Informazione
ANTIWAR, Mercoledì, 3 luglio 2003
Balkan Express di Nebojsa Malic
Bugiardi, mezzani, inquisitori e ladri
Una tragedia balcanica in quattro scene
Nessuno degli eventi o delle dichiarazioni che seguono
potrebbe essere una sorpresa di per se. Ciò che sorprende
è piuttosto la mancanza di reazione da parte
delle vittime, o di coloro che involontariamente
sostengono i colpevoli. Come ogni cosa, il dramma
balcanico avrà conseguenze imprevedibili.
Gli antichi greci usavano dire, "Coloro che gli dei
vogliono distruggere, per prima cosa li fanno impazzire."
Nella ex Federazione Jugoslava, la pazzia e la
distruzione hanno marciato assieme. Per quelli che hanno
avuto a che fare con il naufragio, la tragedia non è
un concetto artistico. È la vita.
I: "Ripulire" l’UCK
Tra gli eventi dell’attuale processo di
disinformazione sul Kosovo, vi é la proclamazione, a
maggio, che l’ultima incarnazione dell’UCK sia una
organizzazione terroristica: è solo un problema di
tempo, prima che gli apologeti professionisti dell’UCK
e della sua causa colpiscano ancora.
La settimana scorsa, l’AFP informava della
“tolleranza” albanese a Obilic, una città dove il mese
scorso una intera famiglia di serbi e' stata
assassinata nella notte. Aderendo alla propaganda
dell’UCK, piena di disinformazione deliberata e di
banalità, l’articolo senza firma usciva dalla solita
filosofia della AFP. L’articolo è cosi "informativo"
che non menziona affatto la ridenominazione albanese
della città [di Obilic] in "Kastriota", un principe medievale
albanese - mentre Obilic é il nome del cavaliere serbo
che uccise il Sultano Murad nella battaglia del Kosovo
del 1389. Tolleranza, quindi.
Lunedì, l’IWPR di Londra ha pubblicato un lungo rapporto
sulle "riforme necessarie" nel Kosovo Protection
Corps, già UCK. Esso e' stato scritto assieme ad un
editorialista di Koha Ditore, il più importante
quotidiano di Pristina, le cui righe razziste
serbofobe sono divenute così di routine che non
disturbano più neanche i censori imperiali. Di
conseguenza, il rapporto IWPR trascura il coinvolgimento
del KPC e dell’UCK nelle attività terroristiche, e
sceglie di insultare la milizia delle FARK, organizzata
dalla fazione di Ibrahim Rugova. Se in alcune parti esso si può
leggere come una apologia dell’UCK, è perché lo è davvero! Solo pochi
paragrafi, e con grande prudenza, nel peana
sulla "liberazione dai serbi", trattano del massacro che
UCK e KPC hanno commesso per anni.
Nel frattempo, l’uscente viceré imperiale del Kosovo
ha salvato l’ex fuehrer dell’UCK, Hashim Taqi, che era
stato arrestato in Ungheria con la imbarazzante
accusa di essere un criminale. La polizia ungherese ha
rilasciato subito Taqi, grazie ai suoi amici potenti. Il mandato
di arresto è stato tolto, poiché “emesso dal governo
Milosevic" - ormai si sa che il cambio di governo
significa che gente accusata di omicidio può essere
lasciata in libertà. Ma se la persona in questione è uno
scugnizzo dell’Impero, che ne è della legge?
II: Costruire una nazione migliore?
Una opinione apparsa sul Christian Science Monitor di
martedì critica il processo di nation-building in
Bosnia: cioè, dichiara che non si fa abbastanza e bisogna
fare di più. L’autrice, Sara Terry, esemplifica la categoria di
quegli occidentali "bene informati" che tentano di pontificare
sui problemi balcanici, ma gestendo cose che suonano
assai imbarazzanti.
Per esempio, lei classifica i bosniaci basandosi sulla
religione, mostrando di credere in una nazione
"bosniaca" con tre differenti fedi. Una nazione
così si è dimostrata mitica come l’unicorno, cosa di
cui la signora Terry o è inconsapevole o ha scelto di
ignorarla.
Altra affermazione ignorante è che i serbi bosniaci,
"incitati dalla vicina Serbia, hanno tentato di
impadronirsi di tutto il paese, o almeno di
dividerselo con la Croazia." Nessuna indicazione sugli
incitamenti contenuti nella dichiarazione di indipendenza
di Izetbegovic dell’aprile 1992, o su cosa questi scrisse nella
sua "Dichiarazione Islamica" del 1971. Nessuno (a
tutt'oggi) ha mai accusato i serbi di tentare di
impadronirsi del paese intero; neanche Izetbegovic
disse mai una simile stupidità. Rispetto alla divisione con
Croazia, ella deve piuttosto chiedere ad Izetbegovic, che
invitò le truppe croate all’inizio del 1992.
Il maldestro tentativo di Terry di comparare le entità
della Bosnia con gli Stati degli USA, rivela solo
una grande ignoranza della Bosnia come degli USA:
diversamente dalle entità della Bosnia (o dalla Bosnia
stessa, nella fattispecie), gli originari 13 Stati [degli USA]
erano per davvero sovrani e indipendenti all’epoca.
Dopo sette anni da Dayton, la delusione persiste.
III: "Portatemi la testa di Radovan Karadzic!"
Il weekend scorso, l'arpia dell’Aja Carla del Ponte
scarabocchiava sulle pagine del New York Times - luogo
appropriato per le sue opinioni, in effetti - che l'intera
fabbrica dell’universo potrebbe scomparire se i serbi
non consegneranno Radovan Karadzic ed il Generale
Ratko Mladic alle sue gentili cure.
Nell'accusare i leader politico-militari della
Repubblica Serbo-Bosniaca del periodo della guerra, la
tumultuosa alta inquisitrice vorrebbe "spedire un
segnale ad altri, simili leaders nazionalisti, perche'
[sappiano che] il mondo non sarà più povero se si
imporra' la giustizia internazionale."
Esiste un mondo unito? E parla con una sola voce?
Non vi è nessuna agenda su queste cose! Ma al
contrario la Del Ponte soffre, in termini di delusioni per
la sua grandeur, presumendo di parlare
per un Mondo immaginario che lei pensa debba essere
un volgare tirapiedi dell’impero. Perché anche l’Impero
tenta di limitare la sua esposizione a quella palude tossica
che è l’inquisizione: due settimane fa, agli avvocati USA
è stato vietato di rappresentare propri clienti davanti all’ICTY.
Ciò che l’alta inquisitrice chiama "giustizia
internazionale" è l’aperta ed impunita aggressione, come
in Kosovo o in Iraq, e ciò significa che lei non terrà
in conto il concetto che le sue parole affermano.
La sola gloria a cui aspirano i bugiardi è la
falsificazione della Storia.
IV: Cleptocrati scatenati
Ogni governo è per definizione una cleptocrazia: per
esempio, il governante ruba al governato. Ma vi sono
pochi posti nel mondo in cui tale affermazione è così chiaramente
ovvia, e tollerata dalle vittime, come in Serbia.
Il governo del DOS è stato imposto dalla Banca
Mondiale e dall’FMI, che appoggiano il piano di
"stimolare" l’economia con vendite fraudolente che
gettano nella miseria gli investitori stranieri mentre
tassano anche l’aria fuori dalle imprese. Questo non è
solo irrazionale ed economicamente senza senso, è
criminalmente sbagliato... I lavoratori che sono scesi
nelle strade di Belgrado vogliono solo far finire gli
abusi del governo, domandano che prenda provvedimenti.
Ogni giorno, il pubblico scopre nuove complicità del
governo nell’esportazione dello zucchero, che fa
scivolare milioni di euro, provenienti dai sussidi
UE per l’importazione, nelle tasche degli affaristi
collegati con il governo. Gli alti gradi del governo
controllano ogni aspetto della vita, e ciò garantisce
il controllo del regime DOS sul traffico.
Sommersi dal disprezzo del popolo che dominano, i
membri della DOS non hanno un progetto che possa
essere accettabile.
Un altro dei loro recenti schemi è lo smantellamento
dell’esercito, da ridurre a livelli accettabili per una
“partnership” con la NATO, rendendolo membro
dell’Alleanza.
Non è veramente liberale opporsi allo smantellamento
dell’esercito, ma da quando il governo serbo ha rafforzato
lo stretto controllo delle armi tra popolazione, non vi
è stato nessuno ad occupare il vuoto. Da tempi della Bibbia
ad oggi, la difesa nazionale è una funzione basilare del
governo - o, per essere schietti, il fare la guerra. Il
governo serbo adesso rischia di fallire nel suo
compito fondamentale, nel tentativo di compiere le
"riforme" e "integrare" la nazione nel novero di quelli che
l’attaccarono pochi anni fa. Tale è il comportamento
di un regime di quisling, non di un governo
"democratico".
È ora chiaro al di là di ogni dubbio che il DOS è una
banda di ladri. Inoltre, curiosamente, il DOS vorrebbe
normalmente far parte dei Balcani moderni, ma
ottiene il peggio del peggio. Come tutti i politici,
desiderano potere e saccheggio, curano la loro attuale
posizione e la possibilità di avere tutto questo dai loro
padroni stranieri, che devono (e vogliono) lealmente
servire.
La continuazione del loro regno del caos dipende dalla
capacità di ingannare i loro concittadini nel far
credere che il DOS attui le necessarie "riforme" e la
"integrazione", con l’altrettanto insensato argomento che
opporsi al DOS significhi supportare Milosevic. Se i
serbi dovessero mai rinsavire, e comprendere che le
loro scelte sono assai più numerose, e che non hanno
bisogno di sostenere la cleptocrazia – che sia straniera o
domestica –, quest'ultima la pagherebbe cara.
Speriamo che ciò accada presto.
Epilogo
In realtà costoro non sono uniti. Apologeti,
inquisitori, mezzani e ladri continuano ad assaltare i
Balcani, dichiarandosi campioni della verità, della
giustizia, della consapevolezza e della capacità. Più
andranno avanti, più le cose peggioreranno. La soluzione,
se si avrà presto, è evidente di per se stessa.
Traduzione di Alessandro Lattanzio
Email: alexlattanzio@...
Sito: http://members.xoom.it/sitoaurora
Revisione del testo italiano a cura del CNJ
“PROZESS DES JAHRHUNDERTS” -
EIN VERSUCH DES TOTSCHWEIGENS DER WAHRHEIT
Pressemitteilung der Sektion Québec und Kanada des Internationalen
Komitees für die Verteidigung von Slobodan Milosevic (ICDSM) vom 30.
September 2003-09-30;
Übersetzung: Deutsche ICDSM-Sektion
Die Sektion Québec und Kanada des Internationalen Komitees für die
Verteidigung von Slobodan Milosevic (ICDSM) möchte ihrer Empörung
darüber Ausdruck geben, dass das Internationale Straftribunal für das
ehemalige Jugoslawien (ICTY) entschieden hat, Präsident Slobodan
Milosevic nur drei
Monate Vorbereitungszeit zu gewähren, um seine Verteidigung in einem
„Fall“ darzulegen, der allein auf einer zynischen Fälschung der
turbulentesten zehn Jahre der Geschichte Jugoslawiens aufgebaut ist.
Diese Entscheidung ist ein weiteres Beispiel der Missachtung des ICTY
gegenüber den elementarsten internationalen Normen der allgemeinen
Rechtslehre und den Rechten von Gefangenen. Diese Entscheidung ist auch
ein deutliches Signal, dass diese Institution, geboren unter dem Druck
der
Regierung der USA, - die für ihre eigenen fortgesetzten Verbrechen
rechtliche Straffreiheit institutionalisiert hat - weder als geeignetes
Instrument für die Durchführung eines ordentlichen Verfahrens
geschaffen wurde noch ein solches durchführt. Dieser Prozess versucht
lediglich von einem genaueren Nachforschen nach der Verantwortung des
Westens für die Zerstörung einer Nation abzulenken. Konfrontiert mit
der Weigerung von Präsident Milosevic, die politischen Machenschaften
von Den Haag hinzunehmen, mit seiner prinzipienfesten Verteidigung
seines Volkes und seiner Geschichte, und mit seinem erfolgreichen
Auftreten im Gerichtssaal, versucht das ICTY nun, ihn daran zu hindern,
seine Sicht des Falles darzustellen.
Dies ist Lynchjustiz, wie der bekannte kanadische Strafrechtler Edward
Greenspan meinte.
Bestellung eines Zwangsverteidigers?
Am 4. April 2003 erkannte das ICTY das Recht Slobodan Milosevics an,
sich selbst zu verteidigen, und verwarf einen Antrag der Anklage, gegen
seinen Willen für ihn einen Anwalt zu bestellen. Dieses grundlegende
Recht auf Selbstverteidigung ohne eine gegen den Willen des Angeklagten
vorgenommene Bestellung eines Anwalts ist von allerhöchster Bedeutung.
Der Supreme Court der USA befand, dass es für die Bestellung eines
Anwalts für einen damit nicht einverstandenen Angeklagten keinen
Präzedenzfall gibt, abgesehen von der für politische Prozesse
geschaffenen Sternkammer. Die Anklage versucht nun, diese Angelegenheit
erneut aufzubringen und wird die Bestellung eines Anwalts gegen den
Willen von Präsident Milosevic beantragen, ungeachtet der Tatsache,
dass schon ein solcher Antrag den politischen Charakter des Prozesses
verrät.
Das ICTY stellt in seiner Entscheidung, Slobodan Milosevic zu
gestatten, sich selbst zu vertreten, unter Bezugnahme auf Artikel 21
des Statuts des ICTY fest, dass es “in der Tat der Verpflichtung
nachkommen muss, dass ein Verfahren fair und zügig erfolgt; insofern
die Gesundheit des Angeklagten eine Rolle spielt, hat diese
Verpflichtung eine besondere Bedeutung.“ Artikel 21 bestimmt, dass die
Kammer dieser Verpflichtung “in völliger Achtung der Rechte des
Angeklagten” nachkommen muss.
Mehr zügig als fair?
Die Entscheidung der Kammer, Herrn Milosevic drei Monate Zeit zu geben,
um seine Verteidigung vorzubereiten, steht in völligem Gegensatz zu der
von ihr bekundeten Sorge, ein faires Verfahren zu gewährleisten, sowie
zur Achtung der Rechte des Angeklagten. Es handelt sich um eine
gänzlich unrealistische
Vorbereitungszeit für ein Verfahren dieser Größenordnung, insbesondere
weil Herr Milosevic sich in Haft verteidigt.
Ferner hat die Kammer Herr Milosevic ein weiteres Erschwernis
auferlegt, indem sie ihn anwies, innerhalb von sechs Wochen nach
Abschluss des Vorbringens der Anklage eine ausführliche Liste der von
ihm beannten Zeugen vorzulegen, einschließlich einer Zusammenfassung
der Sachverhalte, zu denen jeder Zeuge aussagen wird, und einem
Hinweis, ob der Zeuge persönlich aussagen wird oder durch schriftliche
Stellungnahme oder mittels eines Aussageprotokolls aus anderen
Verfahren vor dem Tribunal. Er muss ferner die Beweisstücke auflisten,
die er in das Verfahren einzubringen beabsichtigt, und der
Anklagevertretung davon Kopien zur Verfügung stellen. Die Kammer kann
nicht einmal garantieren, dass Herr Milosevic die „Erlaubnis“ erhält,
jeden Zeugen seiner Wahl aufzurufen, da die Entscheidung besagt, dass
die Kammer eine „Verteidigungs-Vorverhandlung“ („Pre-Defence
Conference“) durchführen wird, um die Zeugenliste zwecks Genehmigung zu
überprüfen und die Zeit festzulegen, die ihm für die Darstellung seiner
Position gestattet wird.
Gleichheit der Waffen?
Zahlreiche internationale Konventionen bekräftigen das Recht eines
jeden, der eines Verbrechens angeklagt ist, auf angemessene Zeit und
Mittel, seine Verteidigung vorzubereiten. Dieses Recht ist ein
wichtiger Aspekt des
fundamentalen Prinzips der „Gleichheit der Waffen“, demzufolge die
Verteidigung und die Anklage so zu behandeln sind, dass sichergestellt
ist, dass beide Parteien die gleiche Möglichkeit haben, ihre Position
vorzubereiten und im Laufe des Verfahrens darzustellen. Das Tribunal
hat die Anerkennung dieses Prinzips in seinem Statut bekundet, welches
bestimmt, dass der/die Angeklagte das Recht hat, „die Zeugen gegen ihn
oder sie zu befragen und die Anwesenheit und Befragung von für ihn oder
sie auftretenden Zeugen unter denselben Bedingungen zu erwirken wie die
Zeugen gegen ihn oder sie.“
Der vom Tribunal bekundete Respekt für die “Gleichheit der Waffen“ wird
Lügen gestraft durch das Fehlen jeglicher Beschränkungen für die
Anklage, die auch nur entfernt jenen vergleichbar wären, die sich gegen
Herrn Milosevic auswirken. Dieser hatte es während des „Falles“ der
Anklage im Verlauf von über 250 Verhandlungstagen mit fast 300 Zeugen
zu tun und erhielt über 500.000 Seiten Material zum Verfahren zur
Durchsicht zugestellt. Allein die Last der Vorbereitung der
Kreuzverhöre so vieler Zeugen in einer Gefängniszelle ist erschreckend.
Und jetzt hat er gerade einmal drei Monate, um diese Masse an
Zeugenaussagen und Dokumenten
durchzugehen und die bisher vorliegenden Protokolle durchzusehen. Er
hat sechs Wochen, um Zeugen der Verteidigung zu identifizieren, zu
treffen und zu interviewen, sowie Schlüsseldokumente der Verteidigung
auszuwählen und
anzubieten. Beim Durchsehen der eine halbe Million Seiten an
Mitteilungen würde nur das Lesen allein 347 Tage à vierundzwanzig
Stunden in Anspruch nehmen. Das macht mehr als zehn Monate, nicht drei.
Im Gegensatz dazu hat das ICTY seine „Koso-Anklage“ vor viereinhalb
Jahren erhoben und hatte eine zweijährige Vorbereitungszeit für seine
zusätzlichen Anklagen im Jahre 2001 mit Bezug auf die Konflikte in
Croatien und Bosnien. Die Anklage hatte acht Jahre Zeit, um
Beweismaterial zu Srebrenica zu sammeln.
