Informazione


Jan Kempenaers

Spomenik

Amsterdam, Roma Books, 2010

Design: Roger Willems - p.64 - size 33x24cm. - Price €27,99 - ISBN 978 90 77459 50 8


Series of photographs of abandoned monuments in former Yugoslavia. Willem Jan Neutelings, quoted from this book: "The Antwerp-based photographer Jan Kempenaers undertook a laborious trek through the Balkans in order to photograph a series of these mysterious objects. He captures the Spomeniks in the misty mountain landscape at sundown. Looking at the photographs one must admit to a certain embarrassment. We see the powerful beauty of the monumental sculptures and we catch ourselves forgetting the victims in whose name they were built. This is in no way a reproach to the photographer, but rather attests to the strength of the images. After all, Kempenaers did not set out as a documentary photographer, but first and foremost as an artist seeking to create a new image. An image so powerful that it engulfs the viewer. He allows the viewer to enjoy the melancholy beauty of the Spomeniks, but in so doing, forces us to take a position on a social issue.

THE PHOTOS / LE FOTO / SLIKE: http://twistedsifter.com/2011/05/23-fascinating-and-forgotten-monuments-from-yugoslavia/
SELECTION (TESTO IN ITALIANO): http://bloggokin.blogspot.com/2011/04/monumenti-abbandonati-in-jugoslavia.html
http://www.jankempenaers.info/
http://www.romapublications.org/Roma100-200.html
http://www.orderromapublications.org/Product.aspx?pid=187


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(italiano / english / francais)

International reactions after NATO's slaughtering of Libya

1) NATO operation in Libya sets dangerous precedent for Balkans - Primakov
2) Elikia M'Bokolo analizza le conseguenze della situazione in Libia
3) NATO hunting season in full swing
4) Kadhafi : un symbole anti -impérialiste africain
5) Le sang du lion et le festin des rats
6) Rete Nazionale Disarmiamoli: La Libia sotto il tallone della NATO


LINK:

I comunisti algerini (PADS) chiedono la costituzione di un fronte popolare antimperialista per contrastare le pericolose conseguenze della vittoria militare delle potenze imperialiste in Libia
Dichiarazione del Partito algerino per la democrazia e il socialismo (PADS) - 31 Ottobre 2011

http://www.marx21.it/internazionale/pace-e-guerra/245-i-comunisti-algerini-pads-chiedono-la-costituzione-di-un-fronte-popolare-antimperialista-per-contrastare-le-pericolose-conseguenze-della-vittoria-militare-delle-potenze-imperialiste-in-libia.html
 

CITAZIONE:

La storia sarà con i popoli che lottano per giuste cause, mai con chi sollecita le potenze imperiali straniere a venire ad attaccare il proprio paese. Il destino che attende i criminali del CNT è scritto con inchiostro indelebile, come è rimasta scritta, la storia del martirio di un popolo, delle sua città e della sua famiglia. Avanti con il sacro dovere di lottare fino alla vittoria o alla morte. Con l'esempio eterno del colonnello Gheddafi, leader coraggioso del popolo libico e guida della Jamahiriya Libica Popolare e Socialista".

Fidel Castro


=== 1 ===

http://www.interfax.com/newsinf.asp?pg=5&id=282302

Interfax - October 24, 2011

NATO operation in Libya sets dangerous precedent for Balkans - Primakov


MOSCOW: The threat of inter-ethnic and inter-religious conflicts remains in the Balkan countries experts define as "the European tinderbox," which means the Libyan scenario may be repeated, ex-Russian Prime Minister, Academician of the Russian Academy of Sciences Yevgeny Primakov said at an international conference in Montenegro on October 17.

The newspaper Nezavisimaya Gazeta published an article based on his speech on Monday.

"I fear that the NATO operation in Libya may cast shadow on the Balkans. Such a scenario is not so unrealistic, and ways to avoid it must be found," he said.

The precedent set by the NATO operation in Libya is extremely dangerous especially for turbulent regions and countries whose policy does not meet the wishes of NATO, he said.

The threat of inter-ethnic and inter-religious conflicts in the Balkans mostly exists in Kosovo and Bosnia and Herzegovina, Primakov said.

There had been armed clashes between the NATO KFOR and Serbians who live in Kosovo's Metohija, and NATO forces sided with Pristina, which wanted to separate Kosovo Serbs from Serbia and to open customs posts on the currently non-existent border, he said.

Primakov recalled the position of Russian Foreign Minister Sergei Lavrov expressed at a meeting with NATO Secretary General Anders Fogh Rasmussen in September. Lavrov strongly rejected the opinion that Libya might become "a model for the future."

Russia has a principled stand on "the problem zones", which remain since the disintegration of the former Yugoslavia, the academician said.

It does not recognize the independence of Kosovo and Metohija and views these territories as an organic part of Serbia.

"If the West welcomes the separation of Kosovo from Serbia due to the independence demands of local Albanians, why not apply the same approach to the compact Serbian areas in the northern part of Kosovo and Metohija?" he wondered.

There is a realistic chance to avoid tensions with the division of Kosovo, he said.

Russia also opposes the transformation of Bosnia and Herzegovina into a unitary state and says this transformation will not follow the Dayton Agreement. "If we speak about the development of the Dayton Agreement, apparently, it is necessary to strengthen sovereign rights of Bosnian Serbs, Bosnian Croats and Bosnian Muslims within the framework of Bosnia and Herzegovina. Any other way will lead to bloodshed," Primakov said.

Those who think that Russia opposes the accession of the Balkan countries to the European Union distort its position intentionally or unintentionally, Primakov said.

"Moscow is perfectly aware of the reasons why the Balkan countries want to join the EU. At the same time, Russia seeks to prevent the weakening of its economic, cultural and political relations with the Balkan countries by their involvement in the EU," he said.

The Balkans are a junction of three civilizations: West European, East European and Asian Muslim. Stability and security of the forming multi-polar world depend on the solution of pressing problems of the peoples populating that special region, Primakov said.


=== 2 ===


Il manifesto Numero del 22.10.11

INTERVISTA di Geraldina Colotti

 

ELIKIA M'BOKOLO · Lo storico africano analizza le conseguenze della situazione in Libia

«Un punto di non ritorno»

I paesi dell'Alleanza pronti a batter cassa presso il nuovo governo libico Intanto c'è chi protesta e chi esulta (Hezbollah in Libano) per la morte del rais

 

«Prima Saddam Hussein, ora Muammar Gheddafi, il messaggio delle potenze occidentali è chiaro: non siete padroni in casa vostra. Dopo quella al comunismo, ora è in corso una guerrra contro i popoli del sud per il possesso delle loro risorse». Così lo storico congolese Elikia M'Bokolo commenta a caldo l'uccisione del Colonnello libico. Nato a Kinshasa nel '44, M'Bokolo ha dovuto abbandonare il suo paese nel '61, dopo l'assassinio del padre dell'indipendenza congolese Patrice Lumumba, e si è trasferito con la famiglia in Francia. Autore di numerose opere sulla storia del continente africano (in Italiano L'invenzione dell'etnia, scritto insieme a Jean-Loup Amselle e pubblicato da Meltemi nel 2008), dirige il Centro per gli studi africani all'École des hautes études en sciences sociales di Parigi. Lo abbiamo incontrato a Parma, ospite di un seminario organizzato dall'associazione Kuminda e abbiamo discusso di Africa, democrazia e primavere arabe. 

Qual è il suo giudizio su Muammar Gheddafi?

