienza sporca del centrosinistra
(Riflessioni e materiali sparsi, quattro anni dopo la interruzione
della aggressione della NATO e la occupazione militare della provincia
del Kosmet)
0. Preambolo: LA MEMORIA CORTA DI MASSIMO D'ALEMA
1. LA COMPOSIZIONE DEL PRIMO GOVERNO D'ALEMA
(21 ottobre 1998)
2. SERBIA: ORDIGNI NATO INESPLOSI IN 40 SITI, ANCHE IN FABBRICA
(ANSA del 14 febbraio 2003)
3. LE ANALISI
La "grande scacchiera" e la guerra della Nato
(Fausto Sorini su Liberazione del 5 giugno 1999)
La guerra del Kosovo, o dei Balcani...
(Angelo d'Orsi su "Liberazione)
E il dollaro va alla guerra contro l'euro
(Rita Madotto su Liberazione del 29 aprile 1999)
4. GLI UMORI DELLA BASE
Comunicato del Gruppo Zastava Trieste in occasione del quarto
anniversario dell'inizio della aggressione.
La macchia mai rimossa (Edgardo Bonalumi sul Manifesto del 26 marzo
2003).
Un commento di Roberto dalla lista Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli..
Uno scambio di vedute tra un iscritto del PRC ed uno del PdCI.
5. GUERRA CONTRO L'INFORMAZIONE
Chi ricorda la tv serba bombardata? L'informazione negata. Ieri come
oggi
(da L'Unita' del 25/3/2003)
Giornalismo target. Dalla tv di Belgrado all'Hotel Palestine. Quel
«vicino» 23 aprile
(Domenico Gallo sul Manifesto del 23 aprile 2003)
6. DIRITTO
Sull'immodificabilita' dell'articolo 11 della Costituzione Italiana e
sulla necessita' di perseguire penalmente ai sensi di legge i golpisti
e gli stragisti
(Peppe Sini sul bollettino La nonviolenza e' in cammino, dicembre 2002)
PROCESSIAMOLI!
Noi sottoscritti firmatari di questo appello accusiamo le massime
autorità della Repubblica in carica nel marzo 1999 - in particolare il
presidente del Consiglio dei Ministri Massimo D'Alema e i membri del
Governo...
(Sezione Italiana del "Tribunale Clark", 1999)
SI VEDANO ANCHE:
* JUGOINFO 12 marzo 2001:
La vigilia della guerra: Come gli Usa hanno operato, attraverso la Cia,
per trascinare l'Italia nell'aggressione contro la Jugoslavia (di
Domenico Gallo)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/823
oppure
http://www.lernesto.it/5-00/Gallo-5.htm
* JUGOINFO 7 giugno 2001:
Il governo D'Alema nacque per rispettare gli impegni Nato
(ex ministro della difesa Carlo Scognamiglio Pasini)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1035
* JUGOINFO 10 giugno 2001:
Attacco contro Milosevic: fu il mio governo a dire sì
(ex pres. del consiglio Romano Prodi)
Prodi diede solo le basi, noi inviammo gli aerei
(ex ministro della difesa Carlo Scognamiglio Pasini)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1042
* JUGOINFO 16 giugno 2001:
Onorevole Prodi, non tolga a D'Alema il "merito" della guerra!
(comunicato Peacelink - allegati atti governo Prodi)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1060
* JUGOINFO
Prodi non aveva i voti per rispettare gli impegni Nato
(ex- presidente e sen. a vita Francesco Cossiga)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1067
=== 0. PREAMBOLO ===
LA MEMORIA CORTA DI MASSIMO D'ALEMA
<<Vorrei ricordare che quanto a impegno nelle operazioni militari noi
siamo stati, nei 78 giorni del conflitto, il terzo Paese, dopo gli USA
e la Francia, e prima della Gran Bretagna. In quanto ai tedeschi, hanno
fatto molta politica ma il loro sforzo militare non è paragonabile al
nostro: parlo non solo delle basi che ovviamente abbiamo messo a
disposizione, ma anche dei nostri 52 aerei, delle nostre navi. L'Italia
si trovava veramente in prima linea.>>
(On. Massimo D'Alema)
<<E' difficile definire le regole di appartenenza al giro nobile dei
grandi, non esiste uno statuto. Di fatto ti rendi conto di essere
entrato in una certa agenda di telefonate del presidente degli Stati
Uniti>>
(tratto da: M. D'Alema "Gli italiani e la guerra", Mondadori)
---
172 missioni in Kosovo dell'Aeronautica militare italiana
Dal "Giornale di Brescia", Sabato 10 Luglio 1999
A guerra conclusa, svelati dal colonnello Francesco Latorre
i numeri dell'operazione "Alled Force"
Sesto Stormo, 172 missioni per il Kossovo
Da Ghedi sono stati schierati in Puglia 85 uomini e 12 velivoli, per
418 ore di volo.
Missioni di ricognizione e di attacco a terra.
(...) L'altra sera il colonnello Latorre ha svelato tutti i numeri
della cosiddetta operazione Aled Force conclusasi il 10 Giugno con la
resa di Milosevic (sic). Lo ha fatto davanti ai militari del VI Stormo
e alle loro famiglie (cui e' andato il sincero ringraziamento del
comandante...) ma anche davanti al Generale Gargini, al prefetto, al
vicequestore e al comandante provinciale dei Carabinieri.
Il colonnello ha cominciato spiegando che, a causa della posizione
centrale in una zona perennemente in crisi (....), "l'Italia e'
considerata una sorta di portaerei nel Mediterraneo. Non a caso, nel
corso dell'Allied Force, l'85% delle missioni ha decollato dalle nostre
basi". (...)
Naturalmente, gli uomini e i mezzi del VI stormo hanno fatto la loro
parte. Anzi hanno fatto molto.
"L'impegno operativo del VI Stormo - ha detto Latorre - s'e'
concretizzato in missioni di ricognizione (2 sortite per due giorni la
settimana) e in missioni d'attacco effettuate in un primo periodo da
Ghedi, poi da una cellula schierata a Gioia del Colle (6/8 sortite
giornaliere per 6 giorni la settimana)".
(...) da Ghedi in Puglia sono arrivati 85 uomini, 12 velivoli e 12
laser pod. ll rischieramento ha consentito di effettuare 418 ore di
volo, che si traducono in 172 sortite: 6 di ricognizione e 166 di
attacchi veri e propri, sferrati contro obiettivi selezionati di tipo
prettamente militare: depositi di munizioni, caseme, aeroporti. V'e'
inoltre da specificare che, per gli attacchi, sono state utilizzate
bombe a puntamento laser e a caduta libera.
Il colonnello Latorre ha anche spiegato come tecnicamente avvenivano le
missioni. Dopo la preparazione alla base, "i nostri aerei decollavano
da Gioia del colle, quindi, fatto rifornimento in volo sull'Adriatico,
si mettevano in "zona d'attesa" su cieli non ostili, tipo la Macedonia
e l'Albania: l'attesa dipendeva dal fatto che si viaggiava in pacchetti
di
aerei e che ogni pacchetto aveva tempi precisi per entrare in azione.
Poi, quand'era il nostro turno, si andava sull'obiettivo, quindi,
seguendo rotte prestabilite, si tornava. Anche grazie alla preparazione
dei nostri equipaggi, tutto ha funzionato a meraviglia, tant'e' vero
che, nel 100% delle operazioni, uomini e mezzi sono rientrati alla base
(....)
Vedi anche:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1026
Dal Corriere della Sera del 22 maggio 2001
«Così l' Italia vinse la sfida in Kosovo»
Il generale Usa Clark: «Volevo usare i vostri elicotteri per prendere
Pristina». In un libro di memorie elogi al governo di Roma...
---
http://www.panorama.it/italia/indiscrezioni/articolo/ix1-A020001018102
La memoria (corta) di D'Alema
"Panorama" del 17/3/2003
Mentre si avvicina il giorno cruciale nel quale il Parlamento deve
votare sulla concessione agli Usa delle basi italiane (e il
centro-sinistra prepara le barricate), a Montecitorio qualcuno ha
tirato fuori una interessante fotocopia.
«Chiedo al Parlamento di non sacrificare in un momento così cruciale il
valore della coesione politica nazionale possibile, di non sacrificare
la consapevolezza trasversale ai diversi schieramenti di una comune
responsabilità verso gli interessi del Paese. Credo sia essenziale, in
momenti come questi, la ricerca della più larga unità intorno
all'azione e al ruolo internazionale dell'Italia». Parole del
presidente del Consiglio Silvio Berlusconi di fronte al Parlamento
chiamato a decidere se appoggiare o no la linea del governo sulla crisi
irachena? Sbagliato: sono le parole risuonate alla Camera il 26 marzo
del 1999 (di fronte ad un intervento, quello in Kosovo, ugualmente
privo della copertura Onu) e pronunciate da Massimo D'Alema, allora
capo del governo ma adesso in prima fila nel contrastare l'appello di
Palazzo Chigi per una linea bipartisan.
Dopo il duro alterco sulla crisi irachena avvenuto tra D'Alema e il
ministro per i Rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi, a
Montecitorio hanno cominciato a circolare tra i deputati del
centro-destra le fotocopie del vecchio discorso dalemiano. E tutti
hanno notato come molte delle affermazioni contenute in quel discorso
sono improntate esattamente allo stesso spirito di quelle che in queste
ore si sentono da parte degli esponenti del governo in carica.
Esempio: «E' certamente legittimo» disse il 26 marzo 99 l'attuale
presidente della Quercia «sostenere che, sul piano strettamente
giuridico, l'intervento della Nato avviene senza mandato specifico
delle Nazioni Unite. Al contempo è impossibile negare purtroppo che ciò
dipende da una sostanziale paralisi del Consiglio di sicurezza,
bloccato nelle sue deliberazioni dai reciproci veti dei suoi membri».
Commento di molti deputati di lungo corso: «Peccato che in politica non
si utilizzino più spesso gli archivi...».
=== 1 ===
La composizione del governo D'Alema I (21 ottobre 1998)
Governo D'Alema I
Presidente del Consiglio: Massimo D'Alema (Ds)
Vice Presidente: Sergio Mattarella (Ppi)
Sottosegretario alla presidenza: Franco Bassanini (Ds)
Bilancio e Tesoro: Carlo Azeglio Ciampi
Finanze: Vincenzo Visco (Ds)
Industria: Pier Luigi Bersani (Ds)
Esteri: Lamberto Dini (Ri)
Giustizia: Oliviero Diliberto (Pdci)
Interno: Rosa Russo Jervolino (Ppi)
Commercio estero: Piero Fassino (Ds)
Riforme costituzionali: Giuliano Amato
Beni Culturali Spettacoli e Sport: Giovanna Melandri (Ds)
Sanità: Rosy Bindi (Ppi)
Ambiente: Edo Ronchi (Verdi)
Funzione Pubblica: Angelo Piazza (Sdi)
Comunicazioni: Salvatore Cardinale (Udr)
Pubblica Istruzione: Luigi Berlinguer (Ds)
Ricerca Scientifica e Università: Ortensio Zecchino (Ppi)
Trasporti: Tiziano Treu (Ri)
Difesa: Carlo Scognamiglio (Udr)
Lavori Pubblici: Enrico Micheli (Ppi)
Lavoro e Mezzogiorno: Antonio Bassolino (Ds)
Pari opportunità: Laura Balbo
Solidarietà sociale: Livia Turco (Ds)
Politiche agricole: Paolo De Castro (Ulivo)
Rapporti parlamento: Guido Folloni (Udr)
Politiche comunitarie: Enrico Letta (Ppi)
Affari regionali: Katia Belillo (Pdci)
(21 ottobre 1998)
=== 2 ===
SERBIA: ORDIGNI NATO INESPLOSI IN 40 SITI, ANCHE IN FABBRICA
(ANSA) - BELGRADO, 14 FEB - Ordigni inesplosi dei raid
della Nato della primavera 1999 sono stati individuati in 40 siti
serbi, di cui uno e' il cortile di una grande fabbrica di Pancevo (10
chilometri a est di Belgrado) tuttora in attivita'. Lo ha detto il
direttore del centro di sminamento serbo Petar Mihajlovic, precisando
che ''la maggior parte delle bombe inesplose sono nei sotterranei
dell'ambasciata cinese a Belgrado, nel quartiere belgradese di
Zvezdara, sul monte Avala e nel sobborgo di Batajnica, dove c'e'
l'aeroporto militare''. Recentemente, i tecnici incaricati dei progetti
di bonifica del Danubio avevano indicato nove siti in prossimita' di
altrettante
cittadine e villaggi lungo il fiume. Per l'ambasciata cinese, esperti
americani avevano recentemente offerto aiuto nel disinnescare gli
ordigni, ma Pechino ha rifiutato. Secondo la stampa serba, la sede
diplomatica - bombardata nel maggio del 1999 con un bilancio di quattro
morti e dieci feriti - avrebbe nascosto un centro di comando delle
forze armate di Slobodan Milosevic o forse delle gallerie di
comunicazione con i centri del vecchio potere. (ANSA). OT14/02/2003
17:32
http://www.ansa.it/balcani/serbiamontenegro/serbiamontenegro.shtml
=== 3 : LE ANALISI ===
La "grande scacchiera" e la guerra della Nato
Fausto Sorini
Liberazione 5 giugno 1999
"La grande scacchiera" è il titolo di un recensissimo libro di
Zbigniew Brzezinski, già consigliere per la sicurezza nazionale del
presidente Carter, una delle teste pensanti della politica estera degli
Stati Uniti. Esso espone, con esemplare chiarezza e senza infingimenti
"umanitari", il quadro strategico globale entro cui collocare e
comprendere le ragioni essenziali dell'aggressione della Nato alla
Repubblica Federale
Jugoslava, fortissimamente voluta dagli Stati Uniti. "Il crollo
dell'Unione Sovietica - scrive l'autore - ha fatto sì che gli Stati
Uniti diventassero la prima e unica potenza veramente globale, con una
egemonia mondiale senza precedenti e
oggi incontrastata. Ma continuerà ad esserlo anche in futuro? Per gli
Stati Uniti, il premio geopolitico più importante è rappresentato
dall'Eurasia, il continente più grande del globo", che "occupa,
geopoliticamente parlando, una posizione assiale, dove vive circa il
75% della popolazione mondiale ed è concentrata gran parte della
ricchezza del mondo, sia industriale che nel sottosuolo. Questo
continente incide per circa il 60% sul PIL mondiale e per 3/4 sulle
risorse
energetiche conosciute ... L'Eurasia - sintetizza Brzezinski - è
quindi la scacchiera su cui si continua a giocare la partita per la
supremazia globale".
"Ma se la Russia - prosegue l'autore - dovesse respingere
l'Occidente, diventare una singola entità aggressiva e stringere
un'alleanza con il principale attore orientale (la Cina) ", e con
l'India, "allora il primato americano in Eurasia si ridurrebbe
sensibilmente". E così pure se i partner euro-occidentali, soprattutto
Francia e Germania, "dovessero spodestare gli Stati Uniti dal loro
osservatorio nella periferia occidentale" (così viene definita l'area
dell'Unione Europea), "la partecipazione americana alla partita nello
scacchiere eurasiatico si concluderebbe automaticamente". Quindi,
conclude Brzezinski, "la capacità degli Stati Uniti di esercitare
un'effettiva supremazia mondiale dipenderà dal modo con cui sapranno
affrontare i complessi equilibri di forza
nell'Eurasia: e la priorità deve essere quella di tenere sotto
controllo l'ascesa di altre potenze regionali (predominanti e
antagoniste) in modo che non minaccino la supremazia mondiale degli
Stati Uniti". "Per usare una terminologia che riecheggia l'epoca più
brutale degli antichi imperi, tre sono i
grandi imperativi della geo-strategia imperiale: impedire collusioni e
mantenere tra i vassalli la dipendenza in termini di sicurezza,
garantire la protezione e l'arrendevolezza dei tributari e impedire ai
barbari di stringere alleanze". Gli Stati Uniti vogliono in primo luogo
evitare che in Russia si affermi un
potere politico influenzato dai comunisti, avverso al liberismo
selvaggio che ha precipitato il Paese nella crisi più nera e volto a
ristabilire una collocazione internazionale della Russia non subalterna
all'Occidente. Per questo il deposto premier Primakov era ed è
considerato un avversario temibile: è
sostenuto da una Duma dominata dai comunisti, sorretto da un consenso
popolare dell'80%, favorito alle elezioni presidenziali dell'anno
prossimo, mentre il consenso degli uomini di fiducia degli Stati Uniti,
come Eltsin e Cernomyrdin è precipitato al 5-10%.