Das Leben von Präsident Milosevic ist in Gefahr!
Die Entscheidung, nur drei Monate Vorbereitungszeit und nur sechs
Wochen für die Vorlage der Zeugenliste nebst Zusammenfassung ihrer
Stellungnahmen zu gewähren, lässt den Gesundheitszustand von Präsident
Milosevic gänzlich
unberücksichtigt. Durch die wiederholten Unterbrechungen des Verfahrens
musste das Gericht zu Kenntnis nehmen, dass die UN-Ärzte Recht hatten,
als sie berichteten, dass das Leben von Präsident Milosevic wegen der
Intensität des Verfahrens in Gefahr ist. Die Gewährung von nur drei
Monaten Vorbereitungszeit erhöht seine Stress-Situation und könnte zu
erhöhtem Blutdruck, Schlaganfall und Tod führen
Im November letzten Jahres stellte das ICDSM Antrag auf Gehör vor der
Kammer, um zu begründen, dass der gesundheitliche Zustand von Slobodan
Milosevic eine sofortige spezialisierte medizinische Betreuung
erfordert, und dass sein Gesundheitszustand es erforderlich macht, dass
er aus der Haft
entlassen wird, und ihm ausreichend Zeit für seine Rekonvaleszenz
gegeben wird, sowie dass ihm erlaubt wird, seine Verteidigung unter
Nicht-Haftbedingungen vorzubereiten. Das ICTY hat diesem Antrag nicht
stattgegeben, hat ihn aber auch nicht abgelehnt. Das „Tribunal“ hat ihn
einfach ignoriert.
Erschreckende Bedingungen
Zusätzlich zu dem Umstand, nur drei Monate zur Vorbereitung seine
Verteidigung zu haben, muss Herr Milosevic dies aus einer
Gefängniszelle heraus unter erschreckenden Bedingungen tun. Gegenwärtig
kann Herr Milosevic nicht mit seiner Frau und seiner Familie
zusammentreffen. Seine engsten Mitstreiter und Freunde sind für ihn
unzugänglich, da der Registrar des Tribunals den Kontakt mit seiner
Partei, der Sozialistischen Partei Serbiens (SPS), und „assoziierten
Einheiten“ verboten hat. Sloboda, die federführende Vereinigung zur
Verteidigung von Präsident Milosevic wurde als verbotene Gruppe
aufgelistet. Der Registrar verhängte diese Maßnahme aufgrund des
Verdachts, dass zwei SPS-Mitglieder mit der Presse gesprochen haben.
Die Vorbereitung der Verteidigung von Präsident Milosevic erfordert,
dass er mit Zeugen und sachlich kompetenten Personen zusammentrifft,
von denen nun viele nicht in der Lage sind, mit ihm zusammenzutreffen,
weil sie unter Verbot
stehen. „Assoziierte Einheiten“, das kann jeder sein; der Registrar
bestimmt darüber nach Gutdünken. Sloboda hat das Verbot aus
Rechtsgründen angefochten. Eine Antwort des ICTY lässt auf sich warten.
Außer diesen gravierenden Einschränkung der Kontakte von Präsident
Milosevic mit seinen engsten Beratern, hat der Registrar nur
unzureichende technische Möglichkeiten zur Vorbereitung seiner
Verteidigung zur Verfügung gestellt. Ihm wurde der kontrollierte Zugang
zu einigen rudimentären Möglichkeiten der elektronischen und gedruckten
Kommunikation erlaubt (Telefon, Fax, ein Computer in seiner Zelle, ein
VCR zur Ansicht von Prozess-Filmmaterial), aber die Häufigkeit und
Dauer von Besuchen seiner rechtlichen Berater sind eng umgrenzt,
belaufen sich, wenn überhaupt, auf wenige Stunden in der Woche und sind
in Wirklichkeit auf die Tage beschränkt, wenn die Verhandlung früh
beendet ist.
Ebenso bezeichnend ist es, diese Bedingungen und technischen
Möglichkeiten, die einem Mann erlaubt werden, der sich gegen die
weltweit denkbar schwersten Beschuldigungen allein verteidigt, mit den
gewaltigen
Hilfsmitteln zu kontrastieren, die dem Büro der Staatsanwaltschaft zur
Verfügung stehen, sowie mit den unbeschränkten Vorrechten der
Staatsanwaltschaft, mit ihren Ermittlern, Assistenten und Forschern und
verschiedenen anderen Mitgliedern ihres weit größeren Teams zu
konferieren.
Die Sprecherin der Anklage ist bei gemeinsamen Pressekonferenzen mit
dem Sprecher des ICTY anwesend, während Slobodan Milosevic nicht mit
Mitgliedern seiner Partei, Sloboda oder undefinierten „assoziierten
Einheiten“
zusammentreffen kann, weil zwei einzelne Personen verdächtigt werden,
gegenüber über ihre Begegnung mit ihm mit Medien gesprochen zu haben.
Ein öffentliches Verfahren?
Artikel 11 der Allgemeinen Erklärung der Menschenrechte der UN
bekräftigt die Unschuldsvermutung und das Recht des Angeklagten auf
Öffentlichkeit des Verfahrens. Aber das „Verfahren“ von Slobodan
Milosevic ist oft nicht öffentlich und gegen den prüfenden Blick der
internationalen Öffentlichkeit
abgeschirmt. Sicherheitsbelange werden systematisch angeführt, um die
zahlreichen geschlossenen Sitzungen zu rechtfertigen, die Anonymität
der Zeugen sowie „ex parte“-Anträge der Anklage, Anträge, deren Inhalt
Milosevic nicht berechtigt ist zu überprüfen. In den letzten sechs
Monaten hat die Kammer sieben Entscheidungen aufgrund von ex
parte-Anträgen gefällt. Ein weiteres Grundrecht ist es, beim eigenen
Prozess anwesend zu sein. Wenn Herr Milosevic die Vorlagen der
Anklagevertretung an die Richter nicht lesen kann, geschweige denn auf
sie zu antworten, kann dann behauptet werden, dass er bei seinem
Verfahren tatsächlich anwesend ist?
Präsident Milosevic freilassen!
Diese Vorgänge zeugen von einem Prozess, der mehr zügig als fair ist,
und veranlassen die Sektion Québec und Kanada des ICDSM noch einmal die
Forderung des ICDSM nach einer zweijährigen Unterbrechung des Prozesses
zu wiederholen, um Slobodan Milosevic zu ermöglichen, seine Verteidigung
vorzubereiten, die Einschränkung seiner Besuchsrechte zu beenden und
sich gesundheitlich durch einen Arzt seiner Wahl behandeln zu lassen.
Er muss aus der Untersuchungshaft entlassen werden. Anders zu
verfahren, hieße nur die
schändliche Verhöhnung der Rechtsprechung in Den Haag fortzusetzen.
Allerdings ist das gründlichste Heilmittel zur Beendigung dieses
Justizzirkus - ein Heilmittel, das wir unterstützen - die vollständige
Auflösung dieses unheilbar politisierten „Gerichts“ und die Entlassung
aller seiner Gefangenen.
30. September 2003
Übersetzung aus dem Englischen: Klaus von Raussendorff
Infoguerre, 2003-08-01
L'International Crisis Group (ICG) è un Think Tank ("serbatoio di idee)
la cui vocazione è la "prevenzione e la risoluzione dei
conflitti". Une delle sue particolarità è quella di aver scelto per
sede Bruxelles, capitale europea. Tenendo conto della qualità del
lavoro fornito da questo organismo e dell'esperienza degli uomini che
lo compongono, ciò dovrebbe, senza dubbio, inorgoglire.
Ma, ci interroghiamo, perché Bruxelles? È una scelta pertinente o
semplicemente interessata?
Dopo una riflessione, bisogna riconoscere che questa città belga non ha
nulla da invidiare a Washington o a Londra: accoglie molte istituzioni
europee, la sede della Nato, gli uffici dei gruppi di pressione e
diverse ONG, e, personale diplomatico. E perché la nostra capitale
europea non potrebbe ospitare anche le sedi sociali delle imprese,
degli uffici degli
avvocati e... dell’ICG ?
A Bruxelles, il “serbatoio di idee” è certo di toccare un largo
pubblico in cui si trovano uomini le cui decisioni influenzano le
nostre vite di europei e di francesi.
Pertanto, la ICG é un Think Tank europeo? Ha la vocazione di appoggiare
la politica diplomatica europea?
Alcuni elementi proposti qui di seguito dovrebbero permetterci di
rispondere ai nostri dubbi:
1. ICG é una "organizzazione multinazionale indipendente e senza scopi
di lucro". Cioè, l'International Crisis Group non da conto a nessuno.
La sua indipendenza di operazione è garantita grazie ai fondi di
diversa provenienza. Dei fondi governativi in particolare: tedeschi,
australiani, austriaci, canadesi, danesi, statunitensi, finlandesi,
francesi, irlandesi,
giapponesi, lussemburghesi, norvegesi, olandesi, taiwanesi, inglesi,
svedesi, svizzeri e turchi.
Fondazioni e donatori del settore privato sono: The Atlantic
Philanthropies, la Carnegie Corporation of New York, la Fondation Ford
et la Fondation Bill et Melinda Gates, la Fondation William et Flora
Hewlett, la Fondation Henry Luce, Inc., la Fondation John D. et
Catherine T. MacArthur, l'Open Society Institute, la Fondation pour la
Paix Sasakawa, la Sarlo Foundation of the Jewish Community Endowment
Fund, la United States Institute of Peace...
Le risorse dell'ICG sono considerevoli. Lo dimostra la capacità di
Impiegare 90 persone e di disporre di rappresentanti a Mosca, Parigi,
Londra, New York e Washington.
Inoltre, l'organizzazione possiede abbastanza fondi per inviare i suoi
analisti in Asia centrale, Africa australe, America Latina e ancora in
Medio oriente.
Gestisce ugualmente 11 uffici a Amman, Belgrado, Bogota, Nairobi, Osh,
Islamabad...
Infine, l'ICG può permettersi di avere un sito internet di qualità, di
pubblicare le proprie analisi sotto forma di rapporti o di libri e di
assicurarne una distribuzione a grande scala.
Notiamo che poche ONG, centri di ricerca, "serbatoi di idee"... possono
permettersi di operare come l'ICG.
Notiamo anche che la ricerca dei fondi per l'ICG è discreta: niente
aderenti, né campagne pubblicitarie...
2. Il consiglio d'amministrazione dell'ICG raggruppa "eminenti membri
del mondo politico, diplomatico, così come degli affari e dei media"
che si impegnano "direttamente a promuovere i rapporti e le
raccomandazioni dell'ICG presso i politici di tutto il
mondo". Cioè, questo consiglio d'amministrazione è la rete con la quale
l'International Crisis Group può trasmettere i suoi messaggi. L’ICG
farà conoscere tanto più le sue analisi e raccomandazioni quanto più i
membri del suo consiglio sono influenti.
Citiamo, a mò d'esempio, qualcuno di essi:
Zbigniew Brzezinski, ex-consigliere democratico della sicurezza
nazionale del presidente Carter e autore de “La grande scacchiera.
L'America e il resto del mondo" (Bayard, Paris 1977).
George Soros, miliardario statunitense di origine ungherese, l'origine
della cui fortuna resta sorprendente rispetto alla sua concezione della
filantropia (La sua fondazione, la Fondazione George Soros, cesserà di
esistere nel 2010).
Wesley Clark, vecchio patrocinatore statunitense della Nato (e generale
USA, NdC)
Fidel V. Ramos, Morton Abramowitz, William Schowcross,
Christine Ockrent, Simone Veil...
Notiamo una composizione del consiglio d'amministrazione che fa
sognare: vecchi presidenti o ministri, giornalisti noti, alti
funzionari, uomini d'affari...
Si capisce, l’ICG é animato da una rete densa, influente e attiva, che
possiede, privilegio raro, i mezzi per realizzare i propri obiettivi.
Bisogna ben dire che è l’immagine di un Think Tank efficace, come si
desidera avere in Europa.
E poi, perché non ispirarsi al suo esempio per creare un "serbatoio di
idee" la cui équipe, composta di europei, abbia per scopo la difesa e
la promozione degli interessi dell'Unione Europea?
S.A.
Fonte: http://www.infoguerre.com/article.php?sid=618
Traduzione di Alessandro Lattanzio
Email: alexlattanzio@...
Sito: http://members.xoom.it/sitoaurora
1. On 1 October 1991 the biggest ethnic cleansing of a city in modern
Europe began / 1 oktobra 1991 pocelo je najvece etnicko ciscenje jednog
grada, u savremenoj Evropi
2. On ethnic Serbs in Croatia and their property rights (on the
situation of Zadar Serbs)
=== 1 ===
Da: "minja m."
Data: Gio 2 Ott 2003 05:18:14 Europe/Rome
Oggetto: On 1 October 1991 the biggest ethnic cleansing of a city in
modern Europe began
------------- Forwarded Massage ---------------------------------
Date: 1 Oct 2003 01:54:08 EDT
From: SCofSAvasko
On 1 October 1991 the biggest ethnic cleansing of a city in modern
Europe began. Of about 10 000 Serbs living in Dubrovnik, 90% were
friven out in a couple days, forever.
Today, twelve years later, none have returned. Illustrious Dubrovnik
families –– Apolonio, Reljic, Pejovic,Lucic, Elakovic, Zecevic,
Boskovic (descendants of the glorious Rudjer Boskovic), Kovac, Bazdar,
Simic, Krivokuca, Vukasinovic, Segrt, Ciganovic, Markovic, Puljizevic,
Groseta and many others, all expelled in a genocidal war.
Lawyers, professors, medical doctors, philosophers, journalists and
other intellectuals “vacated” their job spots for rabid west
Herzegovinian extremists, the pre–eminent Croatian Nazis –– the
Ustashas.
Today they rule the once multi–ethnic city, which had been an oasis of
freedom for centuries.
Serbs and other Dubrovnikers again this year, on the day of the
expulsion, implore all of you who can to relay this letter to European
and world organizations, to make possible our return to our own houses,
now occupied by thieves, and resume life in their native city.
(signed)
Dubrovniker in Exile
=======
1 oktobra 1991 pocelo je najvece etnicko ciscenje jednog grada, u
savremenoj Evropi.
Od oko 10 hiljada Srba, za par dana, zauvijek je iz Dubrovnika
protjerano preko 90%, a dvanaest godina kasnije, nema povratnika.
Ugledne stoljetne dubrovacke familije, Apolonio, Reljic, Pejovic,Lucic,
Elakovic, Zecevic, Boskovic (nasljednici slavnog Rudjera), Kovac,
Bazdar, Simic, Krivokuca, Vukasinovic, Segrt, Ciganovic, Markovic,
Puljizevic, Groseta i mnoge druge, protjerane su iz Dubrovnika u
genocidnom ratu.
Advokati, profesori, doktori, filozofi, novinari i drugi intelektualci
"otvorili" su radna mjesta za ekstremne zapadne Hercegovce, poznate kao
ustase, koji danas vladaju nekada visenacionalnim gradom, oazom
stoljetne slobode.
Srbi i ostali Dubrovcani, i ove godine, na dan progona, mole sve Vas
koji mozete, da ovo pismo dostavite svim nadleznim evropksim i
svjetskim organizacijam, kako bi se vratili u svoje okupirane kuce i
kako bi nastavili zivot u rodnom Gradu.
Dubrovcanin u egzilu
=== 2 ===
Da: Predrag Tosic
Data: Gio 19 Giu 2003 03:15:53 Europe/Rome
A: yugoslaviainfo <Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.>
Oggetto: [yugoslaviainfo] On ethnic Serbs in Croatia and their property
rights
[ Zadar is in the north-west of Croatia, perhaps the third largest
city along Croatia's Adriatic coast (after Split and Rijeka). Prior to
1991, Zadar had a sizable Serb population. Most of those Serbs have
fled. Now, some of the Zadar Serbs are trying to re-claim their
property rights to apartments and houses that they (used to) live in,
and still (de jure) own in the city. "Feral Tribune" is a leading
daily in Split, Croatia. This newspaper is well-known for its
anti-fascist, anti-chauvinist and anti-Tudjman stance throughout the
1990s. Viktor Ivancic is one of the editors and leading columnists of
"Feral Tribune". -- PT ]
Feral Tribune, Split, Croatia
December 14, 2001
Why no one reacted to the scandalous list of "Serbs from Zadar who are
demanding restitution of their houses and publicly owned apartments",
published in Zadarski List
TOP-LIST OF HYPERREALISTS
If we can talk about ideology as far as Racan's administration is
concerned - or at least retarded form of missionary zeal - then its
common
thread is symbolically represented as a role of a savior that separates
two
warring sides in a staged civil war
by Viktor IVANCIC
Late last month Zadarski list published an interesting serial. In two
installments, the newspaper published a list of "Serbs from Zadar who
are
demanding restitution of their houses and publicly owned apartments".
The
structure of the article is also interesting: number, name and surname,
address, and so on over several pages. Thus, Zadarski list managed to
find
and unmask as many as 450 "Serbs from Zadar" who, what an outrage, are
"demanding restitution of their houses and publicly owned apartments".
This
reading material, with names, addresses and criminal demands of "Serbs
from Zadar" was included in the section named "Events".
Until today, not one of the competent or incompetent individuals or
institutions in Croatia has reacted to this shameful public call for
lynching that imitates the best traditions of the Croat journalism in
the
early 90's or, if you prefer, German journalism in the late 30's. The
black
list simply rolled off the presses into the Zadar public without a
peep, as
something that is totally natural and reasonable, just like it totally
made
sense to declare a war crimes suspect for a citizen of honor without a
single local councelor casting, including those that belong to Racan's
party, a no vote.
If Croatia were a country that upholds at least minimal democratic
standards, the journalistic endeavor of Zadarski list would have been
suppressed with highly undemocratic methods. For example, the newspaper
would have been banned, the remaining copies confiscated and destroyed,
while the editor-in-chief would have been banned from working in the
media
long enough to make sure he gets plenty of time to write righteous
protests
against "suppression of free speech". However, Croatia is not such a
country. Here democratic conventions are respected mostly when it comes
to
those who advocate "dialogue" regarding freedom of execution and similar
modes of plural killing fields.
