Informazione

Un anno dopo la strage di Gorazdevac

Riceviamo attraverso una serie di forward questa interessante
testimonianza diretta, raccolta quasi esattamente un anno dopo la
strage di adolescenti che facevano il bagno in un fiume presso
Gorazdevac, in Kosovo (13 agosto 2004). Il titolo della testimonianza
e' molto giusto: in Kosovo non c'e' proprio niente di "normale" e tutto
appare molto "strano". Forse, solo la violenza ed il separatismo etnico
sono oramai diventate "normali" nella provincia serba (quello di
Gorazdevac fu solo uno delle decine di efferati episodi verificatisi in
seguito alla occupazione militare occidentale: piu' recentemente, lo
scorso marzo, si sono verificati veri e proprio pogrom di massa). Anzi,
a volerla dire tutta e fino in fondo, neanche questo testo e' veramente
"normale", o meglio: non e' "normale" il contesto in cui esso appare.
Mentre infatti gli organi di stampa ed i partiti della sinistra
tacciono imbarazzati sulla situazione in Kosovo e nel resto della
Jugoslavia, omettendo dunque di riferire della reale situazione sul
campo cinque anni dopo l'aggressione NATO, sono settori del pacifismo
cattolico e nonviolento a testimoniare "de visu" la vergogna della
situazione presente; settori i quali, pero', portano anche loro un
pesante carico di responsabilita' per tutto quanto si e' verificato,
sin da quando, nei primi anni Novanta, decisero di sostenere la
politica del separatismo etnico e del "boicottaggio" anti-jugoslavo
predicata da Ibrahim Rugova.
Esponente politico liberista e legato alla internazionale
democristiana, Ibrahim Rugova non ha mai nascosto di mirare alla
secessione del Kosovo dalla Jugoslavia, nell'ambito dunque del piu'
generale movimento ispirato al revanscismo nazionalitario ed alla
frammentazione dei Balcani secondo linee etniche, che tante tragedie ha
provocato. Ne' ha mai nascosto di puntare, in un secondo tempo, alla
annessione del Kosovo ad una futura "Grande Albania". Oggi, Rugova
afferma a chiare lettere di appoggiare anche la presenza militare ed
economica (dunque imperialista) occidentale sulla sua patria,
dimostrando di essere un traditore del suo stesso popolo proprio come i
tanti altri esponenti nazionalisti che hanno distrutto i Balcani negli
ultimi anni. Infine, Rugova ha esplicitamente dichiarato di appoggiare
la aggressione angloamericana contro l'Iraq.
Che cosa ha a che fare tutto questo con il "pacifismo" e con la
"nonviolenza"? Assolutamente niente. I tempi sarebbero allora maturi
perche' Alberto L'Abate, organizzazioni come "Operazione Colomba" e
tutte le altre realta' che negli ultimi dieci anni hanno sostenuto la
linea di Rugova facessero finalmente ed esplicitamente autocritica,
poiche' quella linea politica ha prodotto solamente guerra, spargimento
di sangue, drammi sociali e distruzione del tessuto civile.

A. Martocchia


http://www.operazionecolomba.org/

Kossovo: "LE COSE STRANE SONO NORMALI"
9 .08.04

In Kossovo le cose strane sono normali; in questi giorni, per
esempio, la corrente elettrica c'è solo poche ore al giorno; uno dei
tanti prodigi della democrazia occidentale importata con le bombe
nel 1999. Qui a Gorazdevac, enclave serba difesa da soldati italiani
e rumeni, che molte volte hanno le idee poco chiare, il tempo scorre
lento e annoiato. I lavori nei campi, che un tempo scandivano la
vita contadina, sono molto limitati, andare troppo lontani può
essere pericoloso specialmente dopo il 13 agosto dell'anno scorso
quando due ragazzi del paese, Ivan e Panto, sono stati uccisi e
cinque feriti mentre facevano il bagno al fiume. La gente vive in
una doppia prigione: quella creata dalla situazione, ossia fuori da
qui è pericoloso essere serbi e quella creata da quelli che ti guardano
storto se cerchi di contattare uno dall'altra parte. Gli albanesi
poco distanti vivono anche loro in prigione, una prigione un po' più
grande dove i confini del Kossovo diventano sempre più
impraticabili, da poco tempo nemmeno la Bosnia i Herzegovina fa
passare i kossovari muniti di passaporto UNMIK con stampigliato
sopra il simbolo delle Nazioni Unite. Un'altra prigione per gli
albanesi è quella che li fa passare per Gorazdevac e far finta di
non conoscere vecchi amici per paura che altri albanesi li vedano e li
possano accusare di "famigliarizzare con il nemico". Tutte queste
prigioni constringono le amicizie a racchiudersi dietro un alone di
segretezza. M., per esempio, passa attraverso vie secondarie e poco
vigilate per andare a trovare il suo amico D. dentro l'enclave. P.
mi manda in avan scoperta a vedere se il suo vecchio amico albanese,
che da poco è tornato dalla Norvegia, è disposto ad andarlo a
trovare per un caffè. C'è anche chi per vedere la sorella, che ha
sposato un albanese cinquant'anni fa e che abita a soli due
chilometri, è costretto a mobilitare una scorta armata sperando che
i parenti albanesi della sorella le permettano di vederla.

