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Gli ustascia
Ante Pavelic
Detto "il poglavnik" (il duce). Durante la guerra fu leader
dello "Stato Croato Indipendente" ustascia, nel quale mezzo
milione di serbi, ebrei e zingari furono trucidati per suo
ordine personale (80). Dopo la guerra si impegn� nella
costituzione del movimento dei krizari, prima di fuggire in
Sudamerica.
Su Ante Pavelic si confronti anche La politica dei papi nel
XX secolo:
``Nato nel 1889 in Erzegovina, laureatosi in legge nel
1915'', avvocato a Zagabria successivamente. ``Il 7
gennaio 1929, un giorno dopo la proclamazione della
dittatura regia di Alessandro I, Pavelic [...] ed altri
ustascia fondarono la lega per la lotta
nazionalrivoluzionaria. [...] Ogni membro doveva giurare
ubbidienza attraverso un pronunciamento al cospetto di
Dio onnipotente e di tutto ci� che � sacro.''
(Si veda anche la descrizione del giuramento fatta da
padre Cecelja.)
``Il loro precursore spirituale, il politico e pubblicista
Ante Starcevic, moto nel 1896, capo del Partito della
Destra Croata, sosteneva la tesi che [...] "i Serbi sono
lavoro per il macello", [idea che gli valse il titolo di] Padre
della Patria e maggiore ideologo politico croato.'' ``Ci�
che si preparava [era] una guerra santa, una guerra di
religione, che ammetteva qualunque Terrore ed includeva
"la Bibbia e la Bomba l'una di fianco all'altra come
distintivo e mezzo di lotta".
Neanche ebbe fondato il suo partito di ribelli, che Pavelic
[...] con i suoi compari pi� prossimi si rifugi� a Vienna,
poi in Bulgaria, ed infine il regime fascista italiano gli
assicur� ricovero ed alimenti. Mentre un tribunale serbo
lo condannava gi� a morte in contumacia, Mussolini
metteva a disposizione della famiglia Pavelic una casa a
Bologna, la quale serv� poi per anni come quartier
generale degli ustascia. Con l'aiuto del capo della polizia
segreta Ercole Conti e del Ministro di Polizia Bocchini, il
boss dei congiurati fece poi addestrare in Toscana e sulle
isole Lipari gli emigranti croati ed i seguaci ustascia
transfughi, per gli assassinii a venire. Egli disponeva di
alcune trasmissioni di Radio Bari, pubblicava il giornale
"Ustasa" in lingua croata, teneva contatti con centrali di
propaganda nazional-croata a Vienna, Berlino, negli USA
ed in Argentina, e rendeva noti i suoi piani gloriosi al
mondo di volta in volta, attraverso l'esplosione di bombe
sui treni Vienna-Belgrado, con un pi� rilevante tentativo
-subito sedato- di rivolta nelle montagne del Velebit
(1932), e con una serie di attentati particolari.
Tra le prime azioni degne di nota ci furono l'eliminazione
del direttore del foglio filojugoslavo zagrebino "Jedinstvo"
(l'Unit�), Ristovic, freddato nell'agosto 1928 in pieno
giorno in un caff� di Zagabria, e l'assassinio del redattore
capo del giornale di Zagabria "Novosti", Slegl, il 22 marzo
1929. Pavelic lasci� che la polizia rinchiudesse il suo pi�
stretto collaboratore, Gustav Percec, in una prigione di
Arezzo, e l� gli spar� di propria mano, dopo un
interrogatorio con sevizie.
Ma la sua vittima certo pi� eminente fu il Re di
Jugoslavia Alessandro. Un primo attentato al regnante,
uomo gradito in effetti a tanti croati, fu sventato
nell'autunno 1933 a Zagabria dal servizio segreto
jugoslavo. Tuttavia, quando un anno pi� tardi il monarca
giunse a Marsiglia dagli alleati francesi, il 9 ottobre 1934,
fu assassinato mentre era ancora nella zona del porto,
assieme al Ministro degli Esteri francese Louis Barthou,
da un emissario di Pavelic -subito sottoposto a linciaggio
dalla folla. Di nuovo Pavelic fu condannato a morte in
contumacia da Francia e Jugoslavia -ed era la seconda
volta. Ebbene, i fascisti italiani, dopo una custodia
preventiva, gli assegnarono una nuova residenza a Siena
ed una pensione di stato di 5.000 lire al mese.''
In Ratlines troviamo che oltre agli italiani, ``prima della
guerra [anche] i servizi segreti britannici mantennero
stretti rapporti con la sua rete terroristica clandestina,
anche dopo l'assassinio [...] del Re jugoslavo'' (80-81).
Continuiamo a leggere su La Politica dei papi nel XX
secolo:
``Uno scritto autografo, redatto da Pavelic nel 1936 e
riguardante la causa croata, giunse al Ministero degli
Esteri [tedesco] solo nell'aprile 1941, mentre erano in
atto i preparativi della campagna di Jugoslavia. Il
documento di 30 pagine [...] celebra Hitler come
"maggiore e miglior figlio della Germania", loda la
Germania hitleriana quale "potentissima combattente per
il diritto vitale, la vera cultura e la pi� alta civilt�". [...] Il
6 aprile 1941, mentre Belgrado sottoposta al terrore
incessante delle bombe tedesche cominciava a bruciare e
la Dodicesima Armata del Feldmaresciallo Generale List
attaccava il sud della Serbia dalla Bulgaria, Pavelic
incitava le truppe croate per mezzo di un'emittente
clandestina, acch� puntassero le armi contro i serbi.
"D'ora in poi combatteremo fianco a fianco con i nostri
nuovi alleati, i Tedeschi e gli Italiani". [...] La Wehrmacht
di Hitler era salutata in Slovenia e in Croazia
amichevolmente ed anche con entusiasmo.
Il 10 aprile, [...] mentre i tedeschi occupavano Zagabria,
capitale del vecchio Banato, avveniva la proclamazione
della "Croazia Indipendente", sempre in assenza di
Pavelic: [...] "Dio � con i Croati! Pronti per la Patria!".
[La proclamazione era stata] firmata dall'ex-[...]
colonnello Slavko Kvaternik, rappresentante del poglavnik
e Comandante Supremo delle Forze Armate [...].
Il poglavnik fece tenere ancora una parata alla sua truppa
di circa 300 uomini, lo stesso 10 aprile a Pistoia; la sera
fu convocato a Roma da Mussolini; l'11 aprile assicur� a
Hitler gratitudine e sottomissione con un telegramma;
durante la notte del 13 oltrepass� il confine jugoslavo
presso Fiume, giunse a Zagabria nella notte del 15, ed il
17 nomin� il suo primo Gabinetto. Era adesso Capo dello
Stato, del Governo e del Partito, nonch� Comandante in
Capo delle truppe, e governava da dittatore -certo con
sudditanza rispetto ai suoi grandi alleati, dai cui regimi
copi� ampiamente- alla testa di 3 milioni di Croati
cattolici, 2 milioni di Serbi ortodossi, mezzo milione di
Musulmani bosniaci e parecchi altri gruppi etnici minori,
tra i quali 40.000 Ebrei.
Il 18 aprile l'esercito jugoslavo capitolava senza
condizioni. La Serbia fu sottoposta all'occupazione
militare tedesca, e quasi due quinti del Regno di
Jugoslavia andarono a formare lo Stato Indipendente di
Croazia, che si componeva del nucleo di Croazia e
Slavonia insieme alla Sirmia, a tutta la Bosnia (fino alla
Drina) e all'Erzegovina, con una parte del litorale
dalmatino; in tutto quasi 102.000 km quadrati.
Per� nel maggio seguente Pavelic regal� in tutti i modi
quasi la met� della Jugoslavia ai paesi limitrofi: nel Nord
ai Tedeschi, per cui i confini del Reich arrivavano a soli
20 km da Zagabria, nel Nordest all'Ungheria, nel sud alla
Bulgaria e all'Albania, ed infine il Sudovest, l'Ovest (dove
la popolazione croata era la stragrande maggioranza) ed il
Nordovest all'Italia. Qui giunse Pavelic il 7 maggio con
ministri e membri del clero, tra i quali il vicario generale
dell'arcivescovo Stepin�c, vescovo di Salis-Sewis, ed
offr� al Re Vittorio Emanuele III la cosiddetta corona di
Zvonimiro (ultimo re indipendente della Croazia nell'XI
secolo), destinata al meno significativo Conte Aimone di
Spoleto, il quale in effetti non venne mai incoronato, non
apparve mai nel suo regno, e tuttavia parl� in Vaticano
gi� il 17 maggio quale re designato della Croazia (con
l'appellativo di Tomislao II).
E l�, in Vaticano, il giorno seguente si present� il
poglavnik, colui il quale era stato ripetutamente
condannato a morte a causa di svariati omicidi,
accompagnato da una delegazione numerosa -Pavelic
"circondato dai suoi banditi", annotava lo stesso Ministro
degli Esteri Ciano nel suo diario solo poche settimane
prima. Le concessioni territoriali del poglavnik all'Italia,
che laggi� conduceva con brutalit� la sua politica del
"mare nostro", causarono sconforto in tutta la Croazia,
come rifer� il 21 maggio il generale Glaise von Horstenau.
"Dovunque si vada si ascoltano minacce contro gli
Italiani". Eppure la stampa cattolica del paese era molto
commossa per l'attenzione e la cordialit� di papa Pio XII,
che salut� Pavelic ed i suoi gangsters durante un'udienza
privata particolarmente festosa -un grande ricevimento-
e si accomiat� da loro in modo amichevole, con i migliori
auguri di buon proseguimento.''
Anche Ratlines si sofferma sui rapporti fra il poglavnik e
la Chiesa:
``Le atrocit� erano gi� in corso nel momento stesso in cui
Pio XII ricevette il poglavnik in un'udienza privata alla
fine di aprile 1941'' (80). ``Pio XII e i suoi consiglieri
pi� anziani nutrivano opinioni estremamente benevole
nei confronti del suo cattolicesimo militante. Durante la
guerra Pavelic aveva convertito con la forza decine di
migliaia di ortodossi serbi sotto la minaccia della pena
capitale'' (80). In virt� di ci� ``agli occhi del Vaticano
Pavelic rappresentava un militante cattolico, un uomo che
ha peccato, ma che l'ha fatto per lottare a favore del
cattolicesimo'' (92).
Il papa riceveva regolarmente gli emissari di Pavelic, ai
quali forniva ogni volta ``delle assicurazioni relative al
fatto che il Santo Padre avrebbe aiutato la Croazia
cattolica'' (82-83). A Branko Bokun, giovane jugoslavo
che tent� di segnalare alle autorit� vaticane i misfatti del
regime croato, non fu invece accordata l'udienza
richiesta. ``Bokun era stato mandato a Roma da uno dei
capi dei servizi segreti jugoslavi a chiedere l'intervento
del Vaticano per fermare il massacro in Croazia. [Egli era]
armato di un voluminoso fascio di documenti, di resoconti
e di testimoni oculari, e persino di fotografie dei
massacri. [...] Voleva consegnare il suo incartamento a
monsignor Giovanni Montini, sottosegretario di Stato per
gli Affari Correnti, ma non riusc� a ottenere udienza''
(81-82). ``A Bokun venne semplicemente detto che le
atrocit� descritte nell'incartamento erano opera dei
comunisti, ma che erano state attribuite in mala fede ai
cattolici'' (82).
``Allo stato di Pavelic fu negato il riconoscimento
ufficiale da parte del Vaticano'' (82), ma ``quando
Pavelic chiese un'altra udienza con il Santo Padre nel
maggio del 1943, il Segretario di Stato Maglione gli
assicur� che non c'erano difficolt� connesse con la visita
del poglavnik al Santo Padre, se non per il fatto che non lo
si sarebbe potuto ricevere come un Capo di Stato. Lo
stesso Pio XII promise di dare nuovamente a Pavelic la
sua benedizione personale, [malgrado il fatto che] in quel
periodo la Santa Sede possedesse gi� abbondanti prove
delle atrocit� commesse dal suo regime'' (82).
Pavelic amava vantarsi dei suoi crimini, e si dice che
esibiva sul suo tavolo una grossa coppa contenente
``circa venti chili di occhi di serbi inviatigli dai suoi
fedeli ustascia'' (83).
Al termine della guerra Pavelic scomparve (83). ``Mentre
i suoi uomini combattevano ancora, il poglavnik era
scappato con il suo seguito di comprimari, tra cui circa
500 padri cattolici, a capo dei quali erano il vescovo di
Banja Luka, Jozo Gavic, e l'arcivescovo di Sarajevo, Ivan
Saric (morto poi a Madrid nel 1960). Fu accolto nel
convento di San Gilgen, presso Salisburgo, insieme a
quintali d'oro rubato'' (da La politica dei papi). Nel
maggio 1945, Pavelic fu arrestato dagli agenti del SIS
(133). Pi� che di un arresto, bisogna parlare per� di una
protezione. Infatti fu proprio il SIS ad aiutarlo a fuggire
(129), nascondendolo ``a Klagenfurt, dove possedeva un
appartamento e una villa'' (86). Il vescovo di Klagenfurt
era un membro dell'Intermarium (136). Klagenfurt si
trovava nella zona occupata dagli inglesi.
``Nel luglio del 1945 l'ambasciatore jugoslavo a Londra
disse agli inglesi che Pavelic [...] era stato fatto
prigioniero a Celovac (Klagenfurt) da truppe inglesi. Il
Foreign Office si mostr� inflessibile nel sostenere che
Pavelic non era mai stato in mano loro'' (83). Anche i
``serbi cetnici sostenevano che Pavelic era travestito da
monaco in un monastero a Klagenfurt'' (84).
Londra negava, ma secondo rapporti statunitensi del 1947
gli ``alleati inglesi avevano sempre mentito. [...] Il
servizio segreto jugoslavo aveva sempre avuto ragione.
Secondo fonti attendibili, Pavelic era davvero riuscito a
superare la frontiera austriaca e a raggiungere i confini
inglesi, dove venne protetto dagli inglesi, nei settori
sorvegliati e requisiti dagli inglesi, per un periodo di due
settimane, [...] rest� nella zona di occupazione inglese per
almeno due o tre mesi, rimanendo in contatto con il SIS''
(86).
``Nell'aprile del 1946, Pavelic lasci� l'Austria e giunse a
Roma, accompagnato soltanto da un tenente di nome
Dochsen. Entrambi gli uomini erano vestiti da preti della
Chiesa cattolica romana. Trovarono rifugio in un collegio
situato in via Gioacchino Belli 3. Il compagno di viaggio
di Pavelic era, in realt�, Dragutin Dosen, un ex-alto
ufficiale della guardia del corpo del poglavnik'' (86).
``Subito dopo essere arrivato [...] a Roma, il poglavnik [...]
aveva trovato rifugio presso Castelgandolfo, residenza
estiva del papa'', dove aveva spesso l'occasione di
incontrarsi in segreto con monsignor Montini'' (87).
``Sembra che molti nazisti gravitassero intorno a
Castelgandolfo, [e] che Pavelic alloggiasse con un
ex-ministro del governo nazista rumeno'' (87).
``Pavelic aveva ottenuto un passaporto spagnolo sotto il
nome di Don Pedro Gonner, in previsione della sua fuga
definitiva, probabilmente alla volta della Spagna o del
Sudamerica'' (87). ``I gesuiti furono tra gli ecclesiastici
che maggiormente l'aiutarono e appoggiarono i suoi piani
per lasciare l'Italia organizzando il suo viaggio verso la
Spagna sotto il falso nome di padre Gomez'' (89).
``Tuttavia, verso la met� del 1946 Pavelic temette di
trovarsi troppo strettamente sotto controllo e [...] ritorn�
in Austria'' (87), e ritorn� nuovamente a Roma alla fine
dell'anno.
Sin dal momento in cui era fuggito, il poglavnik era
rimasto in stretto contatto con padre Draganovic,
segretario della Confraternita di San Girolamo dei Croati
a Roma (88,94), il quale ``sin dal mese di agosto del 1943
[...] si era trovato a Roma a negoziare per Pavelic in
Vaticano'' (98). L'agente segreto del CIC Robert Mudd,
nel febbraio 1947, scrisse il seguente rapporto
sull'istituto di San Girolamo:
``Per poter entrare in questo monastero,
bisogna sottoporsi ad una perquisizione
personale per verificare se si � in
possesso di armi o di documenti, si deve
rispondere a domande sulla propria
provenienza, sulla propria identit�, su chi
si conosce, su quale sia lo scopo della
propria visita e come si sia venuti a
sapere della presenza di croati all'interno
del monastero. Tutte le porte che mettono
in comunicazione stanze diverse sono
chiuse e quelle che non lo sono hanno di
fronte una guardia armata e c'� bisogno di
una parola d'ordine per andare da una
stanza all'altra. Tutta la zona �
sorvegliata da giovani ustascia armati in
abiti civili e ci si scambia continuamente
il saluto ustascia'' (110).
``In un'intervista registrata, Simcic ammise l'esistenza,
all'epoca, di una strettissima sorveglianza all'interno
dell'istituto [...] necessaria a causa della minaccia,
sempre presente, di attacco da parte dei comunisti''
(110).
Il motivo di tante precauzioni era molto semplice. Fra
l'Istituto di San Girolamo e ``quella che si riteneva fosse
una delle biblioteche vaticane, in via Giacomo Venezian
17-C'' si trovavano nel 1947 numerosi ustascia ricercati.
Si trattava del poglavnik Ante Pavelic e di membri del suo
governo (111):
1.Ivan Devcic, tenente colonnello
2.Vjekoslav Vrancic, vice ministro
3.Dragutin Toth, ministro
4.Lovro Susic, ministro
5.Mile Starcevic, ministro
6.Dragutin Rupcic, generale
7.Vilko Pecnikar, generale
8.Josip Markovic, ministro
9.Vladimir Kren, generale
Alcuni di questi assassini risiedevano in Vaticano:
``Gli ustascia che risiedevano in Vaticano facevano la
spola tra i loro alloggi e la Confraternita [andando] avanti
e indietro dal Vaticano varie volte la settimana, a bordo
di un'automobile con autista la cui targa recava le iniziali
CD, Corpo Diplomatico. [...] A causa dell'immunit�
diplomatica, era impossibile fermare l'automobile''
(113).
La realt� � che ``il Vaticano stava nascondendo il
poglavnik, con la connivenza del SIS'' (132). Ovviamente,
``il SIS non aveva aiutato il Vaticano a salvare Ante
Pavelic per malintesi concetti di benevolenza e carit�.
Voleva molto in cambio. Voleva degli agenti per infiltrarsi
nella Jugoslavia comunista, per ottenere informazioni
segrete e per colpire con azioni terroristiche bersagli
strategici e uomini al servizio dei comunisti, soprattutto
gli agenti della temuta polizia segreta'' (129). Fu solo 18
mesi dopo la scomparsa di Pavelic che gli inglesi
ufficialmente "scoprirono" che costui si trovava in
Vaticano. A quel punto scaricarono la responsabilit�
dichiarando che era fuori dalla loro giurisdizione (85).
All'inizio del 1947 Pavelic si trovava ``in un complesso
extraterritoriale cinto da mura [che] si trova in cima al
colle Aventino [e] che secondo l'opinione generale �
crivellato di tunnel sotterranei che uniscono tra loro i
singoli edifici.'' Tale complesso ospita varie
organizzazioni della Chiesa, fra cui il Monastero di Santa
Sabina, nel quale l'agente americano Gowen riteneva a
quei tempi che avesse trovato ospitalit� il poglavnik, e
l'Ordine Militare Sovrano dei Cavalieri di Malta (87-88).