In that sense the black list with 450 names, addresses and criminal
demands,
is only a logical consequence of the cry of Ms Zeljka Antunovic, deputy
prime minister, about how the executive authorities would never
restitute
denied tenancy rights to "Serbs from Zadar", or any Serbs for that
matter.
Naturally, Ms Antunovic is not a person who would stoop to compiling
lists
for execution or differentiating between people based on ethnicity, God
forbid - she only cares about ideas, she does not care about people and
numbers. Tomorrow, if there are physical assaults on "Serbs from Zadar"
- or
any other Serbs - who, look, screw it, keep demanding restitution of
their
tenancy rights, Ms Antunovic would be the first one to demand that
Police be
sent to the location of the incident "to separate warring sides". That
is
the true position that the ruling political elite has reserved for
itself:
that of a cheap hypocritical buffer-zone. On duty 24 hours a day.
Last Monday, on the Day of Human Rights about ten activists headed for
Slunj wanting to appeal for the removal of a monument commemorating
Ustashe warrior Jure Francetic - standing on Franjo Tudman Square. They
were greeted by about two hundred rabid local "Jure-fans" with curses,
baseball bats, and fists. The Croatian authorities made an appearance
embodied as a police cordon which, at the last moment, prevented the
hosts from festively massacring the guests.
It was an explicit realization of Racan's political mission. On the one
side
a handful of fringe elements who are uncritically aghast that a
democratic
country allows building of monuments commemorating Ustashe butchers, on
the other side another handful of fringe elements that uncritically
adulates
Ustashe and plastic arts, and in between these two groups - people's
government! Concerned expression of the political will that with
corrective
baton in the right hand and rubber bullets held in reserve, prevents
social
"extremes" from killing each other.
If we can talk about ideology as far as Racan's administration is
concerned - or at least a retarded form of missionary zeal - then its
"common thread" is symbolically represented as a role of a savior that
separates two warring sides in a staged civil war. In order to cement
that
position, it is necessary to place the two opposing "extremist" groups
at
the same level, and that is usually done with a regular portion of
ideological slaps for the "left", and a pile of practical compromise and
para-patriotic understanding for the "right". An honest Croat
intellectual,
after receiving a salary from the state, put together the phrase
"leftists
terrorists". Thus, stage is being set (namely, a front line is being
prepared) for the appearance of a defective party Messiah whose
self-image,
unfortunately, is that of a hygienic tampon for the nation that keeps
bleeding.
One of the public supporters of the government on duty - otherwise a
prosecution witness in the trial of the student leaders in 1971, who now
ejaculates euphoric outbursts of repentance daily - has for months been
systematically developing a model of "balance of power" that equates
outbursts of fascist violence with struggle against it. "Is there any
difference between arrest warrants printed in Feral and those plastered
on
walls in Karlovac?" he wandered at a time. Let us remind our readers
that
"posters plastered on walls in Karlovac" included photographs of 130
Serbs
in uniforms of former Krajina police with the headline "Our neighbors".
The
posters were made, printed and distributed by the man who organized
ritual
pissing in Veljun on the monument commemorating Serbs shot by Ustashe in
1941 and revealed that he was behind both endeavors at the ceremony
marking the setting up of a monument commemorating warrior Jure
Francetic in Slunj.
The technique, practiced for decades in Communist and ideological
commissions, is always the same. For example, our government supporter
does not react to the publishing of a shameful execution list in
Zadarski List,
but will only pipe up after someone else criticizes the list (as Feral
is
yet again doing), only to righteously and wisely slap on the wrist both
"warring sides". He is the comrade-institution, with police baton in his
right hand, who always watches over us preventing the looming bloodbath
while secretly hoping it actually happens.
However, the ejaculator from Slobodna Dalmacija, who is here mentioned
only as an illustration that is supposed to make the article more
amusing - is
only a loudspeaker for Racan's ideological muddle. The real truth is
that
the current Croat authorities did not compile lists of "Serbs from
Zadar" -
or any other Serbs - nor did they build monuments commemorating Ustashe
officers. They only did nothing to prevent, or appropriately sanction
both.
They only preventively stopped application of the existing law and
emptied
the tanks of bulldozers that were supposed to demolish illegally
constructed
objects, even though these objects are merely monuments commemorating
achievements of notorious fascists. In that diligent inaction the
authorities found the saving formula for their efficiency and
self-preservation. Hyperactive inaction is the only way to occupy the
space
of its imaginary purpose, namely the illusion that it is continuously
"bringing to order" those that it has indirectly set on each other.
This planned recklessness, planned excommunication of its own political
role
from the creation of the current Croat nightmare and its boiling down
to the
purported "fixing" of the effect of the incited reality - besides being
contrary to all the achievements and principles of the civilization - is
pushing the ruling elite in the trap of a grotesque paradox. "We cannot
be
responsible for somebody else's crap," Racan's administration tells us,
"because we act only when we have to".
Translated on March 14, 2003
--- End forwarded message ---
1. Key Srebrenica Witness Admits Lying
2. ICTY in criminal compliance with NATO
(ICDSM press statement and intervention - 30.09.2003, The Hague)
3. September 30, 2003: Milosevic "Trial" Synopsis
LINKS:
Dutch TV documentary on the Hague process, in two parts
http://info.vpro.nl/info/tegenlicht/index.shtml?7738514+7738518+8048024
"Trial of the century": An attempt to silence the truth
http://www.icdsm.org/more/canada2909.htm
ICTY judges as NATO defense counsels!
http://www.icdsm.org/press300903.htm
SLOBODA urgently needs your donation.
Please find the detailed instructions at:
http://www.sloboda.org.yu/pomoc.htm
To join or help this struggle, visit:
http://www.sloboda.org.yu/ (Sloboda/Freedom association)
http://www.icdsm.org/ (the international committee to defend Slobodan
Milosevic)
http://www.free-slobo.de/ (German section of ICDSM)
http://www.icdsmireland.org/ (ICDSM Ireland)
http://www.wpc-in.org/ (world peace council)
http://www.geocities.com/b_antinato/ (Balkan antiNATO center)
=== 1 ===
http://www.iwpr.net/index.pl?archive/tri/tri_327_1_eng.txt
Key Srebrenica Witness Admits Lying
Momir Nikolic's fictional account of massacre raises questions about
plea-bargain system.
By Chris Stephen in The Hague (TU 327, 29 September 2003)
The Hague prosecution's star witness in the Srebrenica case has
admitted in court that he lied in testimony when he said he ordered one
of the biggest single massacres of Bosnian Muslims.
Former Bosnian Serb army captain Momir Nikolic's admission in a
courtroom appearance this week will undermine confidence in other
details he has supplied about the Srebrenica killings in July 1995, and
raises questions about how plea-bargain agreements are negotiated with
those accused of war crimes.
Nikolic, an army intelligence officer who was present during the
massacres and was indicted by The Hague for playing a major role in
them, made history as the first Serb officer to give evidence against
his colleagues.
But now doubts about his reliability as a witness have arisen after he
admitted that a statement he gave to prosecutors earlier this year
contained a lie.
In a courtroom appearance on September 29, he admitted he did not give
the orders to gun down more than 1,000 Bosnian Muslims inside a
warehouse at Kravica. He was not even present when it happened, on July
13, 1995. Kravica was one of the single biggest massacres carried out
by Serb forces around Srebrenica.
In recent days, Nikolic has been in court as part of a plea-bargain
deal with prosecutors, giving evidence against Vidoje Blagojevic and
Dragan Jokic, Bosnian Serb officers indicted for war crimes alongside
him. In May, prosecutors agreed to drop a genocide charge against him
and seek a lesser sentence of 15 to 20 years, and in return he changed
his not guilty plea to an admission that he committed crimes against
humanity.
But now, Nikolic has renounced his original statement that he had
personally supervised the Kravica killings.
"You needed to give him [the prosecutor] something he did not have,
right?" said Michael Karnavas, defending. "You wanted to limit your
time of imprisonment to 20 years, that was part of the arrangement,
yes? Quid pro quo?"
Nikolic admitted he had lied, "I did not tell the truth when I said
that. Afterwards I said I had made a mistake, I had lied.
"I apologise. All I can do is confess and say that discussing the crime
is a very difficult situation to be in."
"I think we should call it for what it is, a bald faced lie," said
Karnavas.
"I'm still a little bit confused," the American lawyer continued. "How
is it that you thought by admitting to one of the most horrendous
executions in this area, that this would help you in getting the kind
of sentence that you are hoping and praying for?"
"I wanted the agreement to succeed," responded Nikolic.
His original statement to prosecutors included testimony that while at
Kravica, he had observed the involvement of another war crimes suspect,
former army officer Ljubomir Borovcanin, in the killing.
He has now told the court that although he was not present, he was
certain that Borovcanin had been there.
"You implicated Borovcanin in your falsehood in order to make your
story more convincing, so that the prosecutor would buy it?" said
Karnavas. "You needed to give him [the prosecutor] some more facts to
sweeten the deal - that's why you provided false information about
Kravica?"
He went on to ask Nikolic whether he had lied so as to make his story
impressive enough for prosecutors to offer him a plea-bargain deal.
"Your lawyers had a laundry list of factors that the prosecutor was
expected to agree to," said Karnavas.
"The prosecution did not exert any influence on me," responded Nikolic.
"What I did is my own mistake."
Karnavas continued to press him, saying, "Did you think that by falsely
admitting to having ordered this execution that you were solving a
question-mark in the prosecutor's case as to who had ordered that
murder?"
Nikolic's admission could have serious implications for the prosecution
strategy of using plea bargains.
In recent weeks, prosecutors have persuaded several former Bosnian Serb
commanders to give evidence against their former comrades by offering
to cut their sentences.
Nikolic's plea-bargain negotiations took six months, starting last
November. It now seems he was so desperate to get a deal with
prosecutors that he was willing to lie to them.
The prosecutors are in a difficult position. They will only offer
plea-bargain arrangements to people who can give high-quality evidence.
But this case suggests that some defendants could be tempted to
embroider the facts to make their crimes more "worthy" of a deal.
Chris Stephen is IWPR's tribunal project manager.
=== 2 ===
From: Vladimir Krsljanin
ICTY in criminal compliance with NATO
The ICTY, in absence of ill President Milosevic and in presence of
Carla Del Ponte discussed this morning (30.09.2003) the initiative of
the prosecution to impose a counsel to President Milosevic and to
examine prosecution witnesses in his absence. The session ended with
the only decision that the process will continue in new rhythm: three
days of session, four days of rest for President Milosevic, which was
the recomendation of the doctors. The decision on the prosecution
initiative will be made after President Milosevic expresses his opinion.
After the session, member of ICDSM Board and Coordinator of its British
Section Ian Johnson delivered to the press the statement below and
answered journalists' questions.
The International Committee to Defend Slobodan Milosevic
The Hague, September 30, 2003, 11 a.m.
PRESS RELEASE
TWO YEARS FREEDOM FOR SLOBODAN MILOSEVIC
· TO PROTECT HIS LIFE, HISTORICAL TRUTH AND JUSTICE FOR THE
PEOPLE OF THE BALKANS!
· ICTY JUDGES AS NATO DEFENSE COUNSELS!
ICTY put the life of President Milosevic at stake. Why?
Already at the beginning of the Hague process, President Milosevic
announced that he will demand that people such as Bill Clinton,
Madeleine Albright and Wesley Clark appear as witnesses.
The logical and legitimate course of his presentation is to
prove the guilt of those who were killing Yugoslavia and its people by
endorsing separatists, terrorists, paramilitaries and traffickers, by
imposing genocidal sanctions, by bombings, by regime change and finally
by imposing a pro-NATO dictatorship which is associated with the mafia.
If their obvious guilt is shown, Slobodan Milosevic and the Serbian
people are innocent!
After the Prosecution failed to prove the NATO propaganda
fabrications, due to President Milosevic’s magnificent struggle, the
ICTY Judges have appeared and are assisting NATO.
They decided that the ill and imprisoned President Milosevic
should provide them and the Prosecution (!) with all details of his
defense within six weeks! After that the Judges will decide what can
and what cannot be included! Certainly not Bill Clinton and his buddy
Wesley Clark. Certainly not the children that died under the bombs.
Apparently they are irrelevant!
This way, after being deprived of medical care, President
Milosevic is deprived of his right to defense.
As an additional guarantee that the truth will be silenced,
torture is being used against President Milosevic. He cannot meet his
family. He cannot meet his friends. Hundreds of thousands of members of
the Socialist Party of Serbia and of Freedom Association are banned
from visiting their president. He cannot meet his doctors from
Belgrade. Furthermore, even the ICTY doctors admitted that the
magnitude of the proceedings and the prison conditions threaten his
life. Confined in his prison cell he has to confront everything that
took the whole tribunal apparatus ten years to elaborate. (Only in the
“Milosevic trial” does the tribunal put everything!) With its 1248
employees and a UN budget of 694828400 dollars, the ICTY has spent 75%
of that sum, half a billion dollars, in the last five years alone,
since the NATO aggression and the first indictment against President
Milosevic. Moreover they have been assisted by Western governments and
their secret services, and recently by the Belgrade puppets as well. In
contrast to that, to prepare his defense President Milosevic will have
only three months, or more precisely six weeks, in his prison cell,
assisted only by a small group of volunteers, with no funds, no
infrastructure and no access to the state archives. Is this a way to
treat a person in a life-threatening situation? Yes, if he is a leader
of the people that opposed NATO.
The ICDSM accuses ICTY of criminal misconduct and criminal
compliance with NATO.
Today’s attempt to impose a counsel for President Milosevic
against his will and to conduct the trial in the absence of the ill
President is further proof of that. The ICTY violates international
norms of judiciary and of human rights protection. The ICTY violates
its own Statute.
Two years in freedom, requested by President Milosevic, is a
minimum guarantee that his life will be protected and that the truth
will be heard. It is a generous, gentleman’s proposal. The response
of the ICTY is an outrage.
The Russian Duma requested action from the Russian
Government to protect International Law and to prevent this outrage and
crime.
Ten medical doctors from Germany have sent a petition to the
ICTY stating that President Milosevic’s illness requires his release.
The ICDSM is receiving support from doctors of other countries, who
condemn the treatment of President Milosevic and express their
readiness to take part in his examination and therapy.
President Milosevic has to be released immediately!
Many parties and organizations from different countries
endorse our position. The ICDSM and its national branches in Russia,
USA, Germany, Canada, Italy, Britain, Ireland and other countries have
launched a campaign aimed towards responsible UN bodies and member
states governments in order to stop the dangerous farce at The Hague.
The international demonstrations on November 8, called by a committee
of Diaspora Serbs and endorsed by the ICDSM shall be a peak of the
campaign.
ICDSM: INTERVENTION AT THE HAGUE.
On Tuesday 30th September 2003 The Hague Tribunal heard a submission
from the Prosecution that if accepted would mean the imposition of
Defence Counsel on President Milosevic against his will, and would
enable the trial to proceed without the presence of the accused.
This basic denial of the right of the accused to conduct his own
defence is yet further proof of the political nature of the ICTY.
The arguments for the Prosecution, presented by Mr Nice, would be
comical if they were not so tragic. To an outbreak of derisory laughter
from the public gallery, Nice tried to suggest that the President’s
health problems would be eliminated if he gave up smoking cigarettes!
He further proposed that on his ‘rest days’ Mr Milosevic could study
Court documents and watch hours of witness videos to save time and
expedite the trial proceedings. Moreover, according to Mr Nice, the
accused brought his ill health upon himself because he would insist on
cross-examining the Prosecution’s witnesses. How very inconsiderate of
Mr Milosevic!
In contrast to the Prosecution’s absurd arguments, which follow the
equally absurd ruling that Mr Milosevic provide the Court and the
Prosecution with his defence details and list of defence witnesses
within six weeks, Mr Milosevic has proposed that their be a two-year
recess in the trial in order to prepare his defence and that he be
released from custody where his medical condition can be treated by
doctors of his own choice.
It was these two key demands that gained an interest from journalists
at Tuesday’s hearing when members and supporters of the ICDSM
distributed their Press Release and gave interviews outside the
Tribunal building. Such was the impact of the ICDSM intervention that
the Tribunal’s security staff felt obliged to harass the journalists
and demand to see their passports and credentials. It was to the credit
of the ICDSM supporters that all copies of the Committee’s literature
were distributed even in the face of such intimidation.
The only ruling given by the Court on the day was that from next Monday
(6th October), following the advice of the Court appointed doctors, Mr
Milosevic should attend trial for three days and rest for the next four.
A decision regarding the Prosecution’s latest submission would be
announced shortly, though it is worth noting that to accept this
submission would mean yet a further rewriting of the Tribunal’s
existing rules.
Objective observers of the ‘trial’ cannot fail to note the sheer
desperation of both the Court and Prosecution at their inability to
break the resistance of President Milosevic and their inability to
prevent the development and growth of his Defence Committee.
ICDSM. The Hague. 30th September 2003.
Copy the Press Release at:
http://www.icdsm.org/press300903.htm
=== 3 ===
http://www.slobodan-milosevic.org/news/smorg093003.htm
September 30, 2003: Milosevic "Trial" Synopsis
www.slobodan-milosevic.org - September 30, 2003
Written by: Andy Wilcoxson
President Milosevic was not present at the proceedings today. He is
still out sick. No witnesses were called today was only a status
conference. A cardiologist issued a report on the status of President
Milosevic's health. According to the medical report Milosevic is
suffering from extreme exhaustion, fatigue, and high blood pressure
caused by stress.
The cardiologist made a recommendation that the "trial" should go on
for 3 days a week, and that the other 4 days should be set aside for
President Milosevic to rest. The "tribunal" accepted these
recommendations and has pledged to alter the hearing schedule
accordingly.
The medical report is proof that President Milosevic is really sick.
He is not pretending to be sick as has been suggested by some
anti-Milosevic propagandists. His medical condition is genuine. There
is no doubt on this score since even the tribunal's own medical staff
confirms this.