In mezzo a queste prigioni e questo mondo normalmente strano trovi
delle persone sincere come E. che in un pomeriggio qualunque parlano
con te sorseggiando del caffè turco e ti raccontano pezzi della loro
vita, e questa è vita vera e anche tu raccontando della tua ti
accorgi, ad un certo punto, che ti trema la voce.
Non so se questo è un buon segno ma sicuramete è segno che la
conversazione è intima e che ci si mette in gioco. E. mi racconta di
quando da giovane, morto il padre, è andato a cercar fortuna in
Slovenia dove ha lavorato come tipografo, o meglio stampatore
offset. Lui mi guarda e dice che poi ad un tratto Milosevic, andato
al potere, richiama i serbi in Kossovo con promesse di prosperità e
miglior vita. Tutto questo non avviene e il mio amico si ritrova in
questo mondo di odii incrociati dove gli anni sono passati e la
situazione è sempre peggiorata, e ad un tratto, con moglie e tre
figli, si trova nella prigione chiamata enclave. Guardandomi negli
occhi si dice sicuro di poter tornare un giorno nella Slovenia che
lui ricorda ordianata e pulita. Dice che allora, al tempo della
Yugoslavaia unita, lui saliva in treno e arrivava alla stzione di
Lubiana con la carta d'identità in tasca e nessuna frontiera. Oggi,
se lo potesse fare, consumerebbe il passaporto a forza di mostrarlo
alle frontiere. Anche lui porbabilmente sogna i balcani nell'Unione
Europea come almeno 6000 cittadini di Prijedor (BiH) che il dodici
giugno, quando noi abbiamo rinnovato il Parlamento Europeo, hanno
anch'essi idealamente e simbolicamente votato per l'Unione Europea.
Il racconto va avanti e altri pezzi di vita vengono a galla. Il
pensiero e il racconto passa attraverso un giorno che pesa come un
macigno su questa comunità: il 13 agosto 2003.