Secondo l'autore de Il Secolo Corto, l'Ordine di Malta
aveva anch'esso una sua rete per la fuga dei criminali di
guerra. Ne faceva parte William J. Casey, che divenne
capo della CIA negli anni ottanta.
Gli ustascia godevano di ottimi contatti con la polizia
italiana (89). Un'altra delle loro basi si trovava in Via
Cavour 210 (88).
In agosto Pavelic ``si nascondeva come ex-generale
ungherese sotto il nome di Giuseppe [...] e viveva in una
propriet� della Chiesa sotto la protezione del Vaticano, a
Via Giacomo Venezian, [...] insieme al famoso terrorista
bulgaro Vancia Mikoiloff (sic) e ad altre due persone.
Nell'edificio vivevano circa altri dodici uomini. Erano
tutti ustascia e costituivano la guardia del corpo di
Pavelic. Quando Pavelic usciva, si serviva di
un'automobile con la targa del Vaticano (SCV)'' (90-91).
``Andava regolarmente in giro a bordo delle auto ufficiali
vaticane che, recando le speciali targhe dei corpi
diplomatici, non potevano essere fermate dalle autorit�
occidentali, neppure quando Pavelic lasciava il territorio
vaticano'' (91).
I servizi segreti inglesi e americani conoscevano i
movimenti di Pavelic ed avevano ricevuto l'ordine di
arrestarlo. Tuttavia, dopo un continuo scarica-barile fra i
due servizi segreti, l'operazione fu ``lasciata morire''
(89-91). ``La posizione degli inglesi era cinica e
disonesta; mentre il SIS proteggeva Pavelic, il Foreign
Office protestava perch� gli Stati Uniti si sforzavano di
sabotare il piano per arrestare il poglavnik'' (89). ``Il
motivo [...] era davvero molto semplice. Gli alti ufficiali
statunitensi stavano formando, all'epoca, la loro rete di
ex-nazisti, e cominciavano a coordinare le proprie
attivit� con quelle del Vaticano e di Londra'' (92).
Alla fine Pavelic ripar� in Argentina: ``salp� dall'Italia il
13 settembre del 1947, viaggiando a bordo del piroscafo
italiano Sestriere sotto il nome di Pablo Aranyos, un
presunto profugo ungherese, e giunse a Buenos Aires il 16
novembre'' (95). ``Pavelic si serv� dei suoi contatti molto
influenti all'interno dei servizi segreti italiani per attuare
il suo piano di fuga'' (96). ``Padre Draganovic [...] forn� il
passaporto della Croce Rossa di cui si serv� Pavelic e
organizz� i dettagli del viaggio in nave'' (95). Sembra
addirittura che Draganovic ``accompagn� personalmente il
criminale di guerra a Buenos Aires, dove rimase con lui
per dodici mesi'' (95). Secondo un'altra versione dei
fatti, tuttavia, la persona che accompagn� l'ex-poglavnik
era ``un altro sacerdote croato, un certo padre Jole, che
era in realt� padre Josip Bujanovic'' (95).
Quando ``riapparve in Argentina, [...] il dittatore Juan
Per�n lo assunse come consulente per la sicurezza'' (95).
``Un certo Daniel Crljen [mandato in Argentina da
Draganovic per trovare una sistemazione a Pavelic] era
giunto in aereo a Buenos Aires, grazie all'assistenza del
Vaticano, per conferire con il generale Per�n a proposito
dell'organizzazione in Argentina di un movimento
ustascia chiamato "�lite". Crljen era uno dei principali
ideologi e propagandisti del movimento, dato che durante
la guerra aveva incitato al massacro dei Serbi. La
missione di Crljen ebbe certamente successo; l'arrivo di
Pavelic serv� solamente a completare il trasferimento in
Argentina di quasi tutto il suo governo. Tra i veterani che
l'attendevano per dargli il benvenuto c'erano quasi tutti i
ministri del gabinetto sopravvissuti, come pure molti
funzionari municipali, capi militari e della polizia. Erano
per la maggior parte criminali di guerra ricercati'' (96).
Per il seguito della storia di Pavelic, leggiamo La Storia
dei Papi del XX secolo:
``Dopo la caduta di Per�n, Pavelic sfugg� nel 1957 ad un
attentato cos� come riusc� a sottrarsi alla polizia
argentina; di nuovo fin� in un convento, stavolta presso i
Francescani di Madrid, e mor� settantenne (alla fine del
1959) nell'ospedale tedesco (sic!) della capitale
spagnola.''
(6/6/1 - continua)
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Gli ustascia
Vladimir Kren
Durante la guerra fu generale e comandante in capo
dell'aviazione dello "Stato Croato Indipendente": ``il
generale Vladimir Kren, l'ex-ufficiale dell'aviazione
jugoslava che, nell'aprile del 1941, aveva organizzato il
passaggio ai tedeschi di molti dei suoi militari, era stato
ricompensato con la carica di comandante dell'aviazione
di Pavelic'' (118).
Vladimir Kren fu uno dei pochi amici di Pavelic che fu
preso:
Nell'indagare sulla presenza di criminali croati a San
Girolamo, l'agente americano ``Gowen organizz� un
audace furto con scasso nell'ufficio di Draganovic. [...]
Uno dei documenti pi� importanti era una lista di nomi di
croati che venivano nutriti, vestiti, alloggiati e provvisti
di ogni altra cosa nel monastero di San Girolamo. [...] In
tale elenco erano inclusi anche i nomi di diversi criminali
di guerra jugoslavi ricercati da tempo, dei quali
Draganovic aveva continuamente negato la presenza: [...]
almeno una ventina delle persone alloggiate all'interno
dell'istituto si trovavano nelle liste nere occidentali''
(112-113).
In questo modo, i servizi occidentali avevano saputo che
``un gruppo di criminali di guerra ricercati [...] si era
imbarcato sulla "Philippa" il 4 marzo 1947'' e che fra loro
si trovava Vladimir Kren, che viaggiava sotto il falso
nome di Marko Rubini (118-119). Kren fu arrestato dal
maggiore Clissold, della British Special Screening
Mission, la squadra alla ricerca dei nazisti. ``Questa fu
una delle pochissime occasioni in cui lo spionaggio
occidentale trionf�. [...] Qualche settimana pi� tardi, gli
inglesi prepararono un'imboscata nello stesso istituto di
San Girolamo, arrestando circa un centinaio di uomini che
stavano andandosene al termine di un incontro'' (118).
Alla fine, Kren fu consegnato al governo jugoslavo (118).
Vjekoslav Vrancic
Fu sottosegretario del Ministero degli Interni di Ante
Pavelic. ``Tale ministero [...] era direttamente
responsabile dei campi di concentramento nonch�
dell'apparato poliziesco particolarmente repressivo''
(112). Divenne poi il contatto radio in Austria per le
missioni dei krizari (133).
Nel 1947, ``Vrancic doveva essere consegnato agli
jugoslavi ma, tre giorni dopo questa decisione, egli sfugg�
misteriosamente alla custodia degli inglesi. Riusc� quindi
a mettersi al sicuro all'interno della Confraternita di San
Girolamo, prima che padre Draganovic lo facesse
espatriare attraverso la sua ratline. Nel novembre del
1947 [arriv�] in Argentina sotto il nome di Ivo Rajicevic;
in quel paese Vrancic divenne una figura di primo piano
nella rinascita dell'apparato terroristico ustascia'' (112).
Vilko Pecnikar
Genero di Ante Pavelic (134), Pecnikar era un ``veterano
del movimento e organizzatore dei gruppi terroristici di
Pavelic prima della guerra. Durante il conflitto raggiunse
il grado di generale nella guardia del corpo personale di
Pavelic e fu capo anche della brutale gendarmeria che
operava in stretta collaborazione con la Gestapo'' (112).
Dopo la fine del conflitto ``Draganovic e Pecnikar
lavorarono a stretto contatto per riorganizzare il
movimento ustascia'' (112) ed entrambi gestirono
insieme il tesoro degli ustascia (134). ``Manteneva
contatti con diverse organizzazioni naziste clandestine e
gestiva un sofisticato servizio segreto che collegava i
gruppi italiani con quelli austriaci'' (134).
Ivo Omrcanin
Durante il breve periodo di vita della Croazia
Indipendente, fu ``un funzionario del Ministero degli
Esteri ustascia'' (127).
Successivamente, ``Lavor� a stretto contatto con
Draganovic per dare una mano nelle vicende relative
all'emigrazione dei profughi croati. [...] Lavor�
direttamente sotto la guida di Draganovic nel Pontificio
Comitato Croato di Assistenza tra il 1948 e il 1953,
girando per i campi di profughi e inviando migliaia di
fuggiaschi attraverso la ratline. [...] Si vanta anche di aver
inviato attraverso la ratline 30.000 persone, tra cui molti
scienziati e tecnici tedeschi'' (127).
``Omrcanin [....] vive oggi a Washington, da dove pubblica
una serie di trattati di propaganda pro-ustascia'' (127).
Ljubo Milos
``Fu un alto ufficiale nel campo di concentramento di
Jasenovac. Uno dei suoi atti esemplari fu l'uccisione
rituale degli ebrei. Dopo l'arrivo al campo di un mezzo di
trasporto, Milos indossava un camice da medico, ordinava
alla guardia di portargli tutti coloro che avevano richiesto
un ospedale, li conduceva all'ambulanza, li metteva lungo
il muro e, con un colpo di coltello, tagliava la gola delle
vittime, spezzava loro le costole e le sventrava.
Milos diresse anche altri brutali metodi di sterminio.
Prigionieri nudi venivano gettati vivi nella fornace accesa
della fabbrica di mattoni annessa al campo, mentre altri
venivano percossi a morte con mazze e martelli.
Decisamente, Milos non era un innocente patriota croato
che si era limitato a prestar servizio nel governo di
Pavelic per senso del dovere nei confronti della propria
nazione. Era un volgare e sadico assassino, colpevole
proprio di quel tipo di crimini che Draganovic riteneva
meritassero una punizione. Eppure Draganovic estese
anche a lui la sua carit� cristiana.'' (120).
Il prete croato, infatti, fece fuggire Milos, e gli diede
anche molti soldi (120). Milos scamp� ``all'arresto da
parte degli alleati proprio grazie a padre Draganovic,
nonostante i suoi sanguinosi precedenti'' (132). ``Milos
viveva in un campo italiano e stavano per arrestarlo.
Draganovic fu avvertito segretamente da qualche agente
dei servizi segreti inglesi e us� la sua sofisticata
organizzazione per far sparire Milos, portandolo in salvo''
(121).
In seguito fu catturato in Jugoslavia nel corso di una
missione terroristica (121): nel 1948 figur� come
imputato al processo dei krizari (132).
Lovro Susic
Ministro dell'economia di Ante Pavelic (111), ``collabor�
strettamente coi nazisti alla deportazione di lavoratori
croati per lavori forzati in Germania, prestando servizio,
in seguito, presso la sanguinaria divisione delle SS
denominata Principe Eugenio'' (111).
Nel 1945 si trovava a Wolfsber, dove custodiva gran
parte del tesoro ustascia, prima di affidare tale tesoro a
Draganovic, Hefer, e Pecnikar (133-134). Nel 1947 si
rifugi� nell'istituto di San Girolamo (111), e poi divenne
uno dei comandanti delle operazioni dei krizari (134).
Dragutin Toth
Durante il conflitto il dottor Dragutin Toth fu Ministro del
Commercio di Ante Pavelic, presidente della Banca
Nazionale Croata e, infine, Ministro delle Finanze (111).
``Riusc� ad arrivare alla ratline di Draganovic e a
raggiungere l'Argentina verso la met� del 1947'', e ci�
malgrado il fatto che Londra e Washington avessero gi�
raggiunto un accordo per consegnarlo a Tito (111).
Bozidar Kavran
``Prima della guerra [aveva fatto parte, insieme a Rover,]
del movimento clandestino ustascia in Bosnia, [ed
entrambi] furono coinvolti in un complotto per assassinare
Re Pietro'' (146). ``In tempo di guerra fu il comandante
del quartier generale ustascia'' (146).
``Dopo la fine del conflitto gli fu affidata la responsabilit�
della base austriaca dei krizari a Trofaiach. Lavor�
direttamente agli ordini di Pavelic e Draganovic nelle
operazioni terroristiche e spionistiche dei krizari'' (146).
Fin� imputato al "processo pilotato" del 1948 (146).
Srecko Rover
Ustascia sin da prima della guerra, i suoi camerati lo
soprannominavano affettuosamente "piccolo lupo" (147).
Fece parte, insieme a Kavran, di un complotto per
assassinare Re Pietro (146). ``Quando nel 1941
arrivarono i nazisti, Rover entr� a far parte di una delle
micidiali corti marziali itineranti di Pavelic, che
giustiziavano in maniera sommaria i nemici razziali e
politici degli ustascia. Dopo aver prestato servizio in
questa squadra di sterminio itinerante, Rover fu inviato
in Austria per essere addestrato come agente speciale e
quindi promosso a prestar servizio nella guardia del corpo
personale di Pavelic, un'unit� di polizia repressiva simile
alla Gestapo'' (146).
Divenne il contatto degli americani nei krizari: ``Dopo la
guerra, Rover si un� alla moltitudine di criminali di guerra
latitanti, dandosi alla macchia nella campagna italiana, e
presto si arruol� nel movimento clandestino dei krizari.
Alla Confraternita di San Girolamo, ottenne da
Draganovic i documenti d'identit� falsi che gli permisero
di procurarsi dei certificati ufficiali, soprattutto quelli di
residenza italiana.
Rover lavor� a stretto contatto con Draganovic,
intraprendendo numerose missioni per conto
dell'eminenza grigia degli ustascia, [ossia Draganovic,] e
riuscendo ad arrivare, alla fine, ai vertici del comando dei
krizari. All'inizio del 1946, Rover fu mandato a Trieste
per lavorare nella rete spionistica di Draganovic. Contatt�
il colonnello Perry e stabil� stretti rapporti di lavoro con
l'ufficiale dei servizi segreti americani. [...] Perry rimase
impressionato dai progetti di Rover, dato che reclut� il
capitano dei krizari e gli forn� documenti di viaggio e
d'identit�. L'americano lo invi� in Jugoslavia per creare
un percorso clandestino attraverso cui si potessero far
penetrare degli agenti all'interno di quel paese.
[...] Quasi ogni volta che [Rover] si trovava nei guai con le
autorit� occidentali, Perry veniva in suo aiuto. I reparti
alleati specializzati nella caccia ai nazisti arrestarono
Rover in varie occasioni, ma gli interventi di Perry ne
garantivano sempre il rilascio. Il rapporto con gli
americani permise anche al "piccolo lupo" di avere
accesso a risorse e informazioni grazie alle quali fece
rapidamente carriera tra le file dei krizari, fino a
diventare, alla fine, comandante in seconda di Kavran
della base di Trofaiach, in Austria.
[...] Da principio faceva il corriere e consegnava istruzioni
top secret ai capi krizari. Divenne anche abile nel
procurarsi e falsificare sofisticati documenti d'identit� e
di viaggio, permettendo a se stesso e ai suoi compagni di
viaggiare liberamente persino all'interno della Jugoslavia
comunista. Poi reclut� volontari per le missioni
terroristiche e di spionaggio.
[...] Si rec� a Roma per incontrarsi con Draganovic e
riferirgli di persona i suoi ultimi successi. Cominci�
presto a lavorare a stretto contatto con altri importanti
membri della rete di Draganovic. [...] Fin dall'inizio del
suo rapporto con Perry, sembr� che le cose andassero
storte. Per esempio, la prima missione per conto
dell'americano aveva condotto Rover a Rijeka e Zagabria.
Questi torn� indietro senza correre rischi, ma la persona
che percorse dopo di lui lo stesso itinerario venne
immediatamente catturata.
[...] Quasi tutte le operazioni dei krizari in cui ci fu lo
zampino di Rover si rivelarono un completo disastro. Lo
stesso Pavelic arriv� a sospettare che Rover fosse un
agente comunista che faceva il doppio gioco, o almeno una
specie di agente provocatore. Tra i principali leader dei
krizari, Rover sembra sia stato uno dei pochi a entrare pi�
volte in Jugoslavia senza essere scoperto e arrestato dalla
polizia segreta di Tito.
[...] Quando, verso la met� del 1948, furono varate le
ultime disastrose operazioni, a Rover fu affidata la
responsabilit� di guidare i gruppi terroristici all'interno
del paese. Per coincidenza, tutti gli uomini da lui portati
oltre il confine furono uccisi o catturati, la maggior parte
nel giro di poche ore, i dispersi entro pochi giorni. Nello
stesso anno, i sopravvissuti si trovarono di fronte al
tribunale di Tito a Zagabria. Sembra che Srecko Rover sia
stato uno dei pochi tra i pi� importanti krizari a non
trovarsi tra le loro fila. In seguito Rover riport� fiaschi
simili anche in Australia'' (146-148).
Miha Krek
Presidente di Intermarium e amico intimo di Vajta (67).
``Capo del Partito Popolare Cattolico della Slovenia, [...]
Krek lavorava per i servizi segreti inglesi'' (67,137).
Lavorava in stretta collaborazione con monsignor Anton
Preseren, ``assistente generale del potente ordine dei
gesuiti'' (137).
L'agente statunitense William Gowen
Fu incaricato dal CIC per indagare sulla rete clandestina istituita
per permettere ai nazisti di fuggire ed arrestare i criminali
ricercati presenti a Roma (57). Fu tuttavia convinto da Ferenc
Vajta a premere sugli USA affinch� collaborassero con
Intermarium (73). Vajta gli aveva anche rivelato l'appoggio del
SIS ai krizari (132).
Fu l'arteficie della scelta americana di coprire i criminali in fuga.
Consigli� ``all'America di chiudere un occhio sul fatto che il
Vaticano proteggesse un nazista'', e cio� Vajta, giustificando la
cosa ``in considerazione del contributo della Santa Sede alla
causa anticomunista'' (78). Il 6 luglio 1947, Gowen ``sugger� che i
servizi segreti americani assumessero il controllo
dell'Intermarium'' (92).
(6/6/2 - FINE. Seguono NOTE)
---
Questa lista e' provvisoriamente curata da componenti della
ASSEMBLEA ANTIMPERIALISTA (ex Coord. Naz. "La Jugoslavia Vivra'"):
> http://www.tuttinlotta.org
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opinioni delle realta' che compongono questa struttura, ma
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www.tenc.net
[Emperor's Clothes]
AMERICA AT WAR IN MACEDONIA
by Michel Chossudovsky
Professor of Economics, University of
Ottawa [14 June 2001]
[See map at
http://www.bsrec.bg/taskforce/SYNERGY/oilprojects2.html
. ]
Washington's covert war in Macedonia aims to
consolidate America's sphere of influence
in southeastern Europe. At stake is the strategic
Bulgaria-Macedonia-Albania transport, communications
and oil pipeline "corridor" which links the Black Sea
to the Adriatic coast. Macedonia stands at the
strategic crossroads of the oil pipeline corridor.
To protect these pipeline routes, Washington's goal is
to install a "patchwork of protectorates" along
strategic corridors in the Balkans. The promise of
"Greater Albania" used by Washington to foment
Albanian nationalism is part of the
military-intelligence ploy. Amply documented, the
latter consists in
financing and equipping the Kosovo Liberation Army
(KLA) and its National Liberation Army (NLA) proxy
to wage the terrorist assaults in Macedonia.