Tutti i progressisti africani sono d'accordo su un punto: il regime di Gheddafi non era l'ideale. Detto questo, io sono stato varie volte in Libia e ho potuto constatare una situazione molto diversa da quella descritta sui media occidentali. Certo, c'era un partito unico e un controllo poliziesco, ma anche uno stato sociale: scuole, ospedali, case, lavoro... Condizioni di vita imparagonabili a quelle esistenti in molti paesi dell'Africa e del Maghreb. Oggi in tutto il continente africano si costruiscono pochi ospedali e scuole ma moltissime chiese e templi. Nel mio paese, un direttore di banca guadagna circa 25-30.000 dollari, un ministro della repubblica, 10.000, un professore di liceo 35 dollari e gran parte della polazione fatica a vivere. Non ho potuto visitare le carceri libiche, né toccare con mano la repressione poliziesca, ma non ho mai assistito a un arresto per strada. Ho visto una certa teatralizzazione del potere di cui la gran parte dei libici rideva, però, bonariamente. Noi progressisti africani non abbiamo accettato che una parte del petrolio libico sia servita per uno scopo inaccettabile: l'accumulazione di armi da impiegare anche nella repressione. Si deve però riconoscere che, in questo modo, il piccolo esercito libico ha tenuto testa alle più grandi potenze per tutti questi mesi. Un'altra cosa che non abbiamo accettato è che il regime, attraverso alcuni suoi rappresentanti, abbia investito all'estero i soldi libici, li abbia depositati nelle banche estere. Questo ha permesso ai paesi occidentali di confiscare quelle risorse finanziarie. E ora dicono che ricostruiranno la Libia: ma con quei soldi, che sono soldi libici.

Quali conseguenze avrà la situazione in Libia nello scenario internazionale?

Alcuni aspetti della guerra in Libia provocheranno conseguenze gravissime a più lungo termine. Uno di questi è il ruolo dell'Onu in questa vicenda. L'Onu in Africa si è screditato oltre ogni limite perché il mandato votato da una decina di stati era quanto mai ambiguo e lasciava le porte aperte all'intervento militare. Un'ultima vigliaccata, che comincia nel 1935 quando la Società delle nazioni ha permesso l'aggressione italiana all'Etiopia. Ieri l'intervento armato in Costa d'avorio, oggi in Libia, domani in Siria o in Congo. E perché no in Iran, in America latina. Quando è stato eletto direttore generale Boutros Boutros Ghali e poi Kofi Annan si poteva sperare che l'Onu potesse diventare una vera organizzazione internazionale capace di occuparsi delle questioni in modo egualitario, ma ora appare evidente che le cose sono andate in un altro senso. Un altro aspetto inquietante è che, alla fine della guerra fredda, l'Africa si è trovata a essere disarmata e poco sostenuta all'interno dell'Onu, lo abbiamo visto in occasione del voto sulla Libia. Certi analisti si sono affannati a dire che la guerra fredda è finita e che la globalizzazione è pacifica, ma l'aggressività capitalista è tutta sotto i nostri occhi. Dopo la fine dell'Unione sovietica, ora la guerra è contro i paesi del sud. Dalla caduta di Saddam Hussein a oggi, il messaggio rivolto ai governi del sud che deviano dall'indirizzo convenuto, è chiaro: non ci provate. La terza cosa gravissima avvenuta in Libia è che gruppi di paesi, violando i diritti degli stati, possano armare e finanziare impunemente un'opposizione fittizia creata ex-novo, fabbricata per combattere i regimi in carica. Chi aveva mai sentito parlare prima del Consiglio nazionale di transizione? In questo senso, aveva ragione Gheddafi quando ha detto: cosa pensereste se la Libia venisse ad armare la vostra opposizione interna, per esempio i baschi in Spagna? La più forte coalizione mai vista, che non ha fatto la guerra diretta ai paesi dell'est, ha invece bombardato la Libia. È un modello di ingerenza, che si è sperimentato in grande stile con le rivoluzioni arancioni, che abbiamo già visto all'opera in Mozambico, in Angola... Le grandi potenze armano partiti ultraconservatori per portarli al tavolo delle trattative, si ergono a fautori di una presunta unità nazionale (che hanno distrutto a suon di bombe) per avere un peso nelle future decisioni dei paesi. A questo ha fatto da contrappunto la grancassa mediatica contro il «dittatore» Gheddafi. Una retorica che ha aizzato all'odio contro il tiranno e ora grida vittoria mentre mostra un uomo massacrato come un trofeo. Altroché informazione democratica. Le sole analisi pertinenti vengono dallo Zimbabwe e dalla sinistra africana: questa non è una vicenda libica, ma di portata mondiale e naturalmente africana. Altri paesi sono nel mirino per subire la stessa sorte e rischiano di veder spuntare un loro Cnt. Poco prima della caduta di Gheddafi, il ministro degli affari esteri francese, Alain Juppé, ha detto: la Libia è un'invenzione che non esisteva prima del 1911, quindi può essere smembrata, e se Gheddafi resiste possiamo prendere Bengasi e lasciargli Sirte e Tripoli. 

Un altro passo verso la balcanizzazione del Sud?

La sovranità che gli stati del sud avevano ottenuto con le indipendenze dalla colonizzazione consentiva loro una maggior capacità di negoziare. Paesi che avevano grandi risorse nei loro sottosuoli e che occorreva smembrare per poterli gestire. Una politica che mostra uno dei paradossi della globalizzazione capitalista: da una parte le piccole patrie, dall'altra l'economia mondiale che richiede sempre maggior integrazione economica e finanziaria. Anche all'Africa. La nascita del Sud Sudan pone molti più problemi al continente di quanti ne ponesse il Sudan prima. Oggi si è voluto creare uno stato chiuso. Le frontiere a sud e a est del Sudan, già difficili da controllare, lo saranno sempre più. Ma siccome c'è il petrolio, c'è la corsa delle grandi potenze per accaparrarsi il mercato. Oggi la capitale del Sud Sudan è una delle città più care del mondo, il che è assai paradossale per uno stato che sta per nascere.

Quale futuro vede per le primavere arabe?

Le grandi potenze hanno rubato la vittoria ai popoli e ora organizzano elezioni destinate a far terra bruciata delle vere istanze di cambiamento. In quei paesi, la sinistra politica e intellettuale è stata liquidata, a volte fisicamente, dai regimi al potere, mentre il mondo occidentale chiudeva gli occhi. Ora i movimenti sociali hanno preso la scena, scavalcando anche l'islamismo politico che non sa più riempire il vuoto lasciato dalla sinistra, come invece si proponeva. Solo che, a differenza della sinistra, le organizzazioni islamiche hanno mantenuto strutture forti e parole d'ordine che potrebbero servire a raccogliere voti in un processo elettorale classico. Come storico, vedo che quando si parla di primavera araba nella parte nord dell'Africa, si lascia intendere che al sud non c'è ancora una primavera. Invece da noi la primavera si è manifestata sotto diverse forme da lungo tempo contro la colonizzazione: una battaglia che abbiamo vinto sotto alcuni aspetti ma perso sotto altri, perché alla decolonizzazione politica non si è accompagnata quella economica. Questo ha permesso ai paesi colonizzatori di controllare le nostre risorse e ai governi africani di ripartirle in modo diseguale. Vi sono però movimenti di resistenza, come nel Delta del Niger che vengono da lontano. Molte cose che ieri non erano possibili, ora lo sono, perché le proteste al sud s'inscrivono in una crisi senza precedenti del sistema capitalista globalizzato e lasciano sperare in un movimento democratico e radicale nei paesi del nord a cui unirsi. Come sinistra africana non crediamo però che la democrazia modello occidentale, già in crisi nei vostri paesi, debba essere esportata. Oggi il problema è che vi sono persone che hanno troppo e altre che non hanno niente. Occorre trovare una leva per cambiare le cose, per fare in modo che dall'indignazionesi arrivi a un processo politico e sociale di vero cambiamento radicale. Uomini come Lumumba e Sankara sono stati uccisi con la complicità delle grandi potenze, ma hanno indicato una strada. Quella di una nuova Comune di Parigi.