In quel giorno E. stava cercando di sopravvivere alla calura estiva,
il suo spirito era ottimista e il suo orto curato. Due raffiche
falciano due ragazzi al fiume altri cinque sono feriti. Nel
villaggio c'è subito molta confusione e lui nella foga carica uno
dei sopravissuti in macchina per portarlo all'ospedale. La sua macchina
ha la targa serba, non c'è tempo da perdere, si parte con lui ci
sono due parenti del ferito. La confusione e la tensione sono alte,
uno dice vai a destra l'altro a sinistra, lui va destra pensando di
andare verso l'ospedale militare che però da poco è stato trasferito.
La strada passa in mezzo al mercato, all'andata fila tutto liscio, ma
poi si deve tornare indietro perchè l'ospedale non c'è. La scorta si
perde e dun tratto la macchina brontola e si spegne: la benzina è
finita. La gente si accalca attorno alla macchina e forse qualcuno
comincia a prenderla a calci. La folla è tanta e i poliziotti che
sono poco distante non riescono a controllare la situazione. Qualche
cosa rompre i vetri della macchina, E. riceve un pugno in faccia e,
ad un tratto, arriva un sasso. La reazione istintiva è quella di
proteggere la testa così il sasso ferisce il braccio. E. dice che a
quel punto ha pensato di essere finito e che tutte le sue forze
erano concentrate nella sopravvivenza. Ma poi ad un tratto arriva una
colonna militare che è diretta proprio a Gorazdevac, ci sono anche
due ambulanze. Vedono la folla e intuiscono che qualcosa sta
succedendo. Alla vista dei soldati la folla si disperde, E grida:
"Please Help me! Please Help me!?
La folla si dirada ulteriormente i soldati si avvicinano, E. e gli
altri della macchina si riparano sui mezzi militari. Lui si ritrova
sull'ambulanza con il ragazzo ferito. Anche lui è lacero e ha un
braccio sanguinante. All'ospedale per E. la situazione è umiliante.
Alcune persone lo guardano storto quasi fosse un criminale, i suoi
vestiti sono macchiati di sangue.
I giorni seguenti sono i giorni della sofferenza, tutto il villaggio è
in lutto. E. viene convocato dalla polizia per i fatti avvenuti sulla
strada del mercato ma a quanto pare qualcuno lo ha denunciato e si
trova dun tratto a passare da vittima ad accusato. Per la prima
volta in vita sua E. viene interrogato, fotografato e schedato.
Chiede un avvocato ma la procedura non lo consente. La sera stessa
scappa in Serbia per paura di essere arrestato. In Serbia chiede
aiuto al governo perchè i suoi diritti vengano difesi presso le massime
sfere dell'amministrazione UNMIK. Poco o nulla si muove e cosi i
giorni diventano mesi. Arriva novembre e la cosa non si è ancora
sbloccata. La sua famiglia è in Kossovo lui in Serbia, separati da
un accusa che E. considera infamante. A novembre E. ha la festa
della casa, il santo protettore della sua famiglia, qui questa
ricorrenza è molto importante, mancano pochi giorni alla data e le
cose non accennano a cambiare. Nel cuore della notte E. ha un attacco
d'ansia, non riesce a respirare, ha la tachicardia, ha paura di
morire e corre al pronto soccorso. Bussa alla porta e con un filo di
voce spiega la sua storia all'infermiere di turno. Un calmante
sistema la situazione per il momento. Ancora un pò di esitazione ma
poi l'indomani mattina E. decide che deve tornare dalla sua famiglia
costi quel che costi. Proprio quel giorno c'è il convoglio scortato,
con la sua macchina si accoda e torna a Gorazdevac. Quest'anno il suo
orto non è curato e E. non è più ottimista come un anno fa. La
polizia non lo ha più cercato, lui continua a sognare la Slovenia e
a vivere a Gorazdevac. Dopo il racconto e dopo il caffè E. mi guarda
e dice che però non ha perso del tutto la speranza nelle persone e
quindi nemmeno negli albanesi, un pizzico di speranza cìè ancora.
Questa cosa è strana e straordinaria ma forse per E. è normale. Qui
a Gorazdevac domani si celebra l'anniversario religioso a un anno
dall'uccisione di Ivan e Panto il 13 agosto 2003, sarà un giorno
strano ma a suo modo normale.

Operazione Colomba
Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII

THIS LAND BELONGS TO...


http://images.shockwave.com/afassets/flash/this_land.swf


(thanks to Minja for the link!)

Da: ICDSM Italia
Data: Mer 11 Ago 2004 12:21:14 Europe/Rome
A: i c d s m - i t a l i This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.
Oggetto: [icdsm-italia] PEUT-ON TUER LA VÉRITÉ ?


PEUT-ON TUER LA VÉRITÉ ?

Déclaration du Pr. Velko Valkanov, fondateur et coprésident du Comité
international pour la défense de Slobodan Miloševic (ICDSM)


Aux organisations des Nations unies
Au public international

Hier, les juges du prétendu Tribunal pénal international pour
l'ex-Yougoslavie ont démontré indubitablement que, pour eux, leurs
devoirs et visées politiques comptent plus que la vérité, la justice et
la loi.

Lors de la pré-audience traitant de la seconde phase du procès - celle
de la défense de Slobodan Miloševic -, qui va normalement débuter en
juillet de cette année, ils ont véhémentement refusé de prolonger le
délai court et injuste de trois mois accordé au président Miloševic pour
la préparation de la défense bien que les médecins lui aient interdit de
travailler plus de la moitié de ce temps. Les juges ont de nouveau
refusé, sans discussion, la requête de libération temporaire du
président Miloševic dans le but de se faire soigner médicalement, de se
rétablir et de se préparer de manière adaptée aux séances restantes du
procès. Pour la présentation du point de vue de la défense, ils ont
prévu 150 jours de travail malgré que le Parquet disposa du double de ce
temps.