Anche per questo Eltsin lo ha destituito (rendendo ormai drammatico il
fossato tra paese reale e paese "legale", ai limiti di uno scontro
interno che potrebbe precipitare in forme drammatiche), dopo avergli
sottratto il dossier "guerra in Jugoslavia" per affidarlo a
Cernomyrdin. In modo che l'eventuale successo di una mediazione
diplomatica russa avvenga su una linea più docile alle volontà della
Nato, e che sia il nucleo eltsiniano (e non Primakov e la sua squadra)
a trarne i maggiori benefici di immagine, in vista delle prossime
scadenze elettorali in Russia. Gli Usa vogliono inoltre favorire una
evoluzione della Cina per cui le forze espressione di una nuova
borghesia interna legata al mercato internazionale (che auspica un
legame preferenziale e docile con gli Stati Uniti) prendano
gradualmente il sopravvento sulle forze sociali e politiche che restano
legate a un progetto originale e inedito di lunga transizione al
socialismo, con una economia mista in cui il pubblico resti comunque
prevalente sul privato. Il bombardamento pianificato dell'ambasciata
cinese a Belgrado, era certo un test per vedere fino a che punto la
Cina era in grado di assumere sulla guerra in Jugoslavia un profilo
forte e autonomo dagli Usa e la reazione degli studenti cinesi (da
molti considerati ormai succubi del modello americano) è stato un
segnale più che incoraggiante di tenuta di un orientamento
antimperialista, di dignità nazionale, di autonomia di valori, che
parla alle nuove generazioni del mondo intero. Ma quelle bombe si
proponevano, da parte dei
fautori della guerra totale contro la Jugoslavia, anche l'obbiettivo di
inasprire le relazioni internazionali e rendere impossibile in sede Onu
una risoluzione ragionevole e negoziata (non imposta dalla Nato) tra
tutte le parti in causa del conflitto balcanico. Anche sull'India,
potenza nucleare, gli Usa premono per sottrarla alla sua storica
collocazione di non
allineamento, che conserva forti radici nel Paese, per imporle una
linea di privatizzazioni selvagge e di smantellamento del ruolo dello
Stato in economia (tuttora consistente) e omologarla al modello
neo-liberale. In Europa si cerca di
impedire che si affermi un modello sociale diverso da quello neo-
liberale ed un sistema di sicurezza alternativo alla Nato e alla tutela
americana sull'Europa.
Tanto più se ciò dovesse prefigurare un quadro di cooperazione
economica, politica e militare di tutta l'Europa, dall'Atlantico agli
Urali, passando per i Balcani. Il che configurerebbe una entità
economica geopolitica e di sicurezza di prima grandezza nel panorama
mondiale e scalzerebbe l'influenza predominante degli Usa sul vecchio
continente. Proprio Primakov è stato e rimane uno dei più convinti
assertori di questo asse Russia-Unione Europea ad Ovest, e di un altro
asse Russia-Cina-India ad oriente, che marcherebbero una evoluzione
multipolare degli assetti planetari e degli stessi rapporti in seno
alle Nazioni Unite, minando il progetto americano di egemonia globale
unipolare, che comporta invece l'affossamento dell'Onu e la
trasformazione della nuova Nato a guida americana in regolatore supremo
di ogni controversia internazionale. Sul solo terreno della
competizione economica l'imperialismo americano non è in grado oggi di
dominare il mondo e di subordinare i suoi stessi alleati/concorrenti
come Unione Europea e Giappone. Gli Usa incidevano nel dopoguerra per
il 50% del PIL mondiale: oggi la percentuale si è dimezzata, ed è di
poco inferiore a quella dell'Unione Europea. Spostare la competizione
sul terreno militare, dove la potenza Usa è ancora di gran lunga
preponderante, significa usare la guerra come strumento di egemonia
economica e politica. Anche contro l'Europa: costringendola a subire
l'iniziativa e l'interventismo anglo-americano o ad entrare nel gioco
della grande spartizione delle zone di influenza, ma in posizione
subalterna. Come appunto è avvenuto con questa guerra.
Siamo partiti, in apparenza, da lontano, ma la conclusione è sintetica
e ci tocca da vicino. Il controllo dei Balcani è strategico nella
competizione per il controllo dell'Eurasia. I Balcani sono storicamente
la porta per l'Oriente; da lì passano
oggi oleodotti e gasdotti che trasportano le vitali risorse energetiche
tra Europa e Asia. Nella contigua regione del Mar Caspio, del Mar Nero,
del Caucaso gli scienziati stimano esservi giacimenti di petrolio e di
gas naturale tra i maggiori del mondo. L'allargamento della Nato ad Est
si propone di inglobare gradualmente tutti i paesi dell'Europa
centro-orientale e dei Balcani, incluse le repubbliche europee dell'ex
Unione Sovietica, per farne un grande protettorato atlantico: per
controllarne le risorse e circondare una Russia non ancora
"normalizzata" e dal futuro incerto. Mentre all'altro capo del
continente eurasiatico, proprio in queste settimane, è andata
strutturandosi una "Nato asiatica", che comprende, in un sistema
militare e di "sicurezza" integrato, gli Stati Uniti, il Giappone, la
Corea del Sud e strizza l'occhio a Taiwan, cui si
assicura "protezione". Che cosa accadrebbe domani se gli Stati Uniti
decidessero di dare vita ad una nuova UCK in Cecenia, in Daghestan; in
Tibet o magari a Taiwan? La Jugoslavia rappresentava, agli inizi degli
anni '90, un ostacolo alla normalizzazione dei Balcani. Facendo leva su
processi disgregativi interni e ataviche tensioni etniche e nazionali,
alimentate dalla crisi dell'esperienza socialista jugoslava (che
richiederebbe un discorso a parte), la Germania prima e gli Usa poi
hanno spinto per la disintegrazione del paese (attizzare il fuoco,
disgregare, per poi intervenire, assumere il controllo, colonizzare).
Da qui la secessione della Slovenia, della Croazia, della Macedonia,
della Bosnia, e la trasformazione dell'Albania in una grande base Nato
nel Mediterraneo.
Restava ancora da spappolare la Repubblica Federale Jugoslava, e
soprattutto l'indocile Serbia. Così fu aperto il dossier Kossovo, dove
certo non mancavano i presupposti per gettare benzina sul fuoco. E dove
la parte più estrema
del nazionalismo serbo, con forti appoggi nel governo di Belgrado,
aveva colpevolmente contribuito ad esasperare i rapporti con la
popolazione kossovara di origine albanese: a sua volta sospinta
dall'UCK, armata dagli americani, a precipitare la regione nella guerra
civile, per poi invocare
l'intervento "liberatore" della Nato.. Ma questa è storia dei giorni
nostri; anzi, cronaca.
> La guerra del Kosovo, o dei Balcani...
>
> Angelo d'Orsi (da "Liberazione)
>
> La guerra del Kosovo, o dei Balcani, che ha chiuso cronologicamente il
> Novecento, ha riproposto gli stessi meccanismi del Golfo, prova
> generale per la realizzazione del "nuovo ordine mondiale", con una
> peculiarità: si è trattato di un conflitto fomentato dall'Occidente,
> una guerra politicamente e giuridicamente evitabile, ma perseguita con
> lucidità dagli Stati Uniti e accetta più o meno volentieri
> dall'Europa. Peraltro, con la guerra a Milosevic, l'Europa per la
> prima volta da espressione geografica e koiné culturale si presentava
> come entità politica: si è trattato della prima guerra dell'Unione
> Europea, che ha così avuto un suo canonico "battesimo del fuoco",
> rimanendo perfettamente in linea con la tradizionale idea che senza
> sangue non si crea una nazione.
> Che poi la nazione europea abbia davvero potuto essere generata dal
> conflitto appare davvero dubbio, trattandosi anche di una guerra
> infraeuropea, di un'aggressione all'Europa da parte dell'Europa, per
> un verso, e di un attacco all'Europa proveniente d'Oltre Atlantico.
>
> In quella neoguerra, il ricorso all'uso politico della storia - forma
> estrema dell'uso pubblico della storia -, al suo inesauribile
> supermercato, è stato particolarmente forte e martellante. Filosofi,
> scienziati, politici e cultori professionali o dilettanti di storia
> sono stati mobilitati in massa per fornire alla classe politica e ai
> suoi propagandisti gli strumenti e gli argomenti di varia natura alla
> preparazione ideologica e alla successiva giustificazione
> dell'evento, che, nella buona sostanza, era semplicemente
> un'aggressione armata, condotta con mezzi aerei da cinquemila metri di
> altezza, da parte di una coalizione di diciannove Stati - quasi tutti
> i più potenti della Terra - contro una nazione di nove milioni scarsi
> di abitanti, più piccola della metà dell'Italia settentrionale. Di
> nuovo, come nel Golfo, ma con intensità assai maggiore e
> un'insistenza resa più facile da false analogie storico-geografiche,
> il ricorso al paradigma antifascista, alla più "giusta" delle guerre -
> quella condotta contro il nazifascismo da parte delle "democrazie" -
> serve a fare accettare all'opinione pubblica internazionale, europea
> soprattutto, un'azione militare inaccettabile sotto tutti i principi.
> Ancora una volta si riaffacciava il fantasma di Adolf Hitler, i cui
> panni erano fatti indossare al serbo Milosevic, con la connessa, falsa
> e moralmente ripugnante equiparazione della cosiddetta pulizia etnica
> (rimasta peraltro largamente indimostrata) al genocidio ebraico; e via
> di questo passo, in un incredibile repertorio fondato su false
> analogie, anacronismi, mezze verità e palesi menzogne: il tutto
> fornito da uomini di studio, di scienza, di cultura. E anche recenti,
> rigorosamente documentati lavori di studiosi autentici hanno finito
> per avallare, passando dal piano conoscitivo a quello valutativo, un
> giudizio di "colpevolezza" serba, pur con numerosi distinguo e con
> apprezzabili sforzi di corresponsabilizzazione degli altri attori,
> interni, ed esterni, in campo. Mentre, d'altro canto, statisti e
> commentatori professionali (pur con qualche lodevole eccezione, frutto
> talora di pentimento rispetto a posizioni pregresse), non si sono
> ritratti, nella "guerra al Terrore", dal riproporre una volta ancora
> l'equazione tra i "buoni" del momento, ossia gli americani e i loro
> alleati (succubi), e quelli del 1939-45 (ancora gli americani e i loro
> alleati), e, sul fronte opposto, i "cattivi", equiparati a Hitler e i
> suoi alleati (succubi).
>
> Insomma, anche quando non hanno agito in prima persona per costruzione
> di menzogne a fini di legittimare quel che era impossibile legittimare
> su ogni piano, gli intellettuali si sono assunti una responsabilità
> negativa, nel senso che non hanno fatto ciò che ad essi primariamente
> compete, o lo hanno fatto troppo poco, episodicamente: un'opera di
> demistificazione critica, di denuncia proprio delle manipolazioni,
> delle corruzioni e degli inquinamenti della verità, che, al comodo
> riparo di una storia bric-à-brac, sono alle nostre spalle, e,
> purtroppo, pur all'interno di un lento processo di presa di distanza
> dalle (dichiarate) ragioni del conflitto.
>
> Né sufficiente è apparsa la mobilitazione intellettuale davanti
> all'ultimo obbrobrio: la "guerra preventiva", estremo vulnus al
> diritto, alla logica, alla storia. Troppi chierici hanno taciuto,
> approvato, giustificato, colpevolmente.
>
> Pessimismo eccessivo? Catastrofismo (appunto)? Se si vuole una
> piccola nota di moderato ottimismo teorico si può ricordare che la
> teoria delle catastrofi applicata all'ambito politico - come per
> esempio fa Georges Sorel nelle sue Réflexions sur la violence (1908),
> riprendendo e sviluppando Marx a proprio modo - vede appunto una
> "catastrofe" a segnare il passaggio da un'epoca ad un'altra,
> superiore, per livello di civiltà. Tale sarà il passaggio dal
> capitalismo al socialismo; ma, egli aggiunge, non è poi certo e
> nemmeno necessario che ciò accada; basterà che l'evento catastrofico
> sia atteso come un mito vivificante per produrre conseguenze.
>
> Non abbiamo la fede di Sorel, ma piuttosto la passione per la ricerca
> e l'acribia: è piuttosto a Marc Bloch che si può guardare con
> reverente attenzione. Ponendoci sulla scia di un tale gigante della
> storia (dunque della ricerca appassionata della verità), ci chiediamo
> se un lavoro, insieme modesto e difficile, di scrupolosa raccolta di
> dati e di loro interpretazione (ci auguriamo corretta), non possa
> costituire un pur minimo contributo utile per evitare la "catastrofe".
>
> Con il che dall'accezione corrente del termine catastrofe ritorniamo
> alla sua origine: evento (perlopiù doloroso) o insieme di eventi che
> portano allo scioglimento della tragedia, fornendo un ammaestramento
> agli uomini (e alle donne). Non sta a chi scrive dire se qualche, pur
> piccolo e modesto "ammaestramento" possa uscirne per il lettore. Ma
> sia lecito almeno esprimere l'auspicio che in quel lettore sorga, da
> questo libro, il desiderio di capire e sapere di più.
http://digilander.libero.it/economiadiguerra/euro_kosovo_usa.htm
E il dollaro va alla guerra contro l'euro
Tina Menotti
(Rita Madotto)
Liberazione 29 aprile 1999
Della guerra della Nato in Kosovo ne sa piú Alan Greenspan - presidente
della Federal Reserve - che Bill Clinton. La natura di questa guerra,
infatti, è preminentemente economica e finanziaria. E il
disorientamento dei commentatori che
accettano passivamente la tesi della "guerra umanitaria" la dice lunga
sul processo di omologazione all'ideologia della superpotenza Usa
avvenuta negli ultimi due decenni e che non ha risparmiato la cultura
della "sinistra riformista". Il ruolo predominante degli Stati Uniti
nel decidere tempi e modalità della guerra è sotto gli occhi di tutti,
ed evidenzia che gli Usa non hanno alcuna fretta di chiudere il
conflitto, anzi hanno bisogno di allargarlo.
La rendita degli Usa
I Balcani e la pulizia etnica in Kosovo non sono la vera materia del
contendere, ma lo strumento attraverso cui gli Stati Uniti hanno deciso
di destabilizzare l'Europa: un'area economica che, dopo l'unificazione
monetaria, può minacciare la rendita di posizione degli Usa sui mercati
internazionali. Un'egemonia
incontrastata e rafforzata dal ruolo politico e militare degli Usa nel
mondo dopo la caduta del muro di Berlino. Erodere la supremazia del
dollaro significa, infatti, rompere quel meccanismo attraverso cui gli
Usa esportano sistematicamente le loro crisi economiche, godendo cosí
di un'economia in buona salute nonostante l'alto indebitamento delle
famiglie e il pazzesco indebitamento con l'estero. Lo scenario
economico che si è determinato negli ultimi due anni mostra con
chiarezza che tale rendita di posizione è seriamente minacciata.
Il terremoto finanziario partito dal Sud-est asiatico e il Giappone e
che ha investito la Russia e il Brasile è partito essenzialmente da
due fattori concomitanti. La liberalizzazione selvaggia del movimento
dei capitali, voluta dagli Usa per trovare collocazione alle ingenti
risorse finanziarie liberate dalle politiche di riduzione del debito
statale, che hanno determinato minori rendite sui titoli pubblici, e
soprattutto dalla
privatizzazione del sistema previdenziale. Ciò ha consentito ai
paesi emergenti forti indebitamenti a breve, mentre la veloce
rivalutazione del dollaro nell'estate del '97 (il secondo fattore
scatenante) ha fatto esplodere il debito estero di questi paesi
innescando la crisi a livello globale. I capitali sono ritornati sulle
piazze europee e su quella statunitense con l'effetto di alimentare
ancora di piú la bolla speculativa che da anni ormai incombe come una
bomba a orologeria. Greenspan metteva in guardia il sistema quando il
Dow Jones - l'indice azionario -
era a quota 6.500 (settembre). La successiva riduzione del tasso di
sconto per dar fiato al sistema del credito, dopo il crack del fondo
speculativo Long Term Credit Management che ha rischiato di innescare
una serie di fallimenti a catena, ha portato l'indice a oltre diecimila
punti. La sopravvalutazione dei corsi azionari oscilla cosí tra il 25 e
il 40% e ciò mette in crisi tutto il sistema. Crisi di questa natura
non sono una novità per il mercato ma la differenza con il passato l'ha
fatta il varo dell'euro: un progetto che, nell'intenzione dei
promotori, aveva la finalità di creare un mercato unico di merci e
capitali capace di competere con gli altri due blocchi economici, il
Giappone e le tigri asiatiche, e il Nafta (mercato unico del centro e
nord America).
La concorrenza dell'Ue
Una solida moneta europea, capace di reggere, per dimensione delle
riserve, alle ondate speculative indurrebbe molte banche centrali e
istituti finanziari a rivedere la composizione delle proprie riserve
valutarie.
L'euro farebbe concorrenza al dollaro e, visto il livello
dell'indebitamento estero degli Usa (le stime dicono che nel 1999 il
debito commerciale potrebbe superare i 200 miliardi di dollari), ne
segnerebbe il declino. Un lusso che gli Stati Uniti non possono
concedersi. Come contrastare questo processo? L'unica possibilità per
gli Stati Uniti è quella di destabilizzare l'Europa.
L'occasione della guerra nel cuore dell'Europa deve essere apparsa
troppo ghiotta alla leadership statunitense per non essere colta al
balzo: certo è che questo non verrà mai scritto in nessuna
"dichiarazione di guerra". Una guerra che
destabilizza è una guerra lunga che soddisfa gli appetiti del complesso
militar-industriale degli Usa. Un terzo delle spese di bilancio degli
Stati Uniti sono spese per la "difesa" e il peso dell'economia di
guerra sul Pil è sempre stato il piú alto tra tutti i paesi a
capitalismo avanzato. L'aumento della spesa attraverso gli
investimenti nel settore militare, in un contesto di deflazione
strisciante, è la strada maestra per rilanciare l'economia in un paese
che ha demolito qualsiasi meccanismo di redistribuzione del reddito.