=== 3 ===

http://rt.com/politics/columns/bridge-too/nato-gaddafi-us-yugoslavia/

RT - October 27, 2011

NATO hunting season in full swing

Robert Bridge


Like dominoes they are falling: Yugoslavia, Afghanistan, Iraq, Libya. Even al-Qaeda leader Osama bin Laden was taken out in a surprise ambush by US special forces at his secret hideout inside of nuclear-armed Pakistan.

Since its first act of aggression on the territory of a sovereign state (on February 28, 1994, NATO aircraft shot down four jets in the Bosnian War) each successive NATO operation is revealing an increasingly disturbing trend: the leaders of the condemned countries are meeting violent, even barbaric ends. Has the rule of law taken a back seat in NATO's global juggernaut?

Compare the ‘natural’ death of Slobodan Milosevic, former President of Serbia and Yugoslavia, with that of the grisly murder of Libyan leader Muammar Gaddafi. Shortly after the end of the Yugoslavian War, which saw a massive NATO aerial bombardment that lasted from March 24, 1999 to June 10, 1999, Milosevic was sent to The Hague to stand trial for charges of war crimes. Milosevic surprised his accusers by deciding to represent himself in the five-year trial. The case, however, abruptly ended without a verdict when the former four-term leader died of an apparent heart attack. 

Although NATO’s participation in the Yugoslav War was flawed from the start (it did not have the full support of the UN Security Council), at least Milosevic was treated to a semblance of civilized legal procedure and decorum. Incidentally, Yugoslavia filed a complaint at the International Court of Justice against ten NATO member countries (Belgium, Germany, France, United Kingdom, Italy, Canada, the Netherlands, Portugal, Spain, and the United States). The Court did not decide upon the case, however, because it ruled that Yugoslavia was not a member of the UN during the war. 

NATO’s next violation of international law occurred in Iraq, where the United States led a wild goose chase in the hunt for weapons of mass destruction, which failed to materialize. 

The Bush administration was then obliged to change its mission statement in Iraq to “democracy building” – an interesting concept from a man who entered the White House due to his selection by a right-leaning Supreme Court, as opposed to his election by We the People. 

Meanwhile, Iraq President Saddam Hussein was found hiding in a hole in Tikrit, whereupon he was treated to the humiliation of a medical examination in full view of media cameras. It was a nice gesture, but Hussein was ultimately hanged on Dec. 30, 2006 by the Iraqi interim government. Many observers questioned why the Baathist leader was not granted a 'fair trial' at the ICC as opposed to a show trial arranged by his political opponents.

That brings us to Libya, where the world was just treated to ghastly images of Muammar Gaddafi being torn apart by a wild mob moments after his capture. Not only does this barbaric execution – the autopsy revealed Gaddafi died from a gunshot wound to the head – speak volumes about what the future holds for this North African nation (which was doing fairly well for itself with free healthcare and education before the civil war began) it shows exactly how callous NATO has become in its coordination of these jolly little wars. 

Although NATO was the primary firepower behind the Libyan opposition’s victory, it did nothing to protect Muammar Gaddafi and ensure that he received a fair trial at the ICC. This was in its power. NATO could have made specific demands on Libya’s opposition that it wanted Gaddafi taken alive. But, possibly not wanting a replay of another highly publicized international trial (ala Slobodan Milosevic), NATO even attacked Gaddafi’s caravan as it was attempting to flee from Sirte. The United Nations resolution never mentioned NATO taking sides in the civil war. It only mentioned that the western military bloc was empowered to “protect civilians.” 

Commenting on Gaddafi’s demise, former Cuban leader Fidel Castro, 85, denounced NATO for its role in the overthrow of Libyan leader, saying the “brutal military alliance has become the most perfidious instrument of repression the history of humanity has known.”

Castro also expressed indignation at the killing of Gaddafi and the subsequent treatment of his body, which he said was “kidnapped and exhibited like a trophy of war, a conduct that violates the most elemental principles of Muslim norms and other religious beliefs.”

Meanwhile, Prime Minister Vladimir Putin called images of Gaddafi being beaten by the mob “disgusting.”

The killing of Gaddafi was not the first time that a wanted individual received what could best be described as barbaric treatment at the hands of his enemies.

As horrible as al-Qaeda leader Osama bin Laden was, what did the US forces who killed him at his ‘secret’ hideout in Pakistan have to gain by not taking him out alive? By all accounts, bin Laden was unarmed and offered no resistance during the much-hyped gunfight. After his summary execution, his body was dumped into the sea, yet flying him back to Afghanistan alive would have been a much shorter trip. And imagine all the secrets bin Laden took to his grave! 

Yes. Osama bin Laden was suspected of committing terrible crimes, but what did his enemies gain by killing him and then disposing of his body in a way that would only further enrage his followers? The answer is simple: nothing.

When will NATO and its member states begin to behave better than their avowed enemies?


=== 4 ===

http://histoire.skynetblogs.be/archive/2011/10/21/kadhafi-comme-lumumba-sankara-l8h2.html

http://www.comite-valmy.org/spip.php?article1976

Kadhafi : un symbole anti -impérialiste africain
Assassiné, il devient un héros du combat des peuples pour la liberté 

Les propagandistes de la pressetituée annoncent allègrement que l’OTAN a bombardé le convoi de Mouammar Kadhafi et assassiné celui-ci qui n’a pas survécu à ses blessures. L’annonce de son décès a été confirmée par les marionnettes de l’impérialisme installées dans un prétendu CNT, par Obama, Sarkozy et Cameron, principaux responsables de l’actuelle agression contre la Libye souveraine.

Cette guerre impérialiste menée sous des prétextes mensongers a été soutenue par une ONU manifestement sous contrôle de l’OTAN.

Elle a été facilitée par l’abstention au Conseil de sécurité, de la Russie et de la Chine dont les dirigeants portent ainsi indirectement, une part de responsabilité dans les massacres barbares infligés à l’héroïque peuple libyen.

Kadhafi, le seul chef d’État légitime de la Libye, est rentré dans l’histoire de l’humanité en rejoignant la cohorte des combattants africains contre l’impérialisme et assassinés par celui-ci. Il a pris la stature d’un symbole de la lutte des peuples africains pour l’indépendance et la liberté, celle d’un héros de l’ensemble des peuples du monde qui combattent un ennemi commun : l’impérialisme étasunien et ses vassaux dont la France officielle de Sarkozy est l’un des pires, celui qui manifeste la plus grande soumission et se voit confiées les plus sales et les plus criminelles missions.

En France, l’UMPS ainsi que tous les partis euro-atlantistes et occidentalistes soutiennent la guerre coloniale contre le peuple libyen.

Cette agression barbare a même reçue l’approbation des dirigeants de partis qui se prétendent démagogiquement, à la"gauche" de la "gauche". Ceux-là portent aussi une responsabilité directe dans l’assassinat de Kadhafi qui était prévisible.

La lutte du peuple libyen va pensons-nous, se poursuivre. Elle sera soutenue par les anti-impérialistes du monde entier.

La France sort discréditée de cette aventure impérialiste criminelle qui souligne combien le retrait de notre pays de l’OTAN et de l’Union Européenne porteuses de guerres d’agression occidentalistes est urgente.