The development of America's sphere of influence in
Southeastern Europe --in complicity with Britain--
supports the interests of the oil giants including
BP-Amoco-ARCO, Chevron and Texaco. Securing
control and "protecting" the pipeline routes is
paramount to the success of these multi-billion dollar
ventures:
AA successful international oil regime is a
combination of economic, political, and military
arrangements to support oil production and
transportation to markets.1
The Anglo-American consortium which controls the AMBO
Trans-Balkan pipeline project linking the
Bulgarian port of Burgas to Vlore on the Albanian
Adriatic coastline largely excludes the participation of
Europe's competing oil giant Total-Fina-Elf. 2 In
other words, US strategic control over the pipeline
corridor is intent upon weakening the role of the
European Union and keeping competing European
business interests at arms' length.
WHO IS BEHIND THE TRANS-BALKAN PIPELINE?
The US based AMBO pipeline consortium is directly
linked to the seat of political and military power in
the United States and Vice President Dick Cheney's
firm Halliburton Energy.3
The feasibility study for AMBO's Trans-Balkan Oil
Pipeline, conducted by the international engineering
company of Brown & Root Ltd. [Halliburton's British
subsidiary] has determined that this pipeline...will
become a part of the region's critical East-West
corridor infrastructure which includes highway, railway,
gas and fiber optic telecommunications lines.4
And upon completion of the feasibility study by
Halliburton, a senior executive of Halliburton was
appointed CEO of AMBO. Halliburton was also granted a
contract to service US troops in the Balkans
and build "Bondsteel" in Kosovo, which now constitutes
"the largest American foreign military base
constructed since Vietnam".5 Coincidentally, White and
Case LLT, the New York law firm that President
William J. Clinton joined when he left the White House
also has a stake in the AMBO pipeline deal.
MILITARISATION OF THE PIPELINE CORRIDORS
The AMBO Trans-Balkans pipeline project would link up
with the pipeline corridors between the Black
Sea and the Caspian Sea basin, which lies at the hub
of the World's largest unexplored oil reserves
(See map of
http://www.bsrec.bg/taskforce/SYNERGY/oilprojects2.html
). The militarisation of these
various corridors is an integral part of Washington's
design.
The US policy of "protecting the pipeline routes" out
of the Caspian Sea basin (and across the Balkans)
was spelled out by Clinton's Energy Secretary Bill
Richardson barely a few months prior to the 1999
bombing of Yugoslavia:
"This is about America's energy security... It's also
about preventing strategic inroads by those who
don't share our values. We're trying to move these
newly independent countries toward the west... We
would like to see them reliant on western commercial
and political interests rather than going another
way. We've made a substantial political investment in
the Caspian, and it's very important to us that
both the pipeline map and the politics come out
right."6
The Anglo-American oil giants, including
BP-Amoco-Arco, Texaco and Chevron --supported by US
military might-- are competing with Europe's oil giant
Total-Fina-Elf (associated with Italy's ENI) which
is a big player in Kazakhstan's wealthy North East
Caspian Kashagan oil fields. The stakes are high:
Kashagan is reported "so large as to even surpass the
size of the North Sea oil reserves."7 The
competing EU based consortium, however, lacks a
significant stake and leverage in the main pipeline
routes out of the Caspian Sea basin and back (via the
Black Sea and through the Balkans) to Western
Europe. The key pipeline corridor projects --including
the AMBO project and the Baku-Cehyan project
through Turkey to the Mediterranean-- are largely in
the hands of their Anglo-American rivals, which
rely heavily on US political and military presence in
both the Caspian basin and the Balkans.
Washington's design is to eventually distance all
three AMBO countries, namely Bulgaria, Macedonia
and Albania from German-EU influence through the
installation of full-fledged US protectorates. In
other words, US militarisation and geopolitical
control over the projected pipeline linking Burgas in
Bulgaria to the Adriatic port of Vlore in Albania is
intent upon undermining EU influence as well as
weakening competing Franco-Belgian-Italian oil
interests.
Negotiations concerning the AMBO pipeline have been
supported by US government officials through
the Trade and Development Agency's (TDA) South Balkan
Development Initiative (SBDI) "designed to
help Albania, Bulgaria and FYR Macedonia further
develop and integrate their transportation
infrastructure along the east-west corridor that
connects them."8
The TDA points to the need for the three countries to
"use regional synergies to leverage new public
and private capital [from US companies]" while
underscoring the responsibility of the US government
"for implementing the initiative." With regard to the
AMBO pipeline, it would appear that the EU has
largely been excluded from the planning and
negotiations. "Memoranda of understanding" (MOU) have
already been signed with the governments of Albania,
Bulgaria and Macedonia which strip the
countries' national sovereignty over both the pipeline
and the transport corridors by providing
"exclusive rights" to the Anglo-American consortium:
" ...[The] MOU states that AMBO will be the only party
allowed to build the planned Burgas-Vlore oil
pipeline. More specifically, it gives AMBO the
exclusive right to negotiate with investors in and
creditors of the project. It also obligates ... [the
governments of Bulgaria, Macedonia and Albania] not
to disclose certain confidential information on the
pipeline project.9
"EAST-WEST CORRIDOR 8"
The AMBO pipeline project is linked up with another
strategic project entitled "Corridor 8", initially
proposed by the Clinton Administration in the context
of the "Balkans Stability Pact". Of strategic
importance to both the US and the European Union,
"Corridor 8" includes highway, railway, electricity
and telecommunications infrastructure. In turn, the
existing infrastructure in these sectors is slated for
deregulation and privatisation (at rock bottom prices)
under IMF-World Bank supervision.
Although rubber-stamped by EU transport ministers as
part of the process of European economic
integration, "Corridor 8" feasibility studies were
conducted by US companies financed directly by the
TDA. In other words, Washington seems to have set the
stage for the takeover of the countries'
transport and communications infrastructure. American
corporations including Bechtel, Enron and
General Electric (with financial backing from the US
government) are competing with companies from
the European Union.
Washington's design is to open up the entire corridor
to US multinationals in a region situated in the
European Union's "economic backyard", where the power
of the Deutschmark tends to dominate over
that of the US dollar.
"EU ENLARGEMENT"
In early 2000, the European Commission began
negotiations on EU associate membership status with
Macedonia, Bulgaria and Albania. And in April 2001, at
the height of the terrorist assaults, Macedonia
became the first country in the Balkans to sign a
so-called "stabilisation and association agreement"
(SAA) constituting an important step towards full EU
membership. The agreement provides the basis
for "trade liberalisation, political co-operation,
economic and institutional reform and transplantation of
EU legislation." Under the SAA, Macedonia would (de
facto) be integrated into the European monetary
system, with full access to the EU market.10
The terrorist assaults coincided chronologically with
the process of "EU enlargement", gaining
momentum barely a few weeks before the signing of the
historic "association agreement" with
Macedonia. Amply documented, the US has military
advisers working with the terrorists. Was this a
mere coincidence?
Also, Robert Frowick, "a former US diplomat", was
appointed to head the OSCE mission in Macedonia in
mid-March, again barely a few weeks before the signing
of the "association agreement." In close liaison
with Washington and the US embassy in Skopje, Frowick
initiated a "dialogue" with NLA rebel leader Ali
Ahmeti. He was also instrumental in brokering an
agreement between Ahmeti and the leaders of the
Albanian parties, which form part of the government
coalition.
This agreement negotiated by Frowick has largely
contributed to destabilising political institutions,
while at the same time jeopardising the process of EU
enlargement.11 Moreover, the deteriorating
security situation in Macedonia has provided a pretext
for increased US political, "humanitarian" and
military interference, while contributing to weakening
Skopje's economic and political ties to Germany
and the EU. In this regard, one of the "binding
conditions" of the "association agreement" is that
Macedonia conform to "EU standards on democracy".12
Needless to say, without a "functioning
government" in Macedonia, the EU association process
with Brussels cannot proceed.
The puppet governments installed in Tirana, Skopje and
Sofia, while largely responding to US diktats,
are currently being swayed in the direction of the
European Union. Washington's intent is ultimately to
curb Germany's "Lebensraum" into Southeastern Europe.
While paying lip service to "EU enlargement",
the US has consistently favoured "NATO enlargement" as
a means to pursuing its strategic interests in
Eastern Europe and the Balkans, while Germany and
France have opposed it.
While the tone of international diplomacy remains
mannerly and polite, US foreign policy under the
Bush administration has become distinctly
"anti-European". According to one observer:
"At the heart of the Bush team, Colin Powell is
[considered] the friend of the Europeans, while the
other ministers and advisers are considered arrogant,
hard and indisposed to listen or to give the
Europeans a place."13
GERMANY AND AMERICA
Amply documented, the CIA is behind the KLA and the
NLA rebels, who are waging the terrorist
assaults against the Macedonian security forces. While
the CIA's German counterpart the Bundes
Nachrichten Dienst (BND) collaborated with the CIA in
overseeing and financing the KLA prior to the
1999 war, recent developments suggest that the BND is
not involved in Washington's
military-intelligence ploy in Macedonia.14
Barely a few weeks before the signing of the
"association agreement" with the European Union,
German troops stationed in Macedonia in the Tetovo
region were (mid March 2001) "accidentally"
targeted by the NLA. While the Western media --echoing
in chorus the official statements-- maintains
that German troops were "caught in the cross-fire",
reports from Tetovo suggest that the NLA shelling
"was deliberate." In any event, the incident would not
have occurred had Germany's BND been working
with the rebel army:
"Up to 600 German troops were forced to leave Tetovo
overnight after their barracks... were caught in
crossfire... [They] were too lightly armed to defend
themselves against the Albanians. The Germans
will replace the departing troops with a Leopard tank
squadron [belonging to the
Panzer-Artillerie-Batterie division stationed in
Nordrein-Westphalen]. ...[T]he new [German] firepower
may be used to knock out Albanian positions now
established around Tetovo,..." 15
In a bitter irony, two of the commanders responsible
for the terrorist assaults in the Tetovo region had
been trained by British Special Forces:
"Embarrassingly for KFOR, it emerged that two of the
Kosovo-based commanders leading the Albanian
push [into the Tetovo region] were trained by former
British SAS and Parachute Regiment officers in the
days when NATO was more comfortable with the fledgling
Kosovo Liberation Army (KLA). A former
member of a European special forces unit who
accompanied the KLA during the Kosovo conflict said
that a commander with the nom de guerre of Bilal was
organising the flow of arms and men into
Macedonia, and that the veteran KLA commander Adem
Bajrami was helping to co-ordinate the assault
on Tetovo. Both were taught by British soldiers in the
secretive training camps that operated above
Bajram Curri in northern Albania during 1998 and
1999."16
These same British trained rebel commanders view
Germany as the "enemy" because Bundeswehr
troops stationed in Macedonia and Kosovo --rather than
providing "protection" to NLA "freedom
fighters" in the same way as their British and
American KFOR counterparts-- frequently detain
"suspected terrorists" at the border:
"A spokesman for the Albanians' National Liberation
Army (NLA) in Pristina warned the Bundeswehr its
involvement would constitute 'a declaration of war by
the Federal Republic of Germany'". 17
In response to NLA threats, the Bundeswehr sent in its
own Special Forces, the Fallschirmj�ger
(Parachutists) to work with its
Panzer-Artillerie-Batterie squadron.18 German Defence
Minister Rudolf
Scharping confirmed that "he was ready to send more
tanks and troops to bolster Bundeswehr
forces".19 Yet in recent developments, Berlin has
chosen to withdraw most of its troops from the
Tetovo region and not in any way challenge the US
military-intelligence ploy in support of the NLA
rebels. Some of these German troops are now stationed
on the Kosovo side of the border.
While the NLA received a shipment of brand new
advanced weaponry "made in America", Germany
donated (mid-June) to the Macedonian Security forces
all terrain vehicles as well as weapons "for
sophisticated infrared tracing in the battlefield."
According to a report from Macedonia, the small
contingent of German troops which still remains in the
Tetovo region "was under heavy attack from the
terrorists who attacked them with mortar from the
mountains above Tetovo. That is probably the
response of yesterday's [14 June 2001] donation to our
army made by the German government".20
While divisions between "NATO allies" are never made
public, Germany's Foreign Minister Joschka
Fischer --in a strongly worded statement to the
Bundestag directed against "the Albanian extremists in
Macedonia"-- has called for "a long-term arrangement,
aimed to make the whole region closer to
Europe." (i.e. free of US encroachment). The German
position is in marked contrast to that put forth by
the US, which requires the Skopje government to grant
amnesty to the terrorists, modify the country's
constitution and incorporate the NLA rebels in
civilian politics:
"The pact reportedly called for the rebels to stop
their fight in exchange for amnesty guarantees. The
rebels would also have the right to veto future
political decisions regarding ethnic Albanian rights. The
accord was reportedly mediated by Robert Frowick, a
former U.S. envoy who currently served as a
Balkan representative for the Organization for
Security and Cooperation in Europe." 21
THE ANGLO-AMERICAN AXIS
The clash between Germany and America in the Balkans
is part of a much broader process which affects
the heart of the Western military-industrial complex
and defence establishment.
>>From the early 1990s, the US and Germany have acted
jointly as NATO partners in the Balkans,
coordinating their respective military, intelligence
and foreign policy initiatives. While maintaining in
their public statements a semblance of political
unity, serious divisions started to emerge in the wake
of the Dayton Accords (1995), as German banks
scrambled to impose the Deutschmark and take over
the monetary system of Yugoslavia's successor states.
Moreover, in the wake of the 1999 war in Yugoslavia,
the US has reinforced its strategic, military and
intelligence ties with Britain, while Britain has
severed many of its ties (particularly in the area of
defence and aerospace production) with Germany and
France.
Launched in early 2000, U.S. Defense Secretary William
Cohen and his British counterpart, Geoff Hoon,
signed a "Declaration of Principles for Defense
Equipment and Industrial Cooperation''. 22 Washington's
objective was to encourage the formation of a
"transatlantic bridge across which the DoD
[US Department of Defense] can take its globalization
policy to Europe."23
The US defence industry --which now includes British
Aerospace Systems (BaeS)-- is clashing with the
Franco-German defence consortium EADS --a conglomerate
composed of France's Aerospatiale Matra,
Deutsche Aerospace, which is part of the powerful
Daimler group, and Spain's CASA. In other words, a
major split in the Western military-industrial complex
has occurred with the US and Britain on one side
and Germany and France on the other.
Oil, guns and the Western military alliance are
intimately related processes. Washington's design is to
eventually ensure the dominance of the US
military-industrial complex in alliance with the
Anglo-American oil giants and Britain's major defense
contractors. These developments evidently also
have a bearing on the control over strategic
pipelines, transport and communications corridors in the
Balkans, Eastern Europe and the former Soviet Union.
In turn, this Anglo-American axis is also matched by
increased cooperation between the CIA and
Britain's MI5 in the sphere of intelligence and covert
operations as evidenced by the role played by
British SAS Special Forces in training KLA rebels.
WAR, "DOLLARISATION" AND THE NEW WORLD ORDER
"Protection" of the pipelines, covert activities and
the recycling of drug money in support of armed
insurgencies, militarisation of strategic corridors,
defence procurement to "Partnership for Peace" (PfP)
countries are all an integral part of the
Anglo-American axis and its quest to dominate oil and gas
routes and transport corridors out of the Caspian sea
basin and from the Black sea across the Balkans.
More generally, what is happening in the broader
region linking Eastern Europe and the Balkans to the
former Soviet republics is a relentless scramble for
control over national economies by competing
business conglomerates. And behind this process is the
quest by Wall Street's financial establishment
--in alliance with the defence and oil giants-- to
destabilise and discredit the Deutschmark (and the
Euro) with a view to imposing the US dollar as the
sole currency for the region.
Control over "money creation" --imposing the rule of
the US Federal Reserve system throughout the
World-- has become a central feature of US
expansionism. In this regard, Washington's
military-intelligence ploy not only consists in
undermining "EU enlargement", it is also intent upon
weakening and displacing the dominion of Germany's
largest banking institutions (e.g. Deutsche Bank,
Commerzbank and WestDeutsche Landesbank) throughout
the Balkans.
In other words, the New World Order is marked by the
clash between Europe and America for "colonial
control" over national currencies. And this conflict
between "competing capitalist blocks" will become
increasingly acute when several hundred million people
from Eastern Europe and the Balkans to Central
Asia start using the Euro as their "de facto" national
currency on January 1st 2002.
See map at
http://www.bsrec.bg/taskforce/SYNERGY/oilprojects2.html
).
NOTES
1 Robert V. Baryiski, The Caspian Oil Regime: Military
Dimensions, Caspian Crossroads Magazine
,Volume 1, Issue No. 2, Spring 1995.
2. Reference to the European Union in this article
should be interpreted as the "European Union minus
Britain".
3 See Albanian Telegraph Agency, Tirana 28 July 1998
and Milsnews, Skopje, 23 January, 1997 available at
http://www.freerepublic.com/forum/a379fb721329c.htm.
4. Milsnews, op cit.
5. See Karen Talbot's incisive analysis: "Former
Yugoslavia: The Name of the Game is Oil, People's
Weekly World, May 2001 at
http://www.ecadre.net/pages/news/stories/990197752.shtml
, see also
Marjorie Cohn, "Pacification for a pipeline:
explaining the US Military presence in the
Balkans, The Jurist, Legal Education Network, June 2001,
http://jurist.law.pitt.edu/forumnew22.htm.
6. George Monbiot, A Discreet Deal in the Pipeline,
The Guardian, 15 February 2001.
7. Richard Giragosian, "Massive Kashagan Oil Strike
Renews Geopolitical Offensive In Caspian", The
Analyst, Central Asia-Caucasus Institute, Johns
Hopkins University-Paul H. Nitze School
of Advanced International Studies, 7 June, 2000,
http://www.soros.org/caucasus/0059.html.
8. See the Trade and Development (TDA) by Region at
http://www.tda.gov/region/sbdi.html.
9. Alexander Gas and Oil Connections,
http://www.gasandoil.com/goc/news/nte04224.htm,
October 2000.
10. Under so-called "asymmetric trade preferences"
with the EU.
11. For further details on the role of Robert Frowick,
see Michel Chossudovsky, "Macedonia:
Washington's Military-Intelligence Ploy". June 2001
12. See AFP, 10 April 2001.
13. According to Pascal Boniface, director of the
Paris Institute of International and Strategic Relations,
UPI, 11 April 2001.
14. For details on CIA-BND support to the KLA see
Michel Chossudovsky, "Kosovo Freedom Fighters
Financed by Organised Crime", Covert Action Quarterly,
Fall 1999 also available at
http://www.heise.de/tp/english/inhalt/co/2743/1.html),
15 Tom Walker, NATO Troops caught in a Balkan Ulster,
Sunday Times, London, 18 March 2001,
16. Ibid.
17. Ibid.
18. See Deutsche Fallschirmj�ger nach Tetovo, Spiegel
Online, 24 March 2001, see also, Bundeswehr
verlegt Soldaten ins Kosovo, Spiegel Online, 23 March
2001.
19. Deutsche Press Agentur, 19 March 2001,
20. Information transmitted to the author from Skopje,
June 2001.
21. Facts on File, World News Digest, 30 May 2001.
22. Reuters, 5 February 2000.
23. The agreement was signed (according to a Pentagon
official quoted in Muradian) shortly after the
creation of British Aerospace Systems resulting from
the merger of BAe with GEC Marconi. British
Aerospace (Bae) was already firmly allied to America's
largest defense contractors Lockheed Martin and
Boeing. For further details see Vago Muradian,
Pentagon Sees Bridge to Europe, Defense Daily, Vol.