E l'Europa? E i governanti europei, in maggioranza socialdemocratici? È
possibile che si siano fatti parte attiva del loro stesso
depotenziamento? Intanto l'Europa politica non esiste ed è questa la
prima grande sottolineatura di questa guerra. Su questo punto hanno
investito in primis gli strateghi
statunitensi. A livello dei singoli governi è prevalsa, poi, la
politica di piccolo cabotaggio e/o gli interessi delle lobby
dell'industria degli armamenti. Gran Bretagna in testa, dove agli
interessi di potenza nel settore armi si aggiunge la
storica allergia al progetto di unificazione monetaria che toglie
a Londra lo scettro di piú grande piazza finanziaria europea. Altro
elemento di debolezza dell'Europa sono i governi della sinistra
moderata, la cui unica preoccupazione sembra quella di legittimarsi e
a cui sfugge l'inganno della paradossale "guerra umanitaria". Hanno
"dimenticato" le finalità prime del varo dell'euro, avendo essi stessi
piegato la moneta unica a strumento eccellente delle politiche
restrittive di bilancio di questi ultimi cinque anni. Il risultato è
che l'Europa non ha alcun ruolo autonomo, il conflitto in corso l'ha
ridotta a una mera espressione geografica, e nessuno può pensare, in
queste condizioni, che la sua moneta di riferimento possa essere
considerata un "equivalente generale" affidabile.
=== 4 : GLI UMORI DELLA BASE ===
--- In Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli., "Gruppo Zastava - TS" ha scritto:
24 MARZO 1999 - 2003
"Chi e perché ha voluto distruggere la Jugoslavia"
Il 24 Marzo 1999 la NATO, l'Europa, gli USA, il governo D'Alema-Ulivo,
con l'appoggio delle destre e per conto delle potenze economiche
mondiali dominanti, nell'ambito di un disegno globale di
ricolonizzazione, scatenarono una micidiale pioggia di bombe sui popoli
della Federazione Jugoslava, violando Costituzione italiana, leggi e
trattati nazionale e internazionali. Migliaia di vittime sotto le
bombe, missili con uranio impoverito e grafite, il più grande disastro
ambientale mai avvenuto in Europa: 20.000 morti di tumore in 4 anni di
cui il 30% bambini. La Jugoslavia cancellata politicamente da un
governo fantoccio al servizio della NATO e dell'Unione Europea, che con
un consenso dell'8% applica oggi fedelmente le ricette liberiste con
licenziamenti e privatizzazioni.
L'aggressione italiana alla Jugoslavia, pur nella sua orrenda
specificità, non è stato un inizio né una fine: governi di centro-
sinistra e di centro-destra, in egual modo, hanno coinvolto il Paese in
altre aggressioni armate. L'esercito italiano è ad oggi impegnato in
Albania (2600 effettivi), Bosnia (1200), Serbia (Kosovo, 4900),
Macedonia (120), Afghanistan (1400), Eritrea (50), mentre l'Italia è
occupata militarmente da più di 140 basi USA e NATO.
Ma la "guerra umanitaria" alla Jugoslavia del 1999, preceduta da molti
altri "interventi di polizia internazionale" (Libano '82, Iraq '91,
Somalia '93, Albania '95) atti a tastare il polso alle potenze
"alleate" europee, è stata soprattutto il banco di prova generale USA
di una nuova politica egemonica, mirata a far saltare gli ultimi
residui del "diritto internazionale" ed a varare la politica USA delle
alleanze a "geometria variabile" definitivamente collaudato in
Afghanistan nel 2001, ed oggi tocca all'Iraq. E ancora una volta
l'Italia, sulla spinta dei suoi potentati economico-finanziari
bi-polari, vi vuole partecipare.
L'orizzonte, dopo e attraverso la distruzione della Jugoslavia, è
cambiato: dalle guerre "limitate" e "concordate" si è passati alla
guerra mondiale permanente. La feroce competizione fra gli stati
"alleati" membri del G8 sta sfociando inevitabilmente in nuove guerre,
costringendo gli Stati Uniti ad "alzare il tiro", pena la perdita
dell'egemonia mondiale.
Siamo di fronte ad uno scenario di guerra globale non solo militare e
non solo contro i popoli che rifiutano di farsi colonizzare. E' una
guerra sociale ed economica contro i lavoratori di tutto il mondo.
Contro i lavoratori italiani costretti a subire in questi ultimi 10
anni le politiche dei due poli che si sono alternate al governo: tagli,
privatizzazioni, bassi salari, cancellazione dei diritti.
C'è chi ha interesse che la data del 24 Marzo venga cancellata dalla
nostra memoria. Noi, invece, vogliamo farla vivere e contestualizzarla
dentro la giusta protesta, popolare e di massa, che in questo periodo
si esprime, finalmente in termini radicali, contro la guerra.
Invitiamo pertanto a partecipare alla giornata di mobilitazione di
domenica 23 Marzo, a ridosso del quarto anniversario dei bombardamenti
sulla Jugoslavia, contro la guerra, per la chiusura della base USA-NATO
di Aviano. Base da cui sono partiti, e partiranno, gli aerei con il
loro carico di morte.
GRUPPO ZASTAVA TRIESTE
(elaborato da un testo dei compagni romagnoli che ringraziamo per lo
spunto e per non aver dimenticato questa tragica data - yure)
---
«Colpito e terrorizzato»
La macchia mai rimossa
In questi giorni, come non bastasse l'incubo della guerra all'Irak, ci
tocca rivivere la vergogna della guerra del Kossovo, prevedibilmente e
non infondatamente rievocata dal centro-destra. Succede così divedere,
nelle tante maratone televisive, Melandri e Letta sostenere goffamente
che allora non fu violata la Costituzione, perché si agiva nell'ambito
Nato (cosa detta nello stesso giorno in cui Andreotti, al Senato,
dimostrava come persino il trattato della Nato fosse stato violato
nella guerra alla Jugoslavia). O di assistere al balbettio di Pecoraro
Scanio, il quale non trova di meglio che inventarsi che "allora era
d'accordo anche il Papa". Ed ecco, da Costanzo, l'esibizione di Massimo
D'Alema, che difende la sua guerra in un modo talmente supponente e
pretestuoso, da spingere il pubblico del Teatro Parioli, sempre così
benevolo verso l'Ulivo, ad indirizzare applausi liberatorii alle facili
confutazioni di un pensatore come Belpietro. E oggi riecco il Nostro
sulla Stampa, saldo come una roccia: "D'Alema non cambia idea". E' noto
che una memoria lunga è spesso d'ostacolo all'azione politica, nella
quale è utile a volte saper dimenticare: ma la ferita del Kossovo è
troppo recente e troppo profonda per essere archiviata o peggio,
rimossa. Anzi, è proprio in queste giornate drammatiche, dentro la
grande onda pacifista che ha sollevato il Paese, è proprio ora che
occorre ricordare, discutere, contestare quelle scelte, come garanzia
che non abbiano a ripetersi.E allora ripetiamolo fino alla noia:
l'Italia fu portata in una guerra di aggressione a uno Stato sovrano,
in violazione della Carta dell'Onu, del Trattato del Nord Atlantico,
della Costituzione repubblicana. Al Parlamento fu consentito votare
solo ad attacco già iniziato. Nei settantotto giorni di bombardamenti
devastanti i governi alleati si macchiarono di numerosi crimini di
guerra (uno per tutti: la strage proditoria di giornalisti, tecnici,
civili, compiuta con la scelta di bombardare la Torre sede della
televisione jugoslava a Belgrado). Bohumil Hrabal usava citare un
cartello esposto in una tintoria di Praga. C'era scritto: "Si avvisa la
Spettabile Clientela che alcune macchie non possono essere cancellate
senza intaccare le fibre del tessuto". La guerra del Kossovo è una di
queste macchie. E il tessuto va intaccato, con una riflessione
autocritica di fondo, o almeno con un rinnovamento della futura
leadership ristretta del centro sinistra che metta da parte i
principali responsabili di quel misfatto. Per ora il solo Cofferati,
che pure porta una responsabilità infinitamente minore, ha avviato un
ripensamento serio. Altri segnali non se ne vedono. Se su questo
terreno nulla dovesse cambiare di qui alle politiche, penso che non
saremmo in pochi ad incontrare qualche difficoltà a votare Ulivo,
indipendentemente dalle scelte che Rc deciderà di operare. Non tanto
per una condanna morale inappellabile riferita al passato, quanto per
una preoccupazione politica che riguarda il futuro: perché i D'Alema, i
Rutelli, i Fassino, ci stanno dicendo che, si ripresentassero
circostanze analoghe a quelle di allora, sarebbero pronti ad una nuova
guerra.
Edgardo Bonalumi
Il Manifesto - 26 marzo 2003
http://www.informationguerrilla.org/kossovo_e_la_sinistra.htm
------- Forwarded message follows -------
To: "no-ogm-ra" <Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.>
From: "amato.r"
Date sent: Tue, 15 Apr 2003 08:58:25 +0200
Subject: [no-ogm-ra] Re: Kosovo, gli ipocriti
Send reply to: Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.
----- Original Message -----
From: "glr"
Sent: Saturday, April 12, 2003 3:49 AM
Subject: Kosovo, gli ipocriti: La Melandri non c'era e se c'era
dormiva (Fwd) [JUGOINFO]
Gli ipocriti (2)
La Melandri non c'era e se c'era dormiva
___________
La contraddizione nelle dichiarazioni di D'Alema e altri esponenti DS è
quotidianamente sotto gli occhi e le orecchie di tutti, a me basta
ascoltare il giornale radio per sentirmi a disagio, e non credo di
essere il solo.
La mancanza di coerenza è il principale pericolo per la credibilità e
il futuro della Sinistra e deve superata.
Una netta sconfessione delle posizioni di allora e l'allontanamento dei
responsabili è indispensabile, per questo preciso motivo.
Errori così gravi non possono restare impuniti.
L'accusa di opportunismo e ipocrisia (ora o allora?) da parte
dell'opposizione e dell'elettorato, deve essere radicalmente
eliminata, eliminandone i fondamenti.
E' indispensabile e non più dilazionabile un chiarimento approfondito e
inequivocabile delle posizioni attuali dell'Ulivo rispetto alla
politica estera italiana e dei rapporti con l'"alleato" statunitense.
Roberto
---
Date: Mon, 20 Jan 2003 12:33:52 +0100
From: andrea
To: pci-epr
Subject: [Pci-epr] NO
Scusa Francesco, mi scusino gli iscritti a questa lista, ma la
ipocrisia del PdCI sulla questione della guerra e' veramente offensiva
ed inaccettabile. Non avete fatto nessuna autocritica sul vostro
comportamento nel 1999, sulla spaccatura del PRC e sulla partecipazione
ad un governo deciso a tavolino da Cossiga e Scognamiglio al solo scopo
di consentire la partecipazione italiana alla aggressione contro la
Jugoslavia (devo girare la documentazione al riguardo?), ed adesso
volete guidare voi il movimento contro la guerra??? (...)
Date: Mon, 20 Jan 2003 14:23:02 +0100 (NFT)
From: francesco
To: andrea, pci-epr
Subject: Re: [Pci-epr] NO
Caro Andrea,
rispondo pubblicamente (e non in privato, come sarebbe forse
piu' opportuno per la nostra vecchia amicizia) solo per evitare che le
compagne ed i compagni iscritti a questa lista possno avere
l'impressione che il PdCI, che io qui rappresento ufficialmente, non
sappia come affrontare queste critiche.
Nel merito quindi:
1) la partecipazione italiana alla guerra contro la Jugoslavia non
dipesa da alcun comportamento del governo D'Alema, perche' le
responsabilita' sono precedenti e collettive: essa infatti fu resa
inevitabile dalla improvvida decisione di cedere il comando delle
truppe italiane alla NATO nel caso "si fosse resa necessaria" una
operazione di "intervento umanitario" nella zona (le virgolette
specificano i termini
usati nella votazione parlamentare). Purtroppo, questa decisione fu
presa ALL'UNANIMITA' dalle Camere nell'ottobre del 1998 e fu votata
ANCHE DAL PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA: i Parlamentari che
successivamente hanno aderito al PdCI hanno riconosciuto, pochi mesi
dopo, che si tratto' di un tragico errore, dettato dalla mancanza di
approfondimento sulla situazione. I Parlamentari rimasti nel PRC hanno
solamente rimosso questo episodio e non ne hanno mai piu' parlato.
Tuttavia, da quel momento in poi, le operazioni NON SONO PIU' PASSATE
PER UN CONTROLLO PARLAMENTARE e neppure governativo in Italia: questo
e' stato, all'epoca e successivamente denunciato con forza dal PdCI,
che non ha mai riconosciuto, dalla sua nascita, ne' una validita' alla
cosiddetta "guerra umanitaria" del 1999 ne' alla demonizzazione della
Jugoslavia ne' a tutta la propaganda bellicista dell'epoca e successiva.
2) Quando la NATO (cioe' in pratica gli USA) diedero inizio alle
ostilita', senza che nessuno potesse piu' impedirlo (come e' noto, i
governi venivano informati, non coinvolti e neppure consultati) il PdCI
ha fatto tutto il possibile per far terminare il conflitto al piu'
presto e con il minore numero di vittime. So che sull'efficacia di
questi interventi abbiamo punti di vista diversi, perche' io continuo a
pensare che l'aver impedito il cosiddetto "intervento di terra" sia
stato utile, mentre, dalle diverse discussioni che abbiamo avuto
sull'argomento, so che tu pensi che se la NATO lo avesse tentato, si
sarebbe cacciata in un
"cul-de-sac" esiziale. Tuttavia nessuno puo' negare che questi
interventi ci furono e che ebbero un risultato: se si vuole, si tratta
di analizzare in dettaglio queso risultato ma non credo che si possa
fare per mail.
3) quanto alla nascita del PdCI, no, qui non discuto neppure: fu
un errore gravissimo, del quale scontiamo tutti ora le conseguenze, la
posizione di Bertinotti sul Governo Prodi, che non comprendeva alcun
punto sulla guerra (sai benissimo che l'ala trozkista di Rifondazione,
che faceva e fa parte integrante ed insostiuibile della maggioranza di
quel partito non ha mai avuto dubbi sulla realta' della "pulizia etnica
dei serbi", su quanto fosse cattivo Milosevic, ecc., tutte cose che
invece vanno adeguatamente ridiscusse) ma che riguardava solo il punto
assolutamente surrettizio della "svolta o rottura" sulla politica
sociale ed in particolare sulla legge relativa alle 35 h lavorative a
settimana.
Fu l'unica cosa da fare partecipare al governo che si formo' e sulla
nascita del quale chi vuol dare credito a Cossiga lo faccia pure (...)
=== 5 : GUERRA CONTRO L'INFORMAZIONE ===
CHI RICORDA LA TV SERBA BOMBARDATA?
mauri ti segnala questo articolo pubblicato sul sito
http://www.unita.it
e aggiunge il seguente commento:
<<Quando si dice di essere patetici,non sono sicuro di chi governava
nel 1999.Forse l'unita stava contro la NATO.
Forse le Bombe intelligenti non apprezzano la Televisione.
Forse La rai o la cnn o le reti mediaset sono la massima espressione
della libertà d'informazione...>>
Chi ricorda la tv serba bombardata? L'informazione negata. Ieri come
oggi
di an.ca.
Diritto internazionale e informazione. Durante la guerra, il primo
viene spazzato via definitivamente dai rapporti di forza, la seconda
scivola sempre più nella propaganda. Mentre si susseguono notizie e
smentite dall’ Iraq, la presentazione di “Sedicipersone”, un
documentario di Corrado Veneziano realizzato con la consulenza
giuridica del giudice Domenico Gallo, dà questo contributo alla
riflessione sulle implicazioni di un conflitto armato. In 32 minuti,
attraverso le testimonianze di giornalisti e operatori, italiani e
serbi, si ricorda il bombardamento del palazzo della Radio Televizija
Srbije, la tv nazionale di Belgrado. Alle 2 e 16 del 23 aprile di
quattro anni fa, 16 persone che erano all’interno dell’edificio
rimangono uccise.
Su quell’episodio , sostiene Domenico Gallo, il Tribunale
internazionale per la ex-Iugoslavia e la Corte Europea «dissero ai
giudici di tacere». Secondo il primo protocollo della Convenzione di
Ginevra del 49 il bombardamento di un obiettivo non militare è vietato.
La Corte di Cassazione italiana nel febbraio 2002 affermò che il
bombardamento su un edificio all’estero non rientra nella giurisdizione
italiana. Se la vicenda giudiziaria è conclusa, ha proseguito Gallo, la
vicenda storica rimane ancora aperta.
I Cruise della Nato che colpiscono il palazzo dell’informazione di
Belgrado sono un simbolo, ha ricordato Paolo Serventi Longhi,
segretario della federazione nazionale della stampa, che induce ancora
una volta a riflettere su come si possa costruire una democrazia con le
bombe e cosa significhi fare informazione. Nei giorni successivi, quel
bombardamento fu presentato come un errore, - ha ricordato Tana de
Zelueta, parlamentare Ds- e solo grazie ad una indiscrezione trapelò
che quella operazione fu voluta.