"Un peuple qui en opprime un autre ne saurait être un peuple libre" disait Marx. Nous devons en effet, libérer la France !

Vive la lutte pour l’indépendance, la liberté et la souveraineté des peuples, en Afrique et dans le monde entier.

Gloire à Mouammar Kadhafi et au peuple libyen.


Claude Beaulieu, président du Comité Valmy

20 octobre 2011



=== 5 ===

Le sang du lion et le festin des rats
 
Syrte ou la Stalingrad du désert, aura résisté de tout son sang contre la barbarie céleste de l’OTAN et ses mercenaires indigènes.
 
Au milieu de ruines fumantes de la ville martyre, un lion est mort. Un lion qui, de son vivant comme dans sa trépas, aura rendu sa fierté à sa patrie, à son peuple, à son continent et à tous les damnés de la terre.
 
Autour de son corps agonisant, tels des rats affamés, les barbares du CNT et de l’OTAN se sont disputés des lambeaux de sa noble chair.
 
« C’est nous qui l’avons achevé » clament les rats du Shape et de l’Elysée.
 
« Non, c’est nous. » rétorquent les rats indigènes.
 
Le corps lacéré de Kadhafi, c’est la Libye lacérée, donnée en pâtures à l’OTAN et au CNT.
 
La Libye de Kadhafi était un pays fier. Ses citoyens ne devaient pas quémander l’aumône à la porte des seigneurs européens.
 
La Libye de Kadhafi était un pays prospère. Elle était l’Eldorado de toute l’Afrique. Un pays de cocagne assurant le plein emploi.
 
La Libye de Kadhafi était un pays paritaire. Les femmes étudiaient et réussissaient mieux que les hommes. Les femmes décidaient. Les femmes dirigeaient. Les femmes combattaient.
 
La Libye de Kadhafi était un pays généreux. Ecoles gratuites munies d’équipements les plus modernes. Hôpitaux gratuits ne manquant de rien. Cette Libye a entre autres, financé RASCOM 1, un satellite de télécommunications qui allait permettre à tous les Africains de téléphoner quasi gratuitement, eux qui payaient les tarifs téléphoniques les plus chers au monde. L’Europe avait été jusqu’à coloniser les réseaux de communication africains, forçant le continent à verser 500 millions de dollars par an pour le transit vocal des Africains sur ses satellites.
 
La Libye de Kadhafi était un pays solidaire. Dotée d’un ministère chargée de soutenir la révolution mondiale, cette Libye a accueilli à bras ouverts tous les résistants du monde, a financé d’innombrables mouvements de libération : Black Panthers, militants anti-Apartheid, résistants chiliens, salvadoriens, basques, irlandais, palestiniens, angolais. Habités par leurs fantasmes primaires, des journaleux européens ont rapporté que des snipers féminins des Forces armées révolutionnaires de Colombie (FARC) avaient été enrôlés par Kadhafi. Pure intox. En revanche, les guerriers du mouvement de libération du Sahara occidental, le Front Polisario, protégeaient bel et bien Tripoli de la barbarie de l’OTAN/CNT.
 
La Libye de Kadhafi a fait l’expérience de la démocratie directe. Kadhafi n’avait qu’un rôle symbolique, celui du vieux sage à la fois redouté et rassurant. La population était encouragée à débattre et à choisir sa destinée à travers les Comités populaires. Pas besoin de parlement ni de partis.
 
 
Hélas, la Libye de Kadhafi n’est pas parvenue à faire vivre une démocratie durable. Les luttes personnelles ont pris le dessus sur les intérêts collectifs. Comme bien des révolutions, la Libye de Kadhafi a connu sa dégénérescence idéologique et son cortège de souffrances et d’injustices.
 
La Libye de Kadhafi n’est pas parvenue à instaurer la concorde entre clans et tribus de la Tripolitaine et de la Cyrénaïque.
 
La Libye de Kadhafi a cru que seule la force viendrait à bout des djihadistes endiablés d’Al Qaida, des opportunistes et des renégats pro-occidentaux.
 
La Libye de Kadhafi a tenté de briser son isolement international, pensant que les rats de l’Elysée, du 10 Downing Street, du Palais Chigi ou de la Maison Blanche viendraient manger dans sa main. Ces rats se sont en réalité sournoisement glissés la manche de sa tunique. Ils ont saisi l’occasion pour infiltrer son pays, le saboter, le ruiner et le pomper pour un siècle.
 
A présent, les rats d’Europe et les rats du CNT étanchent leur soif dans la crinière du lion.
 
Mais le lion s’est dérobé à leurs griffes pour rejoindre Lumumba et Sankara, les autres enfants martyres de l’Afrique héroïque.
 
Buvez, hordes de lâches, buvez ! Que son sang brûle vos entrailles comme le Zaqqoum !
 
Pleurez patriotes libyens pleurez ! Que vos larmes engloutissent vos bourreaux et leurs armées !
 
 
Bahar Kimyongür
21 octobre 2011


=== 6 ===

http://www.disarmiamoli.org/index.php?option=com_content&task=blogsection&id=6&Itemid=155

La Libia sotto il tallone della NATO    

Le immagini della macellazione di Muammar Gheddafi sono il miglior commento sull’operazione militare dell’Alleanza atlantica in Libia. Alla ferocia dei macellai locali si somma l’immagine disgustosa di una classe dominante internazionale pronta a massacrare senza battere ciglio chi sino a ieri accoglieva con salamelecchi, trattati di amicizia,  affari e baciamano.

In queste ore gli analisti delle grandi testate giornalistiche e TV sono impegnati a neutralizzare anche storicamente la figura del leader libico, immergendo in un fiume di fango tutto ciò che è stato fatto in quel paese, nel bene e nel male, dalla liberazione dal giogo colonialista nel 1968 sino a pochi mesi fa.

Non ci siamo mai erti a difesa dell’indifendibile, date le vergognose scelte fatte dal governo libico nell’ultimo decennio. Il giudizio sulla leadership libica non ci ha fatto però perdere indipendenza di giudizio sullo scenario nel quale maturavano le condizioni della nuova aggressione.

Molti – anche nel movimento pacifista – sono apparsi come irretiti e prigionieri di una narrazione scritta dai vincitori di oggi, che ha ridotto ai minimi termini il numero di coloro che hanno scelto di battersi contro l’aggressione alla Libia.

Una scelta che rivendichiamo, che continueremo a portare avanti se in quel paese riprenderà una lotta di liberazione nazionale contro il nuovo colonialismo euro – statunitense.

Niente di quello che è successo in Libia in questi mesi, sarebbe stato possibile senza le decine di migliaia di bombe (dalle 40 alle 50mila) sganciate dagli aerei dell’Alleanza atlantica in oltre 10mila missioni di attacco sulla testa di quei libici che avrebbe dovuto “difendere”. Nessuna città sarebbe stata “liberata” senza il supporto a terra di migliaia di soldati e mercenari italiani, francesi, inglesi, impegnati sia nelle retrovie, sia sul fronte, a sostenere una banda di tagliagole denominati “ribelli”, “rivoluzionari” dalla stampa embedded. Le uniche strutture militari di una qualche consistenza sono quelle dei fondamentalisti islamici addestratisi in Iraq e Afghanistan, ora insediati a Tripoli, Sirte, Bani Walid e altre città devastate dai combattimenti.
 
Se le immagini che i mass media occidentali ci propinano in questi giorni hanno un qualche fondamento, con le migliaia di persone che festeggiano il bagno di sangue impugnando insieme alle bandiere dell’ex re senussita quelle inglesi, francesi, statunitensi e italiane, allora saremmo di fronte a diverse leadership locali sostenute da una base di massa reazionaria, lieta di tornare sotto la tutela dei colonialisti di ieri. Non sarebbe la prima volta nella storia.
 