204, No. 40 Dec. 01, 1999.
Recent articles by the author on the Balkans:
"Washington Finances Ethnic Warfare in the Balkans",
April 2001, at
http://www.emperors-clothes.com/articles/choss/fin.htm
or
http://www.canadiandimension.mb.ca/extra/x0404mc.htm
"Economic Terrorism", May 2001 at
http://emperors-clothes.com/articles/choss/eco1.htm or
http://alainet.org/active/show_news.phtml?news_id25
.
C Copyright by Michel Chossudovsky, Ottawa, June 2001.
All rights reserved. Permission is granted to
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URGENT APPEAL! 14 JUNE 2001
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Miloshevich and the current Serbian
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report that Mr. Miloshevich was
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Dominik Mandic
Era ``rappresentante ufficiale del Vaticano presso la
Confraternita di San Girolamo: [...] era, inoltre, un alto funzionario
dell'ordine francescano,
poich� ricopriva la carica di economo generale (tesoriere)''
(109). ``Mandic era l'alto funzionario francescano che mise la
stampatrice
dell'ordine a disposizione della Confraternita di San Girolamo in
modo da poter fornire le carte d'identit� false ai fuggiaschi'' (128).
``Padre
Dominik Mandic controllava le finanze dell'istituto di san
Girolamo con notevole destrezza [nella veste di] tesoriere della sezione
ufficiale
croata della Pontificia Commissione di Assistenza Profughi'' e
provvide a riciclare il denaro sporco di sangue degli ustascia
(127-128).
Josip Bujanovic
Sacerdote fascista croato (134) e criminale ricercato (95).
``Durante la guerra era stato il leader ustascia della citt� di Gospic''
(134-135).
``Prese parte al massacro dei contadini ortodossi'' (135).
``Bujanovic abbandon� la Croazia all'arrivo dei comunisti e divenne un
alto ufficiale
krizari'' (135). ``Organizz� il viaggio di Pavelic in Argentina e
poi [sembra che] lo segu� in Sudamerica, prima di stabilirsi
definitivamente in
Australia'', dove oggi vive ancora serenamente (95,135).
I nazisti
Ferenc Vajta
Ferenc Vajta era un ``criminale di guerra ungherese, tirapiedi
nazista'' (76), ``autore di spietati eccidi di massa'' (78).
Prima della guerra aveva studiato alla Sorbona e si era unito alla
loggia Grand Orient, ``specializzata nelle faccende dell'Europa centrale
e
orientale'' e con vedute filofrancesi (62). ``� stato protagonista
attivo della politica clandestina degli emigrati politici sin dal 1932,
quando
cominci� a impegnarsi in questi campi per ordine del Ministero
degli Affari Esteri ungherese'' (73).
Fu ``uno dei principali propagandisti nazisti nei quotidiani
patrocinati dalla Germania'' (71). Inoltre ``aveva lavorato per i
servizi segreti
ungheresi prima della guerra'' (71). ``Tra il 1941 e il 1944, i
governi ungheresi filonazisti avevano inviato spesso Vajta in missioni
speciali,
anche a Berlino, a Istanbul e in numerosi paesi balcanici che,
all'epoca, collaboravano attivamente con i tedeschi'' (71). Nel 1944 fu
promosso
a Console Generale a Vienna (71). Tent� poi di giustificare il suo
collaborazionismo con la necessit� di frenare l'avanzata comunista (71).
Alla fine della guerra fu ``console ungherese a Vienna, inviato
per organizzare il trasloco dell'industria ungherese e stabilire
itinerari di fuga per
i "profughi". [...] Allest� pi� di 7.000 vagoni ferroviari carichi
di macchinari e di pezzi di fabbriche per raggiungere la Germania
occidentale e
salv� dai sovietici la grande maggioranza dei borghesi e degli
aristocratici ungheresi. I francesi scoprirono presto che Vajta era uno
dei pochi
uomini a sapere dove fosse stata trasferita l'industria ungherese.
I francesi erano disperatamente a corto di soldi per finanziare le
operazioni
clandestine e il tesoro rubato di Vajta divenne, nel 1945, la
principale base finanziaria della ripresa d'interesse per l'Intermarium
da parte della
Francia'' (61).
Subito dopo la guerra ``fu preso in una retata del CIC e detenuto
a Dachau. Fortuna volle che uno dei suoi compagni di prigione fosse il
principe
ereditario del Siam; un funzionario inglese venne per liberare
quest'ultimo, e riconoscendo il nome di Vajta fece uscire anche lui''
(70).
Vajta, infatti, era ``considerato troppo prezioso nelle operazioni
di spionaggio da francesi e inglesi, per essere riconsegnato al governo
del suo
paese'' (71). E infatti nel 1945 ``fu assoldato dal Deuxi�me
Bureau e dall'Alto Comando Francese in Austria'' (62). Lavor� ``per pi�
di due
anni sia coi servizi segreti francesi sia con quelli inglesi,
organizzando due movimenti clandestini contro i russi'' (61). Sotto la
direzione
francese prima e inglese poi, fu il principale organizzatore
dell'Intermarium (62).
Il 10 aprile 1947, Vajta fu arrestato a Roma dalle autorit�
italiane, ``ma il 26 aprile venne rilasciato, malgrado si trovasse sulla
lista ufficiale dei
criminali di guerra e l'Italia dovesse consegnarlo come tale alle
autorit� straniere. [...] Il rilascio di Vajta era stato congegnato da
Pecorari,
segretario generale della Democrazia Cristiana [e vicepresidente
dell'Assemblea costituente] e da Insabato, capo del Partito Agrario
Italiano''
(69).
In seguito cerc� di ottenere l'appoggio degli Stati Uniti
all'Intermarium, e nel mese di luglio fu assoldato dal CIC (70). Aveva
``eccellenti
contatti in Vaticano, in Inghilterra, in Francia e in Spagna''
(73). Inoltre ``conosceva personalmente il generale Franco, il ministro
degli esteri
spagnolo Artajo e il cardinale primate di Spagna'' (74).
Nel 1947, Vajta intraprese un viaggio segreto con Casimir Papee,
``uno straordinario diplomatico polacco [...] presso la Santa Sede dal
1939,
[...] un autorevole membro dell'Intermarium [che aveva]
collegamenti con i servizi segreti occidentali. [...] Nel corso del loro
viaggio i due
s'incontrano con funzionari dei servizi segreti inglesi e
francesi'' (73-74).
A seguito di pressioni da parte del governo ungherese, la polizia
italiana emise un mandato d'arresto nei confronti di Vajta (73). Il 3
settembre,
al ritorno dal suo viaggio con Papee, l'ungherese fu avvisato
``del suo imminente arresto. [...] Vajta si rec� immediatamente a
Castelgandolfo,
la residenza estiva del Pontefice.'' La mattina del giorno
successivo pot� tornare impunemente a Roma, grazie alle sue potenti
amicizie:
``Alcide De Gasperi, che era anche primo ministro, aveva
personalmente garantito per la [sua] salvezza.'' Inoltre egli aveva
ottenuto dei
documenti falsi, rilasciati dai francesi. A Roma ottenne una breve
ospitalit� ``presso un padre gesuita ungherese nell'Universit�
Gregoriana
Gesuita'', e scapp� poi per Livorno con l'agente del CIC Gowen,
per poi scappare in Spagna (74).
Da quell'anno, si mise a lavorare per gli americani al progetto
dell'Unione Continentale (74-75). Il 16 dicembre 1947 arriva a New York
``con
un visto emesso dal consolato americano a Madrid e contrassegnato
dalla dicitura "Diplomatico"'' (76). Negli USA, Vajta incontr� ``il
cardinale Spellmann, il leader gesuita padre La Farge e un gran
numero di capi politici emigrati'' allo scopo di ``procurarsi appoggi
per l'Unione
Continentale'' (77).
La visita di Vajta non pass� inosservata, e grazie all'intervento
dei due noti giornalisti Drew Pearson e Walter Winchell ``il governo fu
sommerso dalla pubblicit� negativa'' (77). ``Vajta fu
immediatamente arrestato, e il 3 febbraio 1948 gli ungheresi chiesero la
sua
estradizione.'' ``Gli americani non volevano restituirlo
all'Ungheria'' e finalmente fu ``cacciato dagli Stati Uniti nel febbraio
del 1950 [e] dopo
il rifiuto da parte di Italia e Spagna di raccoglierlo, and� in
Colombia'' (77).
``Il Vaticano intervenne e fece in modo che la Colombia lo
accettasse e che un piccolo collegio cattolico situato laggi� lo
impiegasse. Trascorse il
resto della sua vita a Bogot� come professore di economia'' (78).
Walter Rauff
Criminale di guerra, capo della Gestapo nella Repubblica di Sal� e
terminale milanese della rete di fuga del vescovo Hudal nel dopoguerra.
Partecip� direttamente allo sterminio degli Ebrei, mettendo a
punto un'innovativa tecnica di morte:
``A seguito dell'angoscia provata da Himmler [ministro degli
interni] nell'assistere a una fucilazione di massa di ebrei a Minsk nel
1941, Rauff
aveva diretto lo svolgimento del programma per la messa a punto di
furgoni a gas mobili'' nei quali morirono ``circa centomila persone, per
la
maggior parte donne e bambini dell'Europa orientale'' (41).
``In seguito alla caduta del regime di Mussolini, nel settembre
del 1943 Rauff fu inviato in Italia settentrionale, dove prest� servizio
presso le
SS nella zona intorno a Genova, Torino e Milano. Ancora una volta
il suo incarico era quello di sterminare la popolazione ebrea'' (41).
Nella primavera del 1943, il vescovo Hudal ``entr� in contatto con
questo famigerato autore di stragi'', incontrandolo a Roma, dove Rauff
era
stato mandato dal suo superiore Martin Borrmann per sei mesi
(41-42). ``In quei mesi furono stabiliti i primi contatti col Vaticano,
che
avrebbero portato, infine, all'istituzione da parte di Hudal di
una rete per l'espatrio clandestino dei criminali nazisti'' (42).
``Con l'aiuto di Rauff, i pi� alti funzionari della Wehrmacht
nell'Italia settentrionale [ed in particolare l'Obergruppenf�hrer Karl
Wolff]
intrapresero una serie di negoziati segreti per la resa. Allen
Dulles, il capo del servizio segreto americano in Svizzera, concluse la
resa con le
forze tedesche con l'aiuto di intermediari del Vaticano. A questi
negoziati venne dato il nome in codice di "operazione Sunrise" e, anche
se non
abbreviarono la guerra, gli ufficiali nazisti che vi parteciparono
sfuggirono ad una dura pena'' (46).
Sull'operazione Sunrise, Il Secolo Corto ci fornisce ulteriori
particolari (cap. 15).
L'operazione era condotta ufficialmente ``per risparmiare inutili
morti'', ma il suo scopo reale era invece ``di evitare che fossero i
partigiani
democratici italiani a conseguire la vittoria sull'esercito
tedesco, poich� ci� avrebbe rafforzato il loro potere.'' I contatti fra
Dulles e Rauff
erano cominciati ``gi� all'inizio del gennaio 1945. Nel marzo
dello stesso anno, le trattative fra OSS e SS erano giunte a un punto
talmente
avanzato da giustificare una prova concreta di buona fede da parte
tedesca. Il 3 marzo Walter Rauff ebbe un incontro a Lugano con Dulles.
[...]
L'incontro [...] serv� per organizzare il rilascio dei prigionieri
americani e inglesi che si trovavano nelle mani della Gestapo in Italia.
Le
trattative proseguirono poi a ritmo serrato.'' A met� aprile
``Wolff si rec� in Svizzera contando sulla sua reputazione personale
presso gli
anglo-americani per ottenere garanzie da parte di Dulles che "gli
elementi idealisti e rispettabili dell'esercito, del partito, e delle SS
avrebbero
potuto svolgere una parte attiva nella ricostruzione della
Germania". Non si trattava quindi soltanto della resa delle truppe
tedesche nell'Italia
settentrionale, ma di qualcosa che implicava una connivenza futura
con i quadri qualificati del nazismo. Dulles concesse in pratica
un'amnistia
ufficiosa alle SS. Quasi una pace separata, comprendente non solo
la salvaguardia della vita, ma anche la libert� personale e la
protezione
dell'espatrio verso luoghi lontani e sicuri.''
``Quando, il 29 aprile del 1945, l'esercito tedesco si arrese,
Rauff ottenne un falso passaporto a nome di Carlo Comte e affitt� un
appartamento
a Milano. Poi prese la sua copia dei documenti della polizia
segreta di Mussolini, che comprendevano le liste degli iscritti al
partito fascista, e
la seppell� di nascosto fuori citt�. Sapeva che quei documenti si
sarebbero rivelati molto utili nei mesi a venire e la sua previsione si
dimostr�
corretta. Il giorno seguente, tuttavia, Rauff venne arrestato
dagli americani e rinchiuso nella prigione di San Vittore a Milano. Nel
giro di alcune
ore, arriv� un sacerdote e fece in modo che l'ufficiale tedesco
venisse trasferito in un ospedale dell'esercito americano'' (46).
``Rauff venne rilasciato per essere affidato alla custodia della
"S Force Verona", un'unit� dell'OSS che operava con la squadra di
controspionaggio speciale anglo-americana in Italia, comandata da
James Jesus Angleton. Tra le altre cose, la S Force era l'equivalente
occidentale della sezione anticomunista di Rauff durante la
guerra'' (46).
NOTA: Angleton e Dulles divennero in seguito, rispettivamente,
capo del controspionaggio e direttore della CIA, e mantennero per tutta
la
durata della loro carriera il controllo esclusivo sui collegamenti
tra i servizi segreti americani ed il Vaticano (47).
Rauff fu rilasciato dopo un lungo interrogatorio sulle attivit�
anticomuniste della Gestapo (47). Monsignor Giuseppe Bicchierai,
segretario del
cardinale di Milano Schuster, ``organizz� le cose in modo tale che
questi potesse starsene nascosto nei conventi della Santa Sede'' (46).
``Rauff prese contatto con l'arcivescovo di Genova Siri e and�
immediatamente [a Milano] a lavorare per il Vaticano alla creazione di
un
sistema per far fuggire clandestinamente i nazisti'' (47).
Secondo Il Secolo Corto, dal 1945 al 1949 Rauff, agendo per conto
dei servizi segreti americani ``sotto la copertura di un'organizzazione
di
aiuto ai rifugiati gestita dal Vaticano, avrebbe fatto partire
clandestinamente verso asili sicuri pi� di 5.000 fra agenti della
Gestapo e SS.''
Nel 1949 Rauff lascia l'Italia per il Sud America, senza neanche
prendere la precauzione di usare documenti falsi: il nome sul passaporto
era
infatti proprio il suo. Visse tranquillamente in Cile, paese che
ne neg� l'estradizione anche dopo che fu eletto il socialista Salvador
Allende.
Franz Stangl
Fu comandante del campo di sterminio di Treblinka (33). Verso la
fine della guerra fu trasferito in Jugoslavia a combattere contro i
partigiani
(34). Catturato dagli americani, dal 1945 al 1947 fu rinchiuso nel
campo di prigionieri di guerra di Glasembach. Intorno al Natale 1947 gli
americani lo consegnarono agli austriaci, che lo trasferirono a
Linz. Da qui evase nel maggio successivo, e si incammin� verso Roma
(34).
``Dopo essere giunto a Roma, si mise alla ricerca del vescovo
Alois Hudal, [il quale gli procur�] un alloggio a Roma, [...] gli diede
[...] denaro,
[...] un passaporto della Croce Rossa, [...] un visto d'entrata in
Siria, un posto in una fabbrica di tessuti a Damasco, e un biglietto per
la nave''
(34-35).
Fugg� insieme a Gustav Wagner e ``alla fine giunsero in Brasile
entrambi e lodarono il vescovo Hudal per l'aiuto che aveva offerto
loro'' (36).
Stangl fu catturato definitivamente da Simon Wiesenthal nel 1967
in Brasile (35-36). Nel 1970 venne condannato all'ergastolo in Germania,
e
mor� in carcere un anno dopo.
Gustav Wagner
Comandante del campo di concentramento di Sobibor durante la
guerra (36). Arrestato, fugg� dalle prigioni alleate e percorse insieme
a Franz
Stangl la strada per Roma. Fugg� infine in Brasile grazie
all'opera caritatevole del vescovo Hudal (36).
Alois Brunner
``Uno degli ufficiali pi� spietati che portarono a compimento il
programma di deportazione degli ebrei'', riusc� a fuggire ``attraverso
la rete
ordita dal Vaticano per permettere la fuga dei nazisti'' (36).
``Fugg� a Damasco, in Siria, dove vive ancora sotto il nome di
dottor George Fischer, [...] impunito per le centinaia di migliaia di
vittime che
invi� a Stangl e Wagner affinch� le processassero'' (36).
Adolf Eichmann
``Principale artefice dell'olocausto'' nella veste di ``capo del
Dipartimento per gli affari ebrei'' (36).
Nel 1950, Hudal gli forn� ``una nuova identit�, quella del profugo
croato Richard Klement e lo mand� a Genova. L� Eichmann [...] fu
nascosto in
un monastero, sotto il controllo caritatevole dell'arcivescovo
Siri, prima di essere fatto fuggire clandestinamente in Sudamerica''
(36).
``La Caritas ha pagato tutte le spese di viaggio per permettere a
Eichmann di raggiungere il Sudamerica'' (37).
``Alla fine, Eichmann fu rintracciato in Argentina dal servizio
segreto israeliano, rapito, processato e giustiziato a Gerusalemme nel
1962''
(36).
(5/6 - continua)
---
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"On 16 June, at 16:00 hours, the Socialist Party of Serbia
(SPS) plans to stage a rally in Trg Republike.
If the gathering reaches about 30,000, the organizers may
march from Trg Republike to the Central prison.
International agencies based in Belgrade are recommended
to exercise caution on 16 June at the timing indicated and to
avoid being in the center of town at that time". unquote
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In applicazione dei diktat del sistema finanziario globale, che impone
la ristrutturazione drastica delle imprese statali e parastatali e la
loro veloce privatizzazione ovvero svendita al capitale monopolistico
transnazionale, circa 5000 addetti delle banche jugoslave perderanno il
lavoro nelle prossime settimane.
A chi gli chiedeva se se ne fosse reso conto e come intendesse reagire
al malcontento, il Governatore della Banca Centrale di Jugoslavia
Mladjan Dinkic - membro del "Gruppo G17", appoggiato dal FMI e dalla
"sinistra" italiana antimilosevic - ha risposto laconico: "Saremo
inesorabili".
DINKIC:WE WILL BE INEXORABLE
BELGRADE, June 13 (Tanjug) National Bank of Yugoslavia governor
Mladjan Dinkic said Wednesday that on June 15 will start preparations
for
interventions in the domestic banking system within the reconstruction
process, so that on July 1 it will be know which banks are "good" and
which are "bad."
Dinkic said at a working meeting with journalists, on the topic
"Strategy of reconstruction of the banking system," highlighted the fact
that 28 banks whose recovery is uncertain employ over 20,000 people,
while
the entire Yugoslav banking sector has about 24,000 employees.
The governor assessed that in the process of consolidation of
banks about 5,000 employees will lose their jobs.
Asked whether he was aware of possible political pressure on the
National Bank of Yugoslavia and on him as governor, not only because of
the
liquidation of banks but also because of protests of people who will be
left without jobs, Dinkic underlined that the process of recovery and
return of confidence in the domestic banking system must be carried out
without compromise, and warned: "we will be inexorable."