Davanti alla telecamera, un parente delle vittime spiega l’effetto,
l’unico, di una guerra: svuotare le cose e le parole. Anche i giornali,
ha aggiunto Lucio Caracciolo direttore di Limes, nel suo intervento.
Infine la denuncia di Ennio Remondino, per anni inviato della Rai dai
Balcani. Ormai le guerre si fanno per convincere, non per vincere, ed
il grande sconfitto per Remondino sembra essere l’informazione. Per
Remondino, o sei trombettiere o ti bombardano.
se vuoi leggerlo online:
http://www.unita.it/index.asp?topic_tipo=&topic_id=24422
(assicurati che l'indirizzo qui sopra sia riportato per intero nel
browser)
Vieni a trovarci su http://www.unita.it
---
il manifesto - 23 Aprile 2003
GIORNALISMO TARGET
Dalla tv di Belgrado all'Hotel Palestine. Quel
«vicino» 23 aprile
DOMENICO GALLO
Ksenija Bankovic aveva 28 anni il 23 aprile del 1999 ed era molto
contenta del suo lavoro di assistente al montaggio, anche Jelika
Munitlak aveva 28 anni ed era contenta del suo lavoro di
truccatrice.Oggi, dopo quattro anni, Ksenija e Jelika hanno ancora 28
anni. Infatti sono state spogliate della vita alle ore 2,06 del 23
aprile 1999, assieme ad altre quattordici persone, come loro addette al
lavoro presso gli studi della Rts (Radio Televisione Serba) di
Belgrado. Un missile «intelligente» della NATO aveva deciso di
impadronirsi della loro vita e c'è riuscito, centrando, con precisione
millimetrica, l'ala centrale dell'edificio della televisione, dove
ferveva il lavoro dell'equipe tecnica. I vertici dell'Alleanza sono
così riuscite a spegnere per sempre il sorriso di Ksenija e di Jelika
che, chissà per quale oscura ragione, dava loro tanto fastidio.
Quattro anni fa l'opinione pubblica non era ancora abituata a
considerare le equipe televisive ed i giornalisti addetti al loro
lavoro come obiettivi militari, come bocche e come occhi da chiudere
per sempre, con l'argomento irresistibile del tritolo. Per questo,
all'epoca si levò un fremito di indignazione che raggiunse,
addirittura, i vertici politici coinvolti in quella sciagurata impresa.
Il ministro italiano degli Esteri dell'epoca, l'on. Dini, da
Washington, dove si era riunito il Summit dell'Alleanza per celebrare i
50 anni della Nato, dichiarò ai giornalisti italiani «è terribile,
disapprovo, non credo che fosse neppure nei piani». Ma fu
immediatamente sconfessato dal suo Presidente del Consiglio, l'on.
Massimo D'Alema, che dichiarò: «Non si può commentare ogni giorno dov'è
caduta una bomba», precisando che la sua reazione alla notizia
risultava «attenuata dal fatto che in Jugoslavia non esiste
una stampa libera» (Corriere della Sera, 24 aprile 1999). Così il 23
aprile del 1999, nel processo della modernizzazione che incombe sul
nostro tempo, è entrato una preziosa acquisizione giuridica: il diritto
alla vita dei giornalisti (e di tutti coloro che lavorano nel mondo dei
media) è un diritto affievolito, dipende dal grado di libertà di stampa
esistente in un determinato contesto. Quando la televisione costituisce
uno strumento di propaganda di un regime politico autoritario, allora
può essere silenziata con la giusta dose di tritolo. D'altronde è
proprio quello che sostenevano i portavoce della Nato, nel briefing
quotidiano con la stampa. Il colonnello Konrad Freytag, sempre nella
fatidica giornata del 23 aprile, dichiarava che la Nato aveva
continuato gli attacchi volti a indebolire gli apparati di propaganda
della Jugoslavia e per questo aveva colpito gli studi radiotelevisivi
della Tv di Belgrado: «la più
grande istituzione dei mass media in Yugoslavia, che orchestra la
maggior parte dei programmi di propaganda del
regime».
Anche in Iraq, come tutti sanno, non esisteva una stampa libera, per
questo le forze dell'Alleanza del bene, il giorno prima della
capitolazione di Baghdad hanno distrutto il terrazzo da cui trasmetteva
la Tv Al Jazeera, uccidendone l'inviato, ed hanno bombardato l'Hotel
Palestine, uccidendo altri due giornalisti, che non avevano capito bene
che il regime di Saddam non garantisce la libertà di stampa. L'esempio
della Rts ha fatto scuola. Sono passati solo quattro anni da
quell'evento, ma sembra che sia trascorso un secolo. In Jugoslavia del
regime di Milosevic non è rimasta più traccia alcuna: i dignitari del
regime o sono morti per faide interne o sono finiti in prigione
all'Aja. La stessa Jugoslavia non esiste più, ha cambiato nome: adesso
si chiama Serbia e Montenegro. Apparentemente ci sono tutte le ragioni
per aprire una casella negli scaffali della storia dove archiviare
definitivamente la guerra Nato di Jugoslavia e passare ad altro. Ma i
conti non tornano, questa stagione non riesce a concludersi, perché
sino ad oggi nessuno ci ha dato conto della atroce morte di Ksenija e
dei suoi compagni. Nessuno ha pronunziato una parola di giustizia che
consentisse ai morti di riposare in pace. Di fronte a questo evento sta
il silenzio assordante delle Corti e dei sistemi giudiziari di cui
l'Occidente mena gran vanto.
In primo luogo il silenzio di quell'organo che l'Onu aveva creato per
proteggere gli abitanti della ex Jugoslavia dalla barbarie della
guerra. Il Tribunale penale per i crimini commessi nella ex Jugoslavia
non ha detto una parola.
Non ha potuto, in quanto il suo Procuratore, Carla Del Ponte, ha deciso
di non chiedere ai suoi giudici di giudicare ed ha dichiarato, il 5
giugno del 2000 al Consiglio di Sicurezza dell'ONU di essere «molto
soddisfatta» per aver archiviato le denunzie relative ai crimini
commessi dai vincitori - accuse depositate da Amnesty International e
Human Right Watch. In secondo luogo il silenzio di quella Corte Europea
dei Diritti dell'Uomo, che ha deciso, il 12 dicembre 2001,
pronunziandosi sul ricorso presentato dal papà di Ksenija Bankovic, di
non giudicare, decretando che i diritti dell'uomo non sono poi tanto
universali. In terzo luogo il silenzio della Cassazione, le cui Sezioni
unite civili hanno imposto, nel giugno del 2002, ai
giudici italiani di tacere, di non raccogliere il grido di dolore delle
vittime, per non disturbare la libertà di bombardamento del sovrano.
Com'è noto, al di sopra delle Sezioni Unite, c'è solo il Tribunale di
Dio. Quindi i sommi giudici credevano di mettere la parola fine a
questa vicenda, ma hanno commesso uno sbaglio. I morti non sono
d'accordo. Lo spettro delle sedici vittime innocenti (che tornano in
questi giorni d'attualità) continua ad aggirarsi nelle Cancellerie e
nelle Corti di Giustizia. I leaders politici, responsabili della morte
fisica, ed i magistrati, responsabili della morte giudiziaria, non se
ne potranno liberare e trasaliranno, vedendoseli comparire dinanzi,
come Macbeth quando vedeva riaffiorare lo spettro di Banquo.
=== 6 : DIRITTO ===
-------- Original Message --------
Subject: La nonviolenza e' in cammino. 454
Date: Mon, 23 Dec 2002 02:15:02 +0100
From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac@...>
To: "centro di ricerca per la pace" <nbawac@...>
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E,
01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@...
(...)
RIFLESSIONE. PEPPE SINI:
ANCORA SULL'IMMODIFICABILITA' DELL'ARTICOLO 11
DELLA COSTITUZIONE ITALIANA E SULLA NECESSITA' DI PERSEGUIRE PENALMENTE
AI SENSI DI LEGGE I GOLPISTI E STRAGISTI
Poiche' si persiste in un equivoco e una resa sciocchi e pusillanimi
sara' utile ripetere una volta di piu' quanto segue.
1. L'articolo 11 della Costituzione fa parte di quei "principi
fondamentali" (articoli 1-12) che costituiscono i "valori supremi" in
cui si sostanzia e su cui si fonda la Costituzione della Repubblica
Italiana.
L'ultimo articolo della Costituzione, il 139, stabilisce che tutta la
Costituzione puo' essere modificata secondo le procedure da essa stessa
previste, tranne la sua forma repubblicana. La Corte Costituzionale in
un memorabile pronunciamento di qualche decennio fa ha fornito
l'interpretazione autentica - e quindi inequivocabile e cogente - di
quanto disposto dall'articolo 139 Cost. sopra richiamato. Ovvero che
della
forma repubblicana sono elementi fondanti ed imprescindibili i valori
supremi definiti nei principi fondamentali.
Cosicche' l'articolo 11 della Costituzione non e' modificabile se non
con un colpo di stato. Ma chi fa un colpo di stato e' un fuorilegge e
va perseguito penalmente ai sensi di legge.
2. Il fatto che ripetutamente dal 1991 ad oggi l'articolo 11 della
Costituzione sia stato violato da governi, parlamenti e capi dello
stato golpisti e stragisti non significa che esso non vale piu', cosi'
come il fatto che vengano commessi degli omicidi in Italia non
significa che l'articolo del codice penale che punisce l'omicidio sia
da considerarsi per questo abolito.
3. Coloro che si arrendono ai golpisti e agli stragisti sono dei
vigliacchi e dei complici. Coloro che predicano la rassegnazione
all'illegalita' dei potenti sono dei provocatori che, per torpore
morale o perche' assoldati dai golpisti stragisti, vogliono renderci
tutti favoreggiatori del colpo di stato dei gangster al potere.
4. E' invece dovere morale e civile del movimento per la pace, ma anche
di ogni persona di volonta' buona e di ogni cittadino onesto, difendere
la vigenza della Costituzione della Repubblica Italiana, difendere lo
stato di diritto, la democrazia, la legalita', e denunciare coloro che
l'articolo 11 della Costituzione hanno gia' violato e coloro che hanno
gia' annunciato di apprestarsi a farlo di nuovo.
Dobbiamo denunciare alle competenti magistrature i golpisti stragisti e
chiedere che le forze dell'ordine intervengano per metterli in
condizione di non nuocere ed assicurarli all'amministrazione della
giustizia.
5. Ovviamente questo non basta; ma il fatto che non basti non ci esime
dal farlo: dobbiamo contrastare la guerra e i suoi apparati e i suoi
folli e criminali promotori anche con l'azione diretta nonviolenta,
anche con la disobbedienza civile di massa, anche con lo sciopero
generale, certamente; ma dobbiamo contrastarli anche in nome della
legge, con la forza del diritto stabilito nel nostro ordinamento
giuridico, denunciando i golpisti e gli stragisti alla magistratura per
i delitti di attentato alla Costituzione e crimini di guerra e contro
l'umanita'.
(Numero 454 del 23 dicembre 2002)
> P R O C E S S I A M O L I !!
>
> Il 31 luglio 1999 hanno avuto inizio a New York le attivita' del
> "TRIBUNALE INTERNAZIONALE INDIPENDENTE CONTRO I CRIMINI DELLA NATO IN
> JUGOSLAVIA", promosso da Ramsey Clark, con la stesura di 19 punti di
> accusa contro la NATO ed i governi occidentali.
>
> Le attivita' del "Tribunale" hanno trovato seguito in molti altri
> paesi del mondo. In Italia il primo novembre 1999 alla presenza di
> Ramsey Clark ha preso il via la sezione italiana del Tribunale. Nel
> corso di questi mesi, confortati dal crescente interesse suscitato e
> dalle numerose iniziative di presentazione del "Tribunale Italiano" in
> molte citta', abbiamo potuto verificare con dati oggettivi la
> veridicita' delle nostre accuse.
>
> A completamento del lavoro svolto in questi mesi, noi sottoscritti
> firmatari di questo appello accusiamo le massime autorità della
> Repubblica in carica nel marzo 1999 - in particolare il presidente del
> Consiglio dei Ministri Massimo D'Alema e i membri del Governo per la
> partecipazione alla guerra illegale e il Presidente della Repubblica
> Oscar Luigi Scalfaro per non aver difeso la Costituzione - nonchè i
> loro successori per quanto attiene ai crimini in continuità con
> l'aggressione armata, ciascuno secondo la personale
> responsabilità scaturente dalle diverse competenze, azioni e
> omissioni:
>
> - per avere collaborato attivamente all'aggressione contro la
> Repubblica Federale Jugoslava, paese sovrano da cui non era venuta
> nessuna minaccia nè all'Italia nè ai suoi alleati;
>
> - per aver liquidato e vanificato con l'aggressione militare le
> iniziative internazionali tendenti a favorire la soluzione con mezzi
> pacifici dei problemi esistenti nel Kosovo;
>
> - per avere violato tutti i principi del diritto internazionale e in
> particolare la Carta delle Nazioni Unite, i principi del Tribunale di
> Norimberga, le Convenzioni di Ginevra e i protocolli aggiuntivi sulla
> tutela delle popolazioni civili, nonchè lo stesso trattato istitutivo
> della NATO;
>
> - per aver consentito che dal proprio territorio partissero attacchi
> contro istallazioni e popolazioni civili, condotti su obiettivi e con
> armi appositamente studiate per infliggere il massimo danno, anche
> protratto nel tempo, alle persone e alle loro condizioni di vita
> (attacchi deliberati contro strutture civili, bombe a grappolo);
>
> - per aver consentito l'utilizzo massiccio di proiettili e missili
> all'uranio impoverito, causando danni incalcolabili e per un tempo
> indeterminato alle popolazioni della Federazione Jugoslava, con enormi
> rischi attuali anche per i volontari civili e per i militari italiani
> impegnati nel Kosovo.
>
> - per aver partecipato al bombardamento di impianti chimici e
> farmaceutici, causando deliberatamente danni ambientali di
> enorme rilevanza, tali da configurare una vera e propria guerra
> batteriologica, chimica e nucleare;
>
> - per aver danneggiato l'economia della Costa Adriatica con la
> chiusura degli aeroporti civili e per aver consentito e cercato di
> occultare lo smaltimento di ordigni bellici nelle acque territoriali
> italiane e in quelle immediatamente adiacenti, causando danni alle
> persone, all'ambiente, all'economia;
>
> - per aver violato la Costituzione italiana e ignorato le procedure
> che essa impone in caso di stato di guerra, guerra che non può mai
> essere intrapresa dall'Italia ma solo combattuta per difendere
> dall'aggressione altrui il nostro paese e i paesi di cui l'Italia sia
> impegnata a condividere la
> difesa;
>
> - per avere attivamente collaborato ad affamare e sacrificare la
> popolazione della Jugoslavia, sia nel corso della guerra sia con
> l'imposizione di misure di embargo internazionalmente illegittime;
>
> - per avere attivamente collaborato a esercitare pressioni e ingerenze
> contro un paese sovrano e le sue legittime istituzioni;
>
> - per avere inviato truppe e personale civile a governare territori
> ridotti di fatto a nuovi protettorati e colonie, senza peraltro
> impedire nel Kosovo la persecuzione sistematica e l'espulsione della
> popolazione di etnia serba e di altre etnie non albanesi, nonchè degli
> stessi abitanti di etnia albanese considerati non affidabili o
> dissidenti dal nuovo potere di fatto
> ivi insediato in violazione della risoluzione 1244 dell'ONU;
>
> - per aver usato la Missione Arcobaleno come operazione di promozione
> e legittimazione della guerra, e per avere allo stesso fine attivato o
> favorito una disinformazione e propaganda di guerra;
>
> - per avere rinunciato all'esercizio della sovranità del nostro paese
> e al diritto-dovere di controllo delle attività che vi svolgono
> comandi, strutture e mezzi militari stranieri;
>
> - per avere acconsentito a modificare, senza nessuna decisione del
> Parlamento, lo "status" politico e giuridico della NATO.
>
> ...
Sloveni e italiani uniti nella lotta alla dittatura
Di Maria Bernetic
Tratto da “L’antifascista” rivista dell’ANPPIA - dicembre 1976 n°12 -
lire100
Se il fascismo, fin dal suo nascere, infierì ferocemente contro il
movimento antifascista in tutto il paese, ben più e con particolare
violenza scatenò il suo furore contro le popolazioni italiane e slave
delle nuove province appena annesse all’Italia.
Bande armate saccheggiarono e devastarono fin dal 1919 in ogni luogo da
Postumia a Fiume, da Trieste a Pola. Migliaia di operai e contadini
furono bastonati a sangue, centinaia di antifascisti assassinati,
villaggi interi distrutti ed incendiati. Migliaia di cittadini furono
costretti ad abbandonare le loro case e le famiglie per andare per il
mondo o in galera.
Le prigioni di Trieste, di via Tigor, dei Gesuiti e del Coroneo erano
gremite di perseguitati antifascisti, che si opponevano alle violenze
squadriste per difendere i diritti acquisiti nei lunghi anni di lotta
per la loro emancipazione. Erano operai, giovani e donne.
In breve tempo il fascismo distrusse patrimoni immensi, culturali,
politici, economici e sociali.
Come il terrore delle squadre e bande armate fasciste, anche la
emanazione delle leggi eccezionali e l’istituzione del Tribunale
speciale si riveleranno incapaci di soffocare nelle masse popolari
l’aspirazione alla libertà ed alla emancipazione.