Les juges se sont arrogés le droit de déclarer chaque témoin de la
défense comme irrecevable et cela même durant son témoignage. Ils
refusèrent de considérer les requêtes du président Miloševic de citer
comme témoins les dirigeants de l'agression de l'OTAN contre la
Yougoslavie et les demandes aux agences d'information des principaux
membres de l'OTAN et de Serbie-Monténégro de fournir des documents
utiles et invoquèrent des raisons de procédure inacceptables pour
motiver leur refus.

Sans aucun égard au fait que Slobodan Miloševic, dont la santé est
sérieusement détériorée, se charge lui-même de sa défense, alors qu'il
se trouve emprisonné illégalement et ne dispose pas de capacités
matérielles, financières et temporelles adaptées, les juges ont ordonné
ou tenté d'ordonner toute une série de limitations de procédure ou
d'obstacles concernant l'ordre des témoins, les informations à fournir
aux témoins et le contenu des témoignages.

C'est d'une façon particulièrement irritante que se déroula l'audience
d'hier sous la direction du président du tribunal Patrick Robinson, qui,
empruntant les manières de son prédécesseur, Richard May, éteignait le
micro du président Miloševic et essayait de transformer la présentation
de la défense en une discussion entre les juges, le représentant du
Parquet et les "amis du tribunal" (amici curiae) sans porter attention
aux déclarations sur les faits de Slobodan Miloševic qui sont, pour lui,
urgentes et de prime importance.

Un jour plus tôt seulement, le membre de la chambre nouvellement élu, le
juge Ian Bonomy de Grande-Bretagne, avait fait basculer, par son vote,
la décision au détriment de Slobodan Miloševic dans une situation où les
avis des deux autres juges s'opposaient concernant un non-lieu sur
l'accusation de génocide. De cette manière, Ian Bonomy, confirmait qu'en
l'espace de seulement deux mois, il était parvenu à se familiariser avec
la montagne d'un million de pages de documents importants du procès - un
exemple incroyable et honteux d'arbitraire judiciaire.

Le tribunal de La Haye tente l'expérience de tuer la vérité. Personne
dans le monde n'a besoin d'un tel tribunal aussi hypocrite, à part ceux
dans l'OTAN qui sont responsables des crimes les plus graves contre la
paix, la Yougoslavie et le peuple serbe.

En ce moment où le monde entier s'élève contre l'agression et la terreur
mais aussi contre les manipulations du droit qui les accompagnent et où
le peuple de Serbie s'engage encore plus vaillamment dans la lutte pour
la vérité, qui est représentée par Slobodan Miloševic, les crimes contre
la vérité, le droit et les droits de l'Homme les plus élémentaires qui
sont commis à La Haye doivent cesser immédiatement.

L'ICDSM et ses sections nationales vont, à présent, intensifier la lutte
contre les crimes à La Haye dans leurs déclarations et activités.

Les militants pour la vérité et la liberté de Slobodan Miloševic
deviennent de plus en plus nombreux. Récemment, les parlements de la
Fédération russe et de la République biélorusse ont émis de
spectaculaires déclarations. Le Conseil pour la paix mondiale fit de
même. À l'initiative du poète canadien Robert Dickson, des artistes de
renommée internationale comme Harold Pinter, Peter Handke, Alexander
Zinoviev, Rolf Becker, Valentin Raspoutine, Dimitri Analis, Nikolaï
Petev et beaucoup d'autres ont signé la pétition qui réclame que ce
crime, cette dernière phase désespérée de la guerre de l'OTAN contre la
Yougoslavie soit stoppée - dans l'intérêt de l'humanité et de la paix.

La vérité ne peut être tuée.
Liberté pour Slobodan Miloševic !
Liberté pour la Serbie !