---
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I krizari
Il motivo per cui il Vaticano ed i servizi segreti occidentali
lasciarono fuggire gli ustascia era la necessit� di sconfiggere il
nemico "ateo bolscevico", creando un movimento di resistenza
clandestino per far scoppiare un'insurrezione nella neonata
Jugoslavia di Tito.
Oltre al compito di aiutarli a scappare, nel dopoguerra Draganovic
aveva anche ``quello di coordinare e dirigere l'attivit� degli ustascia
in Italia'' (108).
Poche settimane dopo la conclusione della guerra, il 25 giugno 1945,
gli ustascia si erano messi in contatto con la missione papale a
Salisburgo, nella zona dell'Austria controllata dagli Stati Uniti (60).
``Chiedevano l'assistenza del papa per creare un altro Stato croato
indipendente, o almeno un'unione adriatico-danubiana in cui la
Croazia, secondo le leggi di natura, avrebbe la possibilit� di
svilupparsi'' (60).
``Uno degli ecclesiastici che maggiormente si impegnarono ad
aiutare gli ustascia fu l'arcivescovo di Salisburgo Andreas
Rohracher [il quale] mise la Chiesa a disposizione della
Confederazione Pandanubiana dell'Intermarium'' (136).
I servizi segreti occidentali conoscevano benissimo queste trame, ed
un rapporto dei servizi segreti USA di quegli anni lo riassumeva con
le seguenti parole: ``Stanno tentando di istituire lo Stato
Intermarium o Inter-Danubio, composto da tutte le nazioni
cattoliche dell'Europa sudorientale'' (149). Anche ``importanti
politici e burocrati italiani aiutavano le operazioni terroristiche dei
krizari'' (135).
Nel 1945 gli ustascia formularono ``l'offerta di mettersi a
disposizione del comando anglo-americano. [...] Gli inglesi avevano
accettato immediatamente questa offerta'' (136).
``Sia gli inglesi sia, in un secondo momento, gli americani avevano
assoldato quegli stessi nazisti che venivano protetti dalla Chiesa''
(128) per ``colpire con azioni terroristiche bersagli strategici e
uomini al servizio dei comunisti'' all'interno della Jugoslavia (129).
``Questi agenti venivano presi dalle fila degli ustascia sconfitti di
Pavelic. Riandando ai giorni della cristianit� militante, il poglavnik
chiam� questi guerrieri cattolici "krizari", ossia i suoi crociati''
(129). Tale nome derivava da quello di un gruppo ecclesiastico
ufficiale degli anni Trenta, denominato anch'esso "krizari" (145).
``Il distaccamento del CIC a Trieste riceveva informazioni sulle
operazioni che inglesi e americani dovevano compiere
congiuntamente, tra cui una campagna di reclutamento patrocinata
dagli alleati al fine di procacciare volontari per il movimento
krizari. Molti di questi volontari erano gi� stati portati in un campo
di addestramento americano ad Udine o l� vicino, dove ricevevano la
preparazione necessaria. Venivano dati loro approvvigionamenti e
uniformi dell'esercito americano, pi� 700 lire al giorno di paga.
Alla fine del loro addestramento, gli uomini venivano muniti di armi
americane e portati in Austria, dai cui confini entravano in territorio
jugoslavo. Potevano utilizzare i campi inglesi in Austria, nei quali si
ritiravano periodicamente per riposarsi'' (145).
Uno dei principali collegamenti americani con la ratline di
Draganovic ``durante gli anni 1946-47 [era] il colonnello Lewis
Perry, [che] faceva parte del distaccamento del CIC a Trieste''
(145-146). Costui manteneva rapporti in particolare con Srecko
Rover (146).
``Pavelic e Draganovic collaboravano strettamente, impartendo di
comune accordo i loro ordini ai gruppi terroristici'' (132). ``Pavelic
e i camerati pi� vicini a lui s'incontravano regolarmente con
elementi simpatizzanti delle forze armate inglesi, che avevano
pagato per la riorganizzazione unitaria degli ustascia da usare, alla
fine, contro Tito'' (136).
``I rifornimenti militari ai krizari provenivano quasi esclusivamente
dagli inglesi e comprendevano mortai, mitragliatrici, fucili
mitragliatori, radio ricetrasmittenti da campo e uniformi di fattura
inglese'' (136-137). In Vaticano si trovava ``il centro del comando.
Gli aiuti [...] armi e altri rifornimenti di base arrivavano dal
Vaticano con metodi clandestini. [...] Le armi che giungevano in
Croazia provenivano dalla Svizzera'' (137).
Il finanziamento del movimento avveniva attraverso le operazioni di
riciclaggio di denaro sporco di sangue proveniente dal furto nei
confronti degli ebrei e dei serbi durante la guerra; inoltre
``attraverso figure molto influenti in ambito ecclesiastico, il
comando dei krizari riceveva dei fondi vaticani. Alcuni furono usati
per indurre il governo italiano di Alcide de Gasperi a fornire le armi
richieste per la loro crociata contro Tito'' (143).
``Il colonnello dei krizari Drago Marinkovic [...] aveva la
responsabilit� di procurarsi armi e fondi di provenienza italiana,
viaggiando in lungo e in largo per le missioni tra Trieste, Venezia e
Roma. Inoltre Marinkovic aveva contattato il Vaticano a Roma, dove
[era] riuscito ad ottenere una grossa somma di denaro. [...] Questi
soldi servirono per procurarsi delle armi: [...] un camion con
rimorchio che trasportava fucili mitragliatori nascosti tra pezzi di
mobilio [fu consegnato ad] un gruppo di persone in attesa di portare
le armi in Jugoslavia'' (143).
``I criminali comuni, soprattutto spacciatori di droga e operatori del
mercato nero, venivano spesso utilizzati per aiutare i krizari ad
attraversare il confine jugoslavo'' (145). Il traffico delle armi
avveniva ``dietro la copertura della Croce Rossa Italiana'' (145).
A dicembre 1945 ``padre Ivan Condric e altri quattro preti furono
riconosciuti colpevoli di aver organizzato le azioni terroristiche dei
krizari'' (131). Si trattava del primo processo contro i krizari in
Jugoslavia: in seguito ne vennero altri.
``Nell'agosto del 1946, una quantit� considerevole di opuscoli venne
gettata sul territorio croato da alcuni aeroplani, decollati, a quanto
pare, dalla zona inglese dell'Austria. Questi opuscoli, firmati da
Pavelic, dichiaravano che la guerra sarebbe continuata senza tregua
fino alla definitiva eliminazione di Tito [...]'' (136).
Negli anni 1946-47, i krizari si infiltrarono in Croazia a partire
dalle loro basi in Austria: ``i loro ordini erano di rafforzare il
movimento clandestino e di lanciare una violenta campagna di
assassinii e sabotaggi, per prepararsi al momento in cui avrebbero
finalmente regolato i conti coi loro vecchi nemici. Il loro scopo era
quello di ricongiungersi coi potenti reparti che operavano
sull'impervio terreno, distruggere le comunicazioni telegrafiche,
telefoniche e ferroviarie, attaccare l'industria e assassinare i pi�
importanti rappresentanti politici e militari. Invece di trovare un
movimento clandestino ben organizzato di 300.000 uomini,
s'imbatterono presto nell'efficiente e spietata polizia segreta di Tito.
A pochi giorni, se non addirittura a poche ore, dal superamento del
confine, la maggior parte di loro si ritrov� in mano ai comunisti''
(130-131).
Tra di loro ``c'erano alcune persone che avevano eseguito le stragi
pi� brutali per conto di Ante Pavelic, uomini che avevano messo in
atto i sanguinosi metodi politici e razziali del loro poglavnik con
incredibile accanimento'' (130).
``Il contatto radio era mantenuto mediante una radio da campo fatta
funzionare da Vrancic [...] e situata nella zona inglese dell'Austria.
Si ritiene che al servizio di corriere ustascia all'interno delle zone
austriache collaborasse la Chiesa cattolica romana in Austria [e in
particolare] il cardinale di Graz'' (133).
``L'uomo al comando delle operazioni era uno dei pi� fedeli
servitori del poglavnik, Bozidar Kavran, assistito da Lovro Susic''
(134).
``Gli Sloveni avevano istituito la loro sezione del movimento
krizari'' sotto la leadership spirituale del vescovo di Lubiana
Rozman, che si era rifugiato a Klagenfurt (137-138). Il capo dei
krizari sloveni era Franjo Lipovec (143). ``Nel 1945 [Lipovec] fu
arrestato dal SIS a Trieste, dove [...] fu assunto e stipendiato'' dal
servizio segreto inglese (143).
``Lipovec costituiva il principale legame tra i krizari e il governo
italiano. Nell'agosto 1946, s'incontr� con alti ufficiali del servizio
segreto militare italiano, i quali proposero di stabilire un certo
grado di collaborazione. Lipovec accett� la loro offerta e vendette
completamente se stesso e i suoi piani agli italiani. Tali piani
vennero a loro volta forniti al capo di gabinetto di De Gasperi e, in
seguito, il presidente del Consiglio italiano assicur� a Lipovec che il
suo governo avrebbe fatto, in via ufficiosa, qualsiasi cosa in suo
potere per rafforzare l'opposizione a Tito, promettendogli un
appoggio incondizionato nel caso in cui la situazione si fosse fatta
pi� favorevole.
Con il sostegno finanziario dei servizi segreti italiani, Lipovec e i
suoi camerati lanciarono quindi una campagna di propaganda per
procurarsi nuove reclute tra gli esuli politici a Trieste. Il passo
successivo fu quello di armare le unit� di krizari che si trovavano
nella zona e, dopo diversi incontri col servizio segreto italiano,
Lipovec raggiunse un accordo secondo cui armi provenienti dai
depositi dell'esercito italiano sarebbero state messe a sua
disposizione per essere inviate ad elementi krizari che si trovavano a
Trieste. Nei mesi di febbraio e marzo del 1947, secondo l'accordo,
[...] furono consegnati otto carichi d'armi, che comprendevano 500
armi automatiche, circa 4.000 granate a mano, 100 pistole e pi� di
30 bombe a orologeria. I servizi segreti italiani pagarono le spese di
trasporto per portare le armi fuori dalla zona alleata di Trieste fino
in Jugoslavia'' (143-144).
``Trieste [che si trovava sotto l'amministrazione militare degli
inglesi] rappresentava il punto d'incontro tra le forze di resistenza
all'interno della Jugoslavia e le forze che le stavano finanziando,
controllando e dirigendo in Italia. Il principale collegamento era
costituito dal professor Ivan Protulipac, [...] l'uomo di padre
Draganovic a Trieste'' (144-145). Protulipac ``dopo la guerra
assunse un ruolo di primo piano [...] finch� verso la fine del 1946 gli
agenti comunisti non lo assassinarono a Trieste'' (145).
``La sezione croata della Croce Rossa fondata da Cecelja era, in
effetti, sotto il controllo degli ustascia, che ne utilizzavano i vari
uffici come agenzia per la raccolta di informazioni per operazioni
clandestine in Jugoslavia e in Austria. Inoltre Cecelja era noto come
uno dei principali organizzatori ustascia in Austria, dove [venivano
organizzati] regolarmente raduni militari'' (104).
Una delle loro basi era a Trofaiach (Austria), ed era diretta da
Bozidar Kavran e Srecko Rover (146). Quest'ultimo fu
successivamente sospettato di essere una spia di Tito, in quanto tutte
le operazioni da lui dirette si rivelarono disastrose: i suoi uomini
venivano regolarmente arrestati appena mettevano piede in
Jugoslavia, mentre lui la scampava sempre (147-148).
``Tanti dei criminali di guerra che vennero [tratti in salvo dalla rete
di Draganovic] furono catturati in seguito durante missioni
terroristiche compiute all'interno della Jugoslavia'' (121).
In luglio ed agosto del 1948, si tenne a Zagabria un processo
giudiziario contro 57 imputati, per gli atti di terrorismo compiuti
dai krizari. ``Il verdetto, dichiarando colpevoli gli imputati, li
condannava a morte o a lunghi periodi di carcere'' (130).
In Ratlines, il procedimento viene chiamato sarcasticamente
"processo pilotato", e viene manifestato chiaramente il disprezzo
degli autori nei confronti della Jugoslavia di Tito. Dopo sei pagine di
denigrazione del processo, tuttavia, gli autori arrivano alla seguente
conclusione:
``� possibile che le strane accuse fatte dagli jugoslavi
durante il "processo pilotato" ai krizari avessero,
dopotutto, una certa sostanza'' (137).
Il Foreign Office smentiva le accuse che gli venivano formulate al
processo, accusando invece l'alleato americano; tuttavia ``dietro la
rinascita militare e politica degli ustascia c'era proprio il SIS''
(132).
``Nel 1948 le prove presentate durante il processo pilotato ai krizari
lasciarono ben pochi dubbi sul fatto che la polizia segreta comunista
si fosse servita di agenti doppiogiochisti per condurre una
contro-operazione molto sofisticata. Erano riusciti in qualche modo
a procurarsi i codici radio segreti usati dai krizari ed erano
informati, con buon anticipo, sui dettagli precisi delle loro
operazioni. Conoscevano gli itinerari esatti adoperati dai gruppi che
cercavano di entrare clandestinamente in Jugoslavia, come pure la
data e l'ora del loro ingresso nel paese. Grazie a questi vantaggi, era
facile per la polizia segreta attirare i krizari inconsapevoli nelle
loro
mani, servendosi dei loro stessi codici radio. Una volta all'interno
del paese, potevano catturarli quando volevano.
[...] Nonostante questi terribili rovesci, le operazioni proseguirono e
si estesero addirittura in altri paesi comunisti. Per tutti gli anni
Cinquanta, fino agli inizi degli anni Sessanta, il governo jugoslavo
continu� a processare gli agenti catturati, molti dei quali erano
presumibilmente finanziati da padre Draganovic e agivano dietro
suoi ordini'' (148-149).
``Altri eserciti cattolici clandestini erano stati radunati per
disgregare e, se possibile, rovesciare i regimi comunisti dell'Europa
centrale e orientale. In Cecoslovacchia, in Polonia, negli Stati
Baltici e in Ucraina gruppi di nazisti clandestini operavano a stretto
contatto con i krizari. [Fra i] complici dei krizari c'erano famigerati
[fascisti ucraini, sotto il comando di] Stjepan Bandera, per costruire
[...] il Blocco delle Nazioni Anti-bolsceviche. Cominciarono presto a
lavorare per l'occidente'' (149).
Riciclaggio di denaro sporco (di sangue)
Oltre a nascondere i fuggiaschi ed a impiegarli nel terrorismo, alcuni
funzionari ecclesiastici riciclavano i tesori rubati dai nazisti alle
loro
vittime (32). Erano coinvolte nelle operazioni numerose ``banche
situate in Gran Bretagna, in Palestina, in Italia e in Svizzera.''
Inoltre Walter Rauff, dopo aver preso contatto con l'arcivescovo Siri
``si impegn� a riciclare denaro falso con l'aiuto di Frederick
Schwendt, un ex-collega di Rauff nelle SS. Schwendt � considerato
tra i pi� grandi falsari della storia'' (47).
``Con l'aiuto dei preti cattolici, all'inizio del 1944 Pavelic aveva
cominciato a trasferire [a Berna] notevoli quantit� d'oro e di
valuta.'' Il tesoro doveva ammontare a 2500-3000 kg di oro (142),
``ossia in realt� i valori delle vittime assassinate da Pavelic, rubati
dagli ustascia in fuga'' (127-128).
Una parte del tesoro fu portata a Roma con dei camion dal tenente
colonnello inglese Jonson. ``Due autocarri [...] che trasportavano
una parte del tesoro degli ustascia avevano [...] raggiunto l'Austria''
e furono trasferiti in Italia ``per finanziare il movimento croato di
resistenza in Jugoslavia'' (133).
Inoltre, ``a Wolfsber erano stati nascosti 400 kg d'oro, del valore di
milioni di dollari, nonch� una considerevole quantit� di valuta
straniera, e l� si trovavano sotto il controllo dell'ex-ministro
ustascia Lovro Susic.'' Gli ufficiali ustascia ``dissero a Draganovic
di tenere [il tesoro] al sicuro. Il sacerdote obbed� fin troppo
volentieri; contatt� Susic e, con il suo accordo, prese 40 kg di
lingotti d'oro e li port� a Roma, nascosti in due casse da
imballaggio'' (133).
``Susic nomin� Draganovic membro di un comitato di tre persone
incaricato di controllare il tesoro. [Gli altri due erano]
l'ex-ministro ustascia Stjepan Hefer e il generale di gendarmeria
Vilko Pecnikar'' (134). Draganovic ``consent� a Pecnikar di avere
accesso al tesoro accumulato per la sua ratline. [...] Parte di quel
tesoro and� a finanziare anche una nuova campagna terroristica,
appoggiata dall'occidente, all'interno della Jugoslavia'', ossia il
movimento dei krizari (112).
Nella veste di ``tesoriere della sezione ufficiale croata della
Pontificia Commissione di Assistenza Profughi [padre Mandic]
provvedeva alla vendita dell'oro, dei gioielli e della valuta straniera
depositati dagli alti ufficiali ustascia in cambio di valuta italiana''
(127-128).
Nei primi mesi del 1948 il vescovo di Lubiana Rozman si rec� a
Berna, dove ``2400 kg d'oro e altri valori rimanevano ancora
nascosti. [...] Avrebbero dovuto essere usati per aiutare i profughi di
religione cattolica'', il solito eufemismo per dire gli ex-ustascia.
Gli alleati, e in particolare gli americani, erano perfettamente a
conoscenza dell'esistenza di questo tesoro (142). ``Gli amici ustascia
di Rozman erano impegnati in un'enorme truffa, in cui ci si serviva
del mercato nero per convertire l'oro in dollari e, pi� tardi, in
scellini austriaci'' (142).
(3/6 - continua)
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I personaggi
I preti
papa Pio XII (Eugenio Pacelli)
Fu papa dal 1939 al 1958, era un fervente anticomunista, e a
causa delle sue posizioni politiche veniva detto "il papa
tedesco" (54). Durante la guerra appoggi� la Croazia di Ante
Pavelic (82-83). Era perfettamente al corrente delle ratlines
organizzate da Hudal e Draganovic, in quanto era tenuto al
corrente da Montini (122,126).
Giovanni Montini, il futuro papa Paolo VI
Assistente personale di papa Pio XII nella veste di
sottosegretario di Stato per gli affari ecclesiastici (25-26).
Durante la guerra fu coinvolto nelle trattative fra nazisti e
occidente (25) e fu organizzatore, per conto del papa, del
Servizio Informazioni del Vaticano (il servizio segreto
vaticano) (26).
Fu lui a rifiutare l'udienza a Bokun, inviato dalla monarchia
jugoslava per trasmettere al Vaticano le prove delle atrocit� di
Pavelic, malgrado che ``non ci fossero dubbi che Montini fosse
ben informato sulla reale situazione'' (82).
Aiut� e collabor� con Hudal per l'organizzazione della fuga
dei nazisti (43). Era anche l'amico di Draganovic (67,94).
Questi talvolta ``chiedeva a Montini di procurarsi pi� visti da
paesi che non ne emettevano in numero adeguato, e il
burocrate vaticano intercedeva presso i diplomatici
competenti'' (125). Altre volte, invece, era Montini a chiedere
a Draganovic di ``far espatriare clandestinamente certa
gente'' (125). Era sempre Montini che nascondeva Ante
Pavelic a Castel Gandolfo (87).