Gli antifascisti continuano ad opporsi al fascismo, cambiando il metodo
e le forme di lotta. Si passa dalla lotta di scontro frontale alla
lotta clandestina. La resistenza sarà attiva e conseguente nei suoi
ideali di democrazia e progresso sociale.
Il segretario dei giovani comunisti, italiani e sloveni di tutta la
Venezia Giulia, il compianto compagno Albino Vodopivec, ci teneva le
riunioni che erano molto animate. Decidemmo che bisognava passare
dell’attività semiclandestina a quella della lotta illegale
clandestina. Ma purtroppo l’entusiasmo giovanile spesso prevaleva sulle
regole cospirative, che il più delle volte non venivano osservate. Per
queste ragioni il nostro gruppo fu ben presto scoperto e già dopo la
prima più significativa azione.
Il primo maggio del 1927, Trieste era stata inondata di giornali e
manifestini. I giornali andavano nelle fabbriche; nelle piazze e nei
principali caffè cittadini apparivano i manifestini. Allora si stampava
con mezzi primitivi: inchiostro, telaio, rullo. Molti giovani vennero
mobilitati e nei punti più visibili della città e sull’altopiano
triestino, furono esposte le bandiere rosse con la falce e il martello.
L’apparizione di questi simboli antifascisti, influì positivamente su
larghi strati della popolazione e animò gli operai e le operaie dei
cantieri e delle fabbriche triestine e i contadini sull’altipiano
carsico.
I capi della squadra fascista di Trieste erano inferociti. I
seviziatori Gavazzi, Biscazza e Paletti, erano sicuri di aver soppresso
l’organizzazione del partito comunista con gli arresti del 1926.
Incominciarono la caccia all’uomo, le perquisizioni domiciliari, fermi
ed arresti.
La nostra più grande preoccupazione, in quel momento, era di mettere in
salvo i documenti, la macchina da scrivere, gli strumenti per
continuare a stampare e di far sparire ogni materiale compromettente.
Mentre i poliziotti stavano facendo la prima perquisizione in casa
della compianta compagna Angela Juren, grazie alla presenza di spirito
di una vicina di casa, venne calato un sacco di materiale
compromettente dalla finestra che dava sull’altro lato della strada. È
da notare che il fatto non venne denunciato da coloro che videro questa
impresa e il materiale fu salvo.
Ma la maggioranza dei compagni finirono in galera. Quando ci trovammo
nelle loro mani, gli sbirri, si vendicarono caricandoci di botte e ci
mandarono al Tribunale Speciale. I sei compagni subirono le condanne
maggiori, dai tre ai dodici anni. A due anni di reclusione fummo
condannate io e la Juren.
Anche nelle più difficili circostanze, l’attività antifascista
proseguì. I condannati politici reduci dalle galere, dal confino,
dall’esilio che legalmente o illegalmente tornavano in Italia,
riprendevano il loro posto di lotta. I comunisti erano gli animatori e
gente di vari ceti sociali si univa ai nostri compagni. Così con grande
precauzione si allargava la schiera organizzata dell’antifascismo.
Naturalmente si pagava sempre un alto prezzo, come documentano le
sentenze del tribunale speciale. Io venni nuovamente arrestata nella
primavera del 1939 e deferita al Ts con un gruppo di 25 compagni
accusati di “condurre un’efficace attività su tutto il territorio
nazionale”. La condanna inflittami fu di sedici anni. Il processo durò
cinque giorni. Nel paese la situazione era molto tesa, il regime
fascista si preparava ad entrare in guerra e ciò si ripercuoteva
nell’aula giudiziaria. I discorsi che facevano i giudici fascisti erano
intenzionalmente fatti per demoralizzare gli imputati antifascisti in
attesa di giudizio. Quando il presidente mi chiese le generalità,
stizzito dal mio non intimorito comportamento soggiunse: “inutile
chiederle. È tempo perso”. Intendeva alludere che ero “incorreggibile”.
Dopo la sentenza venni inviata insieme alla compagna Regina
Franceschino- di Udine- nel penitenziario di Perugina. Le altre due
compagne condannate insieme a noi furono inviate a Trani.
Il fascismo entrò in guerra. Le condizioni dei condannati politici nei
penitenziari peggiorarono. Le conseguenze delle effimere vittorie come
delle vere sconfitte della guerra nazifascista si ripercuotevano nelle
carceri. Avevamo fame, ma più fame ancora avevamo di notizie di ciò che
succedeva nel mondo.
Il 7 febbraio del 1943 ebbi la lieta sorpresa: mio fratello Carlo venne
a trovarmi. Anch’egli aveva subito parecchi fermi ed arresti dal 1940
in poi. Al colloquio, nonostante la severa sorveglianza, riuscì a
trasmettermi notizie incoraggianti. Nel nostro lessico famigliare mi
raccontò che l’organizzazione antifascista nelle fabbriche e sul Carso
era attiva, lottava contro la dittatura e la guerra. L’opposizione al
nazifascismo andava allargandosi fra i lavoratori. Nel congedarsi Carlo
mi promise che a Pasqua avrei avuto nuovamente la visita dei famigliari.
Per le feste di Pasqua, il 18 aprile, la compagna Zora Perello
(studentessa universitaria a Trieste- condannata a 18 anni di
reclusione- morta in un campo di concentramento) ed io aspettavamo la
consueta visita dei parenti. Era arrivata soltanto la madre di Zora. Io
non ebbi notizie. Mi chiamarono solo in portineria per ritirare il
pacco che i miei famigliari mi avevano mandato. Ritornando in cella
notai la reticenza di tutte le mie compagne. In quell’istante intuii
che qualcosa di grave era successo ai miei famigliari. Fu un momento
penoso per tutte la cara Valeria Julg, facendosi coraggio incominciò
raccontandomi quanto segue:
Nel corso della prima metà di febbraio a Trieste una serie di atti di
terrorismo e violenze fasciste si erano svolte principalmente nel rione
S. Giacomo, dove abitava la mia famiglia. La sera del 12 febbraio due
individui- uno di questi vestiva la divisa della milizia fascista-
cercarono mio fratello. Non trovandolo a casa si presentarono
all’abitazione di mia sorella, chiedendo di Carlo Bernetti
(originariamente Bernetic; i fascisti avevano imposto il cambiamento
del nome), invitandolo a seguirli al commissariato di Pubblica
sicurezza. Nell’atrio del portone ci erano altri due squadristi. Era
buio poiché vigeva l’oscuramento. Mio fratello venne immobilizzato ed
in quell’istante uno accese la lampadina tascabile e Carlo ebbe il
tempo di riconoscerlo: era il noto squadrista triestino Mario forti.
Immediatamente venivano sparati quattro colpi di rivoltella che lo
colpirono ed i quattro aggressori si allontanarono ritenendo che la
vittima fosse già morta. Mia madre e i parenti già preoccupati,
sentendo gli spari, accorsero e lo trovarono in una pozza di sangue.
Mia madre ebbe il coraggio di gridare ed inveire contro gli assassini
fascisti. La gente era impaurita e un grande silenzio si fece nella
notte. Carlo venne ricoverato all’ospedale con prognosi riservata.
Riuscì a cavarsela e dopo un mese fu dimesso dall’ospedale. Ma la
vicenda non era ancora finita. Nell’aprile, sempre per misure di
pubblica sicurezza, Carlo fu arrestato e tradotto al battaglione
speciale di lavoro all’Aquila, composto in maggioranza da antifascisti
giuliani, sloveni e italiani.
Ma il racconto non era finito. Zora si fece coraggio e mi dette una
notizia ancora più triste e dolorosa. Allo spargimento di sangue e alla
tremenda aggressione a suo figlio, il cuore di mia madre non aveva
potuto resistere. Dal 1920 lei aveva avuto il coraggio di combattere
contro tante avversità e di superare momenti dolorosi quando gli agenti
dell’OVRA arrestavano i suoi figli; ara convinta che bisognava lottare
contro il fascismo. Si sacrificava, lavorando notte e giorno,
privandosi del necessario, per aiutare non soltanto noi ma anche altri
compagni che avevano bisogno dell’aiuto materiale e morale. Era slovena
ma mai ha fatto differenza per alcuno, di qualsiasi nazionalità . Nella
lotta contro il fascismo aveva dato tutto, fino al suo ultimo respiro.
Le sue ultime parole, alle mie sorelle che le erano accanto al suo
capezzale, furono: “non abbandonate e non dimenticate Carlo e Maria,
aiutateli sempre”.
Così mia madre è morta vittima del fascismo come tante altre madri che
si sono sacrificate per i loro figli nella lotta contro la violenza e
l’ingiustizia fascista.
(Segnalato da B. Bellone)
> Da: "bellone"
> Data: Lun 23 Giu 2003 21:54:40
> Oggetto: l'antifascista
>
> Carissimi,
>
> sul numero di giugno dell’antifascista si ricorda agli iscritti
> dell’ANPPIA che il giornale potrebbe avere problemi economici. Una
> soluzione è certamente l’aumento del numero di abbonati.
>
> La rivista mensile è seria ed interessante.
>
> Io la consiglio.
>
> Il costo: undici Euro all’anno.
>
> Il numero di ccp: 36323004
>
> Riscrivo per verifica ccp: 36323004
>
> Intestato a “L’antifascista”
>
> Indirizzo: Corsia Agonale 10 - 00186 Roma
>
>
>
> È la voce degli antifascisti italiani, ricordatelo!
>
> Di quelli che hanno combattuto.
>
>
>
> Cordialmente
>
> Boris
BALCANICI INSERITI NELLA "LISTA NERA" DELLA UNIONE EUROPEA
EU ANNOUNCES NAMES OF PERSONS FROM BALKANS BANNED FROM ENTERING EU
BRUSSELS, July 1 (Beta) - The European Union announced on July
1 that 14 persons from Serbia and Montenegro and from Bosnia and
Herzegovina have been placed under a travel and transit ban on EU
territory because of their assistance to war crime indictees to "evade
justice."
One of the names on the black list is that of Milorad "Legija"
Lukovic, unofficially accused of helping former Bosnian Serb leader
Radovan Karadzic and Croatian general Ante Gotovina who is still at
large and "with whom he served in the same unit in the French Foreign
Legion."
EU sources said that "Lukovic has been employed in Karadzic's
security unit since March this year, ever since Karadzic helped him
escape from Serbia where Lukovic was the main suspect in the
assassination of Serbian Premier Zoran Djindjic."
The 14 persons on the list are Milovan Bjelica, Ljuban Ecim,
Aleksandar Karadzic (Radovan Karadzic's son), Ljiljana KaradzicZelen
(Radovan Karadzic's wife), Radomir Kojic, Tomislav Kovac, Petar Krasic,
Predrag Kujundzic, Momcilo Mandic, Branko Ratic, Slavko Roguljic,
Vasilije Veinovic, Milenko Vracar and Milorad "Legija" Lukovic.
EU sources have unofficially reported that a visa ban was
imposed on Aleksandar Karadzic and Ljiljana KaradzicZelen on the
grounds of their helping Radovan Karadzic "to obtain support" and "find
hiding places," and "acting as part of the liaison network with other
relatives of Karadzic's."
Another person on the list, Vasilije Veinovic, is a Serbian
Orthodox bishop who, according to sources, "harbored Karadzic in the
Mileseva Monastery."
The EU visa ban has also been imposed on Catholic priest Petar
Krasic, head of the Franciscan monastery of Masna Luka in Bosnia and
Herzegovina, because he "helped (war crimes indictee Ante) Gotovina to
travel by ensuring his safety." Krasic was fugitive Gotovina's main
assistant in the latter's unhindered movements between Croatia and
Herzegovina.
According to EU sources, among persons who were candidates for
the black list were the Serbian Orthodox archbishop in Montenegro,
Amfilohije Radovic, and a Serbian Orthodox bishop in Eastern Bosnia,
Vasilije Kacavenda.
Radovic "has been linked" to reports that he allegedly
"provided shelter for Karadzic in the Ostrog and Cetinje monasteries,"
while Kacavenda is claimed to have "actively helped Karadzic by
allowing him to hide in monasteries in his eparchy."
a" di Fulvio
Grimaldi continua via internet... alla pagina
http://www.rifondazione.it/savona/giovani/mondo00.html
vedi la nota in fondo)
===
DA FULVIO GRIMALDI
MONDOCANE FUORI LINEA 14/6/3
Errata corrige
Per un deplorabile disguido tecnico, alcune domande a Massimo D'Alema, form=
ulate
nel corso di un'ampia intervista a Liberazione nei giorni scorsi, sono anda=
te perse
negli intestini del computer. Lo stesso vale per le risposte. Rimediamo all=
'incidente.
Domanda: Illustrissimo, valentissimo e carissimo compagno Massimo, ti sei m=
olto
risentito del fatto che il nostro partito ti abbia denunciato alla magistra=
tura italiana
per i crimini di guerra che hai commesso nell'assalto e successivo squartam=
ento della
Jugoslavia?
D'Alema: Ma per carità, scuradammoce o' passato, chi ha avuto, ha avuto, ha=
avuto,
chi ha dato, ha dato, ha dato. Vi ho ampiamente perdonato, anche perché la =
vostra
linea del né-né è stata utilissima nell'agevolare quello che, come ho ribad=
ito nel mio
libro e in innumerevoli discorsi, è stato un intervento umanitario che ci h=
a finalmente
reinserito a pieno titolo e con grandi meriti, dopo anni di imbelle pacifis=
mo, nel
consesso della comunità internazionale, delle Grandi Democrazie (attenta al=
le
maiuscole iniziali!).
Domanda: Grazie. Ti abbiamo visto, fiero, sorridente e compiaciuto, sul pal=
co d'onore
delle celebrazioni in Piazza San Pietro per il fondatore dell'Opus Dei, Esc=
rivà de
Balaguer. Qual è la lezione che dobbiamo trarre da questo tuo gesto?
D'Alema: Sono sempre stato favorevole a un antico e glorioso slogan: "Unità=
, grande
unità". Perché questa felice intuizione, che emargina estremisti comunisti,=
terroristi
palestinesi e iracheni, integralisti iraniani e violatori cubani dei diritt=
i umani,
antiblairiani e rottami realsocialisti, pacifisti e bassotti, non dovrebbe =
valere per
l'illuminato arcipelago delle massonerie, la cui capacità di guidare le Mol=
titudini
(maiuscola, per favore) si è confermata nei millenni? E poi, come dissentir=
e da un
pontefice coraggioso e innovatore che ci ha indicato valori imperituri nell=
'elevare a
modelli di santità eccelse figure come i missionari che hanno liquidato il =
cancro
pagano in Messico, o come i vescovi che hanno sostenuto in Croazia la resis=
tenza ai
divoratori di bambini comunisti condotta da Ante Pavelic?
Incorreggibili e fanatici fondamentalisti del conflitto di classe (e poi si=
definiscono
"pacifisti"!) si sono permessi di darmi dell'inciucista, solo perché ho off=
erto al mio
amico-rivale Berlusconi un civile tavolo di briscola per decidere chi tra n=
oi due
avrebbe fatto il futuro viceré d'Italia nel nome del Sacro Romano Democrati=
co Impero
(maiuscole!!!) di Washington. Erano faziose e intolleranti cattiverie, alim=
entate da
sordida inimicizia alla libertà d'espressione e del pluralismo, vero?
Domanda: A me lo dici! Però Furio Colombo, sull'Unità, ha infilato la tua t=
estata "Il
Riformista" nella lista delle pubblicazioni di destra, tra Foglio e Giornal=
e, Libero e
Padania. Come ha potuto?
D'Alema: Non capisco il problema.
Domanda: In effetti. Passiamo, sempre che tu gradisca, alla politica intern=
azionale. I
tuoi viaggi a Gerusalemme, alla Casa Bianca e alla City hanno rivelato orig=
inalità di
vedute e profonde capacità di analisi e giudizio sulla situazione mondiale.=
Abbiamo
un problema. Un po'di passatisti del nostro giro reclamano solidarietà con=
la
resistenza irachena. Ma quella è capeggiata nientemeno che da Saddam Hussei=
n. Mica
possiamo sostenere un movimento di liberazione nazionale guidato dal dittat=
ore!
D'Alema: Ma scusa, non eravate voi quelli dell'azzecatissimo "né-né"? Né co=
n la Nato,
né con Milosevic? Né con Sharon, né con i kamikaze? Basta che insistiate: n=
é con gli
USA, né con i terroristi iracheni. Certo che se venisse l'ONU a pacificare =
l'Iraq, magari
con Kouchner (quello dei CIAfili Medicins sans Frontieres) come in Kosovo, =
allora sì
che potremmo tutti schierarci univocamente contro quella marmaglia
antidemocratica.
Domanda: Grazie. C'è un problemino anche in Iran. Lì ci sono dei contestato=
ri dei
mullah che vengono repressi. Alle donne non sono permessi i jeans al pube e=
ai
bambini negano l'hamburger. Noi, tra conservatori e riformatori opteremmo p=
er i
secondi, se sei d'accordo.