Dubitiamo fortemente di tutto ciò che ci propina la macchina da guerra mediatica al servizio della NATO, per cui ci riserviamo di esprimerci in merito, in attesa degli sviluppi, che promettono altro sangue e guerra.
 
A ventiquattro ore dal massacro di Gheddafi il Presidente degli Stati Uniti comunica al mondo il ritiro totale delle truppe dall’Iraq, mettendo la parola fine a una guerra persa.

La situazione in Afghanistan, a oltre dieci anni dall’inizio delle ostilità, evidenzia una situazione di stallo strategico sul piano militare. Per la potentissima alleanza impegnata a occupare quel paese ciò significa un’ulteriore, cocente, sconfitta.
 
La Libia del futuro promettere di essere una nuova polveriera, a poche miglia marine dalle coste del Bel Paese. La vittoria di oggi potrebbe riservare nuove delusioni per gli apprendisti stregoni della NATO. 
 
Nonostante tutto questo i paesi occidentali, forti delle loro alleanze militari, continuano nella loro opera di “democratizzazione” del mondo, attraverso le loro “operazioni di pace” lanciate per “proteggere” i civili.
 
I mass media nostrani ci dicono che i popoli della Siria, del Libano, dell’Iran attendono trepidanti la prossima liberazione.

Le fucine dei filosofi, degli strateghi militari e di Finmeccanica sono già al lavoro, onde abbreviare i tempi di attesa per la prossima missione.

 
La Rete nazionale Disarmiamoli!

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ORGAN TRAFFICKING IN KOSOVO: A GERMAN CONNECTION? DOSSIER
http://flarenetwork.org/report/enquiries/article/organ_trafficking_in_kosovo_a_german_connection.htm

• Who's behind it? http://flarenetwork.org/report/enquiries/article/whos_behind_it.htm
• A word with: Nancy Scheper-Hughes http://flarenetwork.org/report/enquiries/article/a_word_with_nancy_scheper_hughes.htm
• Investigating organ trafficking http://flarenetwork.org/report/enquiries/article/investigating_organ_trafficking.htm
• The blunt tools of EULEX mission http://flarenetwork.org/report/enquiries/article/the_blunt_tools_of_eulex_mission.htm
• Read the documents http://flarenetwork.org/report/enquiries/article/read_the_documents.htm

Il traffico di organi in Kosovo e la pista tedesca: storia di un’indagine a meta
http://it.peacereporter.net/articolo/30797/Kosovo.+Traffico+di+organi+e+la+pista+tedesca
oppure http://www.flarenetwork.org/media/files/Organs_it.pdf
oppure http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7173

Le trafic d’organes au Kosovo: l’histoire d’une enquête incomplète
http://www.flarenetwork.org/media/files/Organs_fr.pdf )

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http://balkans.courriers.info/article18472.html

Le Courrier des Balkans

Trafic d’organes au Kosovo : essaie-t-on d’étouffer l’affaire ? (1/2)


De notre envoyé spécial

Mise en ligne : lundi 24 octobre 2011
La mission Eulex a désormais repris l’enquête sur les trafics d’organes au Kosovo. Pourtant, selon des sources proches du dossier, Eulex n’aurait pas interrogé un témoin-clé : l’urologue allemand Manfred Ernst Beer, qui serait le véritable propriétaire de la clinique Medicus. Essaie-t-on d’étouffer cette tentaculaire affaire pour protéger non seulement les dirigeants du Kosovo, mais aussi certains responsables internationaux ? Premier volet de notre enquête.

Par Riccardo M. Ghia
Cette enquête a été publiée initialement par Bright Magazine.



Selon des sources proches de l’enquête sur le présumé trafic d’organes au Kosovo, Eulex, la mission de police et de justice de l’Union européenne au Kosovo n’aurait pas interrogé un témoin-clé : Manfred Ernst Beer.

Cet urologue berlinois, qui est le véritable propriétaire de la clinique Medicus, ne figure pas dans la liste de témoins du procès en cours à Pristina. Françoise Lambert, porte-parole d’Eulex, a refusé de confirmer ou démentir l’information. « Nous ne souhaitons pas faire d’autres commentaires que de dire que M. Beer n’est pas suspect », a-t-elle répondu.

Le procès de la clinique Medicus

Medicus, clinique privée située dans la périphérie de Pristina, a été fermée par les autorités en novembre 2008 après de forts soupçons sur des transplantations illégales d’organes. L’enquête a été relancée lorsque les autorités ont arrêté à la frontière Yilman Altun, un jeune Turc de 24 ans qui ne pouvait prendre l’avion pour rentrer à Istanbul en raison de problèmes de santé liés à l’ablation d’un rein.

Selon les enquêteurs, les receveurs allemands, israéliens, canadiens et polonais étaient prêts à payer jusqu’à 90.000 euros pour un rein. Les donneurs originaires des pays pauvres d’Europe de l’Est et d’Asie centrale, recevaient en revanche moins de 10.000 euros.

Le procureur de l’UE, Jonathan Ratel, a inculpé neuf personnes dans cette affaire. Lufti Dervishi et son fils Arben, les personnes clés de l’enquête, ont bénéficié du soutien de politiciens influents du Kosovo. Mais il y a d’autres illustres accusés : Driton Jilta, un ancien officier de l’OSCE au Kosovo, Ilir Rrecaj, ancien ministre de la Santé du Kosovo, Hajdina Sokol, Islam Bytyqi, et Dulla Suleiman, anesthésistes à la clinique Medicus, Moshe Harel, soupçonné d’être l’intermédiaire israélien.

Et enfin Yusuf Erçin Sönmez, un chirurgien turc visé dans d’autres investigations pour son implication présumée dans le trafic d’autres organes, plus connu sous les surnoms de Docteur Vautour et Docteur Frankenstein. Le procureur d’Istanbul a d’ailleurs récemment requis 171 ans de prison à son encontre (Voir notre article : Trafic d’organes au Kosovo : le « Dr Vautour » risque 171 ans de prison ). Au cours de sa carrière, Sönmez a été arrêté au moins six fois, mais il a toujours été relâché.

Un chirurgien israélien, Zaki Shapira, et un autre médecin, le Turc Kenan Demirkol, ont été cités dans l’acte d’accusation du procureur Ratel comme « complices en attente d’inculpation ». La clinique Medicus avait obtenu l’autorisation d’exercer en cardiologie, mais pas en urologie, en dépit de demandes réitérées de la part de Dervishi depuis 2003.

Dervishi, Thaçi et la « Maison Jaune »

Lufti Dervishi, professeur à l’Université de Pristina depuis 1982 et propriétaire officiel de la Clinique Medicus, est un allié important du Premier ministre kosovar, Hashim Thaçi, également chef du Parti démocratique du Kosovo (PDK). Selon Francis Mandoi, ancien procureur d’Eulex aujourd’hui procureur national adjoint anti-mafia à Rome, cette amitié entre Hashim Thaçi et Lufti Dervishi est ancienne.

La famille Dervishi a accueilli Hashim Thaçi quand son domicile avait été visé par un attentat. Quelques années plus tard, Lufti Dervishi a offert à Thaçi l’appartement situé au-dessus de sa maison de Pristina. Rappelons qu’Hahim Thaçi était le chef politique de l’Armée de libération du Kosovo (UÇK). Jusqu’en 1998, le Département d’État américain qualifiait l’UÇK d’organisation terroriste. Un an plus tard, les miliciens albanais étaient devenus les plus proches alliés de Washington dans les Balkans.