``In quel periodo Montini era il prediletto del papa e dirigeva
l'opera caritatevole della Santa Sede a beneficio dei profughi.
Dato che i due prelati s'incontravano quotidianamente per
parlare del lavoro che la Segreteria di Stato doveva svolgere, �
inconcepibile che Pio XII fosse all'oscuro di tutto'' (126).
Alois Hudal
Vescovo austriaco, amico di Pio XII (40), antisemita convinto
(55), e principale organizzatore della rete di fuga (ratline) per i
criminali di guerra tedeschi nell'immediato dopoguerra.
``Nato il 31 maggio 1885, divenne professore di studi
sull'Antico Testamento all'Universit� di Graz nel 1919.
Quattro anni pi� tardi, Hudal si trasfer� a Roma come rettore
del Pontificio Collegio di Santa Maria dell'Anima, situato su
una strada che paradossalmente si chiama Via della Pace''
(37).
In tale veste, durante la guerra il vescovo aveva ``prestato
servizio come commissario dell'episcopato per i cattolici di
lingua tedesca in Italia [e] come padre confessore della
comunit� tedesca a Roma'' (37).
Il Pontificio Collegio, uno dei tre seminari per preti tedeschi a
Roma (34), ``era stato fondato nel XVI secolo per la
formazione teologica dei preti tedeschi, ma nel dopoguerra
divenne un centro nevralgico per l'espatrio clandestino dei
nazisti'' (37).
Hudal ``era un ardente anticomunista, convinto che la vera
minaccia per l'Europa fosse rappresentata dal bolscevismo
ateo. Era perci� favorevole al raggiungimento di un accordo
con i nazionalsocialisti tedeschi, che rappresentavano l'unica
potenza abbastanza forte da sconfiggere i comunisti. [...]
Riteneva che questa fosse una lotta di importanza vitale per la
Chiesa, una lotta che avrebbe deciso chi, fra il comunismo e la
cristianit�, sarebbe alla fine sopravvissuto'' (37-38).
``All'inizio degli anni Trenta [...] appoggi� apertamente
Hitler, viaggiando in molte zone dell'Italia e della Germania
per arringare le grandi folle di cattolici di lingua tedesca''
(37).
``Pensava di essere stato chiamato da Dio per stabilire dei
rapporti fra i nazisti e la Chiesa Cattolica'' (37).
Nell'aprile 1933 negozi� con Franz von Papen, il
vicecancelliere di Hitler, il concordato tra Berlino e la Santa
Sede. ``Prima della fine di quello stesso anno divenne
senz'altro l'alleato politico di von Papen e fu da lui consultato
immediatamente dopo il fallito putsch nazista in Austria''
(38).
``Nel 1936 pubblic� un trattato filosofico intitolato I
Fondamenti del Nazionalsocialismo'', libro che ottenne
l'imprimatur (ossia il permesso ufficiale della Chiesa per la
pubblicazione) da parte del primate della Chiesa austriaca, il
cardinale filonazista Theodore Innitzer (38). ``Il cardinale lo
approv� calorosamente come prezioso tentativo di pacificare
la situazione religiosa del popolo tedesco'' (38-39).
Il libro fu bandito dal ministro tedesco della propaganda
Joseph G�bbels, il quale ``non permetteva che i fondamenti del
movimento venissero analizzati e criticati da un vescovo
romano'' (39). Ciononostante, Hudal rimaneva ben visto alla
gerarchia nazista, e ``portava un distintivo d'oro di
appartenenza al partito di Hitler'' (39). Inoltre se ne andava
``orgogliosamente in giro per Roma con il vessillo di una
Germania pi� grande sulla sua automobile; ma quando, nel
giugno del 1944, gli alleati giunsero nella capitale italiana,
Hudal fu il primo a cambiarla: improvvisamente la sua
bandiera divenne austriaca'' (42).
``Nel 1945, dall'oggi al domani, Hudal, da ideologo fascista
qual era, cominci� a manifestare le sue nuove aspirazioni
democratiche. Abbandonando la sua posizione favorevole alla
Germania, s'affrett� a unirsi al libero comitato austriaco di
Roma, e collabor� persino all'organizzazione di una
liberazione simbolica della legazione austriaca.''
Quest'atteggiamento ipocrita era molto diffuso fra gli
Austriaci, popolo ``la cui percentuale di iscritti al partito
nazista era pi� elevata di quella della Germania'' e che
malgrado ci� ha ``immediatamente richiesto un trattamento
speciale in quanto prima vittima di Hitler'' (42).
Dopo la guerra Hudal fece scappare numerosi criminali di
guerra attraverso la rete di fuga che aveva provveduto a
predisporre sin dal 1943. Nel 1947 il suo operato fu scoperto e
lo scandalo lo costrinse a farsi da parte. Tuttavia ``ci vollero
quasi quattro anni per sostituire il vescovo austriaco come
rettore del Collegio di Santa Maria dell'Anima. Infine, nel
Natale del 1951 Hudal si arrese di fronte all'ineluttabile,
annunciando che avrebbe lasciato il Collegio nel luglio
seguente.'' (55).
``Convinto che la sua unica colpa fosse quella di avere una
cattiva immagine presso la stampa, Hudal rimase a Roma fino
alla sua morte, [che avvenne nel 1963 a Grottaferrata], senza
pentirsi mai della sua opera a beneficio dei criminali di guerra
nazisti:
Aiutare la gente, salvare qualcuno, senza pensare
alle conseguenze, lavorando altruisticamente e con
determinazione, era naturalmente ci� che ci si
sarebbe dovuti aspettare da un vero cristiano. Noi
non crediamo all'"occhio per occhio" degli ebrei''
(55).
Siri
Il vescovo di Genova Siri era il terminale genovese della rete
del vescovo Hudal. ``Era uno dei principali coordinatori di
un'organizzazione internazionale il cui scopo era quello di
provvedere all'emigrazione di europei anticomunisti in
Sudamerica. Questa classificazione generale di anticomunisti
comprende, ovviamente, tutte le persone compromesse
politicamente agli occhi dei comunisti, vale a dire fascisti,
ustascia e altri gruppi del genere. [...] Siri rappresentava il
contatto di Walter Rauff nella messa a punto del sistema usato
da Hudal per far fuggire clandestinamente dall'Europa i
latitanti tedeschi'' (117).
``Anche se pensava soprattutto a mantenere la propria
organizzazione, Siri sapeva tutto sulla rete croata'' e aiutava
talvolta Petranovic ``dandogli una mano ogni volta che
poteva'' (117).
Krunoslav Draganovic
Prete croato, stretto collaboratore di Ante Pavelic, sia durante
che dopo la guerra. In quanto ``rappresentante croato
all'Intermarium in veste quasi ufficiale'' (65) si impegn� a far
fuggire molti criminali ustascia ed a organizzare il movimento
dei krizari. Era noto come "l'eminenza grigia dei Balcani"
(123) ed anche ``come "il prete d'oro" poich� controllava gran
parte del tesoro rubato'' alle vittime degli ustascia durante la
guerra (133).
Nacque nel 1903 a Brcko, in Bosnia, e prese i voti nel 1928.
Dal '32 al '35 studi� al Pio Pontificio Istituto Orientale e
all'Universit� Gregoriana Pontificia, lavorando negli archivi
vaticani (66). ``Divenne in seguito segretario del vescovo di
Sarajevo Ivan Saric, che raggiunse una certa notoriet� durante
la guerra come boia dei Serbi'' (66,136).
``Quando i nazisti occuparono Zagabria nell'aprile del 1941,
era professore di teologia all'universit� locale. In seguito
raccont�:
Quando venne proclamato lo stato croato
indipendente ero in attesa a Zagabria con le
lacrime agli occhi. Pensavo che la nazione croata,
dopo otto secoli, avesse finalmente realizzato il
suo pi� profondo desiderio d'indipendenza e
d'autonomia'' (106).
(In realt� lo stato croato non era per nulla indipendente: era
uno stato fantoccio impiantato dai Tedeschi senza che i Croati
avessero neanche dovuto combattere)
``Era vicepresidente dell'Ufficio per la Colonizzazione
ustascia. Questo ufficio costituiva parte integrante della
macchina usata dai nazisti per il genocidio, poich� disponeva
dei serbi o degli ebrei destinati allo sterminio, oppure, se
erano molto fortunati, alla deportazione'' (106).
``Draganovic era un criminale di guerra latitante: la
Commissione Jugoslava per i Crimini di Guerra mise a
verbale che il sacerdote era stato un alto funzionario del
comitato addetto alla conversione forzata al cattolicesimo dei
serbi ortodossi. Inoltre aveva scoperto il suo ruolo di primo
piano nella requisizione forzata di cibo durante la sanguinosa
offensiva anti-partigiana compiuta dai nazisti sul Monte
Kozara, nella Bosnia occidentale, durante l'estate del 1942.
Fu la stessa offensiva in cui l'ex-presidente austriaco Kurt
Waldheim svolse un ruolo di primo piano come ufficiale
nazista. Pavelic confer� a Waldheim un'importante
decorazione per i suoi servigi e poi, alla fine della guerra, lo
segu� in Austria'' (105-106).
``Nell'agosto del 1943, Pavelic e l'arcivescovo Stepin�c
inviarono Draganovic a Roma [con la carica di] rappresentante
ustascia in Vaticano [per] costruire la rete clandestina per
l'espatrio dei nazisti'' (107). In tale veste, ed in quella di
rappresentante della Croce Rossa croata, inizi� a preparare i
percorsi di fuga per i criminali di guerra (66).
``Riceveva l'appoggio dell'arcivescovo di Croazia, Aloysius
Stepin�c, che gli aveva procurato influenti contatti in
Vaticano'': si incontrava regolarmente con il segretario di
Stato Maglione, con il vicesegretario di Stato Montini (il
futuro papa Paolo VI), e persino con papa Pio XII (66-67,94).
Divenne segretario della Confraternita croata di San
Girolamo, situata a Roma, in Via Tomacelli 132 (65).
``Fondata nel 1453 con il patrocinio di papa Nicola V, la
Confraternita di San Girolamo aveva sfornato alcuni dei pi�
eminenti studiosi, scienziati, scrittori e preti della Croazia''
(66).
Nel dopoguerra sar� lui a coordinare e dirigere il movimento
ustascia in Italia (108), facendo fuggire i criminali di guerra
attraverso la sua rete clandestina e reclutandoli per entrare a
far parte dei krizari (131).
``Draganovic era non soltanto un capo del Partito Clericale
Croato, ma anche uno dei maggiori leader dei krizari.
Manteneva eccellenti contatti con le sue forze all'interno della
Croazia e riceveva il sostegno della Chiesa Cattolica'' (137).
``Nell'estate del 1945, Draganovic fece personalmente un giro
dei campi in cui erano stati sistemati ex-componenti delle
forze armate e delle organizzazioni politiche ustascia. Avvi�
ben presto un'intensa attivit� politica e prese contatto con i
principali rappresentanti ustascia. In questo era assistito da
altri sacerdoti croati, con l'aiuto dei quali si mantennero
stretti rapporti fra la Confraternita di San Girolamo e i gruppi
ustascia in tutta Italia e anche in Austria. Ci� condusse alla
formazione di un servizio di spionaggio politico che permise
alla Confraternita di raccogliere resoconti e dati sulle
tendenze politiche tra gli emigrati. � altres� probabile che le
informazioni apprese da questi rapporti venissero poi
trasmesse al Vaticano'' (107).
Si sospetta che Draganovic agisse nell'ambito del servizio
segreto vaticano, agli ordini di monsignor Angelo Dell'Acqua;
sono inoltre confermati ``stretti legami tra Draganovic e i
servizi segreti italiani'' (123).
Draganovic ``dichiarava inequivocabilmente che coloro i
quali hanno commesso crimini di guerra, soprattutto crimini
contro l'umanit�, devono essere puniti. Tuttavia sosteneva che
proprio i pi� colpevoli non avrebbero dovuto essere classificati
come criminali di guerra'' (119). ``Le uniche persone
condannate da Draganovic come criminali di guerra furono i
soldati che s'insanguinarono effettivamente le mani [...]. Egli
escludeva [...] i politici che avevano effettivamente decretato le
leggi razziali che avevano reso legale la strage'' (120).
Vilim Cecelja
``Schedato dal governo di Tito come criminale di guerra
numero 7103'' (101), questo prete ustascia collabor�
attivamente con il regime di Ante Pavelic durante la guerra, e
dopo divenne il collegamento austriaco della rete di
Draganovic (100).
``Dieci giorni dopo che Pavelic fu messo al potere dai nazisti,
il quotidiano ufficiale ustascia "Hrvatsky Narod" (Nazione
Croata) pubblic� una lunga intervista con Cecelja. L'articolo
s'intitolava "Il prete ustascia Cecelja" e rivelava quelle che
erano, all'epoca, le sue vere attitudini. Nel corso di esso,
Cecelja si vantava dell'importante ruolo svolto, prima della
guerra, nelle attivit� illegali del movimento a Zagabria, dove
molti capi ustascia che operavano clandestinamente s'erano
incontrati in segreto nella sua parrocchia.
Ammise [di fronte agli autori di Ratlines, che lo intervistarono
nel 1989] di aver fatto parte segretamente del movimento
ustascia, descrivendo con orgoglio il giuramento rituale che
aveva compiuto davanti a due candele, a un crocifisso e a una
spada e una pistola incrociate. Ci� gli valse il titolo di
"Ustascia Giurato", concesso soltanto a coloro che militavano
nel partito da prima della guerra. Successivamente il prete
fascista offr� a Pavelic il suo crocifisso e le sue candele in
segno di devozione. Cecelja parl� con orgoglio anche del suo
ruolo di primo piano nel coordinamento di 800 contadini che
combatterono a fianco dei nazisti invasori.
Quando ci fu bisogno di un sacerdote per officiare alla
cerimonia del giuramento di Pavelic, Cecelja fu ben lieto di
farlo, impartendo cos� la benedizione della Chiesa al regime
fantoccio dei nazisti. Poco tempo dopo, in pubblico, Cecelja
"salut� con gioia il momento di libert�", proclamando
apertamente i suoi stretti collegamenti con i maggiori ministri
del gabinetto ustascia, come Mile Budak. Qualche settimana
pi� tardi Budak annunci� pubblicamente il destino di due
milioni di serbi in Croazia: un terzo doveva essere ucciso, un
altro terzo deportato e il resto convertito con la forza al
cattolicesimo. Cecelja, tuttavia, non modific� il suo
atteggiamento benevolo nei confronti di Budak'' (101).
Fece parte ``della delegazione ufficiale di Pavelic a Roma,
benedetta in Vaticano da Pio XII il 17 maggio del 1941. A
quell'epoca il dittatore croato aveva gi� promulgato le sue
leggi contro i serbi e gli ebrei e il genocidio era in corso. La
principale conquista della delegazione fu la cessione della
costa dalmata all'Italia, cosa che non rappresent� certo un
atto di patriottismo croato'' (101).
``Cecelja ha tranquillamente ammesso di essere stato
cappellano militare nelle forze ustascia durante la guerra, [...]
nominato da Pavelic in persona nell'ottobre del 1941 e pi�
tardi confermato dal suo caro amico, l'arcivescovo (in seguito
cardinale) Aloysius Stepin�c'' (101).
``Nel maggio del 1944 abbandon� finalmente la sua carica [di
cappellano militare] per recarsi a Vienna, ufficialmente per
prendersi cura dei soldati croati feriti in battaglia. In realt�, il
suo compito era quello di preparare il capo austriaco della
rete per l'espatrio clandestino dei criminali nazisti, per cui
fond� anche la sezione locale della Croce Rossa Croata, che
forniva una copertura ideale alla sua attivit� illecita'' (102).
A proposito della Croce Rossa Croata, bisogna far notare che
la stessa Croce Rossa Internazionale si rifiut� di riconoscerla,
``pur offrendole ufficiosamente notevole assistenza'' (102).
``Un diplomatico americano sollev� Cecelja da qualsiasi
accusa di collaborazionismo con i nazisti. Il console
americano a Zagabria afferm� che il sacerdote era stato
esiliato a Vienna da Pavelic per il suo ruolo in un complotto
anti-ustascia.'' Queste affermazioni erano tuttavia smentite
dal fatto che ``Cecelja continu� a viaggiare su aerei ufficiali
degli ustascia tra Vienna, Zagabria, Praga e Berlino.'' Egli
inoltre ``ricevette da Zagabria l'ordine di condurre un'intensa
campagna propagandistica tra gli ustascia presenti in
Austria'' (102).
Nel 1945, Cecelja si trasfer� da Vienna a Salisburgo: ``il
sacerdote ustascia era provvisto di documenti americani e
della Croce Rossa che gli permisero di viaggiare liberamente
attraverso la zona di occupazione statunitense'' (102-103).
``Il 19 ottobre del 1945 venne arrestato dal quattrocentesimo
distaccamento CIC dell'esercito degli Stati Uniti. Rimase in
carcere per i 18 mesi successivi.'' In agosto 1946 ``il governo
jugoslavo richiese la sua estradizione come traditore,
descrivendone accuratamente le attivit� in favore degli
ustascia durante la guerra'' (103).
Tuttavia nel marzo 1947 Cecelja venne rilasciato e ci�
malgrado la ``decisione da parte dell'Extradition Board
americano in Austria di approvare la richiesta jugoslava''
(104). Avevano parlato a suo favore: l'arcivescovo Stepin�c; il
vescovo americano Joseph Patrick Hurley, che si trovava in
Jugoslavia come rappresentante del papa; il Foreign Office
inglese, secondo il quale ``la maggior parte delle sue azioni
[era] stata di carattere umanitario e non politico''; il console
americano a Zagabria, per il quale Cecelja era un ``sacerdote
di sani principi''; ed il Segretario di Stato americano George
Marshall (103-104).
Cecelja partecip� anche alla costituzione del movimento dei
krizari: ``era noto come uno dei principali organizzatori
ustascia in Austria, dove partecipava regolarmente a raduni
militari e faceva infuocati discorsi ai fedeli riuniti'' (104).
``In seguito, fu direttamente implicato dalle autorit� del
controspionaggio australiano in una serie di azioni
terroristiche intraprese da cellule ustascia operanti a Sidney e
Melbourne'' (104). Nel 1957 ottenne un visto per visitare gli
Stati Uniti (104).
``Cecelja mor� qualche mese dopo aver concesso
un'intervista'' agli autori di Ratlines (100). Ha ``trascorso i
suoi ultimi anni di vita in un pittoresco villaggio appena fuori
Salisburgo, dove le suore del convento Maria Pline si
prendevano cura di lui'' (100). All'epoca dell'intervista aveva
80 anni ed ``era ancora molto fiero dell'importante ruolo che
aveva svolto in favore della sua amata Croazia. Pur criticando
gli ustascia per aver procurato una brutta reputazione ai
Croati, non mostrava n� senso di colpa n� rimorso'' (100).
Nell'intervista rilasciata nel 1989, Cecelja ammise:
``Fui fiero di aiutare questi fuggiaschi,
registrandoli e offrendo loro cibo, alloggio e
documenti di immigrazione, nonch� l'opportunit�
di spostarsi in giro per il mondo fino in Argentina.
Ricevevo i documenti dalla Croce Rossa''
(104-105).
Karlo Petranovic
Nel 1934 divenne parroco di Ogulin, ``un distretto composto
sia da serbi sia da croati'' (114). ``Quando i nazisti invasero
la Jugoslavia nell'aprile del 1941, Petranovic era cappellano
nell'esercito'' (114). ``Si era unito al movimento [ustascia]
subito dopo l'invasione'' (114).