Sofia, le 18 juin 2004

--
Source: http://www.free-slobo.de/notes/040618vv.htm
Traduction: JS



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ICDSM - Sezione Italiana
c/o GAMADI, Via L. Da Vinci 27
00043 Ciampino (Roma)
tel/fax +39-06-4828957
email: icdsm-italia @ libero.it

Conto Corrente Postale numero 86557006
intestato ad Adolfo Amoroso, ROMA
causale: DIFESA MILOSEVIC

sito internet:
http://www.pasti.org/linkmilo.htm

I FONDAMENTI DEMOCRATICI DELLA JUGOSLAVIA

Parole di un Patriota sloveno agli italiani


Tre anni fa tutti i popoli di Jugoslavia, senza alcuna distinzione di
nazionalita', di ideologia politica, di credenze religiose, si sono
unanimemente levati per la guerra di Liberazione Nazionale.
Nei territori occupati, i nazi-fascisti hanno sterminato la nostra
popolazione civile. Migliaia e migliaia delle nostre donne, vecchi e
bambini sono rimasti nei campi di concentramento. Centinaia e centinaia
dei nostri connazionali sono caduti come ostaggi e vittime della furia
degli occupanti. Diecine e diecine dei nostri paesi e villaggi sono
stati completamente bruciati, la popolazione decimata ed i valori
rubati.
Piu' la situazione degli occupanti nazi-fascisti diventa disperata,
piu' essi diventano feroci. Ma sulle rovine e le stragi e sotto la
guida del nostro Partito Comunista si e' creato un nuovo validissimo
esercito, terrore delle bande nazi-fasciste e garanzia della nostra
liberazione e del nostro avvenire democratico; si e' temprata la
volonta' combattiva dei nostri popoli affratellati; abbiamo giurato
fedelta' all'idea della nostra guerra di liberazione nazionale e di non
deporre le armi prima che il nemico sia cacciato e prima di essere
sicuri che nessuno dei politicanti fuggiaschi e sfruttatori
anti-popolari ritorneranno ad imporci il loro giogo.
All'inizio della fase decisiva della nostra lotta di liberazione
nazionale, si sono avuti, il novembre scorso, avvenimenti
importantissimi; si e' riunito per la seconda volta il Comitato
antifascista di Liberazione Nazionale jugoslavo (Avnoj) con
rappresentanti democraticamente eletti nelle elezioni popolari,
malgrado lo stato di guerra.
In questa occasione i popoli di Jugoslavia hanno concretizzato, primo
fra i popoli soggiogati, il diritto di ogni popolo all'autodecisione
garantito anche dalla Carta Atlantica, cioe' hanno deciso da soli la
loro sorte, scegliendo la loro futura vita nella Jugoslavia democratica
e federativa e costituendo l'organo supremo legislativo ed esecutivo,
espressione della sovranita' dei popoli e dello Stato jugoslavo.
Sono stati tolti al governo fuggiasco e traditore di re Pietro II tutti
i diritti del governo legittimo, poiche' colpevole della guerra
fratricida della nostra Patria, iniziata dal suo ministro Mihajlovic ed
alimentata dalle forze reazionarie riunite nel seno di codesto governo
anti-popolare. Al re stesso e' stato proibito il ritorno nello Stato
dichiarando che la questione riguardante il re e la monarchia sara'
risolta dai popoli stessi dopo la liberazione di tutti i territori
nazionali. In tal modo, tutte le forze reazionarie sono state
condannate all'unanimita', mentre d'altra parte l'eguaglianza politica
di tutti i popoli jugoslavi, acquistata durante la durissima lotta di
liberazione viene solennemente confermata e garantita.
E' stato nominato il presidio dell'Avnoj, il Comitato nazionale di
Liberazione, il nostro governo provvisorio, per la durata della guerra.
D'ora innanzi le sorti del nuovo Stato sono nelle mani di questo
governo voluto da tutti i popoli democratici jugoslavi.
La piu' importante caratteristica del nuovo governo e' la sua ampiezza
democratica e popolare. Ne fanno parte tutti i ceti, tutte le classi,
tutti i partiti politici antifascisti, coi rappresentanti di tutti i
popoli jugoslavi. La base federativa inoltre garantisce l'uguaglianza
politica di tutti i popoli di Jugoslavia, e facilita simultaneamente al
popolo fratello di Bulgaria di venire a far parte dello Stato potente
democratico e popolare di tutti gli slavi meridionali. E' proprio la
liberta' federativa che fa sorgere fra i popoli di uguali diritti e di
uguali doveri l'unita' e fraternita' jugoslava, conquistata e
suggellata dalla guerra di liberazione.