Being the weasel that he is, prosecutor Geoffrey Nice suggested that
President Milosevic was inflicting his ill health on himself. Nice
suggested that because Milosevic had taken on the task of defending
himself that he was the only one to blame for the stress he is under.
Nice also suggested that the "court" should ban President Milosevic
from smoking. Nice even went so far as to compare Milosevic to a
drunkard who is unfit for trial because he has a hangover.
First of all, the "tribunal" has no right to ban President Milosevic
from smoking. If he wants to smoke then by God he should be allowed to
smoke. Other prisoners can smoke. As any smoker knows forcing somebody
to quit smoking would only inflict more stress on them, and Nice knows
this damn well. He could just ask his chain-smoking comrade Carla del
Ponte and she could tell him how difficult it is to quit.
Secondly, it is absurd for Nice to suggest that Milosevic is smoking
in order to make himself sick and force a delay of the "trial."
Slobodan Milosevic is a Serb, anybody who has been to Serbia know that
everybody in Serbia smokes. Smoking is something that most Serbs do.
As far as stress is concerned, it is Nice and the OTP that are causing
unnecessary stress on Milosevic. They are the ones who are always
changing the order in which the witnesses are scheduled to testify.
This farce of a "trial" has gone on for 250 days already. The
prosecution only has 36 more days to present its case and they still
have not submitted a final witness list. President Milosevic still
doesn't know who is going to testify against him, because not all of
the witnesses have been identified, and this makes it difficult for
Milosevic prepare his defense and cross-examination.
Another practice employed by the prosecution is that when witnesses
are on the schedule the prosecution will drop them, thus wasting any
time that Milosevic and his associates may have spent preparing for
them.
In an effort to "expedite the trial" Nice suggested that the
examination in chief of certain witnesses should be videotaped and that
Milosevic could watch the tape while resting. This is the height of
stupid ideas. First of all this would cause more stress and not less
for Milosevic, although I suspect this is the idea.
First of all, you can not raise an objection to a videotape that you
are watching on your TV set. If Milosevic has an objection he will
have to hash that out after the fact in order to get parts of the tape
excluded. This will take more time, not less. Not to mention the fact
that the witness would have to be recalled anyway in order to be
cross-examined.
Secondly, the "trial" can be hard to follow. The participants
frequently lose track of what the line of questioning is about, or
which document is being referred to. If Milosevic finds himself in that
situation while watching a tape locked in his cell, then he will have
no way to ascertain what is being referred to, whereas if he is
present for the questioning he can simply ask. This type of thing can
only cause him stress.
Thirdly, Milosevic wouldn't be resting if he had to watch a tape of
that nature. He would be working, and this would totally defeat the
recommendation of the doctors.
Another bright idea that Mr. Nice came up with was to impose legal
assistance onto President Milosevic against his will. Slobodan
Milosevic has repeatedly rejected the imposition of counsel on him.
When asked by Mr. Robinson what legal basis Nice had for suggesting
all of this; Nice suggested, without even blinking, that a legal basis
could be established if the judges would simply consent to altering the
rules in the middle of the "trial."
This is a useful opportunity to expose just what sort of "legal
institution" that the Hague Tribunal really is. The rules are
worthless. According to Rule 6 the rules can be changed by the judges
in mid-trial. In this case, Mr. Nice wanted Article 21 of the Statute
of the Tribunal to be altered since that article gives an accused the
right to be tried in his own presence, and the right to defend
himself. Both of which are rights that Mr. Nice is scheming to take
away from Milosevic.
It is obvious that the prosecution does not want Milosevic to defend
himself. Why you ask? Because Milosevic is doing such a spectacular
job of destroying the prosecution's case that's why. Not one witness
has gotten the better of Milosevic. President Milosevic has
successfully compelled all of them to either tell the truth, or else
he has exposed them as liars. The prosecution knows that no lawyer
could possibly do such a spectacular job as Milosevic is doing, and so
they are desperate to find any way they can to deny, even if only in
part, President Milosevic's legitimate right to defend himself.
The problems with an imposed lawyer are obvious. First of all, the
lawyer can't possibly know what Milosevic knows, and therefore can't
possibly mount a defense as effectively as Milosevic can. Moreover, the
lawyer could get the defense strategy wrong all together. Such
attempts to impose legal assistance on Milosevic can only been seen as
an attempt to sabotage the brilliant defense that he is putting
forward on behalf of the Serbian people, who are as a group the real
"accused" at this so-called "trial."
The most important reason not to impose a lawyer on Milosevic is that
he doesn't want one. I will leave you now with President Milosevic's
previous remarks on this topic, because afterall he can explain his
position better than anybody.
On page 2, line 3 of the transcript at his first appearance at the
"tribunal" President Milosevic said, "I consider this Tribunal a false
Tribunal and the indictment a false indictment. It is illegal being not
appointed by the UN General Assembly, so I have no need to appoint
counsel to illegal organ." In spite of numerous pleas from the
so-called "judges" and the so-called "prosecution" to change his mind
an accept a lawyer, President Milosevic's position has not changed one
iota.
On December 11, 2001 the tribunal attempted to foist Ramsey Clark and
John Livingston off onto Milosevic as his "legal advisors" which was
rejected flatly by Milosevic here is that exchange:
[BEGIN EXCERPT]
SLOBODAN MILOSEVIC: I have been informed in the meantime that without
my request, you have assigned certain advice that I did not ask for,
interpreting my agreement to receive visits by certain individuals as a
request for legal advice. My response to that has been addressed to
the registry that I do not consider that whoever visits me and has a
law degree should be appointed as my legal counsel, and I don't think
it would be permissible for visits to continue to be restricted,
visits by persons who wish to visit me in accordance with the Rules
that you have established and on a nondiscriminatory basis, since
other people in that prison are allowed such visits.
RICHARD MAY: Mr. Milosevic, if you don't want advice from Mr. Clark
and Mr. Livingston, which we understood you did, who do you want it
from?
SLOBODAN MILOSEVIC: [Interpretation] No, I'm not asking for any advice
from anybody.
[END EXCERPT]
The next time this issue came up was on November 11, 2002 here is what
Milosevic said on that occasion:
[BEGIN EXCERPT]
SLOBODAN MILOSEVIC: [Interpretation] Well, first and foremost, I would
like to say that I know very little about these ideas of yours, but as
far as I was able to gather, that side over there, the opposite side,
is trying to take away my right to speak here and to impose some sort
of lawyers, counsel on me, and it has no right to do so. So I should
like to remind you that according to the International Pact on
Civilian and Political Rights, it is Article 14.3(D), and pursuant to
the American Convention, chapter 8.2(D), Article 8.2(D), and the
European Convention Article 6.3(C), and according to the Statute of the
Court of Rome Article 68.1(D), nobody can be refused the right of
defending themselves. And you yourselves have provided for that
possibility in your Rules and regulations, although I don't consider
this Tribunal of yours to be legal. But as you yourselves do, then I
assume you adhere to the Rules you laid down yourselves.
Therefore, this position on the part of the opposite party I consider
to be completely illegal, absurd, and ill-intentioned, and I don't
think it deserves any further explanations at all, nor can anything
along the lines of what they have proposed be acceptable.
And as far as the position goes, a position that I just briefly saw
contained in the letter signed by Mr. Kay, the amicus, I said earlier
on, gentlemen, at no price whatsoever would I leave the fight I'm
fighting here and from this political process -- trial. Therefore, I
think that they have rightly stressed that you ought to set me at
liberty, set me free, that you ought to give me time, lege artis, to
see to my health and to be given sufficient time to take a look at the
200.000 pages that have been amassed and all the tapes alongside the
documents, and you yourselves know full well that I would not run away.
Therefore, if you want to speak of any kind of fair treatment, fair
play, then I think that that is the approach that should be taken,
because without a doubt, the existing conditions do not allow me in
any respect to take care of all these things in the proper manner. And
I shall take a closer look at what I have here, and if I consider that
I wish to make some more comments, I shall do so in due course.
MR. MAY: We will consider what's already been said, but meanwhile,
Judge Kwon wishes to add something.
MR. KWON: Mr. Milosevic, there may come a time when you have to prepare
your Defence case. You have to prepare the examinations, and you have
to present your witnesses to the Court. How are you going to manage
without the assistance of lawyers in the court? It will be very
difficult for you to meet the witnesses in advance and to prepare the
examinations.
SLOBODAN MILOSEVIC: [Interpretation] Well, it is you who are placing me
in that position, gentlemen, to make it difficult for me. It's not up
to me. It's up to you.
If the circumstances were such that I would be able to function
normally, to take care of my health normally and to prepare myself for
all those piles and piles -- well, look at what they've just brought
me for the coming witness. Look at all those binders. There are seven
of them, these books, the covers. So if the right conditions existed
and the circumstances to give me sufficient time, then this would be
no problem for me at all. No health problems or the problems of the
documents. This is not something that the lawyers can do, because they
know far less about it all than I do. So nobody treated their health
with the help of lawyers, nor was anybody able to place what he knows
into the heads of lawyers.
And there's another matter of principle. In view of the fact that I
don't recognise this Tribunal, I do not wish to have an appointed
Defence counsel before this Tribunal which I do not recognise, and I
have explained that on several occasions previously.
MR. KWON: What do you think about the idea that your associates sit in
the court and assist you in preparing the examinations or sorting out
the documents, et cetera?
SLOBODAN MILOSEVIC: [Interpretation] I don't need them. I don't need my
associates sitting up here with me.
MR. MAY: Mr. Milosevic, you should reflect on that. You are undertaking
the conduct of a very lengthy and very complex case. Your health is
not good, as we now know, and you should consider carefully in your
own interests and the interests of your health, whether you wouldn't
be assisted, as Judge Kwon says, by having somebody to help you in the
court.
It's not only the difficulty which you have, naturally, in conducting a
cross-examination in a case of this sort with the amount of material
which you have to deal with, it is the number of witnesses which
remain to be cross-examined. And then as the Judge says, there's the
question of your own case. You need to be thinking about that. If you
wish to call evidence, you've got to consider how that's to be done in
a practical way.
And so the suggestion simply is -- we will, of course, consider the
proposal of the Prosecution that Defence counsel is ordered but you
have said you object to that and we will consider that too, but the
suggestion is that you merely have somebody in court to help you with
the papers and anything else that you need help with.
Now, we don't expect you to deal with that now, but you may like to
consider it as a way forward in your own interests. Not in the
interests of anybody else, but in your own interests in helping you
conduct your case as effectively as you can and also in conserving
your health.
MR. ROBINSON: Can I just say that the magnitude of the task that you
have undertaken, Mr. Milosevic, can be illustrated by a look at the
team that the Prosecutor has -- is using. By my count, and Mr. Nice
can correct me, the Prosecutor has so far used, I think, seven or
eight counsel in the conduct of its case, and you are by yourself. For
that reason, I endorse the comments made by my brothers and hope you
will take them to heart.
MR. NICE: In light of His Honour Judge Kwon's observation, it may be of
assistance if I make available to the Chamber and also to the accused
and the amici the fairly well-known case of McKenzie which gave rise
to the acceptance of the appropriateness of using something called a
McKenzie friend. That's the second judgement of Lord Justice Sachs
which is perhaps most helpful on the point. If I can just make that
available.
MR. MAY: Yes. If the usher would be kind enough to hand that round,
we'll all have a look at it and we can reflect on it. Mr. Milosevic,
it's for you to think about it. We don't need a -- yes, a copy to the
amicus, a copy to the accused, please.
SLOBODAN MILOSEVIC: [Interpretation] Mr. May --
MR. MAY: You can have a read of this case -- yes?
SLOBODAN MILOSEVIC: [Interpretation] As -- despite my referring to all
these international pacts and covenants, European, American, Roman, et
cetera, the opposing party is now once again referring to court
practice and is offering up McKenzie versus McKenzie. I am also going
to provide you with something. It is a copy from a court case, and it
is Faretta versus California, the United States Court, where quite
clearly once again it excludes the possibility of having anybody
impose a Defence counsel or lawyer to anybody unless the accused wishes
to appoint one himself. So I think it is useless to carry on a
discussion of this kind.
[END EXCERPT]
After supporting Croat and Muslim secessionists to kill Yugoslavia and
Bosnia itself, will the US finally turn the back to the Muslims and
destroy everything once forever? (i.s.)
---
> http://dynamic.washtimes.com/print_story.cfm?StoryID=20030930-084113-
> 1005r
Redrawing Bosnian borders
By Jeffrey T. Kuhner
THE WASHINGTON TIMES
Published October 1, 2003
From 1992-1995, Bosnia was the site of some of the bloodiest fighting
in Europe since the Second World War. Yet since the signing of the
Dayton peace accords, the country remains divided along ethnic lines.
Despite massive Western foreign aid and the presence of American
peacekeeping forces, Bosnia's Serbs, Croats and Muslims are no closer
to genuine reconciliation and peaceful co-existence. The country's
Serbs who live in the Bosnian Serb Republic seek to eventually become
part of Serbia. The Bosnian Croats, most of whom live in the country's
second political entity, the Muslim-Croat federation, also would like
nothing more than to join Croatia.
The country's Muslims, however, remain wedded to the notion of a
united, multinational Bosnia based on a strong centralized government
in Sarajevo. The international community also is committed to keeping
the country's borders intact. Yet the problem with that approach is
that it overlooks the reality of what is occurring on the ground.
Bosnia remains an economic basket case, where the unemployment rate
is 40 percent. Foreign investment is practically nonexistent.
Corruption and crime remain rampant. Despite nearly a decade of
nation-building, Western governments have failed to forge viable
economic and political institutions.
More ominously, the greatest threat to peace and stability stems
from the resurgence of Islamic fundamentalism in Bosnia, which seeks to
either wipe out or convert all Christians in the region. The country
now serves as a base for al Qaeda operatives, where numerous terrorist
cells are active and plotting attacks on targets throughout Europe. In
the past, Saudi Arabia has sent millions of dollars in aid to
"humanitarian" agencies that encourage Bosnian Muslims to promote the
doctrines of Wahhabism, a particularly intolerant and puritanical
version of Islam. Mosques have been established throughout the
Muslim-Croat federation, many of whom preach the need for "jihad"
against the country's Catholic Croats and Orthodox Christian Serbs.
The result has been numerous acts of terror perpetrated upon
civilians — especially the Croats. During the past several years,
Catholic churches in and around Sarajevo have been vandalized by
Islamic extremists. Cemeteries where Croats were buried have been
desecrated. Many ordinary Catholics are afraid of walking on the
streets of Sarajevo with a cross around their neck for fear of being
attacked.
The most notorious incident occurred on Christmas Eve, when three
Croats — a father and his two daughters — were gunned down in their
home by an Islamic militant near the town of Konjic. Their crime:
celebrating Christmas.
The rise of radical Islam threatens to destabilize the Balkans,
plunging the region once again into bloodshed and religious conflict.
Rather than forcing the three constituent peoples of Bosnia to live
together against their wishes, the Bush administration would be wise to
develop a realistic and coherent strategy toward the region.
Washington needs to realize that synthetic states such as
Bosnia-Herzegovina are destined to fail. Recent European history is
littered with examples of multinational countries such as
Czechoslovakia, Yugoslavia and the Soviet Union that disintegrated
because they denied the fundamental human aspirations for democracy and
national self-determination. Bosnia is another case in point. The
Bosnian Serbs should be allowed to form a state with Serbia; the Croat
territories — especially those centered around their stronghold of
Mostar in Western Herzegovina — should be incorporated into Croatia.
The Bosnian Muslims would have their own state, with Sarajevo as the
capital.
More importantly, the Bush administration needs to foster closer
ties with the Croats in Bosnia-Herzegovina for one simple reason: They
are on the front-lines in the war against Islamic terrorism in the
Balkans. The Bosnian Serbs, meanwhile, are unreliable allies. Many of
them are still seething with resentment against the United States for
its decision to use military force to end the Serbs' campaign of ethnic
cleansing and mass murder during the Balkan wars of the 1990s.
The Croats, on the other hand, view Washington as their strategic
partner. As one high-ranking Bosnian Croat government official told me:
"We can act as the eyes and ears for the West in the Balkans and
monitor the activities of al Qaeda in Bosnia."
The United States should not only support the Bosnian Croats' right
to self-determination, but also provide them with intelligence and
military assistance to contain the growth of radical Islam in the
region.
It is ironic that the West should now have to depend upon the
Croats in Herzegovina as a pivotal ally in the war on terrorism.
Throughout the 1990s, the Herzegovinian Croats were demonized in the
Western liberal press for their "nationalism" and passionate attachment
to the Croatian cause. They have always been the most patriotic and
courageous of all the Croats, producing some of Europe's finest
fighters. Herzegovina was primarily the site where the Croats for
centuries fought off the invading Ottoman armies. For their ceaseless
resistance to the Turks, Pope Leo X referred to the Croats as "the
ramparts of Christendom."
The Croats in Bosnia can again take up their historic role as a
strategic bulwark against Islamic expansionism on the Continent.
However, this can only happen after Washington realizes Bosnia is not a
Balkan Switzerland, but a smoldering cauldron of ethnic strife where
the followers of Osama bin Laden have found a home to preach their
message of hate and religious fanaticism. As an experiment in
nation-building, Bosnia has been a noble failure. The Bush
administration should take heed.
Jeffrey T. Kuhner is an assistant national editor at The Washington
Times.
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All rights reserved.
# 1. da La Repubblica online:
intervista a Gelli: "Guardo il Paese, leggo i giornali
e dico: avevo già scritto tutto trent'anni fa"
"Giustizia, tv, ordine pubblico
è finita proprio come dicevo io"
dal nostro inviato CONCITA DE GREGORIO
AREZZO - Son soddisfazioni, arrivare indenni a quell'età e godersi il
copyright. "Ho una vecchiaia serena. Tutte le mattine parlo con le voci
della mia coscienza, ed è un dialogo che mi quieta. Guardo il Paese,
leggo i giornali e penso: ecco qua che tutto si realizza poco a poco,
pezzo a pezzo. Forse sì, dovrei avere i diritti d'autore. La giustizia,
la tv, l'ordine pubblico. Ho scritto tutto trent'anni fa". Tutto nel
piano di Rinascita, che preveggenza. Tutto in quelle carte sequestrate
qui a villa Wanda ventidue anni fa: 962 affiliati alla Loggia. C'erano
militari, magistrati, politici, imprenditori, giornalisti. C'era
l'attuale presidente del Consiglio, il suo nuovo braccio destro al
partito Cicchitto: allora erano socialisti.