Dans la foulée des bombardements de l’Otan, les Serbes et ceux qui collaboraient avec Belgrade n’ont pas été les seules victimes de règlements de comptes de l’UÇK. La violence a éclaté aussi contre les rivaux politiques et militaires des FARK, groupe de résistance albanais proche d’Ibrahim Rugova, et au sein même de factions dissidentes de l’UÇK.

Lufti Dervishi a été souvent vu près de la « Maison Jaune » (Voir notre article : Trafic d’organes de l’UÇK : la clinique fantôme de Dick Marty), explique Francis Mandoi. Les enquêteurs internationaux pensent que la « Maison Jaune » était un centre de détention secret sous le contrôle des miliciens de l’UÇK, où « des prisonniers Serbes et Albanais étaient soumis à des tests de compatibilité avant de procéder à la transplantation », poursuit M. Mandoi.

Sur la base des descriptions fournies par plusieurs témoins, la « Maison Jaune » a été identifiée dans une ferme près de Burrel, dans le nord de l’Albanie, non loin de Prizren, la deuxième plus grande ville du Kosovo. À cette époque, la région de Prizren, près de la frontière albanaise, était contrôlée par les soldats de l’UÇK sous le commandement de Thaci. La clinique Medicus a d’abord été implantée à Prizren estime le procureur Mandoi, qui souligne toutefois que les enquêteurs n’ont pu établir aucune preuve confirmant les affirmations des témoins quant à la présence de Devishi près de la « Maison Jaune ».

Après la guerre, les soldats allemands de la Kfor ont pris le contrôle de la région de Prizren. Deux eurodéputés allemands, Bernd Posselt et Doris Pack, ont attaqué le rapport du Conseil de l’Europe dans lequel l’ancien procureur suisse Dick Marty dénonçait un trafic présumé d’organes au Kosovo (Voir notre article : Trafic d’organes de l’UCK : une bombe pour le Kosovo ?). Selon Marty, le trafic aurait commencé avec les prisonniers capturés et tués par l’UÇK, puis aurait continué dans la clinique Medicus avec des donneurs venant de pays pauvres d’Europe et d’Asie.

En mars dernier, les deux eurodéputés allemands ont raconté au journal irlandais Irish Times que Marty n’avait présenté aucune preuve concrète lors d’une réunion à huis clos de la Commission des Affaires Etrangères du Parlement européen. Doris Pack a précisé qu’« au moins 90% » des députés avaient sévèrement critiqué le dossier de Marty.

De son côté, l’eurodéputé italien Pino Arlacchi, a fourni une version radicalement différente des événements. « Pack et Posselt ont accusé Marty avec des arguments très faibles », affirme M. Arlacchi, « mais la majorité des députés, moi compris, ont approuvé le rapport du Conseil de l’Europe ».

Lufti Dervishi contre Dr Beer

Le journal néerlandais Bright Magazine a trouvé des preuves confirmant que Dervishi a reçu jusqu’à 3 millions d’euros d’un urologue renommé à Berlin, Manfred Ernst Beer. Les deux hommes se connaissent depuis longtemps : Dervishi a étudié et travaillé en Allemagne avec le docteur Beer. L’avocat de Lufti Dervishi, Linn Slattengren, a déclaré que son client administrait un certain nombre de biens immobiliers au Kosovo pour le compte du Dr Beer. L’investissement s’est avéré rentable et Manfred Beer lui a ensuite proposé d’ouvrir une clinique. À partir de là, les versions fournies par les versions de Beer et Dervishi divergent.

Selon Linn Slattengren, Manfred Beer aurait investi 3 millions d’euros et aurait été directement impliqué dans la sélection des médecins pour pratiquer des opérations chirurgicales à la clinique Medicus. De son côté, le docteur Beer a déclaré à la presse qu’il n’avait pas donné à Dervishi plus de 300.000 euros et qu’il n’avait joué aucun rôle dans le recrutement du personnel médical de la clinique.

Une source proche de l’enquête, qui a requis l’anonymat, raconte que l’urologue allemand n’a pas été soupçonné de quoi que ce soit ni fait l’objet d’une enquête. Son nom n’apparaît pas dans la liste des témoins, et il n’aurait pas été interrogé sur son rôle dans la clinique Medicus.

« Les enquêteurs auraient dû interroger Manfred Beer et déterminer s’il était impliqué dans des activités illégales », explique Lawrence Marzouk, le rédacteur en chef de Prishtina Insight, le seul journal du Kosovo en langue anglaise. « Je pensais qu’ils l’avaient interrogé suite aux conversations que j’ai eues avec Eulex. Si ça n’a pas été le cas, cette situation soulève des questions troublantes sur la qualité de l’enquête », estime-t-il.

Eulex, une mission dans la tourmente

La mission Eulex est la plus grande mission de l’UE à l’étranger en termes d’effectifs et de ressources. L’équipe, composée de policiers et de magistrats, compte plus de 3.000 personnes, dont près de 2.000 internationaux et 1.250 kosovars. Le commandement de la mission a été confiée au général français Xavier Bout de Marnhac.

En théorie, Eulex travaille sous la supervision de la Minuk, l’Administration intérimaire des Nations unies au Kosovo. En réalité, Eulex a remplacé la Minuk à partir de sa mise en œuvre début décembre 2008, et son chef n’est pas le Secrétaire général des Nations unies, mais Catherine Ashton, Haut Représentant de L’Union européenne pour les affaires étrangères et la défense.

« La Minuk a laissé un lourd héritage », rappelle Alberto Perduca, en charge de la justice pour Eulex jusqu’à 2010 et aujourd’hui procureur adjoint à Turin. « Eulex a reçu des milliers de dossiers, dont environ 1.200 relatifs aux crimes de guerre. Un nombre de dossier qui paralyserait n’importe quel bureau de procureur », précise M. Perduca. En essayant de garder profil bas, la mission Eulex a rouvert des enquêtes et engagé des poursuites contre des politiciens de premier plan ou leurs collaborateurs.

« Nous avons eu pour tâche de restaurer la primauté du droit dans un environnement international extrêmement fragile, à travers la participation progressive des institutions locales », explique le magistrat. Mais le système judiciaire au Kosovo, exposé à la forte intimidation du pouvoir, a montré une certaine réticence à s’occuper directement des dossiers les plus brûlants.

Eulex assure également la protection du repenti Nazim Bllaca, ancien membre du Shik, le service secret du PDK, aujourd’hui officiellement dissous, mais qui est toujours actif. Bllaca a admis qu’il avait pris part à plusieurs meurtres et qu’il avait mené une série d’actions illégales contre les adversaires du PDK (Voir notre article : Meurtres politiques au Kosovo : « nous avons tué 600 personnes en un an »).

Les procès qui ont été rouverts contre des personnages influents comme Fatmir Limaj, Ramush Haradinaj et Lufti Dervishi, n’ont certainement pas attiré la sympathie du gouvernement et de l’opposition du Kosovo. D’autre part, de nombreux Kosovars se plaignent du fait qu’Eulex ne va pas assez loin dans la lutte contre le crime organisé. Les nationalistes de Vetevëndosje (Autodétermination) sont les détracteurs les plus sévères de la mission européenne au Kosovo.

Eulex a également rencontré une forte résistance lors des enquêtes sur le présumé trafic d’organes à la suite des bombardements de l’Otan en 1999. Dick Marty, rapporteur du Conseil de l’Europe, et Carla Del Ponte, ancienne présidente du TPI qui a la première publiquement évoqué ce trafic d’organes en 2008, se sont plaints de l’absence d’un programme adéquat de protection des témoins et d’un mandat officiel permettant de mener des enquêtes sur le territoire albanais (Voir notre article : Crimes de guerre au Kosovo : des témoins sans aucune protection).