Il governo e' costituito dai figli migliori dei popoli di Jugoslavia.
Ne e' capo Tito, primo maresciallo jugoslavo, comandante supremo
dell'esercito di liberazione e dei distaccamenti partigiani jugoslavi,
figlio cinquantaduenne di un contadino croato e di madre slovena,
tornitore di professione, combattente senza compromessi per i diritti
del popolo lavoratore. Nella sua persona e' la garanzia che il potere
politico in Jugoslavia e' e rimarra' veramente democratico. E' lui il
vero fondatore dell'unita' di tutti i popoli jugoslavi e della
Jugoslavia democratica.
Tito non e' solo il dirigente della lotta antifascista dei popoli
jugoslavi, ma e' il rappresentante degli sforzi democratici di tutte le
masse popolari di questa parte di Europa. Nemmeno il popolo italiano
acquistera' la sua democrazia vera e propria, se non unificando la sua
lotta di liberazione con quella dei popoli di Jugoslavia.
Fra i nostri potentissimi alleati, il governo sovietico ha per primo
riconosciuto il governo di Tito approvando cosi' in tal modo anche la
sua linea politica. I governi di Inghilterra e d'America hanno esteso
la legge prestito ed affitto anche alla Jugoslavia di Tito. Oggi i
popoli jugoslavi chiedono ai governi anglo-americani che neghino
ospitalita' al governo fantasma anti-popolare di re Pietro, che lo
sconfessino, e riconoscano ufficialmente il governo democratico e
popolare di Tito.
Un entusiasmo senza limiti regna nella patria comune di tutti i popoli
jugoslavi. Si tengono congressi della gioventu', delle donne
antifasciste, dei contadini, degli operai, degli intellettuali, artisti
e scienziati. Da tutte le riunioni affluiscono al governo, ai partiti
comunisti ed ai Comitati di Liberazione Nazionale dichiarazioni ed
approvazioni di tutte le decisioni prese finora dal governo,
espressioni della fiducia nel P.C.J. dirigente esperto e sicuro della
lotta della nazione jugoslava verso la democrazia popolare, e di
devozione a Tito, eroe leggendario, e di condanna unanime della guardia
bianca, dei suoi dirigenti traditori e del governo di re Pietro.
Solo in provincia di Lubiana hanno avuto luogo fra il 1° dicembre '43
e il 15 gennaio '44, nove grandi congressi, 137 riunioni popolari, 537
manifestazioni e centinaia di riunioni locali.

Intanto l'esercito di liberazione nazionale jugoslavo ha
vittoriosamente respinto l'urto furioso della sesta offensiva
concentrica condotta dalle masse corazzate di fanteria naziste,
ustascie, bulgare, del generale Nevic e di Mihajlovic. Da oltre due
mesi e mezzo il nemico si sforza di ottenere qualche successo ma deve
sempre rinnovare le sue "offensive generali" lasciando sul terreno
migliaia di morti e una buona parte di materiale bellico delle sue ben
trenta divisioni attaccanti. Le Brigate e i Distaccamenti partigiani
appoggiano la lotta dell'esercito di liberazione ostruendo le strade,
distruggendo i ponti ed i mezzi di trasporto e facendo saltare linee
ferroviarie e i nodi nevralgici del traffico degli avversari,
attaccando ed annientando la forza viva del nemico senza sosta e
dappertutto. Respinta in parte l'offensiva nemica, il nostro esercito
si e' lanciato subito all'attacco decisivo per realizzare lo scopo
della guerra di liberazione di tutti i popoli compreso nel nostro grido
di combattimento: MORTE AL FASCISMO, LIBERTA' AI POPOLI!
Ecco la situazione in Jugoslavia, Patria democratica di tutti i suoi
popoli. Su tale situazione e' basata la risolutezza e l'orgoglio di
tutti, sloveni, croati, montenegrini, serbi e macedoni, riuniti nel
Comitato di Liberazione nella lotta comune e sotto la guida del Partito
Comunista Jugoslavo.


[ tratto da "La nostra lotta",
organo del Partito Comunista Italiano, novembre 1944.

Vedi anche:

"Saluto ai nostri amici e alleati Jugoslavi", da "La nostra lotta" del
13 ottobre 1944:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3509 ;

"La nuova Jugoslavia", da "La nostra lotta", novembre 1944:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3665 ]