D'Alema: Ma certo, come ai tempi gloriosi del riformatore Eltsin che bombar=
dava i
biechi conservatori parlamentari di Ligaciov. Questi giovani iraniani, al p=
ari dei
giovani riformisti di Belgrado che ascoltavano la radio del compagno George=
Soros,
B92, e manifestavano contro il despota Milosevic insieme ai nostri Disobbed=
ienti e ai
consiglieri USA, hanno ascoltato l'appello di Colin Powell, una colomba se =
ce n'è una,
a rivoltarsi contro l'oscurantismo integralista e subito sono scesi in piaz=
za. Tra
bandiere a stelle e striscie che sventolano sui missili puntati su Teheran =
e bandiere a
stelle e striscie che fioriscono nei cuori dei ragazzi iraniani, presto la =
faremo finita
con questi ayatollah.
Domanda: Grazie. Per finire, una questione un po' intima. Comprendiamo
perfettamente la tua avversione radicale e anche un po' disgustata verso il=
sì al
referendum per l'art.18. Ma, sotto il conciliante effetto dei morbidi raggi=
di una luna
malandrina, che ci colgono stretti sulla terrazza in riva al mare, tra gli =
afrori di
gelsomini annuncianti una nuova primavera, inebriati da questa spumeggiante=
coppa
di champagne della riconciliazione, non potresti almeno condividere il nost=
ro
cammino fino alla cabina elettorale, per poi votare secondo quanto ti sugge=
risce la
tua infallibile intelligenza politica?
D'Alema: Ma vaffanculo....
In Iraq, come anticipato dai dirigenti del precedente governo, alcuni sband=
ati
terroristi, probabilmente riesumati da Osama Bin Laden, hanno bucato le gom=
me a un
paio di blindati angloamericani. Subito ne sono stati rastrellati 400, tra =
venditori di
musicassette taroccate e piccoli bastardi delle elementari, per ricevere la=
rieducazione
Guantanamo. Altri cento sono stati processati da un magistrato sulla torret=
ta di un
carro armato, condannati e seduta stante giustiziati. Altro che le lungaggi=
ni della
giustizia italiana!
Alcuni organi di stampa, come Il Manifesto e qualche sito telematico di poc=
hissimo
conto e di grande tendenziosità antipacifista e anti-noviolenza, coltiva il=
risibile e
indecente sospetto, contro ogni monumentale evidenza, che gli attentati in =
giro per il
mondo siano farina del sacco Mossad-CIA. Poi gonfiano all'inverosimile ques=
ti ridicoli
episodi di insofferenza alla rinascita democratica dell'Iraq liberato dalla=
belva
sanguinaria, fino a parlare, sulla base di poche centinaia di velleitari at=
tacchi e
imboscate e di alcune mini-manifestazioni di preti sciti, con il presunto b=
ilancio di
una cinquantina di caduti americani, di "attacchi ininterrotti in tutto il =
paese, con
pioggia di Apache abbattuti e falò di tank bazookati". Parlano nientemeno -=
e gli da
man forte addirittura il Washington Post - di resistenza armata altamente o=
rganizzata
e guidata nientemeno che da Saddam Hussein, come dimostrerebbero bollettin=
i
autografi del Rais (falsamente giudicati autentici da grafologi corrotti). =
Tutti
sappiamo, invece, che gli iracheni, compreso il Partito Comunista Iracheno,=
subito
riabilitato dagli occupanti a Baghdad (diversamente da quei finti comunisti=
della
Coalizione Nazionale e di quegli altri del Partito Comunista dei Lavoratori=
che
cianciano della necessità di lottare con le armi contro "l'invasore imperia=
lista" - ma
quale imperialismo, sono decenni che non c'è più ! Che fissati quei latinoa=
mericani,
africani, arabi, afgani, jugoslavi che insistono su questa chimera!) hanno =
riconosciuto
che "per ora è meglio che gli occupanti restino e governino, per un governo=
iracheno
c'è sempre tempo e noialtri del PCI siamo dispostissimi a farlo con tutti i=
settori della
Società Civile, pur capeggiata da un mafioso ricuperato come Ahmed Chalabi.=
Non va
data a tutti una seconda chance?" (vedi Il Manifesto 6/6/3).
In conclusione, raccomandiamo di abbeverarsi alla fonte di colui che Repubb=
lica,
Porta a Porta, Excalibur e il capostazione CIA a Roma hanno consacrato com=
e
massimo esperto di Saddam, palestinesi, islamici e imam dell'universo mondo=
: Magdi
Allam. Avessimo solo dato retta a lui, quando ci ammoniva, con rivelazioni =
da fonti
assolutamente attendibili come Ariel Sharon, che Saddam, figlio di un briga=
nte di
strada e di una zoccola, già a 4 anni guardava torvo i compagni d'asilo e a=
10
lapidava gli amichetti! Ci saremmo risparmiati certe sbadataggini come le a=
rmi di
distruzioni di massa (chi ne aveva bisogno poi! Saddam strangolava con le=
proprie
mani milionate di concittadini), o i curdi gassati a Halabia (li avevano ga=
ssati gli
iraniani, vedi Il New York Times del 31/1/3, ma che fa), o il dissidente ch=
e faceva
pubblicare su Liberazione che i comunisti in Iraq avevano dovuto vegetare i=
n
clandestinità per 45 anni, dalla rivoluzione del '58 (sorvolando sul fatto =
che fino a
quando, nel '79, Brezhnev gli ordinò di schierarsi con il democratico laico=
Khomeini
contro il proprio paese, erano stati al governo insieme a curdi e Baath. Sì=
, ma sempre
in minoranza, porca miseria!).
Comunque, il pericolo delle mistificazioni è elevatissimo. E c'è già chi ne=
approfitta
per dar fiato a un oscuro e indistinto rumoreggiare che alcuni provocatori =
fanno
correre per i continenti e che a Cuba suona "Hasta la victoria sempre", men=
tre altrove
bercia "Intifada fino alla vittoria!". Tutto per depistare dai bombaroli di=
Al Qaida che,
come quel segugio di Allam ha ben documentato a Scajola, affollano non solo=
le
moschee, ma anche asili, elementari e incroci stradali. In guardia!
I redattori del TG1 hanno comunicato:
"Non ci sembra un caso che in un grande e autorevole quotidiano nazionale..=
. siano in
pericolo l'indipendenza e l'autonomia professionale, schiacciate da interes=
si più o
meno dichiarati dal governo, da tentativi di ridurre la verità a verità di =
parte, la notizia
a non notizia e l'informazione politica a propaganda".
Copioni!
=== NOTA ===
Ciao a tutti,
mi permetto di segnalarvi sul sito dei Giovani Comunisti di Savona ( http:/=
/
www.giovanicomunisti.it/savona ) la pubblicazione della rubrica Mondocane d=
i Fulvio
Grimaldi un tempo su Liberazione e oggi (grazie ad un accordo con l'autore)=
anche
sulle nostre pagine. Il tutto è raggiunbile alla pagina
http://www.rifondazione.it/savona/giovani/mondo00.html .
Indipendentemente dal vostro orientamento politico a dalla vostra valutazio=
ne sulla
vicenda, la prosecuzione di Mondocane sulle nostre pagine rappresenta una g=
hiotta
occasione per non perdere nemmeno una virgola scritta dal noto giornalista =
(nella
speranza di leggerlo nuovamente sulle pagine di Liberazione). Quindi aggiun=
gete la
pagina
http://www.rifondazione.it/savona/giovani/mondo00.html
ai vostri bookmarks (o ai vostri segnalibri o ai vostri preferiti a seconda=
del browser
che usate) e tornate a trovarci.
Grazie dell'attenzione.
Marco - Savona
VIDJEH CUDO...
Vidjeh cudo
I nagledah ga se
Gdje idjase patka potkovana
I bijela guska osedlana
A na zecu crvene dimije,
Pa ugledah nasega Predraga:
Na kapi mu bjese petokraka,
Al' on zvijezdu hitro otkacio
Pa trobojkom onda zamahnuo.
Kad mu ova bijese izblijedjela
Mesto Bijelog orla ili kakvu novu pticu,
On dohvati sahovnicu.
Znam da ona njemu je predraga.
Al' od jutros, vidji vraga!
U Matve je vec ruho novo:
Nit se stidi, nit' se krije,
Na njemu su zelene dimije!
Opet gledam, gledam cudo,
pa se pitam:
Kud se vere,
kako gace ne izdere?!
Juni,
2003
Cuvari imena Jugoslavije
( Predrag Matve - profesor Predrag Matvejevic )
Cantichi della Chiesa croata... e del culto divino.
1.
"La nostra religione è la più libera. Noi abbiamo almeno la
confessione, dove tutto ci viene perdonato"
(Lettera di una studentessa della scuola superiore al giornale dei
giovani cattolici croati "Mi" (Noi), marzo 1994, dopo una visita alla
sinagoga)
2.
"Ma esiste la Madonna di Medjugorje? Se appare o non appare - non è
essenziale. Essenziale è che la gente
preghi."
(Dall' intervista di Marko Matic al teologo Kvirin Vasiljem su
"Tomislav", ottobre 1994)
3.
"Se la gente andrà a Medjugorje e pregherà Dio, la Madonna - anche se
non è apparsa - apparira'!"
(padre Vjekoslav Lasic a "Panorama", febbraio 1996)
4.
"Figli miei, credete nei miei messaggi e diffondeteli. Pregate per mio
figlio Franjo Tudjman. Lui si e' fatto carico di tante croci. Figli
miei, sappiate che sono stata io per prima ad indicarlo".
(Dal volantino, con il messaggio della Madonna di Lussinpiccolo,
distribuito nelle chiese cattoliche croate nel maggio 1994)
5.
"E quelli che nel mondo ancora oggi ci accusano di bruciare le case
serbe sul territorio libero della Croazia, che ricordino il principio
biblico: occhio per occhio, dente per dente".
(Il dott. Franjo Tudjman, all'arrivo del Treno della libertà a
Karlovac, agosto 1995 - vedi nota 1)
6.
"Non ho mangiato ne' dormito per due giorni e due notti. Al mattino,
prima della partita, ho parlato con Dio. Gli ho detto: Tu sai che io
camminavo sempre al tuo fianco, non mi crocifiggere fino a Sidney.
Dacci oggi questo oro!"
(Antun Vrdoljak, presidente del Comitato Olimpico croato, alla finale
della partita delle Olimpiadi di Atlanta, su "Novi list", agosto 1996)
7.
"Secondo me, non dobbiamo neanche pensarci troppo su, perché non
possiamo perdonare tutto ai nostri nemici. Che rimarrebbe poi a Dio da
perdonare?"
(Marko Matic in "Hrvatsko slovo" (La parola croata), gennaio 1997)
8.
"E' importante che la SDP dimostri, non soltanto con le parole ma anche
coi fatti, di essersi completamente sbarazzata del peso del passato,
con particolare riguardo alla religione. La socialdemocrazia moderna
non e' ateistica, essa accetta la sacralità della proprietà privata".
(Il prof. Zdravko Tomac - vedi nota 2 - su "Nacional", gennaio 1998)
9.
"I matrimoni misti al 99 per cento finiscono per danneggiare la
religione e la nazione. Il motivo? Favoriscono l'indifferenza dei
cattolici e la perdita del sentimento nazionale"
(Il dott. J. Kolaric, decano alla Facoltà Cattolica di Spalato, su
"Mi", giornale per i giovani, marzo 1994)
10.
"Si dovrebbe proibire energicamente la presenza del carro attrezzi la
domenica vicino alle chiese. Perché quello che fanno alcuni autisti del
carro attrezzi e' un atto anticattolico. Sicuramente e' opera di
qualche cetnico o mujahedin, ai quali la citta' di Zagabria così
generosamente ha offerto l'impiego, ed ora se ne approfittano perche'
ai cattolici vada di traverso la messa!"
(Don Anto Bakovic su "Narod" (Popolo), agosto 1997)
(Continua... Trascrizione da: "Antologija suvremene hrvatske gluposti -
greatest shits", Antologìa di idiozie croate contemporanee, Edizione:
Biblioteka Feral Tribune, Split 1999)
NOTE DEL TRADUTTORE:
Nota 1: Tudjman affermava questo subito dopo avere completato la
epurazione della popolazione delle Krajne in toto. Wojtyla era gia'
stato in visita pastorale in Croazia; ci ritornera' due anni dopo per
beatificare il nazista Stepinac. In entrambe le visite Wojtyla e
Tudjman sono apparsi fianco a fianco sul palco, dinanzi alla folla.
Nota 2: Ex comunista, ora socialdemocratico, talvolta radicale
trasversale (cioe' affiliato al partito di Pannella) e persino
viceministro, Zdravko Tomac e' una delle personalita' piu' viscide del
panorama politico croato contemporaneo.
Nota 3: Prelato, noto grande sostenitore di Tudjman.
italiano / english / srpskohrvatski
=== italiano ===
Di seguito le RICHIESTE presentate all'ICTY, all'ONU, al Consiglio
d'Europa, all'Unione Europea ed al pubblico internazionale dai serbi e
dagli altri cittadini scesi in piazza all'Aja, in occasione della
dimostrazione del 28 giugno (Vidovdan) 2003:
* Convinti che l'ICTY ("Tribunale ad hoc per i crimini commessi sul
territorio della ex-Jugoslavia", con sede all'Aia) sia stato fondato in
violazione della carta ONU e che non ci sia piu' motivo di esistenza di
tribunali "ad hoc" laddove gia' esiste una Corte Penale Internazionale;
* Profondamente allarmati dal fatto che l'ICTY dipenda politicamente e
finanziariamente dai governi che hanno attuato o appoggiato
l'aggressione contro la Jugoslavia, commettendo crimini contro la pace,
crimini di guerra e crimini contro l'umanita' e causando enormi danni
di guerra, come dimostrato inequivocabilmente dal fatto che l'ICTY si
e' rifiutato di iniziare una inchiesta e di formulare accuse contro i
responsabili dei crimini suddetti;
* Disgustati per le massicce violazioni dei diritti umani, per le
violazioni delle disposizioni dell'Accordo Internazionale sui Diritti
Civili e Politici e della Convenzione Europea sui Diritti Umani e le
Liberta' Fondamentali, commesse dall'ICTY quotidianamente, comprese le
morti di 4 detenuti alle quali non ha fatto seguito alcuna seria
inchiesta;
* Rifiutando la violenza praticata o causata dall'ICTY nel nostro
paese, la sua faziosita' e, attraverso i processi intentati ai nostri
leader democraticamente eletti, ai nostri combattenti per la liberta'
ed alla nostra stessa Storia, il tentativo di imporre una condanna
collettiva al popolo serbo mentre si assolvevano i responsabili della
distruzione, della aggressione e della occupazione del nostro paese;
* Sconcertati dalla sistematica violazione, in sede di ICTY, di
elementari principi giuridici, norme e procedure, come risultato
inevitabile della vera funzione di questo ente, che e' quella di
giustificare la aggressione della NATO falsificando la Storia.
* Condannando il criminale rapimento di Slobodan Milosevic, a lungo
presidente della Repubblica di Serbia e della Repubblica Federale di
Jugoslavia, il quale adesso e' illegalmente processato all'Aja e,
privato di necessarie cure mediche, rischia la vita;
* Esprimendo il piu' forte sostegno al presidente Milosevic , che non
riconosce alcuna legittimita' all'ICTY come tribunale ne' alcun diritto
a questo di processarlo, nella sua eroica lotta per la verita', la
giustizia, la liberta' e la dignita' nazionale, lotta attraverso la
quale egli sta difendendo tutti i combattenti per la liberta' e la
uguaglianza tra i popoli.
NOI CHIEDIAMO
1) Il rilascio del presidente Slobodan Milosevic, che e' stato rapito e
rinchiuso illegalmente all'Aia, dove e' stato gia' in grado di
confutare i falsi capi d'accusa con cio' rendendo il piu' grande
contributo possibile alla determinazione della verita' sul popolo
serbo, sulla Jugoslavia e sui crimini commessi contro di questi;
2) L'abolizione dell'ICTY nell'interesse della giustizia, della
liberta' e della democrazia, dell'integrita' delle Nazioni Unite, della
pace nonche' della stabilita' dei Balcani, poiche' l'ICTY e' diventato
uno strumento della aggressione prolungata e della occupazione della
Jugoslavia nonche' dei sistematici attacchi contro il popolo serbo;
alla sua abolizione dovranno fare seguito sanzioni legali contro i
maggiori responsabili di questo abuso senza precedenti della legge e
della Organizzazione delle Nazioni Unite;
3) Il rilascio ed il ritorno di tutti i detenuti dell'ICTY alle loro
giurisdizioni nazionali;
4) Il riconoscimento della giurisdizione della Corte Internazionale di
Giustizia e delle appropriate Corti nazionali, in quanto competenti a
giudicare i crimini contro la pace ed altri terribili crimini quali la
diffusione di odio nazionale e religioso, il secessionismo violento ed
il suo incoraggiamento, il terrorismo, la aggressione della NATO e le
altre forme criminali di pressione e sovversione adoperate contro la
Jugoslavia e contro la Serbia, nonche' in quanto competenti a
determinare l'entita' delle riparazioni dei danni di guerra;
5) La fine delle interferenze negli affari interni della Serbia e della
Jugoslavia;
6) Che, finche' tutte le suddette richieste non saranno adempiute,
senza alcun indugio: si sospenda il processo contro il presidente
Slobodan Milosevic e gli si garantisca una liberta' provvisoria. In
questa maniera egli potra' godere delle necessarie cure mediche e di un
periodo di convalescenza per preparare la sua difesa nelle dovute
condizioni di equita'; che si cessi la campagna mediatica contro di
lui, contro i suoi sostenitori, contro la sua famiglia e contro
l'intero popolo serbo; che si consenta a tutti i detenuti di difendersi
in liberta'; che si sollevino dall'incarico tutti i giudici dei paesi
NATO e la Pubblica Accusa, la cui faziosita' e' notoria; che si avvii
un procedimento legale che consenta di processare per crimini contro la
pace; che si dia inizio ad una inchiesta sui crimini commessi dalla
NATO in Jugoslavia; che si smatta di minacciare la liberta' e la
democrazia in Serbia.