Enquêter au Kosovo, mission impossible ?

Selon Alberto Perduca, la petitesse du Kosovo et son tissu social fondé sur des liens familiaux font qu’il est impossible de protéger adéquatement les témoins au Kosovo. « La coopération internationale est essentielle », assure le procureur, et « tant que les autres Etats n’accepteront pas de recevoir et protéger des témoins, enquêter sera très difficile ». Or, « enquêter sur le trafic d’organes n’est pas une option, c’est un devoir », tonne-t-il et « si l’Albanie continue à ne pas accorder d’assistance juridique pour permettre à Eulex d’avoir accès au lieu présumé des crimes, l’enquête restera paralysée » (Voir notre article : Trafic d’organes : l’Albanie accuse Dick Marty, mais est ouverte à une enquête).

La crédibilité d’Eulex a encore une fois été mise à mal avec la mort du témoin clé de l’affaire Kleçka, dans laquelle Fatmir Limaj, ancien ministre des Transports aujourd’hui député du PDK et ancien chef de l’UÇK, est impliqué (Voir notre article : Crimes de guerre et protection des témoins au Kosovo : « Eulex m’a tuer »). Agim Zogaj a été retrouvé pendu à Duisburg, en Allemagne, où il avait été exfiltré pour plus de sécurité.

Pour la police allemande, il ne fait aucun doute que l’homme, plus connu sous le nom de « témoin X » s’est suicidé. Cette version officielle a été accueillie avec scepticisme par l’opinion publique. La famille Zogaj accuse Eulex d’être responsable de la mort d’Agim et d’être incapable d’assurer une protection efficace aux témoins.

Aujourd’hui, la crédibilité d’une nouvelle équipe spéciale d’Eulex pour mener l’enquête sur le présumé trafic d’organes au Kosovo est en jeu. Étonnamment, c’est le procureur américain John Williamson Clinton qui a été nommé pour diriger cette investigation. Williamson se trouvait à la tête du ministère de la Justice du Kosovo entre 2001 et 2002, lorsque le territoire était sous administration des Nations unies. Il était chargé de contrôler les prisons et le système judiciaire du Kosovo.


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Le Courrier des Balkans

Trafic d’organes au Kosovo : le « docteur Vautour » et les mafias internationales (2/2)


De notre envoyé spécial

Mise en ligne : vendredi 28 octobre 2011

Le présumé trafic d’organes au Kosovo s’inscrit-il dans un réseau mafieux à grande échelle ? Yusuf Erçin Sönmez alias « docteur Vautour », semble jouer un rôle crucial dans cette affaire. Le chirurgien qui opérait à la clinique Medicus est mêlé aux mafias internationales de trafic d’organes depuis les années 1990 et se vante même de plus de 2.000 transplantations... Deuxième volet de notre enquête.

Par Par Riccardo M. Ghia
Cette enquête a été publiée initialement par Bright Magazine.


Les internationaux étaient au courant d’un présumé trafic d’organes au Kosovo depuis au moins 2003. À ce moment-là, les enquêteurs de l’Onu remettaient un rapport de 29 pages sur les témoignages évoquant des centres de détention secrets dans le nord de l’Albanie. L’enquête a été arrêtée un an plus tard, classée sans suites.

Deux journalistes italiens, Giuseppe Romano et Vittorio Ciulla, ont publié des documents qui montrent qu’en 2005 la clinique Medicus avait attiré l’attention de la Financial Intelligence Unit, une institution indépendante qui dépend avec le ministère kosovar de l’Économie et des Finances. Les agents avaient constaté que le centre de transfusion du Kosovo (KBTC) avait fourni une quantité anormale de sang à certaines cliniques privées de Pristina.

La clinique Medicus figurait parmi les acheteurs, les transplantations d’organes nécessitant de grandes quantités de sang. Le centre a reçu des transfusions du KBTC en échange de 100 euros pour chaque poche de sang. Une somme qui correspond au tiers du salaire moyen d’un médecin au Kosovo. Encore une fois, les autorités n’ont pas approfondi leurs contrôles.

Les premiers soupçons de trafic d’organes au Kosovo ne sont apparus dans la presse internationale qu’en avril 2008 lorsque l’ancienne procureur du TPI Carla Del Ponte a révélé dans son livre La Traque, les criminels de guerre et moique des centaines de Serbes auraient été enlevés et tués pour leurs organes (Voir notre article : Trafic d’organes de l’UÇK : Carla Del Ponte pour la saisine de la CPI). Au mois d’octobre, Eulex lançait une enquête sur la clinique Medicus.

En 2010, l’ancien procureur du canton du Tessin, Dick Marty, a confirmé ces allégations dans un rapport rédigé pour le Conseil de l’Europe (Voir notre article : Trafic d’organes : Dick Marty s’explique), précisant que « la composante du trafic d’organes au cours des détentions dans la période qui a immédiatement suivi le conflit [...] est liée au dossier actuel relatif à la clinique Medicus, sans compter le rôle central de personnalités albanaises et kosovares ». Marty écrit notamment que l’actuel Premier ministre, Hashim Thaçi, était le chef d’une organisation criminelle, le « Groupe de Drenica », directement liée au présumé trafic d’organes (Voir notre article : Kosovo : Thaçi impliqué dans l’organisation du présumé trafic d’organes de l’UCK).

Dick Marty accuse également Shaip Muja, chargé des questions de santé au sein de l’UÇK, puis conseiller politique auprès d’Hashim Thaçi, d’avoir fait partie d’une organisation de trafic d’organes, en ajoutant que Muja recevait le soutien d’ « éléments de l’armée et des services secrets albanais » (Voir notre article : Kosovo : Shaip Muja bientôt inculpé dans l’affaire de la clinique Medicus ?).

Le « Docteur vautour », une figure centrale des trafics internationaux d’organes

Le travail de Nancy Scheper-Hughes, professeur d’anthropologie à la prestigieuse université de Berkeley, ressemble plus à celui d’un détective engagé plutôt que d’une universitaire. Le travail d’enquête qu’elle a effectué après s’être infiltrée dans les réseaux de trafic d’organes ont fait d’elle l’un des plus grands experts sur le sujet depuis le milieu des années 1990.

À l’époque, elle s’est heurtée à un mur de scepticisme et d’isolement. Selon un rapport du Département d’État américain datant de 2004, il serait « impossible de cacher un trafic d’organes ». Pourtant, quelques années plus tard, les enquêtes policières de plusieurs pays auxquels elle a prêté assistance (le Brésil, l’Afrique du Sud, les Etats- Unis, la Moldavie, la Turquie et Israël) lui ont donné raison.

Zaki Shapira, un des chirurgiens israéliens les plus célèbres, aujourd’hui soupçonné de trafic d’organes, a fait partie du comité d’éthique de la Fondation Rockefeller à Bellagio (Italie) où il a travaillé avec Scheper-Hughes. « C’était absurde. Zaki, qui était membre de la Task Force Bellagio contre le trafic international d’organes de 1996 à 1997, faisait partie d’un réseau international de trafic de reins », raconte l’anthropologue américaine.

« Depuis le début des années 1990, Shapira et son partenaire Yusuf Sönmez (le chirurgien turc impliqué dans l’affaire Medicus au Kosovo, NDLR) utilisaient les remboursements d’assurances de santé israéliennes et des ressources provenant d’opérations de blanchiment d’argent pour financer les trafics d’organes internationaux. » Dans un fichierPower Point en la possession du Scheper-Hughes, Sönmez alias « Docteur Vautour », se vante même d’avoir effectué plus de 2.200 transplantations illégales de reins.