Chi ha condiviso quel progetto è oggi alla guida del paese. "Se le
radici sono buone la pianta germoglia. Ma questo è un fatto che non ha
più niente a che vedere con me". Niente, certo. Difatti quando parla di
Berlusconi e di Cicchitto, di Fini di Costanzo e di Cossiga lo fa con
la benevolenza lieve che si riserva ai ricordi di una stagione
propizia. Sempre con una frase, però, con una parola che li fissa senza
errore ad un'origine precisa della storia.
Quel che rende Licio Gelli ancora spaventosamente potente è la memoria.
Lo si capisce dopo la prima mezz'ora di conversazione, atterrisce dopo
due. Il Venerabile maestro della Loggia Propaganda 2 è in grado di
ricordare l'indirizzo completo di numero civico della prima casa romana
di Giorgio Almirante, l'abito che indossava la sua prima moglie quel
giorno che gli fece visita a Natale, i nomi dei tre figli di Attilio
Piccioni e da lì ricostruire nel dettaglio il caso Montesi che vide
coinvolto uno dei tre, ricorda il numero di conto corrente su cui fece
quel certo bonifico un giorno di sessant'anni fa, la targa della
camionetta di quando era ufficiale di collegamento col
comando nazista, quante volte esattamente ha incontrato Silvio
Berlusconi e in che anni in che mesi in che giorni, come si chiamava il
segretario di Giovanni Leone a cui consegnò la cartella coi 58 punti
del piano R, che macchina guidava, se a Roma c'era il sole quella
mattina e chi incontrò prima di arrivare a destinazione, che cosa gli
disse, cosa quello rispose.
Questo di ogni giorno dei suoi 84 anni di vita, attualmente archiviata
in 33 faldoni al primo piano di villa Wanda, dietro a una porta
invisibile a scomparsa. "Ogni sera, sempre, ho scritto un appunto del
giorno. Per il momento per fortuna non mi servono, perché ricordo
tutto. Però sono tranquillo, gli appunti sono lì".
Il potere della memoria, ecco. Il resto è coreografia: il parco della
villa che sembra il giardino di Bomarzo, con le statue le fontane i
mostri, la villa in fondo a un sentiero di ghiaia dietro a un convento,
le stanze con le pareti foderate di seta, i soffitti bassi di legno
scuro, elefanti di porcellana che reggono i telefoni rossi, divani di
cuoio da due da tre da sette posti, di velluto blu, di raso rosa, a
elle e a emiciclo, icone russe, madonne italiane, guerrieri d'argento,
pupi, porcellane danesi, un vittoriano buio con le imposte chiuse al
sole di settembre, scale, studi, studioli, sale d'attesa coi vassoi
d'argento pieni di caramelle al limone. Ma lei vive qui da solo?. "Sì
certo solo". E questi rumori, le ombre dietro le porte di vetro
colorato? "La servitù".
Commendatore, gli sussurra una segretaria pallida porgendogli un
biglietto: una visita. "Mi scusi, mi consente di assentarmi un attimo?
E' un vecchio amico".
Gelli è in piena attività. Riceve in tre uffici: a Pistoia, a
Montecatini, a Roma. Oltre che in villa, naturalmente, ma fino ad
Arezzo si spingono gli intimi. Dedica ad ogni città un giorno della
settimana. A Pistoia il venerdì, di solito. A Roma viene il mercoledì,
e scende ancora all'Excelsior. Le liste d'attesa per incontrarlo sono
di circa dodici giorni, ma dipende. Per alcuni il rito è abbreviato.
Al telefono coi suoi segretari si è pregati di chiamarlo "lo zio": "La
regola numero uno è non fare mai nomi ? insiste l'ultimo di una serie
di intermediari ? Lei non dica niente, né chi la manda né perché. La
richiameranno. Quando poi lo incontra vedrà: è una persona squisita.
Solo: non gli parli di politica". Di poesia, vorrebbe si parlasse:
perché Licio Gelli da quando ha ufficialmente smesso di lavorare alla
trasformazione dell'Italia in un Paese "ordinato secondo i criteri del
merito e della gerarchia", come lui dice, "per l'esclusivo bene del
popolo" ha preso a scrivere libri di poesia, ovviamente premiati di
norma con coppe e medaglie, gli "amici" nel '96 lo hanno anche
candidato al Nobel.
"Vorrei scivolare dolcemente nell'oblio. Vedo che il mio nome compare
anche nelle parole crociate, e ne soffro. Vorrei che di me come
Venerabile maestro non si parlasse più. Siamo stati sottoposti a un
massacro. Pensi a Carmelo Spagnolo, procuratore generale di Roma, pensi
a Stammati che tentò di uccidersi. E' stata una gogna in confronto alla
quale le conseguenze di Mani Pulite sono una sciocchezza. In fondo Mani
pulite è stata solo una faccenda di corna.
Lei crede che la corruzione sia scomparsa? Non vede che è ovunque,
peggio di prima? Prima si prendeva facciamo il 3 per cento, ora il 10.
Io non ho mai fatto niente di illegale né di illecito. Sono stato
assolto da tutto. Le mie mani, eccole, sono nette di oro e di sangue".
Assolto da tutto non è vero, dev'essere per questo che lo ripete tre
volte e s'indurisce. Indossa un abito principe di Galles, cravatta di
seta, catena d'oro al taschino, occhiali con montatura leggerissima,
all'anulare la fede e un grosso anello con stemma. Questo avrebbe detto
dunque a Montecatini, a quel convegno a cui l'hanno invitata e poi non
è andato? Dicono che Andreotti l'abbia chiamata per dissuaderla. "E'
una sciocchezza. Andreotti non è uomo da fare un gesto simile. Si vede
che lei non lo conosce".
Senz'altro lei lo conosce meglio. "Se Andreotti fosse un'azione
avrebbe sul mercato mondiale centinaia di compratori. E' un uomo di
grandissimo valore politico". Come molti della sua generazione.
"Molti, non tutti. Cossiga certamente. Non Forlani, non aveva spina
dorsale. Naturalmente Almirante, eravamo molto amici, siamo stati nella
Repubblica sociale insieme. L'ho finanziato due volte: la seconda per
Fini. Prometteva molto, Fini. Da un paio d'anni si è come appannato".
Forse un po' schiacciato dalla personalità di Berlusconi.
"Può darsi. Berlusconi è un uomo fuori dal comune. Ricordo bene che già
allora, ai tempi dei nostri primi incontri, aveva questa
caratteristica: sapeva realizzare i suoi progetti. Un uomo del fare.
Di questo c'è bisogno in Italia: non di parole, di azioni".
Vi sentite ancora? "Che domanda impertinente. Piuttosto. L'editore
Dino, lo conosce?, ha appena ripubblicato il mio primo libro: Fuoco!
E' stata la mia opera più sofferta, anche perché ha coinciso con la
morte di mio fratello nella nostra guerra di Spagna. E' un edizione
pregiata a tiratura limitata, porta in copertina il mio bassorilievo in
argento. Ci sono due altri solo autori in questo catalogo: il Santo
padre, e Silvio Berlusconi". Anche Berlusconi col bassorilievo
d'argento? "Certo, guardi". Il titolo dell'opera è "Cultura e valori di
una società globalizzata". Pensa che Berlusconi abbia saputo scegliere
con accortezza i suoi collaboratori? "Credo che in questa ultima fase
si senta assediato. E' circondato da persone che pensano al "dopo". Non
si fida, e fa bene.
E' stato giusto bonificare il partito, affidarlo a un uomo come
Cicchitto. Cicchitto lo conosco bene: è bravo, preparato". Il
coordinatore sarebbe Bondi in realtà. "Sì, d'accordo. Credo che anche
Bondi sia preparato. E' uno che viene dalla disciplina di partito".
Comunista. "Non importa. Quello che conta è la disciplina e il
rispetto della gerarchia". Ha visto il progetto di riordino del
sistema televisivo? "Sì, buono". E la riforma della giustizia? "Ho
sentito che quel Cordova ha detto: ma questo è il piano di Gelli. E
dunque?
L'avevo messo per scritto trent'anni fa cosa fosse necessario fare.
Leone mi chiese un parere, gli mandai uno schema in 58 punti per il
tramite del suo segretario Valentino. Pensa che chi voglia assaltare il
comando consegni il piano al generale nemico, o al ministro
dell'Interno? Ma comunque non è di questo che vogliamo parlare, no?
Vuole anche lei avere i materiali per scrivere una mia biografia?
Arriva tardi: ho già completato il lavoro con uno scrittore di gran
fama". Su una poltrona è appoggiato l'ultimo libro di Roberto Gervaso.
La scrive con Gervaso? "Ma no, ci vuole una persona estranea ai fatti.
Se vuole le mostro lo scaffale con le opere che mi riguardano, le ho
catalogate: sono 344". Certo: il burattinaio è un soggetto
affascinante. "Andò così: venne Costanzo a intervistarmi per il
Corriere della sera. Dopo due ore di conversazione mi chiese: lei cosa
voleva fare da piccolo. E io: il burattinaio. Meglio fare il
burattinaio che il burattino, non le pare?".
Sembra che ce ne siano diversi di burattinai in giro ultimamente. "Il
burattinaio è sempre uno, non ce ne possono essere diversi". E adesso
chi è? "Adesso? Questa è una classe politica molto modesta, mediocre.
Sono tutti ricattabili". Tutti? Mettiamo: Bossi. "Bossi si è creato la
sua fortezza con la Padania, ha portato 80 parlamentari è stato bravo.
Ma aveva molti debiti... Per risollevare il Paese servono soldi, non
proclami. Ho sentito che Berlusconi ha invitato gli americani a
investire in Italia: ha fatto bene, se qualcuno abbocca?
Ma la situazione è molto seria. L'economia va malissimo, l'Europa è
stata una sventura. Non abolire le barriere, bisognava: moltiplicarle.
Fare la spesa è diventato un problema, il popolo è scontento. Serve un
progetto preciso". Per la Rinascita del Paese. "Certo". C'è il suo:
certo forse i 900 affiliati alla P2 erano pochi. "Ma cosa dice,
novecento persone sono anche troppe. Ne bastano molte meno". Allora
quelle che ci sono ancora bastano, tolti i pentiti. "Nessuno si è
pentito. Pentiti? A chi si riferisce? Costanzo, forse. L'unico. Con
tutto quello che ho fatto per lui. Guardi: io non devo niente a nessuno
ma tutti quelli che ho incontrato devono qualcosa a me. Ci sono dei
ribelli a cui ho salvato la vita, ancora oggi quando mi incontrano mi
abbracciano". Ribelli? "Sì, i ribelli che stavano sulle montagne, in
tempo di guerra. Io ero ufficiale di collegamento fra il
comando tedesco e quello italiano. Ne ho salvati tanti". Intende
partigiani. "Li chiami come crede. Eravamo su fronti opposti, ma quando
sei di fronte ad un amico non c'è divisa che conti.
L'amicizia, la fedeltà ad un amico viene prima di ogni cosa".
L'amicizia, sì. La rete. Cossiga l'ha citata giorni fa, in
un'intervista. Ha detto: chiedete a Gelli cosa pensava di Moro. "Da
Moro andai a portare le credenziali quando ero console per un paese
sudamericano. Mi disse: lei viene in nome di una dittatura, l'Italia è
una democrazia. Mi spiegò che la democrazia è come un piatto di
fagioli: per cucinarli bisogna avere molta pazienza, disse, e io gli
risposi ?stia attento che i suoi fagioli non restino senz'acqua,
ministro'". Anche in questo caso tragicamente profetico, per così dire.
Lei cosa avrebbe fatto, potendo, per salvare Moro? "Non avrei fatto
niente. Era stato fascista in gioventù, come Fanfani del resto, ma poi
era diventato troppo diverso da noi. Lei ha visto il film sul delitto
Moro?" Quello di Bellocchio? "No, l'altro. Quello tratto dal libro di
Flamigni.
Ma le pare che si possa immaginare un agente dei servizi segreti che
con un impermeabile bianco va a controllare sulla scena del delitto se
è tutto andato secondo i piani?". Gli agenti dei servizi sono più
prudenti? "Lei conosce Cossiga? Proprio una bravissima persona. E poi
un uomo così colto, uno capace di conversare in tedesco. Un uomo puro,
un animo limpido. Dopo la morte di mia moglie mi mandò un biglietto:
"Ti sono vicino nel tuo primo Natale senza di lei", capisce che
pensiero? Vorrebbe farmi una cortesia? Se lo incontra, vuole porgergli
i miei ricordi, e i miei saluti?".
(28 settembre 2003)
# 2. da l'Unità online, 29.09.2003
Sotto il cappuccio, il governo Berlusconi
di Natalia Lombardo
Gongola il Venerabile, nel vedere che il suo Piano di Rinascita scritto
nel '75 si sta realizzando grazie al governo Berlusconi, che della
Loggia P2 fu uno dei 962 iscritti. «La giustizia, la tv l'ordine
pubblico, avevo scritto tutto trent'anni fa», si compiace il Gran
Maestro massone, che quasi quasi ne vorrebbe anche i «diritti
d'autore»: «Guardo il Paese, leggo i giornali e penso: ecco qua che
tutto si realizza pezzo a pezzo». Che la mappa delle riforme varate
oggi dal governo, sulla Giustizia e sull'indebolimento della Rai per
favorire i privati, sulla gestione repressiva dell'ordine pubblico
(vedi Genova), fosse ricalcata dalle carte di Gelli lo denunciò già
l'Unità il 23 novembre 2001: «Stanno realizzando il piano della Loggia
P2», titolava il nostro quotidiano. Così il «catenaccio»: «Le carte di
Gelli prevedevano: giudici sotto tutela, scuole ai privati, sindacati
esclusi, controlli in poche mani di affari e informazione».
Ieri sulla «Repubblica» un lungo colloquio con il Venerabile nella sua
magione aretina conferma quanto sostenuto da l'Unità. Il piano di
«Rinascita democratica» (si fa per dire), prevedeva la limitazione
dell'autonomia del Csm (ora Castelli va oltre, con il divieto per i
magistrati di esprimere la propria opinione); la responsabilità del
magistrato, la separazione delle carriere tra giudici e pm; la
sottomissione del pm all'esecutivo. Identica l'ispirazione: Gelli
voleva ricondurre la Giustizia «alla sua tradizionale funzione di
equilibrio della società e non già di eversione» (allora si indagava
sulle Stragi di Stato); per Berlusconi i magistrati sono sovversivi se
non «pazzi».
Ma anche sull'informazione la Legge Gasparri, che da mercoledì si vota
alla Camera a tempi contratti, sembra fotocopiata dal Venerabile piano:
stampa e settimanali sotto il controllo di gruppi di giornalisti fidati
attraverso operazioni editoriali, la cancellazione della Rai per
favorire le concentrazioni private in nome della libertà di antenna.
Pochi anni dopo l'impero mediatico berlusconiano prendeva corpo.
Ancora, la P2 prevedeva la scissione dei sindacati («Fatto», recitava
lo slogan di Fi nel '94), l'abolizione dello sciopero e mano libera
alla polizia contro «teppisti ordinari e pseudo politici». Gelli
immaginava inoltre due schieramenti politici e l'acquisto della Dc per
10 miliardi.
Il Maestro di lobby si sentiva il Gran Burattinaio, ora lamenta la
mancanza di eredi: «Oggi c'è una classe politica modesta, mediocre,
sono tutti ricattabili». Fra questi ci mette Bossi: «Ha portato ottanta
parlamentari, è stato bravo. Ma aveva molti debiti... Per risollevare
il Paese servono soldi, non proclami». E qualcuno deve aver aiutato il
Senatur, del quale Gelli sembra condividere l'idea di rimettere i dazi
e l'odio per l'Europa («una sventura»). È scettico, invece, sugli
inviti di Berlusconi agli americani: venite a investire in Italia...
«Ha fatto bene, se qualcuno abbocca...».
Nella striscia rossa de l'Unità, nel 2001, la frase di Gelli appare
oggi come una profezia: «Se le circostanze permettono di contare
sull'ascesa al governo di un gruppo in sintonia con lo spirito dei club
e con le sue idee, allora è chiaro che si può attuare subito il
programma di emergenza». Parole tratte dal Piano sequestrato dalla GdF
nell'81, scoperto nel doppiofondo della valigia della figlia Maria
Grazia. Fu scritto nel 1974-'75 per bloccare l'ascesa del Pci di Enrico
Berlinguer (quasi al 30%) e la sua idea del compromesso storico portata
avanti da Aldo Moro («servirebbe anche oggi», pensa Andreotti).
Nel «club», la Loggia Propaganda 2, erano affiliati impreditori,
politici, militari, giornalisti (Costanzo l'unico «pentito»). L'attuale
premier aveva la tessera n. 625; Fabrizio Cicchitto, allora giovane
socialista lombardiano, la numero 945. A lui ora Berlusconi ha affidato
le redini di FI, come vice di Bondi.
# 3. da "La Repubblica", 30/09/2003
"Ha vinto Gelli, l'uomo del ricatto la nostra battaglia è stata inutile"
Tina Anselmi: su Rai e riforme hanno attuato il piano della P2
CONCITA DE GREGORIO
ROMA - «Gelli ha una scatola nera per ciascuno di quelli con cui è
entrato in relazione. Ha sempre lavorato così: sul ricatto. Anche
adesso: dice, non dice, manda a dire. Sono messaggi obliqui che
arrivano a chi devono arrivare. In un punto sono d'accordo con lui:
nessuno degli affiliati alla P2 si è pentito. Sono ancora tutti lì, uno
è diventato presidente del Consiglio».
In questo momento è in tv che parla di pensioni a reti Rai unificate.
«La Rai ormai è ridotta a questo: un megafono del governo. Diceva il
piano di Rinascita di Gelli: "Dissolvere la Rai -tv in nome della
libertà di antenna, impiantare tv via cavo a catena in modo da
controllare la pubblica oPinione media nel vivo del paese” . Non è
forse quello che è successo?».