``Fu chiamato a ricoprire cariche ufficiali molto alte e
influenti. [...] Gli era stato conferito il grado di capitano
nell'esercito ustascia e aveva accettato la carica di vice del
capo ustascia di Ogulin. [...] Egli divenne un fattore molto
importante nella politica locale del regime ustascia, che
decideva della vita e della morte dei serbi di Ogulin e del
distretto circostante. [...] Tale politica consisteva nel seminare
il terrore tra la popolazione serba completamente innocente e
si risolse nello sterminio di circa duemila serbi locali'' (114).
``Una volta aveva diretto l'arresto e l'esecuzione di eminenti
personalit� serbe. Un'altra volta il prete, a quanto si diceva,
fu responsabile del prelevamento dall'ospedale di Ogulin di
cinque o sei pazienti serbi che furono uccisi nelle circostanze
pi� brutali. Un altro episodio fu l'assassinio del dottor Branko
Zivanovic, avvenuto il 31 luglio del 1941. [...] Petranovic
aveva collaborato all'organizzazione degli arresti di massa dei
serbi di Ogulin e del distretto, che furono derubati e uccisi,
alcuni a Brezno, gli altri vicino al villaggio di St. Petar. [Ebbe
un ruolo] nella morte di circa un centinaio di serbi alla fine di
luglio, un massacro compiuto in seguito a una decisione presa
dal comitato ustascia di Ogulin, di cui Petranovic era un alto
e influente membro. [...] Il comitato ustascia di Ogulin, di cui
Petranovic era funzionario, fu responsabile dell'invio di
centinaia di serbi e di croati del posto ai campi di
concentramento degli ustascia, cosa che si concluse con lo
sterminio della maggior parte di queste persone'' (115).
Nel 1947 gli jugoslavi ne chiesero l'estradizione agli inglesi
(114), ma questa non fu concessa. Fino ad oggi, Petranovic ha
continuato a negare i suoi crimini di guerra, affermando che
non era stato messo al corrente di quanto accadeva (114).
Nel 1989 Petranovic fu intervistato dagli autori di Ratlines.
``A domande relative alle sue attivit� postbelliche, Monsignor
Petranovic rispose ammettendo senza problemi di aver aiutato
un paio di migliaia di persone a lasciare l'Italia via Genova''
(115).
Al termine della guerra ``fu inviato al confine
austro-jugoslavo, dove poteva muoversi liberamente tra gli
ustascia in fuga. Si stabil� per un certo tempo a Graz, dove si
nascondevano molti famigerati criminali di guerra. L� fu
aiutato nel suo lavoro dal vescovo Ferdinand Pawlikowski, che
ottenne dal capo della polizia locale il permesso di far
rimanete Petranovic a Graz. Da l� il sacerdote croato riusc� a
scendere fino a Trieste, dove il vescovo locale provvide al suo
alloggiamento; poi prosegu� verso Milano, dove venne aiutato
dal cardinale Schuster, per arrivare finalmente a Genova verso
la fine del 1945. Voleva recarsi presso la Confraternita di San
Girolamo a Roma, ma era gi� piena; perci� rimase a Genova e
divenne l'agente locale di Draganovic'', dopo essere stato
assoldato da questi in persona durante una visita a Genova
(115-116).
Petranovic manteneva ``ottimi collegamenti nella gerarchia
ecclesiastica, soprattutto con il vescovo di Genova Siri'', il
quale era il terminale genovese dell'altra rete di fuga, quella
del vescovo Hudal (117).
Monsignor Petranovic ``ha oggi quasi 80 anni e, negli ultimi
tre decenni � vissuto a Niagara Falls, in Canada'' (113).
Gregory Rozman
``Durante la guerra, in assenza di Krek, [il vescovo di
Lubiana] Rozman si era assunto la responsabilit� del Partito
Clericale Sloveno, stabilendo stretti contatti sia con i fascisti
italiani sia con i nazisti'' (138). ``Verso la met� del 1942 and�
in Vaticano per una missione segreta, consistente nel chiedere
a Pio XII armi, cibo uniformi e altro equipaggiamento
essenziale per il suo esercito anticomunista cattolico. Di
conseguenza, gli italiani rifornirono le forze armate di
Rozman. Dietro suo suggerimento, un certo numero di preti
assunse anche ruoli chiave a livello militare e spionistico per
conto delle potenze dell'Asse.
Quando, nel settembre del 1943, gli italiani capitolarono,
Rozman fece in modo che il passaggio al dominio nazista fosse
il pi� facile possibile, suggerendo al gauleiter di Hitler la
formazione della Guardia Nazionale Slovena. Questa Guardia
Nazionale era completamente sotto il controllo tedesco, poich�
obbediva direttamente agli ordini del capo delle SS locali e
della Polizia Superiore. Fu tristemente nota per i suoi
massacri di civili, soprattutto sostenitori dei partigiani guidati
dai comunisti, mentre la polizia segreta conduceva una
campagna terroristica sotto la direzione della Gestapo.
Mentre avevano luogo queste atrocit�, Rozman sosteneva
entusiasticamente la causa nazista, emettendo numerosi
appelli affinch� gli Sloveni combattessero dalla parte della
Germania. La sua Lettera Pastorale del 30 novembre 1943
rappresent� un'espressione tipica del tono filonazista che
caratterizzava l'opera spirituale del vescovo. Dopo aver
sollecitato i suoi fedeli a combattere per la Germania,
sottoline� che soltanto "per mezzo di questa coraggiosa lotta e
di questo industrioso lavoro per Dio, per il popolo e per la
terra dei padri [gli Sloveni si assicureranno], sotto la guida
della Germania, la [loro] esistenza e un futuro migliore, nella
lotta contro la congiura ebraica"'' (138-139).
Nel 1943 fu ``fotografato sul palco con il comandante delle SS
locali, [il generale Rosener,] durante una cerimonia ufficiale.
La Guardia Nazionale aveva appena giurato di presentare
servizio sotto la guida di Hitler, e stava marciando di fronte al
suo ufficiale di comando. Il generale delle SS se ne stava
rigido sull'attenti, facendo il saluto nazista, mentre il vescovo
dava la pia approvazione al suo esercito collaborazionista''
(139).
(La stretta di mano fra Rozman e Rosener � raffigurata nella
fotografia nei risguardi della copertina del libro.)
``Sei mesi prima della fine della guerra, Krek e monsignor
Preseren perorarono la causa di Rozman presso il papa. Nel
corso di un incontro con Pio XII tenutosi il 26 novembre del
1944, consegnarono al pontefice la lettera personale del
vescovo. Rozman esponeva per sommi capi il suo piano per uno
sforzo, appoggiato dall'Occidente, destinato a sconfiggere i
partigiani di Tito e a instaurare un governo filooccidentale.
Non appena cessarono le ostilit�, il Vaticano intraprese una
campagna per ottenere la libert� del suo vescovo, chiedendo
ripetutamente che gli venisse concesso un salvacondotto
dall'Austria per potersi rifugiare presso la Santa Sede. Si
offrirono persino di inviare un sacerdote appositamente scelto
fino a Klagenfurt, [nella zona di occupazione inglese,] per
prendere Rozman. L'uomo scelto per questo compito fu
nientemeno che padre Draganovic.'' La missione ebbe luogo
nel maggio 1945 (139).
``Gli inglesi [con la complicit� statunitense] gli permisero di
fuggire e di svolgere un ruolo di primo piano nell'ambito del
movimento dei krizari'' (139-140). La decisione degli inglesi
di lasciar fuggire Rozman consegu� dalle pressioni di Krek
``sul Foreign Office, tramite i buoni uffici di un membro
laburista del Parlamento'' (140). ``L'11 novembre del 1947
Rozman spar� dal palazzo del vescovo di Klagenfurt e [...] si
rec� a Salisburgo per mettersi sotto la protezione
dell'arcivescovo Rohracher. [...] Aveva lasciato Klagenfurt in
un'automobile del personale dell'esercito americano, guidata
da un autista americano'' (142).
``Rozman, non appena fuggito da Klagenfurt, aveva ripreso
con entusiasmo il suo lavoro per il movimento clandestino
nazista. Il vescovo collaborazionista s'era unito ai krizari''
per finanziare i quali si dedic� al recupero del tesoro di guerra
(142). ``Alla fine di maggio 1948, Rozman [...] viaggi� fino
agli Stati Uniti e si stabil� a Cleveland, nell'Ohio'' (143).
Dragutin Kamber
Era ``legato alla Confraternita di San Girolamo, all'interno
della quale aveva studiato dalla fine degli anni Venti ai primi
anni Trenta'' (108). ``Dal 1936 era stato membro del partito
ustascia'' (108). ``Il sacerdote era stato anche ufficiale della
famigerata guardia del corpo personale di Pavelic'' (108).
``Padre Dragutin Kamber era un sanguinario responsabile di
omicidi di massa'' (108). ``Dopo l'invasione da parte
dell'Asse, fu messo a capo dell'amministrazione ustascia nella
citt� di Doboj, [in Bosnia,] e uno dei primi provvedimenti che
prese fu quello di istituire un campo di concentramento, di cui
era comandante lui stesso. Introdusse nel distretto le regole
razziali naziste e, di conseguenza, ordin� agli ebrei e ai serbi
di portare intorno al braccio rispettivamente una fascia gialla
e una fascia bianca. In seguito proclam� che i serbi e gli ebrei
dovevano essere sterminati in quanto dannosi per lo stato
ustascia'' (108).
``A Doboj, comp� arresti in massa e fece internare i serbi.
Molte delle vittime venivano spesso portate in casa di Kamber
per essere interrogate e, dietro suo ordine, uccise nelle cantine.
I primi ad essere assassinati in questo modo furono i sacerdoti
e gli insegnanti serbi'' (108).
Milan Simcic
``Uno dei colleghi pi� vicini a Draganovic nella rete per
l'espatrio clandestino dei criminali di guerra'' (100).
``Lavorava all'interno della Confraternita di san Girolamo e
aiutava Draganovic nelle sue operazioni'' (110). ``Lavor�
diversi anni per la ratline a Roma'' (122).
``Oggi Simcic � un alto funzionario vaticano e ammette
apertamente che la Confraternita di San Girolamo protesse
eminenti fuggiaschi ustascia. [...] Ha detto con assoluta
chiarezza che il dottor Draganovic si prendeva cura a parte
delle persone pi� importanti, tra cui ex-ministri del governo
ed ex-capi di polizia'' (124). Sempre secondo la
testimonianza di Monsignor Simcic, ``il dottor Draganovic e
Montini s'incontrarono molte volte per parlare dell'operato
della Confraternita di San Girolamo'' (125).
Dominik Mandic
Era ``rappresentante ufficiale del Vaticano presso la
Confraternita di San Girolamo: [...] era, inoltre, un alto
funzionario dell'ordine francescano, poich� ricopriva la carica
di economo generale (tesoriere)'' (109). ``Mandic era l'alto
funzionario francescano che mise la stampatrice dell'ordine a
disposizione della Confraternita di San Girolamo in modo da
poter fornire le carte d'identit� false ai fuggiaschi'' (128).
``Padre Dominik Mandic controllava le finanze dell'istituto di
san Girolamo con notevole destrezza [nella veste di] tesoriere
della
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From: "tribunale clark" <tribunaleclark@...>
Subject: Iniziative Tribunale Clark
Date sent: Fri, 8 Jun 2001 18:22:20 +0200
Con la riunuione del 26 maggio a Roma la Sez. Italiana del
Tribunale contro i crimini della Nato ha stabilito di riprendere
prima della fine della stagione, alcuni temi centrali su cui chiamare
all' iniziativa in modo ampio e diversificato i vari soggetti che nel
periodo passato non hanno accettato le criminali iniziative della Nato
e del nostro Governo D'Alema.
Tra queste abbiamo rimesso al centro dell'iniziativa :
1) L'illegalita' della guerra e dell'aggressione alla Jugoslavia.
2) I danni provocati dall'Uranio Impoverito e dai bombardamenti chimici.
3) Le falsita' delle conclusioni della "Commissione Mandelli"
4) L'illegalita' del Tribunale Internazionale dell'Aja.
5) L'arresto di Milosevic dettato dal ricatto occidentale, ennesima
violazione del diritto internazionale.
---
Gli appuntamenti pubblici che conferemero con maggiori dettagli
nei prossimi giorni sono i seguenti:
DOMENICA 24 GIUGNO - MILANO ORE 21.00
ALL'INTERNO DELLA FESTA PROVINCIALE DI RIFONDAZIONE COMUNISTA
INIZIATIVA A CURA DELLA SEZIONE ITALIANA DEL TRIBUNALE CLARK:
DAI BOMBARDAMENTI IN JUGOSLAVIA E L'USO DELL'URANIO IMPOVERITO,
AL TRIBUNALE DELL'AJA E L'ARRESTO DI MILOSEVIC:
IL DIRITTO INTERNAZIONALE VISTO DALL'IMPERIALISMO.
INTERVENGONO:
FALCO ACCAME
FULVIO GRIMALDI
CARLO PONA
PAOLO PONA
ALDO BERNARDINI
introduce STEFANO DE ANGELIS
inoltre PROIEZIONE DEL FILMATO :
PATRIA PALESTINA
Di Fulvio Grimaldi
SABATO 30 GIUGNO - ROMA ORE 10.00
LUOGO DA DEFINIRE.
RIUNIONE NAZIONALE DELLE STRUTTURE INTERESSATE
AL MANTENIMENTO DELL'INIZIATIVA CONTRO LA NATO,
CONTRO LA VIOLAZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE,
PER L'ABOLIZIONE DELL'URANIO IMPOVERITO .
-------------
Con questo messaggio intendiamo invitarvi direttamente alle iniziative
in programma con particolare rilievo alla riunione di Roma del 30 giugno,
la quale sarà una riunione di lavoro che dovra' chiarire in che modalita'
proseguire le attivita' sulle tematiche esposte.
Vi chiediamo quindi di farci avere per tempo suggerimenti e adesioni
sulle iniziative in programma.
la Sez. Italiana del Tribunale Clark
------- End of forwarded message -------
------
Questa lista e' provvisoriamente curata da componenti
dell'ASSEMBLEA ANTIMPERIALISTA http://www.tuttinlotta.org
(ex Coord. Naz.Le "La Jugoslavia Vivra'")
I documenti distribuiti non rispecchiano necessariamente le
opinioni delle realta' che compongono questa struttura, ma
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Date: Tue, 12 Jun 2001 18:10:12 -0700 (PDT)
From: Rick Rozoff
LETTER TO THE EDITORS AT THE NATION
Edward S. Herman
David Peterson
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June 11, 2001
Letter To the Editors of The Nation on Christopher
Hitchens' Minority Report "Body Count in Kosovo"
>>From Edward S. Herman and David Peterson
In "Body Count in Kosovo" (The Nation, June
11, 2001), Christopher Hitchens outdoes even his
previous efforts at rewriting the history of the
break-up of Yugoslavia, carrying out his vendetta
against the Serbs, and apologizing for NATO's war in
Kosovo.
Hitchens' characterization of the opposition
to NATO's bombing campaign as based on the belief that
"casualties among Kosovo Albanians were not
sufficiently high to warrant the NATO intervention" is
nothing more than a straw man of his own invention.
Although there are legitimate questions to be raised
as to how high the Kosovo Albanian casualties were,
and how important those casualties were in impelling
NATO to war, contrary to Hitchens, the Left's main
objections to the war were that it was a case of Great
Power aggression carried out in violation of the U.N.
Charter and international law, and that it would "not
solve any human problem, but [would] only multiply the
existing problems," as Jiri Dienstbier, the Czech U.N.
rapporteur for human rights in Kosovo, characterized
the war's actual result.
Of course, Dienstbier was weighing the
impact of the war not only on the Kosovo Albanians,
but also on the Serbs as well as other peoples in the
region. But a notable feature of Hitchens' writings on
Kosovo has been his racist attitude toward the Serbs,
an attitude that now extends to the other ethnic
minorities in the province as well. Thus, for example,
in his "Genocide and the Body-Baggers" (The Nation,
Nov. 29, 1999), Hitchens led The Nation's readers in a
rousing cheer for NATO's good deeds in Kosovo: "The
NATO intervention repatriated all or most of the
refugees and killed at least some of the cleansers. I
find I have absolutely no problem with that." Here
Hitchens ignores the fact that Kosovo's massive
refugee crisis of 1999 followed the onset of NATO's
bombing campaign rather than preceded it. Note also
that in Hitchens' revealing word usage, "refugees" is
an ethnically pure concept and serves to denote only
Kosovo Albanians. For Hitchens, the only Kosovars who
count are ethnic Albanians; the demon Milosevic's
populace, along with the rest of the province's
shrinking ethnic minorities, are "unpeople" (John
Pilger's term)--and any negative consequences that
NATO's actions have had for them are of no interest or
relevance to Hitchens' evaluation of policy.
Hitchens contends that the bombing campaign
was both necessary and justified because "It was plain
enough that Milosevic wanted the territory of Kosovo
without the native population, and that a plan of mass
expulsion, preceded by some exemplary killings, was in
train. The level of casualties would depend on the
extent of the resistance that the execution of the
plan would encounter." Although as a supporter of the
war the burden of proof for such a claim should rest
on Hitchens' shoulders, neither he nor anyone else has
ever provided evidence for the existence of any "plan
of mass expulsion." Hitchens regularly implies that
because the Serbs reacted as they did in Kosovo when
NATO began its bombing war, and were clearly ready to
take such an action, this proves they would have done
exactly the same thing under any circumstances. But as
every military power has a spectrum of contingency
plans most of which will never be implemented, this is
a blatant non-sequitur. NATO's propaganda claim that
Belgrade used the bombing campaign to execute
"Operation Horseshoe"--an alleged plan to cleanse
Kosovo of its ethnic Albanian population, but whose
existence NATO had never mentioned until after the
bombs started to fall--has been utterly discredited.
(See the book by Germany's retired Brigadier General
Heinz Loquai, Der Kosovo-Konflikt. Wege in einen
vermeidbaren Krieg ("The Kosovo Conflict: A War That
Could Be Avoided," Durchschnittliche Kundenwertung,
2000).)
In his discussion of this "plain enough"
Serb plan, Hitchens consistently avoids dealing with
the fact that under an October 1998 agreement,
Belgrade had allowed a substantial OSCE observer
mission in Kosovo, and was prepared to permit the
extension of such a mission at Rambouillet. (See the
Agreement For Self-Government In Kosomet, signed among
others by the Government of the Federal Republic of
Yugoslavia and the Government of Serbia but rejected
by the Contact Group and the KLA in Paris on March 18,
1999, reproduced at
http://www.ius.bg.ac.yu/apel/agreemen.htm.)
Although the actual mission was highly compromised
from the start by U.S. intelligence agents working
under the cover of the OSCE for non-mandated
objectives (as a Swiss member of the OSCE's observer
mission in Kosovo told the Italian journal La Libert�,
"We understood from the start that information
gathered by OSCE patrols during our missions was
destined to complete the information that NATO had
gathered by satellite. We had the very sharp
impression of doing espionage work for the Atlantic
Alliance."),
nonetheless, a Yugoslav parliamentary Resolution
adopted the day before the start of the war vigorously
condemned the withdrawal of the monitors. (See
"Parliament says country will defend itself from any
attack," BBC Summary of World Broadcasts, March 25,
1999, which reproduces in full the text of the
Resolution adopted by The National Assembly of the
Republic of Serbia on March 23, 1999.) Hitchens'
failure to mention the OSCE observers can only be
explained by the fact that such evidence is not
compatible with the "plain enough.plan of mass
expulsion."