I PARTECIPANTI ALLE DIMOSTRAZIONI DEL 28 GIUGNO 2003 ALL'AIA
=== english ===
To the International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia ? The
Hague,
To the Organization of the United Nations ? New York, Geneva,
To the Council of Europe ? Strasburg,
To the European Union ? Brussels,
To the international public
T H E D E M A N D S
of the Serbs and other honest European citizens
gathered at the Demonstration in The Hague on Vidovdan, June 28, 2003
Convinced that the ICTY at The Hague was founded in violation of the UN
Charter and that in the situation where the International Criminal
Court exists there can be no justification for the further existence of
the ad hoc tribunals;
Deeply alarmed by the fact that the ICTY depends politically and
financially on the governments which committed or supported the
aggression against Yugoslavia, perpetrating crimes against peace, war
crimes and crimes against humanity and causing enormous war damage, as
was blatantly proven by the fact that the ICTY declined to launch an
investigation into and issue indictments against those responsible for
the above-mentioned crimes;
Disgusted over the mass violations of human rights, the provisions of
the International Covenant on Civil and Political Rights and the
European Convention on Human Rights and Fundamental Freedoms committed
by the ICTY on a daily basis, including the deaths of four detainees,
followed by no or almost no investigation;
Rejecting the violence committed or caused by the ICTY in our country,
its bias and the attempt, through the trial of our democratically
elected leaders, of our freedom fighters and of our history, to impose
collective guilt on the Serbian people and at the same time to amnesty
those responsible for the break up of our country, aggression and
occupation;
Appalled by the systematic flouting at the ICTY of elementary legal
principles, norms and procedures which is the inevitable result of this
body's function of justifying NATO aggression by falsifying history;
Condemning the criminal abduction of the long term President of the
Republic of Serbia and of the Federal Republic of Yugoslavia Mr.
Slobodan Milosevic, who is on illegal trial at The Hague, with the
life-threatening lack of medical care;
Expressing the strongest support to President Milosevic, who doesn?t
recognize the ICTY as a court nor its right to put him on trial, in his
heroic struggle for truth, justice, freedom and national dignity by
which he is defending all fighters for freedom and the equality of
peoples,
We demand:
Release of President Slobodan Milosevic, who has been abducted and
illegally detained, who has already destroyed all the allegations in
the false indictment and who has thereby made the greatest possible
contribution to the establishment of the truth about the Serbian
people, Yugoslavia and the crimes committed against them;
Abolition of the ICTY in the interest of justice, freedom and
democracy, of the integrity of the UN and of peace and stability in the
Balkans, since the ICTY has become a tool for the prolonged aggression
and occupation of Yugoslavia and systematic attacks on the Serbian
people; followed by legal sanctions against those most responsible for
this unprecedented abuse of the Law and of the UN Organization;
Release and return to national jurisdiction of all ICTY detainees;
Acceptance of the jurisdiction of the International Court of Justice
and of the appropriate national courts in judging the crimes against
peace and other most serious crimes such as the spreading of national
and religious hatred, violent secession and its encouragement,
terrorism, the NATO aggression and other forms of criminal external
pressure and subversion committed against Yugoslavia and Serbia, as
well as in determining just war reparations in compensation for those
crimes;
An end to the pressures and interference in the internal affairs of
Serbia and Yugoslavia;
That until all the above-mentioned demands are fulfilled, it is
necessary without delay to: suspend the trial of President Slobodan
Milosevic and grant him provisional release, so that he can have the
required medical treatment, and a period of recovery and elementary
equality in preparation for his defense; cease the media campaign
against him, his associates, his family and the whole Serbian people;
allow all the detainees to defend themselves from freedom; dismiss all
the judges from NATO countries and the Chief Prosecutor, whose
partiality is notorious; launch a procedure which would allow trials
for the crime against peace; start an investigation about the NATO
crimes in Yugoslavia; cease all threats to freedom and democracy in
Serbia.
PARTICIPANTS IN THE DEMONSTRATIONS ON JUNE 28, 2003 AT THE HAGUE
=== srpskohrvatski ===
Medjunarodnom krivicnom tribunalu za bivsu Jugoslaviju ? Hag,
Organizaciji ujedinjenih nacija ? Njujork, Zeneva,
Savetu Evrope ? Strazbur, Evropskoj Uniji ? Brisel,
Medjunarodnoj javnosti
Z A H T E V I
Srba i drugih casnih gradjana Evrope
okupljenih na demonstracijama u Hagu na Vidovdan 2003. godine
Uvereni da je MKTJ u Hagu stvoren krsenjem povelje UN i da u situaciji
kada postoji Medjunarodni krivicni sud ne moze da se nadje nikakvo
opravdanje daljeg postojanja ad hoc tribunala;
Osvedoceni da je MKTJ politicki i materijalno zavisan od vlada koje su
izvrsile ili podrzale agresiju na Jugoslaviju, kojom su pocinjeni
zlocin protiv mira, ratni zlocini i zlocini protiv covecnosti, uz
ogromnu ratnu stetu, sto u najgrubljem vidu dokazuje cinjenica da je
MKTJ odbio da povede istragu i podigne optuznice protiv odgovornih za
ove zlocine;
Zgrozeni nad masovnim krsenjima ljudskih prava, odredbi Medjunarodnog
pakta o gradjanskim i politickim pravima i Evropske konvencije o
ljudskim pravima i osnovnim slobodama koje MKTJ svakodnevno cini,
ukljucujuci smrt cetvorice zatvorenika, o cemu nije sprovedena nikakva
ili gotovo nikakva istraga;
Ne prihvatajuci nasilje koje MKTJ sprovodi ili izaziva u nasoj
otadzbini, pristrasnost i pokusaj da se kroz sudjenje nasim demokratski
izabranim vodjama, borcima za slobodu i nasoj istoriji, srpskom narodu
nametne kolektivna krivica, a amnestiraju odgovorni za razbijanje nase
zemlje, agresiju i okupaciju;
Zgranuti sistematskim krsenjem osnovnih pravnih principa, normi i
postupaka od strane MKTJ, sto je neizbezna posledica uloge date ovom
telu ? da opravda agresiju NATO falsifikovanjem istorije;
Osudjujuci zlocinacku otmicu dugogodisnjeg Predsednika Republike Srbije
i Savezne Republike Jugoslavije g. Slobodana Milosevica, kome se u Hagu
sasvim ilegalno sudi i onemogucavanjem lecenja ugrozava zivot;
Pruzajuci najsnazniju podrsku Predsedniku Milosevicu, koji ne priznaje
MKTJ kao sud niti njegovo pravo da mu sudi, u njegovoj herojskoj borbi
za istinu, pravdu, slobodu i nacionalno dostojanstvo, kojom on stiti
sve borce za slobodu i ravnopravnost naroda,
zahtevamo:
Oslobodjenje Predsednika Slobodana Milosevica, koji je otet i ilegalno
zatocen, a koji je vec srusio sve navode lazne optuznice i najvise
doprineo afirmaciji istine o srpskom narodu, Jugoslaviji i zlocinima
koji su protiv njih pocinjeni;
Raspustanje MKTJ u interesu pravde, slobode i demokratije, ugleda OUN i
mira i stabilnosti na Balkanu, jer je postao sredstvo produzene
agresije protiv Jugoslavije i srpskog naroda i njihove okupacije, uz
sankcionisanje najodgovornijih za necuvene zloupotrebe prava i OUN;
Oslobodjenje i povratak u nacionalnu jurisdikciju svih zatocenika MKTJ;
Prihvatanje jurisdikcije Medjunarodnog suda pravde i nacionalnih sudova
za zlocin protiv mira i druge najteze zlocine pocinjene kroz
raspirivanje nacionalne i verske mrznje, nasilnu secesiju i njeno
podsticanje, terorizam, agresiju NATO i druge oblike kriminalnih
pritisaka spolja i subverzije, kao i pravednu ratnu odstetu;
Prestanak pritisaka i mesanja u unutrasnje stvari Srbije i Jugoslavije;
Do ostvarivanja navedenih zahteva neophodno je momentalno: prekinuti
proces protiv Predsednika Slobodana Milosevica, kako bi mu se omogucili
neophodno lecenje i oporavak na slobodi i elementarna ravnopravnost u
pripremi odbrane; obustaviti medijsku kampanju protiv njega, njegovih
saboraca i porodice i citavog srpskog naroda; omoguciti svim
zatocenicima odbranu sa slobode; razresiti sve sudije iz zemlja clanica
NATO i glavnog tuzioca, cija je pristrasnost nesumnjiva; omoguciti
sudjenje za zlocin protiv mira; zapoceti istragu o zlocinima NATO u
Jugoslaviji; prekinuti ugrozavanje slobode i demokratije u Srbiji.
UCESNICI DEMONSTRACIJA 28. JUNA 2003. GODINE U HAGU
Lo scorso sabato (28/6/2003) potrebbe esservi giunto un mail con una
intestazione FALSA.
Esso riportava un FALSO subject:
[JUGOINFO] Ritorno dalla Zastava di Kragujevac. Resoconto di G. Vlaic
(ZASTAVA Trieste)
nonche' un FALSO mittente:
Da: "Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia <jugocoord@...>"
<Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.>
In realta' il mail NON E' STATO SPEDITO DA NOI ed esso contiene in
allegato un VIRUS (.pif) che NON BISOGNA APRIRE PER NESSUN MOTIVO. Se
avete aperto l'allegato dovete assolutamente ricontrollare il contenuto
del vostro computer con un buon antivirus !
Gli iscritti a JUGOINFO tengano sempre presente che i messaggi di
JUGOINFO - a parte pochissimi casi eccezionali e che cercheremo
comunque di evitare del tutto nel futuro - NON CONTENGONO ALLEGATI. La
presenza di un allegato in un mail di JUGOINFO dunque significa
generalmente che il messaggio e' infettato da un virus!
*** Con l'occasione ci preme sottolineare il carattere "politico" di
questo "incidente" ***
1. Il falso messaggio assomigliava tremendamente ad un messaggio di
JUGOINFO e pare che esso sia stato diffuso ad una lista di destinatari
sostanzialmente coincidente con quella degli iscritti a JUGOINFO; lista
che pero' dovrebbe essere nota esclusivamente al moderatore di JUGOINFO.
2. Esso e' stato inviato in un momento in cui i curatori della lista
JUGOINFO erano assenti ed impossibilitati a connettersi avendo
partecipato alla manifestazione internazionale svoltasi all'Aia
(Olanda).
3. Esso e' stato inviato il 28 giugno, "giorno di San Vito" (Vidovdan),
una data estremamente simbolica della lotta del popolo serbo e di tutti
i Balcani contro l'occupazione ed il giogo straniero.
Un virus cosi' "politicamente motivato" non l'avevamo mai visto...
Forse qualcuno dei tanti avversari della liberta' della Jugoslavia ha
voluto dimostrare una volta ancora la sua vigliaccheria e disonesta',
come se non le conoscessimo gia' da prima.
Riportiamo qui sotto l'intestazione del messaggio infetto. Gli esperti
informatici che volessero e potessero aiutarci a stabilire l'origine
del virus (che sembra essere partito da un utente TIN.IT) saranno i
benvenuti.
Scusandoci per l'inconveniente, inviamo come al solito
saluti jugoslavisti!
(Il moderatore di JUGOINFO - jugocoord@...)
=== DO NOT OPEN ! IT CONTAINS A VIRUS ! ===
Da: "Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia <jugocoord@...>"
<Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.>
Data: Sab 28 Giu 2003 11:24:13 Europe/Rome
Oggetto: [JUGOINFO] Ritorno dalla Zastava di Kragujevac. Resoconto di
G. Vlaic (ZASTAVA Trieste)
Return-Path: <jugocoord@...>
Received: from smtp8.libero.it (193.70.192.92) by ims3d.libero.it
(7.0.012) id 3EF75E6A00182305 for ..............@...............; Sat,
28 Jun 2003 11:25:01 +0200
Received: from vsmtp3.tin.it (212.216.176.223) by smtp8.libero.it
(7.0.012) id 3EEC0A530152D2E1; Sat, 28 Jun 2003 11:25:01 +0200
Received: from server (217.172.200.223) by vsmtp3.tin.it (6.7.016) id
3EE061E9007ACB3C; Sat, 28 Jun 2003 11:24:13 +0200
Message-Id: <3EE061E9007ACB3C@...> (added by
postmaster@...)
Mime-Version: 1.0
Content-Type: multipart/alternative;
boundary="----------L5WD2Z7P2D9NQ0R"
Attachments: C'è 1 allegato
Data: Dom 29 Giu 2003 00:43:11 Europe/Rome
A: balcani@...
Oggetto: La balcanizzazione dello sviluppo
Rispondere-A: balcani@...
Cari amici e care amiche,
Vi comunico che fra pochi giorni uscirà in libreria il mio libro dal
titolo:
La balcanizzazione dello sviluppo.
Nuove guerre, società civile e retorica umanitaria nei Balcani
(1991-2003).
Casa editrice Il Ponte, Bologna 2003.
Potete comunque richiedere il libro direttamente all'editore con un
sconto
del 20% sul prezzo di copertina che è di 16 euro. Riceverete così il
libro
ad un prezzo di 12,80 euro + spese di spedizione postale. Per comunicare
con l'editore - Pietro Montanari - potrete farlo via e-mail al seguente
indirizzo:
pmontanari@...
L'editore vi comunicherà le modalità di pagamento del libro.
Trovate di seguito una cheda di presentazione del libro.
Claudio Bazzocchi
La balcanizzazione dello sviluppo
Nuove guerre, società civile e retorica umanitaria nei Balcani
(1991-2003).
Casa editrice il Ponte - Bologna 2003
Pagg. 173 - Euro 16
Il libro riflette sul nuovo modello di sicurezza adottato dai paesi
occidentali a partire dalla fine degli anni Ottanta e basato sulla
politicizzazione dell'aiuto umanitario di emergenza e di sviluppo.
L'instabilità nelle regioni ai margini dell'area ricca del pianeta
cresce
dalla fine della guerra fredda con l'emergere delle cosiddette nuove
guerre. Gli stati nelle aree marginali non vengono più considerati dalle
potenze occidentali come sovrani, come nel periodo della guerra fredda,
ma
dei corpi sociali all'interno dei quali riformare le mentalità e i
comportamenti di chi li abiti al fine di ottenere un ambiente stabile
caratterizzato dai valori occidentali di democrazia, tolleranza e libero
mercato.
Tale riforma delle mentalità e dei comportamenti si ottiene dispiegando
il
sistema dell'aiuto umanitario che va dall'elemento militare a quello
civile
delle ONG, passando per le agenzie delle Nazioni Unite ed il
coinvolgimento
diretto anche delle imprese multinazionali. Tale sistema occidentale
dell'aiuto umanitario è caratterizzato così da un sempre più marcato
ruolo
di attori non statali, che hanno il compito di imporre in modo
cooperativo
e ideologico il sistema di valori dell'Occidente, tramite le politiche
di
emergenza e di cooperazione.
Questo modello di sicurezza ottiene il risultato fondamentale di
depoliticizzare le grandi questioni dello sviluppo e delle cause della
povertà che fino agli anni Ottanta avevano caratterizzato l'attività
delle
ONG e dei grandi movimenti progressisti, compreso il blocco dei paesi
non
allineati. Ora l'instabilità e la povertà sono viste solo in termini di
cattivi comportamenti, avidità di pochi e riconosciuti dittatori,
eredità
dei sistemi comunisti che hanno inculcato una mentalità assistenzialista
nelle popolazioni, e quindi inattitudine a vivere nei sistemi
democratici e
di mercato. Questa depoliticizzazione, ammantata di valori
apparentemente
liberal - promozione della società civile, dei diritti umani e della
parità
di genere, per citarne solo alcuni - diminuisce, se non annulla, il
potenziale di denuncia e critica sociale che aveva caratterizzato per
anni
le ONG e in sostanza lascia senza difese i poveri del pianeta.
Claudio Bazzocchi, 36 anni, è reponsabile dell'area ricerca
dell'Osservatorio sui Balcani di Rovereto. E' stato per nove anni
dirigente
del Consorzio Italiano di Solidarietà (ICS).
Claudio Bazzocchi
Osservatorio sui Balcani
Palazzo Adami
piazza San Marco, 7
38068 Rovereto (TN) - ITALY
tel. +39 0464 424230
fax +39 0464 424299
bazzocchi@...
www.osservatoriobalcani.org
http://www.antiwar.com/malic/m-col.html
ANTIWAR, Thursday, June 26, 2003
Balkan Express
by Nebojsa Malic
Antiwar.com
The Serbian Lincoln?
Yugoslavia, Secession and War
Two weeks ago, reporting on the violent arrest of a retired Serbian
army colonel on war crimes charges raised by the Hague Inquisition,
Reuters and other news media referred to the 1991 conflict as the
"Croatian war of independence." That term, however, is false.