Tina Anselmi, staffetta partigiana della Resistenza, parlamentare dc
dalla quinta alla decima legislatura, tre volte ministro, ha dedicato
cinque anni della sua vita ad indagare su Licio Gelli e sulla Loggia
massonica P2.
«La commissione d'inchiesta ci ha impegnati a tempo pieno dal 1981 al
1985. Quando dico tempo pieno intendo che non abbiamo praticamente
fatto altro giorno e notte. Non di rado mi congedavo dai commissari
alle due del mattino per ritrovarli lì sui banchi poche ore dopo. E'
anche per questo che quando leggo le parole di Gelli su Repubblica,
oggi, mi assale lo sconforto».
Sconforto per il tempo dedicato ad una battaglia persa?
«inutile, direi. Tanto lavoro d'indagine, tanti buoni risultati, ne
emergeva una trama cosi chiara: eppure non gli è stato dato alcun
seguito. Il parlamento aveva avuto mandato di togliere il segreto alla
massoneria: rendere visibile un'attività svolta nella segretezza. Non
lo ha mai fatto: non ha mai scritto le leggi di applicazione del
principio costituzionale che non ammette società segrete. Ci sarebbe
ancora tanto lavoro da fare, ma dubito che oggi lo si faccia».
Perché dubita?
«Ma se non è stato fatto finora, si figuri se lo faranno un governo e
una maggioranza parlamentare costellate di ex affiliati alla loggia.
Purtroppo Gelli ha ragione a vantare i diritti d'autore sulle riforme.
Si ricorda cosa diceva il piano di Rinascita?»
In quale punto?
«Quando parla dei tempi delle riforme. Diceva: "Qualora le circostanze
permettessero di contare sull'ascesa al Governo di un uomo politico (o
di una equipe) già in sintonia con lo spirito del club e con le sue
idee di “ripresa democratica”, è chiaro che i tempi dei procedimenti
riceverebbero una forte accelerazione". Difatti hanno avuto
un'accelerazione fortissima».
Che ricordi ha dei politici iscritti alla P2 sentiti in commissione?
«Molto precisi. Li sentimmo tutti, ovviamente. Berlusconi no, allora
era un semplice imprenditore. Però leggo che oggi ha affidato il suo
partito a Cicchitto: lui fu sentito. Ricordo che ebbe anche un diverbio
con Bozzi, il liberale Bozzi».
A che proposito?
«Cicchitto disse di essersi affiliato alla P2 perché attraversava una
fase politica e personale molto delicata. Disse che si sentiva
sommamente insicuro, che aveva qualcuno che lo seguiva come un'ombra.
Raccontò di aver parlato del suo disagio con alcuni compagni di partito
che gli suggerirono questo: "Se vuoi liberarti di quell'incubo
persecutorio vai da Gelli". Così fece. Racconta che Gelli gli
raccomandò di stare tranquillo, che lo avrebbe liberato da quella
persona. Infatti, disse Cicchitto, se ne liberò».
E il diverbio?
"Bozzi si spazientì molto. Gli chiese: ma scusi, lei è un parlamentare,
un alto dirigente del suo partito: è possibile che se percepisce un
pericolo anziché rivolgersi alle autorità, nelle sedi istituzionali,
vada da Gelli? Cicchitto rispose: io ero convinto, in quel periodo, che
la politica fosse in mano ai banditi. Disse proprio cosi: 'banditi'.
Bozzi la trovò una spiegazione inaccettabile».
Quale crede che fosse il reale obiettivo del Piano di Rinascita?
«Gelli e i suoi affiliati volevano controllare il potere e chi lo
gestiva».
Il Venerabile della P2 ripete dl essere stato assolto dalle accuse.
«Bisogna guardare bene i capi d'accusa, e di conseguenza le assoluzioni
da quelle accuse. Non è stata approfondita la materia, in sede
d'inchiesta. Noi d'altra parte non eravamo una commissione giudicante».
Lei crede che la P2 abbia costituito un reale pericolo per la
democrazia?
«Lo credevo e lo credo. Non penso affatto che il pericolo sia cessato.
Gli esponenti della P2 sono, per stessa ammissione di Gelli, molti più
di quei mille nomi scarsi che furono trovati negli elenchi sequestrati
ad Arezzo e a Castiglion Fibocchi. Molte di queste persone sono
insediate in tavoli chiave dello Stato. Hanno fatto carriere brillanti
e continuano a farne. Dopo vent'anni sono ancora tutti lì».
Antidoti?
«Bisognerebbe che reagisse la parte sana dello Stato, che l'organismo
democratico desse un segnale di vitalità. Bisognerebbe. Io non perdo la
fiducia».
di Vis, formatosi a Zagabria, protagonista di un'elegante poesia in
polemica giornalistica. Attualmente vive da rifugiato a Belgrado.
(pubblicata nel "Dossier Jugoslavia" su Nuova Unità del mese di
dicembre 1996)
D. Come si definisce, profugo politico o emigrante?
R. Non mi definisco in nessuno dei due modi. Mi sono sempre sentito
jugoslavo, cittadino di una terra, di una realtà che mi sembrava
indistruttibile, ed ancora la sento così a livello emotivo. Ma per
quanto riguarda la situazione attuale, questa terra è distrutta e come
tale non esiste più. Dunque, sono cittadino di uno stato che non
esiste. La mia terra era il risultato di un processo storico, ed è
sparita come risultato di circostanze storiche. Usando la storia come
criterio, vediamo che ciò è avvenuto a molti stati che hanno condiviso
lo stesso passato. Sono scomparse nazioni, popoli... ma se parliamo
razionalmente, esistono anche delle emozioni...
A questo proposito, vorrei citare qualche frase dal mio libro "Il
cimitero d'Europa": "Che l'idea dello jugoslavismo arrivi dal lontano
passato è indiscutibile (...) Ogni lettore dovrebbe almeno sapere che
l'idea dell'unificazione degli slavi e dell'etnia slava del sud è molto
antica, non si può neanche dire esattamente quanto. Questa è una tesi
di grande importanza, perché ci sono molto ignoranti che ritengono
l'unificazione vecchia solo di una settantina d'anni, e cioè tanto
quanto l'edificio jugoslavo. Lo stesso tempo sono durati, se non
sbaglio, i papi ad Avignone, ma nessuna persona intelligente, oggi,
mette in dubbio l'esistenza ulteriore della Chiesa Romana. Il Vaticano
ha attraversato nella sua lunga storia innumerevoli crisi, ha ceduto a
debolezze e si è macchiato di vergogne come nessuna creatura di Dio, ed
eccolo oggi vitale e forte più che mai..."
D. Lei proviene da una ex-repubblica jugoslava. Cosa pensa dell'esodo
dei profughi serbi dalla Krajina? Sembra che l'Occidente non veda o non
voglia vedere, e finge di non capire che la Croazia è uno stato
genocida, come lo era nel 1941...?
R. Non ho messaggi da lanciare, né spetta a me lanciarne. Però esiste
un problema e io ho la mia opinione al riguardo. Che l'Occidente veda o
non veda, per ogni persona intelligente è chiaro che l'Occidente vede.
Non solo vede, ma sa tutto. Sa molto di più della gente di media
cultura. Ed è oltretutto colpevole e corresponsabile per quello che è
successo. Perché senza la sua complicità, senza la sua intenzione e
volontà non sarebbe successo tutto questo.
D. Ho letto una sua intervista, in cui lei conclude dicendo: "...
Europa, culla la tua creatura, questo tuo mostro neonato (la Croazia)!".
R. Anche prima di Tudjman l'Europa ha conosciuto un fenomeno simile. Si
chiamava la Spagna di Franco, e l'ha cullata finché le è servito,
finché ha trovato il modo di difenderla. Quando non ha potuto farlo
più, l'Europa si è sbarazzata di Franco molto presto, elegantemente.
L'Europa risolve tutti i suoi problemi con facilità. Però non sono
sicuro che risolverà facilmente questo problema. Qui nei Balcani ha
causato una guerra che durerà a lungo.
Ma per continuare con la seconda domanda, l'Europa naturalmente sa
molto. A Zagabria ero abbonato a una rivista sulla natura, seguivo una
scienza che non era proprio di mia competenza. Mi interessavo allora
concretamente di altre cose. Ho notato però un dettaglio: per un
centinaio d'anni, i Tedeschi hanno esplorato tutte le nostre montagne,
la flora, la fauna. Disegnavano le carte topografiche che noi non
avevamo. Le studiavano attentamente, e perciò anche in questo sapevano
più di noi stessi. Se già allora sapevano della nostra Patria anche più
di noi, se oggi conoscono la composizione dei nostri minerali, le
materie prime, le piante, gli animali, allora conoscono anche gli
uomini. In ogni caso, ho citato questo solo per far capire che
senz'altro sono informati di ciò che sta succedendo qui. Un'altra cosa
è quali sono i loro interessi e cosa vogliono. Su questo possiamo fare
delle supposizioni, tenendo presente il loro interesse generale. Ed io
penso che, se da una parte ciò porta loro dei vantaggi, dall'altra
comporta anche dei danni. Se questi danni si potranno notare subito o
tra qualche tempo, lo vedremo. Neanche questa guerra conviene più,
perché qualcosa sta cambiando in Europa. Non penso che questa guerra
possa in qualche modo allargarsi, danneggiando l'Europa militarmente,
ma la disturba per vari motivi: civili, tecnologici... Non possono
viaggiare liberamente in Medio Oriente come facevano prima.
Molto hanno avuto in ritorno con la produzione e la vendita d'armi. In
questo senso hanno guadagnato. Non guadagneranno in nessun altro modo,
almeno per un periodo... Molti hanno perso la simpatia in questi
territori, la stima... Per esempio, la società nella quale ora vivo
aveva da una decina d'anni una certa inclinazione e simpatie
filoamericane. Ora questo atteggiamento l'hanno perso, e non credo che
in un futuro prossimo lo riconquisteranno. Per quanto riguarda l'umore
verso i tedeschi, essi erano malvisti da sempre (o quasi) nei Balcani,
"grazie" anche ai loro interessi. Trovo molto stupido ciò che stanno
facendo ora. Guardando a lungo termine, non so se gli conviene.
D. Forse una domanda superflua. Cosa pensa dell'ultimo grave episodio
riguardo i profughi serbi espulsi dalla Krajina, fatti oggetto di
lancio di pietre, di insulti, di maltrattamenti da parte della
popolazione croata...?
R. La cosa non mi ha stupito. Di recente ho girato un film-documentario
sul campo di sterminio di Jasenovac. Uno dei superstiti descrive ciò
che accadeva nel lager: quando prelevarono un gruppo di prigionieri
serbi per trasferirli ad Osijek, a lavorare nei campi, anche in quella
occasione essi furono oggetto di lancio di pietre. Perciò quanto è
accaduto giorni fa non è niente di nuovo. Quella stessa "coscienza"
nazifascista è ancora viva.
D. Parlando di film, ha visto l'ultima opera di Kusturica
"Underground"? Trova in questo film una convinzione, un messaggio
politico...?
R. Io non guardo i film come espressione di un pensiero politico,
perché se dobbiamo giudicare così le opere artistiche, siano essi film,
musica, letteratura, o qualunque altra cosa, il balletto... alla fine
della storia noi staremo sicuramente vagando, perché l'arte e la
politica non usano lo stesso linguaggio. Sono due cose diverse che qui
e là si avvicinano, si intrecciano, non so... si ospitano a vicenda. E
così come ritengo che la politica non abbia nulla da cercare nell'arte,
ritengo che l'arte non abbia competenza nel campo della politica...
D. Qualcuno però considera questo film, almeno per ciò che riguarda la
seconda parte, come un pugno allo stomaco della propria Patria.
R. Posso dire solo una cosa: "leggere" un'opera d'arte in questo senso
non porta ad una conclusione intelligente. Può portare solo a certe
conclusioni che ognuno grida in modo diverso. Non accetto assolutamente
un criterio così definito. Ritengo che non sia opportuno, che non
conduca a nulla, solo a degli errori. Il cinema ha i suoi criteri, le
sue leggi. Possiamo "processare" qualunque film, prendiamo per esempio
Rubljov. Cosa significa questo film politicamente? Niente? Invece,
secondo me, è uno dei migliori film mai girati. Non entrerei in questo
genere di discussione, non lo trovo utile... ti aiuta solo a perderti.
Per tornare al problema dell'Europa e tutto quello che sta succedendo
ora, penso che l'artefice principale di questi ultimi eventi, parlando
di persone singole, sia l'odierno Papa Wojtila, e dopo di lui il mondo
al quale appartiene...
D. Anche in Occidente si ritiene che sia lui uno dei primi
responsabili...
R. Sì, lui e il gruppo intorno a lui, Lakovski, Walesa, Caslav Milos,
Adam Misnik, e uno dei più importanti, Zbignjev Berzinski, ed altri. Si
sono trovati nel cuore della tempesta, per così dire. L'anello polacco
era il più debole del blocco orientale, e naturalmente l'Occidente ha
giocato su questo anello della catena. E ci è riuscito.
Questo richiederebbe un'approfondita analisi, e invece il mondo ne
parla poco. Ritengo che un'analisi corretta del fenomeno polacco possa
dare risposte intelligenti su quanto è avvenuto in Europa negli ultimi
15 anni, anche per ciò che rigurda la stessa Polonia, come ad esempio
l'ultima vittoria politica di una fragile sinistra, quando lo stesso
popolo cattolico polacco ha visto che la caduta del precedente regime
non aveva portato nessuna fortuna, né benessere. Dato che ho citato
Wojtila, dirò che egli non agiva solo su scala nazionale ridotta, ma su
una vasta scala mondiale. Lui ha portato dalla sua parte due cose
importanti, ma ha commesso anche due grandi errori. La storia, un
giorno, dimostrerà se dal suo "lavoro" ha ricavato più danno che
guadagno. Le due grandi cose sono: la distruzione del blocco
socialista, e lo ha fatto in modo totale; poi, per 15-16 volte ha
viaggiato in America Latina, per soffocare l'agitazione sociale, il
movimento di liberazione, quel cattolicesimo di sinistra che era
innanzitutto contro la dominazione americana. Wojtila è riuscito a
contenerlo. E qui ha fatto un gioco demagogico, come d'altronde ha
sempre fatto. E' riuscito a sconfiggere anche caricature di regimi,
cone quello di Pinochet: lo ha lasciato al comando dell'esercito, ma lo
ha tolto dalla carica di capo di stato, salvando così una facciata di
dogmatica democrazia, perché non si poteva nascondere il fatto che
Allende era stato democraticamente eletto e che veniva soffocato dal
golpe militare. E per 14 anni non ci sono state sanzioni politiche, non
c'è stato nulla di tutto quello che stanno facendo oggi. Per nascondere
ciò, loro si sono sbarazzati di questa dittatura, ma nello stesso tempo
hanno incaricato il Papa di portare avanti un'opera di pacificazione, e
lui l'ha fatto bene, insieme al Vaticano - non so come definire il
mondo a cui appartiene - la Santa Sede. Non sarò più preciso, non
voglio dare una definizione: forse il Papa appartiene a un movimento
planetario col quale agita il mondo, e lui è il protagonista di questo
grande gioco.
I due grandi errori, di cui non si conosce ancora la negatività, sono:
primo, ha sottovalutato l'Islam. Il Papa ha svolto il suo ruolo non
tenendo conto dell'Islam, non solo come religione, ma come filosofia
politica in espansione, che ha dietro di sé oltre un miliardo di
persone, e che ha dimostrato negli ultimi 15 anni una determinata
tendenza che il mondo occidentale dovrà affrontare. Credo che il
prossimo Papa - perché questo non durerà ancora a lungo - avrà molta
competenza in materia di Islam. Wojtila era un esperto di comunismo,
secondo il loro criterio. Ma neanche il prossimo Papa riuscirà a fare
molto per l'Europa.
D. Forse il cardinale Puljic...?
R. Sì, potrebbe, perché questa guerra nell'ex-Bosnia Erzegovina
dimostra una pessima convivenza tra croati cattolici e musulmani. La
comunità croata in Bosnia Erzegovina era composta di circa 700.000
persone. La maggior parte di essi sono sparsi. Altri 200.000 sono
rimasti in Erzegovina. Nel resto della Bosnia, la Croazia controlla
solo Kiseljak, e può succedere che perda anche quella. Dunque il
prossimo Papa dovrà conoscere l'Islam.
Il secondo errore di Wojtila è che ha portato la religione ortodossa a
diventare qualcosa di vivo, di attivo. Prima di questa nostra tragedia,
la chiesa ortodossa serba ha sempre avuto un carattere benigno,
passivo, non aggressivo, esisteva e basta. Viveva in un suo piccolo
mondo chiuso e non nutriva ambizioni terrene, né aveva la forza per
diventare un fattore importante. Mi pare che Zinovjev abbia detto:
"Miravamo al comunismo ed abbiamo colpito la Russia". Wojtila mirava al
comunismo e ha colpito l'ortodossia. Lo ha dimostrato adesso, il suo
approccio ecumenico non è fatto così, tanto per fare. Ha capito che è
stato un grande errore, perché lui non sarà messo in cattiva luce solo
oggi, ma anche in futuro, e ciò bloccherà la sua espansione nell'Est.
Quando tireranno il bilancio sul suo mandato, tra cose positive e cose
negative, sicuramente avranno un saldo negativo, perché così sarà
giudicato dal loro punto di vista. Figuriamoci dal nostro.
Belgrado, agosto 1955
Intervista raccolta da Ivan Pavicevac
ALCUNI ANTEFATTI
Molti ricordano gli scontri avvenuti negli scorsi anni tra noi amici
della Jugoslavia e certi ambienti della ex Autonomia padovana, ambienti
che assumono svariate denominazioni a seconda dell'occorrenza ("Ya
basta", "Centri sociali del Nord Est", "Cantieri sociali", "Tute
bianche") ma sono sempre gli stessi personaggi guidati da Luca Casarini
e qualcun altro che gestisce Radio Sherwood ed i Centri Sociali "Pedro"
e "Rivolta".
Il 6 giugno 1999, nel corso di una manifestazione contro la guerra ad
Aviano, dopo svariate indimidazioni contro compagni "colpevoli" di
portare bandiere jugoslave nel corteo si arrivo' persino allo scontro
fisico.