Nor is there the slightest evidence that
there were "exemplary killings" designed to induce
general flight, as opposed to killings in an ugly and
brutal civil conflict. In an internal report prior to
the bombing, the German Foreign Office had even denied
that the refugee flows in and out of Kosovo
constituted a case of "ethnic cleansing," contending
instead that this was the familiar pattern in a nasty
civil conflict. "[The] actions of the security forces
[were] not directed against the Kosovo-Albanians as an
ethnically defined group, but against the military
opponent and its actual or alleged supporters," the
German Foreign Office determined. (See "Important
Internal Documents from Germany's Foreign Office
Regarding Pre-Bombardment Genocide in Kosovo," trans.
Eric Canepa, reproduced at
http://www.suc.org/kosovo_crisis/documents/ger_gov.html.)
What is more, the evidence produced by NATO, the OSCE,
the State Department and the Pentagon, the British
House of Commons' Defense Review, the U.N., the Red
Cross, forensic teams from at least 16 different
countries, and all of the NGOs that have set up camp
in Kosovo, uniformly fails to support the claims of
the West's political leadership and the New
Humanitarians that, whether prior to or during the
war, a Rwanda-style crisis was in the offing. (On the
question of whether there was any evidence of imminent
atrocities prior to the withdrawal of the observers
and the onset of NATO's bombing, see Noam Chomsky's
analysis in his book, A New Generation Draws the Line:
Kosovo, East Timor, and the Standards of the West
(Verso, 2000), Ch. 3, "Kosovo in Retrospect," pp.
94-147.)
Furthermore, evidence has now surfaced
showing that the CIA, working largely through
corporate-sector firms such as Military Professional
Resources Inc. and DynCorp, had been aiding and
training the KLA prior to the bombing, and KLA
representatives have openly acknowledged that they
were trying to provoke the Serbs to actions that would
provide NATO with the jus belli that it was looking
for to launch the war. (See Tom Walker and Aidan
Laverty, "CIA aided Kosovo guerrilla army," Sunday
Times (London), March 12, 2000; Peter Beaumont, Ed
Vulliamy and Paul Beaver, "CIA's bastard army ran riot
in Balkans," The Observer (London), March 11, 2001;
and Rory Carroll, "Crisis in the Balkans: West
struggles to contain monster of its own making," The
Guardian (London), March 12, 2001).) Thus, Hitchens'
statement that "the level of casualties would depend
on the extent of resistance" is misleading not only as
regards the mythical "plan of mass expulsion," it also
ignores the fact that casualties would depend heavily
on the success of the planned provocations.
"As to Racak," Hitchens writes, "it might be
argued that Western policy-makers seized too fast on
the evidence of a Bosnian-style bloodbath, but...it
would be tough to argue that a 'wait and see' policy
would have been morally or politically superior. Wait
for what? Wait to see what?" Apart from the problems
of the non-existent evidence of a bloodbath and NATO's
underwriting of provocations, with the Racak case
there is strong evidence that those "Western
policy-makers" didn't just "seize too fast" on claims
of a massacre at Racak, they even helped create those
claims in order to justify a decision taken perhaps as
early as the summer of 1998 to bomb Serbia and teach
it as well as other potential "rogue states" a lesson
in who's the boss, and to teach the peoples of Europe
that they cannot live without NATO's protection. (For
material that raises doubts about NATO's contention
that the incident at Racak was a "massacre" of 40
unarmed Kosovo Albanian civilians, see "Finnish
experts find no evidence of Serb massacre of
Albanians," Deutsche Presse Agentur, January 17, 2001;
J. Rainio, K. Lalu, A. Penttil�, "Independent forensic
autopsies in an armed conflict: investigation of the
victims from Racak, Kosovo," Forensic Science
International, Vol. 116, Issue 2-3, 2001, pp. 171-185;
and the critical comments by Dusan Dunjic of
Belgrade's Institute for Forensic Medicine, "The
(Ab)Use of Forensic Medicine," reproduced at
http://www.suc.org/politics/kosovo/documents/Dunjic0499.html.)
As to "wait to see what," this is a phony
and misleading question, as the Great Powers didn't
have to "wait" for anything; they were always in a
very strong position to negotiate even with the hated
Milosevic for greater Kosovo autonomy and a stronger
international observer presence. Belgrade had agreed
to a number of compromises during the previous decade.
Among others, Milosevic supported the Vance Plan of
1991, the Jose Cutillero Plan of 1992 (a plan vetoed
by the Muslim side in Bosnia-Herzegovina), the
Vance-Owen Plan of 1993 (a plan eventually sabotaged
by U.S. authorities, as Owen describes in his
memoirs), and the Owen-Stoltenberg Plan of 1993 (also
vetoed by the United States). But in this case neither
the KLA nor NATO--nor for that matter Christopher
Hitchens-were interested in compromise or
negotiations.
In dealing with the events in Kosovo that
followed the March 24, 1999 beginning of NATO's
bombing campaign, Hitchens takes the refugee flows
that resulted from the fighting as proof that Belgrade
had planned to expel the Albanian population all
along, thereby reversing cause and effect, exactly as
NATO officials have done. While he drags in Rwanda,
saying that "we'll never know if another Rwanda was
prevented or not, since another Rwanda did not in fact
take place," he fails to explain why the Serbs didn't
engage in mass killings of Kosovo Albanians even under
the stress of wartime conditions, even in areas of
great KLA influence and fighting with the KLA. During
the war, NATO propagandists were proclaiming mass
extermination and even genocide, but these were lies.
So, contrary to Hitchens once again, one thing we do
know is that crimes on the scale of Rwanda did not
take place even under brutal, wartime conditions.
Hitchens ignores the evidence now openly
acknowledged by NATO officials that the KLA was
working in close military coordination with NATO
during the bombing period, and that the intensity of
Serb attacks was closely related to strategic military
factors, including the operational presence of the KLA
in the various theaters of combat. (See Daniel Pearl
and Robert Block, "War in Kosovo Was Cruel, Bitter,
Savage; Genocide It Wasn't," Wall Street Journal, Dec.
31, 1999.) Across Kosovo's 29 municipalities, ethnic
Albanians did not flee the territory uniformly. Nor
were they alone-members of all ethnic groups fled
areas where fighting took place. Municipalities in
different parts of Kosovo where the KLA's presence was
thin saw relatively little fighting and therefore
little refugee flow. This was particularly true prior
to the withdrawal of the observers and the start of
the bombing campaign. (On this, see the report
published by the OSCE, Kosovo/Kosova: As Seen, As
Told. The human rights findings of the OSCE Kosovo
Verification Mission October 1998 to June 1999,
reproduced at
http://www.osce.org/kosovo/reports/hr/part1/p0cont.htm,
esp. Part V: "The Municipalities.")
Hitchens spends considerable space on what
he calls the "forensic evidence" that has come into
public view "as a result of the implosion of the
Milosevic regime." But in fact the most important
"evidence" that Hitchens cites, the alleged "mass
burnings of bodies in the blast furnace of the Trepca
steel plant" that was claimed by NATO at the time of
its occupation of Kosovo in June 1999, was subjected
to a genuine "forensic" examination by a team of
French experts under OSCE auspices shortly thereafter,
and was found to be non-existent. (See Fisnik Abrashi,
"OSCE Says No Sign of Mass Burnings Found in Kosovo,"
Associated Press, Jan. 26,
2001.) Although this story has been rehabilitated
over the past two years by journalists with the
American Radio Works and National Public Radio, based
on highly dubious interviews with Serbs boasting of
their role in the cremations, these Serbs have
remained anonymous sources and have never been
available for questioning by independent analysts.
Among the other "forensic evidence" cited by Hitchens
are the recent reports that a refrigerated truck
carrying anywhere from 50 to 86 Kosovo Albanian bodies
(accounts have varied) was dredged up during the war
from the bottom of the Danube river near the Serb town
of Kladovo, the bodies then being reburied in an
unknown place somewhere. Although these stories may
very well turn out to be true, given the brutal nature
of the war, they do not constitute forensic evidence
as such, but are mere hearsay. It is also important to
note that these alleged events would have occurred
after the start of the war, and therefore cannot be
used to support Hitchens' contention that they are
evidence of a Serb "plan of mass expulsion" based on
"exemplary killings" that existed before the war.
Instead, they would suggest that the war itself, which
Hitchens defends, led to many deaths and deplorable
atrocities. But as an elementary point of logic, the
war's negative consequences cannot be used to justify
actions that produced those consequences.
Hitchens says that in the "new atmosphere"
of post-Milosevic Serbia it might be possible to prove
that "there was a state design" to the murders and
secret interments, and that if this were true "it
would owe very little to those who described the
belated Western intervention as an exercise in
imperialism based upon false reporting." But he fails
to note that in the "new atmosphere" that exists in
Serbia, and in the United States itself, there might
be strong political, financial, and even survival
incentives--and very little risk--in fabricating
claims of murders and secret interments, a point
perhaps illustrated by the recently recycled claims
about mass cremations at Trepca. He also fails to note
the possibility that the reason this evidence might
not surface is because it simply does not exist, in
which case those who supported the war will no longer
have even this crutch to stand on.
It is also of interest that Hitchens never
discusses the "new atmosphere" that prevails today in
NATO-occupied Kosovo, a conflict-ridden atmosphere
that has led to the creation of a monoethnic state,
with more than 250,000 members of ethnic minorities
having fled the province in what Jan Oberg,
the director of the Swedish-based Transnational
Foundation for Peace and Future Research, calls "the
largest ethnic cleansing in the Balkans [in percentage
terms]." But while Hitchens is extremely captivated by
lurid stories of mass cremations and ethnic Albanian
corpses spilling out of refrigerated trucks, the
estimated 1,300 non-ethnic Albanians killed and
perhaps as many abducted (and very possibly killed) in
Kosovo under NATO's occupation appear to be of no
interest to him at all. Nor does he ever link NATO's
intervention with
the spread of armed ethnic Albanian fighting to
geographically contiguous areas in southern Serbia and
northwestern Macedonia, or with the possibility of yet
another incarnation of the KLA carrying its war to
Greece as well. For Hitchens, NATO's "humanitarian"
war was justified for reasons that terminate with the
driving of the Serb army from Kosovo, NATO's
occupation of Kosovo, the repatriation of Kosovo
Albanian refugees-driven out during NATO's war and
returning to a ravaged, burned-out land effectively
controlled by the KLA and foreign powers--and,
ultimately, the ouster of the Milosevic regime, and no
doubt his trial at The Hague as well. All of the other
consequences that one could weigh in the scales of
justice, Hitchens passes over in silence.
Hitchens' claim that the potential
"emancipation of Serbia" by full disclosure of Serb
misbehavior "would owe very little to those who
described the belated Western intervention as an
exercise in imperialism based upon false reporting" is
equally ludicrous. No serious critic of the war has
ever argued that NATO's intervention was "based on
false reporting;" their view has been that a
combination of false reporting and heavily ideological
commentary such as that offered by Christopher
Hitchens helped sell the war-as has been the case in
virtually all wars.
But beyond this confusion, Hitchens seems to
imply that Operation Allied Force was not an
imperialistic undertaking, and in fact in his "Port
Huron Piffle" (The Nation, June 14, 1999), he clearly
stated that NATO finally chose the war-option "when
the sheer exorbitance of the crimes in Kosovo became
impossible to ignore." Jamie Shea or James Rubin could
not have stated NATO's case for war any better than
that. Indeed, it has been amusing to watch Hitchens,
currently vigorously assailing Kissinger for the
crimes of the imperial state a generation back, but at
the same time lining up with the likes of Bill and
Tony and Gerhard, Madeleine and Robin and Joschka in
the pretence that their war was driven by humanitarian
objectives-in this one case only-and with this being
the only factor he mentions to explain their
adventures in Kosovo.
---
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PRIMA PAGINA
GIORNALISMO
La fossa dei media
SANDRO PROVVISIONATO *
La foto � di quelle raccapriccianti. Si vedono due miliziani dell'Uck
chini su una fossa comune che indicano un teschio. Uno dei due lo
solleva
con cavetti di alimentazione per
batteria d'auto. Il messaggio � crudo e deciso. La foto � apparsa ieri
sui quotidiani Liberazione e l'Unit�. Uno spiacevole infortunio, perch�
quella � una fossa comune falsa. In
Kosovo, dopo la fine della guerra, vennero scoperte diverse fosse
comuni
(la cifra fornita dal tribunale penale dell'Aja � di 529 fosse
contenenti
3.685 cadaveri interi e resti parziali di
258 corpi, per un totale di 3.943, una cifra ben lontana dai 100.000
morti forniti dalla Nato e dal Dipartimento di stato durante la guerra),
ma quella fossa venne allestita a consumo
dei media internazionali il 15 giugno 1999, 5 giorni dopo la fine dei
raid "umanitari" della Nato.
Lo affermo senza timore di smentite perch� a quel ritrovamento ero
presente. Avvenne nel villaggio di Ruckhat, a una quindicina di km. da
Pec, dove il contingente italiano Kfor si
era acquartierato. Come ho raccontato nel mio libro Uck: l'armata
dell'Ombra (Gamberetti, 2000) con me, inviato del Tg5, c'erano almeno 15
giornalisti italiani, diversi fotoreporter e i
cameraman di sei televisioni.
Sul sito di quella presunta fossa comune fummo condotti da alcuni
guerriglieri dell'Uck. Quello che sembrava il capo in un francese
perfetto
ci raccont� la storia di quella famiglia
sterminata dai paramilitari serbi, con le generalit� dei cadaveri e la
data esatta dell'eccidio (il 20 maggio 1999, meno di un mese prima), ci
port� dall'unica figlia superstite e quindi ci
condusse, prima su un'aia annerita dal fuoco dove si notavano ossa
carbonizzate e poi sul luogo della fossa che sembrava scavata di fresco.
Dalla terra spuntavano diversi resti
umani - che, ci dissero, appartenevano a 4 persone - oltre ad uno
scheletro integro e quasi completamente scarnificato il cui teschio �
proprio quello ritratto nella foto con attorno al
collo i cavetti che sembravano essere stati usati per torturarlo e
strangolarlo.
Trattandosi di una delle prime fosse comuni trovate in Kosovo, tutti i
tg
italiani della sera e tutti i giornali riportarono con grande evidenza
la
scoperta. Personalmente detti la notizia e
mostrai le immagini della fossa nell'edizione delle 20 del Tg5 con
molti
condizionali. Assieme ad altri colleghi e all'operatore che mi
accompagnava, Alessandro Tomassini,
eravamo, infatti, rimasti colpiti da una contraddizione: se quel
teschio
era di un uomo ucciso neppure un mese prima, come mai appariva cos�
scarnificato?
Il giorno dopo decisi di tornare sull'argomento. E mostrai le immagini
cos� crude girate da Tomassini al medico responsabile del contingente
italiano a Pec, oltretutto un
anatomopatologo. Da lui ebbi la conferma: quei resti eranao di un uomo
morto almeno diversi mesi prima, forse pi� di un anno. Quindi
sicuramente
sulla data della sua morte sia i
soldati dell'Uck, sia la presunta unica superstite dell'eccidio avevano
mentito.
Per approfondire meglio la cosa decisi di tornare sul luogo
dell'enigmatica fossa comune. Mentre percorrevo in auto una lunga strada
sterrata, notai in aperta campagna uno di quei
piccoli cimiteri agresti di cui abbonda il Kosovo. In quel cimitero
c'erano diverse fosse aperte, scavate di fresco, con ancora le bare
scoperchiate, ma senza i resti dei defunti. Capii
subito dove stava l'imbroglio. Quelle ossa, quello scheletro, quel
teschio erano stati esumati da un normalissimo cimitero e spostati di
qualche chilometro. Per rendere pi� realistica
e drammatica la scena del ritrovamento della fossa comune, qualcuno
aveva
aggiunto il cavetto di alimentazione. Nel Tg5 delle 13 del 16 giugno
1999
raccontai la macabra
messinscena. Nessun altro tg o quotidiano lo fece. Quelle foto e
immagini
tv ancora circolano, usate a corredo di articoli e servizi sulle fosse
comuni. Non � il caso di Liberazione e
l'Unit�, ma la loro funzione � evidente: disinformare. Proprio
l'obiettivo dell'Uck. Il dubbio fondato � che - a quasi due anni dalla
fine di quell'inutile guerra - in fatto di fosse comuni la
disinformazione continui.
* giornalista del Tg5
---
Subject: Fossa comune
Date: Thu, 7 Jun 2001 03:05:49 +0200
From: "Fulvio"
Lettera al Direttore di Liberazione, Sandro Curzi
Caro Direttore,
la notizia, data con grande enfasi dai telegiornali, del ritrovamento
nei
pressi di Belgrado, di una fossa comune con
ben 800 corpi di "albanesi", merita, nella mia esperienza giornalistica,
di essere accolta con grandi diffidenza e
sospetto, senza cedere al previsto coro di esecrazioni. In Italia ci
ricordiamo tutti le stragi, gli assassinii, gli episodi
di terrorismo che hanno preceduto e accompagnato momenti in cui i poteri
forti puntavano a spostare a destra
l'asse del paese, specie in vicinanza di elezioni. Valga per tutti la
strage di Piazza Fontana, o l'assassinio di
Massimo D'Antona, utlizzato per criminalizzare il movimento contro la
guerra alla Jugoslavia. E ci ricordiamo
come quasi inevitabilmente sia emerso, da quei fatti, lo zampino di
servizi italiani o stranieri, perlopi� CIA. Chi ha
seguito con un po' d'attenzione la tragedia balcanica, si ricorder�
anche
delle stragi di Sarajevo, di Racak, di
Sebrenica, tutte provate, seppure a deprecabile e strumentale distanza
di
tempo, falsamente attribuite ai serbi dagli
stessi investigatori ONU, da medici neutrali e da giornalisti della
maggiori testate occidentali. Tutte finalizzate a
giustificare questo o quell'intervento "umanitario" a suon di bombe e
sanzioni contro il nemico. Nessuno pu�
sottovalutare la coincidenza di questo "ritrovamento" con la discussione
nel Parlamento serbo della legge che
dovrebbe permettere l'estradizione di Milosevic al Tribunale dell'Aja e
la
subordinazione della magistratura e della
politica serbe ai ricatti e ai dettami degli USA e del FMI, legge alla
quale anche Kostunica ha dato il suo consenso
e che rappresenta un ulteriore vulnus inflitto alla sovranit� di uno
stato. Sconcerta e rende increduli anche la
circostanza che, senza alcuna dichiarazione o verifica in merito, il
trasferimento delle 800 salme sia stato, secondo
i corrispondenti dei tg, "ordinato direttamente da Milosevic". Pare un
po'
folle che 800 corpi vengano congelati,
come � stato detto, � trasportati per centinaia di chilometri da un
Kosovo, pieno di possibilit� di nasconderli, in una
Belgrado allora traboccante di giornalisti, agenti, spie, gente, solo
allo
scopo di seppellirli in periferia. La consegna
di Milosevic e un'operazione che sottragga attenzione da una guerra in
Macedonia, che gli USA gestiscono e
sollecitano da entrambi i lati (attraverso addestramento e armamenti
forniti - come denunciato in USA e mai
smentito - equamente a entrambi i contendenti, l'esercito macedone e
l'UCK, dal MPRI, Military Professional
Resources Inc. di Alexandria, Virginia, valgono bene una montatura di
proporzioni storiche. Come si diceva: a
pensare male si fa peccato, ma ci si coglie.
Cordiali saluti.
Fulvio Grimaldi.
---
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