Many defenders of Slobodan Milosevic see him as the Serbian Abraham
Lincoln, standing against the illegal secession of Slovenia, Croatia,
Bosnia and Kosovo. Milosevic's own defense at the Inquisition centers
on the claim that he fought to preserve Yugoslavia, not to destroy it.
That argument is also
false.
Oh, it is true enough that Milosevic was not Yugoslavia's destroyer.
Anyone in the Slovenian, Croatian and Bosnian Muslim leadership, NATO,
the European Community/Union, and the United States, had a much greater
hand in dismembering the old SFRY.
But Milosevic did not fight to keep it together, either. Doing so would
have meant denying the right of self-determination to Yugoslavia's
constituent peoples (Serbs, Croats, Slovenes, Macedonians, Bosnian
Muslims and Montenegrins), which did not happen. There was no
Lincolnesque attempt to "save" the Yugoslav Union by force. Facts just
don't support such a claim.
Slovenia: No Fort Sumter
On June 27, 1991, the Yugoslav People's Army (YPA) "invaded" Slovenia.
Though Slovenian politicians and western media alike romanticized the
next ten days as a "war," in reality it was a well-organized ambush of
unsuspecting federal troops. The General Staff had believed Slovenians
would back off after a show of force, and sent in only lightly armed,
unprepared
recruits. They even informed the Slovenian leadership of the
"invasion." The ensuing massacre was far worse than the attack on Fort
Sumter, Lincoln's casus belli in 1861.
But Belgrade did not muster a Grand Army, or even launch a second
"invasion," vowing to crush the Slovenian "rebellion," no: instead, the
crumbling federal authorities accepted European mediation and signed
the Brioni Declaration, essentially recognizing the secession of
Slovenia.
Ironically, the Serbian representative in the federal Presidency backed
the YPA withdrawal, while Croatia's representative Stipe Mesic objected.
Leaders of Yugoslav republics also attended the Brioni talks,
reflecting the shifting focus of power away from the federal
institutions. Among them was, of course, Slobodan Milosevic. After the
Declaration was adopted, one of the European Community envoys, Hans Van
den Broek, said:
"I am very pleased after hearing yesterday from Mr. Milosevic that he
is in favor of the right to self-determination, that he accepts that
too, and that, in time it could lead to the secession of certain
republics from Yugoslavia. I was also very pleased to hear that he does
not deny the principle of self-determination, but that he demands that
such conclusion be based on negotiations or a dialogue "
After Brioni, Federal troops began a retreat not only from Slovenia,
but from most of Croatia as well. So much for invasion, then.
The Real Secession Dispute
It is important to realize that no faction in Yugoslavia had a
principled view of secession. According to the prevalent Serb position,
the Yugoslav constitution of 1974 allowed secession under a specific
procedure, which Croatia, Slovenia and Bosnia-Herzegovina did not
follow. That much is true.
However, Serbia never challenged secession on those grounds, but
supported instead a "counter-secession" of territories mostly inhabited
by Serbs.
Belgrade invoked the Yugoslav union as the context for secession,
claiming that 2 million Serbs west of the Drina river have a right to
self-determination as well.
On the other hand, the secessionist republics claimed the 1974
Constitution guaranteed their statehood and boundaries, arguing that
self-determination did not apply to people ("narodi"), but only to
administrative units ("republike").
European lawyers' arbitrary decision to legalize the secession of
republics, not nations, led to the double standard in which over 2
million Serbs were overnight turned into second-class citizens,
interlopers in their own towns, villages and homes. Having been victims
of genocide at the hand of Croats and Muslims in World War Two, western
Serbs were determined not to become their subjects again.
Croatia: War Begins
The Wars of Yugoslav Succession truly began on Easter 1991, with a
firefight between Croatian state police and local Serb militia at the
resort of Plitvice. Despite accusing Serbia and the YPA of
"aggression," the Croatian government actually fired the first shots.
Within weeks, Serb-inhabited territories within Croatia's
administrative boundaries became battlefields.
In this first phase of the succession wars, the location of
battlefields indicates the nature of the conflict: with only one
exception (Dubrovnik), clashes occurred along Serb-inhabited areas. Had
it been a "war of aggression" or an "invasion," as alleged, there would
have been a push by the YPA towards seizing key Croatian towns. Quite
to the contrary, many YPA
garrisons were caught off guard and besieged by Croatian militia.
The YPA was not fighting to preserve the integrity of the SFRY, or to
prevent Croatia from declaring independence. Yugoslav defense minister,
Army General Veljko Kadijevic, said as much in 1993.
By the end of 1991, the fighting in Croatia was suspended under the
"Vance Plan," a temporary arrangement placing Serb-held territories
under protection of UN peacekeepers, and the YPA retreated again. Over
the next few years, Croat forces launched limited attacks on Serb
pockets, until the all-out offensive in the spring and summer of 1995.
Bosnia: The Sequel
In the spring of 1992, the war moved into Bosnia-Herzegovina.
Responding to parliamentary abuses by the ruling Muslim and Croat
parties, the ruling Serb party set up a separate republic and
threatened secession in case of a unilateral declaration of
independence. The declaration came on April 5, 1992, and so did the war.
By the end of April, the original chaotic melee between Muslim and
Croat militias and Croatian regulars on one side, and Serb militias and
the remnants of the YPA on the other, began taking an organized shape.
Again, this belies the cries of "aggression" from Sarajevo, as all
sides in the conflict suffered from an appalling lack of organization.
The conflict was certainly transformed by the proclamation of the
Federal Republic of Yugoslavia on April 27, 1992. The establishment of
a new Yugoslav state was a clear recognition that the old has met its
demise.
Slovenia, Croatia, Bosnia-Herzegovina and Macedonia were all implicitly
recognized, even if their borders and governments specifically were
not. But to Zagreb, Sarajevo, and the increasingly interested foreign
governments, that made no difference whatsoever. The conflict dragged
on for three years,
stymied by Serb refusal to accept a unitary Bosnian state and the
Muslim refusal to consider anything but.
Having initially supported the western Serbs in the Wars of Succession,
by 1995 Slobodan Milosevic sold them down the river. Not only did he
ignore the Croatian offensive which displaced over 400,000 people (all
in all), but his negotiating tactic in Dayton consisted of appeasing
both the Muslims and US envoy Richard Holbrooke. He wanted to be known
as a peacemaker, but that desire would be shattered by the looming
specter of Kosovo just three years ahead.
The Real Warmongers
Thanks to modern re-examination, contemporary information indicating
that Lincoln and his lieutenants wanted war is resurfacing. But who was
the Yugoslav warmonger? Again, Milosevic is universally blamed. Yet
both Croat and Muslim leaders did not hide their desire for war.
"There would not have been a war had Croatia not wanted one," said
Franjo Tudjman said in a May 24, 1992 speech in Zagreb's main square.
"We decided that only through war could we win Croatia's sovereignty.
That is why we had a policy of negotiations while we established our
armed forces." The video of this speech was shown during the Milosevic
"trial," and mentioned in the cross-examination of Stipe Mesic, now
president of Croatia.
And on February 27, 1991, Bosnian Muslim leader Alija Izetbegovic
declared:
"I would sacrifice peace for a sovereign Bosnia-Herzegovina, but for
that peace in Bosnia-Herzegovina I would not sacrifice sovereignty."
(Yugoslavia: Death of a Nation, p.211)
Tudjman and Izetbegovic were well aware that their political goals were
attainable only through war. Tudjman knew his vision of Croatia could
not be put in place while some 600,000 Serbs resided within its
boundaries. Less than 100,000 scattered, poor and elderly Serbs remain
in Croatia today.
Izetbegovic had a vision as well: Bosnia ruled by Islamic law, but he
had little support for such an extreme program. By provoking a
confrontation with the Serbs, Izetbegovic rallied Muslims to his cause
and aimed to neutralize the Serbs as a political and military
impediment to his vision.
Both leaders counted on foreign military intervention to aid their
endeavors, and predicated their political and propaganda activities
upon that assumption. Tudjman was eventually successful, while
Izetbegovic found his goals somewhat disrupted by the constraints of
Dayton.
No Lincoln
Joseph Sobran wrote recently that Abraham Lincoln's style, in both law
and politics, was to yield so many points as to seem reasonable, then
insist on the issue crucial to him. He couched his intransigence in
conciliatory language. Slobodan Milosevic was the exact opposite: he
talked hard, but conceded everything. His record is that of surrender:
Brioni (1991), the
Vance Plan (1992), Vance-Owen and Owen-Stoltenberg plans (1993), the
Contact Group (1994), Dayton (1995), the "Holbrooke Agreement" (1998)
and finally Kumanovo (1999).
So, Slobodan Milosevic was definitely no Lincoln. Whether Milosevic
should have been a Lincoln is another issue. Given Lincoln's politics,
definitely not. Furthermore, he would have failed even if he tried to
be. The 1991 Yugoslavia did not resemble the 1861 United States in
almost any regard. But that is a topic for another day. Ironically,
Milosevic is accused of acting like Lincoln by some of Lincoln's
fiercest worshippers. Quod licet Iovi, non licet bovi, as the Romans
would say.
If all this screams "revisionist history," so be it. At a time when
everything seems based on deception, the world needs all the
revisionism it can get.
After all, truth liberates.
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2575
Dieser Text auf Deutsch:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2576
An abstract of this text in English:
...We don't have any illusions that our little demonstration will free him =
[Milosevic]
from there [the Hague]. We wish to simply show that we haven't forgoten. =
We haven't
forgoten the prisoners. We haven't forgoten Yugoslavia. Above all: We hav=
en't
forgotten ourselves. We know that there are still free [prison] cells for =
us. Of this we
are proud. It proves: we are still alive. They are afraid: we will come a=
gain. [They are
afraid of] us, the Yugoslavs of all countries....
---
Junge Welt: IMA JOS SLOBODNIH CELIJA
http://www.artel.co.yu/sr/izbor/jugoslavija/2003-06-24.html
Slobodan Milosevic je prvi ratni zarobljenik Novog svetskog poretka
Autor: Jirgen Elzeser
Berlin, 18 juna 2003. godine
Prevela: Gordana Milanovic-Kovacevic
Napomena redakcije: tekst je posvecen demonstracijama koje ce se odrzati u =
Hagu
28. juna 2003. godine, na Vidovdan.
Ratni zlocinac, kakvog se samo u knjigama moze naci: Samo u jednoj jedinoj =
godini
njegovi razbojnici su poubijali 1027 ljudi i kidnapovali 945 drugih. U isto=
j godini - da
se dobro razumemo: u godini mira, bez vojnih rasprava - od strane njegovih =
specijalnih komandosa proterano je, po podacima Medjunarodnog Crvenog Krsta=
,
180 000 ljudi. Den Hag raspolaze dokumentima po kojima su njegove ubice
likvidirale samo sest politickih protivnika. U njegovom glavnom gradu nesta=
lo je samo
u jednom mesecu 100 mladih zena i devojcica - seks robinja za trgovinu meso=
m.
Dobro je, da se ovakvom jednom kriminalcu konacno sudi? Bilo bi lepo.
Navedeni se zove Hasim Taci, sef kosovo-albanske gerile OVK.
Navedene zlocine pocinio je posle nadiranja 40 000 vojnika " krsnih Mirovni=
h trupa"
NATO-a u julu 1999.god. U glavnom gradu Pristini njegovi revolverasi kontro=
lisu sve.
" Od svake snicle koju ovde jedem Taci dobije 50 feninga", izvestavao je je=
dan
nemacki UN-policajac za Hamburski Abendblat marta 2000.god.
Nista bolje ne ilustruje privrzenost takozvanog Tribunala za ratne zlocine =
u Den Hagu
od cinjenice, da taj isti Taci zivi i dalje na slobodi i na Kosovu vodi gla=
vnu rec.
Takodje i druge banditske poglavice nisu kaznjene, kao Franjo Tudjman i nje=
gov
bosansko-muslimanski kolega Alija Izetbegovic, sa svim svojim vojnim vodjam=
a. Sa
srpske strane,
nasuprot, su vec tri nekadasnja drzavna poglavara zavrsila u haskim celijam=
a -
bosansko-srpska predsednica Biljana Plavsic, srpski predsednik Milan Miluti=
novic i
jugoslovenski predsednik Slobodan Milosevic. Za predhodnikom Plavsiceve
Radovanom Karadzicem i vrhovnim zapovednikom bosansko-srpske Armije Ratkom =
Mladicem tragaju vec godinama tesko naoruzani komandosi-psi tragaci po cita=
vom
Balkanu. Ovaj posebni prilog "Junge Welt"-a ne zeli da ubedi da je na pr. M=
ilosevic
nevin. To na osam strana ne bi ni bilo moguce. Pre svega: bilo bi uobrazeno=
da se ovo
bas iz nemackog ugla prosudjuje. Nemacka koja je u zadnjem veku tri puta na=
srnula
na Srbiju i Jugoslaviju nije pravo mesto na kome bi trebalo donositi sud o =
zlostavljanima, cak ni publicisticki. To je stvar samo onih koji su ziveli =
sa i pod
Milosevicem i zadnjih trinaest godina preziveli neopisivo. Srbi, hrvati i m=
uslimani koji
su danas i pored svojih suprotnosti ujedinjeni u svojoj tuzi, svojoj bedi i=
svojoj
bezpravnosti moci ce bolje od nas da utvrde ko snosi krivicu za ovu situaci=
ju: Drzavni
neprijatelj br. 1 ili oni koji su Jugoslaviju izvana unistili.
Jedna maltikulturalna drzava, najjaca privredna sila Pokreta nesvrstanih, j=
edan
atraktivan mesovit sistem kapitalizma i socijalizma preobrazen je u roku od=
samo
nekoliko godina u borbeno polje, etnozooloski vrt, pustinju neoliberalne ko=
lonijalne
vladavine. Na kraju su bili i oni prevareni koji su sa zapadnim pobednicima=
radili istu
stvar.
"Hrvatski novac u hrvatske dzepove i hrvatska puska na hrvatskom ramenu" bi=
o je
slogan zagrebackih secesionista pocetkom devedesetih godina. Danas je hrvat=
ski
novac u nemackim dzepovima, a na hrvatskim ramenima se nose americke puske.=
Prvi ratni zlocinac koji bi trebao da se pojavi pred nekim tribunalom je ne=
macki
Ministar za spoljne poslove Hans Ditrih Gencer, rekao je britanski novinar =
David
Binder vec 1992.god. u ARD-preseklubu.
Nemacka vlada je diplomatskim priznavanjem i maksimalnim vojnim naoruzanjem=
secesionista eskalirala krizu u rat. Ali o tome ne treba vise diskutovati. =
Kriv je samo
Milosevic, pars pro toto za sve Srbe. A oni koji su ranije imali primedbe i=
li najmanje
postavljali pitanja su stalno prinudjeni na nove rasprave i istroseni su: 1=
999.god.
demonstrirali smo nemocni protiv bombardovanja Jugoslavije, 2001. protiv ra=
tnog
pohoda na Avganistan, 2003. protiv okupacije Iraka.
Krvavi tocak istorije se sve brze okrece: od juce Nemacku treba braniti u H=
indukusu,
danas Evro-Armija marsira u Kongo, za sutra SAD najavljuju preventivni rat =
protiv
Irana i Severne Koreje.
Trebamo li se sada pripremiti za Ramsfeldovu propagandu da se u Pjenjangu s=
prema
novi 11. septembar i da mule postavljaju bombe na dresdensku glavnu zelezni=
cku
stanicu? Kuda god mirni zec potrci, ratnicki raspolozeni jez je vec tamo.
"Ko vlada prosloscu, vlada buducnoscu", moto je Big Brother-a u Orvelovoj "=
1984".
Dakle, ne smemo imperijumu dozvoliti da ima vlast razlucivanja nad proslosc=
u.
Proslost Novog svetskog poretka - je unistenje Jugoslavije. Tako je sve poc=
elo. Rat
1999.god. vodjen bez UN-mandata bio je matrica za sve sledece ratove. Tamni=
ce Den
Haga, sacinjene od strane Saveta bezbednosti nasuprot njegovim ovlastenjima=
iz
Statuta UN predstavlja model za medjunarodno pravno protivno kaznjavanje sv=
ih
kriticara.
Tamo zavrsavaju svu oni koji nisu spremni da svoju narodnu privredu otvore =
za velike
zapadnjacke koncerne. Pod Milosevicem je bio zakon da osoblje jednog preduz=
eca
samo odlucuje o tome, da li ce se isto prodati i kome. To se suprotstavlja =
najvaznijem
ljudskom pravu Novog svetskog poretka, ljudskom pravu na
iznudjivanje(iskoristavanje). Radi toga jugoslovenski predsednik sedi u Den=
Hagu.
Za optimizam nema razloga. Sto se Milosevic bolje brani utoliko sigurnije c=
e camiti u
celiji.
Nemamo ilizije da ce nasa mala demonstracija njega odande izbaviti. Zelimo =
samo da
pokazemo da nismo zaboravili. Nismo zaboravili zatvorenike. Nismo zaboravil=
i
Jugoslaviju. Pre svega: Nas nismo zaboravili.
Mi znamo da su za nas jos celije slobodne. Mi smo ponosni na to. To dokazuj=
e: mi
smo jos zivi. Oni se boje:mi cemo doci opet.
Mi, Jugosloveni svih zemalja.