Negli anni successivi, la tensione e' costantemente cresciuta tra i
"casariniani" ed il resto del movimento - non solo quello
antimperialista. I "casariniani", mentre si facevano notare in
molteplici occasioni per le loro sceneggiate di piazza organizzate
d'accordo con le forze dell'ordine e per lo spazio generosamente
concesso loro da tutti i media di regime, sono entrati in attrito
continuo non solo con i gruppi marxisti e leninisti, ma anche proprio
con il vasto movimento contro la guerra, quando ad esempio, nell'ultima
grande manifestazione romana in primavera, hanno autonomamente deciso
di dar fuoco ai Bancomat allo scopo di spaccare il movimento stesso e
far ritornare tutti a casa.
L'ULTIMA LORO PRODEZZA
Il prosindaco di Venezia Bettin, noto sostenitore dei suddetti, ed il
sindaco di Venezia Paolo Costa, con l'assenso -controfirmato-
dell'assessore all'ambiente Paolo Cacciari (PRC), decretano un
revisionistico cambio di nome a Piazzale Tommaseo a Marghera,
intitolato oggi ai "martiri delle Foibe". Il PRC indice una
manifestazione (ovviamente pacifica) ed espone uno striscione durante
la cerimonia con su scritto "Vergogna" contro il cambiamento
revisionistico. Vi partecipano anche i Comunisti Italiani, I Verdi
Colomba (Boato), i Cobas Scuola e la Rete Antirazzista.
I "Centri sociali del nordest" arrivano, minacciano e picchiano prima
la rappresentanza di Rifondazione, poi un gruppo di AN, intervenuto
ovviamente per motivi opposti, costituendo di fatto un servizio
d'ordine di picchiatori alla cerimonia revisionistica. Una provocazione
mirata, dunque, a rendere ingestibile la protesta di piazza, a
difendere con la violenza la scelta revisionistica di rinominare
Piazzale Tommaseo, ad intimorire quei settori del PRC che praticano
coerentemente la rivalutazione della memoria storica della Resistenza e
l'antifascismo.
COMUNICATO STAMPA
della federazione di Venezia del PRC sui gravi fatti di Marghera.
Marghera , 28/09/03
Una gravissima provocazione nei confronti di militanti di Rifondazione
Comunista di Venezia è stata attuata, in modo squadristico, da elementi
facenti riferimento al centro sociale Rivolta di Mestre. In particolare
un esponente della segreteria della federazione provinciale di Venezia
è stato aggredito a calci e pugni da quattro persone, mentre camminava
per strada da solo. All'origine dell'aggressione, il volantinaggio che
il circolo di Rifondazione Comunista di Marghera, assieme ad altri
soggetti politici, ai Cobas ed a semplici cittadini, aveva organizzato
per manifestare il proprio dissenso all'intitolazione di una piazza di
Marghera alle vittime dalmate e giuliane delle foibe. I picchiatori
hanno accusato i militanti di Rifondazione Comunista di essere a favore
delle foibe e dunque hanno sentenziato: "chi è per le foibe vada
infoibato". Ci pare che la gravità del fatto metta in evidenza la
pochezza politico culturale di questi personaggi che, agendo da
invasati, non discernono più nemmeno la differenza del discorso
politico: la censura di Rifondazione Comunista, politica e culturale,
con la tradizione poliziesca e stragista di talune esperienze del
socialismo del secolo scorso, è netta. Talmente netta da essere
tradotta in una pratica politica, coerente con l'esperienza del
movimento dei movimenti, disobbediente ed assolutamente non violenta.
Altrettanto non ci pare di poter dire per coloro che, in nome di
presunte verità assolute, adottano il metodo del pestaggio e
dell'intimidazione come metodo politico. Non abbiamo nulla a che fare
con le foibe, come non abbiamo nulla a che fare con i picchiatori da
qualunque parte dichiarino di collocarsi; condanniamo inoltre, "senza
se e senza ma", gli atti di vandalismo contro il municipio di Marghera
e le offese vigliacche contro esponenti di forze politiche che
consideriamo amiche, come i Verdi. Ciò non toglie che vogliamo
garantito il diritto di esprimere, sempre e comunque, il nostro assenso
o dissenso su tutte le questioni pubbliche. Anche in questa occasione,
quindi, rivendichiamo la nostra posizione politica contro la logica
delle foibe e dei gulag, dei processi politici e dell'aggressione
fisica del dissenso , ma, nel contempo, denunciamo la strumentalità di
riletture storiche parziali che, infine, non hanno reso giustizia né
alle migliaia di vittime di un'ingiustificabile vendetta, né, d'altro
lato, alla generosa lotta del popolo jugoslavo contro il nazismo ed il
fascismo.
Federazione Provinciale del Partito della Rifondazione Comunista Venezia
PESTAGGIO VIOLENTO, CINQUE IN OSPEDALE
(Tratto da La Nuova Venezia del 29 settembre 2003)
domenica 28 settembre 2003, da GR_Padova
Tafferugli all'inaugurazione del piazzale Martiri delle Foibe. Spaccata
la mandibola al consigliere De Simone, pugni anche a Rifondazione
Giovani di An intrappolati e picchiati in via Kossut dai ragazzi del
Rivolta
I primi incidenti al sit-in di protesta Poi l'aggressione "Erano 50,
mascherati ci hanno imprigionato"
Marghera. Bilancio pesante per l'inaugurazione di piazzale Martiri
Giuliano-Dalmati delle Foibe, che ha innescato violenti scontri tra un
gruppo nutrito di giovani che fanno capo ai centri sociali ed esponenti
di destra e sinistra, parimenti contestati per la loro presenza alla
cerimonia. Dai tafferugli escono malconci cinque giovani, che si sono
rivolti all'ospedale di Mestre. Ad avere la peggio il consigliere di
Municipalità Andrea De Simone (An) che ha riportato la frattura della
mandibola con una prognosi di 40 giorni. Tutto inizia intorno alle 10,
quando comincia il sit-in preannunciato da Rifondazione, Cobas Scuola,
Rete Antirazzista e Verdi non violenti. Srotolato il loro striscione ai
piedi del palco i manifestanti iniziano a distribuire un volantino di
protesta.
Cominciano i primi scontri, innescati da un gruppo di giovani dei
centri sociali che, letto il testo del volantino, pare non abbia
gradito la presenza tra i promotori dei Verdi Non Violenti. La
discussione, con insulti e grida, arriva presto a calci e pugni
sferrati ai danni di alcuni rappresentanti di Rifondazione. Lo scontro
si chiude con minacce verbali al consigliere comunale Pietrangelo
Pettenò "risparmiato - riferisce lui stesso - solo perché avevo mio
figlio in braccio". La tensione inizia a salire. La presenza di una
cinquantina tra agenti di polizia e carabinieri in tenuta antisommossa
non contribuisce a tranquillizzare i tanti presenti, tra i quali molti
genitori con bambini che hanno subito abbandonato il piccolo parco
giochi del piazzale. Il timore di nuovi scontri diventa realtà di lì a
mezz'ora, quando una ventina di rappresentanti di Azione Giovani (il
movimento giovanile di An), tutti in giacca e cravatta, viene
circondato ed aggredito mentre si dirige in piazzale per la cerimonia.
Poco dopo riferiranno di essere stati aggrediti da due gruppi di
giovani mascherati, una cinquantina in tutto, nascosti dietro la siepe
di piazzale Tommaseo e nelle vie laterali di piazzale Gar. Il culmine
del pestaggio avviene però in via Kossut, intorno alle 10 e 40, dove i
rappresentanti di An si sono visti intrappolati. "Ci hanno seguito con
un motorino da piazza Mercato - dice il consigliere Andrea De Simone -
ed hanno atteso che fossimo in un punto dove sarebbe stato impossibile
scappare". Le forze dell'ordine sono intervenute immediatamente ma il
blitz è stato repentino, pochi secondi di botte prima della fuga.
Il tutto è durato mezz'ora. La cerimonia si è poi svolta con i
poliziotti schierati con caschi e scudi protettivi nelle vie di accesso
al piazzale, e con un elicottero che ha continuato a sorvolare la zona
nel tentativo di individuare gli aggressori. I giovani di An, ai
carabinieri che hanno raccolto le prime denunce, riferiranno di aver
riconosciuto numerosi giovani del centro sociale Rivolta ed altri che
sarebbero arrivati da Padova e che farebbero riferimento al centro
sociale Pedro. In piazzale sono arrivati con il volto tumefatto,
qualcuno con le labbra spaccate e il naso gonfio per i pugni ricevuti.
Per terra, in via Kossut, è rimasto anche un paio di occhiali rotti.
BETTIN: "DISSENSO, NON ODIO"
"Colombe? Io vedo avvoltoi"
(Tratto da La Nuova Venezia del 29 settembre 2003)
domenica 28 settembre 2003, da GR_Padova Marghera.
Un'inaugurazione rovinata dagli scontri di piazza, quella di Piazzale
Martiri Giulian-Dalmati delle Foibe. Scontri che hanno portato tutte le
autorità invitate a rivedere i propri interventi, a lasciare in tasca
gli appunti e parlare a braccio, per deplorare quanto successo e
rivendicare la bontà della scelta fatta dall'amministrazione nel
riconoscere il martirio di migliaia di persone, uccise da un regime
totalitario solo perché diverse per razza, religione o fede politica.
Il più duro è stato Gianfranco Bettin, tra i più convinti sostenitori
del cambio di nome per piazzale Tommaseo. "In tutta Italia - ha detto
il prosindaco - questo riconoscimento è normale, a Marghera no, perché
il dissenso diventa odio". Bettin attacca anche i Verdi non Violenti
che hanno promosso con Rifondazione la manifestazione di protesta.
"Questi Verdi hanno la colomba nel loro simbolo - ha detto - ma
dovrebbero avere un avvoltoio perché stanno speculando sui morti". E
conclude sottolineando la civiltà di una Marghera che "da sempre
difende la democrazia, che accoglie il diverso, che ha il proprio
futuro nel nuovo nome di piazzale Tommaseo e non nelle scritte apparse
sui muri in questi giorni". Il presidente della Municipalità, Roberto
Turetta, ha chiesto scusa per quanto successo poco prima della
cerimonia sottolineando però che "questa scelta ha creato una
spaccatura, vanificando il tentativo di riappacificazione che ne stava
alla base". "Marghera non merita queste manifestazioni di odio - ha
concluso - avendo dimostrato in più occasioni di essere matura,
tollerante, civile e democratica". Il sindaco Costa, dopo aver ricevuto
in dono una medaglia coniata nel 1947 per ricordare l'esilio dei
dalmati dalle loro terre, ha detto di esprimere "l'orgoglio di Venezia
per aver intitolato questa piazza ai martiri delle foibe, e giustifico
il dissenso solo in un'ottica di insipienza storica che fa gridare
vergogna dagli striscioni e cartelli qui esposti. Abbiamo bisogno di
verità". Il presidente nazionale dell'associazione Giuliani e Dalmati,
il senatore Lucio Toth, nel ringraziare Venezia e tutti i suoi
cittadini ha ricordato i martiri delle foibe indicandoli principalmente
come "i fratelli e le sorelle dei tanti dalmati che hanno combattuto e
sono morti per la nascita di questo stato". (ro.ma.)
RAID VANDALICO NELLA NOTTE CONTRO SEDI DI PARTITI
Mestre. Una notte infiammata dalle scritte spray. Da una parte
svastiche, porte forzate e bandiere imbrattate o rubate. Dall'altra
insulti diretti a politici e parlamentari locali e richiami "ai martiri
del comunismo" apparsi alla vigilia dell'intitolazione di una piazza ai
martiri delle Foibe. Una inaugurazione, funestata dal ricorso alla
violenza. Vittime di un raid vandalico che ha disseminato svastiche tra
Mestre e Marghera sono state le sedi dei partiti del centrosinistra
veneziano.
Colpita anche l'abitazione della parlamentare dei Verdi, Luana Zanella
a cui è stato annerito il campanello di casa ed è stata lasciato
accanto un volgare insulto. Alla sezione dei Democratici di sinistra di
via Hermada a Marghera sono apparse nella notte le svastiche ed è stata
"oscurata" a colpi di bomboletta la bandiera della pace. Ma i vandali
sono andati oltre, forzando la porta del circolo dell'Arci, ospitata
nella sede, e rubando il fondo cassa di 200 euro e imbrattando i muri
di scritte. La scritta "Porci" è stata invece lasciata sulla porta
della sezione Ds di Zelarino. E sono tornate ancora le svastiche, già
apparse mesi fa. Colpite durante il raid notturno anche le sedi dello
Sdi di via Toffoli a Marghera. Alla sede della Federazione dei Verdi in
via Seismit Doda la scritta "fascista" invece era indirizzata contro il
prosindaco Gianfranco Bettin, non nuovo a queste forme di aggressione.
E ancora, a farne le spese è stata la sezione dei Comunisti Italiani di
piazzetta Canova in viale San Marco dove sono state rubate quattro
bandiere, esposte all'esterno; è stata divelta la cassetta delle Poste,
e rovesciati a terra tavolini, sedie e tabelloni. Sulla porta della
sede dei Comunisti è stato lasciato un adesivo del "Movimento Sociale
Fiamma tricolore", consegnato alla Digos della questura di Venezia dal
segretario comunale Carlo Coccato, al momento della denuncia.
(Mitia Chiarin)
DOVEVA ESSERE UNA GIORNATA DI FESTA???
(Tratto da La Nuova Venezia del 29 settembre 2003)
Doveva essere una giornata di festa. Con la città chiamata a
riappropriarsi, attraverso l'intitolazione di un piazzale di Marghera
ai "Martiri giuliano dalmati delle foibe ", di una pagina tragica di
storia nazionale ed europea, da cui sono scaturiti, per 350mila
italiani, diaspora ed esilio. Ma non è stato così: questa domenica di
fine settembre verrà ricordata per la guerriglia urbana e gli scontri
(quattro i ragazzi di Azione giovani finiti al pronto soccorso). Che
qualcosa fosse destinata ad accadere, lo si è capito subito, ieri,
nell'ex-piazzale Tommaseo. Sono passate da poco le 10: esponenti di
Rifondazione comunista protestano, a qualche metro dal palco, sistemato
di fronte al cancello della scuola Visintini. Hanno srotolato uno
striscione rosso con un "Vergogna" a caratteri cubitali e dispensano
volantini, firmati anche dai "Verdi non violenti". Nome che scatena le
prime reazioni. "Alcuni attivisti del Rivolta e del Pedro di Padova -
raccontano i rifondisti - si sono avvicinati, scandendo "Boato,
Boato", e giù offese, prima di prendere a pugni Gigi, un nostro
esponente". Minacce verbali giungono all'indirizzo del consigliere
regionale di Rifondazione Pierangelo Pettenò che ribadisce come "il
Comune abbia la colpa di aver creato steccati, invece di eliminarli".
Passa mezz'ora: accanto allo striscione scarlatto, si posizionano il
picchetto dei lagunari, una trentina di agenti di polizia e carabinieri
in tenuta antisommossa. Di fronte al palco, si stanno concentrando
autorità e una folla di persone e associazioni, tra lo sventolio di
tricolori. Ma si tratta di pace apparente; pochi metri più in là è
guerriglia. I poliziotti vengono richiamati - e vi si precipitano di
corsa - da uno scontro in via Kossuth, la laterale del piazzale, dalla
parte opposta del palco. A prendere le botte, questa volta, una ventina
di ragazzi di Azione giovani. Ne escono malconci in cinque, quattro si
faranno medicare al Pronto soccorso dell'Umberto I. "Erano una
cinquantina. Ci hanno accerchiato: venivamo da piazza Mercato. Dalla
siepe di piazzale Tommaseo, - ricorda Andrea De Simone, capogruppo di
An a Marghera che ha riportato la frattura della mandibola - sono
sbucati quelli del Rivolta. Abbiamo indietreggiato, ma un altro gruppo
di loro ci si è parato davanti". "Pare ci fosse anche Tommaso Cacciari.
L'extraterritorialità con cui operano quelli del Rivolta - commenta con
rabbia il consigliere comunale Raffaele Speranzon - deve finire".
La cerimonia ha inizio sulle parole del presidente della Municipalità,
Roberto Turetta, che chiede scusa per quanto accaduto e rivendica per
Marghera l'essenza di città tollerante e civile. "Quello che facciamo
oggi, riconoscere una tragedia in cui sono morte, secondo storici di
sinistra, almeno 10-12mila persone - esordisce con foga il prosindaco
Gianfranco Bettin - è normale dappertutto, ma non qui, dove è incistata
un'ideologia che diventa livore e mandato politico a colpire". Attacca
i "Verdi non violenti che hanno una colomba, come simbolo, ma
dovrebbero avere un avvoltoio che aleggia sui morti" e invita, però, a
andare avanti da una Marghera che non è "questa" per riprendersi la
"storia per intero". "Abbiamo il dovere - afferma invece il presidente
nazionale dell'Associazione Venezia Giulia Dalmazia, senatore Lucio
Toth che ringrazia Bettin, la Municipalità e la gente di Marghera - di
ricordare a voi quale pulizia etnica abbiamo subìto". "Non si elimina
il problema - conclude il sindaco Paolo Costa prima di scoprire la
nuova denominazione del piazzale - nascondendosi: abbiamo bisogno di
verità, fondamento di democrazia". Ma gli scontri hanno fatto
registrare anche la spaccatura fra Rifondazione e i Centri sociali: la
federazione provinciale del Prc scrive che una "gravissima provocazione
è stata attuata da elementi facenti riferimento al Centro sociale
Rivolta", con l'aggressione di un esponente della segreteria a calci e
pugni. "I picchiatori hanno accusato i militanti di Rifondazione di
essere a favore delle foibe", è scritto nella nota. "Ci pare che la
gravità del fatto metta in evidenza la pochezza politico culturale di
questi personaggi".