L’implication de l’Armée dans les trafics d’organes

Comment est-il possible qu’un trafic d’organes internationaux puisse prospérer sans être détecté ? « La seule chose que je peux dire, c’est que le trafic d’organes est un crime ‘protégé’ dans de nombreux États. En période de guerres et de catastrophes naturelles, ainsi que dans les pays ‘militarisés’, il y a des trafics d’organes et de tissus humains », assure Scheper-Hughes. « Il a fallu dix ans pour que quelqu’un écoute de ce que j’avais à dire. J’ai la preuve de ce que je dis. »

« Dans les États actuellement ou anciennement militarisés comme Israël, le Brésil, l’Argentine ou l’Afrique du Sud, des personnes ont été tuées pour que l’on prenne leurs organes. Je sais que cela peut être fait, et ce n’est même pas difficile. Regardez ce que la Chine fait avec ses prisonniers. Enlever les organes n’est pas un gros problème. Tout ce dont vous avez besoin, c’est d’un moyen pour préserver correctement les organes et un personnel technique compétent. L’organisation Eurotransplant, pour des raisons altruistes, transporte des organes à travers l’Europe jusqu’en Turquie. »

Dans les affaires de trafic d’organes, l’Armée n’est jamais très loin. Exemple : le général israélien à la retraite, Zamir Meir, héros de la guerre du Kippour, est accusé par la justice israélienne d’être le chef d’un réseau criminel de trafic d’organes lui aussi lié à Yusuf Sönmez.

Ce n’est pas le seul cas. M.R., agriculteur de San Cipriano d’Aversa, près de Naples, a rencontré un Américain dans un pub fréquenté par des soldats US. L’homme lui a fourni le contact d’une clinique turque et le nom d’un chirurgien : Sönmez, encore une fois. La promesse ? Un nouveau rein et une nouvelle vie en échange de 220 million de lires, soit environ 110.000 euros. L’enquête a été arrêtée et classée, sans faire de bruit.

Trafic d’armes et trafic d’organes : toute vérité n’est-elle pas bonne à dire ?

En mai 1996, Xavier Bernard Gautier, correspondant du Figaro et expert des Balkans, a été retrouvé pendu à son domicile, sur l’île de Minorque. Les autorités espagnoles n’ont eu aucun doute sur sa mort : « un suicide ». Cependant, les circonstances étaient plutôt singulières.

Xavier Bernard Gautier a été retrouvé les mains liées et sur les murs de la maison, était écrit : « Traître » et « Diable Rouge », le surnom de Roberto Delle Fave, un mercenaire italien qui avait combattu en Bosnie pour les forces croates et qui avait révélé à Gautier des détails sur un trafic d’armes vers l’Autriche et un trafic d’organes vers l’Italie.

Un journaliste français a déclaré à la presse que Gautier avait en sa possession un article susceptible de mettre sa vie en péril. Ce papier portait sur « les criminels de guerre de l’ancienne Yougoslavie, mais aussi sur des personnalités importantes en Italie ». Quelques années plus tard, les procureurs de Trieste Nicola Maria Pace et Federico Frezza ont suivi précisément la piste d’un trafic d’organes d’immigrants chinois entre l’ancienne Yougoslavie et l’Italie.


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COSE CHE CAPITANO AGLI APPRENDISTI STREGONI /
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VIDEO: 
http://video.repubblica.it/mondo/sarajevo-musulmano-spara-all-ambasciata-usa/79488/77878
http://www.youtube.com/watch?v=CO8svFMwXvw
http://www.youtube.com/watch?v=n5U8KpsEFo0


http://www.repubblica.it/esteri/2011/10/28/news/arrestato_sparatore_sarajevo-24048986/?ref=HREC1-2

SARAJEVO

Spari contro l'ambasciata Usa
Ferito e arrestato fondamentalista

Un uomo, musulmano wahabita, ha fatto fuoco contro la sede diplomatica nella capitale bosniaca. Feriti due agenti di guardia. E' stato colpito da un tiratore della polizia e preso in custodia

SARAJEVO - Ha esploso diversi colpi con un'arma automatica verso la sede dell'ambasciata americana a Sarajevo, e prima di essere arrestato ha ferito due agenti di guardia. E' stato un fondamentalista islamico a creare il caos nella capitale bosniaca: armato di kalashnikov, si è messo a sparare davanti all'edificio ed è stato a sua volta ferito da un tiratore scelto della polizia e arrestato. Lo ha reso noto un portavoce della polizia bosniaca, dopo che in un primo momento era stato riferito che l'attentatore era stato ucciso. 

La radio bosniaca riporta che l'uomo, identificato dall'emittente B92 come Mevlid Jasarevic, 23 anni, cittadino serbo della città a maggioranza musulmana di Novi Pazar, è con ogni probabilità musulmano wahabita, la corrente dominante dell'Islam in Arabia Saudita. Secondo i media locali, era in contatto con una comunità di fondamentalisti islamici nel nord della Bosnia. L'uomo è stato "medicato sul posto e poi trasferito in ospedale sotto il controllo della polizia". 

Un video lo mostra con un cappotto in stile militare e una lunga barba tipica dei fondamentalisti islamici mentre avanza verso la rappresentanza diplomatica. Secondo alcune testimonianze, durante l'attacco, durato circa mezz'ora, avrebbe urlato "Allah Akbar"

Jasarevic è noto alla 
polizia per aver più volte visitato il villaggio di Gornja Maoca, nel nord est della Bosnia, una località situata in zona impervia e isolata abitata da una piccola comunità di musulmani wahabiti: una trentina di famiglie, che vivono secondo un'interpretazione restrittiva della sharia, fedeli all'Islam radicale. 

L'anno scorso la polizia ha effettuato un blitz nel villaggio ed ha arrestato sette persone con l'accusa di minaccia all'"integrità territoriale e alla Costituzione della Bosnia-Erzegovina e di promuovere l'odio etnico, razziale o religioso". La comunità, secondo la stampa, è stata fondata da alcuni ex mujaheddin, di quelli che durante la guerra (1992-95) erano venuti a combattere a fianco dei musulmani bosniaci, la maggior parte dei quali lasciò il Paese alla fine del conflitto. Chi è rimasto si è dedicato alla diffusione della dottrina radicale ed integralista.

La portavoce della missione Usa ha confermato che c'è stato "un incidente di fronte all'ambasciata", che è stata chiusa. La rappresentanza diplomatica americana si trova nel quartiere commerciale e delle università della capitale a maggioranza musulmana della Bosnia-Erzegovina. Nel 2002 ci fu un allarme attentati per l'ambasciata Usa ma è la prima volta che la sede viene di fatto attaccata.

Parole nette contro l'attacco sono state espresse da Bakir Izetbegovic, membro musulmano della presidenza tripartita bosniaca: "Condanno con la più grande fermezza l'attacco terroristico contro l'ambasciata degli stati Uniti in Bosnia Erzegovina", ha detto in un comunicato Izetbegovic. "Mi attendo - ha aggiunto - che le istituzioni competenti procedano a un'inchiesta urgente ed efficace su questo atto folle".


(28 ottobre 2011)


FOTOSEQUENZA: http://www.repubblica.it/esteri/2011/10/28/foto/sarajevo_fondamentalista_spara_davanti_all_ambasciata_usa-24049280/1/?ref=HRER2-1

Un estremista islamico armato di kalashnikov ha sparato contro l'ambasciata Usa a Sarajevo ferendo due agenti di guardia, prima di essere ferito da un tiratore scelto della polizia e arrestato


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