(a cura di Italo Slavo)
Bush wird von den Demokraten „herausgefordert“. Der langgediente
Ex-General Wesley Clark, eine Person, die dem „Sicherheitsbedürfnis“
der USA gut zu dienen weiß, stellt sich der Herausforderung. Die Waffen
des Wahlkampfs sind gewählt: Kriegsverbrecher Bush, als erklärter
Haupt-Feind der Anti-Kriegsbewegung, tritt gegen Kriegsverbrecher mit
Erfahrung, Wesley Clark, als Held der Anti-Kriegsbewegung, an.
„Seine Kandidatur wird mit Sicherheit die Friedenskräfte stärken und
den amerikanischen Präsidenten Georg Bush aus dem Sessel heben.“
schreibt Jim Lobe, Inter Press Service. Clark steht laut Wahlprogramm
gegen den Krieg im Irak, gegen den „Krieg gegen den Terror“, für
demokratische Rechte, für das Recht auf Abtreibung und für ein besseres
Gesundheitswesen. Das alles macht ihn zum Sprachrohr der liberal
orientierten amerikanischen Machtriege. Michael Moore, Bestsellerautor
von „Stupid White Man“, gibt ihn auf jeden Fall seine Stimme und macht
damit dem Namen seines Buches alle Ehre.
Wesley Clark ist der maßgeschneiderte Kandidat, um der
kriegstreiberischen und völkerrechtswidrige Politik der USA in all
ihren Facetten gerecht zu werden: Von der „humanitären“ Politik eines
Bill Clintons, im Zuge derer Jugoslawien 1999 unter einem Bombenteppich
der Nato begraben wurde, bis zur Terror-Politik eines Bush, der im
Alleingang um die Vorherrschaft der USA kämpft. Immerhin hat Clark im
Gegensatz zu Bush auch noch eine Vergangenheit mit Kriegserfahrung
vorzuweisen:
Bereits zu Zeiten des Vietnamkriegs hat er sich als General profiliert.
1994 leitete er die militärischen Intervention in Haiti. In den Jahren
1996/1997 befehligte er das „US Southern Command“ für Lateinamerika,
welches in letzter Instanz verantwortlich zeichnet für die Ermordung
von 2.400 politischen Aktivistinnen und Aktivisten Kolumbiens alleine
in den besagten Jahren und den permanenten Terror der paramilitärischen
Einheiten der Armeen in Peru, Guatemala, Mexiko und Bolivien.
1999 übernahm er schließlich den Oberbefehl über den Angriff der Nato
auf Jugoslawien. Clark selbst hat in einem Interview am 3. Mai 2000 die
Frage, welches Ziel die Nato dort verfolgte, ehrlicher beantwortet als
es zu erwarten wäre: „Die potenziellen Feinde mussten erkennen, dass
die Westmächte militärisch, politisch, diplomatisch und industriell
durchaus im Stande sind, Kämpfe auf hoher Intensität, Bodentruppen
eingeschlossen, zu führen, wenn ihre lebenswichtigen Interessen
verletzt werden oder sogar ihre weniger lebenswichtigen.“ (Interview
IHT, 3. Mai 2000)
Wesley Clark ist einer der Hauptverantwortlichen für Tausende
Todesopfer, die dieser völkerrechtswidrige Krieg gegen einen Staat,
dessen Regierung und Volk nicht bereit war, sich dem Diktat der USA und
deren europäischen Komplizen zu beugen, forderte. Er ist verantwortlich
für den Einsatz von Streubomben und Uranmunition, deren Einsatz als
Kriegsverbrechen gilt und zu Langzeitschäden führt. Er ist
mitverantwortlich für die gezielten Zerstörungen der Infrastruktur
Jugoslawiens, wodurch Millionen Menschen ihrer wirtschaftlichen und
sozialen Grundlagen beraubt wurden.
Clark forderte damals im Mai die Genehmigung von der politischen
Führung der Nato, die jugoslawische Stromversorgung anzugreifen. Es sei
nicht akzeptabel, meinte er, dass die Luftangriffe der Nato bis dato
die „einzigen der Geschichte waren, während denen Liebespaare entlang
des Flussufers in der Abenddämmerung spazieren gingen und vor Cafés im
Freien aßen, um dem Feuerwerk zuschauen zu können.“ (The New Yorker, 2.
August 2000)
Wesley Clark befürwortete auch den Einsatz von Bodentruppen im Kosovo
und meinte im Gespräch mit US-Verteidigungsminister Cohen, dass die
vorgesehenen 28.000 Mann für die Bodentruppen auf 50.000 Mann erhöht
werden müssen, da dies wegen der massiven serbischen Verminungen
notwendig sei.
Besondere Dreistigkeit bewies er mit dem Befehl an den britischen
KFOR-General Jackson, die in Priština stationierte russische Einheit
anzugreifen. Jackson verweigerte diesen Befehl mit der Begründung, er
wolle nicht den Dritten Weltkrieg verursachen.
Und heute? Heute wird Clark als Anti-Kriegsheld und Experte für inneren
Sicherheit lanciert. Doch auch im Falle des Irakkriegs war Clark nicht,
wie heute behauptet wird, gegen den Krieg. Der Kern seiner Kritik an
Bushs Angriffskrieg auf den Irak ist nicht die plötzliche Läuterung und
Besinnung auf das Menschen- und Völkerrecht, sondern eine „Einsicht“
die angeblich seinen Erfahrungen im Kosovokrieg entspringt: „Ich hätte
zuerst die UNO und die Nato als Verbündete gegen al-Qaida gewonnen.
Wenn dann die Zeit reif ist, um gegen den Irak, Iran oder Nordkorea
vorzugehen, hat man eine starke, geschlossene Gruppe von Alliierten.“
(Time Magazine 14. Oktober 2002)
Er verlangte also lediglich eine längere und bessere Vorbereitungszeit
(mehr Truppen und mehr Verbündete) für den Angriff. Am 5. Februar
diesen Jahres sagte er auf CNN, dass „die Glaubwürdigkeit der USA auf
dem Spiel“ stünde, und dass die USA den Krieg notfalls alleine auch
ohne UNO führen müssten.
Nach Berichten versuchte Clark nach Ende seines Diensts als
Oberbefehlshaber Nato-Europa in das nationale Sicherheitsteam von
Präsident Bush aufgenommen zu werden. Dort war man nicht an ihm
interessiert. Verärgert wandte sich daraufhin General Clark den
Demokraten zu, wo er anscheinend mehr Erfolg hatte.
Nach dem Motto: „Einen müsst ihr ja wählen, um eure Stimme nicht zu
'verschenken'. Ein hoch auf das Zwei-Parteien-System“ wird einer das
Rennen machen. Sowohl Demokraten wie Republikaner finden ihre Stützen
im Militär. Sowohl Clark als auch Bush haben die Bedeutung der
militärischen Vormachtstellung der USA, um als Zugpferd der
kapitalistischen Weltwirtschaft zu funktionieren, verstanden. Sowohl
Demokraten wie Republikaner werden weiterhin völkerrechtswidrige
Angriffskriege im Namen der „Gerechtigkeit“ beginnen und die
Souveränität der Staaten und Völker auf der ganzen Welt bedrohen. „Es
lebe Amerika, es lebe die Demokratur des wilden Westens!“
Irina Vana
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Balkan Express - September 25, 2003
Return to the Crime Scene
Kosovo and Bosnia Revisited
by Nebojsa Malic
Nearly three years after he left office, Bill Clinton was Emperor
again – at least in the minds of worshipful Balkans peons,
who cheered him on as he strutted down his namesake
boulevard in Pristina and pontificated about good and evil in
Srebrenica.
Clinton deserves some credit because he at least visited only
the scenes of his own crimes; he left Macedonia to George W.
Bush, perhaps for a similar ego trip after his reign. Perhaps that
is not quite fair. What Reuters called the "Balkans lap of honor"
wasn’t entirely a celebration of Clinton’s ego, but also a
powerful propaganda show for the benefit of the Empire, aimed
to "highlight the peace gains of the previous Democratic
administration." (AFP) Clinton’s showboating was a message
that even if the current Emperor is in some difficulty over his
Mesopotamian adventure, the Empire itself is not in question.
False Honors and Bogus Tolerance
Clinton began his visit in Kosovo, where he was greeted by
cheering throngs of adulating Albanians. Upon arrival, he said
that he was "very pleased to see things look so well." (AFP)
Either he wasn’t paying attention, or – more likely – he didn’t
care.
Media coverage of the visit recycled the 1999 propaganda,
including the arbitrary figure of "estimated 10,000 ethnic
Albanians… killed during the crackdown." (AP)
The main event was his speech at Pristina University, site of
several grisly murders during Kosovo’s "liberation" from
international law, where Clinton was also granted an honorary
degree. Clinton confessed to an ethnically pure crowd
that he was "honoured to have been part of ridding Kosovo
of the scourge of oppression." (AFP)
He should really tell that to Albanians oppressed by the KLA
thugs, who murder and extort them freely. Or to Albanians
who believe they are oppressed by the international
protectorate that bars them from statehood. Or perhaps to
Kosovo’s non-Albanians, exposed to constant Albanian
violence, shrinking in numbers, invisible in public and living in
ghettos. But Albanians won’t blame Clinton, and non-
Albanians don’t take him seriously anyway.
During the speech described by the media as conciliatory, the
former Emperor asked the Albanians, "don’t you want to get
even?" (AFP) Note the form of the question, implying it would
be the expected and natural thing to do. He also referred to
"you" (Albanians) and "them" (Serbs and others), and said he
wanted "you" to be free. (AP) No one should care about "them";
they are only things, anyway.
The Farce in Potocari
Bosnia was Clinton’s pet issue in the 1992 election, and his
first "nation-building" experiment. On Saturday, he attended the
ceremony for victims of Srebrenica at the new memorial shrine
in nearby Potocari. There he opened a political monument to a
politicized massacre, delivering an insipid speech brimming
with clichés, hypocrisy and outright lies. Then he paid a visit
to the dying ayatollah Izetbegovic.
The Potocari speech, carried in fragments by wire services and
newspapers, sounds like standard Clintoniana. For example,
he claimed that "for much of [Bosnia’s] history, [Muslims],
Croats and Serbs have lived together in peace." (AFP)
What kind of history books has he been reading? But there is
more:
"We must pay tribute to the innocent lives, many of them
children, snuffed out in what must be called genocidal
madness." (BBC)
How is the alleged killing of 7000 (more on that later)
"genocidal madness," but starving 500,000 children isn’t? Well,
when the first is done by the designated villain and the latter
by the indispensable nation, the first is an atrocity beyond the
pale, and the second is the price "worth it." Modernist logic
personified.
"Bad people who lusted for power killed these good people
simply because of who they were." (NY Times)
Bad people? Good people? Who was he addressing, children?
And who is Clinton to lecture about evils of lust, of all things?
"[P]ride in our own religious or ethnic heritage does not require
or permit us to dehumanize or kill those who are different" (AP)
This must have been spoken from experience.
"I hope you can build on the bedrock of Srebrenica in Bosnia-
Hercegovina a place where all children are safe and loved and
able to live out their dreams" (AFP)
Certainly Srebrenica, a tragedy surrounded by a tangled web
of lies and propaganda, is just the perfect foundation for raising
Bosnia’s children.
"Children must be taught to hate." (NY Times)
Was this a lapse of tongue, lapse of pen, or a lapse in
judgment? Even if he’d said, "Children must not be taught to
hate," that would sound hollow at the dedication of a shrine
dedicated to teaching just that.
"I hope you will teach them instead to trust," he said, and to
choose "the freedom of forgiveness over the prison of hatred,
tomorrow’s dreams over yesterday’s nightmares." (NY Times)
Nice words, but consider the source – and the occasion. The
Potocari memorial is a shrine to vengeance and hatred, not
forgiveness and hope. Many Muslims in attendance felt that
way, as did their political leader, who spoke afterwards.
Media Madness
The Clinton visit gave the mainstream media a chance to
indulge in propagandistic exaggeration of the worst kind.
Familiar clichés were trotted out to describe what allegedly
happened in Srebrenica: "the worst organized slaughter since
World War II" (Reuters), "the worst massacre in Europe since
the end of World War II" (AP), "Europe’s worst atrocity since
World War II" (AFP and BBC), the "worst war crime in Europe
since World War II," (NY Times).
Absent the actual truthful information, speculation about the
scale of Bosnian atrocities ran rampant: "up to 8000" were
killed in Srebrenica, and "260,000" in the entire war, said the
AP; Reuters "estimated 8000 killed" in Srebrenica, and "some
200,000" in Bosnia; "more than 7,000 Muslim men and boys" in
Srebrenica, and "more than 250,000 people" altogether,
claimed the BBC, while the AFP lowered it somewhat to "more
than 200,000." The BBC also noted that the memorial in
Potocari was designed to eventually contain "Ten thousand
white tombstones." Only the New York Times, while dutifully
repeating the number of "more than 7000" in Srebrenica, did
not speculate on the total death toll in Bosnia, at least not on
this occasion.
Both figures come from the claims made by the Muslim
government during the war, and have never been
independently verified. The International Red Cross said they
received "7,599 enquiries regarding people who went missing
in the town. Only 22 people have been found alive; the mortal
remains of 1,083 others have been identified." Also, "currently,
the identities of 6,461 Srebrenica-related individuals are
recorded in an ICRC-managed… database." Here are some
very real numbers, even if they only indicate that the fate of
some 6500 people is unknown. But no one bothers to cite
them.
All reporters embellished their accounts with strong and vivid
language, presenting sheer speculation as established truth.
In their eagerness, they often contradicted themselves and the
official story. For example, Reuters claimed that Srebrenica
was "95 percent" Muslim before the war. The actual figure is 72
percent. Muslims were a majority either way, so why lie?
Funny thing is, every Reuters story on Kosovo mentions a "95
percent Albanian majority." Magic numbers, sloppy editing, or
something else altogether?
Then there are attempts to capitalize on the identity and age of
the deceased. AFP cites, for example, the burial of the Delic
family – a father and three brothers, aged 33, 25, and 20. Yet
the Reuters story says:
"107 victims were laid to rest alongside 882 already buried
here, among them three Delic brothers and their father, the
youngest 17 and the oldest 75."
This clearly implies the youth and the senior were among the
Delics. BBC did even worse:
"The victims included three Delic brothers and their father - the
youngest 17 and the oldest 75."
While Reuters could use the excuse of sloppy editing, the BBC
clearly lied.
Why is mentioning the age so important? Because it creates
the impression that the victims were civilians, boys and old
men, not conscripts in the Muslim military, as all males above
the age of 16 had to be by law. (Though executing POWs is
also a war crime, it doesn’t have the visceral impact of
"genocide" and is thus far less politically useful. The Muslims
and their backers knew exactly what they were doing.)
But as a local reporter for Transitions Online indicates,
"Since July, 881 bodes have been buried here, and, of them,
four were under 18 years old, [emphasis NM] while the
oldest victim was 75." Yet Clinton spoke, of "innocent lives,
many of them children" – and the press repeated in unison.
Obviously, Bill Clinton’s loose relationship with the truth isn’t
the only problem here. The specter of Jayson Blair still haunts
Western journalism.
Hatred and Entitlement
Munira Subasic, president of Mothers of Srebrenica, is quoted
by Transitions Online:
"Clinton said there was nothing he could do to stop it because
there was always someone who was slowing down the
process of Western intervention, and I believe him. I think he is
an honest man."
Even if they were somehow honest, Clinton’s calls to
forgiveness and rebuilding in Potocari fell on deaf ears.
Speaking at the same ceremony, the highest Bosnian Muslim
official, Sulejman Tihic, said:
"Everybody knew about the concentration camps, genocide
and the other ways of crime. They knew who was participating
in it. They knew who was the criminal and who was the
victim." (NY Times)
This is rhetoric typical of the wartime Sarajevo regime: long on
name-calling, claims of moral purity, and serious accusations
aimed at emotional impact, but utterly devoid of evidence.
Tihic’s words also continued the policy of deliberate ingratitude
to the Muslim government’s benefactors, calculated to shame
them into even more favorable behavior. Whatever anyone
does for this cabal, it will never be enough to satisfy their
feeling of entitlement.
Consider the words of Ahmija Delic, a former Srebrenica
resident:
"Even if someone killed all the cheniks, [sic]" she said, using
the word for Serbian nationalists, "I cannot forgive. They were
not human beings and it was a shame for the rest of the world
to allow one people to carry out these killings. […] Clinton
could have helped this not to happen," she said. (NY Times,
emphasis NM)
The ignorant NYT reporter did not know that in modern Muslim
parlance, "chetniks" are Serbs in general, not just ‘nationalists.’
Ms. Delic clearly believes that Serbs were collectively
responsible for mass murder, that this makes them inhuman,
and that they deserve collective extermination. Because
Clinton was perceived to have the ability to ‘help,’ he was also
perceived to have the obligation. And because he did not
exterminate the Serbs, as Ms. Delic desired, he obviously did
not do his job well.
If Clinton’s policies really aimed at peace, and his speech at
reconciliation, he failed on both counts.
The Politics of Empire
In their coverage of Clinton’s visit to Srebrenica, AFP cited a
local Serb, Novo Mladenovic: "Clinton is not coming here for us
or for them, but rather so that his picture from Srebrenica will be
broadcast in the United States."
At the time when war criminal Wesley Clark is championed as
the likeliest Democratic challenger to Bush the Younger,
supported even by some otherwise reasonable people, it
seems logical for Clark’s political patron and former boss to
stump for his favorite in their Balkans battlefields. It would also
seem logical for Americans to look at their former Emperor,
his favorite to become the next one, and the current one,
and understand that all three believe in power and force.
They use them in different places, and mask them with different
platitudes, but does that really make a difference?
It shouldn’t.
– Nebojsa Malic
umjesto u 13,30.
Svakog utorka, od 14,00 do 14,30 sati, na Radio Città Aperta, i valu FM
88.9 za regiju "Lazio", emisija "JUGOSLAVENSKI GLAS". Emisija je u
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Podrzite taj slobodni i nezavisni glas, kupujuci knjige, video kazete,
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Program - programma 30. 9. 2003.
1. Jucer, danas sutra, datumi ... da se ne zaboravi.
2. Vijesti "Od Triglava do Vardara...."
3. Razno
1. Ieri, oggi, domani, date ... per non dimenticare.
2. Notizie "Dal monte Triglav al fiume Vardar..."
3. Varie